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OTTAVA SERIE

AVVERTENZA

l. Il presente volume, secondo della serie ottava, comprende il materiale relativo al periodo 1° settembre-31 dicembre 1935 seguendo la divisione puramente cronologica per quadrimestri o semestri in cui gli anni di questa serie sono stati ripartiti per esigenze editoriali.

Esso pertanto continua la documentazione concernente la questione etiopica che, nel quadrimestre, vede sul piano diplomatico e militare i suoi più delicati sviluppi. Si concludono, all'inizio di settembre, i lavori della Commissione di arbitrato e conciliazione sull'incidente di Ual-Ual senza che ne venga uno spiraglio per la soluzione pacifica del problema. Il clima si surriscalda ulteriormente durante le discussioni alla 16a Assemblea della Società delle Nazioni, anch'essa improduttiva per la rigidità delle parti, coincidendo con l'arrivo della Home Fleet nel Mediterraneo. La crisi nei rapporti italo-britannici non giunge ancora al culmine per le precisazioni che vengono da Londra, ma si entra in un periodo di grave tensione che si accentua quando il 3 ottobre si verifica l'attacco italiano all'Etiopia. Da questo momento la crisi si sviluppa su due linee parallele: da un lato, prende l'avvio la procedura della S.d.N. per constatare l'esistenza dell'aggressione all'Etiopia ed adottare le sanzioni contro l'aggressore che saranno deliberate il 18 novembre, 'limitatamente a quelle economiche, con l'invito ai paesi, societari e non, ad interrompere crediti e vendite dei loro prodotti verso l'Italia con esclusione pe,rò dell'embargo del petrolio; dall'altro, prende l'avvio sul piano diplomatico, in modo assai più consistente che nei mesi precedenti, la ricerca di un compromesso che salvi !'<indipendenza dell'Etiopia, o meglio di gran parte del suo nucleo storico, l'Abissinia, e dia soddisfazione alle principali richieste italiane. È soprattutto la Francia a prodigarsi in questi tentativi -cui, dopo le elezioni del 14 novembre, risoltesi con il successo dei conservatori, collabora anche la Gran Bretagna -che si concludono con l'elaborazione del documento, predisposto dai ministri Laval e Hoare il 7 dicembre, da presentare alla S.d.N. Sulle reazioni negative che questo documento suscita ovunque e sull'interrogativo circa la possibile estensione dell'embargo al petrolio si conclude il quadrimestre, che registra, come tema complementare alla crisi etiopica, gli sviluppi nei rapporti dell'Italia con l'Austria e con la Germania. Si attenuano i primi, poiché da Roma si rivolge minore attenzione alla vicenda austriaca e segnano naturalmente il passo le trattative dirette a creare una rete di solidarietà nel settore danubiano-balcanico a sostegno dell'indipendenza austriaca, sulla quale anche a Vienna si cominciano a manifestare alcune esitazioni; tendono ad intensificarsi i secondi, attraverso sondaggi anche informali, a misura delle difficoltà crescenti nei rapporti dell'Italia con la Gran Bretagna e la Francia la quale, con l'accordo del 13 dicembre sulla collaborazione militare con Londra per il caso di appli

cazione dell'art. 16 dello Statuto societario, conclude sostanzialmente l'atteggiamento di apertura verso l'Italia, in funzione di equilibrio europeo, tenuto fino allora.

La documentazione su questi temi, come quella sulla questione etiopica, è stata selezionata con particolare larghezza data la rilevanza dell'argomento e l'importanza di questo periodo della politica estera italiana. Non sono da segnalare lacune degne di nota nel materiale diplomatico, come hanno confermato anche le ricerche effettuate presso l'Archivio centrale dello Stato e presso gli archivi degli Uffici storici degli Stati Maggiori dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, i cui direttori sentitamente si ringraziano per la fattiva collaborazione sempre prestata alle nostre ricerche.

2. -I documenti pubblicati provengono dall'Archivio Storico del Ministero degli Esteri ed in particolare dai seguenti fondi: Archivio del Gabinetto 19231943, serie ordinaria; Archivio degli Affari Politici 1931-1945, nel quale è contenuto anche il fondo di guerra Etiopia, non essendosi proceduto in questa occasione alla istituzione di un ufficio speciale in seno al Gabinetto; Archivio della corrispondenza telegrafica, serie R. e serie P. R., nel quale tuttavia mancano i registri dei telegrammi in arrivo dal Giappone e in partenza per l'U.R.S.S. per l'intero periodo. Alcuni telegrammi mancanti nella corrispondenza telegrafica in arrivo dalla Gran Bretagna sono stati suppliti dal fondo dell'Ambasciata di Londra e dall'archivio Grandi e sono riconoscibili dalla mancanza dell'indicazione del numero di protocollo di arrivo. Le carte di natura strettamente militare reperite intorno alla questione etiopica non sono state incluse nel volume data la loro natura. 3. -Alcuni dei documenti qui pubblicati avevano visto la luce nei seguenti volumi: HUBERT LAGARDELLE, Mission à Rome, Mussolini, Paris, Plon, 1955; POMPEO ALOISI, Journal (25 juillet 1932 -14 juin 1936), Paris, Plon, 1957; BENITO MussOLINI, Opera omnia, vol. XXVII, Firenze, La Fenice, 1963 e vol. XLII, Roma, Volpe, 1979; GIANFRANCO BIANCHI, Rivelazioni sul conflitto itala-etiopico, Milano, CEIS, 1967 e RENZO DE FELICE, Mussolini il duce, vol. I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi, 1983, mentre qualche brano sparso si trova in RENATO MORI, Mussolini e la conquista dell'Etiopia, Firenze, Le Monnier, 1978. Naturalmente queste opere si erano valse della consultazione delle carte qui pubblicate, come era pure accaduto per il volume di LuiGI VILLAR!, Storia diplomatica del conflitto itala-etiopico, Bologna, Zanichelli, 1943, al quale era stato concesso di vedere solo una parte della documentazione sulla questione etiopica selezionata dai funzionari del Ministero. Su tale questione era stata effettuata dall'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano una corposa pubblicazione di tutto il materiale reso a suo tempo pubblico (Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. I, Dal trattato di Uccialli al 3 ottobre 1935, vol. II, Dal 3 ottobre 1935 al 15 luglio 1936, Milano, ISPI, 1936). Ad essa si è fatto rinvio in molti casi per non appesantire inutilmente questo volume. La stessa cosa è stata fatta con le parallele collezioni inglese e francese (Documents on British Foreign Policy, 1919-1939, Second series, vol. XIII, London, Her Majesty's Stationery Office, 1973; vol. XIV, 1976; vol. XV, 1976; Documents

diplomatiques jrançais, 1932-1939, 1re sene (1932-1935), vol. XII, Paris Imprimerie Nationale, 1984; vol. XIII, 1984) quando si trattava di documenti già in esse pubblicati.

4. Alla preparazione di questo volume hanno concorso in particolare il dott. Andrea Edoardo Visone, cui si deve la ricerca archivistica sui fondi principali e la redazione dell'indice sommario, e le dott. Antonella Grossi e Francesca Grispo, le quali, oltre a completare la ricerca estendendola anche agli archivi esterni al Ministero, hanno preparato i documenti per la stampa, predisposto la tavola metodica, 1e appendici e l'indice dei nomi, e provveduto alla correzione delle bozze. A tutti esprimiamo il più sentito ringraziamento insieme al doveroso riconoscimento che il volume non avrebbe potuto essere preparato senza la loro collaborazione sempre competente, attenta e intelligente.

RENZO DE FELICE PIETRO PASTORELLI


DOCUMENTI
1

1

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5187/546 R. Parigi, 1° settembre 1935, ore 0,20 (per. ore 2,35).

Aldrovandi comunica quanto segue:

«14. Mio telegramma n. 12 (1).

Nella pomeridiana di oggi sabato, avvenuta fra l'altro discussione su paragrafi 24, 25 e 26 proposta Politis da me trasmessa con telegramma n. 13 (2). Per paragrafo 24, che esclude responsabilità Ita:lia, sembra che La Pradelle lo accetterebbe sotto condizione che fosse accettato il resto. Di fronte nostra

assoluta negativa di accettare la formulazione del paragrafo 2.5, che cioè la Commissione " per mancanza di prove stima che l'autorità etiopica non possa essere tenuta responsabile dell'incidente del 5 dicembre". La Pradelle ha proposto soppressione paragrafi 24 e 25 mantenendo solo il 26 secondo il quale campo italiano ed etiopico 5 dicembre " credendosi in stato di legittima difesa hanno proceduto a simultaneo scarico di fucilate " iniziando così combattimento.

Politis ha mantenuto atteggiamento poco favorevole a noi anche nei particolari di minore importanza accettando per essi suggerimento La Pradelle anche se contra.ri al suo stesso testo e nonostante nostra motivata opposizione. Siamo così dolenti che contegno Politis abbia confermato nostre gravi previsioni ed obbiezioni ai riguardo di lui~ (3).

2

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 9401/689 P. R. (4). Roma, 1° settembre 1935, ore 1.

Informarmi se sia vero quanto pubblica il News Chronicle e cioè che Etiopia costruirebbe immediatamente in 4 mesi una fabbrica di munizioni (5).

(l) -T. 5180/542 R. del 31 agosto 1935, ore 20,30, da Parigi, non pubblicato. (2) -T. 5186/543 R. del 31 agosto 1935, ore 20,30, da Parigi, non pubblicato. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Minuta autografa. (5) -Con T. 9697/2110 P.R. del 3 settembre 1935. ore 19, Vinci rispondeva informandc clrcH. l'intenzione del governo etiopico di rimettere in funzione una fabbrica di cartucce.
3

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 9403/140 P. R. (1). Roma, 1° settembre 1935, ore 1.

Debbo constatare che atteggiamento stampa di Atene è molto ostile. Dica a Condylis che questo non giova alle relazioni fra i due paesi. Mi dica anche se l'associazione greca amici dell'Etiopia è una cosa seria (2).

4

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9579/188 P.R. Madrid, 1° settembre 1935, ore 1,14 (per. ore 21).

Suo telegramma n. 113 (3).

Ritengo che contenuto telegramma non sia conforme a pubblicazione testo alcune dichiarazioni Lerroux fatte da giornale Le Temps. Tali dichiarazioni sono errate, perché al posto della parola «Italia», Lerroux ha detto le parole: «la Storia ». Viene cosi a mancare ogni riferimento diretto a nostro Paese.

Appena giunto qui Temps, che portava versione errata e qui ignota a stampa ed a Governo, mi sono immediatamente recato da Ministro degli Affari Esteri per mostrargli giornale. Ministro, dopo avermi mostrato testo ufficiale discorso con versione esatta, mi ha dato sua parola d'onore, come Ministro e come ascoltatore personale del discorso, che Lerroux non aveva fatto alcuna allusione antipatica per l'Italia e che trattasi soltanto errore grossolano giornale francese.

Ministro mi ha riaffermato assoluta intenzione Governo spagnuolo mantenere e rafforzare contegno amichevole verso Italia.

5

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE ALDROVANDI, A PARIGI

T. 1549/516 R. Roma, 1° settembre 1935, ore 2,30.

l. Confermo che intendiamo mantenere principio che sentenza arbitrale deve limitarsi stabilire i fatti e le responsabilità secondo noto compromesso.

(l} Minuta autografa.

In meritp alle due soluzioni comunicatemi telefonicamente questa sera e precisamente:

a) prima soluzione: punti uno, due e tre (proposta Politis);

b) seconda soluzione: punto tre con aggiunta ancora non conosciuta

(proposta La Pradelle).

Osservo che è indiscutibilmente meno peggio prima soluzione, specie se redazione possa migliorarsi con frase del genere di quella contenuta nell'ultima parte telegramma n. 534 (telegramma n. 8 Aldrovandi) (1). V. E. vorrà anche proporre un supplemento d'inchiesta per accertare responsabilità dell'Etiopia.

2. -Non pare conveniente una soluzione che ci porti alla rottura della procedura arbitrale a meno che non vi siano motivi di serietà tale che possano giustificarla. Di tale possibilità V. E. potrà anche valersi a scopo tattico. 3. -V. E. continuando a trattare secondo tutti questi criteri per cercare di migliorare possibilmente progetto sentenza, si riservi per lasciare aperta possibilità di una dichiarazione di minoranza da parte arbitri italiani. Attendo ulteriori comunicazioni per istruzioni definitive (2).
(2) -Con il T. per corriere 5526/0106 R. del 5 settembre 1935, Boscarelli riferiva che Kondylis aveva assicurato che avrebbe svolto i più efficaci interventi per contenere gli eccessi della stampa e che avrebbe cercato di interrompere l'attività del Comitato greco abissino ritenuto, comunque, incapace di svolgere una concreta attività. (3) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 872.
6

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9539/548 P. R. Parigi, 1° settembre 1935, ore 13,45 (per. ore 16,30).

Teiegramma di V. E. n. 514 (3).

Al Quai d'Orsay non mi è stato fatto alcun accenno alla notizia secondo la quale sarebbero in corso trattative itala-tedesche per conclusione patto di non aggressione.

Aggiungo che, non appena lessi notizia stessa, parlando con Lava! e poi con Bargeton dissi ad entrambi che essa era assolutamente infondata, che avevo ragione ritenerla farina del sacco di von Papen che cerca sovente di seminare zizzania.

7

L'INCARICATO D'AFFARI A COPENAGHEN, PANSA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5232/53 R. Copenaghen, 1° settembre 1935, ore 12,22 (per. ore 15,15).

Questo Ministro Affari Esteri mi ha oggi ricevuto al ritorno dalla nota riunione di Oslo (4) ed alla vigilia sua partenza per Ginevra.

(-4) Ibid., DD. 799 e 857.

Signor Munch mi ha detto che questione italo-etiopica aveva formato principale oggetto della riunione ed ha aggiunto che, sebbene avesse con i suoi colleghi approvato risoluzione di sostenere strenuamente principi della Lega delle Nazioni, tuttavia non era stato certamente lui a prendere posizione ostile all'Italia. Probabilmente con questa frase signor Munch ha voluto insinuare che l'atteggiamento dei suoi colleghi fu meno sereno del suo. Ha inoltre smentito quanto era stato pubblicato da alcuni giornali (mio telegramma n. 48) (l) che paesi scandinavi avessero l'intenzione o la missione di prendere a Ginevra iniziative proponendo sanzioni contro l'Italia, aggiungendo però che, qualora queste fossero eventualmente approvate da tutte le altre Potenze, difficilmente Stati scandinavi avrebbero potuto astenersi dal dare loro adesione. Signor Munch ha ripetuto ancora (telegramma questa Legazione n. 40) (2) essere personalmente contrario sanzioni di sorta e che in tutti i casi queste, secondo suo pensiero, non dovrebbero mai essere applicate se non ad aggressione avvenuta. Mi ha detto avere preso visione in Osio del documento col quale Italia chiederebbe a Ginevra espulsione Etiopia da Lega delle Nazioni.

Ho colto occasione per ricordare al signor Munch pessima impressione destata tutta Italia dalle precedenti dichiarazioni signor Scavenius a Ginevra (3), esponendo inoltre argomenti contenuti nei telegrammi di V. E. n. 1499 e 1541 (4) che illustrano nostro punto di vista. Mi ha promesso che non appena giunto Ginevra delegazione danese si metterà in contatto con la nostra per avere ulteriori notizie prima di prendere una decisione circa proprio atteggiamento.

(l) -Vedi sexie ottava, vol. I, D. 859. (2) -Vedi D. 9. (3) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 871.
8

IL MINISTRO A TALLINN, WEILL SCHOTT, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5238/35 R. Tallinn, 1° settembre 1935, ore 14,16 (per. ore 18,20).

Telegramma di V. E. n. 1498/C e 1540/C (5). Come è noto a V. E., Estonia Lettonia e Lituania seguiranno a Ginevra linea di condotta comune.

Nel corso della esposizione fattagli, signor Seljama mi ha detto esistenza Società delle Nazioni essere sommo interesse tre Stati baltici: essi faranno quindi il possibile perché sia evitato gravissimo colpo provocato da eventuale ritiro Italia. È sua opinione che Assemblea si limiterà ad approvare decisioni Consiglio e che atteggiamento piccoli Stati sarà influenzato da Inghilterra. Estonia non vorrebbe neppure sentire parlare di sanzioni, conscia della diffi

cilissima situazione in cui verrebbe a trovarsi. Egli ritiene però (ma non mi ha precisato fonte sue informazioni) che la questione sarà discussa «teoricamente». Signor Seljama ha aggiunto di avere inviato Vice Ministro Laretei a Riga per prendere accordi con quel Governo sulla prossima Assemblea societaria, incaricandolo sostenere idea massima prudenza per concentrare sforzi tre Delegazioni baltiche su mantenimento pace Europa orientale. Egli lascerà Tallinn 5 corrente e, giunto a Ginevra, si metterà subito in contatto con la Delegazione italiana. Ritengo lo si possa considerare elemento moderatore.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 696. (3) -Ibid., DD. 686 e 699. (4) -Ibid., D. 810. (5) -Ibid., D. 804.
9

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5224/552 R. Parigi, 1° settembre 1935, ore 21,50 (per. ore 23,50).

Comunico V. E. seguente telegramma Aldrovandi:

« 15. Telegramma di V. E. n. 516 (1). Seduta antimeridiana privata di oggi domenica. Ho proposto supplemento d'inchiesta, ma esso è stato respinto da Politis,

il quale ha risposto che se ebbe poca fede per le deposizioni orali passate, ne avrebbe ancora meno per quel,le future, data la condizione di funzionari e dipendenti dei testi italiani. Ho detto che bisogna fare risultare ciò in un verbale. Ciò è stato accettato.

La Pradelle ha presentato sua formula annunziata ieri, come telefonato. e che è del seguente tenore (come telefonato). La Pradelle ha proposto inserirlo come articolo finale, sopprimendo però articoli 24 e 25 e se unanimità si raccoglie sul 26.

Abbiamo dichiarato tale soluzione inammissibile. Ho proposto considerare ciascuno articolo a parte. Articolo 24 sarebbe approvato a maggioranza (Politis e noi); articolo 25 approvato a maggioranza (Politis et Etiopia); articolo 26 approvato a maggioranza (Politis ed Etiopia); articolo di La Pradelle, salvo modifica telefonata (approvato da tutti).

Politis ha dichiarato non poter accettare questa proposta, ma di essere invece pronto accettare proposta La Pradelle, comportante soppressione articoli 24 e 25, che egli Politis ha redatto come un corpo unico ed a puro scopo conciliativo. Fattasi lunghissima discussione, che ha concluso con la modifica seguente (come telefonato). Articolo sarebbe tutto approvato all'unanimità.

Avevamo promesso dare risposta definitiva nel pomeriggio. Cercheremo darla solamente domani mattina. Aldrovandi » (2).

(l) -Vedi D. 5. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
10

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 9447/153 P. R. Roma, 1° settembre 1935, ore 24.

Telegrammi di V. E. n. 151, 154, 155 (1). Questo R. Ministero ha provveduto interessare R. Ambasciata Parigi nel senso prospettato da V. E. nell'ultima parte Suo telegramma 155. Accettazione da. parte di codesto Governo della nostra richiesta sembrerebbe dovere venire facilitata dall'adesione, data nel frattempo da R. Governo (v. telegramma 147) (2), acchè incarico organizzare Polizia per mantenimento ordine pubblico nei principali centri etiopici venga affidato a Missione Militare belga (3).

11

IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5395/0113 R. Riga, 1° settembre 1935 (per. il 6).

Mi riferisco ai miei telegrammi n. 53 e 54 in data di ieri (4).

Munters mi ha parlato in termini chiari e crudi della situazione nel nord est europeo. Risulta innanzi tutto dalle sue parole che i tedeschi si ingannano o pretendono di ingannare quando dicono che la Lettonia ormai non vuole più un patto collettivo (telegramma per corriere di V. E. n. 1449/C. R.) (5). Munters mi ha affermato che la Lettonia lo vuole più che mai. Dopo le solite considerazioni sulla rottura di equilibrio determinata dal trattato franco-sovietico mi ha detto che, sia esso ratificato o no (anche la eventuale mancanza di ratifica non sembrava essere ciò che precisamente desiderava), la Lettonia deve prendere il suo partito e sarà inutile averla accusata di essersi gettata verso i sovietici, ecc. Vi sarà stata gettata. Non avrebbe altra alternativa che di rivolgersi ai tedeschi e concludere con loro un patto segreto che la garantisca in caso di attacco dall'altra parte. Ciò che non vuole e non può fare.

Munters ha svolto quindi la seguente teoria. Vi è analogia tra la situazione nell'Europa centrale e nell'Europa orientale. Nel senso che in tutte e due le zone occorre un meccanismo collettivo ma pronto che garantisca la sicurezza automaticamente se un incidente sorgesse. Un meccanismo più pronto che la S.d.N. la quale non arriverebbe certamente in tempo. Strana enunciazione in un societario come Munters, e non ho mancato di osservarglielo. La sua argomentazione era ad ogni modo la seguente: «Voi non avete diretto

(-4) Vedi serie ottava, vol. I, D. 869.

interesse nel patto orientale, ma siete interessati nel patto danubiano; noi non abbiamo diretto interesse nel patto danubiano, ma siamo interessatissimi nel patto orientale. Perché ciò non potrebbe collegarsi in una cordiale collaborazione? È vero che il momento non è propizio, poiché tutte le Cancellerie sono occupate nella questione etiopica. Tuttavia il Governo fascista potrebbe forse trovar modo di agire presso il Governo tedesco, il quale ha receduto dagli affidamenti dati a Stresa. Ciò ci riuscirebbe estremamente gradito». Munters non ha precisato quale forma di contropartita i lettoni potrebbero darci concretamente, ma non è difficile argomentare che -rimanendo strettamente nel soggetto -alludesse all'« agganciamento» tra i due sistemi, con relativa opera di persuasione presso altri, e altre cose sulla stessa linea. Ma la conversazLone si svolgeva -come una digressione nell'esame della situazione generale -in sede delle mie comunicazioni per la questione etiopica. Ho risposto a Munters che non avrei mancato di riferire al mio Governo, ma che a questo proposito, come per l'altra questione deHa candidatur·a degli Stati dell'Intesa baltica al seggio del Consiglio della S.d.N., dovevo in linea generale ripetergli che il Governo fascista aveva nella maniera più autorevole e chiara dichiarato che avrebbe giudicato delle sue amicizie dall'atteggiamento di ciascuno nella questione etiopica. Munters mi ha detto ancora che passando per Berlino cercherà l'occasione di manifestare egli stesso a von Neurath il pensiero del Governo lettone sul patto collettivo per l'Europa orientale.

Debbo anche riferire che parlando del trattato franco-sovietico, Munters lo ha definito «inutile, e in determinate circostanze, pericoloso». Tuttavia, egli ha aggiunto, se Polonia e Germania non cambiano atteggiamento, la Lettonia non ha altra alternativa. Per la Francia Munters ha avuto parole recise. Egli ha detto che l'intervento della Francia nel trattato franco-sovietico è artificioso, e che la Francia non ha nulla a che fare in Europa orientale. È arrivato a dire: «Non ce la vogliamo ». Tali parole, che devono essere piuttosto interpretate come uno sfogo di Munters, si riferiscono alla situazione in cui la Francia si trova in Lettonia per l'atteggiamento assunto dal suo Ministro all'epoca del colpo di stato Ulmanis e successivamente. Mi riferisco in proposito ai miei rapporti dell'epoca. Munters m altra occasione mi ha detto che nessun lettone potrà mai dimenticare tale contegno. È certo in ogni modo che tale atteggiamento ha profondamente ferito i lettoni.

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 827. (2) -Non pubbUcato. (3) -Per la risposta di Vannutelli vedi D. 54. (5) -Non pubblicato.
12

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 5251/1535. Washington, 1° settembre 1935 (per. il 24).

Come è stato segnalato a V. E. col telegramma Stefani n. 632 in data 31 agosto u.s. (1), il Presidente ha firmato ieri la legge sulla neutralità pas

6-Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

sata al Congresso la scorsa settimana, criticando tuttavia, in una dichiarazione da lui resa al tempo s·tesso alla stampa, la parte concernente l'embargo sulla esportazione delle armi e del materiale bellico verso gli stati belligeranti.

Tale critica riflette, sia pure in forma attenuata, la viva contrarietà che essa ha suscitato in seno al Dipartimento di Stato che -come ho avuto a segnalare a V. E. -è nettamente contrario a provvedimenti che vincolino in modo così stretto la libertà di movimento del potere esecutivo. Ho infatti raccolto commenti particolarmente aspri nei competenti uffici del Dipartimento di Stato anche dopo l'approvazione della legge.

Di speciale interesse è l'ultima parte dello statement, per quanto non ne appaia del tutto chiara l'interpretazione, laddove afferma che «rigide disposizioni potrebbero trascinare l'America nella guerra invece di tenerla fuori». Probabilmente il Presidente, ovvero il Dipartimento di Stato, avevano in mente la possibilità che un embargo sulle armi e materiale di guerra operante allo stesso modo su ambedue i belligeranti potesse risolversi in un beneficio dell'uno e in un danno dell'altro e che quindi il danneggiato potesse imputare ciò agli Stati Uniti come atteggiamento in sostanza ostile. È inoltre evidente che in caso di conflitto anglo-giapponese una dichiarazione di neutralità, che il Presidente fosse costretto a fare sotto il vincolo dell'attuale legge, venendo a rafforzare la posizione del Giappone potrebbe avere per conseguenza più o meno remota la necessità di un intervento americano, poiché questo paese non potrebbe evidentemente assistere impassibile ad una prevalenza del Giappone sulle forze britanniche.

Anche interessante appare l'ultima parte della dichiarazione del Presidente affermante che la politica del Governo è quella di cooperare con gli altri Governi con ogni mezzo pacifico e per promuovere la pace senza rimanere involti.

Allego H testo della dichiarazione presidenziale (l).

(l) Non sl pubblica.

13

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

VERBALE (2). Roma, 2 settembre 1935, [ore 17].

L'Ambasciatore Chambrun ha l'incarico di ringraziare il Capo del Governo per avere rinviato la visita dei combattenti italiani in Francia. Il Capo del Governo osserva che il momento non era opportuno.

lO

Chambrun da lettura di un telegramma di Lavai (l) il quale riafferma il suo attaccamento alla politica del 7 gennaio, fa anzi dell'amicizia italiana perno della politica francese, ricorda l'atteggiamento amichevole senza riserve tenuto in occasione del conflitto itala-etiopico, chiede che per facilitargli il suo compito si tenga conto della situazione oltremodo delicata nella quale egli si trova.

La politica francese è axée sulla Società delle Nazioni; mettersi contro la Società delle Nazioni vorrebbe dire mettersi contro l'opinione pubblica francese.

In concreto Lavai chiede: l) che la Delegazione a Ginevra abbia una certa latitudine di discutere e non sia messa nella situazione di dover rispondere con una negativa a tutte le proposte; 2) che fino a che durano le discussioni di Ginevra non intervenga nessuna azione di altro carattere che possa turbare le discussioni stesse.

Per questo secondo punto il Capo del Governo risponde di non avere difficoltà.

Per quanto riguarda la discussione, il Capo la ritiene inutile perché gli inglesi non sono certamente disposti a fare alcuna concessione che possa soddisfare l'Italia.

Il signor Chambrun si permette di osservare che sebbene il documento di Parigi (2) sia stato ma1e redatto e male presentato, tuttavia gli inglesi nello stesso si erano spinti abbastanza avanti. Difatti in quel documento si parla di intervento non solo negli affari economici, commerciali e finanziari, ma anche nella riforma dell'amministrazione, della polizia e della milizia di confine: tutto ciò come base di partenza rappresenta molto di più di quanto non abbia avuto all'inizio la Francia nei riguardi del Marocco.

Chambrun ritiene ad ogni modo che l'idea di Lavai di affidare -attraverso una procedura da concordare -«una missione :. all'Italia in Etiopia, sia una idea buona passibile di larghi sviluppi.

n Capo del Governo fa presente che la situazione è arrivata ormai ad un punto tale che non è possibile accontentarci di mezze misure. Fra breve ci saranno sul posto 300 mila uomini sotto le armi e non è neanche ammissibile che questi possano essere ritirati, senza aver nulla affatto, in base a delle promesse sulla carta.

Il signor Chambrun si permette di esporre la sua visione della situazione: se si viene ad un atto di guerra senza nessun preventivo accordo, tutto il mondo sarà contro l'Italia; se invece si tratta prima e si viene ad un accordo fra le Potenze, che secondo lui non sarà certo approvato dal Negus, l'Italia sarà legittimata a passare ad atti di guerra e tutto il mondo, sarà con l'Italia contro il Negus; i 300 mila uomini sul posto non saranno certo eccessivi per quest'azione di conquista e di occupazione.

Il Capo del Governo ripete di essere scettico sulla possibilità di un accordo. Ad ogni modo egli è disposto ad aderire ai seguenti punti: lo -non si oppone a delle conversazioni purché si tenga ben presente il fine che vogliamo raggiungere; 2° -se si devono fare delle trattative meglio fuori di Ginevra;

3° -d'accordo di non fare nessun atto di guerra fino a che durano le trattative (non può pe,rò naturalmente assicurare per gli incidenti che possono sorgere quando sono di fronte, armati gli uni contro gli altri, alcune centinaia di migliaia di uomini).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Questo verbale fu redatto il 9 settembre da Suvich, che era stato presente al colloquio. (l) -In Documents diplomatiques jrançais, 1932-1939, 1re sérle, 1932-1935, vol. XII, Paris, Imprimerle Natlonale, 1984, D. 79. (2) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 753 e 767.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5254/555 R. Parigi, 2 settembre 1935, ore 19,15 (per. ore 21,40).

Aldrovandi comunica quanto segue:

« 17. Nella seduta antimeridiana di oggi lunedì, con segretari, ho fatto mettere a verbale proposta supplementare inchiesta. Tre arbitri avversari non l'hanno ammessa, Politis con parole poco misurate verso i nostri testimoni. Invierò processo verbale stenografico.

Indi Lessona ha comunicato risposte di cui al telegramma di V. E.

n. 515 (1). Commissione ha preso atto senza discutere.

Al punto in cui siamo infatti questione responsabilità e loro limiti ha perduto di interesse per altri tre arbitri. Non ho potuto poi esimermi dal rispondere pressanti domande Politis e compagnia per risposta definitiva circa nostra accettazione articoli conclusivi. Ho fatto rilevare immensa distanza che corre tra progetto sentenza italiana e progetto Politis con modifiche suggerite da La Pradelle non certo a nostro vantaggio. Montagna ha appoggiato energicamente le mie parole. Conclusione è stata soppressione ultime tre linee articolo 22, soppressione tutto articolo 26, nostre riserve per redazione finale articoli 23, 24 e 25.

Circa incidente successivo Ual-Ual Politis ha proposto che, dopo aver riferito in un apposito articolo versione italiana ed etiopica su essi, " Commissione è d'avviso che questo incidente non ha impegnato la responsabilità internazionale di nessuna delle parti". Questo articolo sarebbe l'ultimo della sentenza. Abbiamo fatto ogni riserva. Aldrovandi » (2).

(l) -Con T. 1547/515 R. del 10 settembre 1935, ore 2,30, Suvich aveva comunicato: « ... primo quesito. Sentenza dovrà limitarsi stabilire quale delle due Parti è responsabile. Mi richiamo mio telegramma n. 96 ultimo paragrafo. Compromesso limita compito arbitri alla determinazione dei fatti e all'accertamento delle responsabilità e fissa cosi inderogabilmente limiti e competenza. Circa punto secondo: al passo fa.tto dal Ministro Vinci in data 29 aprile 1934 Min'istro Affari Esteri etiopico rispose riservandosi chiedere informazioni al Governatore competente e promettendo ulteriori comunicazioni che non furono mai fatte. Circa punto terzo: alle nostre proteste Governo etiopico ha costantemente risposto allegando di non avere informazioni e promettendo inchieste che non ebbero mai alcun seguito... ». (2) -Il presente documento reca il visto di Mussollni.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5252/556 R. Parigi, 2 settembre 1935, ore 19,55 (per. ore 21,40).

Telegramma di V. E. n. 513 (1).

Deve esserci stato un equivoco nella comunicazione telefonica di cui al telegramma di V. E., perché ero rimasto inteso con Quai d'Orsay che il testo da presentare a Berlino e Varsavia doveva essere quello integrale, con l'articolo 3 completo, e non già sopprimendo interamente quest'articolo. Quai d'Orsay ritiene infatti preferibile che tutti i Governi ricevano il medesimo testo unitamente però alla dichiarazione che si tratta puramente di un progetto, soggetto quindi a modificazione.

Quai d'Orsay ha creduto sostituire a primitiva intestazione del documento quest'altra: «Programma per i negoziati relativi al Patto Danubiano. Avant projet ».

Rappresentanti francesi a Vienna e Budapest ricevettero istruzioni di comunicare rispettivi Governi di considerare comunicazione del progetto di Patto fatta da1l'Italia come fatta pure dalla Francia.

Governo francese concorda pienamente nella proposta di fare comunicazione anche a Londra. Istruzioni in questo senso saranno impartite senz'altro all'Ambasciatore di Francia, che dovrà intendersi a riguardo con S. E. Grandi.

La Francia comunicò ufficialmente progetto ai tre Governi della Piccola Intesa. Quai d'Orsay ritiene che l'Italia potrebbe, nei riguardi della Piccola Intesa, seguire procedura analoga a quella che la Francia adottò nei riguardi dell'Austria e dell'Ungheria, dichiarare cioè che comunicazioni ricevute dalla Francia devono essere considerate come fatte contemporaneamente dall'Italia.

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IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5296/81 R. L'Aja, 2 settembre 1935, ore 21,47 (per. ore 2,40 del 3).

Telegramma di V. E. n. 1498 e 1540 (2).

A questo Ministro degli Affari Esteri, che rappresenterà suo Governo a Ginevra, ho chiarito oggi in tutti gli aspetti nostra tesi e nostra linea di condotta nel conflitto con l'Etiopia. Raccomandando quanto gli avevo esposto alla sua speciale attenzione l'ho pregato di volere a Ginevra cercare subito contatto con la nostra Delegazione .

.,-,~-..-*'*"-----~~--~_:_:__ ~-:._::-~~____;; --.::-..__:___~--~

Il signor De Graeff, evitando pronunciarsi, ha voluto dimostrarmi di avere seguito con cura Io sviluppo della vertenza italo-etiopica e di avere perfetta simpatica comprensione dei vitali interessi italiani. Riteneva che concessione Rickett, malgrado la dichiarazione ufficiale britannica, avrebbe turbato l'atmosfera ginevrina non certo a nostro danno, contava partire sabato. A Ginevra si sarebbe messo al più presto in rapporto con nostro delegato. Del r.esto il secondo delegato olandese, che è il Ministro a Roma (lo aveva questa volta designato per ovvie ragioni), si preparava a fornirgli tutti i possibili dati sulla questione.

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 870. (2) -Ibid., D. 804.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5255/560-561 R. Parigi, 2 settembre 1935, ore 22,20 (per. ore 1,35 del 3).

Presidente del Consiglio mi ha chiamato dopo che aveva veduto Eden per dirmi che questi gli aveva chiesto di mettersi d'accordo per la relazione che uno dei due avrebbe dovuto fare a Ginevra circa convegno tripartito di Parigi (1).

Lavai aveva risposto che la cosa non gli sembrava difficile trattandosi di esporre dei dati di fatto. Aveva però creduto suggerire subito a Eden di non entrare in particolari e ad esempio di non far conoscere dettagliatamente il contenuto della proposta che era stata fatta al Barone Aloisi per non [precludere] un eventuale ulteriore ricorso a qualcuno dei punti di cui si tratta. Egli supponeva che il Barone Aloisi avrebbe convenuto sulla procedura da lui suggerita, che del resto gli avrebbe parlato domani.

Chiestogli in quale stato di spirito avesse trovato Eden, Lavai mi ha detto che gli era sembrato calmo ma fermamente deciso a non transigere sopra applicazione del Patto, ciò sembrando essere opinione unanime dei partiti politici inglesi. Aveva però evitato pronunciare la parola sanzioni.

Circa portata voci [in proposito] Lavai mi ha detto che a suo avviso vi sarebbe possibilità di discutere e di intendersi. Se per sanzioni si intende chiusura del Canale di Suez o blocco dei porti italiani, non c'è dubbio, dopo quanto dichiarò chiarissimamente il Duce, che esse equivarrebbero alla guerra. Esse non potranno dunque essere ammesse da1Ia Francia. Ma vi potrebbero essere talune misure blande le quali, pure evitando di recare offesa all'Italia (perché egli non accetterebbe alcuna proposta che potesse offendere amor proprio italiano), rientrerebbero nel campo delle sanzioni in senso Iato. Se a Ginevra si dovesse adottare alcunché di simile, egli voleva sperare che l'Italia si rendesse conto che aveva fatto non solo tutto il possibile ma anche l'impossibile e che si comportasse di conseguenza. Mi chiese di riferire tutto

ciò al mio Governo, significando che Lavai pensa sempre ancora ad una disapprovazione da parte del Consiglio della S.d.N. dell'Italia e forse anche ad una [censura] del suo modo di procedere, così come avvenne in aprile nei riguardi della Germania.

Lavai riteneva indispensabile che, durante sessione del Consiglio della

S.d.N. e dell'Assemblea, non si inizino le ostilità. Sino a che non sia stato sparato primo colpo di fucile sarebbe infatti fuori di luogo parlare di sanzioni. Corrispondeva dunque al nostro interesse dì non iniziare ostilità.

A questo punto della conversazione Rochat portò a Lavai telegramma Agenzia Havas da Dire Daua in cui parla di sconfinamento dì mille nostri soldati bianchi e 1500 indigeni distribuiti nella regione di Harrar con ritiro delle popolazioni locali. Lavai osservò che la notizia, se vera, non era buona. Rilevammo per altro insieme, dopo la seconda lettura, che il telegramma non parlava di atti ostili compiuti dalle truppe italiane. Lavai osservò allora che i confini in Africa sono malamente definiti e che dunque non si doveva dare eccessiva importanza alla cosa.

Accennai al colpo di scena della concessione ottenuta da Rikett dicendogli, a titolo personale, che la ritenevo un episodio che ci avrebbe giovato. Laval condivise mio modo di vedere e mi disse essersi espresso in tal senso in un telegramma spedito a Londra. Eden gli aveva assicurato che il Governo britannico era all'oscuro dei negoziati e che li disapprovava nettamente.

Stojadìnovic aveva comunicato a Laval che il Consiglio della Piccola Intesa aveva, come era naturale, deciso assumere atteggiamento in favore applicazione Patto, ma modo col quale si era espresso dimostrava che atteggiamento stesso sarebbe stato moderato.

(l) Vedi s·erie ottava, vol. I, DD. 753 e 767.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD HELSINKI, TAMARO

T. 1558/25 R. (1). Roma, 2 settembre 1935, ore 24.

Giunge da Ginevra la voce che sarebbe riservato alla Finlandia l'onore (sic) di proporre sanzioni contro l'Italia, dato che la Finlandia è il paese più nordico e più lontano dall'Italia. Mi è difficile credere a questa voce che pure viene da buona fonte. Si rechi immediatamente dal Ministro degli Esteri e gli dica che se, malgrado le prove di amicizia date dall'Italia alla Finlandia, ci fosse qualche cosa dì vero nella voce suddetta e fosse davvero nei propositi del Governo finlandese di fare tale proposta, si creerebbe una frattura irreparabile nei rapporti fra i due paesi (2).

(1) -Minuta autografa. (2) -Con T. 5328/34 R. del 4 settembre 1935, ore 13,09, Tamaro rispondeva: «Questo Ministro Affari Esteri dichiara di non avere nessuna notizia della voce corsa a Ginevra e che la cosa è per lui tanto al di là della verosimiglianza, che non vuole nemmeno discuterne».
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 2 settembre 1935.

Gli arbitri per la questione di Ual-Ual chiedono con la massima urgenza istruzioni in relazione all'unito testo che rappresenterebbe il risultato del massimo sforzo dopo parecchie giornate di discussione.

Ora si presentano tre eventualità:

l) trovare un pretesto per rompere e buttare all'aria l'arbitrato;

2) non rompere l'arbitrato e non votare la sentenza ed eventua.lmente

presentare un voto di minoranza; 3) accettare e sottoscrivere l'unito testo conco·rdato che quindi sarebbe approvato alla unanimità.

Esaminando i tre casi:

1°) La rottura completa (bisognerebbe trovare un pretesto plausibile) non farebbe buona impressione; a parte che davanti l'opinione pubblica internazionale tale atteggiamento sarebbe considerato contrario al jair play, esso rappresenterebbe una specie di confessione del nostro torto volendoci sottrarre al giudizio, all'ultimo momento, dopo averlo accettato.

2°) L'astensione dalla votazione da parte degli arbitri italiani e un voto di minoranza avrebbe il vantaggio di evitare che da parte italiana si accetti l'affermazione che l'Abissinia nel caso specifico non è in colpa. Il lato negativo sarebbe quello che tale voto di minoranza, che non ha alcun valore pratico, potrebbe per contrapposto fare apparire più favorevole all'Abissinia di quello che non sia, la sentenza di maggioranza, che è naturalmente quella valida. Va anche rilevato cl:e se gli arbitri italiani si astenessero, la sentenza di cui all'unito testo sarebbe ritoccata in favore dell'Abissinia, in quanto essa rappresenta un compromesso raggiunto soltanto in previsione della unanimità.

3°) La terza soluzione, cioè l'approvazione del testo unito non è buona, perché non arriva ad una sentenza di condanna dell'Abissinia; tuttavia nel complesso la sentenza è a noi favorevole.

D'altra parte va considerato che una decisa sentenza di condanna del

l'Abissinia, con le conseguenti riparazioni, avrebbe potuto rappresentare agli

occhi del mondo una importante soddisfazione a nostro favore rendendo forse

meno giustificata di fronte al pubblico internazionale l'azione a fondo che noi

vogliamo e dobbiamo fare.

L'interpretazione che dovrà essere data da parte nostra alla sentenza è la seguente: la sentenza sostanzialmente riconosce il punto di vista italiano; essendo pervasa -come è naturale data la presenza di Politis quale quinto arbitro -da spirito societario, non è arrivata alla logica e precisa conseguenza del riconoscimento della responsabilità e della condanna dell'Abissinia; ma

ciò non infirma per nulla la tesi italiana: è evidente, anche attraverso le lacune della sentenza che gli italiani sono stati gli aggrediti. Io riterrei la terza soluzione, tutto sommato, la meno male e preferi,rei la seconda alla prima. Rimango in attesa delle istruzioni di V. E. che dovrei comunicare urgentemente a Parigi (l).

20

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 3170/2031. Vienna, 2 settembre 1935 (per. il 7).

Starhemberg mi ha detto aver avuto avant'ieri, di ritorno da Venezia, un lungo colloquio col Cancelliere. Le principali questioni esaminate erano state le seguenti:

l) necessità di trasferire 11 Direttore della Sicurezza de'l Tirolo, sig. Moerl, che ha da tempo dimostrato d'essere abbastanza prevenuto contro l'Italia. Detto trasferimento era stato deciso in massima. Lo si effettuerà probabilmente nel mese prossimo, allorquando sperasi di poter offrire al Moerl un qualche altro meno delicato posto, in corrispettivo. Sarà fatta attenzione sulla scelta del successore;

2) necessità di mettere accanto all'Arciduca Otto un agente di collegamento. È stato definitivamente scartato il nome del Conte Ferdinando Colloredo Mansfeld (mio telegramma per corrier'e n. 084 del 27 luglio) (2) pel motivo che questi, essendo troppo prono alla dinastia, non avrebbe mai nè il coraggio di opporsi ad eventuali colpi di testa dell'Arciduca e dell'ex Imperatrice Zita, nè il coraggio di prospettare a S. A. la realtà della situazione interna austriaca e le effettive disposizioni internazionali nei riguardi d'una eventuale restaurazione. È stato invece presa in serio esame la nomina de'l Barone Karwinsky, attuale Segretario di Stato alla Giustizia, che ebbe già a lodevolmente espletare una missione presso l'Arciduca, in occasione dell'abrogazione delle leggi antiasburgiche;

3) probabili mutamenti ministeriali. Schuschnigg, non più per ragioni politiche, ma esclusivamente per motivi tecnici, insiste tuttora per l'allontanamento del Ministro dell'Agricoltura Reither, del tutto impreparato per la sua carica, e per l'allontanamento del Ministro per la Previdenza Sociale, Neustadter Stiirmer, a causa del suo poco tatto verso le masse operaie. Starhemberg ha continuato ad opporvisi; ma non mi ha nascosto che le ragioni dategli dal Cancelliere gli appaiono troppo obiettive per non dare ormai ad esse seria attenzione. Senonché all'allontanamento dei due Ministri fanno ostacolo: il

fatto che il Reither tornerebbe immediatamente a coprire la carica di Capitano provinciale della Bassa Austria (attualmente gerita provvisoriamente dall'heimwehrista Maggiore Baar): ed il predetto posto è assai più importante, nei rispetti della politica interna, di quello stesso di Ministro dell'Agricoltura; c l'estrema difficoltà di trovare, nel campo heimwehrista, una personalità effettivamente preparata per l'important3 e delicata carica di Ministro della Previdenza Sociale: un posto che Starhemberg vorrebbe conservato all'Heimatschutz. In ogni caso Schuschnigg si è dichiarato pronto a dare al NeustadterSturmer un altro posto nel governo: eventualmente quello di Ministro della Sicurezza, attualmente detenuto dallo stesso Starhemberg.

Vi sarebbe inoltre un movimento fra i Segretari di Stato.

Circa !.'eventuale nomina di Starhemberg a Ministro della Difesa Nazionale, la questio~w non è stata ancora portata al Cancelliere. Starhemberg è d'avviso che Schuschnigg vi opporrebbe le maggiori resistenze: tale però non è l'avviso di altri membri del governo heimwehristi, e sovratutto di Berger. Ad ogni modo tale questione potrà essere sollevata sol quando, con la conclusione del Patto danubiano e quindi col riconoscimento della parità dei diritti, compiti veramente essenziali verranno a cadere sul Ministero della Difesa Nazionale, giustificando --per motivi del tutto tecnici -la necessità di affidare tale Ministero, attualmente detenuto nominalmente dal Cancelliere ma di fatto dal Generale Zehner, ad una personalità politica di primo piano, avente il modo di occuparsi personalmente ed intensamente dell'importante Dicastero;

4) necessità di dare alla cosa pubblica un indirizzo più accentuatamente heimwehrista, e ciò sopratutto in considerazione dello scontento serpeggiante nelle Heimwehren. Tale questione era stata solo toccata; ma Starhemberg ritiene che Schuschnigg, di fronte a proposte concrete, finirà con l'accedervi.

Invero, a mio avviso, a tale eventuale acquiescenza Schuschnigg sarà spinto sovratutto da considerazioni di delicato ordine pC>rsonale. A lui infatti è perfettamente noto che gli attacchi, che vengono mossi allo Starhemberg, concernono tutti la pretesa sua soverchia arrendevolezza alìa parte cristianosociale del Gabinetto. Schuschnigg sa pure del movimento sotterraneo esistente nell'Heimatschutz, particolarmente nel Tirolo ed a Vienna, e che vorrebbe portare alla direzione del movimento heimwehrista, al posto dello Starhemberg, lo Steidle od il Fey, sotto il motivo che questi sarebbero molto più esigenti dello Starhemberg per quanto concerne la posizione dello Heimatschutz nello Stato, ed assai più di lui decisi a tenere a bada i cristiano-sociali, per quanto riguarda le loro smodate pretese di accaparramenti politici e materiali.

Pel momento, queste opposizioni sotterranee non hanno probabilità di successo. Ma mi consta che Schuschnigg se ne preoccupa, ritenendo che l'attuale compagine ministeriale può essere conservata solo con la collaborazione dello Starhemberg, il quale, per essere del tutto consapevole che una aperta lotta f,ra 'le Heimwehren ed i cristianosociali significherebbe immediatamente l'avvento del nazionalsocialismo, sa adattare la sua politica alla vitale necessità dell'ora, evitando atteggiamenti eccessivamente intransigenti (l).

(l) -In testa al documento Suvich ha annotato: «Approvato dal Capo». (2) -Non pubblicato.

(l) n presente documento reca il visto di Mussolini.

21

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5260/562 R. Parigi, 3 settembre 1935, ore 0,15 (per. ore 2,35).

Comunico a V. E. seguente teleg.ramma di Aldrovandi:

« 18. Secondo ordini di V. E. Montagna ed 'io abbiamo accettato testo sentenza come comunicato nelle sue più importanti conclusioni a V. E. (l) ma ottenendo qualche leggero miglioramento a nostro favore di cui più importante è quello inserito all'articolo 37 (e perciò 24) e cioè che le truppe etiopiche possono avere lasciato l'impressione che avevano intenzioni aggressive «ciò che parrebbe .rendere plausibile la ve,rsione italiana ».

Per quanto concerne articolo finale riguardante incidente successivo a quello del 5 dicembre, tre arbitri avversari hanno dichiarato esplicitamente che, se non lo avessimo accettato a quel modo, avrebbero dovuto sentenziare in senso di condanna per l'Italia, specie per Ade. Non sono valse nostre esplicite rappresentazioni e proteste di evidenza in contrario. Ad ogni modo esso è stato leggermente migliorato, come forma, nella sua conclusione, da quello già telefonato ed approvato da V. E.

Sentenza sarà firmata domani mattina e rimessa subito agli agenti dei Governi. Trasmetterò copia ufficiale ad Aloisi a mezzo di Guarnaschelli, che sarà Ginevra più tardi mercoledì mattina. Una copia ne invierò a mezzo aereo a V. E.

Montagna sarà a Roma giovedì sera. Lessona sarà Firenze mercoledì sera. Io, ringraziando per nomina delegato all' Assemblea, sarò Ginevra giovedì mattina » (2).

22

IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5293/67 R. Kaunas, 3 settembre 1935, ore 17,08 (per. ore 21).

Questo Ministro degli Affari Esteri partirà per Ginevra 5 corrente.

Signor Lozoraitis (cui ho illustrato posizione italiana verso Abissinia, Lega delle Nazioni e Inghilterra e nostra fermezza e ampia capacità di successo diplomatico e militare) mi ha detto che Governo lituano nel conflitto italaabissino sarà guidato da tre considerazioni:

l) amicizia e simpatia verso lo Stato e Regime italiani; 2) riconoscenza per linea di equità tenuta da Governo italiano nella questione di Memel;

3) interessi vitali Lituania a che siano trovate condizioni che permettano all'Italia continuare sua collaborazione Lega delle Nazioni.

Ministro Affari Esteri mi ha aggiunto che egli per ora non può prevedere le applicazioni pratiche di tale atteggiamento Lituania. Governo lituano si preoccupa della possibHità che la Germania voglia approftttare di una crisi europea.

(l) -Vedi D. 19. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussol!n1.
23

L'INCARICATO D'AFFARI A MONTEVIDEO, CARBONELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5306/49 R. Montevideo, 3 settembre 1935, ore 18,46 (per. ore 2,25 del 4).

Telegramma di V. E. n. 1499 e 1541 (1).

Questo Ministero Affari Esteri da me richiesto ha dichiarato Uruguay per il momento non avere rHgione intervenire questione non essendo rappresentato Consiglio Società Nazioni. Ove questione fosse demandata Assemblea Società delle Nazioni Governo riserverebbesi istruzioni (2). Ha affermato Uruguay comunque non dovere assumere atteggiamento energico poiché non trattasi questione americana. Questioni europee od altre continentali dover essere risolte da nazioni vicine centri conflitto meglio in grado interpretare soluzioni.

24

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5292/139 R. Bucarest, 3 settembre 1935, ore 20,30 {per. ore 21,35).

Segretario Generale questo Ministero Affari Esteri mi ha pregato recarmi da lui desiderando farmi delle comunicazioni per incarico S. E. il Presidente del Consiglio che ha dovuto assentarsi oggi da Bucarest. Egli mi ha detto che passo questa Legazione, di cui al mio telegramma n. 134 del 28 agosto (3), era stato portato a conoscenza signor Titulescu. Questi aveva pregato signor Tatarescu comunicare R. Legazione che Delegazione romena Ginev,ra si farà gradito dovere (agréable devoir) prendere preventivo contatto con delegazione italiana per poter conoscere da fonte diretta ed autorizzata il punto di vista italiano sulla questione.

(l) -Vedi oorie ottava, vol. l, D. 810. (2) -Vedi D. 289. (3) -Vedi serie ottava, vol. l, D. 839.
25

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 1565/65 R. Roma, 3 settembre 1935, ore 20,55 (per. ore 22,35).

Rispondo tuoi quesiti. l) Tewfik. D'accordo in massima con idee riferite nei telegrammi di Galli del 20 e 21 agosto (l). Tewfik faccia delle proposte concrete. 2) Non abbiamo alcun interesse ad affrettare la discussione sull'Abissinia anzi preferiremmo ritardarla il più possibile. 3) Se ti vengono fatte delle proposte vorrai ascoltarle senza entrare in discussione prendendo tempo per riferirle a Roma.

26

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO

T. 1566/c. R. Roma, 3 settembre 1935, ore 24.

È stata resa sentenza della Commissione arbitrale per l'incidente di UalUal (2). Essa verrà tosto pubblicata. Stefani diramerà riassunto. Appena di pubblica ragione, converrà mettere opportunamente in evidenza presso codesto Governo e codesti ambienti politici e diplomatici, nonché far rilevare dalla stampa quanto segue: sentenza, contrariamente alla versione abissina che renderà responsabile Italia dell'accaduto, scagiona completamente tanto il Governo italiano quanto le Autorità locali italiane da qualsiasi responsabilità. Nei riguardi per contro della Etiopia, se Ia sentenza non pronuncia una condanna dell'Etiopia stessa, è perchè a parere degli arbitri non si è conseguita la prova della responsabilità. Posizioni italiana ed etiopica nell'incidente appaiono così nettamente diverse anche nella sentenza arbitrale. Certo che a nove mesi di distanza dall'accaduto ed in assenza di terze parti la dimostrazione della prova della colpevolezza etiopica non era facile a darsi. Sentenza pur non pronunciando responsabilità abissina per non essersi raggiunta una pienezza di prove materiali, non elimina tuttavia il fatto che si sia trattato una volta di più di un premeditato attacco contro la sicurezza della Somalia, attacco che è indice dell'atteggiamento del Governo etiopico e dei suoi propositi nei riguardi delle Colonie italiane dell'Africa Orientale. Si può dire pertanto che sentenza sostanzialmente riconosce il punto di vista italiano. Essendo pervasa -come è natu

rale data la presenza di Politis quale quinto arbitro --da spirito societario, essa non arriva alla logica e precisa conseguenza del riconoscimento della responsabilità e della condanna dell'Abissinia; ma ciò non infirma per nulla la tesi italiana: è evidente, anche attraverso le lacune della sentenza, che gli italiani sono stati gli aggrediti.

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 778. (2) -Per il testo della sentenza cfr. Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. I, Dal trattato di Uccialli al 3 ottobre 1935, Milano, ISPI, 1936, pp. 348-354.
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IL MINISTRO A BERNA, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5342/049 R. Berna, 3 settembre 1935 (per. il 5).

Telegramma per corriere n. 1498/C. R. del 24 agosto e telegramma cifra

n. 1540/C. del 31 agosto u.s. (1). Giusta gli ordini ricevuti dalla E. V., ho conferito questa sera con On. Motta intorno argomento contenuto nei due telegrammi sopracitati.

On. Motta, preso atto mio esposto, mi ha dichiarato non potere nemmeno immaginare come Società Nazioni possa prendere in esame una proposta di sanzioni contro Italia, proposta destinata non solo a naufragare per mancanza unanimità, ma che giuridicamente è inammissibile, non potendo -secondo Motta -istituzione ginevrina che limitarsi a fare raccomandazioni, ma non a dare ordini, come sarebbero interpretate decisioni di sanzioni. Motta mi ha domandato se Italia avrebbe, in ogni caso, abbandonato Società Nazioni, assumendo ,responsabilità sfacelo -dico testualmente sua parola « sfacelo » deLl'organismo stesso cosa, che il mondo avrebbe potuto severamente giudicare. Ho risposto non avere l'Italia intenzione abbandonare Società Nazioni a meno che direttamente o indirettamente non venga costretta -dico costretta -a farlo.

Avendomi On. Motta accennato alla possibilità di un voto di deplorazione proposto da Inghilterra o qualche suo satellite e domandato quale reazione avrebbe potuto avere da parte Italia voto stesso -per il quale del resto, a suo avviso, occorrerebbe sempre l'unanimità --ho risposto che ... non potevo rispondere. Insistendo Motta perchè almeno a titolo personale gli esponessi mia idea ho detto che, secondo me, una deplorazione unilaterale la quale, in un modo qualsiasi, ferisse o, peggio, tentasse ad umiliare rettilinea ed onesta azione mio Paese e suo Capo, non lascierebbe indifferente intiera Nazione. On. Motta, dandomi ragione, ha aggiunto di non poter ancora ben giudicare se voto di deplorazione unanimemente dato a suo .tempo contro Giappone, sia stato una buona mossa politica della S.d.N., tanto più che tale voto rimase senza alcun effetto.

Capo Dipartimento Politico mi ha detto che con ogni probabilità Svizzera. pure affermandosi indipendente ogni legame e lontana da ogni costrizione, intenderebbe nella questione conformarsi atteggiamento Francia che egli ere

de -ha anzi ragione di credere -consono interessi Italia. A Ginevra On. Motta si abboccherà con nostra Delegazione.

In ultimo On. Motta mi ha riferito che questo Ministro di Polonia gli ha ieri detto chiaro e tondo essere atteggiamento della Polonia a favore Italia. Al riguardo Motta ha rilevato che chi conosce notoria eccessiva prudenza del signor de Modzelewski, deve interpretare le sue parole come rispondenti a una intonazione ufficiale.

(l) Vedi serie ottava, vol. I, D. 804.

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LA SEZIONE AFFARI SEGRETI DEL GABINETTO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 3 settembre 1935.

Un informatore di fiducia del Gabinetto ha avuto una conversazione con il Signor Djabri il quale ha detto essere venuto a Roma allo scopo di incontrarsi con il Duce onde discutere con esso l'attuale momento politico ed anche per metterlo al corrente della situazione in Palestina ed in Egitto.

Circa la Palestina egli conferma le notizie già avute da Shekib Arslan cioè che i palestinesi lavoravano in intimo accordo con Ibn-Saud il quale sarebbe ora pronto a sovvenire i rivoltosi con armi e mezzi ed a dare loro asilo. IbnSaud avrebbe inoltre permesso la formazione di depositi di armi lungo la frontiera transgiordana. Djabri preannuncia una rivolta delle tribù beduine della Palestina che dovrebbe accompagnarsi ad un sollevamento della popolazione araba delle città. La rivolta avrebbe dovuto scoppiare già mesi addietro ma era stata sospesa in seguito alle istruzioni avute. Ora però essa sarebbe più difficile perchè le truppe inglesi da duemila uomini sono state portate a 15 mila in causa del conflitto itala-britannico.

Il Gran Mufti si metterebbe al momento opportuno a capo delle truppe ribelli portandosi in Saudia e lo scoppio della rivolta sarebbe regolato secondo un piano che dovrebbe stabilire V. E. con Djabri stesso.

Djabri chiederebbe l'invio di armi a Gedda e avrebbe presentato una lista dei materiali necessari, stabilita con gli esperti del Comitato siro-palestinese ed approvata dal Gran Mufti (le armi dovrebbero essere dei tipi seguenti: fucili Mauser turchi o Martini, Lee Enfield inglesi, fucili mitragliatrici Lewis, granate a mano, esplosivi per lavori di mina).

Contemporaneamente ai disordini in Palestina si verificherebbero sollevamenti in Iraq per trattenere in quel Paese le forze aeree inglesi, ivi dislocate. In caso di tentativo di passaggio di truppe dell'India attraverso l'Iraq quel governo proibirebbe il passaggio stesso o creerebbe difficoltà.

La Siria sarebbe lasciata tranquilla, per riguardo alla Francia amica dell'Italia, e per avere un altro punto di rifornimento attraverso un paese neutrale.

Il Signor Djabri aggiunge di essere stato in Egitto e di avere avute delle conferenze con Nahas Pascia capo dei Wafdisti e di averlo influenzato a favore dell'Italia e incitato ad approfittare del momento per sollevare il popolo egiziano contro gli inglesi. Nahas Fascia avrebbe preso in profonda considerazione le proposte di Djabri ma avrebbe obiettato che il popolo egiziano era completamente disarmato «fino all'ultimo temperino » e che solo con armi fornite da terzi sarebbe stato pronto ad agire. Djabri a proposito di ciò, si offre di fare da intermediario fra Nahas Pascià e l'informatore precitato per il caso che si volesse inviare un apposito nostro agente in Egitto.

Egli afferma che il Gran Mufti lavorava in intima collaborazione con lui ed afferma anche aver organizzato incontri notturni in casa sua fra il Console De Angelis ed il Gran Mufti. Aggiungeva che si doveva essere assai guardinghi in tali incontri poiché il Gran Mufti era guardato a vista.

Djabri ritiene che la rivolta potrebbe scoppiare entro il mese e raccomanda di mantenere ad ogni costo aperto il Mar Rosso per le comunicazioni fra l'Eritrea e la Saudia avvertendo aver appreso essere nelle intenzioni inglesi di bloccare eventualmente le coste eritree. Consiglia quindi l'invio di sottomarini in Mar Rosso e di Mass. Egli consiglia inoltre la formazione di depositi di armi in Tripolitania e Cirenaica per parare eventuali tentativi di blocco e per aver sottomano materiale da fornire ai ribelli egiziani.

L'informatore predetto ha comunicato di aver successivamente ricevuto una telefonata da Ginevra con la quale annunziando, a nome di Shekib Arslan, la venuta di Djabri si prega di metterei in guardia contro di lui e si raccomanda di essere con lui molto prudenti, non confidandogli cose riservate ed agendo solo attraverso il Gran Mufti.

Il Djabri, secondo detta comunicazione telefonica, sarebbe continuamente seguito dagli inglesi, essendo stato già possibile identificare tre agenti dell'Intelligence Service specialmente a lui addetti.

Si è infine aggiunto che l'affermazione del Djabri di aver rimesso lire sterline mille al Gran Mufti non corrisponderebbe a verità.

29

LA SEZIONE AFFARI SEGRETI DEL GABINETTO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, [3 settembre 1935] (1).

In una conversazione avuta stamane con il signor El Djabri, si è esaminata con lui la questione della situazione in Egitto. La conversazione è stata portata ad ogni buon fine con qualche prudenza.

Si è anzitutto fatto notare al signor El Djabri il pericolo che l'impresa da lui prevista poteva correre se gli inglesi rimanevano saldamente padroni dell'Egitto e potevano fare di questo Paese una base di operazioni contro la Palestina e la Transgiordania. Successivamente è stata prospettata al signor El Djabri l'eventualità che nella nostra occupazione dell'Etiopia noi ci trovassimo

di fronte truppe inglesi nella regione del Lago Tana e sì presentasse la necessità di attaccare queste alle spalle attraverso il Sudan. Occorreva quindi sapere quale sarebbe stata l'attitudine delle truppe sudanesi di fronte ad un esercito italiano che avanzasse dalla Cirenaica. A questo proposito gli è stato chiesto che cosa egli pensasse della eventualità che le nostre truppe fossero accompagnate da qualche personalità mussulmana di grande nome ed autorità.

Nella esposizione fatta dal signor El Djabri è da rilevare quanto segue: si tratti della situazione in Egitto o in Sudan la sola persona da cui può dipendere un sollevamento ed una attitudine delle popolazioni favorevoli all'Italia è Nahas Pascià, capo del Wafd. Quanto al re questi è naturalmente italofilo, ma per le sue condizioni di salute e per il suo carattere non osa muover foglia: basterebbe quindi averlo neutrale, ciò che El Djabri ritiene sicuro.

Quanto a Nahas Pascià egli ha avuto con lui una conversazione di tre ore il 19 luglio. Non sa esattamente che cosa possa essere intervenuto nell'anima di Nahas Pascià da quella data ad oggi. Egli considera Nahas Pascià persona di valore, coraggiosa ed assolutamente fedele all'idea araba. Nella conversazione del 19 luglio El Djabri ha solo accennato all'Italia come ad una potenza favorevole al mondo arabo, ma ha concluso con lui accordi precisi circa la sua adesione al movimento che fa capo al Comitato siro-palestinese per l'azione in Palestina e Transgiordania. El Djabri è pronto ora a recarsi in Egitto e ad approfondire con Nahas Pascià la questione dell'attitudine del Wafd al momento in cui l'Italia si trovasse costretta a prendere una decisa attitudine anti-inglese, .ed eventualmente ad inviare truppe nel Sudan e in Egitto. El Djabri ritiene che dopo l'amara esperienza fatta dall'Egitto con l'Inghilterra, occorrerebbe essere molto espliciti con Nahas Pascià e precisare gli impegni in un accordo segreto da stipularsi ad esempio fra il Capo del Wafd ed il Segretario del Partito nazionale fascista.

Tale atto segreto dovrebbe assicurare l'indipendenza politica ed economica dell'Egitto, la rinuncia dell'Italia alle Capitolazioni, un apporto da determinarsi in armi e denaro. Ad avviso di El Djabri, Nahas Pascià potrebbe allora organizzare nelle città delle rivolte da esplicarsi sopratutto a mezzo di scioperi, boicottaggi, sabotaggi ed attentati; nelle campagne a mezzo di bande armate.

El Djabri non si nasconde però che nel terntorio piatto dellEgitto e del Sudan, le bande armate non hanno molte probabilità di sfuggire alla osservazione ed al bombardamento di aeroplani. L'azione di bande sarebbe a suo avviso utile sopratutto come appoggio ad un esercito che avanzasse dalla Cirenaica. Quanto alla avanzata di questo, El Djabri ritiene che ove vi siano precisi accordi con il Wafd, esso incontrerebbe ben poche difficoltà nell'avanzata. Volendo lasciar da parte ogni ottimismo sulla eventuale attitudine di pieno accordo con l'Italia da parte di Nahas Pascià in seguito ad un accordo seg.reto, El Djabri ritiene di poter fin d'ora assicurare una neutralità benevola.

El Djabri insiste particolarmente sul fatto che l'Egitto e il Sudan sono oggi interamente disarmati. Ove si voglia portare innanzi progetti come quelli sopra descritti occorrerebbe innanzi tutto mettere in condizioni di armarsi le tribù del Sudan, vendendo, entro i nostri confini in prossimità del Sudan, armi a costo assai basso (1).

7 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

(l) Il documento è senza data, ma riferendosi al medesimo contatto di El Djabri con il Gabinetto di cui al D. 28, è stato inserito anch'esso tra quelli del 3 settembre.

(l) n presente documento reca il visto di Mussolini.

30

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 316/308. Ginevra, 3 settembre 1935.

Avenol mi ha parlato della questione etiopica dopo aver ricevuto il Ministro Rocco. Per la prima volta dalla origine della questione l'ho visto sereno. Egli non ha potuto nascondere un certo senso di soddisfazione per la decisionE' dell'Italia di prendere posizione contro l'Etiopia in seno al Consiglio esponendo tutte le inadempienze del Governo di Addis Abeba agli impegni assunti e tutte le deficienze della sua amministrazione, appunto perché un tale indirizzo era stato da lui da lungo tempo preconizzato.

Mi ha poi nuovamente esposto idee, già altra volta manifestate, coordinandole però questa volta in un progetto di cui per ora si è limitato ad enunciare le grandi linee, riservandosi di concretarle ed apportarvi quelle modificazioni che gli sviluppi ulteriori consiglieranno.

La dichiarazione italiana mette l'Abissinia nella necessità di chiedere alla

S.d.N. l'assistenza di questa per rimediare alla situazione nella quale essa stessa si è posta. Secondo Avenol il primo dovere di uno Stato membro della Lega è quello di porsi in grado, anzitutto, di eseguire le varie obbligazioni che il Patto stesso precisa. Fra queste obbligazioni ve ne sono di specifiche per quanto riguarda i territori che non hanno raggiunto uno stadio di civiltà. sufficiente. I Governi da cui tali terrltorii dipendono sono tenuti a collaborare in modo particolare con gli altri stati membri della Lega per fini di civiltà, e ad 'elevare le popolaz;ioni a loro soggette a forme di vita migliori che ne assicurino il benessere e lo sviluppo.

A suo avviso dunque la dichiarazione italiana verrà a dar la prova della inadempienza dell'Abissinia al dovere fondamentale di procurarsi i mezzi per eseguire le suddette obbligazioni, e rende ineluttabile ch'ella chieda alla S.d.N. una assistenza al fine di eliminare tale inadempienza, e aver modo così di poter conservare la qualità e l'attività di Stato membro. Questa domanda riaprirebbe in primo tempo nuovi negoziati fra i tre Stati Iegati dal trattato del 1906. Spetterebbe in secondo tempo al Consiglio attribuire formalmente all'Italia l'incarico del controllo sull'amministrazione etiopica confermando l'accordo intervenuto fra i tre, analogamente a quanto avvenne per i mandati.

Avenol si rende naturalmente conto delle necessità di sicurezza delle colonie italiane, ma ritiene che il Consiglio non dovrebbe aver difficoltà a sanzionare, a titolo di garanzia, una occupazione militare di regioni determinate.

Avenol mi ha lasciato comprendere che è in perfetto accordo col suo Governo, ripetendo quello che mi ha sempre detto, e cioè che la Francia non potrebbe sottrarsi al dovere di deplorare una nostra azione che costituisse una aperta violazione del patto, mentre farà certamente ogni sforzo, sia presso l'Inghilterra che presso gli altri Stati rappresentati al Consiglio, per l'accoglimento delle idee che mi ha esposto.

Avenol ha parlato con i due membri del Consiglio (Argentina e Danimarca) che nell'ultima sessione fecero dichiarazioni contrarie ad ogni azione non consentita dal Patto, ed anche questi si sono mostrati propensi ad accogliere favorevolmente idee di tale natura.

Egli ha parlato con Eden genericamente. Mi ha ripetuto che, a suo avviso, l'Inghilterra, pur non potendo ottenere che siano applicate sanzioni contro l'Italia, si opporrà con ogni mezzo, anche da sola, alla guerra, se questa scoppiasse, o cercherà di arrestarla. Ma egli ha la convinzione che, con pari fermezza, l'Inghilterra favorirà ogni soluzione, pur largamente favorevole all'Italia che si concilii col Patto (1).

31

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5289/145 R. Ginevra, 4 settembre 1935, ore 0,40 (per. ore 2,25).

Appena giunto ho visto Lavai col quale ho discusso solo alcune questioni procedurali, !imitandomi ad ascoltare allorché egli cercava di entrare in merito. l) Mi sono opposto proposito espressomi da Lavai riferire Consiglio

S.d.N. insieme con Eden su conferenza tripartita di Parigi. Dimostrato nostra impossibilità ammettere manifestazione solidarietà franco-inglese. Laval ha ceduto.

2) Mi sono opposto a che Eden prendesse parola prima di me. Ho rivendicato precedenza sia perché mie riserve ultimo Consiglio S.d.N. avevano preceduto impegno di Eden a riferire a questo Consiglio S.d.N., sia per evitare che relazione partigiana su incontro Parigi inasprisse situazione e sia per mettere primo piano nostro atto accusa in modo da conferirgli massima efficacia. Laval ha ceduto per suo conto anche su questo punto.

3) Ho richiesto preventiva comunicazione della dichiarazione che farà Eden sull'incontro di Parigi.

Laval ha poi telefonato, me presente, a Eden, che ha promesso di mostrarmi domani mattina testo di tali sue dichiarazioni, ma che si è mostrato riluttante a cedermi precedenza. Su questo punto mi darà personalmente risposta domani mattina dopo che questa sera avrà consultato Baldwin.

Circa ordine lavori, mi si comunica in questo momento che discussione questione etiopica è già stata fissata per domani pomeriggio in conformità deliberazione ultimo Consiglio S.d.N.

(l) n presente documento reca il visto di Mussolini.

32

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5405/301 R. Shanghai, 4 settembre 1935, ore 5 (per. ore 2,45 del 5).

In seguito telegramma di V. E. 1499/C (l) ho creduto necessario recarmi a conferire con Wang Ching Wei. Per quanto Cina non faccia ancora parte del Consiglio S.d.N. e non sia quindi chiamata a partecipare sessione 4 settembre, tuttavia atteggiamento suo Governo può sempre avere un peso morale specialmente per il fatto che una parte opinione pubblica cinese continua a mettere innanzi una pretesa assimilazione dell'azione giapponese in Manciuria con quella italiana in Etiopia, traendone la conseguenza che Cina debba essere spinta a deplorare politica del Governo fascista compromettendo seriamente sua cordialità di rapporti con noi.

Ho trovato Wang Ching Wei molto sereno nel distinguere chiaramente ragioni della nostra politica, sopratutto dopo che io gli spiegai che l'Italia travasi ridotta a sostenere sino all'ultimo suo prestigio perché Inghilterra aveva incoraggiato resistenza etiopica e aveva parlato di assurde sanzioni contro le quali avevamo volontà risoluta e mezzi per reagire.

Ho aggiunto che se la questione iniziale poteva avere qualche lato delica LO per la Cina, bisognava ora capovolgerla per vedere nella fierezza delle risoluzioni Governo del Re, sorretto dal popolo italiano tutto in piedi e unanime, l'esempio di una nazione illustre che respinge prepotenza di una altra nazione avvezza a dominare. Gli ho quindi spiegato che l'Italia contava non solo sui Governi amici, ma sopratutto su quelli di buon senso per evitare errore di volere salvare la pac·e con la guerra, facendo di una operazione [coloniale] come tante altre, che hanno portato la civiltà tra i [popoli], una conflagrazione europea e forse mondiale.

Wang Ching Wei mi ha detto che nella attuale situazione egli voleva innanzi tutto porre sopra ogni altro i rapporti della Cina con l'Italia e mi ha ripetutamente pregato di assicurare V. E. che Governo cinese non avrebbe in alcun caso partecipato ad alcuna deliberazione contraria all'Italia. Mi ha detto anche che sua delegazione a Ginevra gli aveva telegrafato in quel momento di essere entrata in contatto con delegazione italiana e che egli andava a telegrafarle di continuare in detto contatto e di ispirarsi accuratamente direttive di cui egli mi aveva parlato.

(l) Vedi serie ottava, vol. I, D. 810.

33

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5347-5348/663-664 R. Londra, 4 settembre 1935, ore 20,40 (per. ore 5,40 del 5).

Ho avuto ieri con Hoare lungo colloquio, durante il quale ho svolto e illustrato in tutta la loro ampiezza istruzioni impartite da V. E. con telegramma n. 1498 e 1540 (1).

Colloquio ha avuto luogo nell'abitazione privata di Hoare, essendo egli sofferente e non avendo egli ancora fatto ritorno al Foreign Office.

Hoare ha cominciato col parlarmi della concessione Rickett, ripetendo che Governo britannico era assolutamente all'oscuro dei negoziati condotti da Rickett ad Addis Abeba. Hoare era rimasto perciò dolorosamente impressionato delle accuse di malafede che, nonostante smentita ufficiale, stampa italiana insiste nel rivolge1re all'Inghilterra.

Ho interrotto Hoare, dicendogli che non desideravo né avevo istruzioni di intrattenerlo della concessione Rickett. Non credevo che Governo italiano mettesse in dubbio dichiarazioni del Governo britannico, ma quest'ultimo doveva rendersi conto delle ragioni per cui opinione pubblica italiana, come del resto quella francese ed anche quella britannica, facessero una certa fatica a trovare naturale che Ministro d'Inghilterra a Addis Abeba non fosse a conoscenza della attività svolta presso Negus da un suddito britannico che è uno dei più noti ed intraprendenti uomini di affari inglesi.

Hoare quindi ha detto che desiderava esprimermi ancora una volta suo rammarico per il fallimento riunione tripartita di Parigi e per risposta negativa del Governo fascista, risposta che, messa insieme informazioni giunte contemporaneamente dall'Italia circa determinati propositi antibritannici apertamente discussi in circoli ufficiali italiani, aveva vieppiù inasprito animi e indotto lo stesso Governo britannico a domandarsi se non fosse g.iunto momento in cui si rendeva necessaria una più decisa e ferma protezione degli interessi imperiali di fronte alle intenzioni ostili dell'Italia.

Ho risposto a Hoare che offerte fatte a Parigi da Eden erano la prova dell'ostinata e assoluta incomprensione del Governo britannico e l'indice di una volontà pericolosa da parte britannica di ostacolare storiche necessità di sicurezza ed espansione dell'Italia fascista in Africa. Ho aggiunto che era per lo meno puerile pensare che con 200 mila uomini nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano, con l'intero popolo fascista in armi che, reso incredulo dalla esperienza di sei mesi di trattative infruttuose, domanda unanime la guerra a fondo all'Etiopia, offerte britanniche a Parigi, inadeguate e irreali, potessero ricevere una risposta diversa. Per quanto si riferisce poi alle arbitrarie illazioni circa supposte intenzioni antibritanniche dell'Italia, di tutto ciò il Duce

aveva fatto giustizia con le sue nette dichiarazioni e col comunicato di Bolzano {1). Il Governo fascista non ha mai contestato validità dell'accordo tripartito, né degli accordi del 1891, 1894 e 1925, né ha mai fatto o detto nulla che possa fare ritenere che esso abbia intenzione di non rispettare gli « interessi economici » riconosciuti da tali accordi all'Inghilterra. Sin dal 29 gennaio è stata tempestivamente offerta al Governo britannico la possibilità di una intesa pacifica su questo punto (2). Senonché l'Inghilterra ha nella questione mostrato sino ad ora di volersi servire dell'accordo tripartito non per proteggere i suoi specifici interessi nel caso di una modificazione dello statu-quo etiopico, ma bensì per arrestare e ostacolare la nostra azione militare in Etiopia. Ora questa interpretazione del tripartito l'Italia non la può accettare né mai l'accetterà.

Hoare mi ha dato atto che il Governo fascista ha offerto sin dal gennaio scorso al Governo britannico la possibilità di giungere ad un accordo sui reciproci interessi in Etiopia. Hoare ha insistito tuttavia dicendo che questo non è il punto essenziale della questione; si è dilungato a farmi un quadro a fosche tinte della situazione, aggiungendo di essere molto preoccupato per le complicazioni che possono sorgere a Ginevra.

Ho interrotto Hoare per dirgli che errore fondamentale della politica inglese è stato ed è appunto di esagerare la portata e le conseguenze di un problema che doveva e deve restare esclusivamente contenuto nei limiti di un problema coloniale e africano. L'Lnghilterra si è assunta la grave responsabilità di allargare il quadro della questione abissina confondendola col principio della sicurezza collettiva europea. E ciò dopo che è stata proprio l'Inghilterra in parecchie occasioni (nel 1928 in occasione del Patto Kellogg, nel 1933 alla conferenza del disarmo) a domandare specificatamente che fossero separate le questioni della sicurezza mondiale da quella di carattere coloniale, e ultimamente a Stresa a collaborare ad un accordo con la specifica intesa che esso dovesse limitarsi alla sicurezza dell'Europa. Queste contraddizioni hanno naturalmente destato legittimi sospetti e reso ancora più incomprensibile l'atteggiamento britannico nella questione abissina.

La discussione fra me e Hoare si è protratta a lungo sui vari punti della nota britannica del 24 luglio (3), sulla nostra !risposta del 31 luglio (4) e sul telegramma di V. E. n. 1498.

Ho domandato a Hoare se Governo britannico aveva avuto occasione, dopo la recente seduta del Gabinetto, di riesaminare la posizione che Inghilterra assumerà in questi giorni a Ginevra.

Hoare mi ha risposto di no: l'attitudine britannica a Ginevra sarà quella che egli aveva esposto alla Camera dei Comuni e che il Gabinetto aveva riconfermato, ma egli non poteva tuttavia garantire se azione britannica si sarebbe mantenuta in questi limiti: ciò sarebbe dipeso dallo svolgimento della discussione in seno Consiglio ed alla Assemblea S.d.N. Qualora S.d.N. dovesse essere portata a confessare la propria impotenza di fronte al conflitto italo-abissino,

(-4) Ibid., D. 639.

non sarebbe improbabile che l'Inghilterra fosse costretta considerare eventualità di abbandonare la S.d.N.: ciò, ha soggiunto Hoare, sarebbe un grave colpo per l'Europa.

Ho replicato a Hoare che l'Italia era perfettamente tranquilla, sicura del suo buon diritto e pronta a tutte le eventualità. Dichiarazioni del Duce ed il comunicato di Bolzano non dovevano lasciare adito a illusioni di sorta: sanzioni significano guerra. Su questo punto occorreva essere precisi, e ciascuno doveva assumere sino da ora le proprie dirette responsabilità. Per il resto ho detto intesa navale anglo-tedesca (è con questo gesto che l'Inghilterra ha commemorato il primo anniversario dell'assassinio di Dollfuss) ha insegnato molte cose all'Europa, prima fra tutte che l'Europa deve provvedere da sola, come sta attualmente provvedendo, alla sua propria sicurezza, senza contare comunque sull'appoggio britannico. La diplomazia inglese, ho soggiunto, mostra di essere arretrata di almeno sei mesi se ritiene seriamente che minaccia di una politica di isolamento della Gran Bretagna, isolamento che è già in atto, possa impressionare le nazioni di Europa.

Man mano che il colloquio si andava svolgendo e la dimostrazione che la sicurezza Europa non ha nulla da vedere con la questione abissina si faceva più precisa, le espressioni di Hoare sono diventate piuttosto vaghe ed oscure. Evidentemente Hoare ha inteso riferirsi ad altri problemi che egli con me non poteva né voleva discutere nei dettagli, ma che trasparivano tuttavia chiaramente da quanto egli andava dicendo. Hoare non è un societario, bensì un imperialista. Egli mostra di considerare i timori del Gabinetto per le ripercussioni in Europa del conflitto itala-abissino, ma è chiaro che le sue preoccupazioni si riferiscono alla conseguenza che l'attitudine assunta dall'Inghilterra rischia di provocare nei territori dell'Impero. La sollecitudine con la quale egli ha insistito nel chiedermi se avevo notizie di come si sarebbe svolta l'azione italiana nell'imminente riunione a Ginevra, mostrava una preoccupazione diversa da quella dettata da un generico attaccamento alla S.d.N. o da considerazioni di politica interna ed elettorale. La posizione britannica ha subito nel caso attuale modificazioni sostanziali: la S.d.N. é diventata un sasso al collo dell'Inghilterra. In conseguenza dell'errore fatale compiuto, Gran Bretagna figura ormai di fronte alle popolazioni dell'Impero come la protettrice dell'Etiopia. Se l'Italia soggiogherà e conquiste,rà l'Etiopia e l'Inghilterra non sarà riuscita -come non riuscirà -ad impedirlo, ciò significa che non è più forte come un tempo, e il prestigio britannico ne risulterà compromesso e diminuito.

A queste preoccupazioni di Hoare ho risposto indirettamente dimostrandogli come, una volta conquistata l'Etiopia, l'Italia diventerà a fianco della Gran Bretagna un'alleata potente e preziosa per garantire la pace e la sicurezza nel continente africano.

Hoare natura;lmente non ha più alcuna illusione che la guerra possa essere evitata. Nel corso del colloquio egli si è sempre riferito al conflitto itala-abissino come ad avvenimento imminente e inevitabile. Quella che mi ha espressa è stata solo la spera;nza che il conflitto itala-abissino non degeneri in un conflitto italabritannico e che anzi, proprio in questo momento più delicato e difficile, si riesca a mantenere le relazioni itala-inglesi ed i sentimenti fra i due Paesi sopra un piano normale e si faccia possibilmente ogni sforzo per migliorarli. Al che ho risposto che questo dipendeva interamente dall'atteggiamento che la Delegazione britannica terrà a Ginevra.

(l) Vedi serie ottava, vol. I, D. 804.

(l) -Vedi serle ottava, vol. I, D. 864, nota l. (2) -Vecll serle settima, vol. XVI, DD. 492 e 523. (3) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 605.
34

IL MINISTRO AD HELSINKI, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 5354-5359/36-37 R. Helsinki, 4 settembre 1935, ore 23,35 (per. ore 5,20 del 5).

Apprendo in via confidenziale che il Ministro Hackzell ha comunicato ieri alla Commissione Parlamentare Affari Esteri che la conferenza di Oslo ha deliberato i seguenti quattro punti:

l) che lo Statuto della S.d.N. deve formare la base per la regolazione del conflitto italo-etiopico; 2) che i quattro Stati nordici accettano il principio delle sanzioni;

3) che il precedente punto vale soltanto nel caso in cui tutti i membri della S.d.N. senza eccezioni fossero uniti, non solo nel proporre le sanzioni, ma anche nel fissarne la qualità e le modalità;

4) che gli Stati nordici elaboreranno una comune legislazione per la neutralità.

A spiegazione del terzo punto il Ministro ha dichiarato che se un solo membro della S.d.N. fosse contrario, gli Stati nordici, secondo il loro accordo, non dovrebbero più aderire al principio delle sanzioni.

Gli Stati nordici a Osio hanno anche deciso di mantenere libera l'esportazione delle armi fino ad una eventuale definizione dell'aggressore; la Svezia però si è dichiarata CJntraria, riservandosi di decidere anche ora caso per caso.

Questi fatti sembrano stare in contrasto stridente con le promesse ripetutamente a me fatte, come già ho riferito. Stamane ancora il Ministro Hackzell mi assicurava che il Consiglio dei Ministri non avrebbe accordato licenza, per esportazione armi per la Abissinia; però richiestogli di rendere pubblico che tali esportazioni [avvenivano] senza permesso dell'Autorità ha dichiarato non ritenere ciò opportuno. Alla suddetta Commissione il Ministro ha assicurato che finora nessuna licenza è stata domandata né concessa, ed era sua convinzione che nessuno ne domanderebbe. Circa Ginevra, egli ha asserito che il Ministro Munch è molto riservato e agirà con molta prudenza.

Parte come membro della Delegazione finlandese per Ginevra deputato

Kekkomen, Presidente della Commissione Affari Esteri. Egli, non sapendo che

l'opinione pubblica delle campagne è in grande maggioranza favorevole all'Italia,

ha dichiarato a persona di fiducia che il partito agrario non [farà] nulla che

possa impedire le buone relaziom con l'Italia.

Mi sembra poter credere che se Ministro Hackzell, che è quasi sicuro di

cadere, al suo ritorno vorrà fare qualche gesto per darsi importanza e rivalorizzarsi, troverà serio ostacolo nel Kekkomen, che è anche candidato alla successione e col quale si potrà avere contatto mediante il Ministro Artii.

Apprendo anche in via confidenziale che il Presidente del ConsigHo ha detto che il Governo finlandese, prima di decidere suo atteggiamento, vuole vedere quello che farà l'Inghilterra.

35

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI

T. 1571/17 R. Roma, 4 settembre 1935, ore 24.

Ambasciatore Francia ha consegnato a R. Ministero: l) testo progetto di dichiarazione che Governo lituano dovrebbe fare pubblicamente;

2) testo progetto di nota confidenziale che, su proposta Governo francese, Governo lituano dovrebbe venire invitato ad inviare a Potenze garanti in relazione prossime elezioni territorio Memel. Testi predetti documenti, che potranno venire modificati nei dettagli da rappresentanti Potenze garanti in base circostanze, vengono inviati S. V. per corriere; Ella potrà intanto prenderne conoscenza da codesto Incaricato d'Affari di Francia.

Signor de Chambrun ha dichiarato Governo britannico appoggia iniziativa francese. È stato risposto che da parte nostra non vi sono in massima difficoltà aderire proposta francese salvo esplicita riserva per quanto riguarda ultima parte progetto nota relativa impegno che Governo lituano dovrebbe assumere fin da ora di costituire Direttorio conformemente disposizioni Statuto. Su questo punto Governo italiano intende limitarsi a riservare diritto Potenze garanti tornare sulla questione del Direttorio ad elezioni avvenute. È stato fatto anche presente che R. Governo lntende che aU'iniziativa francese non deve essere dato carattere d'imposizione ma di amichevole collaborazione tra Potenze garanti e Governo lituano allo scopo di ricondurre nel miglior modo possibile situazione Memel alla normalità.

36

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5452/091 R. Vienna, 4 settembre 1935 (per. il 7).

Berger mi ha detto che il Governo ungherese ha presentato lunghe osservazioni al noto progetto di patto danubiano (1). Ha aggiunto di aver altresì osser

vato, nella Delegazione ungherese che è qui di passaggio nel suo viaggio alla volta di Ginevra, un esagerato risentimento per il recente comunicato della Piccola Intesa, specie per la parte relativa alla questione della parità dei diritti. Mi ha infine accennato che al Ballplatz erano giunte informazioni, accompagnate persino da fotografie, di un recente segreto viaggio effettuato da Goemboes a Berlino, informazioni sulle quali si riserva intrattenere Kanya.

Berger mi è apparso alquanto contrariato. Evidentemente egli teme che nuove difficoltà od indugi nella conclusione del patto danubiano fornirebbero nuova esca alle opposizioni per attaccare la sua politica, dando buon giuoco al von Papen.

Intanto questi si è recato venerdì scorso, prima della sua partenza per Berlino, dal Cancelliere, cui ba chiesto dell'atteggiamento del Governo federale nei riguardi delle sue note profferte.

Schuschnigg gli ha risposto che il Governo non poteva pronunziarsi in merito a proposte non presentate in via ufficiale. Al che von Papen -contrariamente a quanto aveva fatto con Berger, dichiarando che esse erano statP previamente sottomesse alla Wilhelmstrasse -si è affrettato questa volta a dire che ben si rendeva conto dell'osservazione mossagli.

(l) Vedi D. 66.

37

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL NUNZIO APOSTOLICO A ROMA, BORGONGINI DUCA

APPUNTO. Roma, 3-4 settembre 1935.

Ho convocato il Nunzio per presentargli copia della nota relativa al discorso del Papa (1). Il Nunzio mi ha promesso che ne avrebbe intrattenuto persona;lmente il Santo Pad!re.

Il Nunzio è ritornato a riferirmi il colloquio avuto col Pontefice.

Monsignor Borgongini Duca gli ha detto di essere stato chiamato da me per incarico del Capo del Governo e gli ha esposto l'interpretazione contraria al punto di vista italiano che da molte parti si è data al discorso del Santo Padre e la preoccupazione italiana che queste manifestazioni potessero turbare i buoni rapporti esistenti senza interruzione dal 1931 fra lo Stato e la Chiesa.

Il Papa ha incaricato il Nunzio di vedermi in giornata e di riferirmi le seguenti dichiarazioni: l) H Papa non ha preso posizione contro l'Italia, il che sarebbe assurdo; 2) il Papa ha dichiarato solo il principio della morale: servato moderamine inculpatae tutelae;

3) il Papa è stato profondamente addolorato ed umiliato dall'atteggiamento della stampa italiana che gli ha fatto dire nel discorso ciò che egU non aveva detto.

Queste omissioni nel rifer·ire il discorso hanno reso necessaria la smentita, poiché al Santo Padre erano già incominciate ad affluire lettere da fedeli italiani, tedeschi e francesi, i quali esprimevano la più alta meraviglia che il Papa avesse preso posizione per la guerra.

Monsignor Borgongini Duca mi dice di non aver potuto capire se il Santo Padre parlerà o non parlerà ai combattenti cattolici (come è noto il Pontefice questi atteggiamenti li prende di sua testa senza interpellare nessuno). Sta il fatto però che si conferma l'ordine di togliere gli altoparlanti da San Paolo.

Ho ringraziato il Nunzio per la prontezza con la quale ha voluto dar seguito alla nostra segnalazione esprimendo la speranza che non si verifichi che l'eventuale discorso del Papa dia motivo ad altri turbamenti dei buoni rapporti oggi esistenti tra Stato e Chiesa.

ALLEGATO

L"AMBASCIATA PRESSO LA SANTA SEDE ALLA SEGRETERIA DI STATO

PRoMEMORIA. Roma, 3 settembre 1935.

Il Govemo fascista si sente in obbligo di far presente che il recente discorso del PonteHce alle Infermiere Cattoliche è stato interpretato da tutta la stampa antitaliana ed antifascista come una rigida condanna dell'attuale politica italiana Gtornali come il Manchester Guardian e la Miinchner Zeitung, fra i moltissimi, sono anda.ti anche più in là nei loro apprezzamenti ostili all'Italia.

Il testo del discorso e più a.ncora la nota esplica-1Jiva pubblica;ta dall'Osservatore romano si sono prestati alle manovre dei circoli e dei giornali che difendono non l'ideale societario e la pace universale, ma gli interessi volgari e sonanti delle sOCiietà petrolifere.

Ciò precisato, non si intende insistere sull'episodto che ormai si considel:'la superato, ma si desidera rich·iamare l'attenzione della Segreteria di sta.to di Sua Santità su un evento che si prepara.

Nei prossimi giorni si riuniranno a Roma footi gruppi di ex combattenti c'attolicd, i quali saranno anche ricevuti in udienza solenne ool Santo Padre.

Il Governo fascista si augura che nel discorso che il Pontefice i.lntendesse pronunci,are, non ci sia nulla che possa prestarsi. al giuoco dei nemici dell'Ua1ia, non ci sia nuUa, cioè, che possa turbare i rapporti tra Stato i·taliano e Santa Sede, rapporti che, dal 1931 in poi, sono stati, più che corretti e normali, cordiali ed amichevoli.

(l) Allegato.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5332-5333/146 R. Ginevra, 5 settembre 1935, ore 0,16 (per. ore 5,20).

Consiglio della Società Nazioni riunitosi pomeriggio oggi in atmosfera della massima attesa. Presidenza è stata assunta da Ministro di Argentina a Berna. Questi ha cercato esimersi da delicato incarico sollevando dubbi che sessione attuale doves

se considerarsi ordinaria o straordinaria, giacchè in questo caso presidenza sarebbe toccata a Litvinov. Quest'ultimo ha però insistito perché presidenza fosse assunta da argentino.

In conformità accordi intervenuti, Eden ha preso per primo la parola per riferire con molta obiettività al Consiglio sui risultati delle conversazioni a tre di Parigi. Notevole l'accenno da lui fatto che la situazione dell'Etiopia richiede delle profondi durevoli riforme e l'altro relativo alla possibilità di aggiustamenti territoriali a favore dell'Italia, pur dichiarando che l'assistenza per lo sviluppo economico e l'organizzazione amministrativa dell'Etiopia nonché gli aggiustamenti territoriali avrebbero dovuto essere consentiti dall'Etiopia nella pienezza della sua sovranità. Eden ha aggiunto che riteneva che la Francia si sarebbe associata a quanto egli aveva riferito. A nome poi del suo Governo ha tenuto a dichiarare che ogni tentativo per una soluzione pacifica della vertenza avrebbe avuto concorso britannico. Ha insistito ancora una volta sulle conseguenze che avrebbe per l'avvenire della Lega e per la pace del mondo un insuccesso del Consiglio nell'attuale questione. Eden ha accennato agli obblighi che derivano dal Patto della Società delle Nazioni e dal Patto di Parigi ed ha aggiunto che il suo Governo è pronto ad assumere la sua parte di responsabilità, ma ha tenuto a mettere in rilievo che tali responsabilità devono essere assunte da tutti i membri del Consiglio. Ha sopratutto interessato l'affermazione che non esiste un conflitto, sia politico che economico, tra l'Inghilterra e l'Italia perchè nessuna apprensione esiste da parte britannica sul rispetto da parte dell'Italia degli interessi britannici che l'Italia del resto ha sempre rispettato.

Insomma l'Inghilterra si è rimessa in linea con gli altri membri della Lega evitando cautamente di assumere ogni posizione di particolare responsabilità.

Lavai ha fatto dichiarazione, che aveva sottoposto al mio esame, di stretto attaccamento ai principi della Lega, rinnovando la speranza di soluzioni pacifiche nel quadro del Patto, senza però alcun accenno di drammaticità messo dal delegato britannico nel suo discorso. Lavai si è infine richiamato, come a favorevole auspicio, ai successi della Lega nelle questioni della Sarre e del conflitto ungaro-jugoslavo.

Ho subito preso la parola e letto il testo della mia dichiarazione (l). Impressione è stata enorme, ma nessuno è stato sorpreso; il tono della dichiarazione è stato effettivamente quello che Consiglio si attendeva. Contemporaneamente stato distribuito atto di accusa e relative fotografie che hanno suscitato senso vivo raccapriccio.

Ha risposto Jéze di,chiarando sua simpatia per dichiarazione inglese e francese in favore procedura conciliazione. Ha affermato sua sorpresa per requisitoria italiana ed elevato protesta contro accusa che si è riservato confutare. Ha tenuto tuttavia protestare in modo speciale contro precedente, che egli ha definito formidabile, di discutere la politica interna del Paese e chiedere su di esso la sua condanna. Ha infine parlato della sentenza arbitrale mettendo in rilievo che gli arbitri all'unanimità avevano escluso responsabilità Etiopia nonostante che Abissinia avesse rinunziato a [esporre] pa,rte importante delle sue

(I) Ed. in Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. I, cit., pp. 360-363.

argomentazioni. Ha rinnovato desiderio Governo etiopico venire a una ripresa di normali rapporti con l'Italia. Passando a commentare deliberato numero due della passata sessione del Consiglio, Jéze ha messo in rilievo tattica dilazionatrice seguita dall'Italia, che ha ottenuto venisse sospesa applicazione articoli 11 e 15 del Patto col [pretesto] che era in corso procedura arbitrale. Ora tale procedura è esaurita, ma Governo italiano invoca nuovi pretesti. Tempo stringe. Si tratta di sapere ,se tra qualche giorno la guerra di sterminio non sarà impegnata ed è su questo punto che Consiglio deve deliberare.

Nel complesso di,chiarazione è stata debole e poco persuasiva.

Ha fatto brevi dichiarazioni delegato spagnuolo per riaffermare attaccamento suo Paese ideali societari e necessità ulteriori conversazioni per un regolamento del Consiglio nel quadro del Patto, ma tenendo conto della realtà e

su questo ultimo punto delegato spagnuolo è tornato ad insistere. Egli si è riservato di precisare ulteriormente suo atteggiamento. Il Presidente, osservando che delegato etiopico si era riservato rispondere alle accuse italiane, ha rinviato il seguito della discussione a una data da determinare.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5329/147 R. Ginevra, 5 settembre 1935, ore 0,16 (per. ore 1,40).

Stamane ho veduto Beck e l'ho informato stato attuale della questione italaetiopica sia in relazione alle nostre ben precisate determinazioni, sia per quanto si riferisce alla procedura societaria. Rammentando i precedenti dei rapporti itala-polacchi gli ho nettamente fatto comprendere quanto l'Italia si attende in questa contingenza dalla Polonia.

Alla mia precisa richiesta circa atteggiamento che assumerebbe la Polonia dinanzi ad una proposta che l'Italia considerasse lesiva della sua dignità o dei suoi interessi, Beck mi ha risposto di fare sapere a V. E. che era ben lieto di avere stabilito con Roma una collaborazione reale e di grande valore per questioni europee importanti e che avrebbe agito con tutte le sue forze per impedire che l'Italia venisse posta in delicata situazione per la questione etiopica. Ha aggiunto che Polonia non ha affatto intenzione modificare sua linea [di condotta] sincera, amichevole nei nostri confronti ed assicurandomi suo cordiale appoggio si è riservato svolgere attività che circostanze richiedessero tenendo stretto contatto con nostra delegazione.

Bastianini resta a Ginevra a tale scopo (l).

(l) In risposta a questo telegramma suvich comunicò ad Aloisi: «Prego V. E. far sapere a Beck che sue dichiarazioni sono state apprese dal Duce con comptacimento » (T. 9670/69 P.R. del 6 settembre 1935, ore 1,30).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5361/569 R. Parigi, 5 settembre 1935, ore 13,20 (per. ore 15,50).

S. E. Maresciallo Badoglio mi ha pregato comunicare a S. E. il Capo del Governo che ha conferito ieri con il Generale Gamelin, Maresciallo Pétain, Ministro della Guerra Fabry e che stamane è partito in compagnia del Generale Gamelin per zona prossima Reims, dove si svolgono manovre. Visiterà in primo luogo cimitero di guerra italiano di Bligny. Dopo le manovre, Maresciallo Badoglio sarà condotto a visitare fortificazioni al confine tedesco. Sarà di ritorno a Parigi 10 corrente, si incontrerà allora anche con i Ministri e i Capi di Stato Maggiore della Marina e dell'Aria. Ieri atmosfera di grande cordialità.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5358/148 R. Ginevra, 5 settembre 1935, ore 13,35 (per. ore 15,15).

Come d'intesa, ieri mattina riunitici in tre.

Eden comunicato vivissimo desiderio Baldwin che delegazione inglese mantenesse subito impegni assunti verso Consiglio di riferire sul convegno di Parigi, anche per inserire senza ritardo azione inglese in un quadro societario, evitando cosi che essa assumesse aspetto di polemica anglo-italiana. Siccome testo di dichrarazione inglese datomi da Eden (come promessomi) era soddisfacente e siccome appariva completamente distinto dalle comunicazioni francesi, ho creduto opportuno cedere sulla questione della precedenza.

Fissata procedura, nel pomeriggio Consiglio svoltosi come stabilito. Circa contenuto di essa e relative impressioni, ho riferito con telegramma a parte (1).

Iersera ho radunato all'albergo giornalisti italiani e stranieri e ho creduto opportuno rinforzare ancora la tesi della libertà di azione e dell'irrevocabilità della decisione nostra anche per correggere un pericoloso senso di ottimismo che si era diffuso nella mattinata.

Concludendo, la giornata di ieri ha portato alla netta precisazione delle posizioni di ognuno. Inghilterra, societaria in pieno, per la prima volta ha

(l} Vedi D. 38.

dato l'impressione di una certa comprensione momentanea di fronte alla realtà. La Francia ha proclamato decisamente la preminenza di Ginevra nella sua valutazione nei problemi internazionali. La Spagna, interprete delle piccole Potenze, ha proclamato un societarismo piuttosto prudente che tenga conto della realtà delle cose, ben diverso dal societrurismo acre e puritano della Danimarca, interprete delle piccole Potenze nell'ultimo Consiglio. La parola dell'Italia ha fatto impressione quale nuova solenne conferma della decisione di non deviare di una linea dalla rotta decisa all'inizio.

Nell'opinione pubblica aumenta l'ammirazione per l'Italia che per la prima volta procede sicura oltre il veto dell'Inghilterra.

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IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5376/72 R. Kaunas, 5 settembre 1935, ore 16,48 (per. ore 20,10).

Nell'interesse nostra posizione a Ginevra ho dato a questo Ministro degli Affari Esteri informazioni riservate della risposta R. Governo a proposte per Memel di apparente iniziativa francese ma in realtà sollecitate in tale forma dall'Inghilterra e dalla Germania per ottenere più facilmente adesione italiana. Ne ho tratta ragione per insistere perché, in qualunque contingenza, delegazione lituana a Ginevra non si metta contro posizione italiana. Ho fatto riflettere a mio interlocutore che Lega delle Nazioni, in mano d'Inghilterra e Francia, è stata sempre contro la Lituania sia nella fase conflitto con Polonia, sia nella fase conflitto con Germania. Sarebbe errore per Lituania illudersi su un appoggio concreto Lega delle Nazioni cioè di Francia e Inghilterra in caso di violenze germaniche a Memel.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5392/140 R. Bucarest, 5 settembre 1935, ore 20,30 (per. ore 22,38).

Assicuro V. E. di avere fatto al Segretario Generale questo Ministero Affari Esteri, in assenza signor Titulescu, comunicazione di cui al telegramma

n. 1569 del 4 corrente (l) concernente progetto Patto Danubiano. Egli mi ha detto che non mancherà informare immediatamente signor Titulescu.

Questo Incaricato d'Affari di Francia, che fece sua comunicazione rn data 28 agosto (l) a nome proprio Governo e « d'accordo con Governo italiano », mi ha detto che Titulescu aveva telegrafato da Bled questo Ministero degli Esteri perché facesse conoscere Legazione di Francia suo malcontento per ritardo con cui comunicazione progetto eragli stata fatta, mentre Benes ne era già precedentemente a conoscenza.

(l) Con tale telegramma Suvich aveva incaricato De Facendis, Ottaviani e Viola di comunicare ai Governi di rispettivo accreditamento che la consegna da parte francese del progetto-programma per la Conferenza danubiana doveva essere considerata come fatta contemporaneamente anche dall'Italia. De Facendis assicurava con T. 5372/163 R. del 5 settembre 1935, ore 18,45, di aver eseguito tali istruzioni, per la risposta di Viola vedi D. 64.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1583/332 R. (2). Roma, 5 settembre 1935, ore 22,45.

Letto tuo rapporto su colloqui con Hoare (3). Tua azione deve essere diretta a convincere Foreign Office che noi non ammettiamo nemmeno la possibilità conflitto itala-britannico. Noi eviteremo ogni iniziativa che possa sboccare a questo estremo e fino a prova contraria pensiamo che Gran Bretagna non farà atti di guerra contro l'Italia per evitare una guerra coloniale e aprire il varco a una guerra europea.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1584/528 R. (2). Roma, 5 settembre 1935, ore 24.

Atteggiamento stampa francese dopo la prima seduta ginevrina suscita viva sorpresa in Italia. Che i giornali di sinistra siano contro di noi è comprensibile, ma che Echo de Paris inviti la Gran Bretagna a chiudere il canale di Suez e altrettanto si auguri il Figaro è veramente grave e tale da provocare le prime incrinature nei rapporti itala-francesi. Nostra stampa ha ordine di non raccogliere tali provocazioni, ma se stampa francese continuerà su tale linea, le conseguenze potrebbero essere serie e a breve scadenza (4).

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 843. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 33. (4) -Con T. 5416?576 R. clel 6 settembre 1935, ore 20,15, Cerruti informava essere inesatta l'impressione r!poil"tata a Roma circa l'atteggiamento dei giornali francesi, e raccomandava, prima d! una eventuale reazione, di !asciargli il tempo di intervenire.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5524/0164 R. Londra, 5 settembre 1935 (per. il 9).

D'accordo con questa Ambasciata di F,rancia ho oggi comunicato ufficialmente al Foreign Office il testo del progetto contenente le «principali disposizioni da inserirsi in un trattato generale di non aggressione, non ingerenza e consultazione per l'Europa Centrale'>, trasmessomi con telespresso n. 228645 del 22 agosto. Ho aggiunto, in conformità con le istruzioni contenute nel telegramma n. 322 (l) che si tratta di un semplice progetto aperto quindi all'esame e alla discussione. Foreign Off1ce si è molto interessato alla nostra comunicazione, e mi ha espresso la sua soddisfazione per il progresso concreto che hanno fatto i nostri scambi di idee con la Francia.

Per sua norma di linguaggio il Foreign Office vorrebbe possibilmente sapere a quali altri Stati è stato o sarà comunicato il testo del progetto programma (2).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 5 settembre 1935.

L'Ambasciatore Long di ritorno dalla sua licenza è venuto a trovarmi.

S'informa sul conflitto itala-etiopico. Mi dice che l'opinione pubblica americana è contraria all'azione italiana, perché rifugge in genere da qualsiasi guerra e perché nel caso specifico non ne vede i motivi, mentre ci sono delle proposte in corso che non potrebbero risolvere la questione pacificamente.

Lo metto al corrente del nostro punto di vista.

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IL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, [5 settembre 1935] (3).

Il signor Vernarecci di Fossombrone, già noto al Capo del Governo e che fa pervenire di tanto in tanto qualche informazione a questo Gabinetto pro

8 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

fittando delle sue relazioni personali col Ministro germanico Frank, fa ora sapere che questi lo ha pregato di recarsi al più presto a Schliersee, dove si trovano a villeggiare tanto la famiglia del Frank quanto quella del signor Vernarecci, avendo urgente bisogno di parlare con lui.

Il sunto dei precedenti colloqui fra il Frank e il signor Vernarecci fu già reso noto al Capo del Governo con l'unita lettera (1).

Il Vernarecci fece sapere che il Capo Ufficio Stampa del Reich, Dresler, gli aveva dato le più ampie assicurazioni sulle istruzioni che egli aveva circa il contegno da tenere da parte della stampa tedesca nei riguardi dell'Italia.

(l) -T. 1567/322 P.R. del 4 settembre 1935, ore 3,45, con il quale Suvich invitava Grandi a prendere accordi con l'ambasciatore di Francia per comunicare al goveirno brttannico il progetto di accordo danubiano. (2) -Con T. per corriere 1628 dell'll settembre 1935 Suvich informava che il progetto era stato comunicato a Germania, Polonia, Cecoslovacchia, Unghe.ria, Austria, Jugoslavia e Romania. (3) -Datato attraverso le due lettere di Fossombrone a Jacomoni del 4 e 5 settembre che questo appunto riassume.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5367/150 R. Ginevra, 6 settembre 1935, ore 1,20 (per. ore 4).

Coerentemente con le dichiarazioni che V. E. mi ha ordinato di fare ieri in Consiglio, secondo cui l'Italia decideva di non ammettere più oltre un trattamento su piede di parità con l'Etiopia, stamane avevo prevenuto Lavai ed Avenol che non avrei assistito al discorso del delegato etiopico, malgrado le assicurazioni di Laval di avere ottenuto da Jèze la promessa di una grande moderazione.

Nella seduta pomeridiana quindi alle prime parole di Jéze ho lasciato il mio posto, cedendolo al delegato supplente Ministro Rocco. Questo gesto è stato immediatamente compreso da tutti nel suo esatto significato di deferenza verso il Consiglio, in quanto la delegazione rimane tuttora presente, ma di conferma delle dichiarazioni di ieri, in quanto l'Italia trattava l'Etiopia differentemente dagli altri membri della Società delle Nazioni.

Ho trasmesso per telefono il testo del discorso di Jèze che, offensivo negli argomenti, è stato volgarmente insolente nel tono. Appena ne sono stato informato, ho pregato Rocco di lasciare il tavolo del Consiglio e di chiedere al Presidente di sospendere temporaneamente la seduta, come usasi di fare nei momenti in cui appare utile una consultazione. Il Presidente delegato argentino si è rifiutato, adducendo di non potere usare oggi per l'Italia un trattamento differente da quello usato ieri per l'Etiopia, mettendo così alla pari un discorso duro ma documentato e una filippica volgare e, quello che è più grave, ponendo sullo stesso piano l'Italia e l'Etiopia.

Questo modo di procedere del Presidente mi ha impedito di accondiscendere alla preghiera di Lavai di riprendere il mio posto dopo la fine del discorso di Jéze per ascoltare le dichiarazioni di Litvinov. Ho però pregato Aldrovandi di esprimere a Litvinov il mio rincrescimento per questo contrattempo che mi impediva di ascoltare la sua parola. La quale, peraltro, è stata una

dura requisitoria contro l'Italia, il cui testo ho trasmesso telefonicamente a

S. E. Suvich, così come quello del discorso di Jèze e come il rapporto su tutte le fasi dell'incidente di oggi. Ho veduto or ora Lavai che ha deplorato il discorso di Jèze e ha chiesto quali fossero mie intenzioni. Ho risposto che attendevo istruzioni da V. E.

Riepilogando, ho ritenuto inammissibile fare passare un oltraggio all'Italia senza reazione. Lo scopo è stato ottenuto; impressione negli ambienti della Lega è stato enorme. Attendo ordini di riprendere il mio posto in Consiglio e a quali condizioni (1).

(l) Vedi serie ottava, vol. l, D. 720.

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IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5387/432 R. Alessandria, 6 settembre 1935, ore 6,40 (per. ore 9).

Come 1rlferito con mio telegramma n. 427 (2) sto reagendo contro campagna allarmista e intimiqatoria che da qualche giorno si è accentuata in Egitto. Ho attirato molto seriamente su ciò attenzione Presidente del Consiglio, nonché Ministro delle Finanze non solo per quanto concerne lato finanziario della cosa ma anche perché Wahba Pascià è membro più influente di questo Governo.

Oggi Presidente del Consiglio, contro sua consuetudine, ha pubblicato comunicato ufficiale per richiamare giornali locali maggiore serietà pubblicazione notizie allarmanti senza alcun fondamento. Comunicato lamenta pubblicazione allusiva pretese istruzioni segrete polizia, unificazione comando militare anglo-egiziano, distribuzione munizioni, controllo inglese aerodromo, vie comunicazioni ecc., raccomandando giornali controllare notizie presso Ministeri competenti prima di pubblicarle, minacciando sanzioni.

Ho fatto anche decisamente sentire ad ambienti Egyptian Gazette gravi responsabilità che va assumendo predetto organo con sue pubblicazioni tendenziose. Mi riservo riferire se e quali effetti abbia avuto questa ultima.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

ISTRUZIONI TELEFONICHE. Roma, 6 settembre 1935, [mattina].

Non partecipare alle sedute del Consiglio quando allo stesso sia presente il rappresentante dell'Etiopia.

Comunicare tale decisione del Governo italiano verbalmente al Presidente del Consiglio, senza fare altre dichiarazioni pubbliche, dato che tale nostro atteggiamento è conseguente a quanto già formalmente dichiarato. Nella comunicazione al Presidente del Consiglio far sapere che la deliberazione italiana risponde alla linea da noi adottata e dichiarata, linea nella quale non possiamo essere che confermati dal discorso di Jéze e dalla mancata reazione del Consiglio.

Non drammatizzare l'episodio Jèze. Siamo probabilmente di fronte ad una piccola manovra societaria che tende a gonfiare l'episodio per darci qualche soddisfazione formale ed ottenere con ciò la ripresa della nostra partecipazione alle discussioni del Consiglio nella questione etiopica.

Continuare le pratiche per controllare la costituzione del Comitato, ma non votare il Comitato stesso, in quanto allo stesso si voglia affidare il compito di trovare una soluzione amichevole. Il criterio sarebbe quello di non negare la nostra collaborazione alla S.d.N. per quelle che sono le conseguenze del nostro atto di accusa contro l'Abissinia, pure non prendendone parte diretta; negare invece la nostra collaborazione per tutta la procedura che può essere un derivato dai ricorsi dell'Abissinia, in base agli articoli 11 e 15. «La soluzione amichevole» può voler dire in un primo tempo il tentativo di conciliazione in base all'articolo 11 del Patto (per cui è necessario anche il nostro voto); in un secondo tempo i provvedimenti previsti dall'articolo 15 (per cui occorre l'unanimità, escluso il nostro voto), che possono portare alle sanzioni.

Formalmente nei riguardi del Comitato e della procedura societaria relativa all'Abissinia, assumere un atteggiamento di disinteresse. Non fare dichiarazioni alla stampa, ma dare direttive ai giornalisti in questo senso. In tutto il resto mantenere un atteggiamento di collaborazione con la Società delle N azioni (l).

(l) -Vedi D. 51. (2) -T. 5363/427 R. del 5 settembre 1935, ore 14,50, noD pubblicato.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5407/152 R. Ginevra, 6 settembre 1935, ore 14 (per. ore 16,45).

In conformità con istruzioni telefoniche di S. E. Suvich di questa matttna (2), mi sono recato da Lavai e dal P.residente del Consiglio in carica, l'argentino Ruiz Guinazu per fare loro la seguente dichiarazione, che quindi mi asterrò dal fare in Consiglio:

«Nella seduta del giorno 4 la Delegazione italiana ha dato comunicazione al Consiglio delle dichiarazioni, nelle quali erano esposte le ragioni per cui l'Ita

lia non poteva ammettere di continuare a discutere in seno alla S.d.N. su di un piede di eguaglianza con l'Etiopia. L'ingiurioso discorso di ieri di Jèze, che non ha trovato nel Presidente una adeguata reazione, ha riconfermato la giustezza della tesi del R. Governo. Prevenivo quindi il Presidente del Consiglio e Lava! che da ora in poi la Delegazione italiana sarà assente da tutte le sedute del Consiglio alle quali assisteranno delegati etiopici».

Entrambi hanno preso atto. Lava! mi ha espresso sua preoccupazione per nostra assenza sopratutto nel momento della concatenazione della costituenda Commissione. In ogni modo egli si sarebbe consultato con Eden, promettendo di riferirmi i risultati.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 51.
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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5439-5430-5470/194-195-196 R. Madrid, 6 settembre 1935, ore 17 (per. ore 20,35).

Tutti i giornali pubblicano interviste che il Presidente del Consiglio Lerroux ha concesso a rappresentanti della stampa estera circa conflitto itala-etiopico e che segnalo perchè caratterizzano criterio di questo Governo oscillante tra necessità demagogica della mentalità spagnuola e prudenza di fronte a possibile partecipazione a sanzioni ginevrine. Infatti, Lerroux in intervista ha lungamente e esaurientemente parlato contro ogni guerra giudicando inquieta situazione europea come frutto del tramonto democratico libemle e con usati argomenti ha riaffermato necessità che Spagna si adoperi per impedire guerra stando vicina a nazioni che vogliano conservare pace generale.

Ma ad un certo punto giornalisti gli hanno posto questa domanda chiara e categorica: «Darà Spagna suo appoggio a S.d.N. nelle misure che questa potrebbe prendere contro paese considerato aggressore?».

Lerroux ha subito ripiegato da nuvole pacifiste sopra realtà storica rispondendo con queste parole precise: «Confido autorità buon senso e tatto Società Nazioni. Sono convinto che in questi momenti critici procederà con squisita discrezione et compirà come sempre suo dovere.

Sicuramente farà in modo che questione itala-etiopica, preoccupazione generale in questo momento, trovi suo sbocco adeguato. Perchè senza dubbio esagerano coloro che si impegnano vedere problema internazionale in conflitto italaabissino.

In affari questa indole conviene più che in nessun altro caso, non perdere serenità né permettere che fantasia sfrenata dia al tema proporzioni smisurate ampiez!lle che non ha ragione raggiungere. Non sarebbe giusto e discreto pensare che ci troviamo davanti questione politica e di interessi che riguardano esclusivamente Italia e che, nel caso disgraziato di rottura ostilità, che se dipendesse da noi non avverrebbe, ci trovassimo in presenza campagna tipo coloniale? ». Da tali dichiarazioni, fatte subito dopo Consiglio dei Ministri odierno

che si è occupato questioni internazionali e nel quale si urtavano tesi ginevrine dello stesso Lerroux e tesi favorevoli a noi, sostenuta da Gil Robles, risulta che Governo spagnuolo si vuol mantenere nella linea pacifista e societaria fino a che eventuale problema sanzioni sia posto ma che davanti tale problema non intende, almeno per ora, aderire a sanzioni di sorta.

El Debate, che spedisco a parte, pubblica testo integrale intervista.

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9876 P. R. -5481 R./171-172. Bruxelles, 6 settembre 1935, ore 18,10 (per. ore 20).

Mi riferisco al mio telegramma n. 166 (1). Ho avuto stamane lungo colloquio con questo Primo Ministro che parte stasera per Ginevra quale Capo della Delegazione belga all'Assemblea della S.d.N.

Pur avendo cura di [non] dare alle mie parole il carattere di una pressione e tanto meno di un passo formale, gli ho esposto tutti gli argomenti atti ad aiutarlo a superare la ostinata avversione della maggioranza dei suoi colleghi alla eventuale assunzione da parte del Belgio della protezione dei nostri interessi in Etiopia in caso di rottura delle relazioni diplomatiche consolari con quest'ultima. Tra l'altro gli ho prospettato le pregiudizievoli conseguenze per l'avvenire delle relazioni itala-belghe, quando in Italia si risapesse di un rifiuto, che sarebbe, a giusto titolo, considerato come una ingratitudine di fronte all'impegno preso da V. E. generosamente a Locarno e solennemente riconfermato a Stresa, di garantire la integrità e l'indipendenza del Belgio. Ed ho anche messo in luce l'assurdo atteggiamento di coloro, che pur facendo professione di libertari, vorrebbero applicare all'Italia per odio di parte una specie di interdizione, negandole una assistenza materiale, basata sulla tradizione secolare del diritto delle genti e ripristinando così i metod_i della intolleranza teocratica medioevale.

Primo ministro mi ha di nuovo lasciato chiaramente comprendere la impossibilità (in cui effettivamente si trova) di superare con un attacco frontale l'opposizione dei suoi colleghi, la quale si trincera dietro la pregiudiziale, formidabile per un paese societario ad oltranza come Belgio, della pendenza sia pure soltanto potenziale di un giudizio della Lega delle Nazioni nei nostri riguardi. D'altra parte però, a riprova delle sue sincere intenzioni di farci cosa gradita. mi ha ripetuto che egli ritiene poter girare l'ostacolo se la Francia e l'Inghilterra manifestassero il loro interessamento a che la nostra richiesta venisse accolta ciò potendosi considerare per il Belgio come una giustificazione di tale accoglimento di fronte ad eventuale reazione della opinione pubblica ginevrina.

Ho chiesto allora al mio interlocutore se avesse avuto finora alcun sintomo

di tale interessamento ed egli mi ha risposto che un accenno era stato bensl

fatto da parte francese, ma in maniera così indiretta e fugace da non consentire neppure di poterlo qualificare «mediazione», una vera e propria manifestazione di consenso. Ed infatti, dal controllo eseguito presso questa Ambasciata di Francia, mi risulta che il Direttore Generale degli Affari Politici al Quai d'Orsay si sarebbe limitato ad esprimere occasionalmente all'incaricato di affari del Belgio la «Speranza» che il suo Governo accolga la nostra richiesta.

Così stando le cose mi permetto suggerire (in caso si voglia assicurarci fin da ora la possibilità di affidare al Belgio la protezione dei nostri interessi in Etiopia) di approfittare della breve presenza del sig. Van Zeeland a Ginevra per fare reiterare presso di lui direttamente ed esplicitamente l'espressione del suddetto interessamento francese da parte dello stesso signor Lava.!, il quale dovrebbe possibilmente considerarsi autorizzato a parlare anche in nome del Governo britannico. Comunque poi riterrei opportuno che il sig. Van Zeeland avesse col Barone Aloisi un colloquio, del quale sarebbe molto lusingato e che in pari tempo il Capo della Delegazione italiana avesse cura (come raccomandai fin dal 23 agosto u.s. col mio telegramma per corriere n. 048) (l) di ottenere contatto con il signor Hymans, particolarmente utilizzabile a causa della sua duttilità diplomatica, nonchè del suo credito personale negli ambienti societari, e che in ogni modo, nell'assenza del Primo Ministro, sarà il vero rappresentante Belgio e Ginevra (2).

(l) Con !l T. 9642/166 P.R. del 2 settembre 1935, ore 20,45, Vannutell1 aveva dato una prima risposta alle istruzioni dl cui al D. 10.

55

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 9698/71 P. R. (3). Roma, 6 settembre 1935, ore 24.

Dica a Litvinov che considero suo discorso di ieri come un grave colpo inferto ai rapporti di amicizia fra Italia e Soviet ( 4).

56

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

T. PER CORRIERE 1588 R. Roma, 6 settembre 1935.

Entro settembre saranno trasportate in Cirenaica due divisioni metropolitane « Assietta » e « Cosseria».

Trovi modo di far sapere al Re e ai Ministri che queste misure sono precauzionali e non hanno, né vogliono avere, alcun carattere od obiettivo antiegiziano (l) .

(l) -Non pubblicato. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (3) -Minuta autografa. (4) -Per la risposta vedi D. 59.
57

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5424/153 R. Ginevra, 7 settembre 1935, ore 1 (per. ore 3,10).

Stamane Segretario Generale ha riunito me, Beck, Rustu Aras e Madariaga per esaminare la possibilità di costituire un comitato di tre relatori per la vertenza etiopica, composta precisamente del delegato polacco, turco e spagnuolo. Costoro, nel comunicarmi che erano disposti assumere incarico eventuale, espressero desiderio poter aggiungere, in qualità di collaboratori, i delegati francesi e britannici, quali rappresentanti dei Paesi con possedimenti limitrofi a quelli italiani in Africa.

Ho osservato che in tal modo si tornava di fatto ad un Comitato di cinque membri, nei riguardi del quale non potevo non rinnovare obiezioni già formulate; che ero pronto accettare principio collaborazione francese e britannica, a condizione che analoga collaborazione, sullo stesso piede, fosse data dall'Italia, essendo le tre Potenze legate dallo stesso Trattato tripartito.

Avenol ha osservato che procedura in corso era in certo modo già al margine dell'articolo 15, il che non permetteva di scostarsi dalle regole detto articolo, per cui parti in causa sono giuridicamente antagoniste. Ho obbiettato che questione non involgeva soltanto un contrasto tra l'Italia e l'Etiopia e perciò dovevo insistere su obiezione sollevata che non era di carattere formale, ma di fondo.

Nel frattempo avevo fatto comunicare a Beck di sollevare lui qualche obiezione; il che egli ha fatto e perciò riunione si è svolta silenziosamente constatando dissenso tra i membri.

Nel pomeriggio, in una nuova riunione presso il Segretario Generale, ho confermato mio punto di vista. Lavai poi mi ha detto che egli appoggiava allora l'idea che era stata emessa di costituire un Comitato composto da tutte le Potenze rappresentate al Consiglio salvo l'Italia. Idea che ho dovuto immediatamente combattere. Non ho creduto quindi irrigidirmi in una recisa opposizione al Comitato dei Cinque con Francia e Inghilterra, per evitare che si passasse a soluzioni più sfavorevoli per noi con voto di semplice maggioranza, trattandosi di questione di procedura. Ho dichiarato perciò al Presidente che Italia si disinteressava della costituzione del Comitato, per cui si sarebbe astenuta dal voto e l'ho pregato di far risultare astensione italiana quando Consiglio avrebbe discusso della questione, non intendendo partecipare al dibattito.

Apertasi poco dopo la seduta del Consiglio, si è ripresa la discussione sulla vertenza etiopica. Delegazione italiana si è allontanata. Ha parlato rappresentante del Messico, appoggiando dichiarazione inglese e francese in favore di una conciliazione della vertenza nel quadro del Patto. Delegato Messico ha confermato fedeltà suo paese ai principi societari e insistendo perchè soluzione pacifica sia perseguita con tutti i mezzi fino in fondo. Ha ricordato infine principio della politica americana di non riconoscere acquisti territoriali ottenuti con la forza.

Dopo di ciò, Presidente ha proposto costituzione di un Comitato di cinque membri «per esaminare l'insieme delle relazioni itala-etiopiche in vista di una soluzione pacifica». Comitato è risultato composto dei rappresentanti dell'Inghilterra, Francia, Spagna, Polonia e Turchia.

Il Presidente ha dichiarato che Ruiz lo aveva informato che si asteneva dal voto.

(l) Con T. per corriere 5874/476 R. del 14 settembre 1935 Ghlgi assicurava di aver eseguito le istruzioni ricevute.

58

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1590/119 R. (l). Roma, 7 settembre 1935 (2).

Dica al Conte Bethlen che la sua intervista nella quale egli mette sullo stesso piano Italia e Gran Bretagna mi ha vivamente sorpreso. Gli dica che mentre amicizia inglese per Ungheria fu e rimane assolutamente platonica, amicizia italiana è stata viceversa effettiva, concreta in pubblico e ancor più nel campo degli aiuti riservati. Se non lo sa può informarsene. Porti a conoscenza di G6mb6s quanto precede e mi riferisca (3).

59

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5465/158 R. Ginevra, 7 settembre 1935, ore 16,30 (per. ore 18,20).

Telegramma di V. E. n. 71 (4).

Mi sono immediatamente recato Litvinov a comunicargli contenuto telegramma di V. E., dichiarando che circostanza suo discorso aveva immediatamente seguito quello di Jèze aveva fatto assumere alle sue parole un significato particolarmente ostile.

(-4) Vedi D. 55.

Litvinov ha risposto che egli aveva già da tempo fatto comunicare àa Ambasciatore dell'U.R.S.S. a Roma a S. E. Suvich e a me (l) che sua situazione era delicata e che conseguentemente egli non poteva fare a meno prendere posizione contro di noi. Del resto egli si era indotto a parlare solo successivamente al delegato spagnuolo.

Gli ho obiettato che discorso spagnuolo era stato moderato e di carattere strettamente societario, mentre suo era stato decisamente ostile e sopratutto aveva oltrepassato limiti societari.

(l) -Minuta autografa. (2) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. Si deduce, .comunque, dalla risposta inviata in serata, che fu spedito la mattina. (3) -Vedi D. 61.
60

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5467/159 R. Ginevra, 7 settembre 1935, ore 16,30 (per. ore 18,20).

Sono venuti a visitarmi Kanya e Berger per prendere accordi circa azione propaganda e di fiancheggiamento che si sono dichiarati pronti a svolgere a nostro favore.

Kanya mi ha riferito l'opinione di Vansittart sulla situazione, che quest'ultimo ha esposto al Ministro di Ungheria a Londra. Vansittart ritiene che responsabilità situazione è in buona parte di Drummond, che ha male informato Londra. lasciando credere che il Governo italiano fondasse gran parte della sua azione sul «bluff».

61

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5482/105 R. Budapest, 7 settembre 1935, ore 21,20 (per. ore 22,30).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 119 (2) in da,ta odierna. Ho parlato al Conte Bethlen nei termini segnatimi.

Mi ha risposto egli non aveva minimamente inteso porre Italia e Gran Bretagna sullo stesso piano: sapeva bene quanto Italia ha fatto e fa per l'Ungheria mentre riconosceva che amicizia inglese è per questa invece del tutto platonica. Voleva soltanto dire che Ungheria è pure in buoni rapporti con Gran Bretagna, senza fare dichiarazioni di dettaglio perchè è chiaro che amicizia Ungheria per l'Italia è differente da quella che essa ha per l'Inghilterra. Ha concluso che pensiero e sentimenti da lui costantemente professati circa

politica che Ungheria deve seguire verso Italia non sono per nulla mutati. Si è detto infine grato della occasione offertagli per « chiarire un equivoco che gli sarebbe assai rincresciuto avesse potuto continuare a sussistere».

Generale Goemboes che ho visitato subito dopo, ha osservato da parte sua che « Bethlen non si è ancora rassegnato a non avere parte della politica estera ungherese né trattare delicata questione di attualità con necessaria riserva». Egli è stato probabilmente influenzato dal suo recentissimo soggiorno in Inghilterra, ignora inoltre effettivamente più recenti accordi riservato con Italia. Sua intervista -ha aggiunto -per quanto concerne politica interna mostra d'altra parte proposito Bethlen riavvicinarsi a lui Goemboes e sfata leggenda fronte unico opposizioni.

In realtà Bethlen mi è sembrato ad un tempo spiacente sua dichiarazione inopportuna e lusingato ripresa dei rapporti con V. E.; Generale Goemboes grato comunicazione ma alquanto preoccupato interesse V. E. per manifestazioni suo competitore.

Segnalo ad ogni buon fine che testo integrale intervista Bethlen è stato da me trasmesso per posta ae,rea con telespresso n. 1271 del 6 corrente (l).

(1) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 710. (2) -Vedi D. 58.
62

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI

T. 1594/18 R. Roma, 7 settembre 1935, ore 24.

Mio telegramma n. 1571/17 (2).

Questa Ambasciata d'Inghilterra ha specificato che frase relativa a composizione Direttorio contenuta nel progetto di nota che Governo lituano dovrebbe indirizzare rappresentanti Potenze garanti non (ripeto non) significa impegno preventivo da parte Potenze circa atteggiamento che esse assumeranno

eventualmente ad elezioni avvenute. Qualora Governo lituano rifiutasse dare assicurazioni Rappresentanti Tre Potenze, come concordato, si riserveranno di ritornare su questione direttorio dopo le elezioni.

Autorizzo quindi V. S. accettare progetto nota tale quale esso è stato preparato dal Governo francese.

Per quanto riguarda atteggiamento italiano circa questione Memel in generale (Suo teleg!'lamma 71) (l) V. S. vorrà far chiaramente intendere a codesto Governo che Italia si regolerà a seconda atteggiamento lituano nei nostri riguardi nella questione etiopica.

Spieghi pure nessun fondamento dei tentativi di parallelismo che si vorrebbe istituire tra questioni tra Paesi europei e questioni con Paesi coloniali. L'affare abissino presenta delle caratteristiche sue proprie che non trovano

riscontro in nessun Paese d'Europa. È talmente evidente che è superfluo insistervi. La stessa Inghilterra ha sempre distinto tra questioni europee e questioni coloniali. Mi riferisco principalmente alle riserve inglesi fatte in occasione dell'adesione al Patto Briand-Kellogg.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 35.
63

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 5600/037 R. Budapest, 7 settembre 1935 (per. l'11).

Il generale Goemboes mi ha chiesto stamane se a v essi qualche notizia in merito al progettato suo incontro con V. E. Gli ho risposto che non me ne erano giunte, ma che d'altra parte mi sembrava sussistessero tuttora appieno i motivi che avevano qualche settimana fa suggerito l'opportunità di un rinvio del suo viaggio. Ne ha convenuto; ma ha peraltro insistito che «gli riuscirebbe assai utile conoscerne appena possibile la data, per il calendario dei suoi impegni».

Se egli ha manifestato il desiderio di abboccarsi con l'E. V. -ha continuato -ciò è stato anzitutto per prospettarle il suo punto di vista sull'attuale situazione di questa parte dell'Europa, ed in particolare «sul problema germanico in relazione all'idea della restaurazione»; egli è d'avviso che una restaurazione degli Asburgo getterebbe la Piccola Intesa nelle braccia della Germania.

Alla mia osservazione che, oggi come ieri, non sembrava lecito dubitare della sincerità delle dichiarazioni tanto pubbliche quanto riservate fatte dal Governo austriaco circa la «non attualità» della questione, il Presidente si è affrettato a dirmi che «non poneva in dubbio la lealtà di Berger », ma che d'altra parte considerava quest'ultimo «persona non molto intelligente)); e poi, si sa come avvengono queste cose...

Stojadinovic -ha seguitato -gli aveva fatto chiedere a mezzo del Ministro di Ungheria a Belgrado il suo pensiero in materia. Egli aveva risposto a questo Ministro di Jugoslavia «che sapeva bene quello che avrebbe fatto in una eventualità del genere, ma non intendeva dirglielo)). Essendogli risultato poi che questa sua frase era stata interpretata a Belgrado nel senso che egli avrebbe finito col solidarizzare in proposito con la Piccola Intesa, aveva fatto precisare colà formalmente dal Ministro Alth che «Goemboes è avverso agli Asburgo ma parimenti all'ingerenza nelle questioni interne degli altri Paesi)).

Venendo infine a quanto oggi sembra maggiormente preoccuparlo, il Generale mi ha chiesto di voler far giungere alla E. V. la sua viva preghiera di non accettare proposte francesi circa l'assetto danubiano prima di averlo consultato». Nella foga, si è richiamato all'impegno di consultazione stabilito nell'accordo tripartito, «sul quale egli continua a basarsi». Gli ho risposto che come egli ben sapeva --·· tale procedura è stata sempre e con amichevole premura seguita da parte nostra. Ne ha convenuto, continuando tuttavia «che egli diffida della Francia, patrona della Piccola Intesa>>. Non concorda con Kanya circa l'accettabilità del nuovo progetto di Patto elaborato dai francesi. Il suo Governo non può apporre la firma ad un «nuovo Trianon ». Per lui, la parità di diritti in materia di armamenti rimane condizione preliminare << per ogni trattativa » del genere.

Conferma peraltro, finalmente, che il suo Governo è disposto a considerarla condizione « per la conclusione » di un eventuale accordo.

Ho ritenuto riferire integralmente il discorso del Presidente Goemboes affinché V. E. potesse direttamente valutare quanto in esso abbia avuto giuoco il calcolo -cui come sempre non sono estranei motivi di politica interna di affrettare l'incontro con l'E. V., e quanto l'effettiva preoccupazione ricorrente nell'animo del Presidente -facile come tanti suoi connazionali, all'euforia ed alla depressione -ad ogni segno, fondato o no, di una più stretta collaborazione itala-francese (1).

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5641/048 R. Belgrado, 7 settembre 1935 (per. il 12).

Telegmmma di V. E. n. 1569/c (2). Recatomi Belgrado, ho dichiarato ieri ufficialmente al signor Martinaz, segretario Generale del Ministero Esteri, che la comunicazione del Governo francese del progetto-programma per la conferenza danubiana doveva considerarsi come fatta contemporaneamente ed in modo identico anche da parte del Governo italiano. Il signor Martinaz ne ha preso atto dicendomi che in merito al confronto di tale progetto non poteva ancora precisarmi il punto di vista particolare del Governo jugoslavo, per la circostanza che Stojadinovic era tornato solo la mattina stessa dal suo viaggio di Parigi. Ma che avendo egli assistito alle discussioni avvenute in seno al Consiglio della Piccola Intesa nel pomeriggio dell'ultima riunione a Bled poteva, a titolo personale, dichiararmi che, in principio, il progetto stesso era stato accolto favorevolmente dai tre Ministri degli Esteri quale una possibile base di discussione. In tale discussione si erano tuttavia sollevate le seguenti osservazioni: a) che all'art. 2 occorreva un complemento per chiarire la definizione dell'aggressore, se questa dovesse intendersi secondo la formula del patto Kellogg, ovvero secondo quella dell'accordo di Londra.

b) che all'art. 3 riguardante la non ingerenza l'aggiunta di una formula di riserva nei confronti della questione della restaurazione asburgica nel senso d'escluderla dalla non ingerenza;

c) che il 3° alinea dello stesso art. 3, secondo il pensiero della Piccola Intesa, sarebbe sufficiente a tale scopo, giacché richiamando impegni internazionali anteriori si potrebbe applicare al caso in questione la convenzione antiasburgica di Rapallo. A tale proposito ho ricordato al signor Martinaz che tale convenzione non è più valida giuridicamente. Ne ha convenuto, dichiarandomi che il Governo jugoslavo non avrebbe svolto inslstenze per sostenere la sua validità, ma che appunto per ciò la Piccola Intesa chiedeva l'aggiunta della formula sulla restaurazione di cui al punto b;

d) che all'art. 5 circa la consultazione reciproca, non essendo quest'ultima accompagnata da patti di mutua assistenza, occorreva che fra le Potenze firmatarie fossero d'accordo e precedentemente fissate delle sanzioni di carattere prevalentemente economico da applicare nei confronti dello Stato aggressore, a parte il deferimento della questione al Consiglio della Lega delle Nazioni.

Martinaz mi ha poi detto che i Ministri degli Esteri della Piccola Intesa avevano rilevato sfavorevolmente la circostanza che la comunicazione del progetto era stata fatta dalla Francia soltanto poche ore prima della chiusura della conferenza di Bled costringendoli quindi ad un esame affrettato, ma ha tenuto ad aggiungere che tale rilievo non toccava per nulla il Governo italiano, al quale si era grati della successiva comunicazione.

Mi ha infine aggiunto che, in base ad informazioni avute dal Governo jugoslavo, sembrerebbero accertate le disposizioni del Governo tedesco di non aderire all'accordo, neanche con la esclusione attuale di patti di mutua assistenza; mi chiedeva se, secondo il pensiero del Governo italiano, la partecipazione germanica fosse proprio indispensabile. Gli ho detto che non ero in grado di rispondere a tale sua domanda, ma che arguivo fosse stata intenzione cosi nostra come della Francia di cercare di dare alla Germania una possibilità di adesione anziché metterla davanti al fatto compiuto.

(l) -Con T. per corriere 10256 P.R. del 14 settembre 1935, Suvich rispose: «Pregola dire a Giimbiis che incontro con S. E. Capo del Governo potrà avere luogo dopo chiusura attuale sessione Ginevra. Mi riservo in seguito precisare modalità». (2) -Vedi D. 43, nota l.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 7 settembre 1935.

Ho informato l'Ambasciatore della cattiva impressione che ha fatto in Italia la nomina del Comitato dei Cinque, in cui entrano Francia e Gran Bretagna, mentre l'Italia ne rimane esclusa.

Tale nomina è stata fatta ad onta della decisa opposizione dell'Italia. Il Capo del Governo mi aveva espressamente incaricato di fargli sapere che ne era rimasto molto sfavorevolmente impressionato.

S4

Da tale inizio non si possono trarre auspici promettenti dei lavori del Comitato.

L'Ambasciatore si dimostra spiacente per questo fatto, ma non dubita che il Signor Lavai abbia deciso per il meglio nell'interesse dell'Italia. Mi chiede che .::osa deve riferire al Signor Lavai.

Gli rispondo che in primo luogo deve far comprendere al Signor Laval che noi abbiamo interesse ad essere nella stessa situazione della Francia e dell'Inghilterra; cosi nel caso attuale si desiderava che anche Francia e Inghilterra rimanessero fuori del Comitato.

Aggiungo poi all'Ambasciatore che la partecipazione con cui si vogliono far proseguire i lavori del Comitato non pare sia atta .a facilitare una soluzione; d'altra parte sarebbe più opportuno che il Comitato cominciasse ad occuparsi delle accuse contro l'Abissinia.

L'Ambasciatore riferirà quanto sopra al Signor Lavai (1).

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COLLOQUIO DEL SOTI'OSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 7 settembre 1935.

Il Ministro di Ungheria mi consegna l'unito appunto contenente le osservazioni del suo Paese al progetto di Patto danubiano da noi presentato.

Gli rispondo, esaminandolo punto per punto, che su alcune di tali osservazioni noi possiamo essere senz'altro d'accordo, altre potranno formare oggetto di discussione (1).

ALLEGATO

IL MINISTRO DI UNGHERIA A ROMA, VILLANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. 426/b 1935. Roma, 6 settembre 1935.

D'ordre de mon Gouvernement j'ai l'honneur de communiquer à V. E. les observation suivantes du Gouvernement Hongrois, concernant le projet du Pacte Danubien, que V. E. a bien voulu lui communiquer par l'intermédiaire de cette Légation.

«Le Gouvernement Hongrois n'a pas manqué d'étudier avec la plus grande attention l'avantprojet de convention, mis à sa disposttion le 23 juillet dernier par l'obligeant entremise du Gouvernement Royal Italien. Bien que cet examen ne soit pas encore complètement terminé, le Gouvernement Hongrois tient dès à présent à

1nformer le Gouvernement italien que selon son hnpression provisoire !es prtncipales dispositions du texte proposé semhlent en général s'accorder avec les p!t'lincipes élaborés et acceptés par !es représentants de l'Italie, de l'Autriche et de la Hongrie, lors de leur entrevue à Venise. Le Gouvernement Hongrois pense donc que le texte mis à sa disposition pourrait -avec certa.ines modifications -servù' utilement de base pour !es négociations ultérieures.

Avant de préciser ses observations relatives aux différents articles du projet de convention, le Gouvernement Hongrois désire rappele•r une fois de plus !es deux principes fondamentaux qui l'ont guidé depuis que l'idée d'une collaboratlon des Etats danubiens a été enoncé par le Procès Verbale de Rome du 7 janvier. Le premier est que la situation internationale de la Hongrie ne sa,umit de par le fai:t de son adhésion, subk aucune modification «in péjus » (propagande pacifique, minorités, assistance mutuelle), l'autre que cette adhésion ne serai,t possible qu'au pied d'une egalité de droit perfaite avec !es autres Eta;ts signataires. Ces deux principes ont d'ailleurs été signalés à maintes reprises au Gouvernement Royal Ital:ien, qui

en a pris connaissance et !es a approuvés. En ce qui concerne !es différents articles des « Principales dJispositions » le Gouvernement Hongrois désire faire les remarques s\llÌvantes: ad article 1: point de remarque

ad article 2: «Le Gouve11nement hongrois estime que la disposition concernant l'engagement à ne se livrer à la guerre, pourrait étre remplacé par un siimple :rappel au Pacte de Paris (Pacte Briand-Kellogg).

ad article 3: Remarque général: Le Gouvernement Hongrois regrette que le r,exte rédigé en commun à Venise n'a pas été maintenu.

alinéa l point de remarque

a1inéa 2. Le Gouvernement Hongrois souhaiter.ait éliminer du texte !es mots « l'existence et » vu qu'il appréhende que cette expression pourrruit étre interprétée d'une manière désav.antageuse pour !es intéréts hongrois. alinéa 3. Le Gouvernement Hongrois propose de rétabld:r le texte de Venise et de parler de « drotts acquis » au lieu de « droit qui leur reviendrait ». ad article 4: point de remarque ad article 5:

aJinéa l. Le Gouvel:'nement Hongrois désirerai.t intercaler entre les mots « en cause» et « l'application » r.actverbe « manifestement ». Le Gouvernement Hongrois propose en outre d',insérer dans cet article -comme il ava.i.t été prévu à Venise -une disposition pour discipliner la consultation.

·alinéa 2. Le Gouvernement Hongrois a des doutes sur l'uti1ité du ròle que cet aLinéa semble vouloir réserver au Conseil de 1a S.d.N. A son avis, d'ailleurs, par le jeu de ce paragmphe la disposition que contient l'alinéa précédent, pourra.i.t, le cas échéant, devenir inopéran•te, ce qui serait ·aller à l'enoontre de l'idée de consultation telle qu'elle est prévue dans le Procès Verbal de Rome du 7 janvier dernier.

ad article 6: Le Gouvernement Hongrois déstrerait écarter les mots « ou d'autres TraLtés ou accords précédemment conclus par elle». En acceptam.t !es tex,te proposé le Gou.vernement Hongrois donnerait en effet l'impression de sanctionne:r par son adhésion les différents tra.ités et conventions dirigés contre la Hongrie.

Le Gouvernement Hongrois n'a pas voulu retarder davantage sa réponse à l'1nit1ative du Gouvernement i.taHen, il se réserve néanmoins de pi'é8enter ultérieurement les observations e.t objec.tions qUIÌ. pouil1l'aient résulter d'un examen pJus approfondi du texte qui lui a été proposé.

(l) Il pref;ente documento reca il visto di Mussolinl.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 settembre 1935.

Con la nomina del Comitato (l) si apre una nuova fase della questione etiopica alla Società delle Nazioni.

Il Comitato avrà il compito di esaminare il nostro Memorandum (2), di sentire la difesa (e gli eventuali contrattacchi abissini) e di cercare una soluzione amichevole.

Questa «soluzione amichevole » rappresenterebbe il ponte di passaggio fra il punto di vista italiano -accuse contro l'Abissinia e rifiuto a trattare con la stessa -ed il punto di vista etiopico -ricorso alla società delle Nazioni per un suo intervento al fine di evitare la guerra.

Non occorre insistere sul fatto che la Società delle Nazioni (presa nel suo complesso, senza analizzare le pendenze particolari), è in favore della tesi etiopica contro quella italiana, ma vuole fare tutti gli sforzi per accontentare l'Italia al fine di evitare la guerra e di evitare sopratutto che l'Italia esca dalla Società delle Nazioni. Deve anche naturalmente tener conto della posizione particolare della Gran Bretagna, per quanto questa ora tenda a confondere la sua situazione in quella degli altri Stati della Società delle Nazioni.

Per conciliare -il che non è facile -le tesi opposte è probabile che gli sforzi della Società delle Nazioni, e particolarmente della Francia che ha in questo momento le funzioni di leader dei conciliatori, tendano alla soluzione seguente:

-dar ragione all'Italia, almeno in parte, nei suoi griets contro l'Abissinia; -ritenere però che tali griefs non siano di natura tale da escludere l'Abissinia dalla Società delle Nazioni; -ritenere invece che la stessa abbia bisogno di una assistenza da parte della Società delle Nazioni;

-incaricare alcuni Membri della S.d.N. -che potrebbero essere le tre Potenze maggiormente interessate: Italia, Francia e Gran Bretagna -di trovare una soluzione.

Con ciò si rientrerebbe nel progetto di Parigi, e d'altronde non c'è neanche molto di nuovo da inventare quando si voglia discutere una soluzione pacifica nel quadro societario.

La Società delle Nazioni per il momento non potrebbe andare più in là di quanto sopra esposto; dovrebbero poi trovarsi insieme le tre Potenze a presentare il progetto per discuterlo nei dettagli e farlo poi approvare almeno

9 -Dor.;umentt Diplomatici -Serie VIII -Vol. Il

in massima dalla Società delle Nazioni (a meno che non ottengono un mandato di fiducia illimitato, ciò che non pare facile). A tale progetto noi abbiamo come è noto tre obbiezioni preliminari:

l o -la situazione è arrivata ad un punto tale che un fatto di armi si impone; se noi accettassimo una soluzione senza un'azione militare, la resistenza del Negus ne sarebbe aumentata;

2° -messa la cosa in mano alla Società delle Nazioni la questione si trascina per le lunghe e noi non possiamo tenere all'infinito delle centinaia di migliaia di uomini sul posto, a parte per il fatto che la tensione è tale dalle due parti che nel frattempo la guerra scoppierebbe da sé;

3° -l'accordo che ci offrirebbe la Società delle Nazioni non ci dà sufficiente garanzia se non accompagnata da una nostra occupazione militare. A queste obbiezioni da parte della Francia, attribuendo a lei questa opera di mediazione, si risponderà:

1° -l'azione militare ci sarà ad ogni modo e i 300 mila uomini che sono in Colonia non saranno troppi; ciò, sia che gli abissini accettino o non accettino il programma di ricostruzione dell'Abissinia. Se non lo accetteranno, come ci sono tutte le probabilità, l'Italia farà la guerra per imporlo; naturalmente si potrà in tale evenienza andare più in là di quello che sia stabilito nel programma stesso.

Se l'Abissinia lo accetta, o meglio finga di accettarlo, non c'è alcun dubbio che essa farà tutte le ostilità e tutte le resistenze al momento dell'applicazione pratica di questo programma.

Anche in questo caso si terminerà con dei fatti di armi che consentiranno all'Italia di instaurare un proprio regime militare in Abissinia.

Per quanto riguarda i sopra indicati punti 2) e 3) si risponderà che la questione può essere risolta molto rapidamente: un mese, due mesi e che attraverso le disposizioni dell'accordo -per esempio disarmo totale o parziale dell'Abissinia -l'Italia potrà andare a prendersi le proprie garanzie. Si aggiungerà che l'azione militare dopo gli accordi ha i vantaggi di isolare il Negus, non metterei contro apertamente la Gran Bretagna e quindi limitare enormemente i nostri sforzi dandoci lo stesso risultato.

La guerra che scoppiasse prima metterebbe la S.d.N. nella necessità di prendere dei provvedimenti, che possono andare dalla censura morale alle sanzioni economiche e persino -almeno in teoria -militari e rafforzerebbe la posizione della Gran Bretagna che troverebbe intorno a sé moltissimi clienti.

Si è esposta tale previsione sul corso degli avvenimenti a Ginevra per renderei conto di dove si possa arrivare quando si entri ora a Ginevra in discussione; è evidente che accettando di discutere, su una base che non potrà essere molto diversa da quanto sopra esposto, bisognerà tenere sospesa l'azione militare, perché non potremmo sottrarci all'accusa della più patente malafede se, durante una discussione che tende ad evitare la guerra, noi entrassimo deliberatamente in conflitto.

Il caso sarebbe naturalmente diverso se noi fossimo aggrediti, ma in modo tale che si potesse avere l'impressione di una cosa veramente seria, il che non pare probabile.

Alla tesi dei mediatori, personificati nella Francia, alla quale non si può negare una apparenza di logica, si può obiettare:

1° -che Ginevra può riservare delle sorprese: si può avere una soluzione di carattere societario-internazionale della quale noi diverremmo prigionieri;

2° -che non vi è nessuna probabilità che le cose si svolgano rapidamente.

Se quindi noi vogliamo mantenere la nostra più assoluta libertà di azione per far scoppiare il conflitto al momento che noi riteniamo più opportuno, bisognerà che a Ginevra ci manteniamo strettamente sulla negativa, non !asciandoci trascinare nella discussione. Bisognerà limitare la nostra azione, informata ad uno spirito di passività e di resistenza a quel tanto che è assolutamente necessario per non rompere definitivamente con Ginevra. Occorrerà stabilire di volta in volta, secondo le circostanze, la posizione da prendere per mantenerci nello spirito di questa.

È tuttavia della più grande importanza che la nostra azione quando scoppierà possa apparire, almeno incidentalmente, provocata dall'Abissinia; meglio se si può dare l'apparenza di un attacco contro di noi, ma bisognerebbe almeno poter ottenere che una tribù si ribelli e che chieda il nostro intervento.

Per quanto si sia insistito su questo punto non si sa ancora oggi se da parte del Comando dell'Africa Orientale si sia combinato nulla di concreto; bisognerebbe ottenere delle informazioni precise su tale punto e dare le opportune istruzioni. Non si chiede l'impossibile: si domanda una finta che abbia soltanto qualche parvenza di realtà; nessuno si lascierà da ciò ingannare, ma il fatto di poter protestare una nostra reazione contro un attacco avversario, ci faciliterà ad evitare lo shock il primo momento con quelle reazioni che non potrebbero mancare di fronte ad una nostra avanzata in territorio nemico senza alcuna parvenza di provocazione. Superato il primo momento senza una rottura è probabile che poi intervenga la principale preoccupazione di limitare il conflitto e allora potranno riallacciarsi delle trattative in condizioni e con uno spirito diverso di quanto non avvenga oggi (1}.

(l) Vedi D. 57.

(2) Ed. !n Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. I, c!t., pp. 371-486.

68

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI

T. 9848/118 P.R. Roma, 8 settembre 1935, ore 24.

Dichiarazioni Lerroux alla stampa e deliberazione Consiglio Ministri (2} hanno fatto ottima impressione in Italia. Voglia far sapere al signor Lerroux che Capo Governo ha apprezzato molto suo atteggiamento amichevole.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollni. (2) -Vedi D. 53.
69

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. PER CORRIERE 1604 R. Roma, 8 settembre 1935.

Alessandrini, recentemente ritornato da Bled, ha, in seguito a mia richiesta, presentato il seguente pro-memoria (l):

«a) -Il Governo jugoslavo è pronto a dare concreta prova del vivo suo desiderio di accelerare quel processo di détente nelle relazioni itala-jugoslave che, iniziatosi nel gennaio scorso, ha poi dovuto seguire arresti e remare per causa delle note ragioni di politica interna e per le dimissioni del Gabinetto Jeftic.

b) -Non sembra esser dubbia l'intenzione, o quanto meno la speranza del Governo jugoslavo di giungere, attraverso tale processo di chiarificazione, a trattative e ad accordi diretti fra i due paesi, indipendentemente, nella realtà e forse anche nella forma, da legami e connessioni con la Piccola Intesa e con l'Intesa balcanica ed all'infuori anche, se necessario, dell'egida francese. Il Governo del signor Stojadinovic, preoccupato sopratutto della situazione interna e della situazione economica, è infatti, sempre più portato a trascurare ed a mal tollerare i:n politica estera le inquietudini e le complesse combinazioni della consorteria piccolo-intesista e balcanica che esso ben sente basarsi sopra tutto sulla speculazione dell'apporto militare jugoslavo. Cosi come esso sembra dar segni di insofferenza verso la tutela francese, tradizionalmente pesante ed incomoda. Le asserite simpatie di Stojadtnovic per una intesa con la Germania non si sono in pratica concretate in alcuna manifestazione effettiva nè si sono comunque dimostrate paragonabili alle precise testimonianze da esso date in favore di una intesa con l'Italia. Dipende in ogni modo da noi l'impedire che la notoria scarsa sensibilità di Stojadinovic in materia di politica estera abbia a facilitare, attraverso le intese economiche, quella intesa jugoslavo-germanica che sarebbe indubbiamente a noi pregiudizievole, anche se larvata e basata solo su semplici accordi economici e culturali.

c) -La previa chiarificazione dei rapporti itala-jugoslavi sembrerebbe, secondo il pensiero di Belgrado, dover essere effettuata con lo sbarazzare il terreno dalle più importanti questioni che rappresentano un ostacolo, o comunque un punto di discussione fra i due Paesi. Esse sarebbero fissate in diciotto punti, di cui non mi è stato possibile conoscere subito a Bled l'esatta enunciazione. Ho tuttavia saputo che i due più importanti fra essi riguarderebbero: a) la conclusione di un Trattato di commercio che dia una ragionevole soddisfazione agli interessi jugoslavi pur tenendo conto dei nostri; b) la

condanna degli arrestati di Torino Pavelic e Kvatemik, da parte delle nostre Autorità Giudiziarie, ad una condanna qualunque che verrebbe resa di pubblica ragione della stampa jugoslava, con breve comunicato, senza alcun commento. Il Governo jugoslavo si disinteresserebbe realmente e completamente, in seguito, della sorte dei noti croati residenti in Italia.

Seguirebbero, con gli altri «punti», la questione degli Asburgo, ed altre minori. Nessuna questione territoriale nè relativa alle nostre minoranze allogene sarebbe contemplata.

d) -La liquidazione delle questioni fissate dai vari punti, liquidazione alla quale il Governo jugoslavo, avrebbe fiducia di giungere con relativa facilità, dovrebbe esser seguita da trattative che, passando dal campo negativo a quello positivo, incidessero quanto più possibile nel vivo e nel profondo degli interessi e delle aspirazioni dei due paesi fino a giungere una intima intesa economica e culturale ed a saldi accordi militari.

e) -Per tale decisa opera il Governo jugoslavo sarebbe pronto a prendere l'iniziativa di chiedere, attraverso la Legazione in Roma, a S. E. il Capo del Governo di autorizzare e disporre un incontro in Ital1a del signor Stoyadinovic con S. E. Suvich. Tale richiesta verrebbe effettuata quando il R. Ministro a Belgrado ne significasse privatamente la tempestività e la opportunità.

Nel sottoporre a V. E. le considerazioni di cui sopra mi permetto di attirare la sua cortese attenzione sul fatto che, come anche il Conte Viola pienamente ritiene, da osservazioni compiute in un ambiente particolarmente sensibile come quello di Bled, sembra risultare certo esser questo il momento più favorevole per una nostra diretta e decisiva presa di contatto con la Jugoslavia.

Le incertezze infatti della politica interna jugoslava e le recenti inquietudini croate, mentre sono ben certamente destinate a non influire affatto, nè oggi nè domani, sulla integrità jugoslava e sull'unità, del paese, sembrano invece consigliare il Governo di Belgrado, in sede di trattative con noi, ad una più conciliante condotta, sia nell'atteggtamento generale sia nelle singole richieste.

Tale favorevole atteggiamento, è, del resto, già provato dalla sufficiente obbiettività e spesso dal favore con il quale la stampa jugoslava segue e commenta gli sviluppi della vertenza itala-etiopica».

Nel trasmettere la relazione soprariportata prego la S. V. di voler cortesemente far conoscere su di essa il Suo avviso accompagnato possibilmente da precisioni per quanto si riferisce ai 18 punti cui si accenna nella relazione stessa e da indicazioni relative alla opportunità, nell'attuale momento, di un eventuale incontro tra il signor Stojadinovic e me, incontro che S. E. iJ Capo del Governo, non sarebbe alieno dal disporre e che dovrebbe avere un previo carattere chiarificatore dei rapporti fra i due paesi (l).

(l) Nel telegramma sono annesse le prime due frasi dell'appunto di Alessandrini che dicevano: «Durante il mio ·recente soggiorno a Bled ho avuto occasione di intrattenermi con alcune personalità jugoslave, incontrate ad una colazione presso S.A.R. il Principe Reggente e con numerosi ex miei colleghi ed amici del Corpo Diplomatico accreditato a Belgrado. Dal complesso delle informazioni assunte e delle dichiarazioni fattemi possono essere in certo modo dedotte le seguenti osservazioni e considerazioni nelle quali il R. Ministro a Belgrado pienamente concorda».

(l) Per la risposta di Viola vedi D. 152.

70

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. R. 1609/121 R. Roma, 9 settembre 1935, ore 2.

Comunichi a Gombos che ho ricevuto e letto la nota del Governo ungherese concernente il Patto Danubiano (1). Sono soddisfatto di constatare che Governo ungherese dimostra una effettiva buona volontà e che sue osservazioni ai singoli articoli non sono tali da compromettere l'accordo. Significhi tuttavia a Gombos che a conclusione tale accordo Italia non intende arrivare prima della soluzione crisi !taio-etiopica e italo-inglese (2).

71

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 1615/75 R. Roma, 9 settembre 1935, ore 1,30.

Far sapere a Lavai che abbiamo avuto la risposta dell'Ungheria (l) ne1la questione danubiana; l'Ungheria è ben disposta grazie ai nostri consigli e si presenta la possibilità di avviarsi verso la conclusione dell'accordo stesso. Naturalmente tutto ciò andrebbe per aria se si venisse ad una rottura a Ginevra (3).

72

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5542/162 R. Ginevra, 9 settembre 1935, ore 18,22 (per. ore 20,15).

Trovandomi con Rustu Aras, ho portato il discorso sul tema delle proposte, di cui ai telegrammi nn. 3312 (4) e 4978 (5) della R. Ambasc·tata ad Ankara in data 11 giugno e 21 agosto.

(-4) Vedi serle ottava, vol. I, D. 365.

Rtistti Aras ha detto di ritenere che gli accordi esistenti fra l'Italia e la Turchia siano sufficienti e che è piuttosto attraverso lo spirito e le modalità della loro applicazione, che non attraverso nuove convenzioni, che si potrà giungere a un rafforzamento delle relazioni italo-turche. In tal senso si riprometteva di parlare a Galli egli stesso. Dato ciò, ho creduto più opportuno lasciare cadere la conversazione su questo argomento.

Profittando delle buone disposizioni del momento e della visibile soddisfazione turca per l'allontanamento della minaccia italiana dell'Asia Minore, l'ho sondato suLl'atteggiamento turco nello sviluppo futuro del conflitto italoetiopi:co. Tralascio le sue proteste di amicizia. Esse erano però accompagnate da precise assicurazioni:

l) che Turchia sarà adesso contro sanzioni; 2) che egli si sarebbe tenuto a nostra disposizione nel fiancheggiamento diplomatico e politico alla nostra azione etiopica. Data la limitata fiducia che si può avere nell'uomo, attendo di vedere alla prova dei fatti a che punto queste assicurazioni saranno confermate dal suo comportamento nel Comitato dei Cinque prima di riprendere con lui qualunque discussione di argomento politico.

(l) -Vedi D. 66. (2) -Per la risposta vedl D. 88. (3) -Per la risposta vedi D. 98. (5) -lbid., D. 778.
73

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5545/163 R. Ginevra, 9 settembre 1935, ore 19,05 (per. ore 20,50).

Beck, col quale Ambasciatore Bastianìni [aveva invitato] a tenermi in continuo contatto, mi ha fatto sapere che di sua iniziativa avrebbe fatto presente Sir Samuel Hoare che ritiene necessario per la situazione europea evitare che una questione africana possa condurre Inghilterra e Italia a modificare loro relazioni. Nelle questioni europee, alle quali anche la Polonia è direttamente interessata, Italia rappresenta fattore indispensabile.

Egli sa che discorso Litvinov è dispiaciuto a Lavai, anche per ragioni di politica interna francese e che si è prodotto un certo raffreddamento nei rapporti personali fra i due. A quanto gli consta Lavai continua nelle sue favorevoli disposizioni verso l'Italia, nonostante attività e manovre della Seconda Internazionale la quale, egli considera, ha ricevuto un grave scacco dall'azione conciliativa del Comitato dei Cinque.

Per suo conto, in seno a tale Comitato, Beck svolgerà azione appropriata appoggiandosi su nostro memoriaile e sua documentazione. sulla quale egli stesso va richiamando attenzione altre Delegazioni, specialmente balcaniche e scandinave.

74

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5556-5554/587-588 R. Parigi, 9 settembre 1935, ore 21 (per. ore 2 del 10).

Riassumo lungo colloquio avuto stamane con Lavai.

Dettomi avere apprezzato contegno calmo del Governo italiano dopo increscioso incidente Jèze. Accennato difficoltà avuta per costituzione Comitato Cinque. Espresso opinione che sarebbe stato pericoloso nominare relatore Tevfik Aras, e ritenere Madariaga più ada,tto, perché sembragli meg.Iio disposto. Ritornato sopra la proposta di Parigi (1), respinta da Aloisi, ripetendo avere R. Governo avuto torto non considerarla meglio perché facoltà organizzare polizia avrebbe permesso Italia impadronirsi in >realtà dell'Abissinia, dato che essa avrebbe potuto sostenere con ragione che popolazione civile doveva deporre armi.

Ho risposto sarei stato molto esplicito con lui. Proposta fatta ad AJoisi non poteva avere sorte dive~rsa, perché implicava stipulazione di un Trattato a quattro con partecipazione Abissinia, nonostante che questo Stato violò sistematicamente impegni assunti. Perché dovevamo assumerne uno nuovo? Inoltre non poteva riuscirei gradita partecipazione di Francia e Inghilterra all'opera delle riforme. Sapevamo che, da parte della Francia, collaborazione sarebbe stata solo nominale, ma era lecito, anzi giustificato, nutrire preoccupazioni circa intenzioni reali dell'Inghilterra, dato che essa non aveva consentito a riconoscerei situazione privilegiata politica, oltre che economica.

Lavai riconobbe giusta mia osservazione circa compartecipazione due Stati che anche a lui, al posto nostro, non sarebbe piaciuta. Disse che avevamo però fatto male volere ottenere dall'Inghilterra riconoscimento esplicito nostri interessi politici in Abissinia, dato che esso era implicito nella proposta fattaci. Inghilterra fu, in fondo, contenta nostro rifiuto, perché sarebbe stata molto imbarazzata sottoporre proposta Negus, che l'avrebbe probabilmente rifiutata. Mi domandò se credessi che proposta più vasta, con maggiori facoltà, sopratutto d'ordine militare (diritto di guarnigione) avrebbe avuto qualche probabilità di essere accolta dal Duce. Egli ne dubitava sembrandogli che Duce fosse ormai deciso all'azione. Ho risposto a Ginevra non si pensava ormai più a salvare la

S.d.N. ma ad inscenare una lotta ad oltranza contro H fascismo. Si erano coalizzate contro di esso tutte le forze palesi ed occulte contrarie, da Litvinov al delegato messicano, che agivano evidentemente dietro ordini della massoneria, dagli ordini impartiti dal Grande Oriente alle rivelazioni di Madame Tabouis, alle delegazioni del fronte popolare che si erano recate in Svizzera per influire sopra di lui, Lavai. Duce è creatore del fascismo. Ad una simile azione, diretta a rovesciare propria creatura, che cosa si prentendeva che egli rispondesse? Poteva avere simili illusioni solo chi non lo conosce. Pensasse Lavai che vi erano

200 mila uomini pronti a varcare il confine e pensasse pure quanto più presto fosse terminata impresa in Africa tanto maggiore sarebbe stato peso della potenza militare italiana in Europa per garantire sicurezza anche della Francia e pace mondiale.

Lavai ebbe parole molto forti per passo fatto e per azione svolta dal fronte popolare per indurlo mutare atteggiamento. Riconobbe che era ingaggiata lotta in pieno contro il fascismo ed ammise che questa situazione aggravava le cose. Ripetè, per altro, domanda se credevo che il Duce avrebbe accettato una soluzione diversa dalla guerra, perchè era questo soltanto che si voleva evitare. Egli sapeva benissimo che noi intendevamo occupare militarmente l'Abissinia, lo comprendeva e non lo disapprovava. Suoi sforzi erano rivolti precisamente a trovare una formula che ci desse questo diritto in pieno, girando però l'ostacolo della dichiarazione di guerra dell'Italia all'Abissinia.

Ho risposto a Lavai che ieri il Duce aveva detto' a Roma agli ex combattenti che l'Italia desiderava pace accompagnata dalla giustizia. Occorreva meditare parole del Duce e metterle in relazione con le altre da lui pronunciate per dichiarare che l'Italia andrà fino in fondo con senza e contro Ginevra. La guerra avrebbe potuto essere evitata se si fosse riconosciuto all'Italia il diritto di garantirsi proprio territorio e di possedere in Abissinia un vasto campo di attività coloniale pacifica, cioè protetto dalle proprie forze armate. Era questa la giustizia di cui aveva parlato il Duce.

Lavai allora disse che così la pensavano in fondo anche i propri avversari più accaniti, i socialisti di Francia, e mi lesse da cima a fondo articolo di Blum sul Populaire di stamane che feci trasmettere integralmente a Roma ed a Ginevra. Salvo le parole ingiuriose contro Mussolini, disse Lavai, articolo avrebbe potuto essere scritto da un fascista o dal migliore amico dell'Italia.

Mi informai dello stato d'animo degli inglesi. Lavai rispose che Eden era duro. Chiesi se avesse menzionato le sanzioni. Rispose che non se ne era fatto parola anche perchè [egli] aveva creduto dichiarare fino dal primo momento a Ginevra che di esse non si poteva nemmeno fare menzione fintanto che non vi fosse stata [dichiarazione] di guerra.

Chiesi che cosa ci fosse di vero nelle voci secondo cui si studiava situazione dell'Iraq per vedere se si potesse proporre una soluzione analoga per l'Abissinia; rispose che egli aveva parlato agli inglesi già a Parigi dell'Iraq. Allora non ci si volle pensare, mentre ora si era esaminata la cosa. Pareva però che gli inglesi vi avessero delle basi aeree. Sarebbe meglio esaminare la situazione dell'Egitto in cui gli inglesi avevano diritto di guarnigioni assai lato.

Osservai che vi era per altro una grande differenza fra Egitto ed Abissinia essendo il primo un paese civilizzato mentre il secondo era abitato da popolazione selvaggia e guerriera.

Lavai rispose che, ammesso nostro diritto di occupazione mUitare Abissinia, il modo con cui noi avemmo eseguito operazioni di polizia coloniale non avrebbe riguardato più S.d.N. Egli non dispera ancora di poter trovare una soluzione. Procurassi di fare conoscere a Roma esatto il suo pensiero e di far comprendere che la sola cosa che egli voleva si evitasse era la dichiarazione di guerra.

Come ultima cosa mi domandò se io credessi che l'Italia si sarebbe opposta a firmare un Trattato a due con l'Abissinia così come Francia aveva fatto col Bey di Tunisi e col Sultano del Marocco. Risposi che il Trattato di Uccialli era un trattato a due, che non era stato eseguito dal Negus. Per considerare eventualità firma di un altro Trattato bilaterale, sarebbe stato necessario che esso contenesse clausola della immediata esecuzione della parte riferentesi alla occupazione del territorio abissino dalle truppe italiane. Ripetevo che avevamo 200 mila uomini ai confini dell'Etiopia.

Lavai chiese che cosa sarebbe accaduto se i ras si fossero rivoltati contro il Negus nel caso egli avesse firmato un Trattato con l'Italia. Ho risposto che avrebbe continuato le operazioni di polizia coloniale e non già le operazioni di guerra, conforme ai suoi desideri.

Terminando Lavai [osservò] che [ogni] determinazione è complicata dalla sessione dell'Assemblea della Società delle Nazioni che quest'anno è numerosissima. Tutta questa gente infatuata di politica e di liberalismo avrebbe avuto pessima impressione sopra membri del Consiglio e giornalisti. Ciò non gli avrebbe impedito di lavorare inspirandosi alla sua grande amicizia per l'Italia anche perchè compito gli sarebbe stato in anticipo facilitato da collaborazione di Aloisi, di cui aveva nuovamente e sinceramente ammirato comportamento nella difficile situazione in cui egli era venuto a trovarsi nei giorni scorsi.

(l) Vedi serie ottava, vol. I, D. 757.

75

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 1616/76 R. Roma, 9 settembre 1935, ore 24.

Tenendo conto del desiderio dell'Austria di sollecitare lavori per conclusione Patto danubiano, V. E. potrebbe dire al Signor La val che occorrerebbe ora ottenere le osservazioni di tutti gli altri Paesi partecipanti alle trattative come già sono state ottenute a nost,ra cura quelle dell'Austria e dell'Ungheria. Per la Germania sappiamo già che fino ad ottobre sarebbe difficile avere una sua risposta, ma nel frattempo potrebbero rispondere Londra, Varsavia e la Piccola Intesa.

Per Sua norma tenga conto che pur volendo sollecitare i lavori per riguardo all'Austria non intendiamo d'altra parte venire alla conclusione dell'accordo fino a che la questione italo-etiopica con le sue eventuali complicazioni non sia stata risolta (1).

(l) Per la risposta vedi D. 98.

76

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI

T. 1617/119 R. Roma, 9 settembre 1935, ore 24.

S. E. Aloisi telegrafa da Ginevra quanto segue:

«Da informazioni molto attendibili mi risulta che Governo spagnolo aveva deciso dichiarare suo disinteresse per vertenza etiopica, ma che Madariaga prevenuto questo Ambasciatore Francia sarebbe riuscito ad impedire tale dichiarazione.

Ove notizia rispondesse a verità, sarebbe il caso di continuare pressione presso quel Governo, anche per ottenere che moderasse il massimo iniziativa di Madariaga Presidente del Comitato dei Cinque per l'Etiopia».

Tenendo presente anche quanto comunicato da V. E. con telegrammi 183 (1), 194, 195, 196 (2), prego V. E. volere interessare codesto Ministro di Stato nel senso richiesto da S. E. Aloisi, e perché invii a Madariaga istruzioni mantenere atteggiamento a noi favorevole in armonia con dichiarazioni fa.tte anche da codesto Presidente del Consiglio essere cioè questione etiopica questione di carattere essenzialmente coloniale e come tale doversi quindi considerare (3).

77

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, VOLLGRUBER

APPUNTO. Roma, 9 settembre 1935.

Il Signor von Vollgruber è venuto a trovarmi di ritorno dalla licenza. Ha parlato con Berger Waldenegg non con il Canc·elliere che era assente.

Berger-Waldenegg gli ha detto di essere continuamente sotto pressione da parte tedesca per fare un accordo a due; egli avrebbe grande interesse a che fosse conchiuso al più presto il Patto Danubiano; ha impressione che gli ungheresi pur facendo qualche opposizione finiranno per l'aderire. Nel frattempo Berger continua a tirare avanti le cose con va'fi pretesti, ma si avvicina il momento in cui dovrà dare una risposta precisa.

La situazione in Austria non è cattiva; Berger gliel'ha descritta nel modo seguente: a Vienna buona; in Austria inferiore ottima; in Austria superiore c'è un certo movimento nazista ma non preoccupante; in Salisburgo dopo la stagione turistica che è stata eccezionale la situazione è molto confortante, si calcola che ·i nazisti siano ridotti al 20 %; in Tirolo i nazisti sono molto attivi, ma non hanno presa sulla popolazione; in Vorarlberg la situazione è buona; in

Stiria il nazismo è discretamente attivo, ma il Land è in istato di occupazione -così ha definito la situazione Berger che è il capo delle forze heimwehriste della Stiria -; in Carinzia la situazione è sempre piuttosto cattiva. Anche la stagione turistica è stata poco buona in questo Land.

Il Ministro Berger si riserva di indicare qualche prodotto della Stiria che potrebbe essere acquistato dall'Italia.

A proposito del convegno del gruppo alpino austriaco germanico di Bregens, il Ministro mi ha detto che vi era molta aspettativa in quella località per i denari che avrebbero portato i germanici. Ne sono arrivati 350 col corrispettivo di 30 marchi ciascuno; al secondo e terzo giorno non potevano più spendere un soldo ed erano in difficoltà di pagare lo stesso conto di albergo. Ciò ha agito in senso molto demoralizzante sui nazisti (l).

(l) -Vedi ser~e ottava, vol. I, D. 838. (2) -Vedi D. 53. (3) -Per la dsposta di Pedrazzi vedi D. 84.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVlCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 9 settembre 1935.

l) Prospettare a Lavai la seguente situazione: il Comitato dei Cinque avrebbe dovuto occuparsi delle accuse contro l'Abissinia ed invece tende a cercare un compromesso. Ciò vuoi dire che sottoporrà delle proposte all'Italia. È chiaro che se le proposte rimarranno nei limiti di quelle fatte a Parigi, da parte italiana non potrà venire che un rifiuto. È chiaro anche che questo rifiuto può aggravare la situazione e forse farla precipitare. Si vorrebbe ora sapere da Lavai quale sia il suo programma per il lavoro del Comitato e quali siano le previsioni sul futuro andamento delle cose a Ginevra.

2) Sarebbe sommamente interessante assicurarci fin d'ora almeno un voto contrario per impedire l'unanimità nelle decisioni del Consiglio quando Io stesso volesse agire in base all'art. 15. L'unico membro del Consiglio che potrebbe assumere una posizione indipendente (il caso della Francia e di altri che potrebbero seguire la Francia come la Cecoslovacchia sarà determinato da altri fattori) pare essere la Polonia. Si potrebbe sondare fin d'ora cautamente la Polonia per sentire se essa sarebbe disposta a seguirei fino in fondo e cioè:

-votare contro eventuali proposte conciliative quando non fossero ritenute sufficienti per dare soddisfazione all'Italia;

-votare contro il rapporto che il Consiglio farebbe in base all'art. 15;

-votare contro le eventuali sanzioni che fossero proposte contro l'Italia. È chia:ro che un simile atteggiamento della Polonia rappresenterebbe per noi in questo momento un notevolissimo vantaggio, che potrebbe essere pagato

da parte nostra con un trattato di amicizia con la Polonia o qualche cosa di simile. Bisognerà incaricare la Delegazione a Ginevra di questo sondaggio (1).

3) Il punto veramente delicato per noi si presenterà quando ci troveremo di fronte a delle proposte concrete da parte del Consiglio: bisognerà allora risolvere se rispondere con un generico «fin de non recevoir » oppure se entrare nel merito facendo deHe obiezioni che rispondano na.turalmente rigidamente al nostro punto di vista. Ma per decidere questo punto converrà attendere la risposta del signor Lava! e vedere quali sviluppi prendano nei prossimi giorni i lavori del Comitato dei Cinque (2).

(l) Ritrasmesso a Vienna con Telespr. 231544 del 10 settembre 1935. Il presente documento reca il visto di Mussollni.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'ALTO COMMISSARIO PER LE COLONIE DELL'AFRICA ORIENTALE, DE BONO (3)

T. 10165. Roma, 10 settembre 1935, ore 2.

Rispondo col presente alla tua lettera del 2 settembre n. 16 e al tuo telegramma 12132 ( 4).

Premesso che movimenti militari devono sincronizzarsi con situazione politica generale ti comunico che mia parola d'ordine ti arriverà non prima dell'epoca di cui parli nel tuo telegramma odierno (5). Probabilità aumenteranno ogni giorno trascorsa quell'epoca. Hai quindi tempo per prepararti in maniera integrale per una azione di vasta portata come nel piano approvato non per il «colpo di mano» operazione che in genere non gode le mie simpatie. Importante ai fini politici è l'incidente che deve originare il movimento. Basta che defezione Ras e nostro sconfinamento siano simultanei. Telegrafa che «sta bene» e lavora tranquillamente ora che la tua fatica -grande e universalmente riconosciuta -tocca i,l suo primo obiettivo (6).

80

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5553/153 R. Mosca, 10 settembre 1935, ore 2,10 (per. ore 4,15).

Ho avuto ieri un lunghissimo colloquio col signor Krestinski, Primo Commissario del Popolo agli Affari Esteri, che ha la reggenza di quel Dicastero in assenza di Litvinov.

La conversazione si è aggirata sugli ultimi avvenimenti di Ginevra. Ne ho profittato per dirgli che, se pure avessi apprezzato il discorso del signor Litvinov per il suo equilibrio e, come Ambasciatore d'Italia, a Mosca molto mi fossi compiaciuto per la constatazione che questi aveva sulla cordialità d·ei 'rapporti tra l'Italia e la Russia, non mi rendevo ben conto delle sue eccessive preoccupazioni per l'esistenza della S.d.N. Sull'utilità della S.d.N., il signor Krestinsl.d aveva però qualche illusLone, considerandola organismo capace sino ad un certo punto di evitare la guerra.

Egli conveniva con me che la storia della sua esistenza aveva costantemente dimostrato l'inettitudine della Lega delle Nazioni, ma osservava che appunto perciò era desiderabile che una buona volta essa fosse messa in condizione di funzionare. Ho risposto che ciò mi pareva impossibile almeno sino a tanto che tale organismo rimanesse uno strumento passivo in mano dell'Inghilterra che l'adoperava ai propri fini imperialistici.

A questo punto il signor Krestinski mi ha interrotto osservando che, se la S.d.N. lo era, non lo era certamente la Russia. Ne ho preso atto, aggiungendo che su ciò non avevo alcun dubbio persuaso come ero che, nei riguardi dell'Inghilterra, la Russia come l'Italia avevano niente da sperare e molto da diffidare.

(l) -Vedi D. 83. (2) -Sui paragrafi l) e 2) Mussolini, le@gendo il dO<:umento, ha scritto «Si>>. (3) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (4) -Non pubblicati. (5) -Vedi D. 202. (6) -Con T. 12310 del 10 settembre 1935 De Bono rispondeva: «Sta bene anzi molto bene. Nessun più di me nemico del colpo di mano che scombussolava piani specialmente logisti'Ci e che adottavo solo per obbedire quanto tu mi avevi scritto e fatto dire da Dall'Ora essere necessario poter fare da data oggi in poi».
81

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5543/169 R. Ginevra, 10 settembre 1935, ore 3,03 (per. ore 4,50).

È venuto a vedermi Madariaga quale Presidente del Comitato dei Cinque accompagnato dal Segretario Generale Avenol. Ho subito dichiarato che non riconoscendo legittimità del Comitato costituito senza partecipazione italiana, non potevo in alcun modo discutere con lui. L'ho anzi autorizzato a mettere a verbale questa mia premessa inderogabile che trovava nuova conferma e giustificazione nel fatto che Comitato aveva costituito una sotto-commissione incaricata di studiare il memorandum italiano, in cui travasi rappresentante britannico mentre l'Italia non ha possibilità di illustrare e difendere la sua tesi.

Madariaga mi ha chiesto allora se a titolo privato potevo dirgli in quanto e perché il Governo italiano non aveva creduto di poter accogliere proposte fattegli a Parigi. Ho risposto che lo stesso Eden poteva confermargli che inglesi non avevano voluto riconoscerei predominanza interessi politici ma solo economici, e che per di più proposte ci erano state presentate non come un punto di partenza di negoziati, ma come il massimo delle concessioni possibili.

Madariaga mi ha domandato poi se potevo precisare opportunamente quali potrebbero essere le proposte accettabili dall'Italia, pur riservandosi di vedere se esse potevano trovare un modo di accoglimento tanto nella sostanza quanto nel quadro della S.d.N. Sono stato estremamente cauto, riconfermando innanzi tutto necessità assoluta del disarmo dell'Etiopia e rimandando alle conversazioni che

v. E. ha accordato a Eden a Roma. Lo ho quindi esortato ad un accurato studio del memo11andum, ciò che Madariaga e Avenol hanno riconosciuto indispensabile pregando di autorizzarli a mantenere ulteriori contatti con me, pur nella forma del tutto privata che ho in ogni modo riaffermata e sottolineata. Ho promesso loro che soltanto a titolo privato invierò gli esperti italiani per illustrare gli aspetti tecnici del nostro memoriale e delle dichiarazioni che ho fatto a nome del R. Governo.

In ultimo Madariaga mi ha chiesto la mia impressione sui lavori del Comitato. Ho espresso il mio completo scetticismo sulla loro riuscita.

82

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CAPO DI GABINETI'O, ALOISI, A GINEVRA

T. s. 1619/77 R. (1). Roma, 10 settembre 1935, ore 17,45.

Per sua norma Le comunico che Ministro Esteri Paesi Bassi ha fatto a ministro accreditato all'Aja, dichiarazioni nettamente ostili all'Italia nei riguardi conflitto africano.

83

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. s. 1620/78 R. Roma, 10 settembre 1935, ore 17,15.

Suo 163 (2).

Sta bene azione che proponesi svolgere Beck. Ma occorre specificatamente fargli presente che Polonia può fare cosa veramente utile approfittando sua partecipazione Comitato Cinque. Tendenza Comitato sarà infatti porci dinanzi ad una proposta di stile societario che tutto fa prevedere per noi insoddisfacente ed inaccettabile.

Delegato polacco dovrebbe già in seno al Comitato prendere atteggiamento contrario a tale proposta, facendo presenti buone ragioni italiane. Conseguentemente dovrebbe astenersi dalla votazione o votar contro, di modo che proposta vada al Consiglio senza l'accordo dei Cinque. Nel Consiglio il Delegato polacco dovrebbe mantenere lo stesso atteggiamento contrario, in base al mancato accordo del Comitato, e far venir meno la necessaria unanimità, verificandosi così il caso previsto al paragrafo sette dell'articolo quindici del Covenant.

Per cercare di ottenere cio, occorre V. E. intensifichi e precisi meglio sua azione su Beck con l'offerta da parte nostra di restituire a suo tempo e ove le circostanze lo domandino, la collaborazione che oggi gli chiediamo. Situazione internazionale Polonia è tale che più di ogni altro paese può tornarle utile, se non indispensabile, in un determinato momento, una precisa collaborazione diplomatica del genere di quella che essa dovrebbe ora prestarci.

Nel caso eventuale richiesta precisazione da parte polacca telegrafi per ulteriori istruzioni (l).

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 73.
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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5594/203 R. Madrid, 10 settembre 1935, ore 23 (per. ore 3,45 dell'11).

Telegramma di V. E. n. 119 (2).

Colloquio tra Madariaga e Ambasciatore di Francia opportunamente riferito da Aloisi, non risulta qui [confermato]. Molto probabilmente è demagogica vanteria del delegato spagnuolo. Governo è stato assai più preoccupato di noi lasciare a Madariaga troppa libertà d'azione ed ha mandato a Ginevra Direttore Affari Politici Aguillar perché fosse presso Madariaga interprete limiti che Governo pone dichiarazioni fatte al suo zelo societario. Sta però di fatto che Madariaga tende sempre più ad incitare Governo spagnuolo verso disciplina societaria e che sua azione è duplicato esempio inglese con pressioni politiche che si esercitano direttamente a Madrid nonché da pressione dei partiti estremisti, che hanno aumentato loro campagna contro guerra. Per ora Governo resta su posizioni già da me telefonate.

Nell'assenza Ministro Esteri sono stato oggi da Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri per dirgli ottima impressione fatta in Italia da dichiarazioni Lerroux (telegramma di V. E. n. 118) (3) e da comunicati ufficiosi dati alla stampa dopo ultimo Consiglio dei Ministri. Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri mi ha detto che Spagna conf.ida nella buona volontà di tutti per giungere a soluzione soddisfacente aggiungendo che Italia aveva già dato prova questa buona volontà presentandosi a Ginevra.

Nello stesso tempo pressione Madariaga verso Governo si farà più insistente con lo stringere degli avvenimenti e, se posso dare un consiglio a nostra Delegazione, pregherei curare particolarmente contatti con Aguilar, che è vero depositario direttive e pensiero Governo spagnuolo.

(l) -Per la risposta vedi D. 96. (2) -Vedi D. 76. (3) -Vedi D. 68.
85

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 10 settembre 1935.

Richiamo l'attenzione del signor Chambrun sul recente atteggiamento della stampa francese che non è favorevole all'Italia. Anche i giornali che avevano sostenuto la tesi itali!l!na (cito fra l'altro il D'Ormesson) hanno assunto un atteggiamento a noi contrario. Anche il discorso di Jèz·e, cittadino f·rancese, non è valso ai fini della intesa franco-italiana.

L'Ambasciatore Chambrun ha già notato questo atteggiamento della stampa; se ne dimostra vivamente contrariato; si riserva di richiamare ancora su questo fatto l'attenzione del signor Lavai.

A proposito dei lavori di Ginevra chiedo al signor Chambrun se egli sappia quali sono le intenzioni del signor Lavai riguardo lo sbocco della procedura ivi in corso. Il signor Lavai ha appoggiato la costituzione del Comitato avendo un programma determinato, e lo ha fatto soltanto perché riteneva di non potere agire diversamente. Ad ogni modo devo richiamare l'attenzione dell'Ambasciatore sul pericolo di tale procedura: H Comitato dei Ctnque farà probabilmente delle proposte che, dato il modo di come si presentano le cose, non potranno essere da noi accettate; e allora si può venire a quello shock che la Francia intende invece evitare.

L'Ambasciatore pensa che le proposte possono essere tali da meritare la nostra considerazione: egli resta sempre d'opinione che un'azione militare fatta dopo raggiunto l'accordo sarebbe molto più vantaggiosa per noi che un'azione fatta senza l'accordo. Nel primo caso noi avremo la massima libertà di azione e non avremo opposizione da parte delle altre Potenze. La sua formula sarebbe: «la paix avant, la victoire après ».

Rispondo all'Ambasciatore che in pratica la cosa non è tanto semplice. Ci sarebbero fatte delle promesse per farci aderire al principio delle conversazioni, ma, una volta presi nell'ingranaggio, ci sarebbero tali pressioni sopra di noi per indurci a ridurre le nostre esigenze, che ad un determinato momento forse saremmo costretti a lasciare da parte ogni discussione per ricorrere alla guerra.

Oggi il problema si riduce in questi termini: la guerra non pare evitabile; le sanzioni da parte della S.d.N. non ci saranno se la Francia vi si oppone in modo assoluto. Rimane il pericolo di un conflitto italo-inglese di cui è stato parlato nell'ultima udienza concessa dal Capo del Governo all'Ambasciatore (l); ed è questo che bisogna evitare. La situazione che si è prospettata nel colloquio suaccennato di S. E. il Capo del Governo non è quindi mutata (2).

10 ·-Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

(l) -Vedi D. 13. (2) -Il .presente documento reca il v1sto di Mussolini.
86

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5570/173 R. Ginevra, 11 settembre 1935, ore 1,50 (per. ore 3,20).

I delegati Austria e Ungheria sono venuti a esprimermi loro intenzione reclamare domani dinanzi Assemblea parità diritti. Ho detto loro che non avevo alcuna abbiezione al riguardo, ma solo raccomandavo una certa moderazione.

Allo scopo poi di concilirure efficacemente loro tesi cC>n fiancheggiamento azione italiana, ho proposto includere nei loro discorsi un accenno alla dichiarazione sulle parità di diritti firmati a Ginevra fra i rappresentanti dell'Italia, Inghilterra, Francia e Germania nel dicembre 1932, dopo della quale si sono verificati due fatti nuovi molto significativi:

1° -ripresa unilaterale della libertà d'azione nei riguardi degli armamenti da parte della Germania; 2° -accordo separato di due dei firmatari tra loro, all'insaputa degli altri due e al di fuori de1la S.d.N. Entrambi delegati hanno accolto suggerimento e faranno un accenno a tali argomenti.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 10031/175 P.R. Ginevra, 11 settembre 1935, ore 1,50 (per. ore 3,45).

Berger dettomi che Riistii Aras gli ha espresso sentimenti molto italofili nei riguardi questione itala-etiopica, assicurando che nel Comitato dei Cinque avrebbe fatto tutto il possibile per dare soddisfazione alle giuste aspirazioni italiane pur cercando di tenere conto suscettibilità britannica. Molto probabilmente Aras ha scelto Berger per le sue confidenze per farle giungere fino a me. In ogni modo ho pregato Berger di continuare a raccogliere confidenze Aras e riferirmi.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5615/109 R. Budapest, 11 settembre 1935, ore 17,20

(per. ore 19).

Ho fatto al Presidente del Consiglio Gombos, testè rientrato in città, comunicazione prescrittami telegramma n. 121 (1), della quale egli ha preso atto pregandomi fare pervenire suo ringraziamento all'E. V.

Sotto impressione discorsi Attolico-Hitler e ultime notizie Ginevra preoccupazioni di cui al mio telegramma per corriere n. 037 (2) sembrano avere fatto nuovamente posto in lui all'ottimismo.

Linguaggio da lui oggi tenutomi è in ogni caso calmo, sereno ed intonato.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 5610/697 R. Londra, 11 settembre 1935, ore 20,28 (per. ore 23,25).

Da informatore confidenziale apprendo in questo momento che questo Ambasciatore di Francia avrebbe presentato al Governo britannico ieri sera una nota da parte del suo Governo, il contenuto sarebbe presso a poco il seguente:

«Considerato l'atteggiamento preso da Governo britannico nella questione abissina, interessa al Governo francese di conoscere in modo esplicito quale sarà l'atteggiamento dell'Inghilterra nel futuro nei riguardi problema della sicurezza europea e in particolare dell'indipendenza austriaca, e se il Governo britannico si dichiara sino da ora pronto a considerare tutte le questioni della sicurezza europea sullo stesso piano e alla stessa stregua con cui il Governo britannico considera oggi la questione etiopica. Il Governo francese ritiene di avere il diritto di posare questa domanda formale dato che in passato la politica del Governo britannico ha in qualche occasione dato motivo di far pensare che l'attitudine inglese potrebbe essere differente~.

Mi riservo controllare questa notizia di carattere fiduciario e confidenziale, e nuovamente riferire quanto mi risulterà in proposito (3).

(l) -Vedi D. 70. (2) -Vedi D. 63o (3) -Vedi D. 203.
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IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 10163/022 P.R. Tirana, 11 settembre 1935 (per. il 13).

Telegramma di V. E. n. 103 (1).

Invece di Villa, partito per Ginevra, Re Zog ha incaricato Beratti di definire con me i testi dei quattordici che si tratta di stipulare. Per affrettare i tempi ho preparato io stesso tali testi, attenendomi alle istruzioni di dettaglio impartitemi da V. E. e su di essi si stanno svolgendo in questi giorni i negoziati. Secondo è negli usi e nella mentalità del paese, le obiezioni albanesi sono numerose e tenaci e qualcune tali da rimettere in discussione anche punti già concordati in linea di massima. Mi sto adoperando per ridurre al minimo tali ostacoli. Spero di poter riferire nei prossimi giorni i risultati acquisiti. In tali condizioni di cose sarebbe affrettato fare previsioni di qualche precisione circa epoca conclusione. Ciò dipenderà:

l) trattandosi di accordi di indole tecnica, dalla maggiore o minore rapidità con la quale le varie amministrazioni interessate daranno il loro benestare alla stipula degli atti nella forma che verrà raggiunta;

2) dalla situazione politica locale che è grave e che è dominata in prima linea dal pericolo decisivo che può offrire la frontiera jugoslava.

Non è quindi da escludere qualche temporeggiamento di opportunità nei riguardi dei nostri accordi da parte del Re, la cui azione politica nel presente momento non appare ispirata alle sue consuete facoltà di apprezzamento della situazione ed alla sua ben nota abilità di manovra.

91

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, GOMEZ OCERIN

APPUNTO. Roma, 11 settembre 1935.

Ho convocato l'Ambasciatore di Spagna per dirgli che abbiamo apprezzato l'atteggiamento di neutralità assunto dalla Spagna che dichiara di non volere partecipare ad eventuali sanzioni.

L'Ambasciatore mi conferma che nel suo Paese c'è molta comprensione del punto di vista italiano.

(l) Con T. 10067/103 ·P.R. del 10 settembre 1935, ore 24, Suvich aveva richiesto: <<Prego telegrafare a che punto s'i trovino negoziati e se possa prevedersi prossJ.ma loro conclusione».

92

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEL MESSICO A ROMA, VASCONCELLOS

APPUNTO. Roma, 11 settembre 1935.

Ho convocato il Ministro del Messico per fargli presente la cattiva impressione che ha fatto in Italia l'atteggiamento preso dal Messico alla Società delle Nazioni.

Il Ministro del Messico non conosce il discorso del Delegato del suo Paese e mi prega di fargliene avere copia.

Gli rispondo che nel discorso non troverà naturalmente nulla che sia contrario ai trattati, ma ciò non toglie che le considerazioni fatte nel discorso, l'accenno al patto americano del 1933 che non riconosce le conquiste fatte con la forza, il momento in cui il discorso è stato pronunciato, mentre la gran parte degli altri Paesi mantiene ancora un atteggiamento riservato, hanno dato al discorso un carattere poco amichevole verso l'Italia.

Il Ministro è spiacente per questa impressione che si è avuta in Italia ed è sicuro che nelle intenzioni del suo Governo non c'è nulla di meno amichevole verso il nostro Paese ed è convinto che i buoni rapporti fra l'Italia e il Messico in avvenire non possono essere che rafforzati (1).

93

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 11 settembre 1935.

Secondo le istruzioni ricevute, ho fatto rilevare a questo Incaricato d'Affari di Germania, a nome di V. E. (2), H tono non simpatico, anzi spesse volte contrario, della stampa tedesca nei riguardi dell'Italia a proposito del conflitto italo-abissino, osservando che ciò contraddiceva -a tacer d'altro -col tenore delle dichiarazioni scambiate tra Hitler e il R. Ambasciatore a Berlino. L'Incaricato d'Affari tedesco, richiamandosi anche alle assicurazioni fornite recentemente a suo mezzo dal Governo tedesco nel senso che quest'ultimo avrebbe agito sulla stampa perché i giornali tedeschi tenessero il linguaggio dovuto, ha osservato che i commenti ora segnalatigli non rispondevano certo nè alle direttive, nè alle istruzioni governative, e ha assicurato che avrebbe informato il proprio Governo (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Il 10 settembre Mussollni aveva spedito ad Attollco il seguente telegramma autografo: «Ho qui sul tavolo un mucchio di giornali germanici dedicati alle vicende ginevrine e commenti affatto simpatici nei nostri riguardi Jéze ha avuto ad esempio u.na specie di trionfo nella stampa tedesca. Faccia intendere a Goebbels che non va».
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5630/178 R. Ginevra, 12 settembre 1935 (1).

Dopo un pranzo cui ieri sera Avenol aveva, a titolo privato, invitato a casa sua Guarnaschelli e Cerulli insieme con Madariaga, segretrurio Generale e Presidente del Comitato dei Cinque hanno per oltre due ore rivolto nostri esperti lunga serie domande su situazione interna Etiopia, sulla Chiesa, sull'esercito, sullo stato delle provincie conquistate, sulla proprietà terriera in Etiopia, alle quali Comm. Cerulli ha risposto esaurientemente, insistendo specialmente come condizione preliminare per qualsiasi sistemazione della questione etiopica sulla divisone fra Abissinia e Paesi recentemente conquistati.

Avenol ha osservato che tale nostra [richiesta] potrebbe essere motivata da due ordini di ragioni: o fondandosi su situazione anteriore conquista Abissinia Ce ciò gli appariva debole in quanto urtava contro concetto integrità territoriale Etiopia nei limiti riconosciuti all'ingresso S.d.N.) o fondandosi su questione schiavitù e trattamento popolazioni indigene -articolo 3 Patto argomento che gli appariva giuridicamente forte dal punto di vista ginevrino.

Avenol ha detto anche che, a suo avviso, proposte di Parigi potrebbero essere opportunamente migliorate: idea del Trattato a quattro potrebbe essere abbandonata, e ritenere invece quella alternativa della delega da parte del Consiglio della missione di assistenza alle tre Potenze; nella sua opinione Francia e Gran Bretagna sono disposte a disinteressarsi dall'esercizio dell'assistenza a favore dell'Italia; in ogni caso gli appare necessario assenso del Negus.

Madariaga ha, ad un certo punto, accennato che, secondo lui, una possi

bile soluzione del problema nell'ambito societario potrebbe essere quella di

affidare all'Italia la riorganizzazione dell'esercito etiopico: nella formula « rior

ganizzazione dell'esercito :. è, a suo parere, abbastanza ampia per venire incon

tro ai desideri italiani.

Avenol ha insistentemente accennato all'opportunità che l'Italia dovrebbe

chi·edere esplicitamente all'Inghilterra come questa intenda soddisfare i legit

timi bisogni di espansione italiana recentemente riconosciuti da Hoare alla

camera dei Comuni.

Avenol ha infine sottolineato necessità che proposte ginevrine circa Etiopia

siano formulate in modo da evitare che [piccoli] stati possono preoccuparsi di

creare così un precedente a loro sfavorevole alludendo in tal modo special

mente alle questioni revisione tra Stati e garanzia integrità.

(l) Manca l'indicazione delle ore di partenza e di arrivo. Si colloca qui in base al numero di protocollo particolare.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 5611/180 R. Ginevra, 12 settembre 1935, ore 2,15 (per. ore 3,40).

Stamane ho chiesto di vedere Lavai e, senza preamboli, gli ho detto che da molti segni mi pareva che la Francia fosse ormai arrivata a quel tale momento critico del bivio anglo-italiano, a proposito del quale lo avevo intrattenuto nello scorso maggio (mio appunto al Duce in data 26 maggio scorso) (l) ragione per cui credevo di avere il diritto di porgli la questione fino a che punto l'Italia potesse, da ora in poi, contare sul fiancheggiamento francese nella questione italo-etiopica. Lavai non ha potuto eludere la questione: ha convenuto essere questo per la Francia il momento critico.

Ieri sera egli ha avuto un lungo colloquio con Hoare il quale ha esercitato su lui una fortissima pressione, ponendo di nuovo e più fermamente la Francia dinanzi al problema di unirsi all'Inghilterra nella messa in opera di mezzi ritenuti necessari alla difesa del Covenant, nel qual caso l'Inghilterra avrebbe potuto fare altrettanto in qualunque altro caso consimile che nel futuro interessasse la Francia, ovvero di assumere la responsabilità di vedere l'Inghilterra disinteressarsi della S.d.N., una volta convinta della inutilità pratica del suo meccanismo. Quali possano essere questi mezzi necessari alla difesa del Covenant, Hoare non ha precisato, avendo anzi tenuto a riferirsi ad essi usando esclusivamente la parola «misure». La val ha però la certezza che trattasi di sanzioni economiche. Ha soggiunto che la duvezza della situazione non mutava le sue disposizioni verso di noi, per cui teneva ad assicurare della sua intenzione di adoperarsi in tutti i modi per ridurre al minimo i provvedimenti che eventualmente l'Inghilterra proponesse contro di noi.

Ho preso atto, osservandogli non sembrarmi che la Francia, che aveva saputo con tanto preciso calcolo quel che avrebbe perduto alienandosi l'Inghilterra, avesse con altrettanta esattezza valutato quel che può rischiare allontanandosi dall'Italia.

La mia impressione del colloquio è che l'Inghilterra deve avere fatto alla Francia serie proposte di interessamento alla organizzazione di un qualche progetto di sicurezza collettiva.

Prima di lasciarci, Lava!, che manifestava un certo scoraggiamento, mi ha fatto ancora una volta la vecchia domanda quali potrebbero essere le proposte capaci di soddisfare l'Italia. Gli ho risposto attenendomi alla consueta linea di intransigenza. Ha concluso dicendo che questa sera avrebbe incaricato Conte de Chambrun di fare una comunicazione a V. E. (2).

(l) -Vedi serle ottava, vol. l, D. 285. (2) -Non risulta che Chambrun sia stato ricevuto da Mussolinl nel giorni immediatamente successivi.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5652/183 R. Ginevra, 12 settembre 1935, ore 16,15 (per. ore 19,30).

Telegramma di V. E. n. 78 (1).

Ho intrattenuto Beck sul contenuto telegramma cui rispondo.

Ministro di Polonia, al quale in precedenza avevo fatto comunicare da

Bastianini l'oggetto della mia conversazione, ha insistito particolarmente sull'azione in nostro favore che egli ha già finora svolto in seno al Comitato dei Cinque; azione rivolta a costringere i suoi colleghi a considerare l'esame approfondito e la risposta al memoriale italiano come compiti precipui e pregiudiziali del Comitato dei Cinque. Beck ha aggiunto che, ancora prima iniziare lavori, egli si era energicamente adoperato per delimitare fuori della sua competenza la procedura dell'articolo 15 del Patto.

Dopo aver premesso tutto ciò per dimostrare coi fatti quali siano le disposizioni della Polonia verso l'Italia, mi ha confessato di non aver però, almeno per il momento, i poteri per impegnare il suo paese fino a votare contro eventuali sanzioni che venissero proposte al Consiglio. Evidentemente deve aver riportato, come tutti, grande impressione dal discorso Hoare e dall'irrigidimento francese verso di noi.

Ho serrato maggiormente da presso la questione prospettandogli l'utilità del gentlemen agreement che gli proponevo sia relativamente allo sviluppo dei rapporti italo-polacchi e sia relativamente al potenziamento della posizione di entrambi i nostri paesi nell'ambito della Lega. Ha mostrato di condividere pienamente le nostre idee, ma ha lasciato comprendere che non potrebbe ingaggiarsi su questa via senza avere consultato il suo Governo.

Concludendo, mia impressione è che Beck ha già fatto molto e molto ancora

farà nel Comitato dei Cinque per costringere l'attività del Comitato nei limiti

della risposta alle nostre accuse, senza sconfinare nell'art. 5. Qualora poi in

sede di Consiglio si parlasse di sanzioni, sono sicuro che si asterrebbe dal

votarle. Ma solo lo svolgimento degli avvenimenti e l'unanimità del Governo

polacco su questo punto potrebbe indurlo ad obbligarsi verso di noi a dare

l'unico voto contrario che accollerebbe su di sè tutte le ire inglesi, in quanto

che basterebbe rendere vano lo strumento delle sanzioni.

Mentre dunque io continuerò a svolgere presso Beck l'azione necessaria,

prego V. E. voler considerare l'opportunità di fiancheggiarla, facendo pervenire

una sua parola al Governo di Varsavia pel tramite dell'Ambasciata polacca

a Roma.

(l) Vedi D. 83.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (l). Roma, 12 settembre 1935, [pomeriggio].

Aloisi mi dice che il Comitato dei Cinque è rinviato a lunedì; il sotto comitato sta esaminando il memoriale italiano ed esaminerà poi la risposta abissina. Nel frattempo si sta cercando una soluzione conciliativa.

Lavai ha fatto ad Aloisi degli accenni che ad Aloisi paiono della massima importanza: ha detto che d'accordo con ringhilterra proporrebbero una soluzione che contempli il principio dell'espansione italiana e del disarmo controllato. Chiedo ad Aloisi cosa vo11rebbe dire questo principio della espansione italiana. Aloisi dice che vorrebbe dire la cessione delle colonie etiopiche.

Chiedo se con ciò si intenderebbe la cessione di tutte le zone periferiche conquistate negli ultimi cinquanta anni. Mi risponde che non sa se si tratti di tutte le zone periferiche, ma è stato accennato fra l'altro, a Kaffa; si è detto anche che Axum essendo città sacra, dovrebbe avere una occupazione internazionale.

Per quanto riguarda il disarmo controllato si tratterebbe di un'occupazione militare italiana che dovrebbe durare dai quattro ai cinque anni. La Società delle Nazioni non può mandare l'Italia sola e dovrebbe dare il mandato anche a qualche altra Potenza che non sarebbe nè la Francia nè l'Inghilterra; dopo quattro-cinque anni la situazione sarebbe riveduta d'accordo fra Italia e Abissinia.

Si proporrebbe di concedere all'Italia anche una f·errovia che unisca le due colonie, il che comporterebbe anche una cessione di territori lungo la ferrovia.

Si è parlato anche di costituire Gibuti punto franco; a ciò Aloisi ha risposto che questo è contrario ai nostri interessi.

La Francia e ringhilterra poi ci presterebbero l'assistenza finanziaria necessaria per mettere in valore i territori. Laval vorrebbe sapere poi esattamente quello che noi vogliamo.

Guarnaschelli e Cerulli si recano da Laval ad esporre la nostra tesi.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5661/184 R. Ginevra, 12 settembre 1935, ore 19,25 (per. ore 20,20). Telegrammi di V. E. 75 e 76

Ho fatto comunicazioni di cui ai predetti telegrammi a Léger non avendo potuto parlarne con Lavai.

Per quanto riguarda Piccola Intesa, Francia considera che risposte dei detti Stati possano già considerarsi favorevoli, salvo piccole osservazioni di redazione e sotto note riserve e cioè:

l) poter contare per lo meno in un secondo tempo su trattati di mutua assistenza cui sia partecipe anche Italia; 2) che Italia acconsenta, per quanto riguarda Jugoslavia e Romania, a fare qualche accordo consimile anche con Stati dell'Unione balcanica.

Su tali punti Chambrun attenderebbe tuttora un'assicurazione da Roma, come pure su quello meno preciso di una possibile distensione nei rapporti fra Italia e Jugoslavia. Anche per quanto concerne Polonia atteggiamento di quel governo era stato in massima favorevole. In quanto ad Inghilterra è noto che non essendo partecipe al Patto danubiano non si attende da essa altro che un consenso di massima che è già acquisito.

Léger ha concluso che non appena Chambrun avrà avuto risposta sui punti suddetti, negoziato potrà essere accelerato.

Non ho mancato di porre in rilievo importanza dell'adesione ottenuta da parte ungherese ed ho fatto chiaramente capire che naturalmente tutto cadrebbe se si venisse ad una rottura a Ginevra. Tali argomenti non mi sembmno peraltro aver avuto presso francesi peso decisivo in confronto estrema loro preoccupazione per timore conflitto itala-britannico.

(2). (l) -Con questo appunto Suvich riferiva su una conversazione telefonica. (2) -Vedi DD. 71 e 75.
99

RIUNIONE DEI RAPPRESENTANTI DEGLI STATI MAGGIORI DELL'AERONAUTICA FRANCESE E ITALIANO (l)

VERBALE. Parigi, 12 settembre 1935. PRÉAMBULE

En exécution des dispositions prévues aux documents C.A.F.I.N. l et n. 2 des 12 et 13 Mai 1935 (2): --le Colone! FISCHETTI, -le Colone! CAPPA, de l'Etat-Major de l'Armée de l'Air italien; -le Lt-Colonel DUVERNOY, -le Commandant GUERRIER de DUMAST,

-le Capitaine CORNILLON, de l'Etat-Major Général de l'Armée de l'Air français, se sont réunis à PARIS, du 9 au 12 Septembre 1935 et se sont mis d'accord sur -les points suivants:

1° -Considérations générales

Les documents des 12 et 13 Mai 1935 prévoient 3 hypothèses distinctes: -l o hypothèse: Agression allemande con tre l'Italie; -2° hypothèse: Agression allemande con tre la France; -3° hypothèse: Agression allemande simultanée contre l'Italie et con-

tre la France.

Dans le cadre des hypothèses ci-dessus, il a été prévu: -l'exécution d'action de bombardement dans la zone normale d'action ou dans la zone éventuelle: par l'aviation du pays initialement non attaqué ou par les deux aviations, déplacées ou non; -l'envoi ou non d'Aviation de Chasse à l'appui de l'un ou l'autre

aviation; -le nombre d'avions à envoyer sur les terrains italiens ou français; -le commandement dont dépendront les Forces Aériennes de bombar

dement ou de chasse déplacées; -la mise à la disposition dans l'un ou l'autre pays des bases nécessaires au déploiement des unités ci-dessus, ainsi que de raviation de coopération.

De l'appui mutue! envisagé ci-dessus, il résulte que les deux premières hypothèses d'un conflit limité se résoudraient automatiquement à plus ou moins bref délai sous la forme de la troisième hypothèse qui prévoit un triple conflit.

Il y a donc lieu de fixer d'abord le détail des mesures à prendre dans la troisième hypothèse.

Toutefois des circonstances imprévisibles pouvant, méme dans le cas de la 3ème hypothèse, entrainer un certain décalage dans le déclenchemant des opérations par l' Allemagne, les dispositions à prendre dans les deux premières hypothèses seront ensuite réglées en fonction du dispositif de la 3ème hypothèse.

2° -Mises à jour périodiques

Des changements pouvant se produire soit dans l'organisation d'ensemble des deux Armées de l'Air, soit dans la composition de leurs unités, il n'est pas possible de fixer «ne varietur » le nombre des avions à déplacer sur les terrains italiens ou français.

Ce nombre pourra donc étre remanié au cours des réunions périodiques ou exceptionnelles d'Etats-Majors, chaque aviation se proposant toujours d'accorder à l'autre le concours maximum compatible avec la situation du moment.

En conséquence, il a été décidé d'arréter au cours de la première Réunion: -les conditions générales d'application éventuelle de la coopération envisagée entre les Forces Aériennes Françaises et Italiennes; -les conditions particulières d'application éventuelle de cette coopération dans la situation actuelle des Armées de l'Air des deux pays.

1•r• partie

CONDITION GÉNÉRALES D'APPLICATION

I. -Dispositions communes aux trois hypothèses

l o -Aviation trançaise

a) Mesures prépa.ratoires. En cas de menace d'agression allemande, l'Aviation française, dès que la demande lui en sera adressée par l'Etat-Major italien ou de sa propre initiative, prendra des mesures d'alerte en vue d'accélérer sa mise sur pied de guerre éventuelle.

b) L'Aviation française mettra à la disposition de l'Aviation italienne de bombardement, de chasse et de coopération les terrains équipés suivants, choisis après reconnaissance par l'Etat-Major italien: Dijon, Damblain, Auzainvilliers, Lons Le Saunier, Chissey, Kaffevillers, Lure Malbouhans, Luxeuil, Fontaine, Montbeliard, éventuellement Corgirnon, Monsaon, Epinal.

2° -Aviation italienne

a) Mesures préparatoires. En cas de menace d'agression allemande, l'Aviation italienne, dès que la demande lui en sera adressée par l'Etat Major Général Français, ou de sa propre initiative, prendra des mesures l'alerte en vue d'accélérer sa mise sur pied de guerre éventuelle.

b) L'Aviation italienne mettra à la disposition de l'Aviation française les terrains épuipés de Ghedi, Verone, Vicence, Trevise, reconnus par l'Etat-Major Général français, et un ou deux terrains d'aviation de coopération, qui ne pourront ètre fixés que lorsque les Etats-Majors des Armées de terre italiennes et françaises auront fait connaitre Jes conditions d'engagement de,s divisions françaises susceptibles d'ètre envoyées en Italie.

II. -Dispositions à prendre dans la Jc!me hypothèse

l o -Aviation jrançaise

L'Aviation française: a) agira en partant de ses bases; b) assurera la protection des formations de bombardement italiennes déployées en France; c) dirigera sur l'Italie les escadrilles de coopération correspondant aux grandes unités terrestres françaises susceptibles d'ètre envoyées en Italie (deux escadrilles); d) si possible, envisagera l'envoi en Italie d'un élément de chasse destiné à entrer dans le dispositif de défense italien, aux ordres du Commandement italien.

2° -Aviation italienne a) pourra envoyer initialement en France sur les bases préparées à cet effet deux stormi de bombardement qui resteront aux ordr,es du Commandement italien; b) dirigera sur la France les escadrilles de coopération correspondant aux grandes unités terrestres italiennes susceptibles d'ètre envoyées en France (8 à 10 escadrilles).

III. -Dispositions à prendre dans la tére hypothèse

l o -Aviation trançaise

L'Aviation française; a) agira avec la totalité du bombardement en partant de ses bases soit dans sa zone normale, soit sur tous objectifs sur lesquels l'aviation italienne demandera son intervention dans la zone d'action éventuelle; b) prendra les mémes mesures que dans l'hypothèse 3 en ce qui concerne la protection de l'aviation de bombardement italienne et les escadrilles de coopération; c) dirigera sur l'Italie une escadre de chasse qui entrera dans le dispositif de défense aérienne italien et sera aux ordres du Commandement italien.

2° -Aviation italienne

Prendra les mémes mesures que dans la 3ème hypothèse. Bien entendu, l'aviation de coopération ne sera déplacée que si les grandes unités terrestres correspondantes font mouvement.

IV. -Dispositions à prendre dans la 2"me hypothèse

lo -Aviation trançaise

L'Aviation française; a) agira en partant de ses bases; b) assurera la protection de l'aviation de bombardement italienne éventuellement déployée en France dans le cas où l'aviation italienne ne pourrait pas le faire elle-méme; c) enverra en Italie les escadrilles de coopération prévues dans les hypothèses 3 et l, si les grandes unités terrestres correspondantes font mouvement.

2° -Aviation italienne

L'Aviation italienne; a) enverra initialement en France sur les bases préparées à cet effet: deux stormi de bombardement, si possible, une escadre de chasse, qui seront à la disposition du Commandement français; b) dirigera sur la France les escadrilles de coopération prévues dans les hypothèses 3 et l.

V. -Modalités d'application

Les modalités d'application doivent faire l'objet de plans établis en commun entre les deux Etats-Majors.

Ces plans ne peuvent étre, tout au moins en ce qui concerne oertaines parties, préctsés immédiatement dans tous leurs détails, et devront, d'autre part, étre périodiquement mis à jour.

Leur établissement sera donc préparé dans le cadre de documents annexes ci-dessous (l):

Annexe I, Articulation du commandement et coordination des moyens; Annexe II, DépLoiement et mouvement des unités; Annexe III, Pe·rsonnel et matériel; Annexe IV, Approvisionnement et vie des unités; Annexe V, Ravitaillement technique; Annexe VI, Ravitaillement en munitions; Annexe VII, Tran

smissions et chiffres; Annexe VIII, Météorologte; Annexe IX, Mesures diverses -Cartes, Balisage, Défense contre avions, Guet, ......; Annexe X, Utilisation des bases étrangères; Annexe Xl, Déploiement et mouvements de l'Aviation de coopération.

VI. -Informations techniques et tactiques

Les deux Aviations se communiqueront périodiquement tous les renseignements qu'elles auront pu recueillir sur l'Aviation allemande et sur son activité. A cet effet, les mesures suivantes seront prises:

Zone de recherche. Chaque Etat-Major recherchera en t•r• urgence les renseignements correspondant à la zone d'action normale de son Aviation et en 2•m• urgence ceux correspondant à sa zone d'action éventuelle.

Etablissement des documents. Dans toute la mesure du possible, les documents d'information seront du meme modèle.

Ils comprendront en particuHe~r: des « fiches de renseignements ~ sur les matériels; des «fiches de renseignements » sur les objectifs pour l'ensemble des zones d'action normale et éventuelle; des «fiches d'operations » pour la zone d'action normale.

La classification et le numérotage adoptés par chaque Etat-Major seront conservés, mais chaque fiche portera à la fois l'indice et le numéro qui lui sont attribués dans les répertoires français et italiens.

Cette disposition permettra d'éviter toute erreur quant à la désignation des objectifs dans les opérations combinées.

n•me partie

CONDITIONS PARTICULIÈRES D'APPLICATION

Dans l'état actuel:

1° -L'Aviation trançaise: a) ne peut envoyer aucune unité de chasse en Italie dans la 3ème hypothèse; dans l'éventualité où la réalisation de la 3ème hypothèse aurait été précédée du déclenchement des mesures correspondant à

l.a tère hypothèse, l'escadre de chasse française dépJoyée en Italie serait dirigée sur la France 24 heures après la demande qui en serait adressée immédiatement par l'Etat-Major français; b) peut assurer dans toutes les hypothèses la protection de l'Aviation de bombardement italienne déployée en France; c) a fixé les effectifs avions de l'escadre de chasse (lère hypothèse) à: 2 sections de 3 avions multiplaces de combat; 42 avions monoplaces; d) recevra tous les échelons volants italiens sur le terrain de Dijon d'où elle les dirigera sur les terrains utilisables.

2° -L'Aviation italienne: ne peut envoyer aucune unité de chasse en France dans la 2ème hypothése; a fixé les effectifs avions des deux stormi de bombardement à 72 avions gros porteurs en ligne et 24 avions gros porteurs de réserve.

RÉUNIONS D'ETATS-MAJORS -RECONNA!SSANCES COMPLÉMENTAIRES

Des réunions périodiques entre les deux Etats-Majors ont été prévues en principe en Mai et en Novembre de chaque année pour la mise à jour des plans et chaque fois qu'une des deux Aviations le désirera.

La présente réunion pourrait étre considérée comme tenant lieu de la réunion périodique prévue pour Novembre 1935.

Toutefois, étant donné: -l'importance capitale du problème des munitions (V. Annexe VI) qui ne peut étre résolu avant la conclusion des expériences en cours,

-l'intérét que présente, en raison des délais toujours trop longs de mise en place dans les organes mobilisateurs, la mise au point avant le printemps 1936 de mesures exécutables,

une réunion supplémentaire aura lieu à Rome, dès que les essais relatifs aux munitions seront terminés.

Par ailleurs, dès que les terrains, actuellement en cours d'aménagement en France et susceptibles de recevoir des formations italiennes seront utilisables, l'Etat-Major italien procèdera à une reconnaissance complémentaire, effectuée à bord d'un avion de bombardement français et comportant des prises de terrains, atterrissages et départs sur chacun d'eux.

(l) -In Archivio dell'Uff1cio Storico dello Stato Maggiore dell'Aeronautica. Il ti'tolo originale del documento, sottoscritto da tutti i presenti, è il seguente: «Première réunion des représentants d es Etats-Majors de l'Air français et italien en vue de l'application éve<ntuelle d'un accord bilatéral aérien à conclure dans 1e cadre d'un Pacte Aérien d'Europe Occidentale ». (2) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 196.

(l) Non si pubblicano.

100

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5658/186 R. Ginevra, 13 settembre 1935, ore 2 (per. ore 3,55).

Nell'ambiente delle delegazioni impressione discorso Hoare è stata forte.

Interpretazione che se ne è data è la seguente:

a) -Inghilterra ha preso netta posizione;

b) -per la prima volta dal 1919 ha detto alla Lega di essere disposta a prenderla a base della sua politica a patto che in questa prova la Lega riveli di essere disposta ad assumere collettivi pesi e rischi in caso di bisogno.

Questo appello alla solidarietà ha trovato immediata rispondenza presso piccoli Stati. Essi hanno interpretato questo come ultima offerta dell'Inghilterra: o tutti si schierano al suo fianco in questa circostanza, nel qual caso il sogno dei piccoli Stati si avvererebbe con la costituzione di fatto di una proposta di sanzioni collettive, ossia di un sistema di sicurezza collettiva, ovvero si avrebbe il disinteresse dell'Inghilterra da Ginevra, ossia la fine dell'unica possibile garanzia politica dei piccoli Stati.

Una immediata risposta di queste impressioni si è avuta nei discorsi di stamane all'Assemblea, sui quali riferisco a parte.

101

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5656/187 R. Ginevra, 13 settembre 1935, ore 2 (per. ore 3,55).

Mio telegramma n. 183 (1).

Ho svolto col Cile la stessa manovra che con la Polonia.

Il cileno è un delegato che ho coltivato da lunghissimo tempo e che so realmente ben disposto verso di noi. Dopo lavoro di preparazione gli ho chiesto se Cile intendesse assumere verso di noi in Consiglio posizione favorevole, che, all'occasione, giungesse fino a sboccare in voto contrario a eventuale proposta di sanzioni.

Mi ha risposto di avere sin dall'inizio progettato al suo Governo opportunità assumere atteggiamento favorevole Italia, ricevendo in risposta istruzioni uniformarsi piena condotta franco-inglese. Avendo egli replicato mostrando differenza esistente fra atteggiamento inglese e francese, Santiago gli aveva impartito istruzioni seguire linea di condotta predetta.

Ho creduto allora necessario chiarirgli posizione assunta attualmente dalla Francia, oramai lontana da quello cui forse erasi riferito suo Governo al momento in cui avevagli impartito istruzioni, nonché esatto significato e importanza quanto Italia chiedeva ora Cile, sotto esplicita condizione essere disposta ricambiare all'occasione analogo appoggio.

Delegato Cile promesso che avrebbe stasera telegrafato proposta suo Governo, esprimendo parere favorevole. Come ho telefonato a S. E. Suvich, sottopongo a V. E. opportunità impartire istruzioni R. Ambasciata Santiago appoggiare manovra presso quel Governo.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5655/188 R. Ginevra, 13 settembre 1935, ore 2 (per. ore 2,55).

Prima di parlare all'Assemblea, il primo ministro belga ha tenuto a vedermi per spiegarmi che egli non poteva esimersi dal fare delle dichiarazioni societarie, le quali sarebbero state accompagnate da accenni sull'opportunità di esaminare la vertenza itala-etiopica dal punto di vista della realtà politica.

Ho risposto che noi ci rendevamo conto, fino ad un certo punto, delle necessità della politica belga, ma che ci attendevamo che la tesi societaria fosse contenuta entro i limiti dovuti.

Al discorso di stamane egli, viceversa, ha dato pieno risalto alla adesione belga alla politica societaria, adoperando espressioni come la seguente: «Il Belgio è deciso ad andare fino in fondo ai suoi impegni ed a prendere la sua intera parte delle responsabilità comuni».

(l) Vedi D. 96.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5677/702 R. Londra, 13 settembre 1935, ore 3,U:i (per. ure 10,25J.

Ho avuto stamane mercoledì con Vansittart un lungo colloquio, nel quale ho ripreso scambio di vedute avuto con Hoare 3 corrente ed esame situazione generale che è venuta a determinarsi fra l'Itala e l'Inghilterra.

Sulla base delle istruzioni impartite nel telegramma del Duce (l) ho dichiarato categoricamente che noi non ammettiamo nemmeno la possibmtà di un conflitto italo-inglese, nè riusciamo a renderei conto preoccupazioni che possono esistere in Inghilterra per gli sviluppi della nostra po1it1ea in Africa. Quello che il Duce vuole è assicurare all'Italia posizione cui ha dintto in Afnca orientale, e non scuotere o minacciare Impero britannico. Il giorno che Abissinia sarà nostra, si verrà a costituire necessariamente una solidarietà d1 interessi coloniali fra l'Italia, l'Inghilterra e la Francia ed i tre Paes1 potranno lavorare d'accordo per pacificazione e messa in valore dell'Africa, Inghilterra ha quindi un preciso interesse che non sia ostacolata azione !talla e cne necessità africane dell'Italia siano compiute soddisfacentemente.

Vansittart mi ha risposto che prendeva atto delle mie dichiarazioni, ma che nello stesso tempo doveva richiamare mia attenzione sulla propaganua antibritannica che si fa anche sul terreno coloniale. «Proprio avant 1en, egn mi ha detto, stazione radio di Bari ha lanciato un appello a11e populazwni musulmane contro l'Inghilterra. Nel suo messaggio a Leorun, D Annunzw s1 è rivolto agl insorti che, sotto egida italiana, dovrebbero comoattere lmpero britannico. In Egitto, Governo italiano sovvenziona dei giornali arabi che attaccano politica inglese. Ciò mostra, egli ha aggiunto, che politica italiana è diretta non a concludere una intesa coloniale con Inghilterra ma a suscitare una agitazione antibritannica tra le popolazioni indigene dell'Impero ».

Ho risposto a Vansittart che non ero ,a conoscenza della radiotrasmissione alla quale egli si riferiva. Non mi pare comunque che si dovesse attribuire ad

11 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

un bollettino radio tanta importanza. Se si dov·esse giudicare politica inglese dalla propaganda antitaliana diffusa in Inghilterra dalla radio, che è sotto il controllo del Governo, si dovrebbe venire a delle conclusioni assolutamente contrarie alle assicurazioni ripetutamente datemi dal Governo inglese. Quanto all'Egitto era assolutamente falso che noi facciamo propaganda anti-britannica. È naturale, gli ho aggiunto, che le numerose, potenti e patriottiche comunità italiane dell'Egitto siano solidali con la Madre Patria. Se questo è un fatto che disturba la politica inglese in Egitto, Governo britannico non ha che a rimproverare se stesso. Se Governo britannico avesse assunto verso l'Italia e verso queste stesse comunità un atteggiamento più amichevole esso troverebbe oggi negli italiani in Egitto i suoi migliori sostenitori. È stato Governo britannico a voler dare al mondo lo spettacolo di un dissidio itala-inglese, ed esso deve ora subirne le conseguenze. Queste pretese attività italiane, ad ogni modo, sono ben poca cosa, se si paragonano alla violenta ininterrotta campagna di propaganda e minacce che da mesi si svolge in Inghilterra sotto la diretta o indiretta responsabilità del Governo.

Per conto mio potevo assicurare Vansittart che l'Italia avrebbe certamente evitata ogni iniziativa che potesse sboccare ad un conflitto italo-inglese. D'altra parte mi rifiutavo di credere, malgrado molti segni inducano a fare pensare il contrario, che Governo britannico, per evitare una guerra coloniale, intenda effettivamente aprire temibile varco a una conflagrazione europea.

Vansittart ha replicato escludendo che questo sia nelle intenzioni del suo Governo ed ha di nuovo a lungo ripetuto i soliti luoghi comuni: «Controversia tra Italia e Inghilterra è solo a Ginevra. Io escludo una azione britannica fuori della S.d.N., il nostro principio essendo che alla sicurezza collettiva deve rispondere la responsabilità collettiva. Preservazione della S.d.N. ed il mantenimento del fronte di Stresa sono i due intere,ssi essenziali dell'Inghilterra ».

Ho replicato a Vansittart che tutto questo potrà essere vero, ma condotta inglese induce a pensare precisamente il contrario, e ormai intera opinione pubblica del mondo mostra a ragione di dubitare seriamente delle affermazioni britanniche. Infatti, mentre a Ginevra Eden ripete per l'ennesima volta che non vi è conflitto tra interessi coloniali italiani ed inglesi, a Londra stampa ufficiosa viene artificiosamente sobillata contro di noi, cercando di dare credito alle false notizie sull'attività antibritannica dell'Italia in Egitto. L'azione ricattatoria che da quattro mesi viene esercitata per indurre la Francia ad una politica ostile verso l'Italia, e la cecità con cui il Governo britannico sta distruggendo una dopo l'altra quelle che sono state clausole di garanzia fondamentale della pace europea, dal trattato di Locarno agli accordi di Stresa, fanno ormai pensare, e non soltanto agli italiani, che sotto il mantello dei principi ginevrini si nascondono dei calcoli che l'Inghilterra non osa e non può confessare.

Vansittart ha reagito a queste mie parole negando enfaticamente che esistano ragioni per un diretto conflitto itala-inglese e aggiungendo che, per suo conto, egli non ritiene che la S.d.N. andrà oltre il limite di uno spiegamento dimostrativo e non giungerà ad applicare sanzioni di carattere militare. «Resta però il fatto --ha continuato Vansittart -che il Duce ha mostrato di non valutare abbastanza la forza politica e militare dell'Inghilterra e la importanza decisiva che ancora può avere, malgrado le nostre asserite difficoltà, il fattore britannico nella politica mondiale. Inoltre rimangono tuttora dei punti oscuri nella politica italiana in Europa. Recenti scambi discorsi tra il Cancelliere Hitler e l'Ambasciatore d'Italia a Berlino ne sono una prova».

Ho ribattuto a Vansittart che queste sue dichiarazioni mi stupivano assai. «Il Duce non ha mai sottovalutato l'Inghilterra, come Io dimostrano dieci anni di cooperazione leale e costante italo-inglese, durante i quali l'Italia ha dato sempre senza mai nulla ricevere! È l'Inghilterra la quale ha ll'ivelato ad un tratto la vera natura della sua politica verso l'Italia sottovalutando il nostro paese fino al punto di intraprendere contro di esso una specie di crociata punitiva intesa anestare le sue necessità primitive di espansione e di vita. Contro questa inqualificabile condotta britannica il Duce si è alzato in piedi per difendere i diritti del popolo italiano e tutta l'Italia fascista si è levata in piedi dietro a Lui. Bisogna che l'Inghilterra si renda conto una volta per sempre che l'Italia non è il Regno di Napoli ma una grande Potenza la quale non intende essere trattata diversamente da come l'Inghilterra ha trattato il Giappone e la stessa Germania. Sotto tale aspetto la crisi attuale nei rapporti italo-inglesi ha già determinato un processo chiarificato.re prezioso per quella ·che mi auguro sarà la base futura delle relazioni italo-inglesi. In quanto al fronte di Stresa ed alla Germania -ho continuato -siete voi inglesi che avete rotto il fronte di Stresa quando avete messo davanti agli occhi dell'Europa e artificiosamente ingrandito un dissidio italo-inglese che l'Italia voleva a tutti i costi evitare. Diplomazia britannica per dieci anni ha dichiarato di lavorare per realizzare un'intesa italafrancese e oggi, improvvisamente, i vostri ministri e i vostri ambasciatori fanno di tutto per impedire intesa italo-francese, per separare di nuovo la Francia dall'Italia, distruggendo, a solo vantaggio della Germania i frutti del vostro stesso lavoro. Mentre dichiarate che obbiettivo lontano dell'azione britannica a Grnevra è quello di preparare fronte unico anti-tedesco, voi tentate nello stesso tempo di indebolire a vantaggio della Germania fattore più importante della resistenza anti-tedesca e cioè fattore italiano. È troppo naturale che quest'incoerenza della politica inglese getti una ombra indeterminata di sospetto sui veri motivi della azione britannica».

Vansittart mi ha detto che si crede che politica inglese consiste in questo momento nell'eseguire integralmente il Covenant. Spetta alla Francia di fare sua scelta. In questo senso si esprimerà Hoare all'Assemblea. «Ciò nonostante, ha continuato Vansittart, io spero che situazione non giungerà a fasi estreme, tali da impedire nel futuro un chiarimento sostanziale delle relazioni italainglesi».

Ho replicato che lo speravo anche io, perchè ripugna al buon senso fascista e alla coscienza che Italia ha degli stessi interessi inglesi in Europa di pensare che l'Inghilterra possa portare alle estreme conseguenze di una guerra criminosa sua asserita politica societaria.

(l) Vedi D. 44.

104

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 5678/189 R. Ginevra, 13 settembre 1935, ore 15,50 (per. ore 17,15).

Comitato dei Cinque, che avrebbe dovuto presentare oggi rapporto, ha invece deciso proseguimento lavori Sotto-Comitato allo scopo permettere di giungere a qualche soluzione conflitto itala-etiopico.

Ieri infatti, per iniziativa di Lavai in accordo con inglesi, Comitato na deciso concretare una proposta al Consiglio, le cui linee generali mi sono state, con lettera, comunicate da Lavai. Esse sono state formulate con l'intenzione di dare completa soddisfazione ai principi fondamentali esposti da v. E. e cioè necessità della espansione italiana e disarmo controllato dell'Etiopia.

I particolari non sono stati ancora fissati e quindi potranno subire mutamento nel corso eventuali trattative, tuttavia proposta come ora si delinea consta seguenti punti:

l) Espansione: cessione in sovranità all'Italia non solo dell'Ogaden, ma anche di alcune delle cosiddette colonie abissine da determinarsi, le quali abbiano requisiti climatici e di fertilità. Per poter offrire un pretesto alla S.d.N. la cessione sarebbe giustificata dalla necessità della congiunzione diretta fra Eritrea e Somalia.

2) Disarmo controllato: verrebbe esclusa dalle operazioni necessarie disarmo abissino ogni ingerenza franco-inglese. Azione sarebbe in massima parte italiana. Tuttavia, al solo scopo di dare alla cosa una vernice societaria, sarebbero addetti alle operazioni alcune rappresentanze militari di piccoli Stati. Il periodo delle operazioni di disarmo avrebbe una durata da stabilirsi, presumibilmente di quattro-cinque anni, alla fine della quale la situazione sa;rebbe riveduta e stabilita in modo definitivo mediante intesa diretta ed esclusiva tra l'Italia e l'Abissinia. Allo scopo di non creare ostacoli alla accettazione abissina, i luoghi santi in vicinanza di Axum sarebbero esclusi da ogni cessione od occupazione militare e magari internazionalizzati.

3) Per agevolare sviluppi economici, la Francia sarebbe disposta a rendere Gibuti porto franco.

4) Infine, in via specLalmente segreta, Lavai mi ha confidato che Francia, d'accordo con Inghilterra, sarebbe disposta fornire capitali necessari alla messa in valore territori ceduti.

5) La formula cui eventualmente V. E. dovesse concedere sua approvazione verrebbe votata anonimamente sotto forma di raccomandazione del Consiglio. Essa quindi apparirebbe assolutamente societaria e non francoinglese.

Lavai mi ha pregato vivamente richiamare l'attenzione della E. V. su tre punti:

a) sul valore del disarmo controllato che, come storia coloniale tutti paesi dimostra, in poco tempo si converte inevitabilmente in sovranità assoluta. Perfino la lieve vernice societaria delle rappresentanze militari degli Stati minori sparirebbe, in forza raggiunto accordo, dopo un breve periodo;

b) sulla eliminazione di ogni traccia di presenza franco-inglese in qualunque stadio o formula della negoziazione; c) sulla importanza della concessione del credito.

Ho ascoltato mostrando scetticismo e concludendo con riserva assoluta. Non ho voluto pel momento nemmeno richiedere particolari per darmi arie di indifferenza. Prima di troncare attendo però istruzioni di V. E. (1).

105

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (2). Roma, 13 settembre 1935, [pomeriggio].

Aloisi mi dice di aver potuto assodare anche presso altri Membri del Comitato dei Cinque, i termini nei quali si svolgerebbe ora la discussione del Comitato stesso in conformità di quanto ha detto ieri Lavai (3).

Aloisi mi chiede se queste proposte sono da noi prese in considerazione. Gli rispondo che sono talmente vaghe che non si può farsi un'idea se contengono veramente qualche cosa di sostanziale. Aloisi ha l'impressione che queste proposte vadano molto avanti. Chiede come debba contenersi nei riguardi delle proposte stesse.

Gli rispondo che deve mantenersi rigidamente sul nostro punto di vista e cioè: cessione all'Italia di tutta la zona periferica conquistata negli ultimi cinquant'anni dall'Abissinia; controllo sull'antica Abissinia con occupazione militare in forma da stabilirsi (Iraq, Egitto, Marocco); rettifiche territoriali a nostro favore nel Tigrai.

Aloisi mi chiede se debba favorire la presentazione di proposte più favorevoli o se debba cercare di far sboccare il tutto in proposte assolutamente inaccettabili.

Riservandomi di confermargli questo punto dopo prese istruzioni, gli rispondo che a mio avviso per non dare l'impressione' di un intervento diretto dell'Italia conviene che le proposte siano le migliori possibili. È probabile che le proposte per quanto migliorate non saranno tali che noi si possa accettarle; dimostreranno però che la Lega si rende conto della giustezza delle nostre aspirazioni; per quelli poi che vorranno trovare che noi siamo incontentabili il pretesto

sarà buono tanto se le proposte sono migliori, quanto se meno buone; ancora a noi conviene ad ogni modo che da parte abissina si respingano le proposte (quando per avventura le stesse fossero presentate all'Abissinia) il che sarà un'ulteriore giustificazione per la nostra azione (l).

(l) -Vedi D. 105. (2) -Con questo appunto Suvich riferiva su una conversazione telefonica. (3) -Vedi DD. 104 e 107.
106

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5694/191 R. Ginevra, 13 settembre 1935, ore 19,30 (per. ore 20,25).

Telegramma di V. E. n. 78 e mio telegramma n. 183 (2).

Beck, avendo potuto comunicare telefonicamente col Governo polacco, è venuto a dirmi stamane di essere ora in condizioni di dichiarare che la Polonia non dimentica le prove di amicizia fornite dal Governo di V. E., specie per quanto riguarda le frontiere orientali e che conseguentemente è decisa ad assumere un

atteggiamento a noi favorevole e ad usar ogni mezzo per evitare che si giunga a parlare di sanzioni. Se però queste dovessero malauguratamente essere votate, il Governo polacco sa bene che esse significherebbero la guerra e probabilmente la conflagrazione europea. Perciò date le conseguenze che una decisione in questa materia può avere sulla posizione della Polonia 'rispetto allo schieramento politico che si avrebbe in tale eventualità, Governo di Varsavia non è in condizione di assumere, fin da ora, un impegno preciso nei nostri riguardi. Esso tuttavia non mancherà, in nessun momento in cui le circostanze glielo consentano, di dimostrarci atteggiamento amichevole.

107

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5692/193 R. Ginevra, 13 settembre 1935, ore 20,30 (per. ore 22,40).

Stamane altri componenti Comitato Cinque, e cioè Madariaga, Beck, Aras, mi hanno confermato nelle linee generali quanto comunicato con telegramma n. 189 (3).

Madariaga mi ha detto che, pur essendo societario, si poneva dal punto di vista della realtà politica, accogliendo il mio suggerimento di mettere lo strumento del Patto al servizio degli interessi generali. Dopo avere discusso lunga

mente, Madariaga ha concluso promettendo di fare tutto il possibile per aprire

una larga porta all'espansione italiana in Abissinia.

Aras si è fatto bello a buon mercato, dato che non sembra sia intervenuto

in modo attivo, e mi ha vantato la propria opera, prodigandosi nelle solite pro

teste di amicizia.

Beck, che appare sincero, effettivamente sembra si sia ben adoperato in

nostro favore.

Naturalmente alle domande rivoltemi ho risposto che, pur compiacendomi di vedere che i principi di V. E., vale a dire espansione e sicurezza attraverso disarmo abissino, cominciano a fare strada nel Comitato, non vedevo però, da quel poco che mi veniva riferito, come potessimo essere soddisfatti, visto che eravamo ancora lontani dalle necessità della politica italiana.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Vedi DD. 83 e 96. (3) -Vedi D. 104.
108

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5699/708 R. Londra, 13 settembre 1935, ore 21,10 (per. ore 24).

Seguito a mio telegramma n. 697 di avantieri (1).

Nell'abboccamento che ho avuto stamane con lui, Vansittart mi ha confermato il passo fatto martedì dall'Ambasciatore di Francia per conoscere se Governo inglese è disposto a dichiarare che esso, sin da ora [è pronto] a considerare tutte le questioni della sicurezza europea -e particolarmente la questione austriaca -sullo stesso piano ed alla stessa stregua con la quale esso considera la questione etiopica.

L'ambasciatore di Francia ha anche consegnato Foreign Office -come ho informato con il mio telegramma n. 697 -un promemoria sull'argomento.

Vansittart mi ha aggiunto che Lavai aveva sollevato la questione in una conversazione avuta con Eden a Parigi, ed il promemoria francese doveva considerarsi come il seguito di detta conversazione. Governo britannico credeva che col suo discorso di ieri all'Assemblea Hoare avesse già risposto quesi,to francese, ma comunque il promemoria francese avrebbe formato oggetto di attenta considerazione da parte del Gabinetto e non era da escludere che Hoare rispondesse alla Francia [in modo] più diretto. Intanto, Vansittart mi ha detto che è da presumersi che l'argomento sia stato oggetto di uno scambio di idee fra Hoare e Lavai a Ginevra.

Analoghe informazioni mi sono state date ieri da questo Ambasciatore di Francia.

(l) Vedi D. 89.

109

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 13 settembre 1935.

Ho chiamato l'Ambasciatore d'America e gli ho dato notizia del messaggio del Segretario di Stato americano, che egli non conosceva che nel riassunto dei nostri giornali. Gli ho chiesto quale ne fosse stata la ragione determinante; se vuol essere un appello al Patto Kellogg è evidente che il Patto Kellogg ha un significato quando si tratta di applicarlo tra Potenze civili occidentali ed un altro quando ci sia di mezzo un paese barbaro come l'Abissinia. Chiedo anche quale significato si debba dare a questo messaggio nei riguardi dell'atteggiamento politico dagli Stati Uniti d'America.

L'Ambasciatore mi conferma di non avere avuto dal suo Paese alcuna notizia e quindi di non poter dire nulla di particolare. Il messaggio risponde allo stato d'animo generale del popolo americano che è assolutamente contrario a qualsiasi guerra e che ritiene che ci sia modo di far valer le proprie buone ragioni con mezzi pacifici. Tale messaggio è strettamente nella linea della politica tradizionale americana in caso di conflitto o di minaccia di conflitto e si attiene scrupolosamente al Patto Kellogg che è stato proposto dall'America e sottoscritto dalle altre Potenze. Secondo l'Ambasciatore tale messaggio non porta nessun cambiamento nella politica americana che si è già dichiarata per la più stretta neutralità (l).

110

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5691/194 R. Ginevra, 14 settembre 1935, ore 0,05 (per. ore 4). Mio telegramma n. 187 (2).

Ambasciatore del Cile Rivas Vicufia mi ha detto di avere ricevuto da Santiago seguenti istruzioni:

l) Governo cileno, che tiene a riconfermare sua simpatia per l'Italia, ritiene anzitutto che, allo stato attuale della procedura societaria, sia prematuro porre questione sanzioni.

2) Se venissero comunque proposte sanzioni, delegazione cilena dovrebbe esaminare circostanze del momento per regolarsi. 3) In caso di voto, delegazione cilena potrebbe astenersi a condizione però di non essere la sola.

4) Qualora vi fosse concordanza tra Gran Bretagna e Francia, dovrebbe appoggiare la loro azione concorde; in caso di discordanza dovrebbe appoggiare atteggiamento francese.

5) In caso di situazione personale imbarazzante, Rivas Vicufia potrebbe farsi sostituire dal secondo delegato, Ministro a Berlino.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 101.
111

L'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, TONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5770/87 R. La Paz, 14 settembre 1935, ore 11 (per. ore 19,10).

Telegramma di V. E. n. 22 del 13 corrente (1).

Confermo istruzioni impartite da questo Governo in data 28 agosto a propria Delegazione Ginevra tendenti ad appoggiare punto di vista italiano. Senonchè mi risulta che delegato Bolivia abbia in seguito telegrafato La Paz che Italia stava incontrando in Ginevra molte contrarietà tanto nei riguardi delle piccole che delle grandi Nazioni; che la Delegazione argentina non si mostrava affatto favorevole al punto di vista italiano e che in ogni modo egli avrebbe operato « prudenza » secondo circostanze.

Ciò non ostante, ho intrattenuto ieri sera a lungo Presidente della Repubblica sulla vertenza itala-etiopica ed ho da lui ottenuto che questo Governo ritornasse sulla adesione alla Delegazione italiana ponendola questa volta in relazione col nostro appoggio e voto alla candidatura boliviana nelle prossime elezioni del Consiglio. Il relativo telegramma è partito ieri sera stesso alle ore 20. Sul personale atteggiamento del signor Costadu Rels potrebbe influire, in modo molto efficace, codesto Ambasciatore Bolivia presso Santa Sede che, come Ministro degli Affari Esteri, gli fu amico e benefattore nonché Delegazione francese Ginevra date sue tendenze spiccatamente francofile.

Sarò grato a V. E. se vorrà tenermi cortesemente al corrente.

112

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5741/425 R. Washington, 14 settembre 1935, ore 13,50 (per. ore 22,50).

Mentre con sue recenti dichiarazioni sul conflitto itala-etiopico Segretario di Stato ha voluto riaffermare note vedute del Governo americano sulla que

stione astratta della guerra confermando sua adesione morale agli sforzi che sl fanno a Ginevra per soluzione pacifica della vertenza, Presidente degli Stati Uniti ha precisato ieri in intervista stampa che il Governo degli Stati Uniti si regolerà unicamente secondo la legge sulla neutralità votata re·centemente dal Congresso.

Tale dichiarazione sembra doversi interpretare nel senso che gli Stati Uniti non (dico non) prenderanno iniziativa per invocare formalmente patto di Parigi e non (dico non) interverranno per applicazione di sanzioni che fossero eventualmente decise dalla S.d.N. se non entro i limiti della legge per la neutralità, cioè mediante embargo materiale di guerra applicato ad entrambi i belligeranti ed altre misure minori.

(l) Non rinvenuto.

113

L'INCARICATO D'AFFARI A SANTIAGO, SILENZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5777/82 R. Santiago, 14 settembre 1935, ore 17 (per. ore 23,50).

Avendo appreso da persona bene informata di questo Ministero degli Affari Esteri che Incaricato d'Affari di Inghilterra aveva ieri visitato questo Cancelliere intrattenendosi lungamente con lui e facendo pressione per influenzare atteggiamento cileno relativo vertenza itala-etiopica, ho voluto oggi, con plausibili scuse, visitare questo Ministro Affari Esteri.

Egli, dopo avere ripetuto che il Governo italiano ha tutta la simpatia suo Governo, mi assicurò avere inviato a Rivas-Vicufia speciali istruzioni circa neutralità atteggiamento cileno facendo presente altresì delegato cileno Ginevra che è semplicemente ridicolo parlare sanzioni prima che uno degli Stati societari abbia commesso alcun atto lesivo Covenant stesso. Avendo chiesto, con ogni cautela, quale sarebbe atteggiamento cileno in caso di un conflitto, egli mi fece comprendere che, per quanto sia prematuro parlare avvenire e per quanto Cile come piccolo Stato societario debba dimostrarsi ligio S.d.N., non potrebbe tuttavia questo Stato dimenticare sua buona amicizia con Italia. Questo Cancelliere mi aggiunse infine che sperava ardentemente soluzione che desse piena soddisfazione Italia evitando guerra, ma che, ogni modo, mi riconfermava tutta la simpatia suo Governo.

Da conversazione ho potuto comprendere che Cile rimarrebbe il più possibile neutrale associandosi con suo atteggiamento Na~ioni più vicine tesi italiana.

114

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5723/197 R. Ginevra, 14 settembre 1935, ore 18,15 (per. ore 19,15).

Telegramma di V. E. n. 79 del 13 corr. (1). Appena ricevuto telegramma di V. E. ho incaricato Aldrovandi di prendeit'e contatti con Aguilar. Questi ha molto gradito visita fattagli da Aldrovandi che si è espresso con lui opportunamente.

A quanto mi viene riferito tanto Aguilar che Madariaga si mostrano simpaticamente attivi nei nostri riguardi sperando influire su Comitato dei Cinque per proporre soluzione per quanto è possibile soddisfacente.

115

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. 1645/106 R. Roma, 14 settembre 1935, ore 24.

Mi sappia dire come si vede costà l'attuale momento politico, anche con riguardo al problema delle sanzioni e alle conseguenze, chiaramente indicate nelle dichiarazioni italiane, che ne potrebbero derivare. Sarebbe sopratutto interessante di sapere se codesto Governo ha intenzione di approfittare per propri fini di eventuali complicazioni che potrebbero sorgere (2).

116

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, TALAMO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 7394/445. Roma, 14 settembre 1935 (3).

Telespresso di V. E. n. 0773/370 del 12 corrente (4).

Le replicate dichiarazioni dell'Episcopato britannico concorrono a sempre meglio illustrare l'azione esercitata dalla Chiesa d'Inghilterra sulla Santa Sede, e, come già segnalavo in precedenti miei rapporti a V. E. le origini del discorso

Papale del 28 ultimo, successivamente modificato dalle ulteriori dichiarazioni fatte dal Pontefice il 7 corrente.

Per notizia di V. E. La informo che tanto il Segretario agli Affari Ecclesiastici Straordinari, testé rientrato in Sede, quando il Cardinale Segretario, che ho visto ieri in udienza ordinaria, mi confermano che l'animo del Papa appare assai mutato nei riguardi delle posizioni italiane nella questione etiopica, mutamento che è poi sottolineato da un atteggiamento di nuovo manifestamente favorevole all'Italia dagli intimi del Pontefice. Entrambi mi escludono che Questi abbia a pronunciarsi ancora in proposito, e tanto meno ad esprimere delle riserve nei riguardi dell'Italia.

(l) -T. 10147/79 P.R. del 12 settembre 1935, ore 24, il cui testo era il seguente: «Attiro attenzione V. E. su telegramma R. Ambasciata Madrid n. 203 del 10 ·corrente [vedi D. 84] inviatole col corriere ieri sera informandola che s. E. Capo del Governo concorda suggerimento con cui telegramma termina». (2) -Vedi D. 130. (3) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (4) -Non rinvenuto: probabilmente ritrasmetteva il D. 37.
117

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5740/712 R. Londra, 15 settembre 1935, ore 1,10 (per. ore 5,15).

Discorso di Lavai (l) è stato naturalmente presentato alla opinione pubblica britannica come una adesione completa della Francia alla politica inglese. Questa è l'interpretazione che si sono affrettati a dare gli ambienti ufficiali, ansiosi di dimostrare al pubblico inglese che il discorso di Lavai è un successo della politica del Gabinetto e che Hoare è riuscito, con le sue dichiarazioni all'Assemblea, non solo a trovare il terreno d'accordo fra i diversi partiti politici inglesi, ma anche il terreno di accordo fra l'Inghilterra e la Francia.

Ma a parte questo sfruttamento del discor,so di Lavai ai fini della politica interna inglese, ambienti responsabili e lo stesso Foreign Office si rendono perfettamente conto che il discorso di Lavai contiene riserve molto sostanziali e che quindi a parte le verbali dimostrazioni di solidarietà societaria la situazione non ha a mio modo di vedere essenzialmente cambiato. Questo è messo in rilievo tanto nei circoli conservatori e isolazionisti i quali affermano che Lavai non ha affatto abbandonato l'Italia, quanto nei circoli liberali che non nascondono (come V. E. potrà anche rilevare dall'odierno articolo editoriale del Manchester Guardian) una certa delusione. Ma il discorso di Lavai ha suscitato altre preoccupazioni per il Governo britannico.

Hoare è riuscito indubbiamente ad ottenere da Lavai dichiarazioni più intransigenti di politica societaria ma già l'opinione pubblica inglese incomincia a domandarsi quale sia il prezzo che la Francia esige per sostenere sino in fondo l'azione britannica. La notizia del passo fatto a Londra dal Governo francese durante il corso stesso delle discussioni a Ginevra (vedere mio telegramma 708) (2) ha ridestato i sospetti e le inquietudini circa gli ulteriori e diretti impegni che l'Inghilterra potrebbe essere chiamata ad assumersi di fronte ai problemi della sicurezza europea. Foreign Office ha cercato calmare

queste inquietudini facendo mettere in chiaro che con il suo discorso a Ginevra Hoare ha già definito quale è la posizione dell'Inghilterra e con ciò risposto implicitamente al passo francese. Tutti però si rendono conto che la Francia non può contentarsi di questo e che essa domanderà delle precisazioni e degli impegni i quali riapriranno l'intero problema delle garanzie inglesi alla sicurezza europea. Su questo terreno opinione pubblica inglese è molto più esitante e guardinga di quanto non lo sia allorché si tratti affermazioni generiche sulle obbligazioni del patto ginevrino.

Ecco perché (una volta scontata la impressione favorevole che il discorso di Lavai ha suscitato come manifestazione del ristabilimento della solidarietà franco-inglese) Governo britannico già comincia a trovar,si, per effetto della precisa e formale richiesta francese, in una posizione di imbarazzo. Infatti, se Governo britannico non risponde in modo soddisfacente alla Francia, esso non potrà certamente contare sull'appoggio francese a Ginevra e renderà nello stesso tempo più legittime le diffidenze ed i sospetti sui veri motivi del suo atteggiamento nella questione abissina. D'altra parte è assai dubbio che le tendenze prevalenti nei partiti politici inglesi permettano oggi di abbandonare il principio, finora mantenuto fermo, che l'Inghilterra non deve assumere ulteriori impegni per la sicurezza in Europa.

(l) -Si tratta del discorso pronunciato il 13 settembre a Ginevra. (2) -Vedi D. 108.
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IL MINISTRO A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 5782/70 R. Gedda, 15 settembre 1935, ore 7 (per. ore 13,30).

Capo centro Odello mi riferisce quanto segue:

«Il 20 agosto u.s. fui ospite a Riad di Ibn Saud per trattare acquisto cammelli e proporre in cambio parziale materiale di guerra. Ibn Saud, soddisfatto proposta, mi incaricò di compilare progetto non limitato solo a detto scambio, ma di portata più vasta relativa a completa organizzazione suo esercito con criterio moderno. Sovrano aggiunse essere suo desiderio svincolarsi da intollerabile predominio britannico e preferire rivolgersi Capo del Governo italiano di cui era amico e ammiratore. Mi affrettai a compilare progetto che trasmisi al Re incontrando approvazione. Ibn Saud successivamente mi incaricò di presentargli al più presto possibile campioni (un camion 634 Fiat con rimorchio, un carro armato veloce, un cannone da montagna calibro 75 Skoda, due mitragliatrici leggere, una mitragliatrice pesante Fiat e due stazioni radiotelegrafiche campo). Espresse desiderio che prezzi fossero bassi e pagamento venisse suddiviso in varie annualità. Raccomandò celerità senza lungaggini burocratiche per la necessità di essere pronto al più presto possibile.

Ho già ripetutamente chiesto invio campioni a Governo dell'Eritrea ma senza risultato. Mio dovere segnalare all'E.V. essere mio personale convincimento che rapida azione è condizione essenziale per giungere con Ibn Saud intesa importante per noi l>.

Ho constatato veridicità affermazione Odello e risulta avere ispirato confidenza in Ibn Saud. Temo che lungaggini possano danneggiare promettente sviluppo situazione attuale che ritengo favorevole, malgrado insistenti pressioni inglesi. Temo inoltre che Ibn Saud possa avere cattiva impressione da nostra difficoltà ad inviargli campioni richiesti mentre egli non esita a indebolirsi temporaneamente cedendo a Eritrea parte dei suoi .cammelli militari con gesto simpatico e amichevole. Permettomi pertanto interessare V. E. a dare disposizioni a Governo dell'Eritrea affinché siano inviati entro minore numero di giorni campioni richiesti e perché, appena eseguita prova campioni, capo centro Odello sia chiamato a Roma a conferire con V. E. (1).

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5766/201 R. Ginevra, 15 settembre 1935, ore 17,10 (per. ore 19,45).

L'impressione provocata dal comunicato del R. Governo (2) è profonda. Salvo i pochissimi elementi moderati nei nostri riguardi, i quali vedono nel comunicato null'altro che una conferma delle posizioni già assunte da tempo dall'Italia, e quindi da tempo ben note, tutta la massa degli oppositori, con alla testa adepti Seconda Internazionale, hanno immediatamente approfittato occasione per proclamare che comunicato era prova che decisione uscita dalla Lega era già stata presa in antecedenza dall'Italia.

Tutta la manovra, che si manifesta in voci e notizie tendenziose della stampa, tende a isolar.e Italia, cercando di dare colpo grazie alle relazioni itala-francesi, che l'unanimità antitaliana dei discorsi degli ultimi giorni all'Assemblea aveva indebolito.

Da ieri sera mi sto adoperando a rimettere cose a posto dimostrando che pos1z10ne italiana, comprovata ancora una volta dal comunicato, è pur sempre la stessa già tante e tante volte in varie circostanze enunciata dall'Italia. Il gesto di contrapporre poche parole lapidarie di comunicato di Governo alle prolissità e alle ostinate ottusità dell'Assemblea, è stata l'unica risposta che Governo italiano, dopo presentazione documentato memorandum, poteva e doveva ai signori Hoare, Lavai e soci. Dopo tale risposta, la serie dei discorsi societari può considerarsi chiusa e la situazione nel momento decisivo, per merito fascista, è ricondotta lineare e chiara.

Questa spiegazione ho ripetuto ai membri del Comitato dei Cinque, che erano allarmati e credevano che comunicato significasse fine loro lavoro. Ho

chiarito che altissima autorità comunicato semplifica loro e mio compito, in quanto rende definitivo quello che avevo loro detto e ridetto dal principio, e cioè che la soluzione del conflitto sta nell'accoglimento integrale dei desiderata del Governo italiano.

Evidentemente la posizione è irrigidita, perché questa gente vede svanire la possibilità di ogni manovra, ma lo sforzo del1a delegazione verso massimo risulta potenziato.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollni, che scrisse subito a De Bono: "Manda immediatamente i campioni di armamenti richiesti dalla Saud!a è urgente non perdere tempo» (T. 10281/157 P.R. del 17 settembre 1935, ore 24). (2) -Cfr. B. MussoLINI, Opera omnta, vol. XXVII, Firenze, La Fenice, 1963, pp. 128-129.
120

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 15 settembre 1935.

Ho fatto preparare l'unito appunto sulle possibilità che si presentano a Ginevra nei prossimi giorni, forse già lunedì. Prima di prendere una decisione definitiva bisognerà conoscere quali sono le proposte che ci verranno fatte.

Quando si dovesse arrivare alle sanzioni (si parla di sanzioni di carattere morale od anche di carattere economico e finanziario ma innocue) si potrebbe pensare ad un nostro atteggiamento basato sul ragionamento seguente: i Patti da noi sottoscritti permettono due interpretazioni, una strettamente giuridica ed una storica-sociale-politica. L'interpretazione str,ettamente giuridica porta, per il caso di una guerra non provocata (bisogna dimostrare che tale sia la nostra), alla conseguenza delle sanzioni.

Noi contestiamo che in un caso come quello del conflitto itala-abissino, nel quale intervengono tutti gli elementi che hanno formato oggetto del nostro memoriale, ci sia luogo per una interpretazione giuridica pura. Tuttavia pure persuasi che la nostra interpretazione più lata sia la giusta e la reale, non possiamo costringere i rappresentanti degli altri paesi a pensare a modo nostro. Se perciò questi credono di dover dare al patto un'applicazione stretta e formale, noi non possiamo che deplorare questa loro visione del problema per noi errata ma non possiamo negare che il loro sia un punto di vista difendibile.

Avendo noi sottoscritto gli accordi -che come è detto possono dar luogo a tale interpretazione -ne subiamo le conseguenze: noi siamo persuasi e consideriamo che tutte le persone che ragionano liberamente e che hanno senso politico e storico debbono essere dalla nostra parte. Un tale ragionamento ci consentirebbe di non arrivare ad una brusca rottura anche se dovessimo per avv,entura abbandonare la S.d.N.

In tutto ciò resta naturalmente affermato il nostro principio che sanzioni

di ordine militare significano la guerra.

È inutile insistere sul fatto che il problema sarebbe enormemente facilitato,

anche per quanto riguarda le sanzioni, se l'Alto Commissario per l'Africa orien

tale riuscisse a dare l'impressione di un attacco contro le nostre linee come

motivo determinante la nostra avanzata.

ALLEGATO

L'AMBASCIATORE GUARIGLIA AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (l)

APPUNTO. Roma, 14 settembre 1935.

Le p~·oposte del Comitato dei C~nque che il Consiglio della S.d.N. farà molto probabilmente sue ci pongono anz;itutto questo dilemma.: rifiuta.rle puramente e semplicemente giustificando però il nostro mfiuto con La d~mostrazione che esse non sono adeguate ai nostri bisogm di espansione e di sicurezm, oppure prende11le come una base di discussione e fare da parte nostra delle controproposte sia pure di carattere estremo.

La pcima ipotesi., in ogni caso, non dovrebbe e&Se['e da noi attuata in modo perentol.'i.o e ostile, ma accompagnata da una nos~a dichiarazione in cui il Governo ttaliano prendesse ~~Jtto della buona volontà dimostmta dalla S.d.N. e della sua comprensione della nostra situazione in Africa orientale, constatando soltanto che la soluzione della questione etiopica non può effettuarsi coi metodi e nel quadro societario.

Questa dichiaraZJione italiana servirebbe infatti a far stato di quello che è indubbiamente lo spimto delle proposte, cioè il ciconoscimento dii principio della tesi italiana impostata sull'espansione e sulla sicurezza. Non semhr&ebbe conveniente dal punto di vista politico rinunziare a questo nostro .innegabile successo ginevrino completo in teoma ma insuffliciente in pmtica.

È però probabile che il nostro categorico rifiuto delle proposte del Consiglio troncherebbe la discussione ginewina e darebbe luogo ad una deliberazione del Consiglio stesso per cui, dichiarandosi f.allito questo supremo tentativo di conciliazione, si diffiderebbe l'Italia a compiere atti di guerra contro l'Etiopia e reciprocamente, minaccia11do preventivamente l'applicazione delle sanZJiom. Su questa mina.cciia preventiva è orma;i prevedibile che si formerebbe l'unaniimità nel Consiglto, giacché abbiamo visto anche sul delegato polacco non si può fare un serio affidamento. È chiaro poi che gli Stati che avessero votato tale minaccia si troverebberro impegnati a tradurre in a.tto l'applicazione della minaccia stessa.

La seconda ipotesi invece avrebbe come conseguenza o il prolungamento delle d:iscuss~oni ginevrine (Comitato, Consiglio ecc.) o anche il proseguimento di trattive fra l'Italia, Francia ed Inghilterra da riportare poi in seno al Con&iÌglio in un secondo

tempo. Questo prolungamento di trattative dovrebbe essere necessarnamente a.ccompagnato da un rinvio delle nostre operazioni militari in Africa orientale.

Insomma il problema non esce fuori dai termini seguenti: o discutere e migliorare attravel!'so negoz;iati dentro o fuori Ginevra le proposte del Consiiglio, o esporsi all'applicazione delle sanzioni.

Allo scopo di prendere una ponderata decisione occorre esammare quindi: l) che cosa valgano e fino a qual punto sia possibile migliiorare le proposte del Consiiglto; 2) che cosa rappresenti per noi l'applicazione delle sanzioni.

Circa il punto l) OCCOirre osservare: le cessionii territotrlialii da farsi all'Itali:a non sono ben specificate. In ogni caso esse non sembrano comprendere tutta la parte non ab~ssina dell'Etiopia ma solo alcuni temtoill oltre l'Ogaden. Se questi territori fossero realmente quelli ricchi di risorse agricole e sopratutto minerarie varrebbe realmente la pena di prendere la proposta come base di discussione, giacché è noto che molta parte dell'Etiopia non ha in realtà alcun valore economico.

Ammettendosi dnoltre il congiungimento temtoriiale fra l'Eritrea e la Somalda per costruirvi la ferrovia fra le nostre due colonie, noi potremmo reclamare il tracci,ato da noi previsto sulLa base dell'Accordo Tripart.ito, quello cioè che passando

ad ovest di Addis Abeba si permetterebbe di realizzare in pieno territorialmente quanto l'accordo stesso prevedeva e quindi annettere le zone dell'Etiopia per noi più interessanti.

Su questo primo punto ci sarebbe dunque ampia base di cliscUSSiione e di negoziati.

Il cllsa.nno dell'Etiopia ci darebbe realmente il modo dd compiere ampie e definitive opei1a2lioni di C8ll'attere militrure. se li! Giappone avesse avuto tale facoltà in Manciuria, probabi.lm:ente non sarebbe uscito dalla S.d.N., ed avrebbe fatto ugualmente .tutto quanto gi.udlicava necessa.rio. La formalità della presenza di piccole mppresentanze militari estere, se vi fosse modo di ridurla realmente ad una formaMtà., non avrebbe per noi alcuna ~mport.anza, né dovrebbe preoccuparCii che :iJ. periodo de1la oper82Aione di clisarmo è limitato a pochi annri, poiché è chdaro che superato l'attuale momento critico, la sostanza della proposta è di d&'ci mano libera assoluta dal punto di V'ista militare dn Etiopia.

Il duetto sostanmle delle proposte ginevrine è però quello che esse restano nel quadro della S.d.N. e che esse fanno sussistere dn ogni caoo una pa11te delllmpero etiopico come Stato indipendente. A ciò non è da farsi illusione al.cuna che s.i. . possa trova.re un reale rd.medio se ci demderemo a restare nel quadro ginevrd.no. Poiché è ben chiaro che la S.d.N., e per essa l'Inghilterra, non può asso1utamente ammettere la spa.rizOOne dell'Etiopia come Stato indtpendente. Noi .potremmo bensl. ottenere in seguito a nuove discussioni e laboriosi negoziati che la S.d.N. si dectdesse a da.rCii un mandato sull'Impero etiopico che rimrurrebbe in piedd come eillte statale ma non vi è alcuna probabilità che a Ginevra Sii possa consentke all'Italia :un vero e proprio protetto•rato sullo Stato etiopico, tipo Marocco o Tunisia. Ciò che potremmo ottenere forse sa.rebbe un ,trattato ~taio-etiopico che facesse dell'Etiopia qualche cosa di si.mile all'Eg,Ltto, oiò che non sarebbe certo poco ma implicherebbe la necessità assoluta dii una permanente occupazione mildtare ita1iana. Ad ogni modo ove scegliessimo la via di oontinua.re le discussioni e i negoziati gù.nev:r:ini, potremmo sempre domandare come massima rtcbiesta il protettorato ed in segwtto ll'ipiegare sul mandato tipo liraq, Siadvo a regolarm poi secondo la nostra convenienza.

Ove invece oredessimo più opportuno di atironlilm'e la rottma delle diiscussioni ginevrine e la conseguente appLicazione delle sa.nzioilli, la situazione s.i. presenterebbe nel modo seguente.

Uata cLa pos.llilOne di intlransigenza aBSunta con ta:nto scarsa saggezza politica dall'lnghUterra, Sì aggiunge a tuttl gLi altrd. !attori del conilitto i>taJ.o-u1g~ese (eJ.ettor>aJ.e, socWJ.e, soCiietario, coloniale ed imperiale) anche il pertcoloois&uno r•a.ttore del presti.glo per alli nella .più pa;rte dei casi Sii rischia di dar 1uoco alle polvem.

Se l'Inghilterra non otterrà a Gdlilevre di far condannare l'azione dell'Italia e di ta.rci app.lli.care le sanzi.oru, l'a.tteg~ento successivo del Govemo inglese potra wncretarsi: l) o ·in un l'ii.tiro da Ginevm con la dichiarazione che l'lnghltlterra si vede anch'essa soio1ta dali suoi obblighi e quindi dovrà pensare a dilendere da sola nel miglior modo i suoi interessi europei ed imperiali; 2) o nella permanenza

dell'InghHterra nella S.d.N., ma con la diicl'ln.ara2lione -m base al paragmfo 7 dell'art. 15 del Patto -che essa Sii riserva il ctar.Ltto di agilre come lo crederà necessario per il mantenimento del diritto e della giustizia.

Ambedue le ipotesi non sarebbero pericolose se rimanessero nel campo della teoria. Ma poiché sono in corso preparativi miLitari importanti, sia pur di carattere precauzionale, tanto da par.te ibaliana nei riguardi inglesi che da pa.rte dlnglese nei rigua!rdii. i,taliani, e poiché le nostre future operazionri ll1iill;ard. in Etiopia Cii metteranno prevedibilmente lin contatto con forze inglesi -in alcuna pUIIlti del territorio etiopico, le ìipotesi suddette contengono ambedue il 11ischio gmvissimo dii generare in un vero e proprw scontro ~talo-dnglese.

Per cercare di fare tutto quanto potrebbe evitare una simile eventualità, la cui conseguenza pdù gmve sarebbe forse l'imbottigliamento di tUJtto il nosta'o esercito co1ondale, Sii potrebbe da parte dell'Italia ammettere la convenienza di offrdl'e qualche soddisfazione all'Inghilterra che le permetta di giustificare ~'assurdo suo contegno politico almeno dlinanzi agli occhi della proprfua opinione pubblica.

12 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

* Tale soddisfazione non potrebbe essm-e altra che quella dJi. l.asc.iare che la Soc~età delle Namoni non solo pronunci una condanna esplicita dell'azione italiana., ma deliberi l'applicazione delle sanzioni economiche contro di noi.

L'Inghilterra potrebbe così appagarsi di questa effimera ed apparente vittoma ginevrina e giustifdcare il proprio operato coll'impossibilità di ricorrere a sanzioni militari a causa della inesistenza dJi. una organizzazione militare collettiva della Lewa,, a cui per il segutto si dovrà pensare se si vorranno ve.ramente e~vdtare itn furturo casi analoghi, ,al conflitto itlalo-etiopico.

La Francia d'altl'a parte, approvando anch'essa talii. sanzioni, salverebbe la pmpria faceta, ed iJ Governo di Lavai si fortificherebbe di fronte agli elementi politici che tendono a stacoMlo dall'Italia.

Prima però di avviare la nootra azione diplomatica in questo senso presso Laval, il quale dovrebbe lavorare a Ginevra per far sboccare verso le sanziona economiche le discUSSii.oni ginevrine che avranno luogo quando saranno apevte le os1li.1ità in Etiopia, sarebbe ·indispensabile stabilire i seguenti punti:

l) che le sanzioni economiche non comprenderanno la chiusUl1a del Canale di Suez;

2) che la Francia, dando il suo voto formale alle sanzioni economiche, si impegnerebbe segretamente con noi a garantirci praticamente alcuni rifornimenti per noi necessari ed a far sì che in runaloga pratica manie11a sì comportassero gLi StaM minori che grav~tano nella sua orbita (ad esemp[o Romania per ii1 petrolio);

3) che le sanzion1i economiche non compm:-,teranno alcun ostacolo ai nostrd trasporti marittimi nel Mediterraneo, nel Mar Rosso e alta-ove.

Certo una simile soluzione, anche se limitata ad un campo pU11amente formale, non cesserebbe dall'avere per noi gravi ~nconvenienti (che pur bisognerebbe esaminru'e più dettagliatamente e preci..'i<a!llente dal punto di vista tecnico) soprattutto di carattere finanziail'io, giacché . verremmo a pagaxe di molto più cari ii. nostri rifomimenti all'estero.

Ma essa mppresentell'ebbe nell'attuale momento ii.l solo modo di mantenere il con_litto italo-inglese nel campo soc1etario, riducendo al mirnmo U rischiJo gravissimo di trasportarlo nel campo militare con tutte le conseguenze che ne deriverebbero sia pure soltanto in Africa *.

(l) Il brano tra asterischi è ed. !n R. GUARIGLIA, Ricordi, 1922-1946, Napoli, ESI, 1950, pp. 263-264.

121

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 5790/203 R. Ginevra, 16 settembre 1935, ore 10,48 (per. ore 11,40).

Su mie istruzioni Cerulli e Guarnaschelli hanno visto Lopez Olivan e Saint-Quentln, ambedue membri noto Sotto-comitato.

Riferisco quanto è risultato di saliente da tali conversazioni, svoitesi natu

ralmente a titolo del tutto privato.

Nella fase attuale lavori, Sotto-comitato esaminato i due punti fondamen

tali delle richieste italiane:

l) cessione territori non abissini del Sud e dell'Ovest;

2) controllo e riorganizzazione del residuale Stato abissino.

Lopez Olivan ha detto che, a suo parere personale, tali due punti sono strettamente connessi e interdipendenti, nel senso che una maggiore soddisfazione nostre richieste territoriali nel Sud e nell'Ovest potrebbe consentirci maggiore elasticità per quanto riguarda il nucleo centrale.

Avendo egli chiesto qualche indicazione sui territori da cedere all'Italia, gli è stato naturalmente risposto sulle note basi e cioé cessione di tutti i territori non abissini, compresi quelli del Nord-ovest, in modo da congiungere territorialmente Eritrea e Somalia ad occidente di Addis Abeba.

Circa controllo e organizzazione residuo Stato abissino, Olivan ha accennato anzitutto che, per evidenti ragioni, forze armate dovrebbero avere nella forma carattere internazionale. Come sua opinione personale, ha aggiunto che alle forze internazionali dovrebbero concorrere, a fianco dell'Italia che ne avrebbe preponderanza, non (dico non) Francia e Inghilterra ma alcuni Stati minori, ad esclusione di quelli già in certo modo compromessi in Etiopia, quali Belgio e Svezia.

In relazione poi talune voci qui corse, ha smentito si sia trattato nel Sottocomitato di dividere Stato abissino in settori territoriali, da affidare ciascuno ad uno degH Stati partecipanti a forze armate internazionali. Ha invece chiarito che si è trattato piuttosto di una possibile diversa intensità della preponderanza italiana nei vari settori.

Circa procedura prevedibile lavori Comitato, Olivan ha detto che questi, una volta preparato progetto di larga massima, designerebbe un suo componente quale incaricato dei necessari negoziati con le parti.

Saint-Quentin si è mostrato molto più riservato di Olivan accentuando difficoltà ed obiezioni. Circa cessioni territoriali egli dopo aver accennato all'Ogaden, di fronte recise repliche nostri esperti, ha chiesto indicazioni su territori atti a colonizzazione. All'esposizione nostro programma suaccennato ha osservato sempre a titolo personale:

l) sembrargli opportuno, nei confronti Gran Bretagna, basarsi essenzialmente su riconoscimento da parte Repubblica francese necessità espansione;

2) essere, nella sua impressione, del tutto improbabile che -qualunque possa essere estensione cessioni territoriali -Inghilterra consenta all'unione territoriale Eritrea e Somalia ad ovest Addis Abeba, in quanto, in tal modo, si costituirebbe un corridoio di sovranità italiana fra Sta.to abissino e Sudan. Nostri esperti hanno replicato richiamandosi espresse disposizioni trattato tripartito.

Circa riorganizzazione Stato abissino, Saint-Quentin ha ammesso che memoriale Italiano ne ha provato necessità.

Ha chiesto nostri esperti loro opinione circa coesistenza truppe internazionali con forze armate capi abissini; gli è stato risposto che tale coesistenza è da escludere e che disarmo abissino appare essere condizione preliminare per instaurazione controllo.

Saint-Quentin ha poi accennato ai mezzi finanziari per riorganizzazione generale Stato abissino, della quale la costituzione della polizia è solo parte; chiedendosi se un prestito politico fatto dall'Italia all'Abissinia non darebbe modo di rinforzare nostro controllo sullo Stato abissino.

In complesso, in confronto di quanto mi aveva detto Lavai (mio telegramma

n. 189) (1), Saint-Quentin ha dimostrato ancora una volta mentalità restrittiva del Quai d'Orsay.

122

L'ADDETTO NAVALE A TOKIO, GHE', AL MINISTERO DELLA MARINA (2)

T. 77935/11. Tokio, 16 settembre 1935, ore 14,55 (per. ore 19,45).

In seguito agli ordini ricevuti da S. E. Ambasciatore sono stato Ministero della Marina onde far rettificare dichiarazioni inesatte e,spresse in una conferenza da ufficiale marina circa nostra questione etiopica. Da lunga conferenza con Capo di Gabinetto ricevuta piena soddisfazione e assicurazione completa simpatia Marina nostra causa. Riportata precisa sensazione che possibilità indebolimento Inghilterra riuscirebbe oltremodo gradita e sarebbe sfruttata propri fini. Mi ha colpito allusione ad enormi vantaggi risultanti nostra eventuale completa unione e domandato se non sarebbe conveniente per noi rifornirei Giappone. Capo Gabinetto pregato, qualora possibile, avere ulteriori massime informazioni nostra causa. Qualora V. E. ritenesse opportuno darmi qualche notizia al di fuori dominio pubblico, non molto risexvata, me ne servirei mantenere contatto nonché dare prova considerazione verso ambiente navale giapponese e sondare loro intenzioni nel caso in cui collaborazione Giappone casta militare dominante potesse esserci utile (3).

123

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE U. 1648/554 R. (4). Roma, 16 settembre 1935, ore 24.

Come può immaginare il discorso Lavai (5) ha suscitato una impressione penosa, non tanto nei circoli politici quanto fra le masse del popolo. Per evitare che la amicizia franco-italiana sia di nuovo ed irreparabilmente compromessa è urgente svolgere un'azione immediata negli ambienti che ci sono favorevoli e nella stlampa amica che dev'essere quotidianamente guidata e aiutata.

(l) -Vedi D. 104. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare. (3) -Per la risposta di Mussol!ni vedi D. 133. (4) -Minuta autografa.

(5) Si tratta del discorso del 13 settembre all'Assemblea della S.d.N., per il quale vedi Il conflitto italo-etiopico, Documenti, vol. I. cit., pp. 498-500.

124

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 16 settembre 1935.

Ho convocato il signor de Chambrun per esaminare la situazione che si presenterà nei prossimi giorni a Ginevra.

Ho ritenuto anzitutto di fargli alcune premesse.

L'intesa itala-francese è alla base della nostra politica ed il Capo intende mantenerla, qualunque siano le evenienze.

Con la Germania vi è stato qualche scambio di cortesie, ma nulla di sostanziale; anzi si deve riconoscere che non vi è reciproca attrazione. Naturalmente mentre siamo minacciati di sanzioni economiche dobbiamo tenere la porta aperta con la Germania che è fuori della Società delle Nazioni e che è un Paese fornitore di prodotti che a noi interessano molto.

Il Capo del Governo intende fare tutto il possibile per evitare la guerra contro la Gran Bretagna e non ha nessun inter·esse ad uscire dalla Società delle Nazioni.

Stabilite queste premesse vediamo come si possano armonizzare con la situazione che verrà a crearsi a Ginevra nei prossimi giorni.

Il primo elemento che va preso in considerazione è la nostra situazione nei riguardi della Gran Bretagna. Questa situazione è arrivata ad un punto che non può non destare i più gravi allarmi. Oggi sta avvenendo questo: L'Italia sotto la minaccia di sanzioni, che non si sa di che carattere nè di che entità, deve prendere tutti i suoi provvedimenti precauzionali, provvedimenti sopratutto di carattere militare: in terra, in mare, per aria. Questi provvedimenti, per necessità di cose, interessano la Gran Bretagna che è la detentrice .dei punti strategici del Mediterraneo e dei passaggi obbligati per J.'Afrtca orientale. Come è noto, fra l'altro, noi mandiamo due divisioni in Cirenaica; divisioni che sono di riserva per l'Africa orientale, ma che servono nel frattempo a tenere tranquille le popolazioni della Libia che avevano dato qualche segno di irrequietezza. Tali divisioni però, assieme con le formazioni di Camicie Nere e con le truppe di indigeni, vengono a costituire un gruppo di forze notevoli agli ordini di Balbo, in vicinanza dell'Egitto.

L'inghilterra, da parte sua, procede ad un rafforzamento delle proprie posizioni. Oggi vi è una squadra concentrata ad Alessandria d'Egitto ed un'altra ad Aden.

Le guarnigioni di Gibilterra, di Malta, di Suez e di Aden sono state rafforzate. Le forze aeree sono state aumentate anche a Malta e Suez e ad Aden. A Gibilterra e negli altri posti sopra menzionati si impostano nuove artiglierie e si aumenta la difesa anti-aerea; insomma vi è tutto un movimento di preparazione militare dall'una parte e dall'altra che crea uno stato di animo di eccitazione e che può costituire l'atmosfera favorevole per far scoppiare un conflitto che in altre condizioni forse potrebbe essere evitato.

È chiaro che da parte nostra fino a che dura questa situazione non solo non si penserà a smobilitare, ma anzi si continuerà negli apprestamenti precauzionali. Queste nostre misure sono determinate dalla incertezza di queste sanzioni di cui ormai si parla apertamente e generalmente. Che cosa si intende per sanzioni? sanzioni militari? un blocco economico? Noi -per quanto la cosa possa parere assurda, dato che mai sono state applicate, in casi più gravi dell'attuale, sanzioni da parte degli Stati della Società delle Nazioni -dobbiamo prepararci al peggio, pur rendendoci conto che la situazione può andare fatalmente verso delle conseguenze irreparabili. È appunto questa nostra impressione che io oggi voglio denunciare all'Ambasciatore di Francia perchè ne J"iferisca al suo Governo.

E' inutile insistere su quelle che sarebbero le conseguenze di un conflitto italo-inglese. Chi ne benificerebbe sarebbe la Germania che si insedierebbe sul Danubio (è chiaro che noi non possiamo sostenere tre fonti: abissino, mediterraneo, danubiano) e dominerebbe tutti i paesi del Bacino danubiano e della Penisola balcanica, aprendosi la strada fino a Costantinopoli. Sono prospettive che non toccano soltanto noi, ma anche la Francia e la Gran Bretagna. Ci si domanda se bisogna lasciare una situazione contenente tanti pericoli al puro azzardo, o se vi è modo di fare qualche cosa per regolarla e contenerla. È certo che se noi potessimo avere l'assicurazione che non si pensa a sanzioni di carattere militare o che ledano gravemente la dignità del nostro Paese, che non si pensi a sanzioni economiche di natura tale da danneggiare il nostro Paese e da intralctare la nostra azione nell'Africa orientale, noi potremmo smobilita.re almeno parzialmente, eliminando quell'elemento di cui parlavo sopra che può essere la causa determinante di una rottura itala-inglese. Con ciò non intendo dire che noi accetteremmo delle misure o sanzioni di carattere meno grave a cuor leggero: è chiaro che reagiJremmo in tutti i modi, ma sarebbe con tutta probabilità eliminato il pericolo dell'allargamento del conflitto.

D'altra parte anche in caso di rottura a Ginevra (ed io in questo discorso che faccio all'Ambasciatore esamino solo questa eventualità) abbiamo ancora delle carte da giuocare. Vi è per esempio ii signor Titulescu che afferma che noi siamo dalla parte della ragione e che, trattandosi di un'aggressione continuata da parte abissina, noi possiamo attaccare l'Etiopia senza passare da Ginevra. Ma tutte queste cose si discuteranno. La situazione che esige dei provvedimenti immediati è quella determinata dalle misure militari inglesi e nostre. Vuole prospettare l'Ambasciatore questa situazione al suo Ministro per sentire se la Francia crede di poter intervenire, d'accordo con gli inglesi, per darci l'assicurazione di cui sopra?

Secondo me è la più importante cosa che si può fare in questo momento nel campo pratico a vantaggio della pace europea.

L'ambasciatore ha affermato in pieno la perico1osità del momento ed fntende prospettare urgentemente a Parigi le considerazioni da me fattegli. Egli tuttavia pensa che ci sia un'altra cosa pratica da fare. Quella di fargli sapere le nostre richieste minime perché egli possa comunicarle al signor Lavai che cercherà di farle accettare dal Consiglio della Società delle Nazioni.

Gli rispondo che noi non abbiamo un programma massimo ed un programma minimo. Noi abbiamo un solo programma che ormai è noto e di dominio

pubblico: richiediamo il dominio diretto sui Paesi non Ahamara.. un protettorato con occupazione militare dell'Altipiano centrale, una rettifica di confini nel Tigrai.

L'Ambasciatore ritiene che in questa forma la S.d.N. non potrà accogliere le nostre richieste, ma potrà crearci una posizione tale perché noi, sviluppandola, si arrivi a realizzare le nostre aspirazioni.

Rilevo all'Ambasciatore che la levata di scudi della Seconda Internazionale ha ottenuto lo scopo di irrigidire il programma italiano perché vuole fare accettare all'Italia una soluzione di compromesso. Con tale intervento di tutto l'antifascismo a Ginevra ogni soluzione più che carattere diplomatico acquisterebbe carattere politico che toccherebbe il regime stesso.

L'Ambasciatore è di opinione che la realizzazione dei fini voluti dall'Italia senza una guerra sarebbe un successo infinitamente superiore a quello che ci potrebbe dare una soluzione militare; otterremmo gli stessi risultati avendo il plauso di tutto il mondo, salvando la pace europea.

Egli si rende conto che l'azione militare è necessaria e questa non mancherebbe, soltanto che essa si inquadrerebbe in un programma accettato dalle altre Potenze.

Replico all'Ambasciatore che conosco la sua tesi e l'apprezzo; ma dobbiamo contare la realtà e la realtà è questa: che a Ginevra ci faranno delle proposte che con tutta probabilità non saranno di nostra soddisfazione e che, esauriti con ciò i' tentativi pacifici, non rimarrà altro che il conflitto. Cerchiamo di limitarlo e di neutralizzarne le conseguenze che possano to.ccare altri campi che non siano quello del settore itala-abissino.

L'Ambasciatore mi ha già detto che il suo compito è quello di ascoltare i nostri desideri e di farsene il più caloroso interprete a Parigi. Farà così anche in questa circostanza (l).

125

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

Roma, 16 settembre 1935.

In questi giorni saranno presentate le proposte del Comitato dei Cinque.

Dalle notizie che si hanno, sebbene tali proposte accettando in principio la nostra tesi apriranno la via ad un futuro dominio dell'Italia sull'Etiopia, esse saranno tuttavia lontane dall'accoglimento immediato e integrale del nostro programma.

Il nostro rifiuto a discutere sarà interpretato a Ginevra e nella opinione pubblica mondiale come la nostra decisione di voler fare la guerra a qualunque costo scartando rigidamente ogni possibilità di soluzione pacifica. Bisogna quindi che ci prepariamo a una sollevazione dell'opinione pubblica mondiale contro di noi (ci saranno poche eccezioni come l'Austria, l'Ungheria e i piccoli

gruppi di nostr~ amici sparsi nel mondo) che si manifesteranno nella forma più violenta. Tale campagna che avrà come suo mezzo di espressione principale la stampa internazionale, per se stessa, può anche !asciarci indifferenti; il pericolo è che in un'atmosfera così accesa rivolta contro di noi possano apparire giustificati e trovare largo consenso quegli atteggiamenti e quelle misure che, in altre condizioni, non sarebbero mai accettati dai Governi né dall'opinione pubblica mondiale. Se S'i riesce a superare senza arrivare a delle conseguenze estreme il momento critico del nostro rifiuto e sopratutto quello del conseguente inizio delle ostilità, è probabile che la tempesta un po' alla volta si calmi e che la massima preoccupazione di tutti i fattori responsabili internazionali (gli irresponsabili seguiranno) sia quella di far cessare, o almeno limitare, il conflitto. Per superare quindi il periodo critico nelle migliori condizioni converrà prendere alcune misure precauzionali.

l) La Gran Bretagna, a quanto si capisce da tutte le informazioni, comincia ad essere in grav.e stato di alla·rme per le nostre misUII'e terrestri, marittime, aeree e mediterranee, e corre ai ripari.

Abbiamo detto ad Aras che noi armiamo il Dodecanneso non contro la Turchia, ma contro l'Inghilterra (l); Aras non avrà mancato di trasmettere questa nostra comunicazione agli inglesi.

Bisognerebbe nei prossimi giorni cercare di attenuare, almeno nelle manifestazioni esteriori, queste nostre misure. Le stesse nostre dichiarazioni di voler continuare la politica di pace con l'Inghilterra, danno agli inglesi l'impressione che noi vogliamo addormentare le loro diffidenze per preparare! ~tranquillamente contro di loro.

Azioni come quelle delle nostre navi in Grecia dovrebbero essere, per quanto possibile, evitate perchè non fanno che gettare olio sul fuoco. 2) La nostra azione diretta sugli altri Paesi è, in queste condizioni, più

o meno inefficace: conviene tanto più servirei della Francia che ha, ad onta di tutto, il più grande interesse ad evitare un allargamento del conflitto e una nostra rottura oon l'Inghilterra.

Bisogna ora fare alla Francia un discorso molto chiaro: l'azione militare è inevitabile; sia pure essa provocata da parte abissina, il mondo l'interpreterà contro di noi; ci sarà quindi una reazione e la possibilità di deplorazioni e anche di sanzioni. Se le deplorazioni e le sanzioni sono di natura tale da non disturbare la nostra azione e da non ledere la nostra dignità (qui torna opportuno il discorso sull'interpretazione giuridica e quella politica dei trattati) noi potremo anche subire la situazione che ne deriva senza reazioni violente. Se però le sanzioni fossero di natura tale (blocco economico su larga base e sanzioni militari) da compromettere seriamente la nostra azione, questo vorrebbe dire l'allargamento del conflitto con tutte le conseguenze che ne possono derivare.

Dopo l'azione militare che servirà a far scaricare l'elettricità che c'è nell'atmosfera, la situazione potrà essere riesaminata con maggiore tranquillità. Il compito della Francia sarà di evitare questo pericolo e di non distruggere questa possibilità (2).

(l) Il presente documento reca il visto d'i Mussolini.

(l) -Vedi serle ottava, vol. I, D. 812. (2) -Il presente documento reca !l visto di Mussollnl.
126

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 3267/2088. Vienna, 16 settembre 1935.

Telespresso di V. E. n. 231544 del 10 corrente (1).

Ringrazio V. E. per la cortese comunicazione datami di un colloquio interceduto fra S. E. il Sottosegretario di Stato e codesto Ministro d'Austria, relativo all'attuale situazione interna austriaca ed alle pressioni qui esercitate dal sig. von Papen in vista del rapido raggiungimento di un diretto accordo austrotedesco.

Le impressioni tratte dal sig. Vollgruber nei suoi colloqui con Berger sono esattissime per quanto concerne la difficoltà per lui sempre crescente di poter tergiversare una risposta alle aperture del signor von Papen: tali difficoltà sono state da me ripetutamente rappresentate, unitamente alla convenienza di affrettare per quanto possibile il raggiungimento di un Patto danubiano (ad es. miei telegrammi 166 e 167) (2).

Ma su di una circostanza il sig. Vollg,ruber non ha potuto esprimersi: e cioè sull'influenza che tale protratta situazione di cose può esercitare nei riguardi della situazione dello stesso Berger nell'attuale Gabinetto: influenza alla quale ho accennato in fine al mio teleposta 1938 del 24 agosto u.s. (3).

127

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5824/208 R. Ginevra, 17 settembre 1935, ore 0,36 (per. ore 2,45).

Ho sempre tenuta presente la questione della formula dell'aggressore quale era stata proposta dal Ministro Sola.

Non appena giunto qui Titulescu, gli ho inviato Sola per consultarlo. Come ho comunicato per telefono, Titulescu è venuto oggi a vedermi e si è dimostrato profondamente desideroso di renderei servigio, dicendosi fermamente convinto della possibilità per noi di trarre partito da una nostra presa di posizione nel senso suddetto.

Titulescu si era riservato di conferire con Lavai, cosa che ha fatto stasera. In tale colloquio ha dichiarato a Lavai che, preoccupato della situazione cui si andava incontro, gli sembrava oramai l'unica cosa da fare fosse legalizzare la guerra sulla base della invocazione, da parte dell'Italia, della formula dell'aggres

sore, e dietro ricorso da nostra parte all'articolo 15 del Patto. E ciò perchè «nulla avrebbe trattenuto l'Italia, egli ne era convinto, dall'iniziare le ostilità». La Francia e la Romania, ed altre due o tre Nazioni che esse potrebbero trascinare, avrebbero però dovuto impegnarsi a garantire formalmente all'Italia il loro

voto contrario a qualsiasi domanda di applicazione di sanzioni, da qualunque parte venisse. Senza tale garanzia avrebbe egli stesso sconsigliato all'Italia di invocare l'articolo 15, perchè, se la posizione attualmente assunta dall'Italia potev:a essere ingiusta, essa era tuttavia assolutamente logica. Lavai aveva trovato la proposta di Titulescu molto interessante e si era riservato parlarne con gli inglesi. Titulescu aveva tentato, ma inutilmente, di impedire tale consultazione osservando fra l'altro che se Francia e Romania non avessero proposto all'Italia tale procedura, l'Italia avrebbe anche potuto adottarla spontaneamente e in tal caso la Francia si sarebbe trovata nella grave situazione di dover essa stessa assumere la sua responsabilità di fronte a una richiesta di sanzioni. Se invece l'Italia avesse agito su suggestione della Francia e di altri paesi amici, essa avrebbe potuto così dare una prova della sua buona volontà e dar corso alla procedura suggeritale, sempre beninteso dietro le formali garanzie di cui sopra. Lavai aveva osservato che se si dovesse arrivare a sanzioni, vi era sempre modo di distinguere tra sanzioni e sanzioni, che potevano anche essere molto lievi. Titulescu aveva protestato che qualunque tentativo di imporre la volontà altrui a Mussolini avrebbe creato non solo un definitivo distacco tra Italta e Ginevra, ma avrebbe significato il completo fallimento della politica del 7 gennaio, cosa che non poteva lasciare indifferente la Francia, come non lasciava indifferente la Romania ed altri Paesi balcanici o della Piccola Intesa. Titulescu vedrà di nuovo Lavai nel pomeriggio di domani dopo che Lavai avrà parlato con gli inglesi. Anche Titulescu si riserva di intrattenere direttamente

Eden e di informarmi.

(l) -Vedi D. 77, nota l p. 68. (2) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 801. (3) -Non pubblicato. Il presente documento reca il visto di Mussollni.
128

IL CONSOLE GENERALE A OTTAWA, PETRUCCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5873/70 R. Ottawa, 17 settembre 1935, ore 4,38 (per. ore 2,30 del 18).

Opinione pubblica canadese seguita a mantenersi ostile a qualsiasi forma di partecipazione ad eventuali sanzioni contro l'Italia. Può considerarsi che sforzo fatto dalla propaganda inglese per trascinar questo pubblico a sentimenti ostili contro l'Italia sia completamente fallito. Anche discorso di Hoare è passato sotto silenzio come anche dichiarazioni Delegato canadese Assemblea

S.d.N. Tutti i partiti politici impegnati nella lotta elettorale fanno a gara per dichiararsi assolutamente contrari a qualsiasi intervento del Canadà in eventuali conflitti europei. Anche Partito liberale, che per finalità democratiche spinte professavasi antifascista, ha per bocca suoi capi proclamato sua inalterabilità opposizione intervento Canadà.

129

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5666/618 R. Parigi, 17 settembre 1935, ore 20,30 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 554 (1). Faccio tutto il possibile e nel complesso mi sembra stampa francese continui ad esserci favorevole.

Ho ricevuto affidamento che la stampa amica continuerà in attuale linea di condotta anche se la Francia dovesse essere dagli avvenimenti posta al bivio di scegliere tra l'Italia e l'Inghilterra.

Occorre tenere presente che la Francia aborrisce la guerra e che la subirebbe unicamente nei riguardi della Germania, ma che mentre esercito e gran pa.rte opinione pubblica sono in genere anti-inglesi, funzionari del Quai d'Orsay sono anglofili e partiti di opposizione sono opportunisti e perciò attualmente contrari all'Italia, perché quest'arma serve loro per combattere Lavai. Questi ha probabilmente condotto seco a Ginevra peggiori suoi avversari, Herriot e Paul-Boncour, per poterli sorvegliare e perché li riteneva meno pericolosi colà che a Parigi; ma i loro luogotenenti qui lavorano egualmente ai danni di Lavai. Non credo che questi due la pensino diversamente da Lavai circa necessità evitare guerra europea, ma sono influenzati dal loro sentimento antifascista che potrebbe indurii a eseguire pressione sanzioni. Se l'Inghilterra dovesse rispondere al quesito postole da Lavai circa suo atteggiamento futuro di fronte obblighi societari nei riguardi dell'Austria in modo ambiguo, essa perderebbe residuo delle simpatie che gode in Francia. Parte della stampa continuerebbe per altro sostenere tesi inglese, perché influenza dell'Ambasciata inglese [su] larghi [settori opinione pubblica francese] è cospicua.

Discorso di Hitler a Norimberga produsse grande impressione e preoccupazione per Memel e per Russia. Si rileva altresì che la Germania è la sola che approfitta dell'attuale situazione.

130

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. (2). Tokio, 17 settembre 1935.

[Teiegramma di V. E. n. 106] (3).

In una particolarmente cordiale conversazione Vice Ministro Affari Esteri mi ha detto che il Governo giapponese non riesce farsi una idea chiara situa

zione in Europa e degli eventuali sviluppi giacché i telegrammi di stampa che qui giungono sono quasi tutti da fonte anglosassone ed i rapporti che pervengono dai rappresentanti dLplomatici sono vaghi o insufficienti.

Mi ha chiesto se potessi dirgli qualche cosa di più preciso, specie circa i nostri propositi. Mi ha detto altresì che le nostre dichiarazioni in vista di eventuali sanzioni belliche gli apparivano molto energiche e risolute. Giappone, pur seguendo con la massima attenzione svolgersi degli avvenimenti, nulla aveva deciso sul suo futuro contegno, appunto per la difficoltà di conoscere attuale vero stato delle cose o di prevedere i suoi possibili sviluppi. Egli ha aggiunto che gli apparivano però fin da ora i danni per il suo commercio da un eventuale conflitto europeo, ma nulla ha obiettato alla mia osservazione che in ogni medaglia ci sono due facce e che l'altra aveva per questo Impero maggiore importanza. Egli ha concluso credere difficile che l'Italia riesca mantenere propria libertà d'azione restando a Ginevra, ma si è detto convinto che essa procederà sulla via scelta, della quale ha mostrato comprendere diritti e motivi e che non le mancheranno favorevoli risultati.

L'ho assicurato che se ricevo notizie, le quali avessero potuto interessarlo, gliele avrei comunicate ed egli, ringraziandomi, mi ha fatto comprendere il suo desiderio di mantenere i contatti.

I giomali pubblicano oggi che ho avuto lungo colloquio con Vice Ministro. Vice Ministro Affari Esteri mi si è mostrato particolarmente gentile ma anche molto riservato.

Maggiore franchezza hanno avuto con i nostri addetti militari e navale i Ministeri di loro competenza. Sarà da questi che converrà cercare di sapere di più e, se del caso, iniziare con questi meno generici contatti, giacché essi parlano di più e più apertamente e sono in realtà essi che decidono specie in simili questioni. L'accenno del Ministero della Marina a rifornimenti giapponesi per noi, il quale conferma la voce già segnalata dalla R. Ambasciata, mostra il mutamento qui avvenuto nei riguardi nostri ed i vantaggi che se ne potrebbero trarre, pure entro limiti del presente contegno di Tokio.

Mi permetto rammentare come varie volte e specialmente col rapporto del 6 giugno 1934 (1), questa Ambasciata abbia indicato importanza che 11 Giappone può presentare per la nostra politica di espansione.

Allo stato presente delle cose mi sembra possa dirsi che qui si segue con molto interesse la nostra azione, che si spera nella nostra uscita dalla S.d.N., che si desiderano gravi ·complicazioni, che si consider!llno i vantaggi che se ne potrebbe trarre ai propri fini. Finché però la situazione si manterrà in generale quale è il Giappone non terrà contegno diverso dall'attuale e non darà a vedere i suoi disegni. Ma se la situazione si aggravasse e l'Inghilterra si trovasse paralizzata in Europa, è probabile che il Giappone considererebbe la convenienza di mutare atteggiamento, spingendo le sue mire al di là della Cina.

Quando ho detto ieri al Vice Ministro che l'Inghilterra mi sembrava la vera rivale del Giappone, egli non mi ha smentito neanche pro torma. Allorché i militari asseriscono che l'Inghilterra deve ritirarsi ad ovest di Singapore, enunciano il loro programma minimo.

(l) -Vedi D. 123. (2) -Mancano le indicazioni del numero d! protocollo e degl! orari di partenza e arrivo. (3) -Vedi D. 115.

(l) Vedi serle settima, vol. XV, D. 361.

131

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3371/1369. Berlino, 17 settembre 1935 (per. il 20).

Sono ritornato dal Congresso di Norimberga appena questa mane (1). Ne riferirò assai brevemente.

Questo terzo Congresso è stato, sopratutto, una manifestazione di forza, agli effetti interni. Spunti di politica estera pochissimi ed anche quelli in funzione, soltanto, di esigenze interne.

Una manifestazione di forza, oltreché di Partito e di Regime, anche, e specialmente, di persone. Coloro tra i miei colleghi che hanno partecipato alle manifestazioni analoghe degli anni precedenti mi assicurano che, mai come questa volta, il Ftihrer si è mostrato in tutta la sua forza e nella pienezza della sua personalità. I gesti e gli accenti che ha trovato non lasc~!llno dubbio sulla sua precisa intenzione di tenere le redini del movimento, fortemente, contro tutto e contro tutti.

Mentre ha identificato sè stesso col Partito, ha riportato a questo, interamente, la Nazione. Il Nazismo segue -evidentemente -nella sua prog·ressiva presa di possesso della Nazione. Ma non l'ha ancora permeata al punto da identificarsi con la medesima e mettere questa, anziché sé stesso, all'apice del Regime. Però, la presa di possesso si annunzia oramai completa, in tutti i campi.

Il Congresso si aprì con un proclama, certamente preparato da lunga mano e quindi non esprimente il nuovo clima che il Congresso doveva manifestare. Man mano che questo clima, -clima di forza che forse ha sorpassato le stesse aspettative dei dirigenti -si è manifestato, Hitler ne ha profittato per spingersi più in là, tanto in là da raggiungere quel consolidamento completo e definito della situazione di cui sentiva il bisogno.

La abolizione unilaterale e violenta della parte V del T.rattato di Versailles, ed il riconquistato diritto a·l riarmo aveva già guadagnato a Hitler l'Esercito. Hitler ha quindi creduto giunto il momento di disporre definitivamente delle forze armate assegnando loro il posto d'onore nella difesa della Nazione dai nemici esterni, ma un posto affatto secondario tra le forze interne del Regime.

Il proclama del 10 incominciava con la glorificazione dell'Armata; il discorso del 16 chiude con la incorporazione e la sua classificazione tra le for2le del Regime. Nel proclama del 10 mal si sarebbe potuto vedere se e quale dei due elementi -Armata e Partito -il Fiihrer mettesse alla propria destra. Nel discorso di chiusura il Ftihrer assegna, definitivamente, Ia destra al Partito, in quanto elemento non solo propulsore, ma dirigente delle forze dell'intera Nazione, che in esso e per esso si esprime e riassume.

Nella ricostituzione dell'Ese,rcito era stato visto LI sorgere di una nuova forza con cui il Fiihrer avrebbe dovuto, all'interno, fare i conti e che, all'occorrenza, avrebbe potuto prendergli la mano. Hitler ha avvertito il pericolo e, comprendendo che fra i due elementi --Partito ed Esercito -gli era più facile imporsi al secondo che al primo, ha trovato nel suo stesso gesto del 16 marzo forza e motivo per liquidare l'Esercito in quanto forza di politica interna, nel momento stesso in cui gli ridava ragione di vita e dignità di esistenza come forza di politica estera.

Nessuno dei tanti ufficiali, compreso Blomberg, pur presenti alla seduta straordinaria del Reichstag ha applaudito alle «tre leggi», di cui la prima crea la band1era nuova condannando all'oblio, per quanto ostensi\namente glorioso, la vecchia. Ma tant'è: con o senza applausi dei militari la legge è passata.

Non si può dire, con ciò, che Hitler abbia fatto bene. Memo.re della soluzione, genialmente costituzionale, data dal Duce nostro all'analogo problema a suo tempo pastosi ed impostasi anche a noi, dovrei dire, e con convinzione, che egli ha fatto male. Ma lo ha fatto e ciò che è mio dovere sottol·ineare è soprattutto che Hitler si sia sentito in questo momento tanto forte da poterlo fare.

La forza, ripeto, l'ha trovata nel suo stesso gesto del 16 marzo. La manifestazione di entusiasmo per la riconquistata «libertà» -che poi significa libertà di riarmarsi -è stata nel Congresso veramente grande, tanto grande da dar·e ad esso, che ne ha derivato la denominazione di Congresso della Libertà, il suo tono e aprLre a Hitler possibilità innanzi aUe quali eg11i avrebbe in altre condizioni certamente esitato.

Non sono stato io, cioè il Partito -ha detto Hitler ai soldati dell'Esercito e a tutti i Tedeschi in generale -non è stato il Partito che vi ha restituito a dignità di vita fra la comunità delle Nazioni ridandovi uno degli attributi essenziali della grandezza e cioè la forza? Consentite, quindi, al Partito il posto d'onore, e accettatene, senza discussione, le leggi.

« Leit motiv » del Congresso di Norimberga: lotta contro il bolscevismo. Le recenti assise del Comintern ne davano occasione e gius·tificazione ad un tempo. Il Comintern, adottando la politica del fronte comune, credeva aver diminuito gli ostacoli e le opposizioni. In pratica, le aveva invece aumentate, anzi moltiplicate. Se le difficoltà di guardarsi da un comunismo -dichiarato e riconoscibile ai suoi stessi connotati esteriori e palesi -erano X, quelle necessarie per guardarsi da un comunismo travestito e camuffato da fronte unico erano dieci volte tante. Un fronte unico, nel quale siasi insinuato un comunismo vinto ma non domo e dalla sua stessa sconfitta reso più insidioso, non fa che moltiplicare i pericoli del comunismo. Una volta entrato, col cavallo di Troia del fronte unico, nella cittadella del potere, i comunisti torneranno a rivelarsi per quello che realmente sono.

Questa la ragione vera del senso di allarme che il Congresso del Comintern ha gettato un po' dappertutto, questo il motivo della maggiore reaziOIIJ.e suscitata.

Qui a Berlino tutto ciò è stato capito e, dato che: l) il comunismo si era rimesso da sé all'ordine del giorno internazionale e 2) il nazismo aveva fatto per i 9/10 le spese del Congresso di Mosca, Hitler ha pensato bene di impostare l'intero Congresso sulla lotta contro il comunismo. Non starò a ripetere, qui, Je tesi svolte, del Testo risultanti dalla documentazione che è stata inviata all'E. V. già in mia assenza. Più delle tesi e cioè della tesi, sono interessanti gli sviluppi della tesi stessa: Perché combattiamo l'ebraismo? perché i giudei sono gli agenti del bolscevismo. Perché pretendiamo che le confessioni religiose aderiscano ai principi fondamentali del nazionalsocialismo? perché senza il nazionalsocialismo ci sarebbe il bolscevismo e, con questo, le prime a venir meno sarebbero proprio le religioni... Non bisogna dimenticare, quanto all'ebraismo -a parte del resto lo stesso esempio di Mosca, -che il Governo bolscevico istituitosi a Monaco -credo nel '20 -era appunto un Governo di giudei, che lo esercitarono con una ferocia inaudita e di memoria difficilmente cancellabile. Quali che, del resto, ne siano le ragioni, va in linea di fatto constatato che nessuna delle misure proposte al Congresso di Norimberga e da questo approvate ha incontrato maggior copia e calore di consensi di quelle contro gli ebrei. I funzionari «ariani» che ci accompagnavano, -io avevo con me lo stesso Capo di Protocollo -non entravano più nella pelle dalla contentezza «Voi non vi potete render conto -mi diceva la mia guida -di quello che significano gli ebrei per noi. In qualunque ramo di attività, comprese le carriere di Stato, noi siamo « asfissiati » dagli elementi ebraici. Certo, vi saranno molti casi pietosi. Ma era indispensabile... ». È evidente che le leggi -in sé stesse condannabili e comunque per noi inconcepibili -contro gli ebrei rappresentano la più grande e forse la più sentita delle concessioni fatte dal Fuhrer al Partito. Hitler ha dovuto avvertire in proposito, da una parte, la impossibilità di prorogare ulteriormente una soluzione d'insieme della questione, dall'altra la convenienza di sostituire un'azione basata sulla legge, qualunque essa fosse, all'azione incomposta, incontrollata e incontrollabile -appunto perché esercitata extra legge -a cui il Partito ed i suoi componenti singoli si erano in questi ultimi tempi abbandonati. Che il Ftihrer avesse, nel proporre questa legislazione medioevale, presente al suo spirito la esigenza a cui ho più sopra accennato, emerge chiaro dalle poche ma rigide parole che, a votazione finita e ad applauso iniziato e da lui bruscamente interrotto, il Ftihrer pronunciava con braccio imperiosamente teso prima di allontanarsi dalla sala: «Signori Deputati, avete adesso approvato una legge, la cui importanza potrà essere valutata in tutta la sua pi,enezza soltanto fra secoli. Provvedete però che la Nazione non abbandoni la via della legge. Provvedete a che il nostro Popolo batta la via della legge. Provvedete a che questa legge sia nobilitata

dalla massima disciplina di tutto il Popolo tedesco, peir il quale e per la quale voi siete responsabili».

In pratica, e sempre astrazione fatta dalla sua intrinseca barbarie, la legislazione adottata può, per gli ebrei della Germania e specie di talune delle sue regioni, rappresentare ancora un minor male.

Con entusiasmo indubbiamente minore ma comunque sempre per sè stesso rilevante e sintomatico sono stati sottolineati i punti dei vari discorsi del Fiihrer relativi alla religione. Mentre le rinnovate affermazioni di rispetto per le singole confessioni religiose nei limiti in cui queste non entrino in conflitto con le supreme esigenze della Nazione, venivano accolte con glaciale silenzio, venivano invece calorosamente applauditi tutti gli spunti polemici contro i «partiti politico-religiosi» con cui il Fiihrer mascherava l'attacco alle posizioni tenute dalle diverse confessioni. Nel nome di un Dio, altrettanto spesso quanto invano pronunciato, Hitler cerca, in fondo, di introdurre la « religione della Nazione». È questa, per lui, la sola destinata a sopravvivere. Di questa egli fa il suo dogma e sopra di essa edinca la propria chiesa.

Non so fino a qual punto egli intenda, e comunque possa, spingersi su questa via. Andando troppo oltre potrebbe arrivare, per quanto da un altro lato, alle stesse aberrazioni bolsceviche. Ma forse la sua è, in astratto, una mera concezione di « ragion pura» e, in concreto, un'arma ideologica atta a por.tare la stessa passione della Nazione a quel fanatismo che sembra formare una delle essenze del nazismo.

Il Fiihrer ha ·Chiama.to questo Congresso un congresso storico. Vedremo :in quale senso lo sarà. Comunque, fra gli elementi che possono contribuire al carattere storico del Congresso va senza dubbio menzionata la stessa riunione del Reichstag a Norimberga. Non credo si tratti di avvenimento occasionale e destinato a rimanere isolato. Siamo forse in presenza di una nuova «istituzione». Mentre le sedute del Reichstag a Berlino potrebbero rimanere destinate alla ordinaria amministrazione, quelle strao.rdinarie di Niirnberg potrebbero assumere il valore ed il carattere di assemblee costituenti periodiche. Esse potrebbero rappresentare e sugellare, da una parte, il riconoscimento costituzionale del Partito in quanto tale, dall'altra, l'intenzione di rinunziare per sempre oltreché alla bandiera, anche allo spirito prussiano ancora aleggiante a Berlino. Sarebbe, per quanto in un senso unitario, un atto veramente rivoluzionario. Quegli stessi dei miei colleghi che guardano a Berlino con occhio benevolo -primo fra tutti l'Ambasciatore polacco -non esitavano a riconoscere che Hitler si era spinto molto lontano...

In un Regime che è ancora in uno stadio di evidente formazione e trasformazione, e la cui identificazione con la Nazione non è ancora completa, con un Esercito il cui armamento è appena iniziato, la Germania hitleriana non può fare una vera politica estera. È questo, in sostanza, quello che il Fiihrer fa, senza dirlo, comprendere. La Germania non può ancora, nella misura e con l'autorità che pur vorrebbe, fare della politica estera. Lo potrà fare fra due anni. Intanto, essa sta a guardare e sfrutta opportunamente, e ad uso inglese, la facile aur.eola di un pacifismo sincero perché necessario ...

Unica eccezione Memel: che, peraltro, assume carattere direi quasi simbolico. Essa sta a rappresentare la esistenza di una volontà e di un orientamento tedesco in fatto di politica estera. Ma non v'è pericolo -almeno per quanto si possa arguire -che, anche soltanto per Memel, le parole grosse usate dalla Germania possano ora tradursi in atto.

La Germania è sicura che nessuno la aggredisce. All'ombra di questa sicurezza, essa può permettersi di restare isolata e, frattanto, si riarma. Mano a mano che si riarmerà, saranno gli altri che si accosteranno a lei.

Manifestazioni del Congresso. Fresco dei ricordi moscoviti devo riconoscere che anche la messa in scena tedesca è impressionante e magnifica.

Fra le altre manifestazioni va menzionata in modo speciale la parata dell'Arbeitsdienst. L'Istituzione sarà quest'anno generalizzata e resa obbligatoria. Essa è altamente simbolica, ed è la più sanamente socialista di tutte le istituzioni naziste. Serve a simbolizzare l'eguaglianza di tutti di fronte al lavoro. Non rappresenta l'utopia della società senza classi, ma l'ideale della mutua comprensione fra le classi. Non so fino a qual punto la istituzione sia stata da noi studiata e approfondita. Ove non lo fosse, meriterebbe forse di esserlo.

Parata militare. Di essa riferiranno in dettaglio gli Addetti Militari. La sua caratteristica principale è peraltro quella della meccanizzazione. Essa sta a dimostrare la linea di sviluppo degli armamenti tedeschi. La Germania non vuole, anche in questo, rimanere, e non rimarrà, indietro alla Russia bolscevica.

Tra i diversi discorsi del Fiihrer -ha parlato in media due volte al giorno -vanno pure segnalati: l'ultimo per il suo carattere più spiccatamente ideologico e, direi quasi, di filosofia nazionalsocialista, ed il secondo, quello tenuto alla fine della prima giornata in cui il Fiihrer ha voluto adombrare delle concezioni nazionalsocialiste anche in materia di arte.

Di quest'ultimo mando una copia tradotta in francese. Trattandosi di argomento non politico, esso si presterebbe -sempre che ne fosse vista l'opportunità generale -ad essere, in estratto, citato sopra qualche nostra rivista.

Una sola parola sulla mia presenza al Congresso. Essa è stata indubbiamente apprezzata. Il generale von Massow, che, come rappresentante del Fiihrer, accompagnava il nostro gruppo, me lo ha detto expressis verbis, aggiungendo anche che era stato incaricato di dirmelo. Ma sbaglierei se da questo volessi tirare conclusioni di politica generale. Il gesto di cortesia nei miei riguardi del Cancelliere, recatosi apposta a Berlino per permettermi di presentare subito le credenziali, come quello mio di recarmi a Nurnberg mi hanno indubbiamente sbarazzato la via da qualcuno degli icebergs che la inceppavano. Ma nulla, per il momento almeno, di più.

A questo punto, anzi, privo come sono di qualsiasi istruzione e direttiva mi corre l'obbligo di domandarne alla E. V. Fra due settimane ricomincia nella capitale la vita politica. Spero, quindi, che V. E. vorrà permettermi, alla prima occasione, di recarmi a Roma a conferire (1).

13 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

(l) Con T. 9664/201 P.R. del 5 settembre 1935, ore 24, Mussolini aveva impartito ad Attolico l'istruzione di assistere al Congresso nazista di Norimberga.

(l) n presente documento reca il visto di Mussolinl.

132

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5910/733 R. Londra, 18 settembre 1935, ore 0,15 (per. ore 4,35). Questo ambasciatore di Francia -che ho visto oggi mi ha informato

che, contrariamente alle sue aspettative ed alle intese prese col Foreign Office, la risposta inglese al passo francese per la sicurezza Cl) non gli era stata ancora consegnata.

Al Foreign Office, al quale egli ha chiesto ragione di questo ritardo, gli è stato detto che il Gabinetto aveva approvato ieri la relazione fatta da Hoare, ma che circa la procedura da seguire esso aveva deciso che avendo la questione formato già oggetto di uno scambio diretto di ide.e fra Eden e Lavai e fra Lavai e Hoare, il suo ulteriore esame doveva essere riservato alle conversazioni che Lavai avrà con il Ministro britannico a Ginevra.

Impressione di questo Ambasciatore di Francia è tuttavia che il Gabinetto abbia deliberatamente voluto soprassedere alla consegna della risposta inglese ritenendo che l'Inghilte,rra non ha nessun bisogno di affrettarsi a dare alla Francia formalmente maggiori particolari assicurazioni dalla Francia chieste, e vuole rimettere la consegna della risposta a quando sarà più chiaro e più definito l'atteggiamento francese nella questione abissina. In altre parole il Governo britannico, che si sente ora, dopo i risultati del discorso di Hoare a Ginevra e gli sviluppi della situazione generale in questi ultimi giorni, più sicuro ed in una posizione di vantaggio, intende servirsi della sua risposta a domanda Governo francese come di un mezzo per esercitare sulla Francia una ulteriore pressione.

133

IL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. s. 10303/108 P. R. Roma, 18 settembre 1935, ore 1.

Prego comunicare a codesto R. Addetto Navale seguente telegramma:

«Da Marina, Roma n., 35086. Suo telegramma riferente contatti avuti con elementi Marina giapponese è molto importante (2). Ho telegrafato all'Ambasciatore perché domandi ufficialmente al Governo giapponese se è disposto a rifornirei nella ipotesi di una chiusura del Canale di Suez (3). Se Ella trova terreno favorevole, faccia intendere a mio nome allo Stato Maggiore della Marina che io non sono alieno da intese politico-militari da approfondirsi in

un secondo tempo. Non ho bisogno di dirLe che se eventualmente mossa giapponese distraesse o trattenesse in Estremo Oriente anche soltanto una modesta aliquota delle forze navali britanniche, questo ci gioverebbe negH altri settori.

MUSSOLINI » (l).

(l) -Vedi D. 89. (2) -Vedi D. 122. (3) -Con 11 T.rr. 1653/107 R. del 16 settembre 1935. ore 24, non pubbllcato.
134

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5888-5890/216 R. Ginevra, 18 settembre 1935, ore 15,50 (per. ore 17,50).

Ho avuto stamane una lunghissima conversazione con Titulescu alla quale ho fatto assistere anche Pilotti.

Titulescu mi ha anzitutto dato interessanti anticipazioni sul contenuto delle proposte che sarebbero fatte dal Comitato dei Cinque, anticipazioni che ho telefonicamente riferito S. E. Suvich. Titulescu ritiene da parte sua che tali proposte costituiscono una completa «mainmise » sull'Etiopia.

Egli ora pone il problema procedurale così: se l'Italia accetta e il Negus rifiuta, l'Italia riprende la sua libertà di azione. Se l'Italia ed il Negus accettano, la questione è risoluta perchè le proposte verrebbero votate all'unanimità da parte del Consiglio, con l'astensione pe,rò dell'U.R.S.S. che per principio si dichiarerebbe contraria alla messa sotto tutela di uno Stato membro della S.d.N. Se invece l'Itali:a non accetta le proposte, in tal caso si verificherebbe la situazione che Romania, Turchia, e naturalmente l'U.R.S.S., oltre forse la Polonia, voterebbero contro la presentazione ufficiale delle proposte stesse da parte del Consiglio all'Italia, giustificando il loro atteggiamento con la doppia considerazione che, da una parte, il Consiglio non riuscirebbe a salvare la pace, e, dall'altra parte, inficierebbe i principi della indipendenza politica degli Stati membri date le gravissime Umitazioni nei ~iguardi dell'Abissinia contenute nelle proposte dei cinque.

Richiamo tutta la attenzione della E. V. su questa osservazione di Titulescu.

In ogni modo Titulescu ha insistito fortemente sulla assoluta necessità di mettere a punto il piano da noi prospettatogli, che egli ha sposato in pieno, che presenta agli altri come suo e per il quale si sta fortemente battendo in seno

ai membri della Intesa balcanica e Piccola Intesa, nonché con Lavai, per trovare la via di uscita alla situazione che potrebbe presentarsi nel caso di un eventuale rifiuto dell'Italia, piano inteso a legalizzare la guerra per evitare in ogni caso le sanzioni.

Titulescu ha tenuto a sentire in proposito le osservazioni di Pilotti, ed entrambi sono in massima d'accordo che si tratti di risolvere sopratutto un problema di formulazione, anzi di redazione, affinché la invocazione da parte

dell'Italia della libertà d'azione, basata sulla formula dell'aggressione e della legittima difesa, eviti lo scoglio della espressa invocazione da parte nostra dell'articolo 15 del Covenant.

Secondo Pilotti, e Ti.tulescu ne ha convenuto, noi dovremmo riattacearci sopratutto all'inciso contenuto nelle mie dichiarazioni del 4 settembre al Consiglio sulla formula dell'aggressore, e dovremmo inoltre giovarci della circostanza che la futura procedura in Consiglio, basata sull'art. 15, non sarebbe espressamente invocata dall'Italia dato che Consiglio è stato già investito da molti mesi dall'Abissinia.

Ripeto che Lavai parlerà circa proposta Titulescu ad Eden ma, senza un minimo di buona volontà da parte inglese, neanche questa soluzione potrà aver successo. Comunque Pilotti mi consegnerà stasera un completo studio sulla questione che porterei io stesso a Roma se V. E. mi chiamerà a conferire dopo la comunicazione confidenziale, che mi sa.rà fatta oggi, delle proposte dei Cinque (1).

(l) Per la risposta da Tokio vedi D. 147.

135

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6004/096 R. Vienna, 18 settembre 1935 (per. il 21).

Nel riferirmi le previsioni di Kanya (mio odierno telegramma per corriere

n. 0.,5) (~) circa un probabile rovesciamento della politica estera 1taliana, in conseguenza dell'atteggiamento dell'Inghilterra, Berger mi è parso in preda ad una ma1ce1ata ansietà. Ha detto che la situazione genera1e era particolarmente grave e difficile; che Kanya era tuttavia troppo pessimista, prospettando già conflitti d'una cosi grave natura e sviluppo che egli non voleva neppure menzionare; che ad ogni modo egli era «pronto a capire » ogni nuova necessità e direzione politica italiana; che era infine assolutamente sicuro che il Governo italiano lo avrebbe tenuto al corrente d'ogni suo nuovo progetto od iniziativa, per eventuali concordi azioni.

Ho risposto che non correva alcun dubbio sulle sue aspettazioni; e che, d'altra parte, le diverse dichiarazioni del Duce, così chiare e precise, non richiedevano commento alcuno nei riguardi del punto di vista e dell'attuale linea politi-ca dell'Italia. Berger si è affrettato a rispondermi che egli infatti si attiene solo ad esse, comprendendone i motivi, il senso e la porta·ta.

Intanto, come già ho riferito a V. E. va qui sempre più rafforzandosi la già viva preoccupazione per le sorti del Paese, in dipendenza dei temuti sviluppi del conflitto italo-abissino. Ogni più lieve manifestazione politica è scrutata a

fondo, nella generale disposizione di rinvenirvi un sicuro sintomo da servire d'appoggio a questa od a quella partigiana direzione politica interna. E così, per non parlare che degli ultimi avvenimenti, la nomina del Generale Reichenau al Comando d'Armata di Monaco, nonché una frase attribuita a Hitler circa la sua volontà di pace verso la « fremden Nationen » (locuzione che escluderebbe l'Austria dato il noto punto di vista di Hitler su quest~ Paese), fanno formare la previsione (non •condivisa peraltro dal Ballplatz e dal Berger) che la Germania si prepari ad un attacco contro l'Austria in forma violenta o meno. D'altra parte, i movimenti della flotta britannica nel Mediterraneo sono considerati forieri d'un probabile conflitto itala-inglese e d'un sicuro avvicinamento dell'Italia alla Germania, del quale, secondo la rinnovata propaganda nazista, l'Austria sarebbe chiamata a pagare le spese. Sotto questo punto di vis·ta, anche in ambienti non nazisti, sono stati interpretati gli ultimi due periodi dell'intervista del Duce al Matin circa il pericolo in caso di adozione di sanzioni, d'uno sconvolgimento della carta d'Europa.

Infine, anche la notizia di un imminente viaggio del Gen. Gi:imbi:is a Roma passa tutt'altro che inosservata. Essa attira la particolare attenzione delle sfere ufficiali, che evidentemente vi leggono un probabile sforzo del Presidente del Consiglio ungherese in favor·e del fascio d'alleanza che da tempo egli propugna. Circostanza che, con ogni probabilità, ha pur essa influito sul surriferito accenno di Berger circa la sua sicurezza che V. E. vorrà tenerlo al corrente d'ogni eventuale nuovo piano od iniziativa (1).

(l) -LI presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Si tratta del T. per corriere 6007/095 R. con il quale Preziosi riferiva circa i colloqui di Berger e Kanya a Ginevra per 'i quali vedi serie ottava, vol. l, D. 834.
136

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 18 settembre 1935.

Ho convocato l'Ambasciatore de Chambrun per dirgli che avevo il dubbio r~he nell'ultimo nostro colloqu~o (2) non ci fossimo ben compresi. Questo dubbio proveniva dal fatto che qualche giornalista francese avrebbe detto che l'Ambasciatore aveva tratto un'impr·essione ottimista dal colloquio stesso. Ora le dichiarazioni che gli avevo fatte, dal punto di vista della politica generale, potevano essere considerate tutto meno che ottimiste.

L'Ambasciatore contesta di aver fatto dichiarazioni ai giornali; sono i giornalisti che, non avendo notizie, devono inventare qualche cosa. Prendo atto di tale dichiarazione ed insisto ancora su alcuni punti toccati nell'ultimo colloquio.

Devo dire all'Ambasciatore che uno dei pericoli di questo momento è costituito dalla ricerca affannosa di trovare una formula che ci consenta di andare in Af,rica col consenso della Società delle Nazioni per cercare tale formula non si vuole considerare seriamente quella che è la situazione che verrebbe a determinarsi nel caso più probabile che noi si vada in Africa contro la Società delle Nazioni e contro il volere delle altre Potenze.

La pericolosità della situazione è determinata dalla seguente catena: minaccia di sanzioni -preparativi militari italiani -preparativi militari inglesi creazione di un'atmosfera di guerra -applicazione delle sanzioni -scoppio del conflitto itala-inglese.

Se non si rompe un anello di questa catena, si va a finire fatalmente alla conseguenza deprecata di una guerra itala-inglese. E l'anello che dovrebbe essere rotto per stabilire una interruzione, sarebbe quello della minaccia delle sanzioni.

Ripeto all'Ambasciatore che per quanto il Capo del Governo cerchi tutti i mezzi per evitare il conflitto itala-inglese, è chiaro e preciso che noi non indietreggeremo di fronte a tale eventualità con tutte le conseguenze che ne possono derivare. D'altra parte l'ipotesi di un conflitto itala-inglese non è piacevole né per noi, né per l'Inghilterra, ma forse meno per quest'ultima, ed anche la Francia vedrebbe crollare tutti i suoi sistemi di sicurezza europea nella organizzazione della pace. Poiché noi non siamo i soli a portare le conseguenze di una tale eventualità e dati i nostri rapporti di amicizia con la Francia, crediamo di doverla avvertire di tale pericolo che incombe, tanto più che pensiamo che la Francia, come già spiegato nel precedente colloquio, potrebbe fare qualche cosa per impedirlo.

Gli ho detto che noi reagiremo contro qualsiasi sanzione, ma vi è un punto limite al di qua del quale reagiremo con altri mezzi e al di là del quale reagiremo con la guerra.

Bisogna quindi -gli ripeto -mettere da parte le illusioni ed occuparsi di

queste situazioni più gravi che gli prospetto.

L'Ambasciatore ritiene di aver capito perfettamente il mio punto di vista e crede che il telegramma dell'altro giorno (l) abbia bisogno di una rettifica. Egli mi segue nell'invito che io faccio di occuparsi di questa ipotesi e mettere da parte l'altra, quella di una soluzione pacifica.

Non può però non riaffermarmi la sua profonda convinzione di accordo

seguita poi, come sarà necessariamente, da una azione militare, rappresenta una

occasione mai prima verificatasi nella storia dei popoli, e sarebbe un successo

di una tale portata col quale neanche lontanamente si potrebbe paragonare un

successo militare.

Oggi tutti quelli che vogliono male all'Italia cercano di spingerla sul1a via

della rottura degli accordi.

Concludendo raccomando ancora una volta all'Ambasciatore di lasciare per

ora da parte ogni possibilità di una soluzione di accordo e di preoccupazione

soltanto delle. conseguenze di una nostra azione in disaccordo con Ginevra.

(l) -Vedi D. 173. (2) -Vedi D. 124.

(l) Cfr. Documents dtplomatiques trançais, 1932-1939, vol. XII, cit., D. 171.

137

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5918/104 R. Belgrado, 19 settembre 1935, ore 12,30 (per. ore 15,45).

Mi richiamo miei teleg,rammi n. 96 e 100 (1).

Martinaz mi ha comunicato, per espresso incarico di Stojadinovic e con preghiera informarne V. E., che sono state teiegrafate ieri Istruzioni a Puric di prendere contatto con S. E. Aloisi per confermargli determinazioni Governo jugoslavo mantenere assoluta neutralità quale sia per essere ulteriore sviluppo conflitto italo-etiopico nonché suo desiderio raggiungere al più presto la normalizzazione dei r!l!pporti itala-jugoslavi. Martinaz ha tenuto poi a farmi rilevare sulla scorta dei telegrammi inviati da Puric nei giorni scorsi l'imparzialità dell'atteggiamento tenuto dalla delegazione jugoslava secondo le direttive ricevute. Delegato jugoslavo ha riferito essergli state fatte pressioni sopratutto da parte degli inglesi per inclusione accenno a sanzioni nel discorso che egli doveva fare anche a nome Piccola Intesa. Puric si è sottratto alle insistenze opponendo necessità richiedere in proposito espresse istruzioni Belgrado ma dal momento che ha preso senz'altro parola in Assemblea e sapendo di interpretare pensiero suo Governo si è limitato nota dichiarazione di principio circa fedeltà Piccola Intesa al patto societario e ha evitato qualsiasi accenno sanzioni rendendosi conto che -date le circostanze -anche la sola menzione di questo vocabolo sarebbe bastata a significare una presa di posizione contro l'Italia (2).

138

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

'1'. S. 5913/217 R. Ginevra, 19 settembre 1935, ore 13,32 (per. ore 15,30).

Sento dovere prospettare quadro situazione politica nel momento in cui Comitato dei Cinque presenta suo schema conclusivo. Come di volta in volta esposto a V. E., Delegazione italiana nelle due settimane trascorse ha fatto ogni possibile tentativo per accaparrarsi un appoggio nel Consiglio. Si è tentato con Francia, Polonia, Cile, Turchia, Cecoslovacchia (3). Uno per uno si sono tutti ritirati facendo più o meno chiaramente comprendere che nessuno sentivasi esporsi per noi al peri,colo di un conflitto con l'Inghilterra.

Contemporaneamente atteggiamento ambienti britannici a Ginevra andava evolvendosi dalla preoccupazione dei primi giorni alla tranquilla decisione che

circoli giornalistici inglesi vicini alla Delegazione manifestano oggi parlando apertamente del peso che una probabile azione britannica in corso di preparazione avrebbe sugli avvenimenti.

In tale situazione elemento essenziale da tenersi presente nel decidere se rigettare ovvero entrare nell'ordine di idee dello schema proposto dal Comitato è quello se sia nostra convenienza di affrontare ovvero evitare conflitto con Inghilterra che dopo sua abituale lenta preparazione è oggi disposta a tutto.

Dal colloquio Suvich-Chambrun del 16 settembre (l) deduco che tale è anche l'opinione di V. E.

A questo riguardo credo necessario prospettare quali sono punti sui quali sono convinto sia impossibile far recedere Inghilterra: l) per ragioni di prestigio, le quali costituiscono non solo punto di onore, ma condizione essenziale di dominio su razze di colore, Inghilterra non può ammettere che contro sua pubblica presa di posizione venga interamente soppresso unico Stato indigeno indipendente membro della Lega; 2) per ragioni vitali di sicurezza imperiale essa non può ammettere che, sotto comando di una grande Potenza mediterranea, si formi un potente esercito nero che dalla fortezza costituita da altopiano etiopico minacci Sudan e via delle Indie. Ciò è stato fatto chiaramente enunciare per bocca del Delegato sudafricano nel discorso all'Assemblea.

Conseguentemente qualunque trattativa non può avere probabilità di successo se non in base alla pregiudiziale del riconoscimento delle due suddette esigenze. In termini concreti pregiudiziale dovrebbe essere costituita da nostro riconoscimento del sopravvivere dello Stato abissino, sia pure ridotto terrttorialmente e sotto controllo ginevrino, che soddisfi necessità sicurezza ed espansione italiana, ma garantisca nello stesso tempo che valorizzazione militare della Etiopia non divenga nelle mani dell'Italia strumento di ulteriori conquiste.

Qualora venissero ammesse tali pregiudiziali, Inghilterra ritengo sarebbe

proclive a venire incontro vantaggiosamente alle nostre esigenze.

A tali pregiudiziali risponde il memoriale dei Cinque che a bella posta ha

voluto offrire semplicemente un nudo schema da riempirsi poi solo a condizione,

ed in misura, della accettazione italiana di tale soluzione so,cietaria.

Il memoriale rappresenta un dilemma: o il quadro societario, nel quale potrebbero trovare conctliazione le esigenze inglesi di difesa imperiale e quelle italiane di espansione e sicurezza, ovvero la decisa opposizione inglese con ogni mezzo.

Esaminiamo il memoriale dal punto di vista del suo intrinseco valore po

tenziale e dal punto di vista della tattLca da seguire a suo riguardo.

a) Valore potenziale. In quanto nuda forma il progetto ha vaste possi

bilità di sviluppo, e da tale punto di vista lo si può considerare come un pro

gresso sulle proposte di Parigi. Il suo reale valore è costituito dall'essere pre

sentato sin da ora come strumento di transizione, soggetto a revisione dopo

cinque anni. Alla fine dei quali la nostra posizione in vista delle nuove trat

tative e dello sbalzo successi.vo sarà quale l'avrà preparata la nostra abilità

nell'utilizzare durante ·cinque anni gli strumenti di contrailo che fossimo riusciti

ad accaparrarci nelle eventuali prossime trattative. A questo proposito non è forse inopportuno ricordare che l'Atto di Algesiras del 1906, che conteneva quanto non è escluso potrebbe assicurarci anche il presente schema, ebbe tanta elasticità da consentire solo cinque anni dopo lo stabilimento del protettorato francese sul Marocco.

b) Tattica da seguire: chiedere pregiudizialmente la precisazione del

contenuto dello schema sarebbe una perdita di tempo. Gli inglesi non precise

ranno i termini se noi, alla nostra volta, non avremo precisato se accettiamo

il principio societario. Unica soluzione può essere quindi solo quella di chiedere

a inglesi e francesi, a titolo personale, se contro una nostra accettazione ge

nerica dello schema essi fossero disposti ad impegnarsi contemporaneamente

a riempire lo schema di un contenuto capa·ce di assicurare la preponderanza

effettiva italiana nell'organizzazione prevista dallo schema.

Sempre in tema di tattica è opportuno osservare che un eventuale non improbabile rifiuto dell'Abissinia -specie in un secondo tempo, a precisazione avvenuta -ci darebbe ancora un motivo di giustificazione della nostra azione, addossando a lei responsabilità fallimento tentativo ginevrino.

Mi permetto altresì ricordare che oggi la manovra antifascista di puntare sulla politica del peggio e cioè di spingerei al conflitto con l'Inghilterra provocando nostre pronte decisioni, da fare poi apparire come un brusco rigetto di un grande tentativo di pace, consiglia di non prestarsi al giuoco, opponendo calma ad insidia (l).

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 697 e 849. (2) -Il presente telegramma reca il visto di Mussolini. Per la sua risposta vedi D. 151. (3) -Vedi DD. 95, 106, 110 e 72.

(l) Vedi D. 124.

139

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5949/112 R. Budapest, 19 settembre 1935, ore 15,03 (per. ore 17,30).

Per incarico ricevuto dal Presidente del Consiglio, oggi al pari del Ministro degli Affari Esteri assente da Budapest, Barone Apor mi informa che Generale Gombos, accettando noto invito caccia Goring, proponesi partire 23 o 24 corrente per Germania ove si incontrerà con Hitler.

Il Presidente tiene informarne subito V. E., per il caso che Ella ritenga fargli pervenire qualche comunicazione a riguardo.

In considerazione degli ultimi SV'iluppi situazione internazionale questo Ministro degli Affari Esteri -mi ha detto Apor -[ha] insistito sulla [sua] contrarietà viaggio e pensa fare accompagnare Presidente dal Direttore Affari Politici Bessenyey che «al corrente di tutto potrebbe utilmente consigliarlo » (2).

(l) -Con T. 5973/224 R. del 20 settembre 1935, ore 21,50, Aloisi aggiunse: «Situazione da me descritta giovedì mattina, e che riconfermo punto per punto, è diventata ancora più tesa per quanto riguarda atteggiamento Gran Bretagna». Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Con successivo T. 6177/115 R. del 25 settembre 1935, ore 16,55, Colonna informava che Gombos sarebbe giunto a Berlino il 28.
140

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5920/218 R. Ginevra, 19 settembre 1935, ore 17,30 (per. ore 19).

Ho intrattenuto lungamente Lavai circa questione che ha fatto oggetto del colloquio tra S. E. Suvich e l'Ambasciatore di Francia il 16 corrente (1).

Lavai aveva già ricevuto un telegramma nel quale Conte de Chambrun gli riferiva fedelmente il colloquio ed egli, pur non rendendosi conto, mi è sembrato, dell'estrema importanza della proposta di S. E. Suvich, mi ha dichiarato che ne aveva già parlato a Eden il quale a sua volta l'aveva comunicato a Londra.

Ho quindi letto per esteso a. Laval il resoconto del colloquio sudtletto attirando di lui attenzione sulla necessità e sulla urgenza che in questo momento si possa verificare nella situazione internazionale una détente che avrebbe potuto influire molto utilmente sul successivo svolgimento degli avvenimenti.

Lavai ha afferrato l'idea della quale non aveva da prima realizzato l'importanza ed allora ho potuto spingere il colloquio sulle sue intenzioni per le sanzioni. Egli mi ha smentito che fino ad ora tra lui e gli inglesi si sia pensato a determinare queste sanzioni. Mi ha detto però che nelle varie conversazioni con uomini di Stato inglesi non si era mai parlato di sanzioni militari (Canale di Suez, blocco costiero, visita alle navi) e che egli mi poteva assicurare che il Governo di Londra non sarebbe ent11ato tn questo concetto; che invece aveva sovente parlato di sanzioni economiche e cioè di armi, denaro e materie prime occorrenti per la guerra; che però gli sembrava che intenzione del Governo inglese si sarebbe spinta fino al divieto di ogni relazione comme['ciale, punto sul quale egli cercava di non fare arrivare Governo inglese.

Lavai evidentemente resiste presso gli inglesi anche sul principio delle sanzioni, per fare tutto il possibile onde evitare il bivio nel quale potrà venire a trovarsi la sua politica e farà certamente ogni sforzo per insistere di ottenere dagli inglesi una dichiarazione sulla natura delle sanzioni che questi vorrebbero applicare. Devo però avvertire che nelle mie conversazioni con Lavai su questo argomento ho dovuto molto spesso constatare come egli sia portato ad un facile ottimismo per cui le sue intenzioni ed impressioni vanno accolte con molte riserve. Credo infatti che gli sarà difficile di ottenere una dichiarazione netta che, legando gli inglesi a non oltrepassare un certo limite di san

zioni, ci possa permettere una parziale smobilitazione delle nostre forze navali, essendo presumibile che l'Inghilterra, specialmente in questo momento di dubbio sull'accoglienza delle nostre proposte, vorrà riservare la sua azione ulteriore, secondo ,reazione ed effetti che Je sanzioni avroono su di noi.

Ricoroo pure che le sanzioni previste dall'art. 16 del Patto sono di applicazione individuale ed inglesi pur facendo sempre appello a sanzioni collettive non hanno (dico non) mai detto che si sarebbero astenuti da sanzioni individuali.

(l) Vedi D. 124.

141

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5948-5961/497-498 R. Cairo, 19 settembre 1935, ore 22,41 (per. ore 13,25 del 20).

Come ho a varie riprese riferito a V. E., in questi ultimi giorni si è notevolmente e visibilmente intensificata l'attività britannica in questo Paese.

Molto di questo movimento è dovuto alla presenza acque egiziane squadra inglese, la quale, probabilmente tanto per ragioni politiche che per fini addestrativi, mantienesi continua attività in unione con aviazione della marina. Come è noto, trovasi attualmente Alessandria Comandante in Capo squadra inglese Mediterraneo. Nel campo terrestre sono giunti materiali, munizioni ed anche alcuni rinforzi truppe. Trattasi, per altro, finora di quantitativi relativamente modesti, tali da aumentare efficienza del corpo d'occupazione, ma non da modificare sostanzialmente la sua composizione organLca. Non risulta che siano avvenuti spostamenti importanti nella dislocazione dei reparti. Molto maggiore aumento si è invece verificato nelle forze aeree. Sebbene, naturalmente, in questo campo sia assai più difficile seguire arrivi aviatori, ritengo che nell'Egitto non vi debbano essere meno di 300 aeroplani, senza tener conto di quelli della squadra navale e di quelli che possano trovarsi Palestina, Transgiordania e Sudan. Del resto frequenti [sono] movimenti fra queste zone, dato che il comando superiore aereo per Levante trovasi, come è noto, Abukir, presso Alessandria. Attività dell'esercizio egiziano non presenta ftinora carattere eccezionale, pur essendo anche essa evidentemente intensificata.

Atmosfera allarmistica, da me segnalata, perdura con alti e bassi, particolarmente in Alessandria, determinata alternativamente dalle notizie di movimenti militari, italiani in Cirenaica e da arrivo di navi e aerei britannici in Egitto e alimentata dalle incontrollate pubblicazioni di questa stampa.

Continuano intanto frequenti colloqui fra Governo egiziano e Autorità civili e militari britanniche allo scopo studiare e discutere eventualità di complicazioni internazionali.

142

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1671/129 R. Roma, 19 settembre 1935, ore 24.

In relazione a dichiarazione fattale tempo addietro da Gi:imbèis di cui ad ultima parte suo telegramma 19 agosto us. n. 97 (1), pregoLa cautamente sondare se essa rappresenti una effettiva direttiva politica a cui l'Ungheria si atterrà nell'eventualità di una nostra uscita da Ginevra (2).

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 770. (2) -Per la risposta di Colonna vedi D. 149.
143

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1673/157 R. Roma, 19 settembre 1935, ore 24.

Vedo che atteggiamento stampa viennese è favorevole tesi italiana. È necessario accentuare tale atteggiamento su istruzioni che Governo federale dovrebbe impartire. È in gioco anche l'esistenza dell'Austria O).

144

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

L. 7453 (3). Roma, 19 settembre 1935.

È necessario che tu trovi modo di influenzare i leaders dissidenti del laburismo antisanzionisti. Forse lo stai facendo, ma tu comprendi egualmente le mie segnalazioni. Bisogna che gli inglesi si dividano sulla questione sanzioni militari perché non se ne faccia praticamente nulla (4).

145

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4241/1618. Mosca, 19 settembre 1935 (per. il 23).

L'annuale manifestazione di Norimberga ha profondamente toccato la suscettibilità sovietica al punto che la reazione qui prodotta, avendo dato la stura, nella stampa, al più plateale diluvio di contumelie, vi ha addirittura soppresso il commento per far luogo allo scherno più sfrenato. Il Congresso dell'Internazionale Comunista dell'agosto scorso, che aveva preceduto di oltre un mese la recente parata nazista, non aveva calcolato la reazione germanica che, se allora non fu immediata, ha per contro avuto adesso a Norimberga la sua espressione concreta ed il significato che gli ufficiosi giornali sovietici non hanno potuto sottolineare.

Non è più il solito quadro dei contrasti di ideologie: v'è tutto uno stato psicologico di accumulazione di odio tra i due paesi. Alla lotta contro il « fascismo » tedesco proclamata dall'Internazionale Comunista di Mosca, contro cui nessuna protesta sinora era partita da questa Ambasciata germanica, viene

(-4) Per la risposta vedi D. 182.

oggi contrapposta dal convegno hitleriano la crociata contro il <<comunismo» ossia, al dire dei sovietici, contro l'U.R.S.S.

Il Congresso di Norimberga -qui si asserisce -è il congresso della guerra, una vera dimostrazione militare ed una manovra di mobilitazione generale dei trasporti e delle forze della nazione. Perfino il portavoce del Kremlino, Radek, confessa che è assai difficile analizzare tranquillamente tutto ciò che è avvenuto nella storica città bavarese e si limita ad asserire che al centro di tutta la mobilitazione ideologica delle masse piccolo-borghesi della Germania per la guerra futura sta la lotta contro l'U.R.S.S.

I dirigenti sovietiei adunque accusano apertamente il colpo. Essi fanno dire alla stampa ufficiosa che gli armamenti germanici sono una seria realtà, che l'odio del fascismo tedesco verso l'U.R.S.S. è pure un fatto serio e «che nell'U.R.S.S. non si intende menomare la serietà».

Il Governo sovietico sente effettivamente che il pericolo di guerra è più reale e più vicino. Un elemento più che mai serio quindi da tene,re conto nella scacchiera della politica dell'Europa orientale, nonostante le recenti riaffermazioni dei principi societari pronunciate da Litvinov dalla cattedra di Ginevra.

Ma il fatto non meno « serio » e del tutto inatteso che ora si aggiunge allo spauracchio germanico agitato da Hitler a Norimberga e che ha qui di colpo sospeso -sia pure per breve pausa -la gazzarra delle sentimentalità pseudo-umanitarie e della retorica societaria, è l'attitudine italiana.

La possibilità che nel presente conflitto per l'Abissinia possa determinarsi una nuova correlazione di forze, adombrata del resto dalla stampa italiana, non sfugge a questi ambienti politici i quali vi ravvisano conseguenze per la stessa Unione Sovietica. Anzi non sembra lasciare indifferenti i sovietici tutte quelle soluzioni che nel conflitto trattengano l'Italia dalla parte di coloro che «cercano di mantenere lo statu quo europeo».

In proposito va rilevato che il linguaggio tenuto dal Capo del Governo alla stampa estera ha prodotto, non meno che il discorso di Hitler, una forte impressione fra questi dirigenti e posso assicurare l'E. V. che le loro preoccupazioni trovano riflesso non solo nelle colonne dei giornali, ma anche nelle conversazioni ufficiali.

E si comprende tale preoccupazione. L'U.R.S.S. che ha rafforzato le proprie posizioni militari contro i giapponesi . in costante assetto bellico nell'Estremo Oriente, si rende conto che -pur dovendo professare principi in armonia all'ideologia comunista -non è con i soli principi che si possa allontanare il pericolo di guerra o garantire la sicurezza collettiva.

Il timore che la Germania, mercè l'appoggio italiano, possa eventualmente rafforzare le proprie posizioni contro l'U.R.S.S., ha intanto avuto come primo effetto, per lo meno apparente, di mantenere una certa prudenza di linguaggio sulle faccende abissine. Difatti, mentre imperversano gli attacchi contro i «saltibanchi » di Norimberga, riaffiora verso di noi quel riserbo che da questa stampa era andato esulando negli ultimi giorni, per far luogo a notizie di semplice cronaca. La frase di V. E. contenuta nella intervista concessa al Matin: «troppo tardi domandare a noi di fermarci » e che è stata poi qui largamente

riprodotta, non ha avuto alcun commento. Inoltre oggi i giornali riportano larghi cenni biografici dei comandanti che dirigono le nostre forze armate nell'Africa Orientale.

(l) -Con T. per corriere 6169/098 R. del 20 settembre 1935, Preziosi comunicava di av<or eseguito le istruzioni e di aver ricevuto da Berger le più ampie assicurazioni al riguardo. (2) -Ed. in B. MussoLINI, Opera omnia, vol. XLII, Roma, Volpe, 1979, p. 121. (3) -Lettera autografa.
146

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 19 settembre 1935.

Ti ho in questi giorni, nei miei telegrammi, quotidianamente segnalato i sintomi della situazione, gli indici delle direttive del Governo, le manifestazioni di questo spirito pubblico. Quello che ho detto a Vansittart dopo il discorso di Hoare (l) era non solo la mia reazione di italiano e di fascista alla più insidiosa delle manovre sinora tentate dal Governo britannico contro di noi, ma il mio freddo giudizio di osservatore politico: il discorso di Hoare ha segnato brutalmente la presa di posizione del Governo britannico non solo contro la nostra impresa d'Africa -che esso ha sempre apertamente avversato -ma contro la volontà dell'Italia fascista, contro le nostre necessità e contro il nostro avvenire. Ho detto a Vansittart che consideravo il discorso di Hoare come quello di un nemico: tale esso era e tali sono stati i suoi effetti.

Hoare ha avuto col suo discorso un successo quale lo stesso Governo britannico non si aspettava. Messosi a cavallo tra la Società delle Nazioni e l'Impero, tra l'ideologia pacifista e la tradizione imperiale, tra il legalismo del Covenant e l'egoismo cieco e prepotente degli interessi imperiali inglesi, egli ha fatto appello a tutte le correnti ideologiche e politiche del Paese riuscendo a blocca;rle insieme e aggiogarle alla sua politica. Ma questi risultati, che erano già di per se stessi moltissimi, sono andati consolidandosi man mano che nei giorni successivi sono giunti a Londra i tributi di omag.gio che gli oratori dell'Assemblea hanno offerto all'Inghilterra, le manifestazioni di sottomesso consenso di una schiera di piccoli Stati che sono accorsi a ripararsi sotto le ali e il prestigio britannici. Queste manifestazioni sono appa;rse all'ancora esitante spirito inglese come un'inaspettata prova di forza. Questa ha riempito d'orgoglio questa gente e dato loro un senso di sicurezza che prima non aveva. In pochi giorni i dubbi e le esitazioni sono scomparsi e il Governo ha avuto dalla sua parte tutta compatta l'opinione pubblica.

Da un mese almeno, da dopo cioè il fallimento delle conversazioni tripartite di Parigi, il Governo mirava a costituirsi questa unanimità: da una parte con l'ideologia societaria esso faceva leva sul pacifismo, sul liberalismo e sul laburismo, dall'altra con un'intensa campagna di denunce delle mire italiane nell'Egitto e nel Mediterraneo esso faceva leva sugli imperialisti, sui colonialisti e sui conservatori. Il successo societario è apparso come completo, il successo imperialista si è andato delineando in questi giorni.

Col discorso di Ginevra è stato detto al popolo inglese che l'Inghilterra manteneva fede agU ideali deUa S.d.N., con il concentramento della Hotta nel Mediterraneo è stato detto che la potenza britannica è pronta ed è in grado di sostenere in qualunque eventualità la politica del Governo. L'orgoglio di questa potenza è nel popolo inglese non meno forte e non meno intrasigente che la furia puritana e fanatica delle sue ideologie.

Siamo entrati dunque in un ambiente psicologico nel quale il ricorso alla forza, che fino a pochi giorni or sono era escluso dall'enorme maggioranza, diventa una possibilità, e vi è chi pensa, una fatalità.

Se oggi tu mi ponessi il quesito che mi hai posto 1'8 agos,to (l) -se il Governo britannico vuole arrivare a un conflitto con l'Italia -risponderei come ho risposto un mese fa (2), che una guerra itala-britannica era improbabile con un Paese profondamente diviso come un mese fa era l'Inghilterra, ma che in queste ultime settimane l'ostilità popolare all'Italia è andata crescendo, i laburisti si sono impegnati a una politica di sanzioni fino alla guerra con la decisione adottata dal Congresso delle Trade Unions, gli imperialisti si sono andati montando all'idea che l'Italia minaccia con la propaganda e con le armi l'Egitto, e il Governo, dopo aver fatto leva su tutti questi elementi per costituire una base compatta alla sua politica, si è impegnato a seguire sino in fondo le conseguenze di essa.

« Mussolini non torna indietro » ho detto ieri al Ministro Elliott. «Neppure il Governo britannico può tornare indietro» egli mi ha risposto. Una determinazione piatta fredda e dura sembra essersi sostituita ·ad un tratto a quello stato di permanente confusione e tentennamenti che ha caratterizzato fino alla scorsa settimana l'azione politica dell'Inghilterra. La frase brutale di Salisbury a Delcassè: « You may be right but you must clear cut » è stata qui ripetuta in questi giorni in onore di Hoare nel quale si vuole oggi vedere, come un giorno si vide in Salisbury, il restauratore della politica di forza e del prestigio dell'Impero britannico.

Fino a ieri l'eventualità di un conflitto con l'Italia era, malgrado l'aggravamento dei rapporti itala-britannici, considerata dagli stessi « sanzionisti » come remota. Oggi sono gli stessi elementi, che sino a ieri si sono battuti in nostro f,avore ed opposti a qualsiasi idea di sanzioni contro di noi, i quaH riconoscono che tale eventualità può diventare possibile.

La formula «azione collettiva e responsabilità collettiva », che rappresenta fino a una settimana fa il limi·te .estremo dell'azione britannica, va adombrandosi di frasi perLcolose come questa, «il prestigio della potenza britannica è messo in pericolo dall'aperta sfida dell'Italia» e qualcuno delle ali estreme societarie già azzarda ad uscire dai limiti della formula « azione e responsabilità colìettive » per prospettare, sia pure per ora vagamente, che secondo il Covenant il verificarsi dell'aggressione mette « automaticamente » lo Stato aggressore in stato di guerra con ciascuno degli Stati membri della Società delle Nazioni. Si comincia cioè a cercare la giustificazione «societaria », di un even

tuale intervento diretto dell'Inghilterra, anche nel caso che altri Membri della

S.d.N. rifiutassero di aderire a una proposta di azione collettiva.

Per riscontro, in seno ai gruppi politici che sono stati sino a ieri i nostri più decisi sostenitori, si sta sviluppando un'altra teoria, a mio avviso, non meno pericolosa: «è chiaro che il Duce non può tornare indietro. Bisogna quindi dargli modo di ottenere un grosso successo militare all'inizio della campagna contro l'Etiopia, successo che dia a Lui e al popolo italiano lia soddisfazione morale cui hanno diritto. A questo momento le Potenze faranno appello al senso di misura e di realtà del Duce perché Egli non si spinga oltre nella realizzazione integrale del Suo programma di conquista coloniale, ed accetti un compromesso onorevole per tutte le parti». Altri, come il Daily Mail, si limitano semplicemente a dire che il Governo ha torto ma che, se deciderà di fa.re appello alle forze militari del Paese, essi adempiranno al loro dovere di cittadini britannici contro chicchessia.

Insomma, anche evitando di dare a questi sintomi un senso e valore assoluti, è fuori dubbio che ci troviamo di fronte ad una situazione nuova, diversa da situazioni esse pure pesanti, che si sono verificate negli ultimi mesi ma che si sono poscia in breve tempo risolte.

È la minaccia britannica destinata a rimanere potenziale? Oppure si svilupperà fino alle sue estreme conseguenze? Oppure sorgeranno ulteriori fatti nuovi di politica interna e internazionale suscettibili di modificare quella che sembra una maturata determinazione britannica contro di noi?

La situazione va attentamente vigilata giorno per giorno.

Quanto T'i ho telegrafato in questi giorni ed oggi Ti scrivo, è soltanto per darTi delle indicazioni di fatto, le quali sono il frutto della mia osservazione quotidiana e obbiettiva. Tu conosci la situazione generale in tutti i suoi eJementi determinanti e puoi giudicare in modo comprensivo quelli che Ti va se~nalando la mia cronaca di informatore.

Mercotedì prossimo vedrò ancora Hoa,re.

(l) Vedi D. 103.

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 693. (2) -Ibid.. D. 740.
147

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. 10552/139 P. R. Tokio, 20 settembre 1935, orè 12,50 (per. ore 1,05). Telegramma di V. E. n. 108 (1).

Pr~ego comunicare a Marina seguente telegramma: « Telegramma di V. E. n. 35086. Ho avuto tra ieri ed oggi tre lunghe conversazioni con Capo di Gabinetto

Marina, e non con Ministro, il quale mi ha fatto comunicare non credere ricevermi per non dare a questione una prematura gravità. Poiché da primo colloquio ho ricevuto favorevole impressione, giusta ordini ricevuti ho infine lasciato

comprendere possibili istruzioni di V. E. circa più intima collaborazione. Riassumo dichiarazioni Capo di Gabinetto.

l) Simpatia Marina giapponese a nostro riguardo trova ancora ostacolo manifestarsi apertamente causa opinione pubblica tuttora sotto impressione campagna antigiapponese nostra stampa.

2) Circa rifornimenti non potermi dare alcuna sicura garanzia nel caso chiusura Canale di Suez, date le possibili conseguenze di tale atto; però ha voluto che io comprendessi che la Marina non porrebbe divieto contro di noi ad eventuali forniture di ditte giapponesi. Ad ogni modo, questi rifornimenti sarebbero resi più facili al Giappone qualora ordinazioni fossero fatte subito.

3) Circa eventuali accordi ho intuito che il mio accenno aveva destato una certa impressione ma il Capo di Gabinetto ha risposto che pronunciarsi in merito oggi significava impegno di alleanza ·che non poteva ancora essere assunto.

Mi ha domandato quali certezze io avessi circa verificarsi guerra etiopia e sue eventuali più larghe estensioni. AI che ho osservato che non ero in grado di dare una risposta.

Mia impressione conclusiva è che Marina si sente allettata dalla proposta di V. E. ma che, data complessità e gnavità situazione, non crede ancora giunt:; il momento pronunciarsi l>.

(l) Vedi D. 133.

148

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5970/221 R. Ginevra, 20 settembre 1935, ore 16 (per. ore 17,40).

Lavai mi ha richiesto un colloquio per dirmi che desidera che non ci siano malintesi di sorta a proposito della questione di cui al mio telegramma n. 218 del 19 corr. r•elativo a1la conversazione Suvich-Chambrun (1).

Mi ha detto che aveva preso l'iniziativa di intrattenere Eden sulla questione e che Eden aveva telegrafato a Londra, dichiarandogli però subito di non ritenere che Inghilterra sia disposta ad assumere alcun impegno al riguardo. «Inghilterra, ha aggiunto Eden, si conformerà strettamente alle raccomandazioni della S.d.N. l>.

Dopo aver messo al corrente dell'oggetto della visita che Chambrun, dietro sue istruzioni, farà oggi a V. E. (2), Laval ha tenuto a intrattenermi sulle eventuali risposte che egli presume V. E. potrà dare alle proposte del Comitato dei Cinque.

Mi sono limitato a dirgli che ignoravo quando e in che forma la risposta sarà data, mantenendo quello scetticismo che ha informato fin qui mia linea di condotta.

14 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

Ho creduto opportuno profittare dell'occasione per attirare sua attenzione sulla circostanza che, dopo riserva i:niz~ale da me fatta al ConsigUo circa nostra libertà di azione, dopo mia astensione dal voto costituzione nel Comitato dei Cinque e specialmente dopo la riconferma della riserva iniziale da me fatta a Mada-riaga al momento della presentazione da parte di questi delle proposte del Comitato, R. Governo non è vincolato a dare una risposta.

Lavai partirà oggi per Parigi e ritornerà lunedì. Circa suo atteggiamento e circa sue possibilità agire sugli inglesi, richiamo l'attenzione della E. V. sui due ultimi capoversi del mio telegramma n. 218.

14\J.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5984/113 R. Budapest, 20 settembre 1935, ore 17,37 (per. ore 18,40).

Assente Kanya per breve congedo mi riservo effettuare appena possibile cauti sondaggi di cui al telegramma di V. E. n. 129 (1).

Segnalo intanto che dichiarazione fattami dal Presidente del Consiglio G3mbtis 19 agosto u.s. (2) è stata ripetuta dal Reggente Horthy al Generale Pariani 15 corrente, mentre in questo Ministero degli Affari Esteri come sempre prevale convinzione «necessità per piccoli Stati osservare estrema prudenza e riserva di fronte contrasti grandi Potenze ».

Ho l'impressione che direttive concrete Governo Budapest nelle eventualità di una nostra uscita da Ginevra saranno fissate in definitiva sopratutto parallelamente con le circostanze in cui essa avverrebbe e con la posizione internazionale dell'Italia quale determinata da tale passo, con particolare riguardo a quelli che saranno per essere nostri -rapporti con Berlino (3).

(l) -Vedi D. 140. (2) -Non risultano appunti italiani sul colloquio Mussollnl-Chambrun del 20 settembre. Cfr. Documents diplomatiques trançais, 1932-1939. vol. XII, clt., D. 206.
150

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 5987/437 R. Washington, 20 settembre 1935, ore 20,37 (per. ore 7,30 del 21).

Ho veduto stamane il Sottosegretario di Stato Phillips e ne ho approfittato per illustrargli ancora una volta il punto di vista italiano nella questione etio

piea, specialmente in relazione al nostro atteggiamento a Ginevra. Ho constatato nel Sottosegretario di Stato, come in tutti gli ambienti del Dipartimento, gravi preoccupazioni per possibilità di complicazioni specialmente con l'Inghilterra, ma non sono riuscito a conoscere suo pensiero intimo sulle probabili intenzioni di Londra.

Altrettanto riservato mio interlocutore si è mantenuto davanti miei discreti sondaggi circa criteri che il Governo degli Stati Uniti America si proporrebbe di seguire nella applicazione della legge della neutralità per quanto concerne lista delle merci soggette ad embargo. Materia è ancora oggetto di studio del Dipartimento che prepfl!ra progetto di lista da sottoporre alla approvazione delle Camere. Secondo informazioni raccolte da altre fonti esistono due tendenze: quella di limitare embargo al material'e da guerra propriamente detto; quella di includere nella lista principali materie prime aventi possibile scopo bellico, come cotone, rame, petrolio e grano. Seconda soluzione sarebbe caldeggiata, fra gli altri, da Norman Davis. Governo sembra però vivamente preoccuparsi delle forti obbiezioni che essa non mancherebbe sollevare da parte dei produttori ed esportatori interessati.

È mia impressione che la decisione definitiva su questo punto verrà presa soltanto dopo che sarà nota decisione di Ginevra, e sarà chiarito atteggiamento inglese.

(l) -Vedi D. 142. (2) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 770. (3) -Con T. per corriere 6277/038 R. del 25 settembre 1935, Colonna comunicava che erano state impartite istruzioni al delegato permanente ungherese a Ginevra di opporsi alle sanzioni contro l'Italia nell'eventualità che la questione venisse dibattuta nell'Assemblea.
151

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 1679/102 R. Roma, 20 settembre 1935, ore 24.

Faccia sapere al Presidente Stojadinovic (l) che ho notato con soddisfazione contegno obiettivo tenuto dalla Jugoslavia nei riguardi questione abissina e aggiunga che io sono sempre disposto a prendere in esame -allo scopo di migliorarli -l'insieme dei rapporti itala-jugoslavi.

152

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6089/049 R. Belgrado, 20 settembre 1935 (per. il 23).

Telegramma per corriere di V. E. n. 1604 dell'8 corr. (2). Mi onoro rispondere punto per punto al pro-memoria presentato a V. E. dal Cav. Alessandrini: a) confermo che il Governo jugosiavo è pronto a dare concreta prova del suo desiderio di accelerare il processo di normalizzazione dei rapporti itala

jugoslavi; ne sono conferma, di recente, le ripetute dichiarazioni fattemi dal Presidente del Consiglio di voler serbare la più assoluta neutralità nel conflitto italo-etiopico, le istruzioni in tal senso impartite al delegato jugoslavo a Ginevra «affinchè nulla -nel contegno della delegazione jugoslava -possa essere interpretato come atto non amichevole verso di noi e abbia ad intralciare il processo di normalizzazione predetto ».

b) È esatto l'attribuire al Governo jugoslavo l'intenzione e la speranza (a cui più volte hanno alluso abbastanza apertamente nel corso di conversazioni con me alcuni fattori politici responsabili e lo stesso Stojadinovic) di arrivare non solo a una intesa diretta, generale e duratura col nostro Paese, ma altresì, in tempo non troppo lontano, ad una alleanza militare. Questa non potrebbe essere che in funzione antitedesca e rientrerebbe in quello che è -malgrado contrari sintomi apparenti, determinati da giustificabili opportunismi e sopratutto da preoccupazioni economiche -l'orientamento base della politica jugoslava.

c) Secondo il pensiero di Stojadinovic si dovrebbe previamente sbarazzare il terreno da tutto il groviglio di questioni residuato dai passati accordi che non hanno trovato pratica applicazione o sono stati neutralizzati da anni di tensione e di polemiche: questioni in buona parte prive di contenuto poHtico, 'e in parte aventi solo parzialmente un contenuto politico. Questo lavoro potrebbe essere compiuto per la via diplomatica e potrebbe, a suo modo di vedere, con reciproco impegno di buona volontà, essere svolto in breve tempo. Questo Ministero Esteri mi farà tenere al più presto un elenco delle questioni predette. Da pa1te nostra occoHerebbe presentare parimente al Governo jugoslavo un elenco delle questioni che noi desideriamo vengano risolute in via preliminare. Prego

V. E. di voler ordinare la formulazione di tale elenco da parte dei competenti uffici. Compiuto questo lavoro, verrebbe mossa da qui la proposta di un convegno politico che dovrebbe dar luogo ad una intesa politica e il cui successo, data la preparazione, rimarrebbe assicurato.

Una cosa che preoccupa il Governo jugoslavo e che lo rende esitante a fare decisamente il passo conclusivo verso di noi è la posizione dei fuorusciti croati in Italia. Stojadinovic me ne ha discretamente parlato anche oggi comunicandomi alcune informazioni ricevute secondo le quali Pavelic circolerebbe iiberamente e avrebbe intenzione di andare a risiedere a Trieste. Circolerebbe liberamente nel Regno anche Branimir Jelic, elemento -a detta di Stojadinovic -pericolosissimo anche nei nostri riguardi come organizzatore terrorista. Stojadinovic ha fatto comprendere che, con riguardo all'opinione pubblica, egli non potrebbe recarsi ad un convegno in Italia, pur desiderandolo vivamente, prima che la posizione dei noti principali agitatori croati sia regolata. Mi ha dichiarato che ne rimarrebbe gravemente compromesso il suo Governo e la sua politica. Si è astenuto dal chiedermi quali fossero le intenzioni del R. Governo al riguardo, ma credo tuttavia poter affermare che si desidererebbe qui una condanna -anche a solo titolo di atto simbolico -dei predetti agitatori. Il Governo jugoslavo si rende conto che noi non possiamo ad ogni modo giudicare gli agitatori stessi prima che un giudizio sulle responsabilità del regicidio di Marsiglia non sia stato pronunciato dalla giustizia francese. E, a tale proposito, le notizie 'in possesso del Governo jugoslavo circa la sorte dei tre principali .fuorusciti croati rappresentano il solo ostacolo a un riavvicinamento ufficiale fra i due paesi. D'altra parte questo Presidente del Consiglio, in ripetute occasioni, mi ha esternato il suo proposito di impedire ogni eco clamorosa del dibattito di Marsiglia, quando sarà celebrato, e, tanto più, di un eventuale giudizio e condanna dei responsabili che sono in Italia. Il Governo jugoslavo ha tutto l'interesse a che questi avvenimenti passino in sordina onde evitare il riaffiorare delle sopite agitazioni, pericolose così in ·campo internazionale quanto agli effetti della politica interna.

d-e) una volta liquidate le varie questioni minori e sistemata la posizione degli agitatori croati (s'intende sempre dei tre più noti) verrebbe chiesta da qui l'occasione per l'accennato incontro.

La portata e il contenuto dell'intesa da raggiungere in detto incontro dipenderebbe dalle intenzioni della E. V. Da parte jugoslava si è disposti a parlare non solo di patto di amicizia e di non aggressione (con relativi corollari di accordi economici e culturali) ma altresì di collaborazione militare.

Mi riservo di trasmettere alla E. V., quanto prima possibile, l'elenco delle questioni delle quali da parte jugoslava si chiederebbe la preliminare liquidazione (1), e rinnovo a V. E. la preghiem di compiacersi farmi tenere analoga formulazione per quanto concerne le questioni di nostro .interesse (2).

(l) -Risponde al D. 137. (2) -Vedi D. 69.
153

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6168/097 R. Vienna, 20 settembre 1935 (per. il 25).

Punto 4) del mio telegramma per corriere n. 089 del 27 agosto (3). Questo Ministro di Jugoslavia, sig. Nastasievic, persevera nella sua azione per un incontro tra Stojadinovic e Berger.

Berger, nel confermarmelo, ha stamani messo sovratutto in rilievo il grande impegno con cui il mio collega jugoslavo si accupa di detto incontro, prospettando con vivacità la ferma volontà del suo Governo di giungere ad una stretta intesa con Vienna e Roma, al di fuori di qualsiasi eventuale altro partecipante.

Da parte sua, essendosi reso conto di una pronunciata diffidenza fra Belgrado e Praga, circa i rispettivi rapporti con Vienna, Berger si propone trarre ognì vantaggio da questa gara, abboccandosi prima con lo Stojadinovic, onde stabilire fino a che punto egli voglia effettivamente andare, e poi, sulla sicura base di tali risultanze, esaminare e decidere la linea di condotta da tener con Benes, anche egli impaziente di mettersi al più presto in personali contatti con Vienna.

Berger mi è sembrato alquanto ottimista. Egli non nutre infatti il minimo dubbio che il mio collega jugoslavo possa obbedire, nelle sue dichiarazioni, più al desiderio di apparire come un zelante amico dell'Austria, che a precise istruzioni ricevute dal suo Governo.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Vedi D. 198. (3) -Vedi serie ottava. vol. l, D. 834.
154

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO

T. U. 1680/c. R. (1). Roma, 21 settembre 1935, ore 12,30.

Le proposte dei Cinque (2) sono più che insuffi0ienti irrrisor,ie. Consiglio dei Ministri le respingerà (3). Vi sarà facile dirne le ragioni quando il documento sarà reso di pubblica ragione. Preparate gli ambienti locali alla nostra ripulsa e mobilizzatene gli elementi favorevoli.

155

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6031/89 R. Stoccolma, 21 settembre 1935, ore 17,15 (per. ore 22).

Nella conversazione privata concessami in occasione della presentazione delle credenziali, S. M. il Re si mostrò preoccupatiss,imu situazione europea derivante da conflitto itala-etiopico e mi chiese quale fosse stato d'animo in Italia a tale riguardo.

Nello spiegargli situazione, insistei sul fatto aver potuto personalmente constatare dai miei contatti confidenziali e di affari con ogni ceto, specie in p::ovincia, che non c'è italiano che non sia persuaso fermamente del nostro buon diritto, della necessità in cui altri ci hanno messi di difenderlo ad ogni costo, e che tutti seguiranno il Governo anche in caso di decisioni estreme, ancora più per profonda convinzione che per il principio della disciplina, da noi sovrano.

Chiestomi se popolo italiano si renda conto che campagna di Abissinia può durare più di un anno con conseguente sacrificio, lo assicurai tutti atten

dersi, pur dopo favorevole campagna iniziale, necessità dl lunghe e pazienti operazioni.

S. M. il Re mi ascoltò sempre senza commentare e senza lasciare trasparire alcun sentimento fuorché quello di grande inquietudine. Congedandomi mi incaricò trasmettere suoi saluti a S. M. il Re e, marcatamente, a S. E. Mussolini.

(l) Minuta autografa.

(2) n testo delle proposte è ed. in Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. I, cit., pp. 514-517.

(3) Il Consiglio del ministri, riunitosl il 21 settembre alle 11, emise il seguente comunicato: <<Il Consiglio dei Ministri ha preso conoscenza delle proposte contenute nel rapporto dei Cinque. Il Consigl'io del Ministri le ha fatte oggetto di attento esame. Il Consiglio dei Ministri, pur apprezzando il tentativo compiuto dai Cinque, è venuto nella determinazione di considerare tali proposte inaccettabili, in quanto esse non offrono una base minima sufficiente per conclusive realizzazioni che tengano finalmente ed effettivamente conto dei diritti e degli interessi vitali dell'Italia».

156

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO

T. 1681/c. R. Roma, 21 settembre 1935, ore 20,15.

Motivi principali che rendono inaccettabili proposte Comitato Cinque (l) sono seguenti:

l) Misure assistenza sono inadeguate perché non tengono conto stato barbarie Abissinia da noi denunziato e lasciano in realtà Governo etiopico arbitro situazione. Italia ha denunciato Abissinia indegna appartenere S.d.N. Comitato Cinque, evitando pronunciarsi su fondo questione, vorrebbe mantenerla e rafforzarla nel quadro societario con un tentativo di riforme a carattere internazionale, i cui dubbi risultati Italia dovrebbe attendere pazientemente senza poter in modo pratico e definitivo provvedere propri indispensabili urgenti bisogni sicurezza.

2) Quantunque Abissinia sia in condizioni civiltà molto al di sotto Paesi mandato A, proposte Comitato sono inferiori condizioni stabilite per altri Paesi in favore loro mandatari.

3) Concessioni territoriali che si promette facilitare Italia non sono specificate, ma certamente irrisorie per nostre necessità tanto sicurezza quanto espansione. Concessioni, come indicato nelle dichiarazioni franco-inglesi, sarebbero piuttosto scambi territoriali di cui si avvantaggerebbe Abissinia poiché da parte sua otterrebbe sbocco al mare in territorio francese o inglese. Risorge così proposta Eden cui attuaz.ione aggraverebbe, invece di miglio·rare, situazione itala-abissina a tutto vantaggio Etiopia.

4) Interesse speciale riconosciuto in materia economica all'Italia non risolve questione penetrazione economica italiana, giacché non è possibile, come Italia ha dimostrato, un'attività di tal genere in Etiopia se non accompagnata da sicure forme di controllo politico.

In sostanza proposte Comitato Cinque, prescindendo dalla speciale situazione riconosciuta all'Italia in Abissinia con l'Accordo Tripartito, ci metterebbero in una posizione peggiore di quella che detto accordo prevede. Mentre voglionsi mantenere fermi diritti riconosciuti da quell'accordo all'Inghilterra e alla Francia, non si parla di quelli italiani, specie della congiunzione territoriale per le nostre due colonie prevista espl:icitamente dal T'ripartito (2).

(l) Vedi D. 154.

(2) Per il testo della dichiarazione italiana sul rapporto del Comitato dei Cinque cfr. Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. I, cit., pp. 518-520.

157

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 10578/159 P. R. (1). Roma, 21 settembre 1935, ore 24.

Mi informi se è attendibile la notizia data dai giornali che il Governo greco avrebbe deciso la neutralità nel conflitto itala-etiopico (2).

158

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI

T. 10579/125 P. R. (1). Roma, 21 settembre 1935, ore 24.

Giornali annunciano che Governo prima di dimetters'i aveva deciso neutralità Spagna in caso di conflitto itala-etiopico. Mi informi (3).

159

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6044/226 R. Ginevra, 22 settembre 1935, ore 1 (per. ore 2,40).

Riferimento telegramma di V. E. n. 108 e telegramma R. Ambasciata in Tokio n. 139 segreto del 20 corrente (4).

Conformandomi direttive V. E., ho creduto opportunamente convocare Si

gnor Hotta, Ministro del Giappone a Berna e osservatore presso S.d.N., il

quale mi ha chiesto informazioni sulla situazione politica, che egli conosceva

solo da fonte inglese e francese.

L'ho messo al corrente, sviluppando idea che nostra attuale politica è im

perniata sui principi di espansione e sicurezza, così come lo è la politica giap

ponese per la Manciuria, ragione per cui ci aspettiamo in questo momento

dal popolo giapponese comprensione e simpatia.

Il Signor Hotta, che era direttore degli Affari Politici al Ministero degli

Affari Esteri durante il mio periodo di permanenza all'Ambasciata di Tokio,

mi ha allora ricordato il lavoro compiuto insieme per cercare di mettere in

evidenza la concomitanza della politica estera dei nostri due Paesi. Dichiaran

'

domi che accoglieva con soddisfazione le mie dichiarazioni, mi ha promesso di riferirne a Tokio.

Colgo ,l'occasione per informare che giovedì sono stato telefonicamente sollecitato da un mio amico, direttore Tokio Asahi, che è forse il maggiore org,ano politico capLtale Giappone, che mi ha detto testualmente: «situa~ione è tragica, ma resistete». Mi ha invitato a mandare al suo giornale un messaggio in termini di simpatia.

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 168. (3) -Per la risposta vedi D. 161. (4) -Vedi DD. 133 e 147.
160

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6059/227 R. Ginevra, 22 settembre 1935, ore 12,06 (per. ore 13,20).

Seguendo istruzioni di V. E. (l) stamane comunicato a Madariaga osservazioni telefonatemi ieri relative proposte Comitato Cinque. Comunicato di ieri del R. Governo (2) in primo tempo è stato interpretato come rottura, e in tal senso l'ha diramato l'Agenzia Havas. Successivamente è prevalsa interpretazione che rigetto si riferisce solo alle proposte avanzate Comitato ma non implica decisione interrompere trattative.

161

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6078/214 R. Madrid, 22 settembre 1935, ore 15,30 (per. ore 21).

Notizia di cui telegramma di V. E. n. 125 (3) non (dico non) risulta vera. Ultime decisioni prese da questo Governo sono quelle da me comunicate con telegrammi n. 205, 207 (4) e possono riassumersi così:

Spagna avrebbe collaborato nel Comitato Cinque e nel Consiglio S.d.N. per accordo pacifico nel quadro del Patto; qualora avesse vt,-to balenare possibilità che conflitto deviasse verso guerra, Governo si sarebbe nuovamente riunito per definire proprio atteggiamento.

Praticamente quindi Governo dimissionario, pur essendo fortemente incline verso neutralità, 'aveva r:inviato ogni decisione su convenien~a o meno votare sanzioni.

(l) -Vedi DD. 154 e 156. (2) -Vedi D. 154, nota 3. (3) -Vedi D. 158. (4) -Telegrammi 5707/205 R. del 13 settembre 1935, ore 21, e 5979/207 R. del 19 settembre 1935, ore 1,50, non pubblicati.
162

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6081/161 R. Mosca, 22 settembre 1935, ore 22,58 (per. ore 6,40 del 23).

Mi sono recato oggi dal signor Krestinski, Egli mi diceva di non avere notizie dirette da Ginevra e di ignorare persino la portata delle proposte del Comitato dei Cinque.

Ho osservato che, sebbene anche a me fossero ignote, pure mi era facile dedurle, con una certa approssimazione, da notizie ricevute da Roma, ma che ad ogni modo su un punto ero sicuro e cioè sulla decisione itaHana di re

spingere le proposte stesse perché del tutto inadeguate. Esse rappresentavano persino un passo indietro, rispetto alle precedenti inglesi: mi sono avvalso degli argomenti addotti nei quattro punti del telegramma di V. E. n. 1681/C. (1), che gli ho ripetuto.

Krestinski aveva l'impressione che l'ultima parola italiana non fosse stata ancora pronunciata e che prima del 24 corrente qualche intesa potesse delinearsi in seguito all'intenso scambio di vedute che aveva luogo fra Londra, Parigi e Roma.

Gli ho detto di non essere informato di quanto era in atto, ma che potevo escludere ad ogni modo ogni possibilità di intesa, fino a quando il Governo Inglese non cambiasse profondamente il proprio atteggiamento e la base delle trattative.

Il Commissario aggiunto Affari Esteri ha tenuto a restare sul terreno societario, pur riconoscendo che nella questione l'Inghilterra, come l'Italia, avevano per principale preoccupazione la difesa dei propri interessi, pur masche'rando U proprio atteggiamento con principi di carattere generale e superiore.

Gli ho risposto che questo suo giudizio, mentre era esatto per quanto riguarda l'atteggiamento inglese, non poteva accettarsi per l'Italia, che non aveva mai nascosto l'interesse primordiale, che essa aveva a garantirsi nel migliore modo dagli attacchi abissini e ad assicurare alla propria economia quel posto che ha, che le spettava e che l'ostilità del Negus aveva sempre ostacolato. Dopo avere accennato all'odioso invio di navi britanniche nel Mediterraneo, gli ho domandato se e quale fondamento avesse la notizia pubblicata all'estero circa il trasferimento nel Mediterraneo della flotta sovietica del Mar Nero.

Il signor Krestinski mi ha subito interrotto cordialmente dicendomi che la notizia era assolutamente priva di fondamento e che, del resto, egli, richiestone telegraficamente da Parigi, l'aveva immediatamente smentita.

(l) Vedi D. 156.

163

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6076/748 R. Londra, 23 settembre 1935, ore 0,25 (per. ore 5).

Comunicato del Consiglio dei Ministri (l) è stato qui accolto come la precisa indicazione che la politica italiana non ha subito alcun cambiamento, né la decisione dell'Italia alcuna modificazione.

Se comunicato ha apparenza di una minore intransigenza, questa può riguardare la tattica non gli obiettivi del Governo italiano, che vengono anzi nel comunicato nettamente riaffermati.

Tuttavia, qualora la decisione del Consiglio dei Ministri abbia vera sensazione lasciare una via a ulteriori negoziati, l'Inghilterra non potrebbe lasciare cadere senz'altro questa possibilità. Tali negoziati -o nell'ambito della S.d.N.,

o anche fuori Società delle Nazioni -varrebbero intanto a provocare un alleggerimento ed una distensione della situazione internazionale.

La necessità di una tale distensione è particolarmente sentita negli ambienti finanziari, i quali hanno visto con preoccupazione gli effetti deprimenti che il timore di un conflitto itala-inglese ha esercitato nei giorni scorsi sui titoli inglesi e sul corso della sterlina (vedi mio telegramma n. 744) (2). Data la situazione che si è prodotta venerdì scorso nella City, Tesoreria e Banca d'Inghilterra hanno ravvisato e prospettato la necessità di un atteggiamento rassicurante da parte del Governo.

V. E. avrà notato il linguaggio cauto del Cancelliere dello Scacchiere nel discorso che egli ha tenuto ieri sera (vedi mio telegramma n. 727) (3) e l'insistenza della stampa ufficiosa di ieri e di oggi nel mettere in rilievo che un conflitto itala-inglese è da escludersi e che la sola azione che l'Inghilterm può considerare è azione collettiva della Società delle Nazioni, non una azione isolata da parte sua.

Con telegramma a parte (4) invio commenti dei giornali al comunicato del Consiglio dei Ministri. Questi sono pure ispirati al concetto che il comunicato non ha un significato assolutamente negativo e che l'Italia ha chiuso, ma non sbattuta porta in facc,ia So·cietà delle Nazioni. Possibilità di una intesa sussiste tuttora e non è ancora caso di parlare di ricorso alle sanzioni mentre la rottura con la Società delle Nazioni non è ancora avvenuta.

Solo giornali liberali e laburisti decretano che non vi è più nulla da fare e che proposte Comitato Cinque debbono essere considerate come un massimo e che Consiglio S.d.N. non potrebbe in nessun modo fare ulteriori concessioni.

Primo Ministro ed i membri del Governo, che sono tuttora in vacanza, faranno definitivamente ritorno a Londra domani e per martedì si attende una riunione Gabinetto che dovrà prendere in esame la situazione.

(l) -Vedi D. 154, nota 3. (2) -T. 6032/744 R. del 21 settembre 1935. ore 21,10, non pubblica·to. (3) -T. 6077/727 R. del 22 settembre 1935, ore 17,30, non pubblicato. (4) -T. 6079/746 R. del 22 settembre 1935, ore 17,30, non pubblicato.
164

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6119/200 R. Tokio, 23 settembre 1935, ore 8,10 (per. ore 18,40).

Eseguirò istruzioni di cui al telegramma di V. E. n. 1680/C del 21 settembre (l) se e come possibile.

La massa dell'opinione è ancora convinta che l'Italia persegua in Cina una politica antigiapponese ed ha avuto sentore dei due anni di campagna dei nostri giornali, la quale ha toccato il vertice soltanto due mesi fa e non è comple·tamente cessata che da poche settimane. Elementi favorevoli, beninteso per ragioni interesse nazionale, si trovano tra i dirigenti specie tra i militari di marina. Ma, per motivi vari, solo pochi degli argomenti validi per Ginevra potrebbero essere utilmente usati qui dove si dovrebbero accentuare attacchi non contro Etiopia ma contro Inghilterra ciò che non mi considero autorizzato fare in questo momento.

165

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6100-6099/231-232 R. Ginevra, 23 settembre 1935, ore 15,40 (per. ore 19,35).

Lavai appena giunto ha chiesto vedermi per discutere sul comunicato del Consiglio dei Ministri (2). Pur mostrando di comprendere rag.ioni del rifiuto italiano che gli ho esposte, ha detto ritenere conveniente, per ragioni di tattica, di r.ivolgere al Comitato un preciso quesito circa preponderanza che Comitato sarebbe disposto a concedere all'Italia, e ciò per porre delegato inglese di fronte a responsabilità di pronunciarsi.

Ho risposto che tale richiesta da parte nostra avrebbe potuto fare supporre una presa in considerazione del progetto del Comitato, che noi consideravamo una base di discussione del tutto inadeguata. Ho informato telefonicamente

S. E. Suvich.

Ho chiesto a Lavai notizie circa risposta inglese alla richiesta francese di precisazioni degli impegni che l'Inghilterra è disposta a prendere nell'avvenire circa ricorso a sanzioni in caso di bisogno.

Ha risposto che risposta non era ancora pervenuta, ma che egli aveva ragione di •ritenere che sarebbe stata soddisfacente (3).

(l) -Vedi D. 154. (2) -Vedi D. 154, nota 3. (3) -Vedi D. 203, nota 3.
166

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO (l). Roma, 23 settembre 1935, [ore 16,30].

Drummond: Vengo da parte del Ministro degli Esteri del Regno Unito, il quale è un vecchio amico dell'Italia, a farvi una comunicazione. Nella lettera che egli mi ha scritto, Hoare dichiara che il Governo britannico non ha alcun proposito di umiliare l'Italia e nemmeno il regime che la governa da tredici anni, regime che Hoare desidera forte, prospero e stabile. L'Ammiragliato ha rinforzato la flotta nel Mediterraneo, per ,le ragioni che ho già spiegato a Suvich (2), ma non si tratta di 800 mila tonnellate e sopratutto non sono dirette contro di voi. Il Gabinetto britannico non ha mai pensato a sanzioni di carattere militare. Hoa,re non ha mai pronunciato questa pa,rola, e mai si è discussa la questione della chiusura del Canale. Si tratta in ogni caso di un'azione collettiva della Società delle Nazioni, ma a parte ciò il Governo della Gran Bretagna e l'Impero detesta di contemplare anche delle sanzioni di ordine economico.

Ciò stabilito Hoare sarebbe felice se si potesse trovare una «soluzione onorevole $ prendendo in considerazione tutti gli elementi del problema, mentre egli farebbe tutto <il possibile perché tale soluzione non fosse interpretata in maniera ostile .all'Italia.

Il Governo britannico tende a realizzare la « stcurezza collettiva$, non ad umiliare il regime di cui siete il Capo.

Ho pregato Drummond di esprimere al Ministro Hoare la mia soddisfazione per il tono e la forma del messaggio, gli ho ripetuto che l'Italia non farà nulla, né direttamente né indirettamente, che possa turbare l'Impero della Gran Bretagna e gli ho ancora una volta spiegato la posizione dell'Italia di fronte al problema etiopico.

167

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 6126/182 R. Ankara, 23 settembre 1935, ore 21 (per. ore 1 del 24).

Gazi con Ismet Pascià ed altri Ministri lasciato improvvisamente Stambul sera 21 corrente.

British Foreign Policy, 1919-1939, second series, vol. XIV, London, Her Majesty's Stationery Office, 1976, pp. 661-664.

Ieri, Ismet Pascià pregatomi venire subito Angora. Avuto con lui oggi colloquio di oltre tre ore. Spiegatogli tutta questione abissina fino momento presente; su irrisorie proposte Comitato Cinque espressomi sviluppando ultime istruzioni di V. E. (1). Ho cercato sfruttare per quanto mi era possibile e con ogni [argomento] suoi sentimenti antibritannici.

Ismet Pascià dichiaratomi che Turchia doveva tenere con noi condotta ispirata ogni possibile amicizia, che chiedevami di considerare che eventuali aperture dirette a fare assumere a Turchia posizione a noi nettamente ed anche militarmente ostile (vedi pubblicazioni inglesi) non erano mai state fatte e se lo fossero egli non potrebbe ascoltarle. Suo intendimento era uniformare sua politica ad interessi turchi e non agli altrui. Mi pregava tenermi in continui contatti con lui per aiutarlo dissipare ogni voce tendenziosa, specie fonte greca, circa nostra azione Dodecanneso.

Dopo miei ampi chiarimenti con quanto è ora in mio possesso e dopo spiegatogli chiaro interesse di certa stampa greca e quella inglese turbare rapporti italo-turchi (Dodecanneso e posizione Turchia in Mediterraneo Orientale) egli mi ha assicurato telegraferebbe Aras perchè uniformasse sua ulteriore condotta a Ginevra seguenti principi:

a) difesa S.d.N.; b) massima soddisfazione possibile a 'interessi ed obiettivi italiani su Abissinia, quanto più possibiie vicino aUa soluz;ione totalitaria; c) non tener conto interessi e pressioni Nazioni imperialiste (Inghilterra)(2). Concluse che egli avrebbe con ogni suo mezzo appoggiato finalità italiane e sperava che dalla presente crisi rapporti italo-turchi ne uscirebbero grandemente rafforzati. Conosceva attuali intimi rapporti fra Aloisi ed Aras e nostre dichiarazioni ufficiali ed ufficiose dopo le pubblicazioni Journal de Genève avevano prodotto in lui e opinione pubblica turca favorevolissima impressione.

Tono estremamente sincero e animato, come è costume Ismet Pascià, che dichiaratomi non poter neanche esaminare possibili sanzioni, anche soltanto economiche, contro di noi. Preoccupazione è la grave situazione Dodecanneso. Ho dato ogni chiarimento in mio potere e chiamato subito qui addetto militare per ogni ulteriore contatto con Stato Maggiore. Occorre siano forniti a me od a lui tutti i possibili (ripeto tutti i possibili) dettagli atti fugare ogni dubbio alimentato da interessati e che trovano quei facile terreno morboso che ho spesso segnalato esistere qui in questo Governo. Credo fermamente che, entro certi limiti, questo odierno orientamento turco, ancora più deciso nostro favore, possa essere sfruttato se, come ultime notizie stampa tendono a far ritenere, sia cercata soluzione interamente soddisfacente con trattative Comitato Cinque (colloqui Aloisi-Madariaga) (3). Prego in ogni modo telegrafarmi con ogni possibile urgenza direttive e istruzioni a Stambul (4).

(-4) Per la risposta vedi D. 171.

Da intonazione coUoqui non riterrei impossibile ottenere che Ismet Pascià dia ad Aras quelle istruzioni che fossero più particolarmente desiderate da V. E. circa suo contegno Ginevra.

(l) -L'appunto è stato redatto da Mussollni. (2) -Drummond ebbe colloqui con Suvich il 20 e il 21 settembre. Cfr. Documents on (l) -Vedi D. 156. (2) -Con T. 6176/186 R. del 25 settembre 1935, ore 15,55, Galli confermava che erano state inviate tali istruzioni telegrafiche a Rustu Aras. (3) -Vedi D. 160.
168

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6108/247 R. Atene, 23 settembre 1935, ore 21 (per. ore 1 del 24).

Telegramma di V. E. n. 159 (1).

Come risulta da corrispondenza questa Legazione, Governo ellenico ha sempre tenuto a mostrare atteggiamento neutrale nei riguardi conflitto italaabissino. Assicurazioni in questo senso vennero date a R. Legazione quando questi Dicasteri degli Esteri e della Guerra si impegnarono a non permettere esportazione di materiale di guerra dalla Grecia per l'Abissinia e ad ostacolare arruolamenti cittadini greci per Etiopia (telegramma per corriere n. 098 del 7 agosto scorso, telespresso R. Legazione n. 1094 del 17 luglio scorso, telespresso

n. 1379 dell'll settembre, telespresso n. 1177 del 1° agosto scorso ecc.) (2).

Tale atteggiamento è naturalmente subordinato agli impegni dedvanti alla Grecia dal Patto balcanico ed alla conseguente azione in base a tali impegni a Ginevra (telegramma R. Legazione n. 225 del 30 agosto scorso) (3).

Notizie rilevate da V. E., e da me comunicate all'E. V. con Stefand Speciale del 21 corrente, si riferiscono appunto a tali propositi neutralità Governo ellenico espressi in forma ufficiale da questo Ministro degli Affari Esteri in una intervista con Agenzia tedesca, il quale ha detto che «la Grecia, pur sperando che sia possibile trovare un regolamento pacifico conflitto italo-abissino, conservando parimenti rapporti amichevoli con l'Italia e l'Etiopia, deve seguire politica rigorosa neutralità». Signor Theodoridi ha dovuto aggiungere che, qualora Grecia dovesse determinare suo atteggiamento in maniera più categorica, avrebbe dovuto intendersi con altri Stati componenti Patto balcanico e non ha perduto, comunque, occasione per ribattere affermazioni stampa greca circa motivi attribuiti approdo forzato RR. navi in Grecia rilevando che questione non ha interesse generale trattandosi di Stato amico che ha, del resto, dato sufficienti spiegazioni.

Stamane poi ho profittato della mia prima visita ufficiale a Theodoridi, dopo la presentazione delle credenziali. per chiedergli se le sue predette dichiarazioni all'Agenzia tedesca potevano considerarsi come ufficiali ed egli mi ha confermato che esse rispecchiano esattamente il pensiero del Governo greco.

(l) -Vedi D. 157. (2) -Non pubblicati. (3) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 856.
169

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 23 settembre 1935.

Ora a Ginevra si presentano tre eventualità: l) Un nuovo tentativo di conciliazione. È possibile che il Signor Lavai segua questa via. Dato il modo come la questione è stata impostata non ha nessuna possibilità di successo. L'unico vantaggio potrebbe essere quello di guadagnare ancora un po' di tempo se non si vuole arrivare subito alla stretta finale. 2) Il Consiglio continua per conto proprio il progetto di redressement dell'Abissinia. Non è molto probabile che ciò avvenga dato che le proposte volevano rappresentare un tentativo eli conciliazione. Tuttavia la cosa va tenuta d'occhio perché non è escluso che gli inglesi, e forse anche le piccole Potenze, spingano su questa via. La cosa all'atto pratico poi, anche per l'intervento delle piccole Potenze che fanno una questione del mantenimento della sovranità degli Stati minori, assumerebbe se mai un aspetto ancora più favorevole all'Abissinia. Ad ogni modo il piano non sarebbe di immediata realizzazione. 3) Il Consiglio riconoscerebbe fallito il tentativo di conclliazione e passerebbe all'applicazione degli articoli del Covenant 10 e 15. Per il momento non si potrebbe parlare di applicazione delle sanzioni non essendo ancora intervenuta l'aggressione, ma ci potrebbe essere una diffida (forse anche relativa all'invio di ulteriori forze in Africa Orientale) e la decisione di continuare i lavori o di riunirsi al momento opportuno, quando si sia arrivati al conflitto, per stabilire le sanzioni contro l'aggressore. Converrà attendere lo svolgimento de.i lavori dei Consiglio che è convocato per oggi per decidere sul da farsi. Non è escluso che si debba considerare l'eventualità di un'immediata uscita dalla Società delle Nazioni.

170

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6164-6163-6193/183-184-185 R. Ankara, 24 settembre 1935, ore 17,50 (per. ore 19,15 del 25).

Mio telegramma n. 182 (1).

Continuato ieri sera colloquio con Ismet Pascià che mi ha confermato marcatamente suoi intendimenti e propositi circa riconoscimento e sostegno nostro punto di vista, subordinatamente ad un min[mo di osservanza del Covenant. Chiaro è che, nel caso di insoddisfatte nostre aspirazioni in Abissinia, ciò farebbe temere ripresentarsi di quelle anatoliche. A questo timore è collegata costante e anche spesso chiara apprensione per Dodecanneso. Solo V. E. può

giudicare se, nel momento presente e nel giuoco del Consiglio della Società delle Nazioni, un più preciso e definitivo atteggiamento Turchia possa essere utilizzato in qualche modo ai fini della politica fascista. Già Aras, prima di partire, accennò a tale possibilità (1). Ignoro poi se e come siansi svolti rapporti con nostra delegazione, che Ismet Pascià mi ha ieri confermato costanti e cordialissimi. Ma è chiaro che, se tale non impossibile atteggiamento possa realizzarsi (faccio ogni prudenziale riserva su sua continuità e persistenza dato il continuo variare dei rapporti di forza), sembrami potrebbe essere utilizzato.

Ismet Pascià domanda ora concess,ioni economiche ed ogni possibile rassicurante e costante contatto (addetto militare già arrivato prende subito contatti .con lo Stato Maggiore). È possibile che altre esigenze si presentino in seguito.

Sembrami che almeno dovrebbe essere possibile tentare effettiva neutralizzazione atteggiamento turco nella eventualità applicazione sanzioni, non solo militari ma anche economiche, poiché Ismet Pascià mi ha detto essere pronto a darci e « continuare darci » tutto quanto può occorrere rifornire nostro corpo di spedizione (faccio ora r·i-cerche camme-lli) e per sanzioni militari sua spontanea fretta smentire voci stampa inglese è significativa.

Per una precisazione miei colloqui e per stringere eventualmente Ismet Pascià ad un garantito atteggiamento attendo istruzioni di V. E.

Poco dopo, Addetto Militare avuto lunga conferenza con Sottocapo Stato Maggiore, presenti vari ufficiali. Spiegata la strategia assegnata a nostri possedimenti Mediterraneo e forniti pochi elementi in suo possesso circa contingenti attualmente nel Dodecanneso, precisando che attuali predisposizioni sono in funzione anti-inglese.

Già ieri Ismet Pascià mi aveva comunicato che Addetto Militare turco Roma era stato informato da nostro Stato Maggiore dell'invio a Lero di un altro reggimento sicché erano evitate apprensioni e comunicazione estremamente gradita.

Stato Maggiore turco chiesto però ora altri dettagli e posto domande anche puerili e ingenue che comprovano paurosa mentalità. Tenuta presente particolare delicata situazione, Colonnello Mannerini ce•rcato evitare sospetti e calmare inquietudini. Ma per rispondere molte altre domande (forze presenti, dislocazione e ragioni determinanti) occorrerebbe che nostro Stato Maggiore fornisse altri elementi con ogni sollecitudine. Mannerini invia per corriere reìazione colloquio ed elenco domande.

Ma decisioni se rispondere a quesiti delicati interessanti nostra difesa non potrebbero essere che il corrispettivo di precisi inderogabili impegni politici che questo Governo, integrando dichiarazioni amichevoli, dovrebbe darci e rispetto ad appoggio nostre rivendicazioni in Abissinia e rispetto sanzioni economiche e militari. Turchia dovrebbe particolarmente garantirci di non prenderne in nessun caso e sotto nessuna pressione.

Se v. E. accetta tale ordine di idee e mi autorizza passare dal generale a punti impegnativi occorrerà allora che nostro Stato Maggiore ne sia informato per risposte a nostro Addetto Militare. In cambio Console turco Rodi potrebbe

15 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

ricevere qualche informazione militare da Governato·re ed Addetto Militare turco costà chiamato nuovamente per delucidazioni ulteriori. Promise, ripeto, -in anttcipo assicurazioni turche formali su quei punti che V. E. potesse darmi istruzioni di fissare, e salvo diverso avviso di V. E.

Ismet Pascià, dopo allusione a scarsa disposizione italiana agevolare finanziamento Turchia e ricordato ancora una volta mancato prestito (è cosa che lo punge tuttora poiché egli ha sempre ciò considerato come un pretto insuccesso personale che a quel momento lo ha messo in difficile situazione di fronte Partito e Governo), mi ha insistentemente chiesto se sarebbe possibile addivenire ad una diversa rateazione dei pagamenti che Turchia deve ancora fare a nostri cantieri. Domanda rivoltami da .&ras fino dal marzo scorso oggetto del mio rapporto n. 327 del 2 aprile e telegramma per corriere n. 28 del 1° luglio (1).

Trattasi in sostanza fare rinunziare [aumento] cambi della metà del cambio disponibile per il corrente anno e proveniente da pagamenti turchi. In compenso si aumenterebbe il cambio disponibile a nostro favore per gli anni successivi Nno al '37.

Mancavano allora vere ragioni politiche per premere per tali concessioni. Le ragioni sussistono oggi invece pienamente. Insisto pertanto subordinatamente perchè tale domanda sia esaminata in rapporto agli ultimi colloqui con Ismet Pascià ed alle possibilità contingenti di assicurare una concreta attitudine turca a nostro favore.

Oso pertanto fare appello a S. E. il Capo del Governo perchè voglia esaminare pe:.·sonalmente tale richiesta in rapporto a maggiori possibilità politiche (2). Stimo d'altronde in conclusione che queste ed altre comunicazioni come ogni dettagliato chiarimento tranquillante sui nostri apprestamenti militari in Dodecanneso possano servire non solo a tentare di ottenere una più conveniente e continuata attitudine turca rispetto al conflitto itala-abissino ed a tutti i suoi prevedibili sviluppi, ma anche per un chiarimento definitivo e permanente dei rapporti italo-turchi (3).

(l) Vedi D. 167.

(l) Vedi serie ottava. vol. I, D. 817.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 1706/110 R. Roma, 25 settembre 1935, ore 2.

Telegramma di V. E. n. 182 (4).

Si rechi da Ismet Pascià e a mio nome gli dia la più formale assicurazione che i nostr.i apprestamenti milita:ri nel Dodecanneso sono unicamente destinati a difendere quel possedimento nel caso non del tutto impossibile di un conflitto navale itala-inglese nel Mediterraneo che noi facciamo di tutto per evitare. Le

conseguenze di tale conflitto dovrebbero preoccupare vivamente la Turchia stanti le tuttora vive aspirazioni .g.reche sul Dodecanneso. Mi sembra quindi che se i·l Governo turco darà alla sua Delegazione a Ginevra istruzioni tali da evitare l'inasprimento della situazione e la conseguente possibilità di un conflitto navale italo-inglese, esso agirà in confoa:mità interessi tua:chi.

Do istruzioni al Ministero della Marina perché a mezzo del R. Addetto Navale fornisca informazioni su situazione militare Dodecanneso.

Questa mia comunicazione ad Ismet Pascià risponde alle esigenze del momento e sarà tanto più efficace quanto più schematicamente sarà fatta da V. E. in modo che Ismet P.ascià possa trame da se stesso le conclusioni (l).

(l) -Non pubblicati. (2) -Con T. 1748/114 R. del 1° ottobre 1935, ore l, Suvich comunicava di aver interessato le competenti Amministrazioni circa la proposta turca. (3) -Vedi D. 171. (4) -Vedi D. 167.
172

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. 1704/239 P. R. (2). Roma, 25 settembre 1935, ore 3.

Vedo che giornali -cinesi protestano ·contro esclusione Ci:n:a dal Consiglio Società delle Nazioni. Dica in mio nome personale al Maresciallo che, dopo questo affronto, la Cina ha un forte motivo morale per abbandonare la Lega delle Nazioni. Gli ricordi che in una situazione analoga 11 Brasile -cioè il più grande Stato dell'America meridionale -abbandonò la Lega. Abbandonando la Lega. la Cina ha tutto da guadagnare niente da perdere, po[ché nel momento del pericolo non è stata difesa dalla Lega. Aggiunga che anche Italia molto probabilmente sarà costretta ad abbandonare la Lega. Dirà al Chang Kai-Shek che quanto sopra è dettwto dalla mia amicizia personale per lui e per la Cina (3).

173

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1711/160 R. Roma, 25 settembre 1935, ore 3.

Suo telegramma per corl'iere n. 096 del 18 c.m. (4).

V. S. può confermare al signor Berger che codesto Governo sarà come sempre tenuto al corrente di ogni eventuale sviluppo interessante comunque l'Austria.

(l) -Con T. 6229/189 R. del 26 settembre 1935, ore 18,30. Galli riferì: «Fatta ieri sera personalmente ad Ismet Pascià comunicazione prescrittami. Ismet Pascià inviato subito istruzioni ad Aras senso desiderato. Dichi·aratomi preso atto assoluta soddisfazione per nette dichiarazioni fattegli a nome di V. E. ». (2) -Minuta autografa. (3) -Per la risposta di Lojacono vedi D. 207. (4) -Vedi D. 135.
174

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6173/236 R. Ginevra, 25 settembre 1935, ore 15,37 (per. ore 17,10).

Berger, giunto ieri sera, è venuto stamane per mettersi al corrente situazione che gli ho prospettato. Egli ha espresso la convinzione che in questo momento è consigliabile adoperarsi a smobilitare opinione pubblica.

A tale scopo misura più opportuna sarebbe ri:nvio Consiglio. Lavai si è dichiarato dello stesso avviso e mi ha detto che anche Herriot e Paul-Boncour, sia pure per ragioni differenti, giungono ad analoghe conclusioni.

Stamane ho già telefonato a S. E. Suvich i particolari del discorso avuto con Lavai su questo argomento ed ho spiegato il modo in cui egli si è comportato in Consiglio nei nostri riguardi.

Dopo colloquio avuto con me, Berger è andato da Lavai e mi ha detto che questi è risoluto a sospendere lavori Consiglio e a fare chiudere sessione Assemblea entro settimana.

175

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6174/237 R. Ginevra, 25 settembre 1935, ore 15,37 (per. ore 17,10).

È venuto Aras a parlarmi della situazione italo-turca e a felicitarsi della conversazione che Galli ha avuto con Ismet Pacha (1).

Esaminando il telegramma che Ismet Pacha gli ha inviato in seguito al colloquio con Galli, gli ho osservato che il modo migliore per concretare istruzioni in esso contenute mi sembrava quello di prendere posizione contro sanzioni e contemporaneamente cooperare alla smobilitazione della opinione pubblica, rinviando Consiglio e Assemblea.

Sul primo punto ha eluso questione, dicendosi convinto che sanzioni non vi saranno. Conoscendo l'uomo ho capito che era inutile insistere. Sul secondo, si è dichiarato d'accordo e mi ha detto di avere parlato a Lavai e di avere l'intenzione di fare domani in Consiglio una dichiarazione in tal senso.

(l) Vedi D. 167.

176

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. 6188/162 R. Mosca, 25 settembre 1935, ore 20,55 (per. ore 0,30 del 26).

Persona molto v1ema a questi circoli politici militari mi diceva ieri, a titolo strettamente confidenziale, che l'atteggiamento dell'U.R.S.S. nella questione abissina non deve essere interpretato come una adesione completa alla posizione assunta dall'Inghilterra. L'U.R.S.S., pur cercando d!i urta;re U meno possibi:l:e la nostra sensibilità, collaborerà sino ultimo perchè la questione abbia una soluzione paeifica essendo suo primordiale interesse che la pace in Europa non venga turbata. Non si sentiva però in alcun modo disposta a seguire l'Inghilterra sino a estreme conseguenze. L'interpretazione che in alcuni circoli britannici era stata data al discorso di Litvinov è arbitraria. Una riprova di ciò, a dire del mio interlocutore, si poteva desumere, oltre ·Che dalle espressiorni amichevoli ve·rso l'Italia, anche dalle riserve di giudizio sul merito della questione che Litvinov aveva formulato in tale oc.casione. La cautela di questa stampa ne.l trattare della questione era, sempre a suo dire, molto significativa.

Prego V. E. voler considerare presente telegramma come riservatissimo.

177

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6182/238 R. Ginevra, 25 settembre 1935, ore 23,30 (per. il 26).

Journal de Genève da qualche giorno conduce campagna tendente a dimostrare che il più accanito avversario d'Italia è Litvinov. Oggi questi ha mandato da me Stein per dichiararmi tali insinuazioni essere destituite di fondamento ed essere dovute alla penna di immigrati russi, di cui Journal de Genève è organo. Stein mi ha ripetuto che U.R.S.S. non ha alcun interesse in Etiopia e che se ne disinteressa completamente. Unico motivo determinante del suo atteggiamento è l'attaccamento al Covenant che costituisce per U.R.S.S. la più potente arma di difesa contro un eventuale attacco tedesco.

178

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6180/239 R. Ginevra, 25 settembre 1935, ore 23,30 (per. ore 2,20 del 26).

Berger-Waldenegg mi ha rife,rito che Benes gli ha chiesto se Austria sia tuttora interessata al Patto danubiano.

Berger ha risposto in senso affermativo, dicendosi pronto a firmarlo anche subito purché si dia Austria qualche assicurazione sui suoi diritti di difesa. Benes ha detto che sarebbe anche lui pronto a firmarlo se gli si desse una promessa che, in un secondo tempo, si farebbero dei Patti bilaterali di mutua assistenza. Anche gli altri due Stati della Piccola Intesa sarebbero disposti in tal senso verso il quale Benes si sforza persuaderli. Egli ritiene però sempre indispensabile poter dar ·loro la deSiiderata assicurazione ci•rca Patti di mutua assistenza. Benes ha poi domandato a Berger se egli fosse sicuro che l'Italia è tuttora ugualmente interessata al Patto danubiano. Berger ha risposto di averne sicurezza, anche per recenti assicurazioni dategli da Preziosi.

Berger ha incontrato anche Segretario Generale francese. Circa Patto danubiano Léger si è espresso in termini presso a poco corrispondenti a quelli di Benes. Però ha osservato, quasi lagnandosene, che l'Italia non ha ancora risposto in modo netto se è disposta a successivi Patti bilaterali di mutua assistenza -vedi a riguardo mio telegramma. n. 184 (1).

Circa assicurazioni britanniche alla Francia per impegni in Europa, Benes ha detto a Berger che, da quanto fino ad oggi 25 aveva sentito, tali assiourazioni, di cui attendesi pubblicazione, erano tali che Cecoslovacchia poteva ritenersi soddisfatta.

179

L'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, OTTAVIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6276/015 R. Bucarest, 25 settembre 1935 (per. il 28).

In relazione ai telegrammi circolari di V. E. n. 1680 e n. 1682 (2) ho l'onore di riferire che questa R. Legazione non ha mancato di svolgere opportuna azione, specie sulla stampa romena, perché il rifiuto del R. Governo di accogliere le proposte del Comitato dei Cinque fosse prospettato nella sua vera luce ed accompagnato dall'esposizione delle ragioni che lo hanno determinato.

Del comunicato del Consiglio dei Ministri il pubblico romeno ebbe conoscenza attraverso le edizioni speciali dei principali giornali, pubblicate nel pomeriggio di sabato 21 corrente prima ancora che giungesse alla R. Legazione il telegramma di V. E. n. 1680/C. Tutti i giornali del lunedì 23 hanno pubblicato un esposto illustrativo della determinazione del Governo italiano, opportunamente fatto giungere alle redazioni dei giornali da questa R. Legazione sotto forma di una corrispondenza da Roma. La ferma attitudine italiana ha prodotto nel pubblico romeno profonda impressione. Gli ambienti democmtici e societari non hanno risparmiato critiche, pur rilevando possibilità offerte dal comunicato di continuare trattative. Gli ambienti nazionalisti hanno invece ammirato la fermezza del Governo fascista che ha saputo dimostrare di non

to1lerare intimidazioni. In tutti gli ambienti, si può dire, la feil'mezza italiana si è ·risolta tin un aumento di prestigio per il nostro Paese ed :in una maggiore comprensione delle sue necessità.

(l) -Vedi D. 98. (2) -Vedi DD. 154 e 156.
180

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6194/187 R. Ankara, 26 settembre 1935, ore 0,10 (per. ore 6,30).

Miei telegrammi nn. 183 e 184 {1). Avuto stamane nuovo lungo colloquio con Ismet Pascià presente R. Addetto Militare.

Ismet Pascià si è mostrato molto soddisfatto chiarimenti fornitigli su ragioni nostre predisposizioni in Egeo ed ha dichiarato che precisazioni erano servite a determinare una atmosfera tranquillizzante in seno allo Stato Maggiore. Ha insistito sulla necessità di fornire a questo Stato Maggiore gli ulteriori elementi richiesti sui nostri apprestamenti militari giacché ritiene che, oltre alle finalità politiche ormai chiarite, sia necessario dissipare ogni significato preoccupante di carattere militare. Inoltre Ismet Pascià mi ha riconfermato ripetutamente suo fermo proposito di addivenire subito ad una ampia completa chiarificazione dei nostri rapporti per permettere un saldo sviluppo delle relazioni italo-turche insistendo energicamente sul concetto di non volere soddisfare che gli interessi turchi. Anche egli ha assicurato nuove telegrafiche direttive a Aras.

Nei lunghi colloqui con Ismet Pascià e nelle mie proposte a V. E. miro rispondere constanti direttive di V. E. e di migliorare rapporti italo-turchi e di mob1litare subito forze a noi favo!l.'evoli dopo responso Comitato Cinque. Ismet Pascià si dimostra sicuramente a noi favorevole. Giudichi V. E. quale possa essere nell'attuale momento migliore soluzione conforme nostri interessi. Un risultato sarà tanto più efficace quanto più presto potrò continuare rapporti con le istruzioni di V. E.

181

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6184-6192/757-758 R. Londra, 26 settembre 1935, ore 1,20 (per. ore 5,30).

Con mio telegramma n. 751 (2) ho informato delle ripercussioni favorevoli che notizia c~rca colloquio di V. E. con Drummond (3) aveva avuto sull'opinione

pubblica britannica. Si è indubbiamente verificato ieri un certo alleggerimento della situazione che stamane è anche più marcato. Ripresa del mercato finanziario è stata in ogni modo sensibile, titoli di Stato inglesi sono tornati al loro livello normale e obbligazioni italiane hanno guadagnato due punti sulle ultime quotazioni di borsa.

Questo è anche effetto delle direttive che Foreign Office ha impartito ai giornali di insistere sulla distensione dei rapporti anglo-italiani quale effetto assicurazioni che V. E. ha dato a Drummond e di quelle che Drummond ha dato all'E. V. a nome Hoare e del Governo britannico.

Riassumo in pochi punti schematici la versione ufficiale che circoli bene informati danno stamane dell'atteggiamento del Governo, quale è risultato dalla riunione di ieri del Gabinetto.

lo -Posizione dell'Inghilterra di fronte problema sue responsabilità verso Società delle Nazioni permane immutata. Inghilterra è pronta a partecipare a sanzioni collettive ma non a procedere ad una azione isolata.

2° -Intesa con la Francia per un atteggiamento comune a Ginevra si può considerare ormai raggiunta e la consegna della risposta domande francesi per la sicurezza confermerà e chiarirà questa intesa.

3° -Governo britannico dichiara di essere sempre disposto a favorire una soluzione pacifica del conflitto itala-abissino, ma considera tale possibilità assai remota. Infatti se appare difficile che offerte del Comitato dei Cinque possano essere modificate, è da escludere che Governo italiano possa essere indotto a ritirare sue truppe dall'Africa Orientale. Una conferenza tripartita è ritenuta in questo momento di difficile attuazione perché allo stato delle cose negoziati di Parigi non potrebbero essere ripresi se non per iniziativa e mandato del Consiglio della Società delle Nazioni.

4° -Governo britannico si rende conto della difficoltà di promuovere delle sanzioni militari di carattere collettivo. Perciò le sanzioni contemplate dal Governo inglese in questo momento sono sanzioni di carattere economico e non di carattere militare. La pratica attuazione di tali sanzioni economiche è in corso esame da parte dei Ministeri competenti.

5° -Per quanto vi siano Paesi che sembrano essere riluttanti all'applicazione anche di queste sanzioni economiche, Governo britannico è di opinione che, almeno per certe misure, il Consiglio raggiungerà l'unanimità.

Questo è il quadro che negli ambienti ufficiali si fa oggi della situazione. Il giudizio complessivo che ho tratto dai contatti e dalle conversazioni avute ieri e stamane è che vi è una attenuazri.one nel tono, ma a questo non corrisponde tuttavia una modificazione sostanziale nelle direttive della politica inglese.

A questa attenuazione nel tono della sua politica, Governo britannico è stato sopratutto indotto da ragioni tattiche: dall'opportunità di non accrescere i già fondati sospetti dell'opinione pubblica mondiale sui motivi dell'azione inglese a Ginevra, e dalla necessità reagire alle sfavorevoli ripercussioni che le notizie del concentramento della flotta inglese e le voci sempre più insistenti di un conflitto tra l'Italia e l'Inghilterra avevano provocato nella City.

Governo britannico ha tenuto a escludere che il concentramento della flotta inglese dovesse mettersi in relazione con l'applicazione di sanzioni militari, ma nello stesso tempo ha voluto ribattere il concetto che l'Inghilterra deve premunirsi dagli eventuali pericoli ai quali la politica italiana può esporre l'Impero. Governo britannico esclude dunque un conf.litto itala-inglese come conseguenza di una azione di difesa isolata del Covenant da parte dell'Inghilterra, ma non lo esclude però in modo altrettanto esplicito come conseguenza di una eventuale necessità di difesa dei suoi interessi mediterranei e africani.

(l) -Vedi D. 170. (2) -T. 6141/751 R. del 25 settembre 1935, ore 1,14, non pubblicato. (3) -Vedi D. 166.
182

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE 6224/759 R. Londra, 26 settembre 1935, ore 13,50 (per. ore 19,45).

Mi sono adoperato e continuo ad adoperarmi attivamente nel senso della Tua lettera del 19 settembre (l).

Atteggiamento leade,rs dissidenti laburisti rimane quel.lo da me segnalato e non credo subtrà modificazioni sostanziali. Lansbury e Ponsonby, cioè, resteranno contrari ad ogni ricorso a sanzioni militari da parte della Lega delle Nazioni in omaggio a quei principi di pacifismo ad oltranza cui hanno ispirato tutta la loro carriera. Cripps e Maxton continueranno opporsi alle sanzioni militari, sopra tutto a scopo polemico, sostenendo 'che lavoratori non devono sacrificarsi o combattere per favorire una Società delle Nazioni capitalista, sopratutto le due tesi sono confermate in una lettera di Ponsonby al Times e in un appello di Maxton fatto ai lavoratori che telegrafo in chiaro (telegrammi nn. 755 e 754) (2).

Questi dissensi giovano senza dubbio. Resta tuttavia il fatto che enorme maggioranza Trade Unions è sanzionista, così come lo è gran parte del movimento socialista inglese; sicché è da prevedere che, nel congresso laburista, che si inizierà lunedì venturo, sarà confermata risoluzione votata a Ma•rgate dai Sindacati.

Ripetute dichiarazioni Lansbury, Ponsonby e Cripps hanno però contribuito accrescere diffidenze e esitazioni, già manifestatesi in seno al movimento laburista, e specialmente nel gruppo parlamentare, non solo per grave responsabilità assunta in materia di sanzioni ma anche per la constatazione di avere fatto fin qui il giuoco del Governo, il quale non ha mancato di profittare subito delle dichiarazioni impegnative votate a Margate daLle Trade Unions.

È improbabile, ma non è tuttavia del tutto escluso, che, di fronte ulteriori sviluppi della situazione, laburisti ripieghino su posizioni meno avanzate di quelle in cui attualmente essi si trovano. Vedrò domani lord Ponsonby e mi mantengo, per tramite indiretto, 1in stretto contatto con leaders laburisti per agire nel senso da Te indicato.

(l) -Vedi D. 144. (2) -Telegrammi 6198/754 R. e 6197/755 R. del 25 settembre 1935, ore 18,46, non pubblicati.
183

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6222-6221/218-219 R. Madrid, 26 settembre 1935, ore 21 (per. ore 2 del 2 7). Mio telegramma n. 217 Cl).

Nella prima riunione, che ha avuto luogo ieri, nuovo Gabinetto si è subito occupato della situazione internazionale affermando, più decisamente di quanto non l'avesse fatto il precedente, politica di stretta neutralità.

Al termine della riunione sono state fatte alla stampa da Segretario Consiglio seguenti dichiarazioni: «Si studiò particolareggiatamente quanto si riferisce ai conflitti internazionali e fu unanime il criterio di segui're nei medesimo atteggiamento finora mantenuto. Neutralità sopra tutto. Perciò diplomatici spagnuoU terranno presente in ogni loro intervento desiderio Spagna mantenere sua neutralità assoluta. Quante questioni debbano trattare i nostri diplomatici avranno come direttiva principale quella di contribuire pace >>.

Signor Lerroux, per parte sua, è disposto mantenere ad ogni costo tale politica.

184

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6225/241 R. Ginevra, 26 settembre 1935, ore 23,45 (per. ore 1,30 del 27).

Come riferito per telefono, Eden ha proposto all'Ufficio Presidenza di prorogare sessione Assemblea, <<in vista della situazione internazionale», anche dopo la conclusione dei lavori delle Commissioni, mirando evidentemente ad accelerare i tempi della procedura ginevrina, in conformità coi noti propositi del Governo inglese. Qualche obiezione è stata sollevata da Motta, per cui questione è stata rinviata a riunione domani dall'Ufficio di Presidenza.

Ho condotto una esauriente indagine sull'atteggiamento delle varie delegazioni in proposito e ho constatato che la quasi totalità si dichiarerà favorevole alla proposta. In ,tali condizioni non è da pensare di affrontare una battaglia, in cui non racimoleremo che qualche voto. Proporrei quindi di fare una semplice dichiarazione al solo scopo tattico d cogliere in fallo zelatori della Lega. Dopo avere palesato infatti il nostro disinteresse, mi limiterei a sostenere che la proposta è in contrasto con le norme procedurali, dato cha le questioni per le quali si vorrebbe prorogare la sessione Assemblea sono ancora sottoposte alla competenza del Consiglio. In tali condizioni l'Assemblea, mantenuta in funzione, assumerebbe significato di una inammissibile pressione su ConsigHo. Di questa violazione della procedura ginevrina inviterei a prendere atto.

(l) T. 6205/217 R. del 25 settembre 1935, ore 22,30, relativo alla costituz·ione del nuovo gabinetto spagnolo.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI

T. 1720/25 R. Roma, 26 settembre 1935, ore 24.

Informo S. V. che d'accordo tra Delegazioni italiana, inglese e francese è stato redatto a Ginevra testo nota da inviare Governo Reich imminenza elezioni Memel. Nota, dopo aver accennato all'azione svolta dalle tre Potenze garanti per :ricondurre situazione Memel alla normalità, si riferisce ad assicurazioni date da Governo lituano per normale svolgimento elezioni e osservanza St~tuto e conclude manifestando fiducia che Governo germanico voglia adottare tutte quelle misure che possano contribuire a migliorare attuali rapporti fra Reich e Lituania.

Nota approvata dai rispettivi Governi viene consegnata oggi a Governo del Rt!~h da rappresentanti Potenze garanti separatamente. Invio per corriere testo nota.

Sarà data comunicazione del passo anche alla S.d.N.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 26 settembre 1935.

Il Consiglio dei Ministri di sabato si riunirà probabilmente dopo che il Consiglio della Società delle Nazioni avrà già preso una de.cisione.

Stante alle ultime voci, tale decisione sarebbe nel senso di nominare un Comitato per proporre una raccomandazione alle due PM"ti in conflitto. Nel frattempo i Membri del Consiglio partirebbero per r!itrovarsi f:ra qualche giorno forse una decina -quando il Comitato avesse te,rminato i propr:i lavori. Con tale deliberazione (salvo sempre conferma) si passerebbe dalla fase conciliativa (art. 11) alla applicazione dell'art. 15.

Non pare che a Ginevra sia il caso di fare altre nostre dichiarazioni; d'altra parte ,la Delegazione italiana non prende neanche parte al Gonsigilio, in quanto che vi si discute la questione etiopica. Sarebbe invece forse opportuno che per far sentire la voce deLl'Italia all'inizio di questa nuova fase, qualche dichiarazione fosse fatta dal Capo del Governo, in occasione del Consiglio dei Ministri.

Tale dichiarazione potrebbe toccare i seguenti punti: -richiamo della dichiarazione del Governo italiano del 4 settembre, che accompagnava la presentazione del Memoriale;

-scetticisn:o già allora manifestato sulla possibilità di una soluzione societaria. Lo svolgimento dei lavori di Ginevra ha dato ragione alle nostre previsioni. Si è cercata una soluzione prescindendo dalla documentazione del Memoriale italiano. Il Memoriale italiano offriva l'unica base equa, pratica ed aderente alla realtà per risolvere il problema. Il non averne tenuto conto ha falsato la situazione. Oggi è probabilmente troppo tardi per tornare indietro, e per fare coincidere la via scelta dall'Italia con quella seguita dal Consiglio della So0ietà delle Nazioni (l).

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 3498/1422. Berlino, 26 settembre 1935 (per. il 28).

Subito dopo il mio ritorno da Ntirnberg, ho dovuto iniziare le visite di rito ai miei colleghi. Si tratta di oltre cinquanta visite da fare e cinquanta da ricevere e ciò indipendentemente dalle visite all'elemento ufficiale tedesco, che principierò solo dopo il ritorno alla capitale di tutti i membri del Governo, ora più o meno ancora tutti in pausa di riposo dopo le fatiche del Congresso.

Questo carosello di visite mi offre peraltro un'occasione unica cosi per l'accertamento delle opinioni e degli atteggiamenti dei varii rappresentanti esteri come, sopratutto, per l'affermazione ed il chiarimento -sulla base delle direttive impartite dalla E. V. -del nostro punto di vista e della nostra azione nei confronti dell'Abissinia. Mentre non è davvero il caso di far stato, riferendone in dettaglio, delle conversazioni singole, ritengo tuttavia doveroso raccogliere i punti essenziali in un quadro d'insieme.

Devo, preliminarmente, rilevare che -fatte, com'è naturale, le debite riserve per quella che potrà essere la decisione ultima dei propri Governi -i rappresentanti esteri qui accreditati mostrano in genere una comprensione del punto di vista italiano di gran lunga più larga di quella che non sembrino avere i delegati dei Governi stessi a Ginevra. Segno, questo, non tanto della cortesia che i colleghi più anziani credono dovere avere verso il nuovo arrivato, quanto di quella deformazione mentale cui in generale soggiacciono i delegati alla S.d.N. e che viene accr.editata sul mercato dei convenzionalismi .internazionali sotto la marca di esprit de Genève.

Questa osservazione io devo fare perfino nei riguardi del collega inglese Sir Eric Phipps. Non io, ma lui, in entrambe le occasioni in cui ci siamo già visti, ha tenuto a entrare in argomento manifestando, pur con il riserbo e la compassatezza proprie di un diplomatico inglese, oltrechè una s~ncera simpatia per noi, direi quasi un intimo «sgomento» per la piega che gli avvenimenti tendono a prendere nei riguardi dei rapporti italo-inglesi.

Anche a lui, come dei resto a tutti gli altri, oltre che rifare la storia dei nostri trenta anni di emigrazione, sintomo inoppugnabile e solare del nostro prepotente bisogno di espansione, io ho spiegato come l'origine della crisi presente vada ricercata nella vergognosa ingiustizia commessa nei nostro confronti a Versailles, dove si sono bensì calcolati e pesati sul bilancino, agli effetti delle

riparazioni, i danni portati ad ogni singola miniera di carbone francese o belga, ma quando si è trattato di addivenire alla distribuzione dei mandati, il solo ed unico -f1ra entrambe le parti in causa -paese d1 forte emigrazione e pe·rtanto patentemente bisognoso di sbocchi veniva, senz'll!ltro, saltato a pié pari e sacrificato.

Salvo qualche riserva sulla tempestività della nostra azione, devo ammettere che queste premesse sono generalmente riconosciute come giuste. Senonchè, le opinioni incominciano a variare quando si passa al modo e ai mezzi praticamente più atti a soddisfare •le pur giuste aspirazioni dell'Italia.

E' qui che entra in ballo -nella opinione corrente -la S.d.N. con le esigenze fatalmente connesse alle sue ideologie. Ma perché --ho replicato dopo tutto tirare in ballo la S.d.N.? Se l'Italia deriva dalla patente ingiustizia del trattato di Versailles un incontestato diritto ad equi risarcimenti, perché pretendere che a questi debba procedere la S.d.N. anziché quelle «potenze alleate ed associate» che furono e sono le responsabili del trattato di Versailles? Perché, piuttosto, non è la S.d.N. a dire a codesti responsabili veri: dato che una ingiustizia c'è, siete voi a doverla riparare e non io: mettetevi d'accordo fra di voi prima e, dopo, soltanto dopo, venite da me, con ciò evitando di compromettere la mia stessa esistenza? Il fatto che, viceversa, siano proprio le potenze originalmente responsabili della ingiustizia ad invocare l'intervento della S.d.N. non costituisce, al contrario, la prova che quelle potenze intendono servirsi della

S.d.N. come di un comodo paravento alla ingiustizia stessa e al suo sostanziale mantenimento? La dimostrazione migliore di questo non si trova nel fatto, messo in giusta ev,idenza dai nostri ·Comunicati, che nel rapporto dei Ci:nque il collegamento territoriale già assicurato all'Italia dal trattato tripartito (l) è addir·ittura sfumato?

L'argomento non è senza presa su parecchi dei miei colleghi, qualcuno dei quali arriva a deplorare che, aggrappandosi al trattato tripartito o altrimenti, l'Italia non sia riuscita a tenere lontana la questione dal Tribunale ginevrino. Una volta presa -si argomenta peraltro -la via di Ginevra, l'Italia non poteva attendersi soluzioni adeguate alla importanza delle sue richieste.

Anche a questo ho replicato che, pure all'infuori dell'istituto dei mandati che taluni si ostinano a ritenere inapplicabile al caso, anche altre soluzioni societarie si presentano che sarebbe solo questione di buona volontà l'applicare. V'è un altro esempio cospicuo di nazione sovrana, appartenente alla Lega delle Nazioni, eppure gravata da servitù territoriali chiamate concessioni: la Cina. Quello che l'Italia domanda in Abissinia non è in fondo -e per giunta in regioni non originalmente nè legittimamente abissine -una forma sui generis di concessione, con naturali diritti di polizia all'interno e garanzie all'esterno? Non sono, quindi, le formule, anche societarie, che fanno difetto bensì, ancora una volta, la buona volontà.

Un altro degli argomenti che sembra fare più impressione fra gli stessi colleghi societa•ri è il contegno del comitato dei Cinque nei ~iguardi del nostro memoriale sull'Abissinia, contegno inqualificabile e che costituisce un vero e

proprio atto di denegata giustizia. Come? L'Italia, membro fondatore della S.d.~. (incoraggiatav.i fino alla pressione da tutti i segretari generald della Lega presenti e passati), presenta un atto, documentato, di accusa contro l'Abissinia. Era preciso dovere della S.d.N. esaminarlo, e pronunciarsi, in qualunque senso, sul suo merito. Il non averlo fatto rappresenta un vero atto, ripeto, di denegata giustizia, che chiaramente tradisce la insincerità dei procedimenti ginevrini.

Se questi sono gli argomenti più o meno usati e sviluppati con tutti, con l'Ambasciatore di Francia, tuttavia, ho creduto opportuno di sottolineare qualche punto particolare.

È indubitato -ho detto --che gli interessi inglesi in giuoco nel caso della Abissinia -tanto più dopo le precise assicurazioni date da noi -sono, se mai, inferiori, ma non certo superiori, a quelli che erano in giuoco nel caso della Cina. Analogamente per gli interessi societarii. Perchè l'Inghilterra non si è mossa nè commossa nel primo caso e invece si commuove, e sopratutto si muove, nel secondo?

La ragione ne è una sola e in fondo semplice, per quanto non evidente forse agli stessi inglesi, abituati a fare la politka per istinto più che per raziocinio. L'Inghilterra ha mostrato di applaudire alla recente «intesa franco-italiana» e, li per li, ha forse applaudito sinceramente. Essa, però, si è venuta, nel corso degli avvenimenti, accorgendo che, sulla base di questa intesa, l'Italia si accingeva a rafforzare le proprie posizioni non soltanto africane, ma anche continentali. Cosa succederebbe dell'Inghilterra e del suo predominio mediterraneo se l'accordo, ora soltanto sbozzato, fra Italia e Francia si saldasse definitivamente?

Come -all'ombra del Belgio -l'Inghilterra ha voluto dare addosso alla potenza tedesca, così all'ombra -nera -dell'Abissinia, l'Inghilterra dà addosso alla rinascente potenza dell'Italia non soltanto come potenza per sè stante ma anche in quanto elemento di un possibile «blocco» franco-italiano che l'Inghilterra istintivamente paventa. Ecco perchè l'Inghilterra, che aveva taciuto per la Manciuria e per il Ciaco, parla invece per l'Abissinia prendendo, anzi, la direzione del baccanale anti-italiano che sta ora imperversando. Ecco perchè l'Inghilterra, se anche gli altri facciano ed agiscano per mera convenienza, o solo per contingente opportunismo, l'Inghilterra, dico, fa ed agisce sul serio e farà ed agirà sino in fondo. All'ombra del voto «di massima» che si studia di strappare agli altri in favore delle sanzioni, l'Inghilterra si prepara ad agire essa stessa tanto più fortemente quanto meno agiranno gli altri, mostrando, freddamente, di non abor.rire dallo stesso affamamento dell'Italia così come durante la guerra mondiale non aborrì dall'affamamento della Germania che anzi condusse e diresse quasi da sola. Riflettesse, a questo, la Francia: colpendo l'Italia, l'Inghilterra intende anche colpire il blocco franco-italiano in formazione e cioè, nei suoi possibili puntelli, la stessa Francia; e ciò onde toglierle ogni autonomia politica e tenerla alla propria discrezione.

Le opinioni espressemi in proposito da François-Poncet, purtroppo, in questo momento non contano. Posso comunque attestare che esse sono quelle di un amico sincero dell'Italia.

È inutile dire che una non meno intensa propaganda io ho condotto e conduco con i tedeschi. Finora, non ho potuto avvicinarne che pochi. Ma ho visto ripetutamente Neurath. Posso assicurare l'E. V. che egli mostra una larga comprensione e anzi una vera simpatia per la posizione nostra. Egli è stato il primo a riconoscere che l'Inghilterra, sapendo delle nostre precise intenzioni da otto mesi, non ha alcun titolo per scandalizzarsi di quanto l'Italia sta facendo ora. Affiorano, nella sua mente, i ricordi delle forse sapienti indecisioni ed incertezze inglesi del 1914. Neurath ha convenuto con me che l'attuale atteggiamento dell'Inghilterra nei riguardi dell'Italia è dettato da quella preoccupazione della balance of power che è negli inglesi istintiva e che domani metterà sicuramente l'Inghilterra anche contro una eventuale intesa franco-tedesca. Tanto in lui, come in tutti i tedeschi che ho avvicinato, hanno trovato terreno ugualmente fertile le mie rievocazioni della guerra di affamamento condotta dall'Inghilterra nei riguardi della Germania. Neur.ath, come gli al1iri, si rende conto che, dopo tutto, all'atteggiamento inglese non è estraneo lo stesso intimo desiderio di far trionfare l'idea ed il sistema liberale sull'idea e sul sistema autoritario.

Sto insomma seminando, e credo fruttuosamente. V. E. non ne può ancora vedere gli effetti nella stampa, per quanto anche in questa cominci a far capolino, pur nei limiti di una stretta neutralità, una qualche manifestazione di evidente comprensione. Cito ad esempio l'articolo di i:eri del Klein, nonchè il sequestro, avvenuto ieri sera, del Giornale delle otto ore che portava ostensivamente notizie di pretesi dissensi fra l'E. V. e l'alto comando dell'esercito.

Ho ragione di ritenere che a questo movimento -naturale e spontaneo di comprensione non si sottragga lo stesso Hitler. Proprio in questi giorni, egli ha visto von Hassel (il quale ritorna a Roma questa sera stessa). Questi, oltre che confermare nei riguardi dei sentimenti personali di Hitler per l'E. V. la precisa impressione che io ebbi nel mio colloquio di presentazione delle credenziali, sembra abbia avuto modo di persuadersi che Hitler, pur volendo ostentatamente mantenere la più stretta neutralità, auguri sinceramente in cuor suo alla E. V. di riuscire a dominare le difficoltà del momento. Qualche maggiore dettaglio von Hassell amerà certo di dare alla E. V. di persona.

Si vedono, in sostanza, sorgere i germi di una possibile, naturale, situazione di solidarietà fra i due Paesi, che -a mio rimesso avviso -merita di essere, per quanto con molto tatto e sopratutto con grande riserva e misura, coltivata.

Apprendevo del resto giorni fa dall'Ambasciatore di Polonia che Hitler, parlando ancora di recente con lui della questione di Danzica e della necessità che hanno gli Stati di guardare ai grandi interessi anzichè alle piccole questioni, rievocava la sua volontà di una analoga politica nei riguardi dell'Italia. L'idea di una politica di larga collaborazione con l'Italia non deve da Hi.Uer -che è nelle sue concezioni quanto altri mai tenace ed univoco -essere stata ancora abbandonata.

Vero è che, se Hitler dimostra una certa inclinazione aLla comprensione delle posizioni italiane, non si può dire certo lo stesso dei suoi maggiori luogotenenti. Ancora qualche mese fa Goring, p!lirlando di noi a persona del suo entourage intimo, rievocava « il secondo tradimento dell'Italia ». E, quanto a Goebbels, mi si dice che in ripetute occasioni egli abbia dimostrato di non tenere gran che ai contatti con l'Ambasciata d'Italia. Io mi riprometto di vederlo, per la prima volta, soltanto la settimana entrante.

La situazione, come V. E. vede, è quindi non facile, ma tuttavia pur suscettibile di una lenta quanto naturale evoluzione, la cui stessa possibilità può diventare -col tempo -un elemento nuovo e non trascurabile della nostra politica internazionale (l).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) Si riferisce al trattato sottoscritto da Francia, Gran Bretagna e Italia 11 12 dlc·embre 1906.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4348/1653. Mosca, 26 settembre 1935 (per. il 30).

L'U.R.S.S., col suo atteggiamento pacifista e societario connesso alla sua armatura ideologica, è oggi decisamente rientrata -come appare chiaro dalla stampa degli ultimi giorni -sulle sue primitive posizioni di riserbo nei riguardi del conflitto itala-etiopico.

Il Kremlino sente che, nella delicata contingenza, non può fare astrazione dagli interessi effettivi di «grande potenza», nè può quindi assumere una rigidezza che non tenga conto dei fattori antagonisti alla sua politica (imperialismo nipponico e imperialismo germanico) per agire unicamente sul terreno dottrinario.

Evidentemente, al giuoco degli interessi effettivi delle potenze che per la natura delle cose è al di sopra dei principi -anche se gli interessi e i principi talvolta collimino -l'U.R.S.S. non può sottrarsi se essa vuol collaborare con le potenze « capitaliste » nella difesa della pace.

Così, la sua linea di condotta appare intanto piuttosto incerta. Anzi, da notare come nella stampa di questa settimata non si sia più ricalcato sui principi societari, se si eccettui il Journal de Moscou del 20 corrente che nel suo editoriale ha ripreso il motivo della solidarietà internazionale contro i sostenitori della teoria della localizz,azione dei conflitti e della legalizzazione della guerra. Ciò va posto in relazione all'ambiente ginevrino ed allo stato delle relazioni germano-polacco-sovietiche.

Serpeggia poi un certo spirito antibritannico. E lo si comprende perchè il fattore inglese che, nelle vicende politiche internazionali specie di quest'ultimo aecennio, è stato in frequente se non costante contrasto con gli interessi dell'U.R.S.S., costituisce sempre una preoccupante incognita per i dirigenti sov,ietici. L'instabilità della politi:ca inglese nei confronti delle potenze continentali europee che vien rappresentata dalla stampa bolscevica col motto della balance ot power, fu, è e sarà costante motivo di assillante diffidenza. Il che spiega come nel corso del presente conflitto per l'Abissinia, l'Inghilterra abbia avuto attacchi molto aspri, nonostante i suoi sbandieramenti societari e perchè la nuova Italia « colonialista» sia invece stata sovente risparmiata dalle acrimonie degli organi uffi

ciosi. Effettivamente il timore di collusioni anglo-nipponiche e anglo-germaniche resta fortemente radicato presso i dirigenti sovietici indipendentemente dall'esito del presente conflitto. Nè la posizione sovietica ha avuto -nell'attuale situazione internazionale -altri apriorismi all'infuori di quello societario e di quello ant~britannico. Non certo può dirsi esservi stato fin'oggi un apriorismo antitaliano nella condotta politica sovietLca. Chè anz,i, la rigidezza dei principd., più che fine a sé stessa, ha in sostanza inteso mirare ad assicurare una correiazione di forze capaci di garantire la difesa contro minacce di guerra e, più particolarmente, contro i nemici potenziali dell'U.R.S.S.

Le pubblicazioni sul conWtto per l'Abissinia si limitano ai notizia!fi giornalieri sull'attività diplomatica di Ginevra e del1e cancellerie europee. Neppure l'ultimo articolo di Radek (lsvestia, 24 corrente) rtocca la questione abissinia, lrimitandosi all'interesse per l'Inghilterra di assicurarsi le vie di comunicazione con l'Oriente.

Il portavoce del Kremlino specifica appunto come la questione abissina abbia subito una metamorfosi, assumendo l'acutezza di un vero e proprio conflitto europeo. «La potenza dell'Italia, considerata una volta una povera parente dell'imperialismo capitalista, appare oggi sull'arena storica una forte potenza militare, capace di far fronte alle maggiori potenze coloniali ». È questa una sorpresa -sottolinea Radek -per l'opinione pubblica, ossia per la borghesia britannica che si era fin'oggi abituata a vivere tranquilla con l'Italia, simpatizzando anche con il fascismo italiano. Il conflitto per l'Abissinia ha rivelato invece che la situazione del Regno Unito nel Mediterraneo non è più quella di prima della guerra mondiale. La via per l'Oriente non è più per l'Inghilterra così sicura come un tempo, anzi resta da vedere se un giorno l'Italia non arriverà a dominarla.

Le misure navali prese dall'Inghilterra nel Mediterraneo non potranno avere carattere permanente -aggiunge Radek -a meno che essa non riesca ad accordarsi con la Francia che peraltro esigerà precisi impegni contro la minaccia germanica.

Evidentemente qui si ricorda che Eden, durante la sua visita a Mosca, disse a Litvinov lo scorso aprile: «Non vogliamo altri impegni». Radek questa volta non fa presagi di carattere politico, si limita a rappresentare solo il quadro delle forze italiane ed inglesi nel Mediterraneo.

In sostanza, qui si domandano fino a che punto l'imperialismo inglese possa giovare alla sicurezza della pace. Se sui principi societari non v'è questa volta stata divergenza fra U.R.S.S. e Gran Bretagna, occorre vedere se l'Inghilterra, che in Estremo Oriente si avvicina al più temibile nemico dell'U.R.S.S., il Giappone, e in Europa rafforza la potenza militare di un altro nemico, non meno temibile, la Germania, riesca a fornire, sulla base di obblighi positivi, quelle garanzie che Eden aveva qualche mese fa decisamente negate.

Che i Soviet scorgano nell'attuale conflitto una sia pur lieve incrinatura al prestigio dell'impero inglese, non è mistero. Lo si sente anche tra le righe dell'articolo di Radek e affiora qua e là qualche motivo di ironico compiacimento.

Ad ogni modo, il conflitto per l'Abissinia, con le sue ripercussioni sui problemi dell'Europa Centrale e Orientale, ha dato modo all'U.R.S.S. di misurare

16 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

le possibilità di sviluppo del sistema della sicurezza collettiva al quale è ancorata la politica franco-sovietica. La manovra si sta per ora svolgendo sotto l'etichetta dell'intangibilità del Covenant.

Dell'esperienza di oggi l'U.R.S.S. trarrà norma per l'avvenire (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6228-6238/765-766 R. Londra, 27 settembre 1935, ore 1,40 (per. ore 8).

Ho avuto stamane nuovamente colloquio con Vansittart, durante il quale abbiamo esaminato situazione determinatasi in seguito scambio amichevole di assicurazioni fra Duce e Hoare (2).

Vansittart e io abbiamo, d'accordo, constatato che il contatto personale e diretto stabilito fra Duce e Hoare ha avuto effetto immediato e in pari tempo benefico, in quanto ha arrestato quel movimento di allarmismo pericoloso, che aveva minacciato nella scorsa settimana di provocare fra i due Paesi avvenimenti di carattere irreparabile.

Vansittart è stato d'accordo con me nel riconoscere assoluta necessità da parte britannica, non meno che da parte italiana, di evitare qualsiasi azione

o iniziativa che possa fare slittare di nuovo situazione dei rapporti itala-britannici dal terreno, già assai difficile e delicato, della Società delle Nazioni, a quello diretto e pericoloso del prestigio nazionale e degli interessi dei due Paesi.

Ho detto a Vansittart di augurarmi che Governo britannico vorrà profittare del miglioramento psicologico, determinatosi in questi ultimi giorni, e della situazione di politica interna particolarmente favorevole al Governo in questo momento, per riprendere in esame questione abissina con uno spirito più amichevole e sereno.

Vansittart mi ha risposto che distensione psicologica fra i due Paesi costituisce indubbiamente un elemento favorevole, ma che non bisognava da questo dedurre che vi era un mutamento nelle direttive del Governo britannico. A questo punto Vansittart mi ha sostanzialmente confermato informazioni che ho telegrafato (3) su atteggiamento Gove'rno britannico e decisioni del Gabinetto, ripetendo che Governo britannico non ha considerato finora né sanzioni militari, né chiusura Canale di Suez, né azione isolata dell'Inghilterra. Vansittart ha insistito tuttavia sul concetto che Governo britannico non può prendere impegni per l'avvenire, che in attesa esso si rimetterà, sempre, se possibile, decisioni del Consiglio della Società delle Nazioni.

Ho ribattuto che, nell'interesse non solo dell'Italia ma anche dell'Inghilterra e sopratutto della pace e della stabilità dell'Europa, sinceramente speravo che

non si addivenisse a sanzioni di alcun genere. La parola sanzioni ha un suono sinistro e il solo menzionarla, come si è visto la settimana scorsa, getta turbamento nei rapporti fra le Potenze e suscita dei pericoli imprevedibili.

Quanto alle decisioni di Ginevra, il Governo britannico non può illudersi di coprire le sue responsabilità dietro le decisioni del Consiglio. Su queste decisioni, l'azione dell'~nghilterra ese,rcita, come tutti sanno, una influenza determinante. Di questa influenza l'Inghilterra si è servita per contrastare le legittime necessità di sicurezza e di espansione dell'Italia in Africa, e le proposte assurde e inaccettabiH del Comitato dei Cinque ne sono la prova più evidente e precisa.

Vansittart ha replicato che, se la situazione è giunta a questo punto, lo si deve alla condotta dell'Italia. Il rifiuto dell'Italia di negoziare fuori di Ginevra sulla base dell'accordo tripartito, la crescente propaganda antibritannica in Italia e nei territori dell'Impero, la diffusione di voci tendenti a dimostrare la impreparazione e la debolezza della flotta inglese hanno creato uno stato di i1:1ritazione nello spirito pubblico, e suscitato timo.ri e sospetti sui veri obiettivi della politica italiana in Africa, e quindi obbligato il Governo britannico a considerare la conquista dell'Abissinia da un punto di vista diverso da quello che l'aveva sino allora considerato.

Eden è tornato da Parigi dopo il fallimento delle conversazioni tripartite con la precisa impressione che il Governo italiano non intendeva rispettare gli interessi inglesi. È vero che le proposte avanzate a Parigi non corrispondevano ai desiderata dell'Italia. Esse potevano tuttavia essere migliorate fino ad incontra·re, secondo un ragionevole compromesso, le proposte italiane se queste fossero state presentate. È dal fallimento della conferenza tripartita di Parigi che si deve registrare il mutamento dell'attitudine britannica nei riguardi della questione etiopica.

Ho reagito rispondendo a Vansittart che l'attitudine minacciosa e intimidatoria dell'Inghilterra verso l'Italia nella questione abissina data da molto tempo prima della Conferenza di Parigi. È stato questo atteggiamento intimidatorio che ha creato un ambiente tale da rendere impossibile ogni negoziato. ·L'Italia non poteva negoziare sotto l'impressione di minaccia. Del resto, quanto poco vi fosse da attendersi dai negoziati di Parigi, è provato dal fatto che a un mese di distanza 1e stesse proposte sono state esibite a Ginevra. Ho concluso dicendo a Vansittart che, a1lo stato attuale del. fatti, la nostra gue.rra contro Etiopia deve considerarsi inevitabile e che nessuno in Inghilterra può in buona fede domandare al Duce di arrestare quello che tutto il popolo italiano attende dai 200 mila suoi figli che esso ha inviato nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano per difendere i vitali interessi dell'Italia. Governo britannico sa perfettamente che obiettivi dell'Italia non vanno oltre Abissinia e che Abissinia in mano dell'Italia costituisce un pegno prezioso non solo per la stabilità della pace nel continente africano ma anche per una colLaborazione feconda fra l'Inghiltell'ra e l'Italia nel terreno coloniale. Governo britannico può ancora, soltanto che lo voglia, influire in modo decisivo perchè gli avvenimenti seguano il loro corso naturale e sia data all'Italia finalmente possibilità di portare a compimento in Africa quella sua missione storica che l'Inghilterra e Europa intera le hanno riconosciuto solennemente mezzo secolo fa. Da un atteggiamento più realista e più equo da parte dell'Inghilterra nella questione abissina dipende in definitiva, per fatalità di eventi, la sorte di due continenti: dell'Africa e dell'Europa.

Vansittart non ha risposto. Egli si è limitato a dire che la situazione è oggetto continuo esame da parte del suo Governo, e che, in vista dei recenti svolgimenti che essa ha avuto, Ba1dwin 'e Hoare hanno invitato Eden a recarsi a Londra per conferire. Vansittart ha aggiunto che egli non poteva per il momento fare delle previsioni, ma che si terrà in stretto contatto con me e che le mie parole saranno riferite testualmente nel Consiglio di Gabinetto.

(l) -Il presente documento reca 11 visto dl Mussolini. (2) -Vedi D. 166. (3) -Vedi D. 181.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6258/770 R. Londra, 27 settembre 1935, ore 19,30 (per. ore 23,30).

Nell'illustrare a Vansittart osservazioni presentate dalla nostra Delegazione a Ginevra al Comitato dei Cinque, e comunicatemi con telegramma di V. E.

n. 1699 (1), ho ,richiamato particolarmente ,la sua attenzione sul punto del nostro telegramma ove è detto precisamente che il Comitato dei Cinque non ha preso in conside,razione né le accuse specifiche mosse dal Gov,erno italiano all'Etiopia, per non avere adempiuto agli obblighi assunti al momento in cui essa venne ammessa alla S.d.N., né la facoltà di espeJlere l'Etiopia dalla S.d.N. e di avvicinare, con applicazioni analogiche di alcuni istituti societari come il mandato, ,il prob1ema etiopico verso una possibile soluzione.

Vansittart mi ha fatto su questo punto una serie di obiezioni, insistendo che il Patto della S.d.N. non contempla casi di questo genere e sopratutto non contempla un provvedimento di espulsione degli Stati Membri.

Ho replicato che questo non era affatto vero. Non solo procedura di espulsione è prevista dal paragrafo 4 dell'articolo 16, ma essa è stata effettivamente già contemplata a proposito Liberia. È stato, anzi, proprio il Governo britannico a sostenere che la S.d.N. aveva perfetto diritto di procedere alla espulsione della Liberia, per essere la Liberia venuta meno alle obbligazioni da essa contratte circa trattamento delle popolazioni indigene. Ho aggiunto che questa era stata 1a tesi sostenuta in seno al Consiglio nella seduta del 18 maggio 1934, proprio dallo stesso Eden, il quale, f'ece in questa occasione, un chiaro accenno alla possibilità di stabilire un mandato americano sulla Liberia.

Vansittart mi ha risposto che il caso della Liberia era diverso da quello

preso attualmente in esame circa Etiopia.

Io ho ribattuto che al mio avviso i due casi erano analoghi ed ho di nuovo insistito, dicendo che questa espulsione di uno Stato membro era già stata contemplata dallo stesso Governo britannico, come lo comprovano le dichiarazioni fatte da Eden a Ginevra il 18 maggio 1934. Ho tratto testo dichiarazioni Eden dal processo verbale della seduta del Consiglio S.d.N. della stessa data.

(l) T. 1699/C.R. del 24 settembre 1935, non pubblicato, ma vedi D. 156.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6252/243 R. Ginevra, 27 settembre 1935, ore 19,39 (per. ore 21)

Mio telegramma n. 241 (1).

Alla seduta dell'Ufficio di Presidenza dell'Assemblea, Benes ha fatto esposizione delle condizioni di diritto e di fatto in cui presentavasi oggi richiesta pervenuta da numerose Delegazioni di aggiornare anziché chiudere sessione Assemblea e per cui Ufficio credeva doverla accogliere.

Ho fatto dichiarazione, previa telefonata, facendola inserire a verbale. Contessa Appony, delegata ungherese, ha dichiarato associarsi; delegato polacco ha proposto che Assemblea fosse messa a conoscenza mia dichiarazione e che proposta dell'Ufficio per aggiornamento fosse accompagnata da precisazione che Assemblea non può occuparsi della questione pendente avanti Consiglio. Con tali riserve proposta di aggiornamento sarà comunicata domani all'Assemblea. che prevedesi l'approverebbe senza appello nominale.

Ho avuto l'impressione netta che nessuno dei delegati osasse contrastare la volontà inglese.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6251/245 R. Ginevra, 27 settembre 1935, ore 21,12 (per. ore 22,30).

Questa mane si è riunito il Comitato dei Tredici il quale, dopo avere eletto a suo Presidente il signor Madariaga, ha deciso di prendere in considerazione la domanda del Negus per l'invio di osservatori.

Non ho bisogno di rilevare come le due misure prese denotino la tendenza con la quale il Comitato si accinge ai suoi lavori, intonazione certo voluta dal Governo britannico.

Dopo la riunione, il signor Madariaga è venuto a trovarmi per incarico del Comitato per dirmi che, dopo una confusa discussione, i vari delegati si erano messi d'accordo per pregarlo: lo per ragioni di deferenza verso l'Italia, 2° per ragioni pratiche e 3° per ragioni giuridiche, di sentire la mia opinione circa la richiesta etiopica d'invio degli osservatori.

Ho risposto al signor de Madariaga che mi 11iservavo dargli una ~risposta ufficiale dopo avervi riflettuto e, dopo la di lui insistenza per avere la mia

opm10ne, gli ho detto che la presa in considerazione della richiesta del Negus da parte del Comitato ed il suo passo presso di me non avrebbero avuto altro effetto che quello di avanzare la data della nostra entrata in guerra.

Lo vedrò stasera e, come da intesa telefonica con S. E. Suvich, gli darò ufficialmente, e con la dovuta forma, la risposta che il R. Governo nulla ha da dire in merito alla domanda che mi ha rivolta.

(l) Vedi D. 184.

193

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6284/224 R. Madrid, 27 settembre 1935, ore 22,40 (per. ore 5 del 28).

Vengo informato che, in seconda riunione Consiglio dei Ministri, Presidente della Repubblica ha affrontato nuovamente la questione eventuali sanzioni da votarsi Ginevra contro di noi affermando che la Spagna non può astenersi dal fare onore suoi impegni societari. Di fronte riserve Governo circa neutralità Spagna, rinnovate specialmente dai Ministri della C.E.D.A., Presidente ha ricordato che, secondo costituzione (articolo 76) egli è il responsabile esecuzione impegni internazionali del Paese e che quindi egli intende mantenere tali impegni per quanto riguarda S.d.N., alla quale la Spagna è legata da sua stessa costituzione. P.residente ha quindi concluso che Spagna dovrà votare sanzioni.

Questo improvviso intervento, dovuto senza dubbio .anche alla pressione delegazione, ha spostato in senso sfavorevole atteggiamento spagnuolo nei nostri riguardi. Attorno ad essa censura provvede che si mantenga il più assoluto silenzio per timore attacchi opposizione e malumore esercito. In ogni modo posso informare che deputato Calvo Sotelo interpellerà Governo alla riapertura Cortes, attesa per primo ottobre, per sostenere sua tesi che sanzioni significano violazione neutralità Spagna, garantita essa pure da costituzione. Secondo quel che si dice prossimi giorni saranno nuovamente sparsi tra ufficiali proclami antiinglesi ricordando Gibilterra.

Avrò colloquio con Primo de Rivera (l) per muovere suo gruppo e mi propongo aitresi ·interessare in proposito deputati appartenenti gruppi politici di centro e di centro sinistra. Non si può, ad ogni modo, farsi illusioni, facendo soverchio affidamento su queste azioni che, soltanto nel caso sanzioni militari, potrebbero assumere fisionomia più inte.ressante.

(l) Con T. 6309/225 R. del 28 settembre 1935, ore 23, Pedrazzl. riferiva: «Ho oggi avuto colloquio con Primo de Rivera che m! ha assicurato che avrebbe portato alle Cortes !n sua qualltà deputato questione atteggiamento spagnuolo Ginewa, sostenendo che voto sanzioni sarebbe violare neutral!tà... :t>, e rpreannunc!ava una visita a Lerroux.

194

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6414/0101 R. Vienna, 27 settembre 1935 (per. il 2 ottobre).

Cancelliere, nel nostro odierno colloquio, passando sommariamente in rassegna gli ultimi avvenimenti, si è soffermato sulla visita di Goemboes a Berlino. Non l'ha criticata, ma ha osservato che essa poteva apparire alquanto inopportuna. Ha ,aggiunto che, in realtà, tutta l'azione di Goemboes obbedisce ormai ad una sola ossessionante meta: la tanto desiderata spartizione della Cecoslovacchia.

È poi venuto a parlare della Germania, accennando anche alle note proposte avanzate dal von Papen, circa le quali si è però limitato a notare che il mio collega tedesco le definisce talvolta come sue personali, e tal'altra come previamente sottoposte alla Wilhelmstrasse.

Parlando quindi dell'atteggiamento generale della Germania verso l'Italia, Cancelliere ha lasciato cadere, come di passaggio, che l'Austria non potrebbe che vedere con simpatia un eventuale «accordo~ fra Roma e Berlino. Avendo io chiesto a che egli alludesse, ed a che accordo pensasse, Schuschnigg ha detto che intendeva riferirsi alla distensione che si notava da qualche tempo nei rapporti fra i due paesi, come ad esempio nel contegno delle due stampe, e nell'assoluta neutralità praticata da Berlino nei riguardi della questione dell' Abissinia.

Ho risposto che V. E. aveva comunicato mesi fa al Governo federale l'intesa avvenuta con codesta Ambasciata di Germania circa il linguagg.io della stampa, accennandone anche i motivi. Cancelliere si è affrettato a dirmi che lo ricordava perfettamente, passando quindi ad altro argomento.

Mi è comunque rimasta l'impressione che egli, con i suoi vaghi accenni, volesse ribadire le parole dettemi da Berger giorni fa (mio telegramma per corriere n. 096) (l) circa la sua pronta disposizione a comprendere ogni nostro eventuale progetto od iniziativa politica (evidentemente nei riguardi della Germania) (2).

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6259/246 R. Ginevra, 28 settembre 1935, ore 2,15 (per. ore 4).

Al momento, in cui anche la tappa del Comitato dei Cinque è sorpassata, e si inizia quella segnata dall'applicazione graduale dell'articolo 15 del Patto. la

{2) Il pl!"esente documento reca il visto di Mussolini.

situazione politica, pur continuando nelle sue grandi linee immutata ed anzl irrigidita di fronte a quella delineata nel mio telegramma n. 217 (1), presenta qualche variazione degna di nota.

Dai miei ultimi contatti con Lavai ho avuto la conferma di un certo disagio nell'atteggiamento francese, che, del resto, ha trovato espressione anche nel mutato tono della stampa negli ultimi giorni.

L'appoggio francese alla linea di condotta britannica, la quale continua per suo conto dura e risoluta, è sembrato tradire qua.lche incertezza, specie per quanto riguarda la premura nel procedere all'applicazione dell'art. 15.

È mia opinione che elementi determinanti di questo intiepidimento stiano nella delusi·one francese per la risposta inglese, che già si prevede generica e, probabilmente, priva dell'impegno sperato, e nella preoccupazione per la ripresa tedesca nell'affare di Memel, nonchè per l'invio nel Mediterraneo di quasi tutta la flotta inglese, che è giudicato atto eccessivo e pericoloso.

Contemporaneamente cominciano ad affiorare preoccupazioni per le sanzioni, sia per pericolo che esse potrebbero costituire per la pace europea e sia per il lucrum cessans che esse mppresenterebbero per •le economie in C•risi.

Questi sintomi (per ora peraltro ancora lievi) vanno manifestandosi in un momento, come l'attuale, in cui non è più dubbio che, a brevissima scadenza, dovremo affrontare: il problema dell'atteggiamento da assumere di fronte alle raccomandazioni che il Comitato dei T·redici ci .farà lin base .all'art. 15 e successivi, non appena iniziata la nostra azione in Abissinia; il problema del come evitare, o per lo meno tentare di evitare, diminuire o neutralizzare il più possibile le sanzioni.

Il primo problema si presenterà presto, e c'è da aspettarsi che le raccomandazioni assumano un tono perentorio. La prontezza con cui il Comitato dei Tredici ha accolto l'invito del Negus a mandare in Etiopia osservatori (mio telegramma

n. 245) (2) è rivelatrice delle sue disposizioni. Il secondo problema ci si presenterà probabilmente a brevissima distanza dal

primo. La fretta inglese a pervenirvi, oramai non trova ostacoli.

In questo campo delle sanzioni abbiamo noi carte da giuocare? Quali?

Dal comportamento delle Delegazioni di tutti gli Stati rappresentati alla Lega, seguito ora per ora nel corso di queste tre settimane, ho tratto la convinzione che un assegnamento non possiamo farlo che sulla sola delegazione jugoslava, la quale è stata l'unica che mai si è unita all'unanime coro antiitaliano. Personalmente, in una condotta piuttosto ostile, ritengo si possa fondare anche su Lavai. Per pure ragioni momentanee di intrigo e di interesse economico, qualche cosa credo si potrebbe poi anche tentare con Titulescu e, per ragioni contingentali che si connettono alla iniziativa di Ismet Pascià, su Aras.

Ritengo quindi che bisognerebbe incominciare agire sulla Jugoslavia. In questi momenti un eventuale accordo italo-jugoslavo necessariamente influirebbe sulla Francia e sugli altri Stati della Piccola Intesa e, attraverso questi, su quelli dell'Unione balcanica, o per lo meno sulla Turchia.

Poco meno di due anni or sono, e precisamente il 18 gennaio 1934 con telegramma n. 3 (l) ebbi l'onore di prospettare a V. E. la mia radicata convinzione che una intesa, la più stretta possibile, con la Jugoslavia avrebbe potuto costituire una ferma base per gli sviluppi della politica italiana.

Oggi, dopo le movimentate vicende intervenute da allora, mi permetto attirare l'attenzione di V. E. sulla circostanza che, alle argomentazioni allora esposte, confermate dai fatti, si aggiunge quella capitale di costituire oggi tale accordo il presupposto della nostra resistenza alla azione inglese. Se conclusa rapidamente, una tale intesa potrebbe probabilmente decidere le oggi incerte volontà della Francia, della Romania, della Turchia e forse della Polonia ad opporsi non solo a sanzioni militari, ma anche alle semplici sanzioni economiche. Perchè credo che su questo punto sarebbe oggi per noi opportuno irrigidirei.

Una volta trovato nella Jugoslavia un appoggio, farebbe poi buon giuoco la preoccupazione politica per eventuali complicazioni europee e l'avidità economica di non rinunziare al buon affare costituito dai rifornimenti.

Che, se poi le sanzioni fossero decise, la porta aperta jugoslava ci permetterebbero quei ctfornimenti che toglierebbero all'Inghilterra, e al coro dei suoi sostenitori, Ia odierna certezza di metterei rapidamente knockout per mancanza di ferro, di petrolio, di ,carbone.

L'occasione è tanto più favorevole, in quanto l'iniziativa per una intesa parte oggi dalla Jugoslavia (telegramma n. 049 della R. Legazione in Belgrado in data 20 settembre u.s.) (2).

(l) Vedi D. 135. (l) -Vedi D. 138. (2) -Vedi D. 192.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6280/248 R. Ginevra, 28 settembre 1935, ore 13 (per. ore 13,50).

In seguito probabilmente al nuovo colloqudo Galli con Isme,t Pascià (3), Aras è venuto a vedermi per assicurarmi nuovamente di tutto l'appoggio del Governo turco nella vertenza itala-etiopica al Consiglio ed assicura di essersi stamane battuto strenuamente da solo nel Comitato dei Tredici in nostro favore.

Identiche assicurazioni mi aveva dato stamane Titulescu: ognuno vanta la sua azione a detrimento dell'altro.

Ho risposto ad Aras che l'unica maniera di appoggiare veramente la politica del R. Governo è quella di fissare fin da ora al cospetto del Consiglio, che il Governo turco non accetterà mai l'applicazione delle sanzioni contro l'Italia, contegno che, se condiviso da qualche altra Potenza, arresterebbe lo svolgimento del procedimento delle sanzioni. Poichè Aras, come è sua abitudine, si è svincolato dal prendere qualsiasi impegno, credo sarebbe necessaria una forte pressione presso Ismet Pascià.

(l) -Vedi serie settima, vol. XIV, D. 575. (2) -Vedi D. 152. (3) -Vedi D. 180.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS

T. 1741/107 R. Roma, 28 settembre 1935, ore 24.

Dica a Benes che l'accenno alla « forza materiale :. fatto nel discorso di chiusura dell'Assemblea non poteva, date le circostanze, avere che carattere antitaliano (1).

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. PER CORRIERE 1737 R. Roma, 28 settembre 1935.

Ho letto con interesse comunicazione direttaLe da codesto Ministero degli Esteri (2).

Non ho alcuna osservazione da fare circa procedura proposta, convenendo in opportunità cominciare dallo sgombrare il terreno dal peso morto di varie questioni che da anni durano insolute.

Mi riferisco con questo particolarmente a quelle di carattere amministrativo. Ma anche per quelle più spiccatamente politiche come le prime quattro e quelle concernenti per così dire le minoranze italiane in Dalmazia e quelle jugoslave in Italia (nn. 11, 13, 15, 17) non è neppure meno opportuno il procedere fin d'ora ad una specificazione di punti vista.

Ella è quindi autorizzata a prendere ulteriore contatto rispettivamente con il signor Stojadinovic e con gli altri organi competenti di codesto Ministero degli esteri. Nel senso di ottenere utili precisazioni sui desiderata e le richieste jugoslave. Da parte nostra ci riserviamo di esaminarle con il massimo impegno e con ogni possibile sollecitudine.

Per aderire alla richiesta jugoslava, accludo a titolo indicativo un elenco di questioni che hanno interesse per noi (3). V. S. potrà apportarvi quelle eventuali modifiche od aggiunte che ritenesse. Tanto per molte delle questioni incluse nell'elenco jugoslavo, quanto per quelle comprese nel nostro elenco, sembrano superflui dei chiarimenti e premature delle istruzioni trattandosi di questioni che hanno formato oggetto in generale di lunga trattazione e su .cui esiste agli a,tti, anche presso codesto Ufficio, un voluminoso carteggio.

Mi limito soltanto a due avvertenze di carattere più generale e precisamente: a) È opportuno evitare che con la presentazione del nostro elenco si voglia creare una specie di parallelismo dì soluzioni e dì reciproca base compensativa. Alcune delle questioni itala-jugoslave comportano infatti dei cospicui impegni finanziari di origine però così diversa che occorre discriminare e quindi evitare almeno per ora che essi siano confusi in conto generale di dare e di avere di cui non ci è dato ancora conoscere con precisione gli elementi compositivi. b) Alcune delle questioni sollevate ora dalla Jugoslavia per la prima volta, e mi riferisco in pa,rti:cola·re a quelle sotto i nn. 11, 13 e 17, hanno un contenuto solo apparentemente amministrativo, ma in realtà nettamente politico. Occorre ottenere quindi maggiori chiarimenti, tenendo in sostanza presente che esse potrebbero voler significare una vera e propria revisione degli Accordi dì Santa Margherita e di Nettuno e che d'altra parte l'attuale situazione di fatto e dì diritto è una situazione limite che non potremmo peggiorare.

Sulle singole questioni, specie sulle prime di carattere eminentemente politico e in genere su tutto il negoz'iato, gradirò conoscere le sue osservazioni sia di dettaglio che generali.

Confermo nostra intenzione dì procedere sia pur con ogni cautela e gradualità, nell'interesse stesso del buon esito del negoziato, sulla via di una reale ed effettiva chiarificazione di rapporti fra i due Paesi e tenendo sempre presente, compatibilmente con il progressivo svolgersi della situazione generale, l'utilità dì sviluppi ed intese larghe e profonde.

(l) -Con T. 6602/170 R. del 5 ottobre 1935, ore 19,20, De Facendis rispose: «Benes ha giustificato sua allusione forza materiale S.d.N. affe;rmando aver Inteso metteTe rilievo applicazione principio informativo fatto nel riguardi di qualsiasi paese indistintamente. Ha escluso perciò avere voluto riferirsi in modo specifico all'Italia». (2) -Non rinvenuta. (3) -Le questioni erano le seguenti: <<l) Riforma agraria e questioni connesse con sua applicazione. 2) Materiale rotabile. 3) Spedalità. 4) Reclami ed indennità. 5) Bacino Thaon di Revel e questioni relative. 6) SHuazlone Zara. 7) Situazione sulla pesca. 8) Situazione optanti italiani».
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, AITOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3521/1431. Berlino, 28 settembre 1935 (per. il 30).

Telegramma V. E. n. 1719/C del 27 corrente (1).

Accuso ricevuta e prendo atto delle comunicazioni dell'E. V. di cui al telegramma in riferimento. Esse sono giunte quanto mai opportune e tempestive, dato che, in tutte le conversazioni diplomatiche di questi ultimi giorni, uno degli argomenti principali era stato appunto il contegno dell'Inghilterra e il suo apparente proposito di procedere nei nostri riguardi a tutte le sanzioni prPviste dal Covenant.

Al riguardo ritengo anzi doveroso di informare che, facendo stato di talune dichiarazioni del Duce che sembrerebbero distinguere fra sanzioni economiche e sanzioni militari, l'opinione prevalente di questi circoli diplomatici tende sempre più ad attribuire all'Italia il proposito di non opporsi, in qualunque caso

e in nessuna maniera, a sanzioni non aventi caratte,re militare. Da ciò un senso di sollievo e cioè la persuasione che, attraverso un siffatto contegno da parte nostra, sia possibile evitare quella generalizzazione del conflitto che costituisce l'assillo principale e più vivo per tutti.

Senonchè v'è chi, a parer mio, va su questa via troppo oltre e ritiene che l'Italia accetterebbe senza reazione alcuna anche il blocco, in qualunque forma esso possa esser effettuato. In proposito, rispondendo alle domande che mi vengono rivolte, io ho cercato finora di distinguere blocco da blocco, accreditando la tesi che l'Italia non reagirebbe con misure militari ad un blocco, solo se questo fosse eminentemente pacifico e dimostrativo. Che se il blocco diventasse attivo (diritto di visita etc.) e per di più assumesse forme, proporzioni e virulenza anche lontanamente comparabili a quelle assunte durante la guerra contro la Germania, allora -così ho detto io -le cose cambierebbero certamente e reazioni militari da parte dell'Italia diventerebbero fatali ed inevitabili.

Data l'importanza della questione, gradirei sapere se un siffatto linguaggio sia, o meno, approvato dall'E. V. (1). In sostanza, la questione del blocco è quella che in questo momento viene in questi circoli politici e diplomatici maggiormente dibattuta e sono del rimesso parere, senza per questo voler affatto entrare nel merito della questione, che non ci convenga accreditare la persuasione di una nostra sicura e passiva quiescenza a forme di blocco che non fossero essenzialmente pacifiche e dimostrative. La paura, che tutti sinceramente hanno, che le sanzioni possano, in determinate condizioni, portare a un parapiglia generale, è ancora una delle migliori carte che noi abbiamo nella nostra mano (2).

(l) Non pubblicato.

200

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 6079/1940. Parigi, 28 settembre 1935.

Trasmetto, quì unite, a V. E. due relazioni rimessemi dal Generale Piccio circa conversazioni da lui avute col Presidente Flandin e col Ministro dell'Aria Generale Denain (3). Sono documenti tutt'altro che piacevoli e che confermano l'impressione da me riportata dopo le varie conversazioni con il Signor Lavai, conversazioni sospese negli ultimi tempi data la sua presenza a Ginevra.

Se l'opinione pubblica francese è in questo momento filo-italiana al 70 % e si mostra recisamente anti-inglese, per risveglio dell'antica rivalità sopita ma non scomparsa durante e dopo la guerra, il Governo e lo stesso Signor Lavai, ancorché sinceramente amico dell'Italia, non si deciderebbero ad assumere un atteggiamento recisamente contrario all'Inghilterra. Prevale quì l'opinione che in caso di conflitto italo-britannico, l'Inghilterra potrà, sopratutto da principio,

essere gravemente danneggiata dalle forze armate dell'Italia, ma che essa è destinata per la superiorità della flotta e delle risorse economiche e finanziarie ad avere in prosieguo di tempo ragione dell'Italia.

La politica estera francese -guidata in definitiva dagli uffici del Quai d'Orsay le cui direttive finiscono, con un lento e continuo lavor~o. ad avere quasi sempre ragione delle opinioni sovente discordanti dei Ministri -è decisamente anglofila. Si sa al Quai d'Orsay che l'Inghilterra sovente sfugge, se i suoi interessi non sono in gioco, a quelli che sarebbero i suoi obblighi, ma si sa pure che l'Inghilterra, geograficamente situata com'è, deve evitare di crearsi nuovamente un nemico nella Francia. E si ha sempre dinanzi agli occhi il pericolo del rinnovarsi di un'alleanza anglo-germanica. Lo spauracchio di Waterloo è tuttora presente allo spirito dei francesi.

In tale stato di cose il Signor Laval resisterà bensì con energia all'applicazione delle sanzioni, ma se dovesse vedere che esse finirebbe,ro per essere votate anche contro la sua volontà, all'ultimo momento si metterebbe alla ricerca di una formula di compromesso più di forma che di sostanza e cederebbe.

Il discorso dell'Ambasciatore Attolico a Berlino e la sua presenza a Norimberga, che da principio non avevano sollevato soverchi commenti nei circoli politlici francesi, vengono negli ultimi giorni sovente menzionati e costituiscono una delle numerose cause di nervosismo. Non tralascio occasione di dichiarare che l'amicizia sincera ed intima con la Francia è la politica definitiva dell'Italia. Ma i dubbi al riguardo sussistono.

Il Signor Laval è tornato a Parigi iersera. Suppongo che sarà molto preso dalla politica interna nei primi giorn,i. Ma procurerò di vederlo lunedì venturo (l).

(l) -Con T. 11349/239 P.R. del 7 ottobre 1935, ore 24, Suvich forniva l'approvazione richiesta. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Non pubblicate.
201

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 9341/1484. Atene, 28 settembre 1935 (per. il 10 ottobre).

Mi riferisco al telegramma per corriere di questa R. Legazione n. 0103 del 22 agosto scorso (2).

Com'è stato a varie riprese comunicato alla E. V., la situazione del generale Condylis ha subito le ripercussioni dell'aspra polemica per la questione del Regime, rimanendo se non menomata almeno non tale da potergli consentire una manifestazione di forza verso TsaLdaris nel senso di dargli il modo di avocarsi la responsabilità di un rapido ritorno del Sovrano dividendo gli oneri e gli onori della restaurazione.

Condylis è perciò in stato di attesa verso il plebiscito, non troppo forte per staccarsi dal Governo e indire una campagna che porti soltanto il suo nome,

incerto circa i metodi da seguire e consapevole della circostanza che Tsaldarls approfitterà di ogni sua debolezza per soppiantarlo definitivamente.

Tale situazione non gli consente davvero una eccessiva libertà di movimenti e nella recente campagna impegnata dalla stampa ellenica per la questione dell'approdo delle R.R. navi in Grecia non mi risulta che egli, in seno al Consiglio dei ministri, abbia preso un qualsiasi atteggiamento a noi favorevole. Egli ha difatti lasciato che Tsaldaris e la R. Legazione trattassero la cosa al di fuori della sua influenza e della sua affermata amicizia verso l'Italia. Tale particolare non meriterebbe di essere registrato se esso non fornisse un'altra prova delle difficoltà che incontra il generale a muoversi in un ambiente dove egli ha incautamente fatto moltipHcare le diffidenze a causa, senza dubbio, della sua eccessiva versatilità politica ed anche della sua buona fede.

Delle predette circostanze converrà tener conto nella eventualità che V. E., tenendo presente ,le considerazioni esposte nel telegramma della R. legazione cui mi riferisco, esamini la possibilità di dar corso, in sede competente, al provvedimento di amnistia a favore dei calinioti condannati in seguito all'agitazione religiosa.

Mi permetto, a questo proposito, osservare, per quanto breve sia la mia permanenza in questo Paese, che è oltremodo difficile attendersi una qualsiasi resipiscenza da parte della stampa greca ed anche da questi ambienti responsabili nel senso di indurii a considerare, attraverso la misura di clemenza del

R. Governo, come la politica italiana sia ispirata ai veri interessi dei dodecannesini e come il R. Governo intenda soltanto ev,itare che i cittadini italiani del Dodecanneso diventino vittime inutili della irresponsabile campagna irredentista ellenica condotta dalle stesse persone che hanno rinunciato ai diritti di miliom di cittadini ellenici già stabiliti in Turchia per occuparsi della sorte di poche diecine di migliaia di greci che hanno ricevuto i più grandi benefici dalla civiltà italiana. La negazione preconcetta di tali principii, che è del resto l'unico programma a fondo nazionale della Grecia di oggi, mi rende perciò dubbioso circa gli effetti che l'annunzio di un simile provvedimento potrebbe provocare in Grecia mentre, per quanto si riferisce al generale Condylis, temo che egli se ne servirebbe così maldestramente da far pensare se non convenga meglio attuare il provvedimento dandone contemporanea notizia a lui ed a questo Presidente del ConsigLio.

Tale procedura sarebbe consigliabile qualora V. E. fosse venuto nella determinazione di concedere a breve scadenza l'amnistia ai condannati di Calino.

Diversamente, converrebbe, forse, procrastinare l'applicazione del provvedimento sino a quando saranno noti ~ risultati del plebiscito per la restaurazione, epoca in cui ci sarà permesso pronunciarsi non solo sulla latitudine dell'amicizia del generale Condylis verso di noi, ma anche sulla sua effettiva consistenza politica. Provvederei, in relazione alle istruzioni che l'E. V. si compiacerà di farmi pervenire al riguardo, a giustificare tale ritardo con Condylis facendogli presente la permanente cattiva impressione che provoca nei circoli responsabilli italiani il contegno della stampa greca, sempre menzognera per quanto si riferisce al Dodecanneso, piena d'incomprensione e livore nei con

fronti della vertenza italo-abiss-ina. Giustificazione abbondante ed alla quale Condylis può solo opporre che egli non è responsabile della stampa.

Che se V. E. ritenesse opportuno di procedere subito alla messa in atto del noto provvedimento, esso dovrebbe essere giudicato, quale difatti è, come un gesto di tolleranza e di comprensione verso i dodecannesini, nel loro stesso interesse, per il loro futuro benessere e principalmente per sottrarli all'inf.luenza della propaganda di Atene e della sua stampa (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi ser~e ottava, vol. I, D. 790.
202

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'ALTO COMMISSARIO PER LE COLONIE DELL'AFRICA ORIENTALE, DE BONO (2)

T. 11099. Roma, 29 settembre 1935, ore 10.

Nessuna dichiarazione di guer,ra nel primo tempo. Davanti mobilitazione generale che Negus ha già annunziato ufficialmente a Ginevra bisogna troncare assolutamente gli indugi. Ti ordino di inizia-re avanzata nelle prime ore del 3, dico 3, ottobre. Attendo -immediata conferma.

203

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6310/783 R. Londra, 29 settembre 1935, ore 14,24 (per. ore 17,20).

M1 risulta che Hoare, nel consegnare avantieri a questo Ambasciatore Francia la nota di risposta a quesito francese sulle garanzie inglesi per la sicurezza europea (3), ha posto a sua volta questo quesito preciso al Governo francese: "Quale sarebbe atteggiamento della Francia nel caso che l'Ita:ld.a commettesse atti di aggressione contro la Gran Bretagna~. Tale domanda sarebbe stata già formulata da Hoare a Laval direttamente durante le recenti conversazioni di Ginevra.

Questo Ambasciatore Francia non ha fatto a meno di nascondere una certa meraviglia per la strana richiesta britannica e si è limitato a rispondere che l'avrebbe trasmessa al suo Governo (4).

(l) -Vedi D. 594. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (3) -Vedi D. 89. Il testo della nota inglese dl risposta al quesito francese è ed. 1n Documents on British Foreign Policy, 1919-1939, vol. XIV, cit., D. 650, Appendice. (4) -Vedi D. 214. Per la risposta francese vedi D. 255, nota l.
204

IL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (l) . Roma, [29 settembre 1935] (2).

Il signor Vernarecci di Fossombrone si e trattenuto con la famiglia per oltre due mesi nelle Alpi Bavaresi in quotidiano contatto col Ministro Frank e con la famiglia. Egli ha avuto occasione di intrattenersi con Hitler, Neurath, Ribbentropp, Schacht, Dresler e altre personalità di minore importanza. È stato invitato ad essere con la consorte ospite di onore alle feste di Norimberga.

Egli riporta l'impressione che in Germania -e il Ministro Frank glielo ha precisamente confermato riferendosi anche ad una ferma opinione del Governo al riguardo -l'attuale campagna, che ha avuto il culmine durante la recente assemblea ginevrina, contro le aspirazioni ital1iane in Abissinia è profondamente sentita come una manifestazione della lotta contro i movimenti di rinascita a sfondo nazionale nel mondo.

Riferendosi alla sensibilità che dimostra la Germania riguardo alla situazione internazionale, Frank, Dressler e tutti gli esponenti del combattentismo germanico hanno confermato che mentre il Governo è unanime nel riconoscere la necessità dell'espansione italiana, vi è ancora nella pubblrica opinione una corrente parzialmente contraria ed è quella dei combattenti, reduci della passata guerra, i quali vedono nell'azione italiana la possibilità di un pericolo di conflagraz;ione generale. Secondo il Frank questa corrente deve essere combattuta con mezzi acconci quali possono essere gli scambi culturali e di propaganda principalmente artistica.

Il signor Frank ha riconosciuto che l'Inghilterra è alla testa di questa azione che si appunta oggi contro l'Italia e contro il fascismo ma che sa,rà domani contro la Germania e il nazionalsocialismo. Naturalmente egli vede nel fondo di questa campagna l'aculeo dell'elemento ebraico e massonico.

Egli ritiene perfettamente giustificate le nostre asp,irazioni in Abissinia e ha detto chiaramente che anche la Germania ha la sua questione coloniale da risolvere. La questione di principio sollevata dall'Italia per un diritto alla espansione coloniale, secondo le afferma21ioni di Frank, collima con le posizioni tedesche.

Senza che il Ministro Frank, od altri, si sia precisamente espresso col signor Vernarecci in questo senso, egli da vari discorsi e specialmente da quelli che si riferiscono alla pressione inglese per la conclusione di ulteriori accordi con la Germania, pressione a cui non si sarebbe fino ad ora dato seguito, ha tratto la conclusione che si venga svegliando una diffidenza verso l'Inghilterra e si tema che l'accordo con la Germania sia solo una mossa

tattica inglese per poter lottare dapprima contro il solo fascismo itaJi:anò.

Qualche mese fa il signor Frank ha parlato di accordi tra l'Italia, la Germania

e l'Inghilterra. Avrebbe anche offerto allora di fare accompagnare il signor

Vernarecci in Inghilterra da Ribbentropp; in questi ultimi colloqui, di una

eventualità di accordi che legassero all'Italia e alla Germania anche l'Inghil

terra, il Frank non ha più parlato.

Da parte della Francia il signor Vernarecci ha potuto osservare che vi è un largo tentativo di intessere in Germania relazioni di carattere principalmente economico e anche culturale che possano condurre a superare le animosità politiche. Da un punto di vista economico risulta che vi è fra l'altro in trattazione lo stabilimento di un collegamento aereo diretto tra Parigi e Berlino. Per la questione culturale l'esponente di questa tendenza da parte francese è il prof. Donnedieu de Vabres dell'Università di Parigi.

Da parte tedesca vi è nei riguardi della Francia uno stato di attesa prima

di assumere vincoli che possano menomare la libertà di azione della Germania.

Il pericolo permanente che minaccia la Germania è sempre considerato il comunismo di Mosca, ritenuto come un regime che ha come scopo essenziale il rivolgimento degli altri paesi e principalmente di quelli che hanno rinnovato la loro essenza in un movimento nazionale. Quel che non possono perdonare perciò alla Francia è di essersi accordata con la Russia. Non solo perché questo accordo costituisce una minaccia per la Germania, ma perché si afferma che un paese civile non avrebbe mai dovuto cercare appoggio per la propria sicurezza in un accordo con paesi governati dal bolscevismo. Si ritiene che il Frank esprima idee non solo personali ma di tutto il Governo quando dice che un giorno si dovrà giungere ad una soluzione violenta nei confronti dell'attuale regime bolscevico possibilmente con l'accordo per lo meno di alcune nazioni civili.

Nei riguardi della Polonia si può l'iitenere con certezza che l'accordo sia completo e confermato in ogni suo dettaglio.

Nei riguardi di Memel si ha l'impressione che una azione della Germania sia molto prossima: questo venne affermato, sia pure come opinione personale, da un funzionario del Ministero degli Esteri germanico, il Mayr (agente di collegamento tra il Ministero ed il partito) e implicitamente dallo stesso Frank il quale la definiva una semplice azione di polizia.

Nei riguardi del Giappone esiste una forte antipatia causata particolarmente da ragioni economiche, ossia da ·ragioni di concorrenza mercantile. Tuttavia la politica germanica in questo senso è prudente allo scopo di non disgustare un Paese che è ritenuto una utile pedina sullo scacchiere di un eventuale conflitto con la Russia.

* * *

Nei riguardi dei rapporti con l'Italia ,il signor Frank ha detto -autorizzando a ripeterlo come espressione governativa -che fra i due Paesi il solo punto di attrito è costituito dal problema austriaco e ha insistito sulla neces

17 ---/Jocumenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

sità che taie punto sia al più presto eiiminato mediante una diretta trattativa tra i due Governi.

Il signor Frank confidenzialmente ha manifestato la sua certezza che una soluzione della questione austriaca possa non essere lontana: dalle sue parole si è avuta l'impressione che egli alludesse non ad un colpo di forza ma ad un felice esito di trattative dirette prima delle quali il Frank desidererebbe che fosse intervenuto un accordo con l'Italia. Egli si è espresso nel senso che la Germania non pensa ad una incorporazione dell'Austria ma che una soluzione potrebbe trovarsi piuttosto nella vecchia formula di Seipel: un popolo e due Stati. Conseguentemente la Germania sarebbe pronta a garantire nel modo più assoluto e formale l'indipendenza dell'Austria.

L'impressione che dà Frank è che il problema austriaco risente fortemente del fattore sentimentale e personale di Hitler per la sua origine austriaca e che questi non possa rassegnarsi all'idea che almeno la concezione politica dell'Austria non differisca troppo dal suo governo.

Da un punto di vista economico il Frank ha particolarmente insistito sul tatto che l'unione politica dell'Austria alla Germania non sarebbe di nessun vantaggio ma anzi di danno per quest'ultimo Paese.

Il signor Frank all'ultimo momento ha insistito sulla necessità di approfittare di questo momento in cui i movimenti politici -fascismo e nazionalsooialismo -subiscono un identico attacco da parte delle forze antinazionali perché venga da parte nostra proposta una formula che tenga conto delle necessità sentimentali tedesche e delle necessità politiche dell'Italia.

La sensazione che dà il signor Frank è che vi sia anche nei riguardi dell'Austria una maggiore duttilità pur di eliminare questa spina nei rapporti tra l'Italia e la Germania.

Oggetto di particolare esame è stata la possibilità di accordi economici itala-germanici anche per l'eventualità di un isolamento dell'Italia in seguito ad avvenimenti di carattere internazionale conseguenti all'attuale situazione.

Il Frank ha dichiarato che la Germania è disposta ad approvvigionare l'Italia di tutto quanto possa occorrerle e che sia nelle sue possibilità di fornirle: principalmente carbone, ferro, caucciù, prodotti sintetici (la cui industria è stata portata in questi ultimi tempi ad un elevato grado di perfezione) ed anche eventualmente qualche tipo di armi, navi da carico ecc.

Il Frank ha parlato anche della possibilità di un'apposita organizzazione per rendere più facile e sollecito l'approvvigionamento ed ha anche stabilito i primi contatti con le persone che sarebbero all'uopo indicate in Germania. Tutto questo all'infuori di qualsiasi altro accordo di natura politica. È naturale però -egli ha detto -che la conclusione di un accordo economico sarebbe facilitata da un accordo politico.

Venendo poi a parlare di veri e propri accordi politici, il Frank ha insistito sulla necessità di una intesa tra l'Italia e la Germania. Intesa che basterebbe da sola a stabilire il futuro equilibrio europeo e che potrebbe venire integrata da quei sistemi di accordi politici con altri Stati che Italia e Germania già possiedono. Su questa idea che non è sua personale, ma che egli afferma rispecchiare il pensiero del Gabinetto, Frank si è particolarmente soffermato, insistendo sulla nècessità di una soliecita considerazione del problema e éoriseguente formulazione di idonee proposte.

È da notare che il Frank ambisce ad impersonare un elemento di congiunzione con l'Italia analogamente a quanto ha fatto Ribbentropp con l'Inghilterra. È chiaro che egli spiega tutto il suo zelo per giungere ad un risultato che ridondi a suo vanto. Dà l'impressione di una pe•rsona in buona fede. Vi è anche un fatto personale che lo ha spinto a desiderare questo riavvicinamento con l'Italia: nell'epoca del suo esilio fu ospite in Italia di una famiglia del popolo, dove imparò l'italiano.

Vi sono ragioni per credere che queste aperture del signor Frank siano approvate da Hitler. Inviti a continuare i contatti personali col Frank sono stati fatti al signor Fossombrone personalmente da Hitler a Norimberga. Questi contatti si sono svolti finora in forma puramente privata, in relazione al fatto che il Fossombrone fa parte della Deutsche Akademie, di cui è presidente il Frank, e successivamente durante l'estate in occasione della villeggiatura dèlla famiglia del Fossombrone in Germania.

È da notare che i contatti con il Frank sono stati iniziati in epoca non sospetta, vale a dire prima che il verificarsi della tensione italo-britannica potesse far supporre alla Germania che l'Italia ha bisogno di lei.

Il signor Flrank desidererebbe oggi ·conoscere se queste sue conversaZiioni possano svilupparsi in qualche forma più precisa di negoziati strettamente segreti attraverso i quali l'Italia possa fare conoscere qualche suo desiderio in previsione di possibili accordi fra i due Paesi.

Il signor Frank ha molto insistito perché gli venisse almeno a titolo informativo esposta qua1che formula o qualche argomento sul quale avviarsi ad intese più o meno larghe.

Particolarmente interessante sembrerebbe oggi l'avviare qualche trattativa economica che ovviasse alle eventuali difficoltà nei rifornimenti italiani. Ove si voglia tener caldo il contatto nel corso delle eventuali conversa:Moni in altri camp·i, risulta che al Frank sarebbe particolarmente gradito qualche avvicinamento culturale, in particolare per quanto riguarda la musica di cui egli è a;ppassionato cultore.

Avviamenti a trattative politiche appaiono evidentemente delicati. Una trattativa diretta fra l'Italia e la Germania per l'Austria sarebbe in contraddizione con l'attitudine da noi presa nei riguardi del Patto danubiano

o almeno dovrebbe essere fatta in consultazione colla Francia.

Volendo spingere innanzi le conversazioni, e poiché i nostri accordi colla Francia del 7 gennaio, che interesserebbero nel caso presente, sono pubblici, si potrebbe domandare al Frank se egli veda un nostro accordo colla Germania che tenga pieno conto di quelli che sono i nostri impegni colla Francia o se addirittura egli veda la possibilità .che il nostro riavviÌcinamento colla Germania si faccia su un piano che preludendo a una distensione di rapporti tra Germania e Francia prepari la via ad accordi ad esempio del tipo «consultazioni» fra le tre Gmndri Potenze continentali d'Occidente.

:Non sono da nascondere le difficoltà di un progràmma del genere, specie in vista degli accordi franco-russi; come sono da tener presenti le suscettibilità francesi e le eventuali diffidenze di fronte ad ogni sospetto di nostre conversazioni colla Germania (1).

(l) -Questo documento consta di due parti distinte, qui separate dagli asterischi; la seconda ha per 'titolo «Contatti Frank-Fossombrone. Austria e Italia». Entrambe le parti sono vistate da Mussolini, che sulla seconda ha annotato: «Tenere i contatti». (2) -Il documento è stato data.to attraverso il riferimento «al nostro rapporto del 29 settembre a S. E. il Capo del Governo » che Fossombrone fa nel D. 608.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3417/2165. Vienna, 29 settembre 1935 (2).

Telegramma di V. E. n. 162 (3).

I recenti provvedimenti di clemenza per l'Alto Adige, che furono qui annunziati fin dal 12 settembre a seguito di una analoga pubblicazione della Zilricher Zeitung (mio teleposta 2078 del 12 com:·ente) (4), hanno effettivamente avuto in questa stampa una Hmitata risonanza (mio telegramma 2147 del 26 corrente) (4).

Al Ballplatz, nell'assenza di Berger, tuttora a Ginevra, il Segretario Generale voUe mercoledì scorso mettermi spontaneamente al corrente della questione. Mi disse della comunicazione che era stata fatta sull'argomento da codesto R. Ministero al Sig. Rotter; della soddisfazione che essa aveva susdtato nel Governo; e della decisione di non procedere in materia a pubblicazioni o dichiarazioni, che non avessero previamente ricevuto il benestare di Roma, o non fossero il frutto di un completo a:ocordo, come era stato appunto il caso del comunicato dciramato alla stampa (mio telespresso n. 2199 del 23 settembre) (4).

Da parte sua il Cancelliere, che ho visto avant'ieri, in replica alla mia comunicazione relativa all'attuazione dei provvedimenti inerenti all'insegnamento privato del tedesco in Alto Adige (telegramma di V. E. n. 159) (5), mi ha detto che tanto la notizia di cui innanzi, quanto quella delle misure prese in favore dei confinanti alto-atesini, lo riempivano di gioia; come del pari era lieto per il fatto che tutte Ie notizie da lui ricevute in Alto Adige erano nel senso che essa vi aveva prodotto la migliore e più profonda impressione, e che, «la grande autorità del Duce si era affermata in quelle popolazioni con tutta la potenza del suo prestigio~.

In tali condizioni, la relativa risonanza avuta in questa stampa dai provvedimenti in discorso sarebbe da attribuirsi non tanto a ragioni specifiche, quanto a quella calcolata riservatezza che sempre qui si nota -salvo natu,ralmenrte in caso in cui le liberalità italiane non possano esse,re dii.rettamente

attribuite a personali successi dei Cancellieri federali presso il Duce -allorché si accenni a qualunque questione relativa all'Alto Adige.

Intanto, giusta una informazione di buona fonte pervenutami qualche giorno fa, la propaganda nazista rimarrebbe tutt'altro che indifferente ai provvedimenti in parola. Essa andrebbe insinuando, specie nel Tirolo, che dette misure di clemenza sarebbero da interpretarsi non già come prove dei pretesi amichevoli sentimenti nutriti dall'Italia verso l'Austria, bensì come misure dirette a far risultare ,la profonda divergenza esistente fra il metodo fascista e quello nazionalsocialista: ossia nel senso che mentre quest'ultimo non esita a denunziare ed adottare i più severi provvedimenti contro sudditi germanisi, il fascismo non si perita invece d'assumere un libera~e benevolo contegno verso gli stessi sudditi allogeni. Il mio informatore aggiungeva che la propaganda nazista era evidentemente pervenuta a questa complicata versione, non potendo questa volta attribuire addirittura la ragione del provvedimento ad un gesto di simpatia italiana verso il nazismo tedesco.

Mi riservo riferire a Berger tale ultima informazione, per notizia e per controllo.

(l) -Vedi D. 232. (2) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (3) -Con T. 10855/162 P.R. del 27 settembre 1935, ore 24, Suvich aveva invitato Preziosi a riferire «su ripercussioni avute costà da provvedimenti clemenza Alto Adige » e ad informare sulle ragioni per cui tale ripercussione era stata «limitatissima». (4) -Non rinvenuto. (5) -T. 10697/159 P.R. del 25 settembre 1935, ore 3, non pubblicato.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 3418/2166. Vienna, 29 settembre 1935 (1).

Mio tele posta riservatissimo n. 2031 del 2 settembre (2).

Nel mio colloquio del 2 corrente col Principe Starhemberg, questi mi confidò che avrebbe riunito nella seconda quindicina di questo mese tutte le gerarchie heimwehriste, onde conoscerne il pensiero e i desiderata, in guisa da paterne tenere debito conto nella compilazione di quel completo programma politico, che egli mi disse voler presentare fra breve a Schuschnigg sia per ovviare all'attuale situaz,ione (scarsa popolarità del Gabinetto) che per dirime,re il grave scontento serpeggiante nelle s'tesse Heimwehren.

Ora, la predetta riunione è avvenuta nel più grande segreto e senza la partecipazione dello Starhemberg, che, con la sua astensione, ha voiuto sottolineare il suo desiderio di conoscere le genuine disposizioni dei suoi partigiani.

A quanto mi è stato riferito oggi nella maggiore riservatezza, la riunione ha dato luogo ad un quasi generale atto di accusa contro l'attività di Starhemberg, accusato di grande debolezza verso il Cancelliere; di scarsissima reazione contro le mene e gli accaparmmenti dei cristiano-sociali; di assoluta incomprensione dell'attuale for:zJa del movimento heimwehrista, definito unico e reale arbitro della vita politica austriaca.

In teoria, la quasi totalità dei convenuti av,rebbe poi sostenuto i seguenti punti: 1) l'assoluta necessità che il movimento heimwehrista, conscio ormai della sua forza, si rivolti contro la situazione di preminenza esercitata dai leaders cristiano-sociali, e che non sarebbe giustificata dallo scarsissimo numero dei seguaci, nè dalla generale disposizione dell'opinione pubblica verso il partito e le dottrine cristiano-sociali; 2) la necessità che il movimento heimwehrista imponga un suo proprio programma, colpendo la prima occasione per assumere esso stesso il governo de'l paese.

I risultati della riunione heimwehrista vengono così a confermare quanto sottoposi a V. E., alla fine del predetto telespresso, circa gli umori dello Heimatschutz nei rispetti dello Starhemberg e circa il prevalente suo stato d'animo; ma ciò che non era nelle mie previsioni, e che mi ha sorpreso, è stata la segnalazione che, nella predetta riunione, saio due personalità avrebbero avuto il coragg•io di prendere la parola in favore dello Starhemberg: ossia il Barone Berger ed il Maggiore Baar, Capitano provinciale della Bassa Austria, che gode di particoiare prestigio per essere riuscito a scalzare in detta regione la posizione del Ministro Reither, organizzando un corpo di Heimwehren, che taluno calcola di ben 40 mila uomini.

Il Berger avrebbe difeso lo Starhemberg, facendo sovratutto rilevare l'impossibilità di iniziare una lotta politica interna mentre ancora pende la questione della Abissinia e non si conoscono appieno le sorti del Patto danubiano; da parte sua il Baar, esasperato dalle critiche contro lo Starhemberg, avrebbe minacciato di arrestare, stante la forza dei suoi aderenti, tutti i convenuti.

Non del tutto sfavorevoli allo Starhemberg si sarebbero poi dimostrati i rappresentanti heimwehristi per la Carinzia ed il 'IIirolo.

Il mio informatore mi ha poi detto che lo Starhemberg -che è in Ungheria per le cacce -è ancora ignaro del grande malcontento apparso nella riunione in parola; ma che il principe sarebbe oramai deciso a presentare a Schuschnigg un completo programma, con l'alternativa di una lotta senza quartiere.

Ho motivo di ritenere che Starhemberg abbia già incaricato una sua persona di fiducia, H Consigliere di Stato Drexler, di elaborare, assieme ad altri pochi amici politici, tale completo programma politko, di cui dovrebbero essere base: l) una radicale riforma dell'esercito; 2) la completa unificazione dei corpi militari volontari sotto le Heimwehren; 3) un rimaneggiamento nelle ammistrazioni provinciali e nelle Direzioni della Sicurezza; 4) una completa riforma del Fronte Patriottieo, che dovrebbe divenire -con l'immediato allontanamento dell'Adam -un vero e proprio partito politico, sotto la direzione d'una personalità heimwehrista di primo piano, la quale dovrebbe avere lo stesso rango e .le stesse funzioni dei Segretar,io del Partito fascista italiano.

Al ritorno di Starhemberg non mancherò di sondarne le intenzioni, pur tacendogli le informazioni surriportate, che mi sono state fornite sotto il vincolo del seg.re·to (1).

(l) -Manca l'indleazione della data di arrivo. (2) -Vedi D. 20.

(l) Vedi D. 276.

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L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6403/338 R. Shanghai, 30 settembre 1935, ore 14

(per. ore 21,15).

Telegramma di V. E. n. 239 (1).

Chang Kai-Shek, dopo avere rimandato visita che avevogli chlesto in precedenza per consegnargli aeroplano donato da V. E., mi aveva fatto conoscere che desiderava vedermi a Nanchino nella terza decade settembre; invece travasi a:ncora nel ... (2) ove non gradisce vedere Ambasciatori per timore di aprire strada a eventuale visita Ambasciatore del Giappone e di essere costretto trattare con lui. Nell'impossibilità di avere tempestivi contatti Chang Kai-Shek, mi sono recato presso Presidente del Consiglio a Nanchino per fargli, a nome personale di V. E., la 'comunicazione prescrittami, pregandolo di farne parte a Chang Kai-Shek.

Esclusione Cina dal seggio permanente ha portato vivo disappunto in questo Governo, ma procedura adottata per togliere alla votazione significato definitivo e per rimettere questione ai consueti comitati h!a fatto sbollire risentimento ed ha persino suscitato qualche filo di speranza. Questo stato d'animo, in cui ho trovato Wang Ching Wei, il quale mi ha pregato di ringraziare V. E. dell'amicizia che traspare dalla comunicazione prescrittami, pregando aggiungere che nello stadio nuovo, in cui questione sembra avviarsi, Governo cinese dovrà passare pure ad atteggiamento definitivo per rivolgere ogni sforzo a realizzare quelle poche speranze che gli rimanevano ancora per salvataggio del seggio. Wang Ching Wei mi ha detto che se questa speranza non sa~rà per realizzarsi, certamente significato esclusione Cina dal Consiglio della S.d.N. colpirà intero continente asiatico, perchè, dopo ritiro Giappone, la Lega delle Nazioni non potrebbe trascurare immenso peso cinese in Asia senza dimostrare di voler distinteressarsi del tutto di questo continente, aggravando disillusione gravissima già sorta nel 1932.

Mentre non è prevedibile quale potrà essere decisione che allora questo Governo dovrà prendere circa eventuale ritiro dalla S.d.N., debbo osservare che questa rinnovata speranza [cinese] a attendere seggio forse sp1nge dn questo momento Governo cinese a mostrare verso S.d.N. più sollecitudine che risentimento.

(l) -Vedi D. 172. (2) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Due gruppi mancanti».
208

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6380/227 R. Madrid, 30 settembre 1935, ore 19 (per. ore 1,50 del 1° ottobre).

Mio telegramma n. 225 (l).

Sono stato a trovare Lerroux, nuovo Ministro degli Affari Esteri per esporgli nostro punto di vista questione etiopica e per esprimergli nostra speranza che Spagna conservi in tale questione quella amicizia e quella neutralità verso Italia che comunicati precedente Governo ci avevano fatto sperare. Gli ho ricordato ragioni nostre rivendicazioni africane e nostro desiderio non ingrandire in alcun modo conflitto coloniale che soltanto ingiustificata severità Società delle Nazioni, potrebbe allargare a danno tutta Europa.

Lerroux mi ha risposto che pubblico spagnuolo comprendeva assai bene ragioni che ci avevano spinto a cercare in Etiopia sbocco e che suo parere personale era si trattasse soltanto di conflitto coloniale da doversi limitare in Africa, ma che, avendo Spagna impegni col patto S.d.N., non poteva sottrarsi partecipare riunione ginevrina anche da un punto di vista societario. Egli mi assicurava tuttavia che, se si fosse giunti a discutere di sanzioni, delegazione spagnuola aveva ordine sostenere moderazione più assoluta in modo che eventuali provvedimenti fossero il meno possibile molesti per l'Italia. Lerroux ha concluso dicendo che Spagna sarà riservata e non certo all'avanguardia in ogni iniziativa che possa imbarazzare Italia e (dico e) che sopratutto delegazione dovrà cercare limitare conflitto. Mi ha aggiunto che spera ancora non si debba giungere sanzioni e che in questo senso delegazione spagnuola farà ogni sforzo.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE SPECIALE 6526/0185 R. Londra, 30 settembre 1935 (per. il 2 ottobre, registrato il 5).

Ho avuto oggi un lungo colloquio con Hoare. Ho domandato a Hoare se egli aveva letto attentamente il comunicato del Consiglio dei Ministri di sabato (2). e quali erano le sue impressioni.

Hoare mi ha risposto che lo aveva attentamente considerato ed era desideroso di sapere se io avevo ricevuto da Roma istruzioni in proposito o se mi risultava che il Duce avesse avuto coll'Ambasciatore britannico a Roma occasione di chiarire la portata delle dichiarazioni fatte dal Consiglio dei Ministri, e offerto dei suggerimenti pratici.

Ho risposto che non avevo ancora ricevuto alcuna istruzione. Mi pareva tuttavia che il comunicato del Consiglio dei Ministri fosse molto esplicito ed il punto di vista del Governo italiano risultasse chiarissimo dal suo testo. « A questo proposito -ho aggiunto -vi voglio subito dire che l'interpretazione che la stampa inglese ha dato stamane al comunicato non mi sembra nè giustificata nè equanime. Si è voluto vedere in quello ·che indubbiamente è un gesto amichevole del Duce verso l'Inghilterra un tentativo di mettere l'Inghilterra in una situazione difficile nei confronti della S.d.N. In realtà il comunicato mi pare che dovrebbe essere messo in relazione al passo che Drummond ebbe a fare recentemente a vostro nome presso il Duce (l) e alle dichiaraziconi .che in quella occasione il Duce e Sir Eric Drummond si scambiarono. Esso è anzi in un certo senso la naturale conseguenza di quelle dichiarazioni, e certo è stato dettato dal desiderio di dare un altro incoraggiamento a tutte quelle forze che lavorano per evitare che il conflitto coloniale itala-abissino degeneri in quel conflitto itala-britannico che tutti deprechiamo. Le dichiarazioni scambiate tra il Duce e Drummond hanno avuto un favorevole effetto tanto in Inghilterra che in Italia; ma è certo che la tensione itala-britannica tuttora esiste e che se vi sono state in Inghilterra dichiarazioni di amicizia per l'Italia ve ne sono state anche di ostilissime. In questi giorni poi ho avuto occasione di int11attenermi con molte personalità le quali hanno cercato di farmi capire che vi è 01rmai nel Governo britannico la precisa decisione ad arrestare l'azione italiana in Africa con qualunque mezzo. Mentre il Governo parla di sanzioni economiche a me viene riferito che esso sta considerando misure di controllo militare e pensa finanche a negare all'Italia, in caso di guerra itala-abissina, i diritti che sono normalmente riconosciuti ai belligeranti. Tutto questo è molto poco rassicurante e non contribuisce a portare il problema abissino in quell'ambiente di calma e di serenità che è necessario per ogni utile opera di chiarimento e per ogni discussione proficua».

Hoare mi ha risposto che egli non voleva affatto avere l'intenzione di nascondermi quello che a suo avviso è realtà. «La situazione -egli mi ha detto -è migliorata dopo l'incontro Mussolini-Drummond, ma non è affatto mutata e non accenna a mutare. Italia e Inghilterra sono rimaste nelle loro posizioni. Nè io vedo ora come si uscirà. Nel prendere l'iniziativa di un suo messaggio personale al Duce, io avevo l'idea di ristabilire le conversazioni tra l'Italia e l'Inghilterra, e la speranza che il Duce prendesse occasione dal mio gesto amichevole, per avanzare delle proposte, non per il regolamento degli interessi britannici in Etiopia, che è questione che ci interessa ma che nella situazione presente è diventata secondaria, ma proposte concrete per la soluzione del problema abissino. Drummond mi ha informato che il Duce non gli ha fatto il minimo accenno a una tale possibilità».

Ho replicato a Hoare che non era possibile attendersi che il Duce ammettesse di discutere le proposte del Comitato dei Cinque, le quali erano assolutamente inaccettabili. Non vi era nelle proposte del Comitato dei Cinque neanche

quel minimo che possa dare inizio a un negoziato, e l'atteggiamento di alcunl Stati in seno all'Assemblea ha dimostrato che neanche sulle meschinissime basi di quelle proposte un negoziato avrebbe potuto condurre a nulla.

Hoare mi ha risposto che non era ragione di considerare le proposte del Comitato dei Cinque come base di negoziato. Esse in realtà non erano che un punto di partenza e che il Governo italiano avrebbe dovuto, a suo avviso, invece di fare delle osservazioni, presentare delle contro-proposte, e impostare cosi delle trattative nelle quali l'Italia avrebbe avuto tutto da guadagnare.

Ho osservato a Hoare che era impossibile per l'Italia di accettare di negoziare al tavolo di Ginevra, in un ambiente ostile e malfido.

Hoare ha replicato che egli si era reso e si rendeva benissimo conto dell'avversione che ha l'Italia di discutere la questione abissina a Ginevra ed è per questo che nel suo discorso dell'l! luglio ai Comuni egli aveva proposto malgrado l'opposizione di tutti i partiti politici -un negoziato tripartito fra l'Italia, Francia e Inghilterra. Da questo negoziato avrebbe dovuto nascere un accordo che avrebbe permesso di tenere la questione abissima fuori della

S.d.N. Ma a Parigi l'Italia si mostrò intrattabile, e oppose alle proposte francobritanniche, che non erano state presentate nè in forma immutabile, nè in forma perentoria, un no categotrico e assoluto (1). Il fallimento delle conversazioni tripartite di Parigi ha segnato, dopo il viaggio di Eden a Roma, un secondo insuccesso della mia politica di negoziati diretti con l'Italia, e hanno obbligato me e il Governo britannico a porre la questione abissina, assolutamente ed esclusivamente sul terreno della S.d.N. Nonostante tutto ciò io ho voluto fare ancora un altro tentativo col mio messaggio al Duce, che era destinato a dare al Governo italiano il modo di riaprire, attraverso uno scambio di idee fra i due Governi l'intera discussione. Neanche questa volta mi pare che io abbia avuto fortuna; ed ora non so veramente che cosa mi resta da fare se non seguire la corrente popolare, la quale non si sa dove potrà trascinare. Io non voglio la guerra con l'Italia. Farò di tutto per evitarla, ma non posso nascondervi che se la situazione continua a mantenersi quale è oggi, temo che la guerra tra noi e l'Italia diventerà a poco a poco inevitabile. Per ora il Governo inglese si mantiene sulla linea di condotta esposta da Drummond al Duce, ma io so quanta fatica mi è costata fare accettare al Gabinetto questa linea. Da tutte le parti vengono ormai le pressioni per agire, e ancora la guerra in Africa non è incominciata. Quando le operazioni cominceranno sarà impossibile evitare lo scatenarsi dell'ostilità popolare contro l'Italia, il che porterà fatalmente a incidenti che trasformeranno la questione fra l'Italia e la S.d.N. in un conflitto fra ritalda e l'Inghilterra. Questo conflitto, se possibile, deve essere evitato. È stato questo concetto che -nel momento della maggior tensione itala-britannica -mi ha dettato il suggerimento di stabilire un contatto personale con il Duce. Non date ascolto a quello che qualcuno va dicendo che io ho cercato di trarre il vostro Governo in inganno, con delle assicurazioni di pace; che interesse volete che abbia l'Inghilterra a scatenare una nuova guerra?

Dite al Duce che n mio solo desiderio è che la détente che si è verificata la settimana scorsa nei rapporti itala-britannici possa essere consolidata. Drummond ha promesso a Suvich che lo avrebbe tenuto informato dei movimenti della flotta britannica nel Mediterraneo. Il Gabinetto ha deciso di inviare una divisione a rafforzare i nostri presidi in Egitto e ciò per controbilanciare all'invio delle due divisioni italiane in Cirenaica. Informate pure n Duce che ave Egli riconsidenasse le misure militari prese in Cirena,ica, noi 'riconsidereremo la decisione già presa di inviare una Divisione in Egitto. Ciò contribuirà ad un alleggerimento della situazione. Per il resto voglio augurarmi che qualche iniziativa concreta sia presa dal Duce. Il Governo britannico -dopo l'insuccesso della visita di Eden e dopo l'esperienza dei negoziati di Parigi non può più assumere il rischio di prendere delle iniziative per negoziati con l'Italia, a meno che non vi sia un minimo di probabilità di soluzione pacifica del conflitto itala-etiopico. Non possiamo proporre delle trattative, per sentirei rispondere semplicemente «no», ma se l'iniziativa per una soluzione pacifica verrà da Roma io posso dirvi che il Governo britannico non chiuderà la porta, ed io personalmente sono incline a prendere in seria considerazione quelle proposte e contro proposte che ci venissero fatte dall'Italia.

(l) -Vedi D. 193, nota l. (2) -Vedi D. 154, nota 3.

(l) Vedi D. 166.

(l) Vedi serie ottava vol. I, DD. 762 e 763.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3416/2164. Vienna, 30 settembre 1935 (per. il 2 ottobre).

Il Cancelliere si è mostrato meco abbastanza ottimista sulla situazione politica interna.

Circa il nazismo, ha detto che le sue forze non sono certo aumentate; che la sua organizzazione di propaganda è naturalmente sempre efficiente, ma che tuttavia nulla di speciale o di allarmante è, almeno per il momento, da rilevarsi.

Circa l'attuale Gabinetto, n Cancelliere ha osservato che le mene della stampa inglese e cecoslovacca, intese a scalzarne le basi col pubblicare ogni specie di notizie circa pretesi gravi interni dissensi ed imminenti crisi o rimaneggiamenti, non hanno ombra alcuna di fondamento.

Ad opportuni miei accenni, n Cancelliere si è poi detto sicuro dell'assoluta fedeltà dei Capitani provinciali, compreso quelli dell'Alta Austria, G1eissner, e del Salisburghese, Rehrl. Nei riguardi di questi ultimi due ha rilevato che essi, contrariamente a quanto è stato affermato, non solo avvertirono la Cancelleria federale che n von Papen aveva manifestato il desiderio di visitarli, ma che essi chiesero il tenore stesso della risposta da darglisi: che i colloqui rispettivi durarono solo pochi minuti, aggirandosi su questioni generiche m che, come risulta dalle mie segnalazioni a V. E., non è esatto); che il Gleissner, ritenuto oppositore del governo, non ha alcuna ambizione di governo, nè sovratutto quella di pervenire al Cancellierato (il che, come pure ho riferito, non è esatto). Nei riguardi del sig. Rehrl, il Cancelliere ha mostrato di non prestarvi particolare attenzione: ha anzi insistito sul punto ch'egli sarebbe malato di cuore e di diabete, e che deve restare in Italia per una lunga cura.

Circa infine il prossimo programma governativo, Schuschnigg ha detto che due punti principali attirano la sua attenzione: la necessità di procedere al più presto agli armamenti, e la necessità di provvedere alla difficilissima situazione delle popolazioni montane (1).

211

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 11187/670 P. R. Parigi, 1° ottobre 1935, ore 20,20 (per. ore 0,35 del 2).

A proposito di una lunga conversazione avuta stamane con Léger, circa la quale riferirò per corriere (2), credo segnalare subito ad ogni buon fine avermi egli detto che aveva prodotto su Lavai e su lui grande impressione la frase che de Chambrun riferì come pronunciata dal Duce essere inutile ulteriore tentativo per distogliere l'Italia dall'impresa africana perché egli voleva la guerra per la guerra occorrendo al fascismo la gloria militare. Léger aggiunse che tale frase era stata naturalmente tenuta segreta perché il divulgarla avrebbe prodotto chi lo sa quale strepito.

Mi risulta viceversa che, ricevendo ieri Campbell, ex ministro consigliere inglese a Parigi trasferito recentemente a Belgrado, il quale gli chiedeva se non si potesse ritentare qualche negoziato privato con l'Italia, Léger avrebbe risposto in modo assolutamente negativo dicendo che anche se al Duce si fosse offerta l'Etiopia sopra un piatto d'argento egli l'avrebbe rifiutata perché vuole fare la guerra ad ogni costo (1).

212

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6492/0145 R. Parigi, 1° ottobre 1935 (per. il 4).

Mi riferisco al mio telegramma n. 674 (3). Ancora prima di parlare al signor Lavai del passo inglese a Parigi menzionato dal Manchester Guardian, ho chiesto stamane a Léger quale fonda

:tnento avesse tale notizia. Egli mi ha detto che l'Ambasciatore ùlerk avevà effettivamente chiesto di vedere Lavai sino da sabato scorso. Stante la sua assenza da Parigi lo avrebbe veduto solo oggi (Clerk uscì dal Quai d'Orsay quando ne uscivo io stesso). Supponeva che volesse parlargli della questione alla quale accennò il Manchester Guardian, ancorché l'informazione da Ginevra dell'organo laburista andasse probabilmente oltre l'intenzione del Governo britannico. Secondo Léger si tratterebbe di un passo da parte dell'Inghilterra analogo a quello compiuto dalla Franc,i:a due settimane fa (1), inteso cioè ad ottenere certe precisazioni circa l'atteggiamento che la Francia intenderebbe assumere in determinate circostanze ed i preparativ,i relativi. Egli riteneva che il passo sarebbe stato fatto in termini assai vaghi, come conviene fare quando si rivolgono simili domande, e come aveva fatto lo stesso Governo francese. Non si trattava di informarsi se la Francia intendesse fare preparativi navali per azioni di guerra o per bloccare i porti di un eventuale Stato aggressore, perché era fuori luogo pensare a sanzioni di questa natura, ma semplicemente di conoscere se la Francia ritenesse prendere sin da ora le necessarie disposizioni per essere in grado di aderire eventualmente alla linea di condotta che il Consiglio decidesse prendere contro un eventuale aggressore.

Il linguaggio di Léger è stato quanto mai societario ed è quindi prevedibile che la risposta francese sarà redatta in termini corrispondenti a quelli usati dalla Gran Bretagna nella sua risposta al Governo della Repubblica (2).

(l) -Il presente documento reca il visto d! Mussol!ni. (2) -Vedi D. 213. (3) -Con T. 6401/674 R. del 1° ottobre 1935. ore 20,55, Cerruti riferiva di aver avuto conferma da Lavai dell'avvenuto passo inglese a Parigi per conoscere quale sarebbe stato l'atteggiamento francese !n caso di conflitto tra Italia e Gran Bretagna. Tale notizia era stata riportata dal Manchester Guardian e pubblicata dal Temps del 1° ottobre.
213

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 11326/0146 P. R. Parigi, 1° ottobre 1935 (per. il 4).

Ho avuto stamane una lunga conversazione con Léger, reduce da Ginevra. Riferisco i punti più impoil"tanti.

Egli non ha ormai più alcun dubbio che è imminente inizio operazioni militari italiane nell'Africa Orientale. Tale opinione era condivisa da tutti a Ginevra. Occorreva sperare che, dopo avere occupato la conca di Adua e raggiunto in tal modo un obbiettivo notevole, l'Italia si sarebbe fermata ed avrebbe accettato di negoziare nuovamente sulla base delle proposte finora fattele e costantemente respinte. Léger si è dilungato a d<imostrarmi il grave errore compiuto dall'Italia non accettandole in agosto.

Gli ho risposto che il Duce ha l'abitudine di guardare alla sostanza delle cose, non alle espressioni più o meno seducenti con cui esse vengono presentate. L'Inghilterra dichiarò esplicitamente che non poteva ammettere una nostra ingerenza politica in Etiopia, il che significava che noi non avremmo mai potuto colonizzare quel territorio che ci occorre perché la nostra popola

zione è esuberante, visto che noi non avremmo potuto esporre i nostri coiom ad essere aggrediti dagli abissini. Noi dovevamo inoltre essere sicuri che nostri attuali possedimenti non sarebbero stati attaccati qualora avessimo avuto complicazioni in Europa.

Léger osservò allora che ciò significava che noi persistevamo a volere occupare intieramente il territorio etiopico, perché se ci fossimo accontentati solamente delle regioni soggiogate ,recentemente saremmo seml»'e stati esposti al pericolo di essere attaccati dagli abissini della regione amarica indipendente. Una tale aspirazione poteva avere conseguenze di una gravità eccezionale. Innanzi tutto la pacificazione dell'Etiopia avrebbe richiesto ch1ssà quanti anni e quanti sacrifici di uomini e di denaro. Secondariamente l'Italia sarebbe stata assorb1ta in Africa in modo tale da non potersi più occupar,e per molto tempo dei problemi europei. Francia sinceramente amica dell'Italia non poteva non essere seriamente preoccupata di tale stato di cose. Lo aveva del resto fatto conoscere ripetutamente al Duce. A questo punto Léger mi rifer~ frase di S. E. il Capo del Governo al Conte de Chambrun, di cui al mio telegramma n. 670 (1). Quanto all'Inghilterra Léger disse che la Francia ha ragione di ritenere che essa non abbia mai pensato all'applicazione di san~ioni milirtari, cioè a bombardamenti di porti oppure ad azioni contro navi da guerra e mercantili e neppure al blocco di porti. Escluse queste sanzioni aventi un carattere pericoloso, egli riteneva certo che appena si avesse avuto sentore del primo colpo di cannone sparato, il Consiglio si sarebbe adunato ed avrebbe deciso circa sanzioni di cui, al momento presente, sarebbe stato imprudente anche solo di parlare dato che ne mancava il motivo, ma che verosimilmente sarebbero state di natura economica, per privare l'aggressore dell'aiuto degli altri membri della S.d.N. In tale stato di cose egli non credeva che ci fosse ragione di essere preoccupati, almeno in questo momento, per la pace in Europa. Il concentramento delle forze navali britanniche nel Mediterraneo era stato un gesto compiuto dalla Gran Bretagna in quanto Stato sovrano, non

a.n quanto membro della S.d.N. La Gran Bretagna si era infatti sentita minacciata nei suoi possedimenti mediterranei da varie manifestazioni dell'Italia ed aveva preso i provvedimenti che aveva giudicati necessari per essere pronta ad ogni evenienza. Le spiegazioni intercorse tra i due Governi di Londra e Roma, alle quali non era stata estranea l'azione amichevole del signor Lavai, avevano posto fine ad una tensione che aveva preoccupato tutti. Ora le forze navali britanniche avevano ripreso il carattere di mezzi a disposizione di uno stato societario per quell'azione che il Consiglio ritenesse di dover suggerire, azione che dovrebbe avere un carattere collettivo.

Interruppi il signor Léger per chiedergli se l'Inghilterra pensasse anche all'eventualità di poter agire come mandataria del Consiglio, per dare esecuzione ad una decisione collettiva. Léger lo escluse in modo assoluto, assicurandomi di non avere mai inteso parlare di un simile proposito dell'Inghilterra che sembrava decisa a non assumere atteggiamenti singoli, ma ad agire soltanto in perfetta unione con gli altri membri del Consiglio. Per tali ragioni, aggiunse

il signor Léger, la Francia considerava la situazione attuale come molto grave ma non disperata. Essa era desolata di constatare che le apprensioni che l'azione dell'Italia in Africa avevano suscitato in Francia non fossero state tenute in maggior conto. Gli avvenimenti politici che si stavano svolgendo in vari punti di Europa, a Memel, a Berlino e domani forse anche in altri punti dimostravano come potessero scoppiare nelle immediate vicinanze della Francia, da un momento all'altro, complicazioni le quali avrebbero richiesto la solidarietà assoluta di Francia, Italia ed Inghilterra, della quale invece, a causa dell'impresa italiana in Africa, non si può certo parlare. Léger ripeté la speranza che noi possiamo, subito dopo il primo successo militare che avrà dimostrato agli abissini la nostra preparazione e la nostra superiorità militare, essere disposti a trattare 'in modo da poter poi procedere alla pacificazione dell'Etiopia in piena armonia con la S.d.N. Tutto il linguaggio del Segretario Generale del Quai d'Orsay fu improntato ad uno spirito societario così assoluto che esso, nonostante la forma cortesissima, fu una critica implacabile della politica dell'Italia. Occorre tenerne conto, perché i diplomatici francesi restano ed i Presidenti del Consiglio cambiano.

(l) -Vedi D. 89. (2) -Vedi D. 203.

(l) Vedi D. 211.

214

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6402/806 R. Londra, 2 ottobre 1935, ore 1,30 (per. ore 6,40).

Con mio telegramma n. 783 (l) ebbi a informare V. E. della capziosa domanda posta da Hoare a Lavai circa atteggiamento che la Francia avrebbe tenuto, nel caso che l'Italia commettesse atti aggressivi contro la Gran Bretagna nel Mediterraneo.

In seguito a pubblicazioni apparse ieri nella stampa francese, Foreign Office ha fatto stamane presentare dai competenti, con molto rilievo, la versione ufficiale del passo britannico: il Governo britannico si vuole assicurare concorso della Francia per il caso che l'Italia cerchi resistere con forza all'applicazione delle sanzioni economiche e si verifichino così degli incidenti tra la Dotta italiana e la flotta inglese nel Mediterraneo.

Questa versione ufficiale prova quanto ho avuto già occasione di segnalare all'E. V. con i miei telegrammi per corriere 181 'e seguenti (2). E cioè:

1o -che l'Inghilterra pensa alla possibilità delle sanzioni economiche e trasformare quindi queste ultime automaticamente in sanzioni militari; 2° -che l'Inghilterra conside,ra la possibilità di impiegare La flotta inglese per opporsi all'esercizio da parte dell'Italia dei diritti dei belligeranti.

La eventualità di un conflitto itala-inglese viene così artificiosamente presentata come la conseguenza fatale di incidenti itala-inglesi nel Mediterraneo.

I giornali ufficiosi, dopo avere svolto una intensa campagna allarmistica sui piani antibritannici dell'Italia nel Mediterraneo, si sono oggi apertamente rivolti a denunziare il pericolo di una aggressione italiana. La parola d'ordine che essa ha ricevuto è di prospettare sin da ora come un atto di aggressione dell'Italia quella che potrà essere la nostra legittima resistenza ad un impiego della forza da parte dell'Inghilterra per l'applicazione delle sanzioni.

Ho scritto stamane una lettera personale a Hoare (l) per !richiamare la sua più seria attenzione su queste pubblicazioni ufficiose, di carattere così evidentemente tendenzioso, in così aperto contmsto con le assicurazioni date da Drummond a V. E. e con le enfatiche dichiarazioni di amicizia per l'Italia, che vanno facendo nei loro discorsi i membri del Gabinetto.

(l) -Vedi D. 203. (2) -T. p€r corriere 6336/0181 R. del 27 settembre 1935, non pubblicato. Vedi D. 209.
215

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6458-6444-6430/230-231-232 R. Madrid, 2 ottobre 1935, ore 15,20 (per. ore 2,10 del 3).

Oggi, presentandosi nuovo Governo alle Cortes, deputato Goicoechea ha fatto forte commentatissimo discorso intorno necessità che Spagna non voti sanzioni contro Italia. Presidente del Consiglio, facendo dichiarazione Governo, aveva deliberatamente taciuto intorno a questione internazionale, affermando che sarebbe stato pericoloso parlarne in· momenti come gli attuali. Goicoechea invece, giovandosi anche di elementi fornitigli da questa Ambasciata, ha richiamati tutti i termini della questione internazionale e dapprima ha attaccato duramente Madariaga. Oratore ha ricordato che in discorso tenuto Par.igi in maggio Madariaga aveva fatto seguente affermazione: «Si va diretti repubblica universale. Nazioni non potranno essere neutrali. Neutralità, come si intende in Spagna, non può accettarla chi ami pace». Uomo con tali idee, che sono il contrario sentimento spagnuolo, non rappresenta, secondo oratore, interessi e sentimenti spagnuoli. Goicoechea ha quindi proclamato essere impossibile costituzionalmente trascinare il Paese guerra senza legge speciale votata Parlamento ed ha ricordato come sanzioni siano guerra. Ha anche rammentato Spagna essere legata Trattato Rio de Janeiro 1932, vistato da Nazioni latino-americane e Governo romeno, tre Nazioni europee (Italia, Spagna, Bulgaria) e che li obbliga implicitamente a non fare guerra

{l) Non pubblicata.

fra di loro, in nessun caso e per nessuna ragione. Inoltre richiamò attenzione

sopra fatto che votare sanzioni significa per Spagna metterla rimorchio Potenze

che hanno interessi imperiali. Concludendo suo formidabile discorso Goicoechea

espresse sospetto Governo non essere conscio pericolo al quale espone Spagna

col lasciare che la sua Delegazione voti sanzioni eventuali e ha ammonito

Governo che dia spiegazioni Paese prima di trascinarlo verso avventure peri

colose.

Discorso Goicoechea ha fatto tanta impressione che Presidente del Consi

glio ha creduto dovere replicare subito, affermando suoi sospetti su atteggia

mento Governo in materia essere arbitrari e che, pure non volendo Ministero

dichiararsi su tali argomenti tanto delicati, dava piena assicurazione che ogni

decisione sarebbe stata sottomessa alla Camera dei Deputati.

Furioso discorso Goicoechea, che rappresenta successo parlamentare simpaticissimo per tesi italiana, ha questo di importante: che in un ambiente, nel quale Governo e Presidente della Repubblica volevano imporre silenzio per lasciare che Presidente della Repubblica e Delegazione Ginevra decidessero da soli, fuori del controllo Paese, è stata impostata discussione pubblica, si è gettato grido allarme per violazione eventuale neutralità Spagna alla quale spa. gnuoli tutti sono sensibilissimi. Inoltre, Governo ha dovuto promettere riferire Camera dei Deputati e quindi sottomettere discussione 24 corrente decisione

eventuali sanzioni.

Questi nuovi elementi freneranno forse entusiasmi Delegazione Ginevra e

imporranno almeno maggiori ponderate decisioni Madariaga. Oggi, nel seguito

discussione, parlerà anche Primo de Rivera che ho ricevuto ieri (1).

216

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 11041/597 P. R. (2). Roma, 2 ottobre 1935, ore 16,30.

Si rechi da Léger e gli smentisca nella maniera più risoluta la frase che egli mi attribuisce (3) e che non ho mai nemmeno pensato di pronunciare. Si interpelli Chambrun. Conversazioni con Chambrun assiste anche Suvich il quale pU6 testimoniare che trattasi di una deplorevole invenzione (4).

18 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

(l) -Per la risposta di Mussolini vedi D. 247. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 211. (4) -Con T. per corriere 11819/0149 P.R. del 7 ottobre 1935, Cerrutl riferiva di aver fatto a Lavai Ia comunicazione ordinatagll, e di aver avuto da questi implicita ammissione della presenza, in una comunicazione di Chambrun a Parigi, della frase in oggetto.
217

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 1762/601 R. Roma, 2 ottobre 1935, ore 19,45.

V. E. riceverà domattina telegraficamente comunicato n. 10 (l) circa inizio operazioni militari si-curezza Africa orientale. Ne informi immediatamente Quai d'Orsay prima delle 11 poichè comunicato apparirà sulla stampa a mezzogiorno. Cerchi in tutti i modi in giornata vedere Lavai e gli dica da parte mia che confido Governo francese comprenderà necessità nostra avanzata non solo per ragioni esposte nel comunicato stesso, ma anche per la pressione degli avvenimenti politici. Mi rendo conto che l'Italia dovrà affrontare reazione opinione pubblica internazionale ed imminenti aspre discussioni Ginevra. Voglio che Lavai sappia che Italia lo farà con spirito sereno senza volere offendere ideologie e tanto meno interessi altrui, senza alcun preconcetto contro la Società delle Nazioni e decisa a rimanere nella Lega fino quando ciò sarà compatibile con nostra dignità.

Ho fatto analoga comunicazione ad Hoare (2) e, rispondendo ad una sua apertura, lo ho assicurato che sono pronto a prendere nel Mediterraneo ogni misura di smobilitazione contemporaneamente e concordemente con analoghe misure inglesi. Anche durante il periodo che ora si inizia di una più aspra tensione itala-inglese rimangono aperte per conto mio le possibilità di trattative non solo circa il regolamento degli interessi britannici in Africa, ma anche per una soluzione del conflitto itala-etiopico che possa essere soddisfacente per l'Italia (3).

218

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 1763/375 R. Roma, 2 ottobre 1935, ore 20,20.

Inviati per corriere (4) linee ·risposta da dare ad Hoare nei riguardi tuo colloquio 30 scorso (5). Riceverai doma.ttina telegraficamente comunicato n. 10 circa inizio nostre operazioni militari si-curezza in Africa orientale (l). Dovrai immediatamente informarne Foreign Office non più tardi delle 11 antimeridiane dato che notizia apparirà sui giornali a mezzogiorno.

Se non potrai fare personalmente ad Hoare tale comunicazione e sarai costretto farla a Vansittart, o ad altri, dovrai in giornata stessa vedere Hoare

ed aggiungervi da parte mia in via personale e confidenziale che io confido

•Governo britannico si renderà conto necessità nostra avanzata non solo per ragioni esposte nel comunicato stesso che hanno innegabile fondamento, ma anche per la pressione degli avvenimenti che hanno reso indispensabile invio ln Africa di un forte contingente di truppe con tutte le conseguenze che necessariamente ne derivano e che rendono necessarie tutte più ampie misure cautelari.

Mi rendo conto che tale avanzata in territorio abissino, susciterà reazione opinione pubblica internazionale ed inizierà nuovi aspri dibattiti Ginevra. Non è vero come si dice in Inghilterra che io voglio sfidare opinione pubblica ma debbo naturalmente provvedere anzitutto a tutelare interessi italiani. Affronteremo d'altra parte discussioni Ginevra con ferma decisione difenderci tanto da estremismi societari quanto da estremismi antifascisti colà coalizzati ma senza alcun preconcetto contro la S.d.N. e senza nessuna decisione uscirne se non costretti.

Apprezzando quanto Hoare ti ha detto nel suo ultimo colloquio nel senso che egli si è adoperato per evitare conflitto itala-inglese, voglio che Hoare sappia che, anche in questo periodo di più aspra tensione itala-britannica, rimangono per parte mia immutate le disposizioni a smobilitare nel Mediterraneo contemporaneamente all'Inghilterra e rimangono anche aperte le possibilità di trattative itala-inglesi non solo per quanto concerne gli interessi britannici in Africa, ma anche per una soluzione del conflitto itala-etiopico che possa essere soddisfacente per l'Italia (l).

(l) -Vedi D. 225, nota l p. 213. (2) -Vedi D. 218. (3) -Con T. 6465/681 R. del 3 ottobre 1935, ore 14,15, Cerrutl ,comunicava di essersi espresso con Lava! come ordinatogll. (4) -Vedi D. 224. (5) -Vedi D. 209.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 6433/678-679 R. Parigi, 2 ottobre 1935, ore 21,50 (per. ore 24).

Stamane Léger mi ha dato lettura della risposta inglese alla domanda rivolta dalla Francia all'Inghilterra circa la sicurezza in Europa (2). Egli mi ha fatto osservare che è stata pubblicata la risposta inglese, ma non già la domanda francese. Questa era stata infatti redatta in termini volutamente complicati in primo luogo per un riguardo verso l'Italia, non avendo il signor Lavai voluto che si potesse a Londra ritenere che egli formulasse il proprio quesito pensando menomamente a essere coinvolto in sanzioni verso l'Italia al di là di un certo limite; in secondo luogo perché ragioni evidenti escludevano che si potesse menzionare Austria, oppure altro paese europeo.

La risposta era quale la si attendeva a Parigi, cioè tale da mostrare che Inghilterra intende mantenere linea di condotta esposta a Ginevra, con riserva

di esaminare le eventuali situazioni volta per volta ed a seconda dei casi. Praticamente ciò significa che il giorno in cui si fosse in presenza di una minaccia per l'indipendenza dell'Austria, Inghilterra esaminerebbe in primo luogo se quest::> Stato si trovasse realmente minacciato nella sua indipendenza, poi chiederebbe la riunione del Consiglio per giudicare se sia in presenza di una aggressione. Intanto Austria potrebbe essere ammessa al Reich di fatto.

Supponiamo che vi sia una minaccia di aggressione alla Cecoslovacchia. Se la Francia ordinasse la mobilitazione per misura precauzionale, il Reich potrebbe denunziare tale atto come aggressivo ed invocare l'intervento in suo favore dell'Italia considerandosi Stato aggredito. Inghilterra potrebbe in tal caso chiedere che il Consiglio si riunisca per esaminare la situazione ed escogitare i mezzi più adatti a scongiurare la guerra ed intanto il Reich potrebbe t··arre cgni vantaggio da una simile situazione. Questo significa infatti la risposta dell'Inghilterra.

Ho detto a Léger che ne ero persuaso, ma che egli aveva, esponendomi le cose nei loro termini esatti, nuda e cruda, pronunciata la condanna della S.d.N.

Societario come è fino alla midolla, egli mi rispose che questo non era esatto. S.d.N. aveva un valore immenso in tempo di pace, potendosi dichiarare che essa ha in sé tutti i rimedi per impedire la guerra. Agendo in modo che una guerra non possa essere dichiarata, si manovra per la pace ed è per ottenere ciò che si creò per l'appunto l'organo ginevrino.

(l) -Per la risposta vedi DD. 236 e 250. Analoga comunicazione veniva fatta a Par!gi, vedi D. 217. (2) -Vedi DD. 89 e 203, nota 3
220

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 6536/039 R. Budapest, 2 ottobre 1935 (per. il 5).

Riassumo qui appresso quanto, circa il viaggio in oggetto, è stato riferito stamane al primo Segretario della R. Legazione da questo Direttore degli Affari Politici rientrato iersera da Berlino al seguito del Presidente del Consiglio.

Il Barone Bessenyey premette di non aver avuto materialmente il tempo di approfondire tutti gli argomenti con il Generale Goemboes: il programma eccessivamente carico e movimentato della visita, il fatto che alla più parte delle numerose conversazioni del Presidente con i vari dirigenti germanici egli non ha assistito e che nel viaggio di ritorno questi ha voluto addestrarsi al pilotaggio dell'aeroplano gli hanno impedito, questa volta, di mettersi subito al corrente di ogni particolare delle conversazioni. È però in grado di escludere che in questa occasione «sia stato concretato alcunché all'infuori della riaffermazione cordia~e dei rapporti amichevoli esistenti tra i due Paesi».

Austria. A Berlino mostrasi ora considerare la questione austriaca con indifferenza commista a disprezzo per gli austriaci « che non vogliono essere partecipi dei benefici della Gleichschaltung >>. Mostrasi inoltre ritenere che il tempo lavori per la Germania, in quanto l'attuale Governo austriaco sarebbe per sua natura destinato ad autoliquidarsi. Si osserverebbe anzi, addirittura, a Berlino, che un attivismo nazionalsocialista in Austria potrebbe piuttosto ritardare che accelerare tale processo fatale.

Rapporti itala-germanici. Il Presidente Goemboes gli ha detto che, nell'apprezzare gli argomenti da lui, Goemboes, esposti in favore di una possibile realizzazione dell'asse Roma-Berlino, Hitler aveva rilevato che un eventuale blocco del genere, comprendente oltre 100 milioni di uomini, avrebbe potuto esercitare una immensa influenza in Europa. Questa frase -commenta confidenzialmente Bessenyey -assomiglia però troppo a quella che Goemboes è solito ripetere, per non giustificare il dubbio che, nella foga della perorazione, Goemboes abbia creduto udire da Hitler quanto egli diceva o voleva dire a lui. Circa il conflitto itala-etiopico e le complicazioni che potessero derivare, Bessenyey conferma essergli stato ripetuto che «la Germania osserverà assoluta neutralità». Quanto all'applicazione pratica di tale principio Bessenyey sembra propenso a credere che la Germania non aderirebbe ad eventuali misure di boicottaggio economico promosse dalla S.d.N. di cui essa non fa più parte. Gli risulta del resto che Hitler si augura l'impresa italiana in Africa orientale abbia favorevole esito, in quanto nell'ipotesi contr'arta -che Bessenyey si affretta ad escludere -Hitler pensa potrebbero essere minacciate le sorti del fasc,ismo, il che non converrebbe al nazionalsocialismo. Da tutto quanto ha udito e visto a Berlino Bessenyey ha tratto l'impressione che la Germania sia in piena fase di ricostruzione e raccoglimento, e pertanto, aliena da avventure. Non crede -precisa -che la Germania mediti di effettuare qualche colpo di forza in Austria, e neppure a Memel, col favore di complicazioni europee. Alle favorevoli disposizioni verso l'Italia, constatate a Berlino, era frammista peraltro qualche irritazione a cagione delle grandi manovre da noi effettuate in Alto Adige e considerate dai circoli ufficiali germanici una «manifestazione gratuitamente diretta contro Berlino, che nella questione etiopica ha assunto un atteggiamento assolutamente corretto». Alla domanda se questa irritazione non debba piuttosto attribuirsi al fatto che con queste manovre l'Italia ha fornito la prova palmare di essere, quantunque impegnata in Africa, oggi più che mai efficiente in Europa, Bessenyey risponde: In ogni caso i tedeschi parlano come vi ho riferito.

Polonia. Il solo polacco incontrato da Goemboes in Germania è un Generale, che ha partecipato alle caccie di Goering ma non ha svolto attività ufficiale o ufficiosa di sorta. Conversazioni tripartite non ci sono state, nè ci sono stati colloqui ungaro-polacchi, nè, che egli sappia, germanico-polacchi. Beck ha transitato per Berlino senza fermarsi. Bessenyey rileva quindi la riservatezza e le difficoltà della politica estera della Polonia «in permanente rischio di trovarsi seduta tra due sedie». Evita di precisare il suo pensiero sull'apprezzamento fatto avantieri dal sig. De Hory secondo cui, «nonostante la cordialità dei rapporti intrattenuti con Berlino, Varsavia in definitiva si attiene all'alleanza che la lega a Parigi». La Polonia, osserva invece Bessenyey, è legata, come tanti paesi, in pratica, finirà con lo scegliere quelli che nel momento decisivo le appariranno più convenienti.

Riarmo. Bessenyey esclud.e recisamente che l'Ungheria possa procedere aa nna dichiarazione unilaterale circa il riarmo analoga a quella tedesca. Il passo relativo all'inadempienza di accordi internazionali, contenuto nella recente nota Hoare a Corbin, appare -è vero -assicurare per un atto del genere l'impunità dell'inadempimento di fronte al Convenant, ma per l'Ungheria rimane pur sempre il pericolo della reazione diretta della Piccola Intesa. L'Ungheria d'altra parte continua ad adoperarsi per ottenere il riconoscimento della parità di diritti militari: lo Stato Maggiore ungherese è infatti d'avviso che, al punto in cui è giunto, non potrebbe a lungo continuare nello sviluppo della Honvéd senZJa prende,re misure non conciliabili, neanche in appaJrenza, con le clausole militari del trattato di Trianon. Del resto -conclude Bessenyey -il discorso Tanczos all'Assemblea della S.d.N., nella misura consentita dal tono prescritto in quella sede, ha fatto capire a tutti che l'Ungheria in avvenire finirà col considerarsi, in pratica, liberata dalle clausole stesse. È probabile aggiunge confidenzialmente -che misure in tal senso saranno gradualmente prese quanto prima.

Visita Sottosegretario Aeronautica germanica a Budapest. È naturale -dice Bessenyey -che i militari parlino delle eventualità che potrebbero tnteressarli: non esclude perciò che Milch, durante la visita effettuata a Budapest nei giorni in cui il Generale Goemboes si trovava a Berlino, po.ssa ravere qui toccato anche il tema di una possibile cooperazione ungaro-germanica. Di concreto però non c'è nulla. Goemboes e Kanya-conclude Bessenyey-hanno più volte esposto francamente a Roma l'utilità, anzi la necessità per l'Ungheria di assicurarsi l'appoggio tedesco di fronte alla Cecoslovacchia. Questa, come quella di evitare un avvicinamento della Germania alla Piccola Intesa, è 11agione essenziale dei buoni rapporti intrattenuti da Budapest con Berlino.

221

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6538/040 R. Budapest, 2 ottobre 1935 (per. il 5).

Ho visto stasera questo Presidente del Consiglio, che aveva ascoltato poco prima alla radio, circondato dai suoi collabo,ratori più intimi, il discorso di

V. E. Mi se ne è detto sommamente ammirato: «È un grande Uomo che sa quello che vuole e come dire quello che vuoi dire». Ha dato incarico -aggiunge -all'addetto militare ungherese a Roma di chiedere, appena scoppieranno le ostilità, udienza al Duce, Ministro delle Forze Armate d'Italia, per riconfermargli la solidarietà di GèimbOs e della Honvéd ed esprimergli l'augurio dell'Ungheria per la gloria e la vittoria del popolo italiano.

Ne prendo atto con compiacimento. Il mio Paese avrà modo di apprezzare in questi giorni storici la reale consistenza dell'amicizia protestatagli da popoli e Governi; e non dimenticherà. Sono certo che ogni pubblica manifestazione dei circoli politici ungheresi e della stampa magiara saprà corrispondere al calore dei sentimenti da lui confermatimi. Mi assicura veglierà personalmente acché così sia.

È sua impressione -mi dice quindi -che in definitiva l'Inghilterra eviterà di entrare in conflitto armato con l'Italia. Sarebbe questa -gli rispondo la soluzione più 'rispondente non soltanto a g-iustizia ma anche agli tnteressi diretti della Gran Bretagna; ma, sia o non sia per essere così, l'Italia andrà fino in fondo.

Hitler -mi dice allora -gli ha chiesto se riteneva che il Duce «avrebbe cercato una ritirata onorevole ove le resistenze britanniche nella faccenda etiopica si irrigidessero, aggravando ulteriormente la situazione». Egli, Gombos, glielo ha escluso. L'Inghilterra -osserva però -è molto potente. Gli rispondo che noi non ne sottovalutiamo l'efficienza, ma non ne abbiamo paura.

È giusto dice il Presidente: bisogna lasciar fare il Duce. Il Genio sente quello che occorre fare. E poi chissà quali cose Gli è dato scorgere che noi non vediamo e quali sorprese -chissà -può avere in serbo. Il gen. Gombos conclude che se la Francia finirà nella questione delle sanzioni coll'assumere un atteggiamento ostile all'Italia, la tesi di lui, Gombos, dell'asse Roma-Berlino sarà automaticamente dimostrata.

Questo Ministero Affari Esteri appare condividere l'impressione del Presidente del Consiglio che il Governo britannico si studierà di evitare un conflitto armato con l'Italia. Sembra in esso piuttosto propendersi a credere probabile un intervento diplomatico britannico, o societario su iniziativa britannica, dopo il nostro primo grande successo militare; intervento tanto più efficace, nel pensiero del Governo di Londra, quanto più appoggiato da un poderoso spiegamento di forze.

222

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6537/041 R. Budapest, 2 ottobre 1935 (per. il 5).

Onoromi qui di seguito riassumere le impressioni riportate da questo Presidente del Consiglio dal suo viaggio in Germania, quali da lui riferitimi questa sera.

A parte la restituzione delle visite di Goring e la caccia (dei cui risultati è molto fiero) la visita, egli afferma, ha avuto principalmente lo scopo di conoscere tutte le personalità dirigenti del terzo Reich e rendersi conto dello sviluppo raggiunto dalla nuova Germania. Questa è effettivamente in ascesa. Superate le crisi iniziali il nazionalsocialismo ha preso profonda radice: è un meccanismo che funziona sistematicamente; intensissimo il ritmo del riarmo.

Goring è effettivamente la prima personaHtà accanto al Ftihrer; seguono in ordine Blomberg e Hess. Schacht ha messo le sue capacità eccezionali al servizio dell'idea nazi. Nel Governo l'intesa è perfetta.

Con Schacht pure ha parlato a lungo. Gli chiedo se Schacht gli abbia rivelato il segreto col quale si procaccia i quattrini per finanziare senza squilibri tutte le opere che mi descrive. «L'idea espostami da Schacht -mi risponde -è quella che un paese di 68 milioni di abitanti esercita una grande forza di attrazione sul credito internazionale; ignoro però i dettagli e la misura in cui Schacht ricorre all'estero per coprire il fabbisogno tedesco di divise».

Il Presidente sottolinea anche con me il «rispetto e la stima» constatati nel Fiihrer e nei gerarchi germanici per 1a persona del Duce. Hitler si sente in certa guisa solidale con Mussolini e se, nella questione etiopica, ha assunto un atteggiamento di assoluta neutralità, si augura tuttavia «che il prestigio del Duce non abbia neppure a scalfirsi in conseguenza delle complicazioni che potrebbero derivarne». Chiedo al Presidente com'egli supponga che si manifesterebbe questa neutralità nell'ipotesi di sanzioni economiche societarie; aderirebbe per avventura la Germania a pressioni che la Gran Bretagna effettuasse su di lei per attenerne qualche complicità? Mi risponde non saperlo: sarebbero forse utili nostri sondaggi che prevenissero a Berlino una possibile azione britannica e che egli ritiene sarebbero accolti bene; certo è che, per la Germania, la S.d.N. è liquidata.

Gi:imbi:is esclude che il Governo tedesco pensi di approfittare della situazione internazionale presente o prossima per effettuare qualche colpo in Austria. Lo esclude anche per Memel, sebbene abbia constatato a Berlino estrema sensibilità su questo punto. Tutti ad esempio, Hitler compreso, gli hanno parlato indispettiti del «giornalista italiano residente in Lituania che, in relazione alle elezioni, osserva un atteggiamento nettamente favorevole ai dominatori». Che interesse abbiamo ad irritarli? Irritato i tedeschi hanno anche le grandi manovre nella conca di Bolzano; essi si chiedono perché l'Italia abbia voluta fare questa « inutile dimostrazione».

Il Presidente mi ripete avere la sensazione che il Governo germanico si att:mga a saggezza e prudenza. Hitler, oltre che profeta nazionale (tutto il popolo tedesco è permeato ormai dane sue idee), è ora anche un uomo di Stato accorto. Egli, Gi:imbos, non c'rede perciò assolutamente che il Governo nazi pensi a fare qualche gioco rischioso; i tedeschi oggi non cercano complicazioni; sono tutti dediti alla ricostruzione, particolarmente militare.

Il Gen. Gi:imbi:is smentisce quindi rec,isamente le notizie circolanti in merito ad un'intesa per una cooperazione aerea contro la Cecoslovacchia conclusa nelle conversazioni avute dal Sottosegretario all'Aeronautica germanica; Milch, egli afferma, è venuto a Budapest per studiare, secondo il suo desiderio, la possibilità di creare in Ungheria impianti per la costruzione di apparecchi commerciali in metallo utilizzando la bauxite di cui l'Ungheria è ricca.

Il Presidente mi dice infine compiaciuto che il suo viaggio a Berlino è valso a togliere forza ai suoi oppositori interni; la reazione questa volta è molto meno intensa ài quella verificatasi in occasione della sua prima visita a Hitle~.

L'ungherese ama le fate morgane e si dice: « Gi:imbi:is, che viaggia e tratta

e fa, deve avere ragione».

223

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (l) . Roma, 1-2 ottobre 1935.

L'Ambasciatore Cerruti ha avuto un lungo colloquio con Lavai.

Lavai gli ha esposto un suo piano per arrivare ad una definizione del conflitto itala-etiopico senza ricorrecr,e alla gue~ra. Egli pensa che si potrebbe insistere con gli inglesi per fare avere all'Italia un mandato sulla zona periferica dell'Abissinia, lasciando in vece la zona centrale sotto mandato collettivo a cui pfllrteciperebbero 'anche gli italiani. Egli intende parlarne ad Eden durante il suo prossimo passaggio per Parigi.

Rispondo all'Ambasciatore che l'idea del Ministro Lavai è certamente interessante, ma arriva troppo tardi. Bisognava proporla a Ginevra; d'altra parte noi siamo persuasi che gli inglesi non l'accetterebbero.

L'Ambasciatore Cerruti mi richiama: ha riparlato col Ministro Lavai che ha visto nel frattempo due volte l'Ambasciatore di Gran Bretagna a Parigi ed il Principe di Galles; ha parlato a tutti e due del suo progetto. L'Ambasciatore ha riferito immediatamente la cosa a Londra. Vedrà domenica sera alle 18 Eden; conta di parlargliene anche a lui (2). Dice che a Ginevra non si è parlato affatto della possibilità di una tale soluzione. D'altra parte il suo progetto è diverso dal nostro: è più attenuato. Noi chiedevamo la cessione in dominio diretto della zona periferica ed un mandato nella zona centrale. Egli offrirebbe un mandato all'Italia sulla zona periferica ed accetterebbe un mandato collettivo. con la partecipazione dell'Italia sulla parte centrale. È persuaso di fare accettare la sua proposta agli inglesi. Bisognerà poi persuadere il Consiglio ed imporla al Negus. Al Consiglio la cosa verrebbe presentata o da Francia e Inghilterra, o anche dalla Francia sola. Egli vorrebbe poi venire a Roma assieme con Baldwin o Hoare per portare l'offecrta al Capo del Governo. Egli prega molto vivamente che non gli si dia una risposta negativa. Una soluzione del genere sarebbe per l'Italia un successo morale immenso e sarebbe l'unico modo di salvaguardare la pace generale, che egli vede in gravissimo pericolo.

Non crede che la sua proposta potrebbe essere ripresa dopo una nostra azione in Abissinia. Lavai prega il Capo del Governo di non dimenticare che gli inglesi hanno anche una questione di prestigio e che dopo una nostra azione in Abissinia è difficile che si inducano a fare delle proposte conciliative.

Ho replicato all'Ambasciatore: ormai è tardi. Gli è stato spedito un telegramma (3) che prevede un ordine di fatti del tutto diversi da quelli di cui parla il Ministro Lavai. Non credo che in una fase ulteriore la cosa non possa essere ripresa ( 4).

(l) -Questo documento è intitolato «Colloqui telefonici con l'ambasciatore Cerruti ». (2) -Vedi D. 239. (3) -Vedi D. 227. (4) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
224

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

L. 7837. Roma, 2 ottobre 1935.

Chiedi di vedere al più presto Hoare e fagli le seguenti comunicazioni da

parte mia, in risposta a quanto egli ti ha incaricato di riferirmi nel vostro col

loquio del 30 u.s. (2).

Secondo l'interpretazione data da Hoare agli avvenimenti svoltisi negli

ultimi mesi, apparirebbe che l'Inghilterra abbia cercato con tutti i mezzi di

trattare e che da parte mia ci sia stato un costante, preconcetto, irragionevole

rifiuto.

Le cose non stanno così.

L'iniziativa delle trattative era stata presa dall'Italia. Mia intenzione era di

venire con la Gran Bretagna ad un -accordo, come avevo fatto con la Francia.

Ero convinto che l'Inghilterra si sarebbe r·esa conto delle imprescindibili ragioni

della nostra espansione e, conoscendo i precedenti in cui l'Italia era stata

regolarmente sacrificata, avrebbe considerato il problema itala-abissino con

spirito di comprensione e con buona volontà.

Se si fosse raggiunto un accordo tra Italia, Francia e Inghilterra, la que

stione a Ginevra non sarebbe neanche sorta, o almeno si sarebbe potuta regolare

con grande facilità senza arrivare alla situazione assurda e grottesca di oggi,

per cui uno Stato barbaro, schiavista, oppressore, assurge a campione e simbolo

della libertà e della indipendenza.

Non occorrono molte parole per spiegare che non c'è nessuna ragione al

mondo perché l'Abissinia abbia ad essere un paese sovrano e senza controllo,

mentre la Tunisia e il Marocco sono sotto protettorato, la Palestina e la Siria

sotto mandato e l'Egitto sotto controllo militare e politico.

Alle mie profferte di trattare, la Gran Bretagna ha opposto il più glaciale

silenzio, silenzio che è stato mantenuto anche quando le disposizioni preventive

di carattere militare che io stavo prendendo non lasciavano sussistere alcun

dubbio sulla serietà delle nostre intenzioni, che corrispondeva alla serietà della

minaccia che io sentivo immanente sulla nos·tra colonia dell'Africa orientale.

La proposta Eden (3) era venuta mentre questa situazione permaneva già

da parecchi mesi. All'annunzio della iniziativa inglese io avevo sperato veramente

che la Gran Bretagna fosse entrata nella via della comprensione per la posi

zione dell'Italia nell'Africa orientale.

Devo dire che la delusione è stata immediata e profonda. Mi si offriva una soluzione che dava un indiscutibile e incalcolabile vantaggio all'Etiopia concedendole lo sbocco sul mare e quindi il contatto con tutto il mondo, mentre fino ad allora lo spirito di tutti i trattati era stato quello di considerare che . le tre Potenze vicine dell'Etiopia avessero uno speciale diritto ad interessarsi

in modo esclusivo della sorte di questo Paese. Né la entrata dell'Etiopia nella Società delle Nazioni, avvenuta con riserva e sotto condizioni tali che non le davano che un diritto minorato di cittadinanza nel consesso ginevrino, aveva cambiato radicalmente una tale situazione. Come contropartita per l'Italia una certa cessione territoriale di una regione desertica, fatta in forma tale che per la dignità del mio Paese non avrei potuto accettarla.

Va ricordato anche che anni prima, in condizioni ben diverse dalle attuali, l'It;alia aveva respinto una analoga, ma se mai più favorevole, proposta del Negus.

Veniamo alle proposte di Parigi (l).

Non mi nascondo che l'impostazione del problema sulla base di accordi a tre con un limitato intervento della Società delle Nazioni poteva rappresentare la intelaiatura di una soluzione soddisfacente. Ma quando ho visto che tutte le

soddisfazioni offerte all'Italia dovev;ano avere H preventivo assenso del Negus, che è notoriamente animato da un irriducibile spirito italofobo, ho dovuto, mio malgrado, rendermi conto che non c'era nulla da fare. Basta pensare che la base delle proposte di Parigi si sarebbe trovata in un accordo quatripartito tra Francia, Gran Bretagna, Italia e Etiopia.

L'Etiopia dunque, che nel tripartito era oggetto dei nostri accordi, mventava in questo caso soggetto alla pari delle tre Grandi Potenze.

Non si poteva chiedermi -anche se non avessi avuto tutti gli uomini che avevo già allora nelle colonie e speso le somme che si sono spese -di prendere tali proposte per base di trattative.

Poiché però anche le proposte di Parigi entravano nel cosiddetto «quadro della Società delle Nazioni», non c'era nessuna ragione perché il principio della soluzione del problema affidato alle tre Potenze vicine, non dovesse essere preso in considerazione anche durante le trattative ginevrine.

Quando si riunì l'ultimo Consiglio della Società delle Nazioni, esso si trovò di fronte ad un elemento nuovo che io considero della massima importanza, elemento che io avevo fatto entrare nel giuoco anche per corrispondere alle segrete e amichevoli sollecitazioni di parte francese e anche di parte inglese. Parlo del Memoriale italiano che costituisce un formale, specifico, documentato atto di accusa contro l'Abissinia.

Non entro nei dettagli di quello che è stato il risultato del Comitato dei Cinque. Il mio giudizio sintetico è che esso rappresenta uno scherno per le aspirazioni ritaliane in Africa orientale. Ho l'impressione che il progetto ,sia stato studiato e risolto con una particolare malevolenza per tutte quelle che potevano essere le legittime aspirazioni e richieste italiane. Non posso sottrarmi alla impressi()ne che l'azione personale del rappresentante della Gran Bretagna nel Consiglio abbia avuto una parte determinante in questo infelice risultato.

Il progetto se così applicato, avrebbe rappresentato la esclusione assoluta e definitiva dell'Italia da ogni sua ingerenza in Abissinia. Su quella via non c'é assolutamente modo di intenderei. Devo però esprimere la mia convinzione

che anche Ginevra se non avesse deliberatamente escluso di prendere in considerazione il Memoriale italiano, sarebbe giunta a conclusione diversa.

Ecco la cronistoria degli ultimi avvenimenti, che ci ha portato all'azione militare che è in corso in Abissinia. La delusione, per quanto nguaraa ognl possibilità di soluzione pacifica sulle basi fin qm consraerate, le ragwm rmprescmdibili del1a nostra sicurezza di fronte allo spirito aggressivo e xenofobo degli abissini, la urgenza di misure militari in seguito alla decisa mobilitazione generale etiopica, mi hanno costretto a prendere delle misure di sicurezza nell'interesse del Paese, delle quali io solo posso essere giudice.

Io voglio ripetere ancora una volta, di fronte alla nuova situazione, più grave, che si è creata in questi giorni, che io intendo limitare il conflitto e intendo fare quanto starà in me perché non sorgano degli incidenti fra Italia e Gran Bretagna.

Sono disposto -e l'ho già fatto sapere -a qualsiasi immediato provvedimento di smobilitazione delle misure di sicurezza prese nel Mediterraneo, perché questa sia reciproca e simultanea.

Io considero -puoi dirglielo -Hoare un galantuomo, preoccupato degli interessi del suo Paese ma anche del mantenimento della pace e della sicurezza generale in Europa.

Io sono costretto all'azione in Africa orientale ma non voglio turbare questa sicurezza e questa pace. C'è forse modo di intenderei. Da parte mia sono pronto.

(l) -Ed. in B. MussoLINI, Opera omnia, vol. XLII. cit., pp. 122-125. (2) -Vedi D. 209. (3) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 431 e 433.

(l) Vedi serle ottava, vol. I, DD. 748, 753, 755 e 757.

225

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 2 ottobre 1935.

Rimane fissato che la Delegazione italiana interviene al prossimo Consiglio ed assume l'offensiva sul tema che la aggressione in effetto parte dall'Abissinia e che l'azione di difesa italiana è legittima.

Si stanno preparando le dichiarazioni da fare a Ginevra su questo punto. Si sta preparando uno studio sulle eventuali sanzioni per cercare di !imitarne gli effetti sia economici che politici e militari.

Converrà far sapere al più presto a Parigi le nostre idee -tanto al riguardo della tesi sull'aggressore che dell'applicazione delle sanzioni -perché possano aiutarci.

Continuare pressioni ad Ankara e Madrid per la neutralità assoluta contro le sanzioni (a Varsavia la questione è stata già sollevata in pieno; si potrà riprendere ma sopratutto agire sul Ministro Beck a Ginevra).

Converrà comunicare ufficialmente la nostra dichiarazione, oltre che a Gi

nevra, a Parigi e Londra: in queste due ultime città per evitare per quanto pos

sibile che si dichiari decaduto il Tripartito per la mancata consultazione prevista dal trattato stesso. Questa comunicazione potrebbe essere fatta un'ora prima della pubblicazione della dichiarazione a mezzo della Stefani (l).

226

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3602/1456. Berlino, 2 ottobre 1935 (per. il 10).

Con mio telegramma n. 232 del 29 settembre (2) ho rUerito succintamente alla E.V. le dichiarazioni fattemi dal Presidente Gèimbèis in merito alla sua visita berlinese. Come V.E. avrà visto, esse ridurrebbero il valore ed il contenuto di quella visita ad una specie di esplorazione diplomatica.

Che una esplorazione vi sia stata è indubitato, ma che essa costituisca il contenuto, e sopratutto il risultato, unico e tangibile della visita è invece assai dubbio.

Si può essere sicuri che nessun patto è stato stretto, a più forte ragione aereo, a più forte ragione a tre. Ma che tanto Hitler che Gèimbèis si siano limitati -nella loro conversazione di due ore e mezzo -ad un semplice giro di orizzonte, è da escludere.

Come è noto, gli uomini che si sono incontrati -presente non Neurath ma Gèiring, la cui persona, date le sue ben note concezioni politiche, è di per sé stessa un programma -sono entrambi fautori e campioni di una stessa idea, quella di un blocco centro-europeo.

Quella che Gèimbèis enunciava a me come idea propria e cioé quella dell'« Asse Roma-Berlino» rappresentava (come V. E. avrà visto attraverso altre con.. versazioni avute dal Cancelliere lo stesso giorno) in fondo una idea comune Gombi:is-Hitler.

Gèimbos era venuto qui, sopratutto, per rendersi conto se e quali progressi Hitler avesse compiuto aH'interno e se egli si cr:eggesse ora saldamente in sella.. La sua visita lo ha persuaso di si. Ciò, naturalmente, deve avere costituito per lui un incoraggiamento e una spinta a ulteriormente perseverare nel programma politico centro europeo costantemente vagheggiato e accarezzato.

La minaccia è aggravata dal fat,to che la creazione di una zona neutra, annunciata da Addis Abeba con speciosi motivi, costituisce soltanto una moss,a strategica destinata a predisporre meglio l'adunata e la preparazione aggressiva delle truppe abissine. L'aggressione continuata e sanguinosa -documentata dal memoriale italiano -alla quale è sta,ta sottoposta l'Italia negli ultimi decenni, sta pe,r entrare così in una fase di maggiori proporzioni e di più larga portata di cui sono palesi i r;ravi e immediati pericoli, ai quali ragioni elementari di sicurezza impongono di reagire senza indugio. Il Comando Superiore in Eritrea ha pertanto ricevuto ordini di agire in conseguenza. Le truppe italiane stanno occupando talune posizioni avanzate». Annotazione di Suvich in testa al documento: «Approvato dal Capo>>.

Questo, a mio avviso, è il risultato più importante, anche se meno tangibile, della visita di Gombos a Berlino.

Alla visita di Gombos non è difficile assegnare anche altri obiettivi. I due uomini di Stato hanno parlato certamente della Cecoslovacchia. Questa essendo diventata, attraverso i noti trattati, la testa di ponte aviatoria delle forze antitedesche nel Centro Europa, è da ritenere che la Germania -auspice il Ministro dell'Aviazione del Reich -tenda ad assegnare una funzione analoga e quasi parallela, per quanto in direzione e senso opposti, alla Ungheria.

Ma un altro obiettivo immediato devono avere avuto le conversazioni di Berlino: quello di saggiare -se non preparare -il terreno per una possibile ripetizione da parte ungherese del gesto già compiuto il 16 marzo della Germania in materia di riarmo. A questo Ministro d'Austria risulta, in modo positivo, che l'Ungheria ha già comprato e sta comprando qui aeroplani, cannoni e tanks. Che l'Ungheria si prepari a seguire l'esempio della Germania è evidente. Essa dovrebbe esservi, del resto, incoraggiata dalla recente, farisaica nota HoareLaval, in cui l'Inghilterra dichiara apertamente di non ritenere (cosa ne dice la Piccola Intesa?) suscettibile di sanzioni il mancato adempimento unilaterale di trattati.

(Incidentalmente, mi sembra varrebbe la pena di accertare discretamente se e quale effetto la nota Hoare abbia prodotto su Budapest, ogni azione dell'Ungheria nel senso indicato potendo avere per noi in questo momento un non inutile valore agli effetti della situazione generale).

A parte, peraltro, questi ed altri risultati ed obiettivi minori, ripeto che il risultato più importante della visita di Gombos a Berlino è quello di avere confermato ed incoraggiato il Presidente del Consiglio ungherese nella sua politica di riavvicinamento alla Germania. È ovvio che di questo elemento -sebbene l'Ungheria dimostri di voler rimanere nel quadro delle sue attuali amicizie -tanto noi che l'Austria non possiamo non tener conto.

Gombos ha visto soltanto me e il Ministro di Austria.

Non ha visto Beck. Le voci di un accordo tripartito Ungheria-Germania-· Polonia sono, come ho già detto, assolutamente fantastiche. Fra l'altro, la Polonia, nella fase attuale delle sue relazioni internazionali, non può ancora prescindere dall'aLleanza con la Fmncia (1).

(l) Il testo del comunicato, n. 10, diramato dalla Stefani il 3 ottobre alle ore 12 e puntualmente comunicato a Londra e Parigi (T. 1767/376 (Londra) 603 (Parigi) R. del 3 ottobre 1935, ore l) sarà il seguente: <<L'ordine di mohilitazione generale in Etiopia, sotto la pressione dello spirito bellicoso e aggressivo, fomentato tra capi e gregari che hanno da tempo reclamato a gran voce e ultimamente imposto la guerra contro l'Italia, rappresenta una diretta ed immediata minaccia per le truppe italiame nelle nostre due colonie dell'Africa orientale.

(2) Non pubblicato.

227

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 1764/602 R. Roma, 3 ottobre 1935, ore 4.

Rinnovi a Laval mio apprezzamento per suoi tentativi trovare soluzione soddisfacente per ItaHa (2). Gli dica che ritengo sua proposta potrebbe essere da noi

presa in considerazione ed offrire utile base discussione. Rssa è giunta però quando necessità militari e politiche ci hanno costretti iniziare talune operazioni militari. Queste hanno in realtà scopo sicurezza e non offensivo, ma naturalmente non è possibile delimitare estensione, che dipende da reazioni parte avversa. Per conto nostro non avremmo difficoltà acché signa!!" liaval avanzasse sua proposta anche durante svolgimento attuali nostri movimenti destinati raggiungere indispensabili obiettivi militari di difesa. Lascio a Lavai scegliere modo e momento più opportuni, assicurandolo che ci mante;rr:mo in cordiale contatto con lui (1).

(l) -Il presente dooumento reca 11 visto di Musso!lni. (2) -Vedi D. 223.
228

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6518/199 R. Ankara, 3 ottobre 1935, ore 10,45 (per. ore 16,30).

Ho fatto a Ismet Pascià la preliminare comunicazione in base telegramma di V. E. n. 114 (2).

Ismet Pascià mi ha pregato far pervenire S.E. il Capo del Governo suoi ringraziamenti ed espresso speranza una definitiva comumcazione favorevole. Si rende conto gravi difficoltà del momento. Ma, se si vuole tentare mantenere Turchia nella non sfavorevole situazione attuale, occorre darle qualche cosa.

Ecco perché mi permetto insistere per una snln:?.iom~ cmant" nossibile conforme alle richieste turche.

229

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6530/0104 R. Vienna, 3 ottobre 1935 (per. il 5).

Il viaggio di Goemboes a Berlino non è stato commentato in alcuna guisa da questa stampa. Ma non per questo esso non ha prodotto viva impressionè in questa pubblica opinione, la quale può dirsi divisa, al riguardo, in due correnti: quella che lo definisce senz'altro più che una cattiva azione, e queUa invece, composta dai nazisti, dai nazionali, dai pangermanisti e dai noti elementi cristiano-sociali (Streeruwitz, Adam Schmitz ecc.) che lo considera come una provvida mossa, atta a produrre buone conseguenze per la normalizzazione dei rapporti austro-tedeschi.

Fra queste due correnti vi è quella delle sfere governative, essenzialmente sfavorevole, ma che va tuttavia dalla misurata osservazione di «non opportunità del viaggio» fattami da Schuschnigg (mio telegramma per corriere n. 0101 del 27 settembre) (l) alla viva e risentita riprovazione di Berger, e del Ballplatz.

Questo sentimento è stato rafforzato dalla visita che il mio collega d'Ungheria ha fatto ieri a Berger. Difatti detto mio collega, lungi dal dare concrete notizie sul convegno, si è limitato a respingere le osservazioni mossegli dal Berger, adducendo:

l) che il Ministro degli Esteri aveva tenuto a che Goemboes fosse accompagnato dal Direttore degli Affari politici, Bessenyey, appunto perché questi, fedele interprete della politica di Kanya, potesse opportunamente correggere gli eventuali eccessi di linguaggio e di atteggiamento del Presidente del Consiglio;

2) che la presenza del Direttore dell'Ufficio di Stampa ungherese (che Berger suppone aderisca alle correnti germanofile del suo paese) era stata richiesta da ovvie necessità d'ufficio;

3) che la presenza del deputato Merge (che Berger suppone essere anche di tendenze ultra .germanofile) era dovuta esclusivamente alla circostanza di un grosso affare concluso da detto parlamentare con un parente del Goering, circa la vendita in Germania di una grossa quantità di bestiame.

Ma questo Governo -e sopratutto la parte heimweherista di esso -è rimasta anche colpita da quanto ha riferito confidenzialmente Starhemberg, tornato ieri da lunghe caccie fatte in Ungheria. Le informazioni portate dallo Starhemberg sono nel senso che l'Austria dov.rebbe ormai diffida;re completamente del Goemboes, che si sarebbe assicurato l'appoggio di Berlino non solo per quanto riguarda l'attribuzione dell'intera Slovacchia, ma anche del Burgenland, consentendo così tanto alle mire nazionalsocialiste sulla Cecoslovacchia, quanto a quelle sulla stessa Austria. Inoltre Goemboes, pur senza ancora accedere ad un vero e proprio patto aereo, avrebbe stipulato con Berlino accordi per la fornitura di speciali armamenti, sopratutto in aeroplani. Infine Goemboes punterebbe adesso esclusivamente su Berlino, abbandonando del tutto Vienna e la stessa Roma. Giova però aggiungere che Starhemberg ha attinto le sue informazioni dagli elementi più vivacemente e notoriamente ostili al Goemboes.

Ad ogni modo può dirsi senz'altro che il viaggio di Goemboes a Berlino ha aumentato le già vive preoccupazioni austriache, accrescendo il già prevalente pessimismo sulla difficile situazione dell'Austria. Anche per questo Berger attende con mal celata impazienza le spiegazioni che sarà per dargli Goemboes, che ha annunziato una sua prossima visita a Vienna.

Ad ogni buon fine aggiungo che qui si insinua la voce -non so bene se proveniente dai circoli nazisti o dai circoli ginevrini -che il viaggio di Goemboes ad altro non sia da as·criversi che ad una ambasciata del Duce a Hitler, nel senso che, contro l'impegno di forniture di materie prime tedesche, l'Italia sarebbe disposta a chiudere un occhio sulle sorti dell'Austria. Ho creduto di riferire subito tale insinuazione a Berger, che ne era già a conoscenza.

(l) -Con T. 6453/680 R. del 3 ottobre 1935, ore 14,55, Cerrutl comunicava di essersi espresso con Lava! come ordinatogli. Con T. 1814/390 (Londra) 434 (Washington) R. del 7 ottobre 1935, ore 24, Suvich dette a Grandi e Rosso riservata informazione del passo francese e della risposta di Mussolini. (2) -Vedi D. 170, nota l p. 153.

(l) Ved1 D. 194.

230

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 3 ottobre 1935.

L'Ambasciatore di Gran Bretagna viene a dirmi che il Govemo dnglese ha capito dallo scambio di idee avvenuto tra Grandi e Vansittart (l) che l'Ital~a non esclude un ulteriore sforzo a Ginevra per trovare un regolamento della situazione itala-etiopica.

Hoare da parte sua farà tutto il possibile perché questa porta rimanga aperta; egli ritiene che una iniziativa al riguardo potrebbe essere presa dall'Italia in risposta alle iniziative prese dalla Gran Bretagna. È dunque con soddisfazione che il Governo inglese ha appreso le comunicazioni fatte a nome del Capo del Governo italiano. Tuttavia il Governo inglese è rimasto turbato dal comunicato odierno (2). Esso spera che le misure militari prese non abbiano l'effetto di chiudere quella porta o di rendere difficile di tenerla aperta. Nel caso che così non fosse egli pensa che la responsabilità del Governo italiano sarebbe molto grande e molto penosa.

Il Governo inglese spera che non si tratti che di qualche movimento di piccola importanza come aumento di sicurezza. In tal caso la porta rimarrebbe aperta.

Al contrario, se le misure rappresentano un ricorso alla guerra, il Governo britannico vedrebbe l'avvenire con grande preo·ccupazione ed avrebbe l'impressione che la possibilità di un regolamento pacifico che ancora oggi esiste e la cui soluzione è stata prospettata anche nelle dichiarazioni del Capo del Governo sarebbe resa difficile se non eliminata.

Il Governo britannico prega con tutta sincerità il Governo italiano di usare della massima prudenza e moderazione per non dovere essere accusato di avere scatenato la guerra.

Rispondo all'Ambasciatore che i movimenti sono stati determinanti da ragioni di sicurezza. Nel quadro generale della nostra situazione militare di fronte all'Etiopia noi siamo sulla difensiva e dobbiamo scegliere il momento e le misure che aumentano la nostra sicurezza.

Il Comunicato odierno ha spiegato già le ragioni per cui noi abbiamo dovuto avanzare. Dopo l'allienamento su determinate posizioni ci sarà con tutta probabilità una sosta.

Non si può dire quello che avverrà poi perché questo dipenderà dall'atteggiamento degli abissini e non si può escludere che noi dobbiamo prendere altre misure di sicurezza.

Noi siamo stati costretti alle misure odierne dall'atteggiamento di Ginevra che ci ha completamente deluso, e che avendo fatto delle offerte brillanti agli abissini ha aumentato la loro albagia ed il loro atteggiamento minacc[oso.

19 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

Oggi siamo di fronte alla mobilitazione generale che riunirà sotto le ba!'ldiere abissine un milione di uomini. È chiaro che se non altro per la sproporzione del numero noi siamo sulla difensiva. Noi non abbiamo intenzione di chiudere nessuna porta e prendiamo atto delle buone disposi~ioni del Governo inglese (l).

(l) -Vedi D. 189. (2) -Vedi D. 225, nota l p. 213.
231

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 3471/2184. Vienna, 3 ottobre 1935 (per. il 5).

Mio telegramma n. 192 in data odierna (2). Onorami accludere i testi dei documenti che Berger ha rimessi a von Papen, relativamente alle note proposte di quest'ultimo (3). Berger, nel consegnarmeli, mi ha detto che essi rappresentavano il punto di vista della sua «segreteria privata».

Senonché, da una attenta lettura di essi documenti, e specie di quello intitolato « Referentenentwurf », appare chiaramente trattarsi di un controprogetto austriaco, atto a sbocoa,re in un vero e proprio accordo diplomatico austro-tedesco.

Inoltre tale documento, pur seguendo in massima la linea indicata nel mio telegramma per corriere n. 087 (4) del 27 agosto, dà alle parole pronunciate dal Cancelliere nel maggio scorso: «l'Austria si professa quale Stato tedesco,, un'interpretazione su cui mi permetto di attirare tutta l'attenzione di V.E.

Intanto -e me lo ha riferito Bergex -o lo stesso von Papen, od elementi di questa Legazione di Germania, hanno già dato notizia alla stampa inglese «che il Governo austriaco aveva considerate le proposte avanzate dal von Papen come una possibile base di discussione ». In tal senso si è difatti espresso questo rappresentante del Times, recatosi stamani all'Ufficio Stampa del Ballplatz a chiedere chiarimenti, che peraltro non gli sono stati dati. Il che fa vedere quanto la Germania conti di sfruttare, nei rispetti di questa opinione pubblica e dell'opinione internaz-ionale, un eventuale suo distretto accordo con l'Austria.

Ora non v'ha dubbio che questo Governo ha temporeggiato quanto più poteva, durante ben tre mesi, per schivarsi dal dare, prima della sperata conclusione del Patto danubiano, una risposta al von Papen; come non può non rilevarsi 1a forma non ufficiale con cui essa è stata adesso data, onde ri:servaa-e, almeno formalmente, la decisione finale al Governo. Ma tutto ciò non toglie, a parte il contenuto del contemplato accordo, l'impressione ed il pregiudizio che derivereb

berò, in assenza d'un Patto danubiano, dalla conciusione d'una intesa diretta austro-tedesca.

Giudicherà V.E. se e quali osservazioni io debba fare nei riguardi del controprogetto austriaco, specie per quanto riguarda il punto II, nonché nei rispetti della forma e dell'epoca in cui potrebbero concretarsi i chiarimenti in corso fra Vienna e Berlino.

Mi risulta che von Papen è partito ieri alla volta di Berlino, evidentemente per rimettere di persona la risposta austriaca.

In fine mi consta che Hornbostel, a titolo del tutto personale, ha sommariamente informato il mio collega francese della predetta risposta austriaca. Il sig. Puaux è venuto a dirmelo, non nascondendo una certa preoccupazione. Da parte mia gli ho detto che anch'io ero a conoscenza che una risposta era stata data (1).

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG, ALL'AMBASCIATORE DI GERMANIA A VIENNA, PAPEN

L. Vienna, 1• ottobre 1935.

V. E. mi ha consegnato 1'11 luglio del corrente anno un appunto personale contenente l'abbozzo di un accordo da concludere fra i nostri due Governi (2).

Mi onoro ora di trasmettere a V. E. qui allegato un contro progetto preparato dal competente relatore del Ministero aggiungendo che H Governo federale non ha finora preso posizione circa il contenuto del contro progetto stesso. Nel caso che V. E. desiderasse ora entrare in trattative con me, a nome del Governo del Reich, sulla base dei due documenti suddetti, io sono volentieri a disposizione di V.E. per questo scopo nei prossimi giorni.

ANNESSO I PROGETTO DEL RELATORE

Allo scopo di ricondurre gradualmente e il più soHecita.menrte pos&bile le relazioni tra lo Stato Federale austriaco ed il Reich a condizioni normali, nella persuasione che lo sviluppo complessd.vo della sitwaziooe europea per il mantenimento della pace ne riceverebbe un pregevole d.mpulso,

nella considerazione che la distensione ded. rrappoil"iti, desidera-ta da tut;te e due le partii, si potrebbe realizzare soltanto se talune condizioni prelimd.naril. venissero adempiute dagli stessi Govemi dei due Paesi,

il Governo I<,ede!'ale austriaco ed il Governo del Reich convengono quanto segue:

D n Governo del Reich mconosce H regime vigente d.n Austria.

A termine della dich:Larazione del Fiihrer e Cancelliere del Reich del 21 maggio 1935 che: «La Germania non ha né l'dntenzione né la volontà di ingerirsi nelle condizioni interne dell'Austxia, e di annetterla o di assormr1a coll'Anschliuss », n Governo del Reich non eserciterà sull'andamento della politica interna dell'Austria alcuna influenza. né diretta né indiretta.

a) Esso riconosce che il movimento naz.ionalsocialista :in Àustria, per il qwaie è attualmente wetata ogni attività, è esclusivamente una questione di poliitica !interna dell'Austria stessa.

b) Esso curerà che le associazioni di cittadini federali austriaci esistenti nel Reich cioè tutte le Società, Circoli e leghe che nel Reich si occupano della tutela di !interessi di cittadini federali austriaci, svolgano opera esclusivamente cari.ltatevole e che questa loro attività non venga impedita, in quanto essa non sia contraria alle leggi vigenti nel Reich.

c) Esso provvederà affinché le norme contenute neU'articolo I vengano osservate dal partilto naz.ionalsocialista, che governa lo Stato e da tutte le sue organizzazioni.

II) Il Governo Federale austmaco riconosce che il nazional-social:isrno è la dottrina statale del Reich.

Il Governo Federale austriaco conformerà la sua politica generale, particolarmente quella verso il Reich, alle dichiamz,ioni del Cancelliere Federale pronunciate il 29 maggio 1935 « che l'Austrla si riconosce come Stato tedesco».

Esso provvederà affinché le assocd.azioni fra c~ttadini gerrnanicd esistenti in Austria non vengano ostacolate neHa loro attività f~ntantoché esse si confoocmino alle direttive contenute nei loro statuti, approvati dalle Autorità austriiache e purché esse non si ingeriscano in questioni interne austriache e non cerchino di influenzare con la propaganda i cittadini federali austriaci.

III) In particolare si conviene inoltre:

a) Stampa.

Ciascuna delle due parti influirà sulla stampa del proprio Paese affinché essa si astenga da ogni ingerenza politica sulle condiz.ioni dell'altro Paese e perché limiti la sua cl'litica obiettiV"a alla situaz.ione dell'altro Paese in modo tale da non ferire l'opinione pubblica dell'altro Paese. Questo obbligo si Iifemsce anche alle pubblicazioni dei fuorusciti che si trovino nei rispettivi Paesi.

Giascuna delle due parti prenderà in esame la graduale revoca dei diVìieti d'introduzione di giornali e stampati dell'altra in proporzione alla distensione che, mediante questo accordo, sarà ottenuta nei reciproci rapporti fra i due Paesi.

b) Radio, Films, Informazioni e Teatri.

A questo proposito le due parti contraenti si obbligano di astenersi subito da ogni aggressività contro l'alt11a parte, a termiilli. dei suaccennati accordi (art. l e 2). A tale riguardo verrà presa in esame una graduale revoca delle norme attualmente esistenti che ostacolano lo scambio, sulla base della completa reciprocità.

c) Questione dei fuorusciti.

Tutte e due le parti sono animate dal desiderio cl:i contribuire, mediante la reciproca buona volontà, ad una soluzione ii:l più possibile soddisfacente del problema degli austriaci nazionalsoci,alisti emigrati nel Reich.

Il Governo austriaco, non appena le circostanze glielo permetteranno, si occuperà dell'esame di questa questione e ne comunicherà il risultato al Governo germanico.

d) Distintivi statali e inni nazionali.

mascuno dei due Governi consente ai cittadini dell'a1tro dii. portare distintivi statali del loro Paese -come pure analogamente di cantare l'inno nazionale -in riunioni chiuse frequentate esclusivamente da ctttadini dell'altro Stato.

e> Limitazioni turistiche.

Tutte e due le parti sono animate dal desidelrio di revoca.re al più presto grndualmente le l!i.mitaz.ioni esistenti nei confronti del turismo dell'altro Paese, in proporzione ai favorevoli effetti che si spera deriveranno dal presente accordo per i rapporti tm [ due Paesi e, possibilmente, di abolirle del tutto.

f) Risoluzione di contestazioni e reclami. Per 1a !I'isoluzione dd contestazion~ e di reclami che potrebbero nascere in relazione col suddetto accordo, verrà nominata una Commissione composta di tre personalità competentli di ciascun Paese. Essa ha il compito di mantenersi in regolare contatto circa gli effetti dell'accordo e di manifestare il suo avviso per eventuali necessarie aggiunte.

ANNESSO II OSSERVAZIONI DEL RELATORE

a) Il relatore si è attenuto in generale alle idee fondamentali e spesso anche ai termind usam nel progetto del Signor Inwato Straordinario di Germania.

b) Nel preparare il presente progetto il referente si è lasciato guidare dal pensiero che:

l. !',inserire nel progettato accordo numerose disposizioni singole lo avrebbe inutilmente complicato rendendone dubbia Ia sua pratica ed effettiva applicazimle;

2. che un complesso di disposizioni singole renderebbe necessarie minuziose consultazioni con altl1i. uffici, con conseguente notevole ritardo per la preparazione di questo atto che, evidentemente, contempla solo un accordo di principdo.

c) Secondo l'opinione del relatore questo accordo che si sta trattando, dopo la sua conclusione, dovrebbe essere pubblicato contemporaneamente e integralmente da ciascuno dei due Governi per impedire in questo modo ogni erronea interpretazione da parte del pubblico.

(l) -Annotazione a margine: «Visto dal Capo del Governo». (2) -Con T. 6459/192 R., pari data, ore 14,12, Preziosi aveva preannunziato l'invio di questo telegramma. (3) -Vedi D. 283. (4) -Vedi serle ottava, vol. I, D. 832. (l) -Il presente documento reca 11 visto di MussoUni. (2) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 523.
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IL CONTE VERNARECCI DI FOSSOMBRONE AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Roma, 3 ottobre 1935.

A seguito del nostro colloquio di ie~i sera, desidoco ancora segnalare le seguenti circostanze, perché Ella possa metterle in rapporto con l'odierna situazione:

1°) che il signor Frank sino dal principio del mese scorso (come da mia lettera a Lei diretta in data 5 settembre) mi faceva avvertire che desiderava conferire con me e pregare di recarmi da lui al più presto;

2°) che incentratomi con lui a Norimberga, dopo avermi informato sulle favorevoli disposizioni del Gabinetto, mi faceva presente che il Reich era oggetto di vivissime pressioni da parte britannica. Aggiungeva che la questione Austria era stata in quei giorni ripresa in esame dal Gabinetto, ed insisteva, in forma di accorata esortazione e, potrei dire preghiera, perché io gH sottoponessi una formula conciliativa prima che altri avvenimenti ne frustassero il valore ed il risultato. Mi pregava infine di rimettermi in contatto con lui di urgenza (mia lettera 24 settembre) e possibilmente prima della fine di settembre.

Da tutto ciò è facile dedurne che il Frank voleva avvertirmi che erano imminenti, se non in corso, pressioni dell'Inghilterra sul Reich per l'adesione di quest'ultima ad un eventuale blocco contro l'Italia, offrendo come contropartita ·concessioni sull'Austria. (Le dissi nel nostro colloquio del 29 settembre u.s. (1). che in una conversazione da me colta a volo la sera del 15 settembre al Grand Hotel di Norimberga fra von Neurath e von Ribbentrop, appresi che quest'ultimo doveva recarsi a Londra. Credo che vi sia stato prima del suo viaggio in Belgio).

Sia perché l'Inghilterra, nonostante gli accordi, è pur sempre impopolare in Germania, sia per l'amicizia personale del Frank, credo che egli desiderasse (e desideri, se ancora in tempo) che un addentellato più concreto fosse stabilito nelle .conversazioni f·ra Italia e Germania, prima che la situazione fosse pregiudica;ta dall'intervento Inglese. Credo che questo fosse anche il pensiero del Governo: fra l'Inghilterra e l'Italia, la Germania sceg.Iierà sempre l'Italia. Ma bisogna giungere in tempo.

Per questo mi permetto di confermarLe la mia impressione personale, e cioé che non vi sia un giorno da perdere se non si vuoi correre il rischio di vedersi sfuggire -sempre subordinatamente a quanto già ho fetto -la pedina germanica.

Io penso che sia possibile prospettare alla Germania anche un accordo Italia-Germania-Francia (pur non nascondendomi la grande difficoltà costituita, come già Le dissi, dall'accordo franco-russo): la formula iniziale, però, dovrebbe essere redatta 'in modo da dar l'impressione che l'accordo intervenga principalmente fra Italia e Germania, con l'intervento della Francia per quanto riguall"da determinati aspetti, ed in particolare per ciò che riguarda gli impegni ormai esistenti fra Italia e F1rancia. Nel corso delle conversazioni, poi non è improbabile che la formula possa essere allargata.

In tale caso, bisognerebbe manovrare in modo da farsi merito delle trattative di accordo sia presso la Francia che presso la Germania. A tal uopo, ove Ella lo credesse opportuno -dopo ave'!." appurato l'attuale situazione germanica, e dopo che il Governo francese fosse stato avvertito dalla possibilità da parte nostra da un'opera di mediazione in tal senso -io potrei procurare ad un fiduciario del Governo francese un colloquio confidenziale con Frank (che è bene non escludere mai per averlo in ogni caso alleato) e con Ribbentrop, nonché, appena le conversazioni siano abbastanza mature, con Io stesso Hitler. Io presenterei naturalmente il fiduciario francese come un mio amico personale, e questo potrebbe far aprire alla Francia qualche porta che oggi le sia chiusa.

Se Ella crede, io potrei anche recarmi a Parigi, dove non mi mancano relazioni in circoli che ho ragione di ritenere autorevoli nel momento attuale, e .dove la mia quaHtà di invalido e decorato de!.la Grande Guerra e di nipote di un ufficiale francese caduto eroicamente alla battaglia della Marna può anche essere considerata con simpatia.

Ma per tutto ciò, a mio modesto avviso, è nec·essario: l) che non sia oltre ritardato; 2) che io abbia di fronte al Reich mandato esplicito e preciso, per modo che io possa assumere una posizione impegnativa e ben definita.

(l) Vedi D. 204.

233

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6632/201 R. Bruxelles, 4 ottobre 1935, ore 1,50 (per. ore 5,30).

Sebbene la coalizione delle forze antifasciste ed il complesso delle aderenze anglofili si mantengano qui assai forti, devo tuttavia registrare una larga opposizione che ha origine nella natura stessa della Nazione, istintivamente avversa allo spirito di avventura e quindi repugnante ad entrare comunque in un conflitto che non la riguardi. Le finalità ideologiche del Oovenant vanno peTdendo rapidamente di valore presso tutti coloro (e sono assai numerosi), i quali ravvisano nelle sanzioni, anche soltanto economiche, un danno per i loro interessi.

Accanto a questa opposizione passiva e di carattere economico, si aggiunge nel campo sentimentale quella attiva di alcuni considerevoli nuclei del popolo belga. Prime fra tutte le varie associazioni combattentistiche, con ogni forma di manifestaZiione (,mdini del giorno, affissi, riunioni) che danno già luogo a incidenti fra dimostranti di parte contraria.

Ai R. Uffrici ed a priVJati cittadini italiani, qui domiciliati, giungono quotidianamente lettere e attestati di simpatia per la nostra causa e lo stesso blocco della stampa (finora quasi esclusivamente interprete della tesi avversaria) comincia ad offrire dei punti di presa.

Non posso assicurare V. E. che questi pratici e sani feTillenti riusciranno a trionfare nel Belgio sulla pregiudiziale ginevrina, ma ritengo per fermo che questo Paese nel suo insieme si augura vivamente che l'atteggiamento della Francia o di altre Potenze gli consenta di poter invocare la mancata unanimità in seno al Consiglio della Lega per sottrarsi agli impegni così legge.rmente assunti dal Primo Ministro. Ad ogni modo, anche in caso diverso, il peso della coscienza pubblica obbligherà questo Governo ad andare cauto nell'adozione di sanzioni contro l'Italia.

234

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T.l778/234R. (1). Roma, 4 ottobre 1935, ore 2.

Secondo notizie di fonte inglese, il Governo tedesco non sarebbe alieno dall'associarsi a sanzioni di carattere economico contro l'Italia. Interroghi Neurath e riferisca (2).

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta d! Attol!co vedi D. 238.
235

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1779/378 R. Roma, 4 ottobre 1935, ore 2.

Puoi far sapere, avendone l'opportunità, che se invitata l'Italia è disposta a mandare a Londra i suoi esperti navali per conversazioni preliminari sulla prossima conferenza navale (1).

236

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6498/829 R. Londra, 4 ottobre 1935, ore 2,33 (per. ore 11,45).

Nell'assenza Hoare, ho fatto stamane a Vansittart la comunicazione prescrittami col telegramma n. 375 (2).

Vansittart ha letto attentamente comunicato n. 10 della stampa, di cui gli ho lasciato copia, discutendo sull'inizio delle nostre operazioni militari di sicurezza in Afrioa orientale.

Ho attirato confidenziale attenzione di Vansittart su tutti punti del comunicato 10, insistendo sulla necessità in cui si trova ormai l'Italia di agire per difendere sicurezza delle sue colonie di fronte alla diritta e immediata minaccia rappresentata dalla mobilitazione generale ed dai preparativi di una imminente aggressione da parte delle truppe del Negus contro le truppe italiane. Ho aggiunto che la nostra azione è resa necessaria, oltre che dalle ragioni esposte nel comunicato, anche dalle pressioni degli avvenimenti, che hanno reso indispensabile l'invio in Africa di un forte contingente con tutte le conseguenze che ne derivano e che rendono necessarie tutte le più ampie misure di cautela.

Vansittarrt ha risposto prendendo atto della mia comunicazione, dicendomi che egli ,la considerava deUa maggiore gravità.

Venendo poi all'esame del nostro comunicato, egli si è soffermato su quanto è detto circa le ragioni di sicurezza, che hanno determinato la nostra azione circa necessità da parte nostra di prendere più ampie misure cautela.

Io gli ho illustrato ampiamente questo punto in base telegramma del Duce.

Vansittart mi ha risposto che a nome del Governo britannico egli desiderava esprimere al Duce speranza che azione dell'Italia non sarebbe andata oltre limiti imposti dalla necessità sicurezza e non avrebbe assunto una tale ampiezza e carattere da chiudere strada alla possibilità di una soluzione che il Consiglio

della S.d.N. potrebbe ricercare su nuove bas<i. Egli ha aggiunto: «Nell'ultimo col1oquio che ho avuto con voi (l) ho accennato, pe1r ogni eventuale possibilità, che il Consiglio S.d.N., nel redigere il suo rapporto e nel fare le sue :raccomandazioni, riveda le proposte formuiate da comunicato n. 5. Hoare poi vi ha dichiarato che ove il Duce prendesse iniziativa di negoziati, Governo britannico non chiuderebbe la porta a tale iniziativa».

Ho risposto a Vansittart che avevo trasmesso naturalmente subito al Duce la dichiarazione di Hoare. Quanto alla possibilità che il Consiglio riprenda su nuove basi esame del problema etiopico, io non ricordavo affatto che egli mi avesse fatto un tale accenno, ma che ad ogni modo ne prendevo atto e ne avrei informato V.E.

Durante intero corso del colloquio Vansittart ha cercato mettere in rilievo da una parte la viva preoccupazione del Governo britannico per decisione presa dall'Italia, dall'altra fatto che la strada per possibili negoziati deve considerarsi sempre aperta.

Data impossibilità di conferire con Hoare nella giornata, ha creduto opportuno riassumere a Vansittart, nei suoi punti principali, anche il contenuto del messaggio che il Duce mi ha ,incaricato fare a Hoare (2). Ho detto a Va.nsittart che mi riservavo di fare, personalmente ed in modo dettagliato, tale comunicazione a Hoare, non appena mi fosse stato possibile mettermi materialmente in contatto con lui (3).

(l) -Con T. 6675/858 R. del 7 ottobre 1935, ore 20,48, Grandi informava di aver fatto a Vam.sittart la comunicazione ordinatagli e chiedeva l'autorizzazione a darne notizia attraverso la stampa. suvich rispose: «La comunicazione di cui al telegramma n. 378 è da considerarsi riservata. Potrà invece essere data pubblicità all'invito inglese quando esso sarà pervenuto e alla nostra accettazione» (T. 1830/395 R. del 9 ottobre 1935, ore 24). (2) -Vedi D. 218.
237

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6495/164 R. Mosca, 4 ottobre 1935, ore 3,10 (per. ore 5,30).

La persona che è qui ritenuta di essere portavoce ufficiosa di questi circoli governativi, venuta oggi all'Ambasciata, in una conversazione confidenziale con questo Consigliere, ha insistentemente accennato all'opportunità che i contratti di forniture in discussione tra l'Italia e l'URSS, ricevano sollecito definizione.

Sebbene non esplicitamente detto sembll."a che tale suggerimento debba interpretarsi come preoccupazione di questi C·i·rcoli responsabili sulle ripercussioni che potrebbero avere nei rapporti tra i due paesi eventuali decisioni a Ginevra di sanzioni economiche ai nostri da.nni. Sanzioni, a1le quali, se pure malvolentie>ri, l'URSS sente di non potersi fnrmalmente disas·soc~iarsi, mentre, d'altra parte, almeno per quanto riguardala cerca di limitarne le conseguenze.

Mi riservo di ritornare, se del caso, su tale argomento, dopo opportuni controlli.

(l) -Vedi D. 190. (2) -Vedi D. 224. (3) -Vedi D. 250.
238

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTE!U, MUSSOLINI

T. 6502/237 R. Berlino, 4 ottobre 1935, ore 13,25 (per. ore 14,20).

Telegramma di V.E. n. 234 (l).

Von Neurath non è qui. Lo avevo già cercato appunto per sondarlo sulla questione ora prospettatami da V.E. Anche von Btilow è in congedo; vedrò comunque preliminarmente Koepke, in attesa poter vedere von Neurath almeno lunedì.

È mia prima impressione che notizie di fonte inglese siano piuttosto capziose. Ho però ragione ri·tenere che sopra l'atteggiamento Germania potrà averre un certo peso quello Stati Uniti. Praticamente, poi, questione che ci interessa è anche strettamente 1egata ad atteggiamento Sviz21era, sui cui valichi ora l'iposano pressoché tutti i nostri approvigionamenti carbone tedesco.

239

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6506-6508/688-689 R. Parigi, 4 ottobre 1935, ore 17,30 (per. ore 20,30).

Ho veduto Lavai. Mi ha detto che Eden non aveva portato nulla di nuovo da Londra. Lavai gli parlò della sua proposta circa mandato all'Italia delle colonie abissine e mandato intenl'azionale sull'Abissinia amarica (2). Esaminarono insieme la carta italiana della regione e Eden osservò che Abissinia era ridotta a ben poco escludendo persino capitale. Eden osservò pure che Caffa è regione fertile e potrebbe con qualche altra terra bastare perfettamente all'Italia come mandato diretto.

Ho risposto a Lavai che speravo non si volesse commettere in Africa, dove la terra non aveva alcun valore, gli ermri commessi dai trattati di pace in Europa. L'Italia doveva avere in Africa continuità territoriale e non tanto isole in mezzo ad un mandato internazionale. Lavai mi ha detto che comprendeva e che del resto eravamo !ungi dal potere entrare in questi dettagli.

Egli si reca questa sera a Ginevra. Mi ha detto che primo argomento sarà stabilire chi è aggressore dopo di che saranno applicate contro di lui le sanzioni che saranno esclusivamente di natura economica e comsisteii'Ianno nella interruzione delle relazioni commerciali Francia ed aggressore ed altri membri della S.d.N.

Ho escluso con Lavai che l'Italia possa essere considerata Stato aggressore. Sentenza arbitrale per Ual-Ual, ancorché iniqua nelle conclusioni, riconosce

aggressione dell'Etiopia. Noi abbiamo ora iniziato operazioni per impedire il ripetersi di simili aggressioni.

Lavai insiste allora perché Aloisi difenda posizione deLl'Italia e non riceva questa volta istruzioni di astenersi dall'aprire bocca. Occorre che sia un avvocato molto vivace. In tal caso egli Lavai potrà cer~are di pol"ll"e in evidenza ragioni dell'Italia ma non si può ottenere che si faccia spontaneamente nostro difensore.

Quanto alle sanzioni ho detto a Lavai che era stupito di quanto mi aveva detto perché provvedimento mi sembrava g'ravissimo. Egli mi ha risposto che suoi sforzi tenderanno ad ottenere che sia graduato ed applicato da principio in modo parziale e blando, salvo ad aumentarne severità in seguito. Ho ribadito che così facendo Ginevra avrebbe fatto il giuoco della Germania perché era questa che ne avrebbe profittato doppiamente, perché avrebbe realizzato dei buoni affari e avrebbe guadagnato in più riconoscenza dell'Italia. Mi parve che argomento facesse impressione su Lavai che osservò avere rilevato stamane con stupore da una corrispondenza Berlino al Journal che opinione pubblica tedesca non era favorevole all'Italia. Risposi che notizia non mi aveva stupito affatto perché sapevo che i nazionalsocialisti non avevano scordata mobilitazione al Brennero dopo uccisione di Dollfuss. Se però fossero applicate sanzioni della natura di quelle da lui menzionate i tedeschi ne avrebbero indubbiamente profittato.

Lavai mi domandò inoltre se potevamo contare su qualche amico nel Consiglio S.d.N. Accennai eventualmente al Cile; mi rispose che Cile vuole seguire Inghilterra e Francia. Se però Francia facesse politica contro l'Inghilterra seguirebbe la Francia.

Presidente del Consiglio mi ha infine parlato dell'opinione pubblica francese molto favorevole all'Italia dicendo che, a suo modo di vedere, si esagerava in nostr'O favore, si ,scordava di dover essere innanzi tutto francesi. Ragioni di politica interna influivano eccessivamente sulla politica estera. Egli contava fare pubblicare questa sera un invito a maggiore ponderazione. Non vi è dubbio che Eden dovette influire ieri in questo senso con Lavai. Avevo del resto avvertito

V.E. che mi risultava esistere grande irritazione all'Ambasciata inglese per italofilia dell'opinione pubblica francese. Rochat mi aveva detto, poco prima che vedessi Lavai, che egli calcola che gli italofili superino il 70 % e confidato che manifestazioni contrarie alle sanzioni, che giungono alla Presidenza del Consiglio da ogni parte, sono numerosissime.

(l) -Vedi D. 234. (2) -Vedi D. 223.
240

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 6517/194 R. Vienna, 4 ottobre 1935, ore 19,16 (per. ore 22,30).

Starhemberg mi ha pregato stamane rappresentare S.E. Capo del Governo suo desiderio visitarlo nella seconda metà del mese, nel giorno e nella forma che saranno prescelti dall'E.S.

Starhemberg, ottemperando così anche a voti del Cancelliere, desidererebbe sopratutto conoscere pensiero Duce su attuale situazione internazionale, per opportuno orientamento.

Starhemberg ha aggiunto che Cancelliere è all'unisono con lui nel sentimento di intera solidarietà col nostro Paese (l).

241

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6516/690 R. Parigi, 4 ottobre 1935, ore 19,20 (per. ore 21,20).

Te1egramma di V. E. n. 584 (2). Ho fatto avvicinare da persona di mia assoluta fiducia il Marchese De Vogue, Presidente della Compagnia del Canale di Suez. Il Marchese De Vogue, senza alcuna reticenza e nella maniera più esplicita, ha dichiarato:

1° -la chiusura del Canale come sanzione è esclusa; 2° -la convenzione è esplicita nelle clausole relative alla neutralità del Canale in tempo di guerra; non è [dipendente] dalle disposizioni del Covenant;

3° -soltanto un atto di forza dell'Inghilterra potrebbe impedire il libero uso del Canale all'Italia;

4° -la Compagnia ha la ferma volontà di non prestarsi a manovre ai danni dell'Italia;

5° -la riunione di questi giorni non ha alcun carattere speciale; non si tratterà neppure della questione; 6° -ha fatto personali ampie dichiarazioni di simpatia per l'Italia e la sua causa.

242

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 1785/429 R. Roma, 4 ottobre 1935, ore 20.

Secondo notizie di fonte inglese si eserciterebbero pressioni su Governo Stati Uniti perché esso si associ a sanzioni carattere economico contro Italia. Indaghi presso ambienti competenti e mi teleg~afi (3).

(l) -Con T. per corriere 11314 P.R. del 7 ottobre 1935 Suvich comunicava che la vislta avrebbe potuto aver luogo tra 11 15 ed il 30 ottobre. Per 1 successiVi sviluppi vedi D. 440. nota 3. (2) -Con T. 10914/584 P.R. del 28 settembre 1935, ore 24, Suv!ch aveva incaricato Cerruti d! seguire le riunioni del consiglio della Società del Canale di Suez. (3) -Per la risposta di Rosso vedi D. 243.
243

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6640/466 R. Washington, 4 ottobre 1935, ore 19,50 (l) (per. ore 6,30 del 5).

Telegramma di V.E. n. 429 (2).

Come già ho riferito con mio telegramma n. 463 (3) Segretario di Stato ha smentito qualsiasi azione o pressione da parte di Governi esteri. Beninteso smentita ufficiale non esclude per se stessa che pressioni siano state o vengano esercitate. Finora però non ho raccolto alcun elemento positivo di prova nè in senso affermativo, nè in senso negativo. Poiché Ambasciatore d'Inghilterra è assente da oltre due mesi, debbo ritenere che contatti fra i due Governi vengano mantenuti tra For,eign Office e Ambasciato·re Bingham. Comunque svolge!l"ò ulteriori indagini, riservandomi di riferire nuovi elementi che mi risultassero.

Intanto sta di fatto che mentre Segretario e Dipartimenti di Stato sono sempre stati e sono tuttora tendenzialmente disposti a cooperare con l'Inghilterra, tale tendenza è ostacolata da forte corrente isolazionista. Di più, legge sulla neutralità, votata agosto scorso dal Senato, ha limitato considerevolmente libertà d'azione del potere esecutivo, al quale venne lasciata sola latitudine di decidere circa lista delle merci che potranno essere soggette ad embargo per entrambi Paesi belligeranti. Poiché questa situazione deve essere ben nota a Londra, non riesco ;a vedere che cosa Governo britannico potrebbe attendecr:si da quello amedcano se non forse larga interpretazione del termine «materiali di guerra soggetti ad embargo », oppure una qualche manifestazione di adesione morale alle sanzioni. Mentre quest'ultima avrebbe valore essenzialmente platonico persisto a credere che difficoltà tecniche e ragioni di politica interna indurranno Presidente Roosevelt a proclamare embargo soltanto sul materiale da guerra vero e proprio.

244

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 11451/167 P.R. Mosca, 4 ottobre 1935, ore 20,fli (per. ore 1,30 del 5).

Con telespresso n. 4418, spedito per corriere ieri (4), ho riferito circa conversazioni tra incaricato monopolio carbone del Ministero delle Comunicazioni ed enti sovietici per nota fornitura carbone qualità M. B. In sostanza, previo accertamento quantità qui disponibili, carbone potrebbe essere fornito dietro pagamento valuta estera (non lire italiane). Inoltre desiderasi sapere se U.R.S.S. possa contare fornitura stabile carbone nostro monopolio anche in avvenire.

In successiva conversazione privata tra detto incaricato e personalità sov~etica, questa ha consigliato sollecitare definizione contratto che potrebbe venire concluso a condizione pagamento maggior parte in valuta.

Detta conversazione, come anche altra offerta ricevuta dallo stesso connazionale quale rappresentante Marelli per immediata def<inizi:one contratto fornitura motori ad ente sovietico (mio telegramma n. 166) (l) conferma pienamente notizie riferite a V. E. con mio tel. risea:-va.to 164 (2) al quale mi richiamo.

Prego V. E. volersi compiacere di telegrafarmi se R. Ambasciata debba spingere sollecita stipulazione contratto carbone alle c'ondizioni indicate (3).

(l) -Ora di washtngton. (2) -Vedi D. 242. (3) -Non pubblicato. (4) -Non rinvenuto.
245

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6524/238 R. Berlino, 4 ottobre 1935, ore 20,26 (per. ore 22,30).

Mio teleg1ramma n. 237 C 4).

Ho veduto Koepke. Finora Inghilterra non ha rivolto alla Germania alcuna il'ichiesta di adesione a sanzioni. Si•amo rimasti intesi che, nel caso, ne sarò immediatamente prevenuto perché io possa tempestivamente svolgere sia con Neurath, sia eventualmente con lo stesso Cancelliere azione necessaria.

Nella conversazione ulteriormente seguita (e nella quale ho ampiamente sviluppato tutti i punti questioni militanti nostro favore) mi sono confermato nell'idea che su contegno Germania non potrà non avere un certo peso condotta altri Stati neutrali, non appa;rtenenti alla S.d.N. (5).

246

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 6517/692 R. Parigi, 4 ottobre 1935, ore 21 (per. ore 1,30 del 5).

Miei telegrammi nn. 681 (6) e 689 (7).

Dopo conversazione telefonica con S.E. Suvich, mi sono espresso con Rochat nel senso delle istruzioni impartitemi. Or ora Léger mi ha telefonato per dirmi, a nome di Lavai, che questi teme che io lo abbia frainteso. Egli mi aveva parlato delle sanzioni economiche per dimostrare che erano del tutto escluse quelle militari ed aveva menzionato la sua intenzione di graduare queste ultime.

Ho risposto a Léger che avevo compreso benissimo Laval e riferito in questo senso al mio Governo. Risentimento di Roma era naturale e legittimo, perché in primo luogo si dovrà provare a Ginevra che l'Italia è lo Stato aggressore. Ora noi neghiamo categoricamente di avere aggredito Abissinia. Aggressione di UalUal è uno dei molti episodi del genere. Oggi noi ci garantiamo unicamente contro il ripetersi di tali fatti. In questo stato di cose come si può pensare a delle sanzioni e credere di mostrarsi favorevoli all'Italia dicendo che esse saranno soltanto economiche? Lava!, nostro sincero amico, mi disse ripetutamente che egli non avrebbe mai accettato sanzioni che ci potessero offendere o anche solo urta;re. Non vede egli ora quale situazione ·creerebbero delle sanziolrl!i economiche? Non solo ne trarrebbe profitto la Germania, ma i vari greci ed ebrei del mondo si farebbero premura di essere intermediari tra l'Italia, ingiustamente ritenuta Stato aggressore, e gli altri membri della S.d.N., guadagnando una forte percentuale. Ecco tutto il profitto che si avrebbe oltre al renderei necessario di abbandonare la S.d.N., ponendo fine all'esistenza di quest'organo.

Léger ammise gravità della decisione circa aggressore, ma cercò convincermi che, se la responsabilità dell'Italia fosse riconosciuta, l'articolo 16 verrebbe applicato automaticamente e disse che era stato già un grande sforzo quello di avere ottenuto che si parlasse soltanto di sanzioni economiche graduate e non di quelle militari.

Ho ricordato nuovamente affidamenti anteliori di Lava! sopra citati ed ho detto a Léger, in termini molto categorici, che non cercasse di convincermi che pe'r applicare integralmente un articolo del Patto, che nel suo complesso era utopico, si dovesse mettere il fuoco alle polveri. Ci riflettessero bene tutti, perché l'opinione pubblica francese, neUa sua grande maggioranza, era contraria alLe sanzioni ed inoltre si sarebbe fatto esclusivamente il giuoco della Germania. A Ginevra ognuno avrebbe dovuto [pensare] alla propria responsabilità e non 1a delle utopie.

Léger è tornato ad assicurarmi delle buone intenzioni di Laval, la cui posizione era però difficilissima. A mia volta gli ho ripetuto che, per rendelt"la più facile, occorreva non ammettere che noi fossimo aggressori, in modo da non dovere applicare sanzioni. Sarebbe stato allora agevole trovare una scappatoia che salvasse S.d.N., dicendo che il nostro modo di procedere non era stato interamente .conforme ai principi societari, ma nulla di più.

(l) -T. 11429/166 P.R., pari data, ore 18,55, non pubblicato. (2) -Vedi D. 237. (3) -Non è stato possibile rinvenire una risposta telegrafica mancando la posizione U.R.S.S. nella raccolta dei telegrammi in partenza. (4) -Vedi D. 238. (5) -Con T. 7092/252 R. del 15 ottobre 1935, ore 21,37, AttoUco comunicava che l'Ambasciatore di Gran Bretagna assicurava di non aver fatto alcun passo presso il Governo tedesco e di escludere «... che Inghilterra avesse potuto, anche in seguito, fare questo passo "da sola " ». (6) -Vedi D. 217, nota 3. (7) -Vedi D. 239.
247

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI

T. 1787/135 R. Roma, 4 ottobre 1935, ore 24.

Suoi 230 e 231 (1).

Mi compiaccio con V.E. per azione svolta. Occorre continuare mettendo in evidenza pericoli politica sanzioni e interesse Spagna non solo a non associarvisi, ma a prendere posizione contraria.

Ringrazi a mio nome Goicoechea per suo coraggioso efficace intervento. Dica una parola di apprezzamento anche a Primo de Rivera.

(l) Vedi D. 215.

248

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. PER RADIO 1788/C.R. (1). Roma, 4 ottobre 1935, ore 24.

Prego V. E. teleg,rafare notizie che potrà ,raccogliere su azione Leith-Ross, per quanto riguarda sia dichiarati scopi finanziari suo viaggio sia scopi politici, cui ha accennato 'stampa, spianare terreno a una intesa anglo-g,iapponese.

È importante indagare e riferire non fosse altro sintomi di una politica di collaborazione anglo-giapponese che si delineasse, per riflessi che essa potrebbe avere non solo su nostra situazione in Cina ma anche in altri settori quali l'Africa orientale particolarmente sensibili in questo momento.

Prego comunicare anche Tokio precedente telegramma (2).

249

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1791/139 R. Roma, 4 ottobre 1935, ore 24.

II Capo del Governo desidera che Ella faccia sapere a Goemboes che in questo momento contiamo anche sulla sua cordiale amicizia per influire sui polacchi perché a Ginevra assumano un atteggiamento favorevole alle aspirazioni italiane (3).

250

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6838/0201 R. Londra, 4 ottobre 1935 (per. il 10).

Hoare ha anticipato il suo ritorno a Londra e oggi alle tre del pomeriggio sono andato a visitarlo al Foreign Office.

Ho ripetuto a Hoare, negli stessi termini, la comunicazione fatta nella mattina di ieri a Vansittart (l) e gli ho trasmesso verbalmente il messaggio personale e confidenziale da parte del Duce, traducendo e illustrandogli, punto per punto, il contenuto del telegramma n. 375 (2) e la lettera personale del Duce in data 2 ottobre (3), che ho ricevuto ieri sera. Ho insistito nell'illustrare le ragioni di sicurezza che hanno reso necessario l'inizio della nostra azione militare e le ragioni imprescindibili di questa azione di fronte alla mobilitazione generale etiopica e alla manifesta preparazione di una imminente aggressione politica.

Hoare mi ha seguito attentamente, e quando ho finito la mia lunga esposizione, mi ha detto che, pur ringraziando il Duce del suo messaggio, egli doveva francamente dirmi che la notizia delle nostre operazioni e della nostra avanzata in Etiopia significavano per lui il crollo di quelle che erano state le sue ultime speranze per la soluzione pacifica della questione abissina. «Nonostante le giustificazioni date dal Governo fascista -egli mi ha aggiunto -sarà molto difficile considerare l'inizio delle ope,razioni militari se non come un atto di aggressione da parte dell'Italia con tutte le conseguenze che da un tale atto deriv,ano nel campo internazionale. Il bomba1rdamento di Adua e,ff.ettuato nella giornata di ieri ha gettato una luce ancora più grave sull'dnizio delle vostre operazioni, e ha causato in Inghilterra una profonda impressione~.

Ho interrotto a questo punto Hoare per richiamare le sua attenzione sul fatto che il bombardamento di Adua era stato da noi smentito, e che anzi io sentivo il dovere di protestare per il credito dato dalla stampa inglese di ieri e di stamane alle menzogne diramate da Addis Abeba. « Si tratta -ha detto di un volo di ricognizione dei nostri apparecchi militari i quali, essendo stati f•atti segno a fuoco di fucileria da parte etiopica, sono stati costretti a difendersi~-

Hoare ha ripreso dicendo che agli effetti della determinazione dell'aggressione anche una ricognizione dei nostri aeroplani militari su Adua era da considerarsi come un atto di provocazione aggressiva e che era pur sempre difficile escludere che popolazioni civili non fossero state colpite dall'effetto di questo bombardamento. Riprendendo la linea centrale della sua risposta, Hoare ha continuato dicendo che con l'intervento armato in Etiopia venivano definitivamente a essere frustrati i tentativi per raggiungere una soluzione della questione abissina per mezzo di accordi internazionali, e senza far ricorso alla guerra. «AI punto in cui sono giunte le cose -egli ha continuato -io non vedo come si possa escludere il pericolo di un allargamento del conflitto. Noi siamo preoccupati della possibilità di incidenti fra le forze italiane e le forze britanniche nel Mediterraneo e nel Mar Rosso che potrebbero rendere la situazione ancora più grave di quella che non sia oggi~

Ho replicato a Hoare che di questa possibilità e di questi pericoli avevamo già parlato nel nostro colloquio di lunedì scorso (4) e che avevamo insieme convenuto essere mutuo interesse dei due paesi evitare qualunque cosa del

20 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

genere. «Il Duce -ho aggiunto -ha subito risposto al vostro appello, e vi na fatto sapere che è disposto a qualunque provvedimento di smobilitazione reciproca e simultanea delle misure di sicurezza nel Mediterraneo. Un tale reciproco accordo verrebbe a chiarire l'atmosfera e ad alleggerire la situazione, nonché proprio a evitare quei pericoli dei quali voi vi preoccupate».

Hoare mi ha risposto: «Quando, lunedì scorso, io ho fatto a voi la proposta di smobilitare le nostre forze in Egitto e in Libia, non presupponevo che le operazioni militari da parte dell'Italia sarebbero state iniziate. Nell'attuale situazione non credo che la Gra;n Bretagna po·trebbe l'linunzia;re al<le misure navali e militari già prese».

Ho replicato a Hoare che l'inizio delle nostre operazioni in Africa era l'effetto di una necessità ormai divenuta improrogabile, e che la natura amichevole del messaggio del Duce per lui doveva dimostragli ancora una volta, oltre alla perfetta lealtà e volontà di intesa da parte del Duce fino dal primo sorgere della questione abissina, anche la sua ferma volontà di tenere aperta ogni possibilità di trattative con la Gran Bretagna per raggiungere un'intesa che il Duce -ho insistito -ha sempre cercato. « C'è forse modo di intendersi -ho concluso -e il Duce vi fa sape·re che per suo conto egli è sempre pronto ».

Hoare è tornato alla sua idea iniziale, che è impossibile al Governo britannico entrare in negoziati di alcun genere, mentre in Africa vi è la guerra. Poi ha proseguito precisando tuttavia meglio il suo pensiero. «Circa le possibilità di trattative per una soluzione del conflitto itala-etiopico, debbo dichiararvi che una tale ricerca è oggi resa difficile dalle operazioni militari che avete intrapreso, ma lo sarà vieppù se le operazioni militari saranno condotte su scala più vasta, e il conflitto itala-abissino andrà prendendo delle proporzioni e degli aspetti più gravi. Anche volendo, noi non avremmo la possibilità di negoziare con l'Italia poiché vi sarà in Inghilterra una sempre crescente eccitazione e ostilità contro l'azione da voi intrapresa, e anzi non soltanto in Inghilterra ma anche in Francia e in altri paesi. Si verrà a formare in Europa una atmosfera di tale ostilità all'Italia, che non sarà più possibile veni.re a un accordo, e sarà da questa ~atmosfera che nasceranno i pericoli di un allargamento del conflitto fuori del campo coloniale ».

Ho risposto a Hoare che il Governo italiano era fermamente deciso a impedire un allargamento del conflitto, e faceva e avrebbe fatto di tutto per contribuire al mantenimento della pace in Europa. Dovevo ritenere che il Governo britannico avrebbe agito nello stesso senso. Avrebbe cioé sentito, come sente l'Italia, tutte le sue responsabilità in questo momento di indubbia delicatezza per la pace di Europa, e contribuito a calmare le ecoitazioni, che in buona o cattiva fede, sono state suscitate nell'opinione pubblica britannica.

Hoare mi ha risposto che il Governo britannico sa il suo dovere, ma che egli non può garantire quale potrà essere lo sviluppo degli avvenimenti. Riprendendo, dopo questa interruzione, il corso dei miei argomenti ho ricordato a Hoare quanto Vansittart mi aveva detto ieri mattina (l) circa la possibilità di cercare una soluzione del problema etiopico, che sia soddisfacente per l'Italia.

Hoare mi ha risposto insistendo ancora una volta che tale ricerca è oggi estremamente difficile e che il proseguimento delle operazioni dell'Italia la renderebbero praticamente impossibile.

Ho replicato dicendo ,che io non ero del suo avviso, e che, riflettendo al contenuto del messaggio del Duce, io mi auguravo che egli e il Governo britannico non avrebbero lasciato cadere l'iniziativa franca e leale del Duce in questo momento di importanza. storica per tutti. «Vi ripeto -ho concluso -a nome del Duce, ancora una volta, di fronte alla nuova situazione che si è creata in questi giorni, che l'Italia intende limitare il conflitto e il Duce farà quanto starà in lui perché non sorgano incidenti fra l'Italia e la Gran Bretagna~.

Il colloquio è finito qui. Hoare che all'inizio della conversazione aveva parlato in tono assai reciso, verso la fine si è andato calmando e pure ripetendo gli stessi concetti, li ha espressi in forma meno perentoria e categorica. L'idea che egli voleva farmi intendere era che l'Inghilterra non poteva prendere impegni per l'avvenire. Essa dovrà regolarsi a secondo degli avvenimenti, e a secondo quelli che appariranno essere gli obiettivi italiani. Per questo egli si è tenuto costantemente sul concetto che bisognerà anzitutto vedere quale ampiezza e quale carattere assumeranno le nostre operazioni in Africa.

(l) -Questo telegramma fu spedito, per corriere, alle Ambasciate a Londra, Parigi, Washington e Mosca. (2) -Per la risposta vedi D. 268. (3) -Con T. 6528/118 R. del 5 ottobre 1935, ore 13,25, Colonna rispondeva: <<Presidente Gombos assicurami darà immediatamente incarico rappresentanti ungheresi Varsav!a e Ginevra adoperarsi a suo nome nel senso desiderato». Vedi anche D. 277. (l) -Vedi D. 236. (2) -Vedi D. 218. (3) -Vedi D. 224. (4) -Vedi D. 209.

(l) Vedi D. 236.

251

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL CILE A ROMA, RIVAS-VICU:NA

APPUNTO. Roma, 4 ottobre 1935.

Parlando della situazione itala-etiopica, chiedo all'Ambasciatore RivasVicufia se il suo Paese si metterà contro le sanzioni. A parte la vecchia e cordiale amicizia esistente tra Italia e Cile, noi ricordiamo anche l'atteggiamento indipendente che il Cile ha avuto nella questione del Ciaco.

L'Ambasciatore mi dice che gli ordini alla delegazione a Ginevra sono molto precisi; associarsi alla Francia e Inghilterra se le due Potenze sono d'accordo; associarsi alla Francia se le due Potenze sono in disaccordo; votare contro se la Francia vota contro; astenersi se qualche altra Potenza vota contro. Tutta l'azione deve essere però ispirata all'amicizia esistente tra il Cile e l'Italia. Per ogni deliberazione però bisogna sentire prima il Governo di Santiago. Egli ritiene di avere fatto già un notevole sforzo portando il suo Paese, che era strettamente legato all'Inghilterra, a seguire invece l'atteggiamento della Francia.

L'Ambasciatore ha lasciato il suo sostituto, il Ministro a Berlino, a Ginevra. e potrà avere attraverso questi tutte le informazioni che ci interessano (1).

(l) Il presente documento r,eca U visto di Mussolinl.

252

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6547/269 R. Ginevra, 5 ottobre 1935 (per. ore 18,30) (1).

Ho veduto stamane Lava! che mi ha riconfermato quanto detto a Cerruti (2), che cioé egli ieri ha esposto le seguenti direttive al Consiglio dei Ministri attenendone l'approvazione:

a) la Francia si rifiuterà a sanzioni militari ed in genere a tutto ciò che possa essere ritenuto nettamente ostile per il nostro Paese;

b) non potendo però il Gove,rno francese agire in piena indipendenza da Londra, esso sarà costretto a seguire l'Inghilterra sul tell1reno delle sanzioni economiche;

c) tuttavia esso sosterrà principio della graduazione delle sanzioni secondo la necessità, e cioé per tappe successive, le quali sarebbero: soppressione embargo nei riguardi dell'Etiopia; rifiuto di crediti, rifiuto di ma.terie prime per tutta la guerra, e, solo in ultimo, divieto di commercio.

Nel caso soppressione embargo, ha detto aver assicurato Consiglio dei Ministri che non permetterebbe nessuna esportazione di armi francesi in Abissinia. Egli spera però che l'opera di mediazione che egli si propone di spiegare, appena possibile, sulla base della concessione all'ltlalia delle colonie abissine e della organizzazione di un mandato internazionale sull'Abissinia interrompa il corso delle sanzioni prima che si sia giunti a quelle più gravi. Di tale sua intenzione egli ha messo al corrente tanto Hoare quanto Eden. In fine mi ha parlato in via strettamente confidenziale della conversazione in proposito col Principe di Galles in presenza del Presidente della Repubblica, assicurandomi che il Principe di Galles ha accolto favorevolmente l'idea e si è impegnato a trasmetterla a S.M. il Re d'Inghilterra.

Ho risposto: a) che il Governo italiano avrebbe dimostrato che colpevole di aggressione era l'Abissinia e che quindi essa e non l'Italia si sarebbe dovuta ritenere passibile di sanzioni;

b) che in ogni modo anche da punto di vista procedurale il tema delle sanzioni aV1rebbe potuto esse.re abbordato solo dopo avvenuto riconoscimento dell'aggressore.

Lavai mi ha replicato che le nostre migliori ragioni, per quanto fondamentalmente vere, non avrebbero certo convinto gli Inglesi e che la Francia non poteva in nessun caso assumere posizione contraria all'Inghilterra. Invano gli ho ricordato il grande cambiamento avvenuto in questi ultimi giorni nell'opinione pubblica francese nei nostri riguardi. Appare chiaramente che il Governo fran

cese rimane a fianco a quello inglese, sia pure disposto a favorire l'Italia per quanto possibile.

Gli ho detto che non volevo per ora entrare a discutere sulle sanzioni, ma che in ogni modo lo prevenivo che l'ultima tappa, cioé il rifiuto di commercio, sarebbe stata considerata assolutamente inammissibile dal Governo italiano, ragione per cui lo invitavo a riconsiderare questo punto. Ho avuto l'impressione che la graduazione delle varie tappe sia già stata concordata tra Francia e Inghilterra.

Da fonte confidenziale -Komarnicki -ho saputo che nel Comitato dei Tredici già ieri Francia e Inghilterra hanno preso posizione contro nostra tesi della colpevolezza dell'Etiopia nel ricorso alle armi nel senso che, anche ammesso lo stato di aggressione continuata da parte dell'Etiopia, la nostra avanzata oltre la frontiera costituisce caso di flagrante aggressione.

Continuando i tentativi diretti a cercare qualche appoggio nel Consiglio, stamane farò pressione sui delegati polacco, romeno, turco e ci.leno e, in seguito a conversazioni ·che S. E. Suvich ha dovuto avere ieri sera con Wysocky, ho già sollecitato telefonicamente Bastianini ad insistere presso Beck per tentare di fare pervenire al Delegato polacco prima della seduta di oggi istruzioni in appoggio nostra tesi.

(l) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (2) -Vedi D. 239.
253

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 6631/286 R. Buenos Aires, 5 ottobre 1935, ore 17,52 (per. ore 1,20 del 6).

Mentre sorvolo dettagli azione qui svolta in ogni ambiente, posso coscienziosamente riassumere situazione di fatto opinione pubblica assicurando convincimento unanime essere atteggiamento inglese dovuto a propri interessi coloniali egemonici nonché in linea subordinata elettorale al Partito. Inoltre recente meravigliosa mobilitazione fascismo ed impegnative parole di V.E., immediatamente seguite da insegnamento fermo e sereno della nostra pratica attuazione in Etiopia, [hanno] attirato massima ammirazione, come risulta anche da numerose adesioni verbali e scritte che provengono Ambasciata da personalità argentine.

Stamane, in lungo colloquio al Ministero degli Affari Esteri, Saavedra Lamas mi ha testualmente dichiarato quanto segue, con esplicita preghiera informare

V.E. in via per ora strettamente confidenziale (ometto per brevità riferire confutazioni o commenti vari che ho creduto del caso):

l) Rinnovata calorosa espressione più intensi sentimenti di cordialità verso l'Italia, suo attuale Capo del Governo, alla [collettività] italiana in questo Paese, ecc.

2) Nella ingrata situazione di assai grave imbarazzo in cui venuta trovarsi Argentina tl'a l'Italia e l'Inghiltel'ra, dinanzi trattazione GineVlra conflitto che non la interessa direttamente se non per noto principio politico pacifista fin troppo pomposamente pvopugnato, egH aveva studiato intensamente opportunità rinunziare Argentina Presidenza di turno del Consiglio. Trovassi perrò di fronte ragione di impossibilità politica interna essendo stato proprio lui sostenere, or sono due anni, reingresso Lega delle Nazioni contro forte opposizione parlamentare.

3) A paTte imprescindibili obblighi pTooedura inerenti Presidenza, se in seduta preparatoria ogg,i risulta unanimità franco-inglese, non sarà suo malgrado possibile Argentina sottra,rsi voto conforme appoggio Lega delle Nazioni, però, con l'aggiunta della iattura dell'ordine alfabetico nella votazione, ha raccomandato proprio delegato esprime,rsi in maniera la più deferente per noi.

4) In apposito scambio avuto con Cile ed Equatore, egli, Saavedra Lamas, si è fatto espressamente e con risultato pienamente favorevole propugnatore dell'interesse comune, consono, d'altronde, coll'amichevole spirrito che li anima tutti verso l'Italia, che in caso di eventuale decisione ginevrina di applicazione delle misure di cui art. 16 sia da seguire per parte degli anzidetti paesi le stesse direttive e le conseguenti discrriminazioni a base geografica, di precedenza ecc. formulata a Ginevra nel 1921, per tale applicazione.

5) In conseguenza di tutto quanto precede, ha concluso Saavedra Lamas, ella può informare fin da ora signor Mussolini che da parte Argentina non (ripeto non) avverrà pratica applicazione di eventuali sanzioni (1).

254

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6648/169 R. Mosca, 5 ottobre 1935, ore 20 (per. ore 7,30 del 6).

Ho veduto oggi il signor Litvinov proveniente da Ginevra. Egli ha cercato di precisarmi la posizione dell'U.R.S.S. nel conflitto italo-etiopico. Per lui la questione riguarda due Paesi soltanto: l'Italia e la Gran Bretagna. Quest'ultima V'ede i propri interessi gravemente minacciati da un eventuale controllo militarepolitico dell'Italia sull'Abissinia e vi si oppone con tutte le sue forze, sfruttando al massimo S.d.N. Il Governo inglese è confortato all'interno nel suo atteggiamento dall'unanimità dei partiti e trova favorevole gioco nel Covenant. Al Governo sovi,etico niente importa dell'Abissinia. Se fosse chiamata a giudicare fra i due contendenti, l'assegnerebbe senz'altro all'Italia; l'Inghilterra possiede già troppo nel mondo. L'U.R.S.S. avrebbe di molto preferito che la questione fosse sorta un anno fa, quando ancora non faceva parte della S.d.N. Non avrebbe dovuto così pronunciarsi a favore di un Istituto del quale Litv,inov riconosce la debolezza e l'impronta britannica. Certo, oggi l'Inghilterra vuole sfruttare tale Istituto in favore dei propri interessi. Essa conta sull'adozione di sanzioni economiche che crede fiaccherebbe in tempo relativamente breve la resistenza dell'Italia. Ha fatto qui «enorme pressione» per accaparrarsi la cooperazione

dell'U.R.S.S. per un « boicottaggio » economico. L'U.R.S.S. sino ad oggi ha resistito e non si è impegnata nella speranza che tali sanzioni possano essere mantenute nella misura più lieve possibile. A Ginevra, Litv,inov aveva dovuto par~are in un certo senso dal momento che l'U.R.S.S., quale membro della S.d.N., doveva difendere l'esistenza dell'Istituto stesso: che ben altro tono awebbe usato se, invece dell'Italia amica, si fosse trattato di un altro Paese, come ad esempio il Giappone. Non poteva fare previsioni, ma evidentemente ora che le ostilità erano state iniziate l'interesse di tutti era che il conflitto rimanesse localizzato.

Ho ring,raziato Litvinov della mar~cata cortesia con la quale mi aveva ricevuto e delle dichiarazioni che in forma così esplicita mi aveva fatte.

(l) Il presente documento reca il visto d! Mussolini che vi ha annotato a margine; <<Prendere atto».

255

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MUSSOLINI

T. 6565/705 R. Parigi, 5 ottobre 1935, ore 20,35 (per. ore 22,50).

Quai d'Orsay mi ha rimesso oggi da parte di Lavai il testo ufficiale risposta francese al Governo britannico che il sig. Corbin ha presentato al Foreign Office stamane (1). La trasmetto a V. E. col corriere odierno. Da un rapido esame del documento, esso appare più favorevole di quanto lo stesso signor Lavai mi aveva fatto comprendere. Dal testo del documento risultano chiaramente i seguenti concetti:

l) impostazioni del quesito in una linea di ipotesi di carattere generale con eliminazione di ogni rif~erimento alle circostanze attuali; 2) recisa condizione francese che l'impegno concerne allo stesso titolo le misure di carattere navale, terrestre ed aereo:

3) che l'impegno deve riferirsi non solo all'art. 16 ma amebe al 17, il che è preciso richiamo all'Inghilterra nei riguardi della Germania, stato non membro della S.d.N.;

4) che in ogni caso anche le misure preparatorie di eventuale applicazione di sanzioni debbono essere concordate: il che implica in certo modo un rimprovero all'Inghilterra per la sua attuale decisione di portare nel Mediterraneo le sue forze navali con decisioni unilaterali e senza consultazione;

5) voluta omissione di precisare le forme ed i modi della assistenza eludendo in ciò richiesta britannica che presumesi riferirsi anche all'uso dei porti e delle basi navali;

6) precisa citazione, accanto al Covenant, degli obblighi di Locarno, il che sembra rispondere a certe interpretazioni inglesi circa portata di quest'ultimo patto e possibilità per l'Inghilterra di svincolarsene qualora dovesse abbandonare

S.d.N.

(l) Vedi D. 219. Il testo della risposta francese è ed. in Documents diplomatiques jrançais, 1932-1939, vol. XII, cit., D. 331.

256

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6747/0107 R. Vienna, 5 ottobre 1935 (per. il 9).

Mio telegramma per corriere n. 0104 del 3 corrente (1).

Starhemberg mi ha parlato stamani lungamente della politica e delle pretese mene di Goemboes, confermando interamente le impressioni già riferite a V.E. col telegramma suindicato.

In succinto Starhemberg è conv,into che Goemboes, tanto per ovv,ia,re ai pericoli del legittimismo, quanto per soddisfare le sue impazienze irredentiste, sia entrato in una stretta intesa con Hitler, addivenendo ad un segreto patto scritto per la spartizione della Cecoslovacchia, nonché per l'attribuzione del Burgenland all'Ungheria, nel caso in cui la Germania, con la promessa neu·· tralità ungherese, riuscisse ad annettere l'Austria.

Starhemberg ha tenuto a dichiararmi di non aver alcun elemento positivo a riprova del predetto suo pensiero, non potendo dare alcun peso alle tanto pessimistiche informazioni raccolte nella sua recente permanenza in Ungheria, e ciò pel fatto che esse gli erano state fornite da elementi aristocratici, notoriamente ostili al Goemboes. Ciò nondimeno, egli ha soggiunto, non si sentiva di modificare in alcuna guisa la sua sensazione circa il reale contegno di Goemboes; contegno che lo persuadeva anzi dell'assoluta necessità -per l'Austria -di basare ormai la sua politica, oltre che sull'amicizia per l'Italia, anche su opportuni accordi con i paesi della Piccola Intesa.

Anche per questo problema -Starhemberg ha concluso -desiderava recarsi a Roma, onde conoscere, per opportuno orientamento, il pensiero del Duce (mio telegramma n. 194) (2).

257

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6817/0208 R. Londra, 5 ottobre 1935 (per. il 9).

Vansittart mi ha telefonato stamane pregandomi di passare da lui avendo urgente necessità di parlarmi. Non appena entrato nel suo ufficio egli mi ha detto che desiderava riprendere la conversazione avuta con me nel mattino di avant'i:eri (3) quando io gli ho portato la comunicazione ufficiale deH'inizio delle nostre operazioni militari in Africa, e anche il tema della conversazione di ieri pomeriggio con Hoare (4), quando ho vecato a Hoare il messaggio del Duce.

Vansittart ha cominciato col dirmi che, secondo il contenuto del comunicato n. 10 (1), i motivi che avevano de'terminato l'inizio delle nostre operazioni militari, dovevano ricercarsi essenzialmente in motivi di sicurezza strategica. «Le notizie -ha continuato V·ansittart -che giungono dall'Af.rica orientale ind•icano viceversa una ben più vasta ampiezza deUe vostre operazioni di guerra che non possono certamente essere considerate misure di cautela. Nella mia conversazione di avant'ieri vi ho indicato la possibilità che il Consiglio della S.d.N. esamini su «nuove basi» l'intera situazione per ricercare una soluzione soddisfacente, anche oltre i limiti indicati dai contenuto del rapporto presentato dal Comitato dei Cinque. Ho creduto necessario richiamare di nuovo oggi la vostra attenzione su questo punto e ripetere che il Consiglio della S.d.N. si troverà impossibilitato ad esaminare qualsiasi nuovo piano se l'avanzata delle truppe italiane, invece di limitarsi a obiettivi di militare sicurezza strategica, assumerà delle proporzioni talmente vaste da rendere assai più difficile la ricerca di una soluzione».

Ho risposto a Vansittart in modo calmo, ma netto e reciso, che né io né lui potevamo giudicare quali sono le misure di sicurezza che il Comando militare italiano giudica necessarie per garantire i nostri eserciti in Eritrea e in Somalia contro la predisposta e imminente aggressione abissina. Ma il comunicato n. 10 non parla soltanto di sicurezza strategica, bensì della urgente e improrogabile necessità di risolvere integralmente e una volta per sempre il problema della sicurezza delle nostre colonie che si trovano da decenni sotto la minaccia e l'aggressione sanguinosa delle bande abissine. Il comunicato n. 10 cita esplicitamente il nostro Memoriale presentato a Ginevra, nel quale è documentata la permanente e minacciosa aggressione abissina. La sicurezza delle nostre colonie africane contro un'Abissinia potentemente armata, pericolosa, che si ritiene fortemente appogg•iata e incoraggiata dalla Gran Bretagna è un problema che va molto oltre a quegli obbiettivi di sicurezza strategica alla quale Vansittart si riferiva. Su questo problema della sicurezza italiana nell'Africa orientale il Duce ha richiamato fin dal gennaio scorso, ripetutamente e inutilmente, l'attenzione del Governo britannico. Con la sua condotta inspiegabile e ingiustificabile, da d~eci mesi a questa parte l'Inghilterra si è assunta delle gravi responsabilità di fronte non soltanto all'Italia ma all'Europa intera. L'Italia fascista fino dal primo momento ha giocato a carte scoperte, senza nascondere nulla a nessuno, indicando alla Gran Bretagna quali erano le sue necessità e l'urgenza di risolvere il problema abi1ssino in modo integrale una volta per sempre. Ciò non soltanto nell'interesse nazionale delntalia, ma nell'interesse di queUa pace e di queUa sicurrezza europea che, a parole, l'Inghilterra dichiara di vol•er garanti~e e proteggere ma che a fatti corrode e distrugge giorno per giorno. «Oggi voi domandate che la nostra avanzata sia limitata ed arrestata. Questa domanda significa una cosa soltanto, e cioè che il Gove•rno britannico non ha imparato nulla dagli imperdonabili errori compiuti 'e dall'esperienza di questi dieci mesi. Il signor Eden potrà dLre e fare tutto quello che vuole a Ginev,ra. La verità inoppugnabile è che non è l'Italia lo Stato aggressore. L'Italia si difende contro l'aggressione dell'Etiopia, e parimenti contro l'aggressione della Gran Bretagna e contr.o que.Ua che la Gran Bretagna vorrebbe diventasse l'aggressione deU'Europa intera contro l'Italia. Nello stesso mo

mento in cui i membri del Gabinetto britannico, obbedendo ad una parola d'ordine, fanno retoriche dichiarazioni pubbliche d'amicizia per l'Italia, il Governo e la diplomazia britannica tentano subdolamente di pugnalare nelLa schiena il Regime fascista e il mio Paese. Le nostre truppe non si 8!rresteranno .fino a che tutti i nostri obbiettiv·i non s'iano raggiunti. Questo è almeno il mio desiderio e la mia speranza».

Vansittart, che non si aspettava questa mia reazione, non ha dapprima risposto. Poscia, anziché rispondere direttamente, mi ha domandato quali erano state le mie impressioni del colloquio avuto ieri sera con Hoare. Gli ho risposto che il colloquio avuto con Hoare mi aveva francamente deluso e aveva maggiormente avvalorato in me i dubbi, già assai vivi, circa quella che è stata e vuoi essere l'azione britannica contro il mio Paese. Hoare infatti, dopo avere sollecitata l'adesione del Duce e dopo che il Duce ha dichiarato subito e lealmente di accettarla, ha respinto l'offerta di smobilitazione reciproca e simultanea delle misure di sicurezza prese fin da ora da.Ha Gran Bretagna e dall'Italia nel Mediterraneo. Hoare ha lasciato cadere la mano tesagli dal Duce, e la responsabilità di questo atto grava e graverà interamente sul Governo britannico.

Vansitta.rt mi ha interrotto per domanda,rmi se ero stato io a f'are sul Times le indiscr·ezioni sul contenuto del messaggio del Duce a Hoa•re. Ho risposto di si ed ho aggiunto: «Ho voluto che il popolo inglese conoscesse quello che il Governo non avrebbe probabilmente fatto conoscere, o conoscere in successivo momento in modo inesatto e quando gli sarebbe stato comodo di farlo. Questo è accaduto già altre volte nel passato. Se oggi tuona il cannone in Africa, la colpa di ciò è soltanto dell'Inghilterra la quale, invece di cooperare tempestivamente e lealmente a una soluzione pacifica della questione abissina quando il Duce ha offerto questa possibilità, una soluzione che venisse incontro nella sostanza alle necessità e alle aspirazioni dell'Italia, ha cercato durante dieci mesi interi, con una politica intimidatoria e con un'azione diplomatica diretta a organizzare e mobilitare l'Europa e il mondo contro di noi, di opporsi alla poiitica dell'Italia». Ho creduto opportuno a questo riguardo legge·re anche a Vansittart il contenuto della lettera personale direttami dal Duce per Hoare (1), soffermandomi punto per punto ad illustrare la lealtà della politica del Duce, il malvolere britannico di fronte a tutti gli appelli rivolti dal Duce al Governo britannico per raggiungere una soluzione pacifica e soddisfacente della questione abissina. Ho insistito nel dimostrare a Vansittart (che è l'ideatore della proposta della cessione di Zeila e delle proposte di Parigi) che la buona volontà del Duce è stata sempre frrustrata dalle manovre che il Governo inglese ha man mano organizzato per imbavagliare e arrestare l'azione dell'Italia. Il Duce non ha sfidato nessuno, né Ginevra né l'Inghilterra. Alla inverosimile proposta di Eden-Vansittart per la cessione di Zeila all'Abissinia il Duce ha risposto presentando, con lealtà e con chiarezza, quelli che erano i desiderata e le necessità dell'Italia. È una menzogna quindi affermare che il Duce non ha fatto delle controproposte. Così è stato a Parigi. così è stato sempre. E' il Gove<rno inglese che ha cercato di ìmpor:re all'Italia le sue basi di negoziato, fuori Ginevra come dentro Ginevra. Vi erano cento soluzioni

possibili, anche dentro Ginevra, con le quali si poteva andare incontro alle necessità dell'Italia. L'Inghilterra ha ostacolato sin dall'inizio anche una ragionevole soluzione societaria della questione abissina. Non è d'altra parte vero che il Governo si sia trovato costretto a seguire le pressioni dei liberali e dei laburisti: esso non ha fatto altro che utilizzare ai fini dei suoi interessi imperialistioi l'iniducibile animosità antifascista delle correnti libe,rali e laburiste.

Vansittart mi ha detto a questo punto che non era esatto dire che Hoare aveva lt'espinto la mano del Duce. Egli in sostamza aveva voluto dichi!arare che, a operazioni militari iniziate da parte italiana, la ricerca di una soluzione appariva più difficile che prima non fosse, e ancora più difficile questa ricerca sarebbe stata se l'avanzata da parte italiana proseguisse oltre i limiti ragionevoli di un'avanzata suggerita da misure dt carattere strategico e pr,ecauzionale.

«Nello stesso momento -ho ribattuto-in cui nella mia veste d'Ambasciatore d'Italia trasmettevo a Hoare un messaggio nel quale il Duce ancora una volta dichiarava la sua ferma volontà di cooperare con la Gran Bretagna nella politica europea, di limitare il conflitto, di evitare qualsiasi incidente fra l'Italia e Gran Bretagna che possa turbare i nostri diretti rapporti, di rimanere nella S.d.N., di smobilitare nel Mediterraneo e di essere pronto ad esaminare una soluzione del problema etiopico che dia soddisfazione all'Italia, il Primo Ministro britannico pronunciava a Bournemouth un discorso nel quale erano contenute, accanto alle consuete espressioni generiche di amicizia per il mio Paese, delle frasi di indubbia e diretta ostilità per la dittatura e il fascismo in Italia. Queste frasi di Baldwin dimostrano come il Governo conservatore intenda fare una differenza tra l'Italia e il Regime. Le parole di Baldwin fanno pensare veramente che uno degli obiettivi della politica del Governo britannico in questo momento è di danneggiare e di combattere la dittatura fascista in Italia. Ciò non potrà mancare di avere delle ripercussioni assai profonde nello spirito del popolo italiano. Baldwin non è Morrison. Baldwin è il Capo del Governo britannico. Mentre Mussolini in tutte le sue dichiarazioni e i suoi discorsi non ha fatto altro che tendere continuamente la mano all'Inghilterra, il Primo Ministro della Gran Bretagna risponde attaccando duramente quello che è il patrimonio più prezioso di cinquanta milioni di italiani, e cioè la nostra fede in Mussolini e nel fascismo».

Vansittart ha risposto imbarazzato dicendo che non aveva letto q'esti passaggi, e che in ogni modo nel resoconto dei giornali quali il Times, la Morning Post e il Daily Telegraph il passaggio a cui io mi riferivo non esisteva. GH ho posto sotto gli occhi il resoconto dell'Evening News di ieri sera e del Manchester Guardian di stamane, e ho aggiunto che non sono frasi queste che un cronista possa inventare, che in ogni modo nessuna smentita è stata fatta alla versione

pubblicata subito dopo il discorso, il cui tono, a parte le frasi cui mi riferivo, non era certo stato un discorso di amicizia e di comprensione del fascismo. Ho continuato protestando per la speculazione astiosa fatta teri delle notizie false e menzognere giunte da Addis Abeba sopra inesistenti bombardamenti di apparecchi italiani su popolazioni civili.

«Da qualche settimana in qua -ho continuato -l'azione svolta da parte del Governo britannico attraverso gli organi della pubblica opinione ha mostrato anche troppo quella che è stata, almeno fino a questo momento, la direttiva sotterranea della politica del Governo britannico contro di noi. Dall'invio della flotta britannica nel Mediterraneo fino al discorso di Baldwin, non è passata si può dire giornata in cui il Governo britannico non abbia usato la stampa, quella amica e quella di opposizione, per aiz~are, sobilla;re, lo spirito britannico contro di noi, svisando sempre e interamente la sostanza e la realtà dei fatti. Mentre il Governo britannico dichiara che i limiti della sua azione sono costituiti dalla formula "azione collettiva, responsabilità collettiva", esso ha cercato in realtà di preparare il terreno per un'azione isolata dell'Inghilterra, precostruendo una base giuridica e psicologica al verificarsi di possibili incidenti che giustifichino nel futuro un'azione isolata e diretta dell'Inghilterra. Il Governo britannico sa perfettamente che senza la cattiva volontà br-itannica questi incidenti saranno sempre facilmente evitati ».

Vansittart mi ha vivamente interrotto a questo punto, per dirmi che tutto ciò non rispondeva alla realtà e che il Governo britannico non pensa assolutamente a fare la guerra all'Italia.

<<Mi auguro che non ci pensi più. Ma vi ha pensato. Infatti mentre Hoare e i membri del Governo britannico dichiarano di voler proseguire in un'azione di distensione e di miglioramento dei rappo,rti italo-britannici, essi ammettono in un documento diplomatico di indubbia gravità come l'ultima nota alla Francia (1), l'ipotesi che l'Italia possa attaccare l'Inghil1lerra nel Mediteuaneo. Su questo passo, il quale poteva non uscire dalle proporzioni più gravi di un quesito diplomatico tra Cancellerie, è stata richiamata per quarantotto ore, attraverso commenti ostili di ogni sorta, l'attenzione e la sensibilità dello spirito br-itannico. E tutto ciò mentre i discorsi, le dichiarazioni del Duce, i solenni impegni da Lui presi per mantenere il conflitto africano loc,aUzzato in Africa, e di rispetto di tutti gli interessi della Gran Bretagna. vengono sistematicamente o nascosti, o commentati in modo da diminuirne il significato e l'importanza nell'opinione pubblica britannica».

Vansittart mi ha interrotto di nuovo: «L'Italia ha commesso il grave errore di credere che la flotta inglese fosse debole, e che l'Inghilterra non potesse ormai più agire efficacemente nel Mediterraneo ».

«Non/ l'Italia che ha creduto nella debolezza militare della Gran Bretagna, sono i vostri ammiragli, i vostri uomini di Stato, i vostri giornali che l'hanno detto e pubblicato. La realtà è che voi non volete negoziare con l'Italia perché negoziando con l'Italia il Governo britannico sarebbe costretto a scoprire il suo gioco e i suoi obbiettivi, che non sono quelli di salvare la S.d.N. Al contrario l'Inghilterra in questo momento sta facendo di tutto per colare a picco la S.d.N. Prima avete cercato d'intimidirei nell'illusione di arrestare la nostra azione. Adesso cercate di fermare la nostra avanzata. Pretendete di fermarci in Africa, e insistete sul luogo comune assurdo e grottesco di una pretesa aggressione italiana. Esaminate su una carta geografica dell'Africa quali erano fino al 1° gennaio di quest'anno i presidi militari delle potenze colonizzatrici in Africa da Alessandria al Capo di Buona Speranza, da Mogadiscio a Kartum, da Massaua a

Leopoldville: di fronte a poche migliaia di truppe a difesa delle colonie delle potenze europee si ergeva minaccioso un esercito armato di un milione di etiopici. Noi combattiamo oggi in Africa, e questo è il paradosso della situazione, non solo per la sicurezza dei nostri possedimenti africani, ma per la sicurezza dei possedimenti afl'icani di tutte le potenze europee, compresa l'Inghilterra».

Vansittart: «E' indubbio che voi avete un modo pittoresco di presentare il problema. Ma non posso accettare per ammesso che gli abissini costituissero, come voi dite, un centro di infez;ione, un pericolo per la pace del continente af,ricano. Per cinquanta anni l'Inghilterra non ha mai avuto una questione con loro».

«Perché li avete battuti a Magdala e av,ete dato l'assalto alla città dopo avere costretto l'Imperatore Teodoro a suicidarsi. Questa è la sola ragione. Noi vogliamo disarmare l'Abissinia, renderla impotente a nuocere a chicchessia. Rimarremo fedeli al programma di cooperazione europea nella S.d.N. sin che voi non :ci forl'ierete a una contraria politica. L'Italia è pronta oggi come sempre lo è stata a qualsiasi discussione per .rendere sempre più efficace e attivo il fronte di Stresa. Prenderà parte, se invitata, a discussioni navali. È possibile che la Gran Bretagna voglia veramente insistere nella sua azione che è oggi diretta a compromettere le basi della pace europea, e ciò per una meschina questione di prestigio che non esiste, o per proteggere degli interessi imperiali che nessuno minaccia, che l'azione militare dell'Italia in Etiopia finirà per meglio proteggere e ga;rantire, e che ad ogni modo l'Inghilterra non osa confessare sperando di raggiungere le sue mire imperialistiche attraverso l'ideologia societaria e l'azione collettiva della S.d.N. e con l'appoggio di quelle correnti pacifiste e societarie i'nglesi che credono di battersi contro il fa:scismo, ma che non accetterebbero comunque di battersi in favore deWimperialismo britannico? E voi oggi, proprio oggi, mi mandate a chiamare perché io dica al mio Governo che l'avanzata delle nostre truppe sia arrestata. No. Essa non sarà arrestata. Dietro le nostre truppe che marciano in Africa marcia la volontà decisa di tutto il popolo italiano. L'Inghilterra ha fatto di tutto per trasformare, nel cuore degli italiani, una spedizione coloniale in una lotta dell'intera Nazione per resistere alla minaccia ed intimidazione straniera. Le proporzioni sono cambiate, oggi. E l'Inghilterra deve accettare le conseguenze ».

La discussione con Vansittart è stata cruda e vivace. Egli ha difeso l'azione britannica, ma nonostante egli sia personalmente uno dei maggiori responsabili degli errori compiuti sinora dal suo Governo, dalla mancata risposta al nostro passo del gennaio alle assurde proposte di cessione del porto di Zeila (l) e a quelle successive di Parigi (2), è rimasto imba,razzato, e alla fine del colloquio il suo tono era molto cambiato. Si è limitato a ripetere che egli spera che la situazione non peggiori al punto dia rendere più difficile una soluzion~ su ,~nuove basi» della questione abissina.

Io ho replicato che tutto dipendeva dall'attitudine inglese a Ginevra. Ho voluto, all'indomani del messaggio del Duce a Hoare, dimostrare nettamente a vansittart che qualsiasi eventuale ripresa di politica dntimidatoria contro di noi

sarebbe destinata a un falllmento più clamoroso di quello che la Gran Bretagna ha registrato in questi giorni. Ed ho voluto fissare che il Governo britannico ancora una volta si è assunto la responsabilità di declinare le offerte leali e tempestive del Duce per un chiarimento definitivo dei rapporti itala-britannici.

(l) -Vedi D. 229. (2) -Vedi D. 240. (3) -Vedi D. 236. (4) -Vedi D. 250.

(l) Vedi D. 225, nota l p. 213.

(l) Vedi D. 224.

(l) Vedi D. 203.

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 431 e 433. (2) -Ibid., D. 757.
258

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 5 ottobre 1935.

Informo l'Ambasciatore Wysocki sulla situazione del conflitto itala-etiopico.

A proposito dell'atteggiamento della Polonia, gli osservo che ora sarebbe il momento per tradurre in pratica le profferte di amicizia più volte fatteci, che ora sarebbe per la Polonia una occasione per una manifestazione concreta che potrebbe costituire il punto di partenza per quella più intima collaborazione tm i nostri due Paesi, che noi tutti auspichiamo.

Noi riteniamo che la Polonia sia abbastanza indipendente nella sua posizione e abbastanza spregiudicata nei riguardi delle 'ideologie ginevrine pe:r assumere un atteggiamento netto a nostro favore opponendosi alle sanzioni.

L'Ambasciatore mi dice di non potermi dare info:rmazioni su quello che sarà l'atteggiamento del proprio governo non avendo alcuna notizia al riguardo. Egli ritiene che la Polonia sì urrìformerà all'attegg,ìamento della Francia, che considera il Paese meglio disposto verso l'Italia.

Una posizione netta contro l'Inghilterra non è facile per la Polonia, dato che l'Inghilterra ha dato recentemente un prestito alla Polonia e -che ha fatto anche negli ultimi tempi importanti contratti per !''acquisto di legname, bestiame, ecc. (l).

259

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 5 ottobre 1935.

Ti invio con telespresso a parte i ritagli dei giornali di ieri sera e di oggi. Lo farò ogni giorno, perché credo possa interessarti dare uno sguardo d'insieme alla cronaca che la stampa inglese fa della nostra avanzata in Abissinia, e il modo come essa presenta giorno per giorno gli avvenimenti del nostro fronte.

Come tu vedrai dai ritagli che accludo le ignobili speculazioni tentate ieri sopra la base di menzogne trasmesse da Addis Abeba circa bombardamenti di

popolazioni civili da pa·rte italiana, sono state nettamente str<>ncate dalle nostre secche smentite. Quasi tutti i giornali pubblicano, come vedrai, l'intervista data da Galeazzo Ciano dando ad essa il giusto rilievo.

Il tono della stampa è oggi diverso da quello che non fosse ieri. Avant'ieri, ieri e stamane l'Ambasciata è stata letteralmente affollata di giornalisti e corrispondenti di tutti i paesi in cerca di notizie dal nostro fronte. Non vi è giornalista che non sia immediatamente ricevuto e non gli sia data comunque risposta. In attesa di ricevere versioni e comunicati ufficiali, do e faccio dare a questi giornalisti la versione dei fatti come me li Immagino. Nuna è di più danhoso, a mio avviso, che lo scrupolo burocra·tic·o dell'aecuratezza delle versioni di cronaca ufficiale in circostanze come le attua·li. Il problema è di arrivare subito e prima del nemico. Cosi io faccio e credo di far bene.

Mi tengo in stretto contatto colla British Broadcasting Corporation per appoggiare la mia propaganda nei Bollettini Radio. Nonostante la British Broadcasting Corporation sia controllata dal Governo, finora in questi due giorni ha aderito a tutte le mie richieste. Le mie secche smentite del bombardamento di popolazioni civili ad Adua sono state diramate subito e integralmente non solo dalla stazione di Londra, ma da tutte le stazioni del Regno Unito.

È appena superfluo io raccomandi che le notizie del nostro fronte siano diramate colla maggiore sollecitudine e rapidità possibile. L'interesse giornalistico ormai qui supera l'interesse politico.

L'Ambasciata è in piedi e in servizio notte e gi·orno. Sembra che il teatro della guerra anziché a 8 mila e 15 mila chilometri di distanza fra l'Italia e la Abissinia, sia sul Tamigi, e sia l'Inghilterra, e non l'Italia, a combatterla.

E l'Inghilterra infatti la combatte, da dieci mesi, contro di noi.

L'avanzata delle nostre truppe ha determinato una situazione psicologica nuova. Stasera tardi su gr·and•i manifesti murali e.ra annunciata, in Piccadilly e Oxford Street, come prossima la caduta di Adua. I nostri avversari sono oggi perplessi.

Scriverò ancora domani (1).

(l) Il presente documento reca il visto dl Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E Mll'li"ISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6570-6577/843-844 R. Londra, 6 ottobre 1935, ore 1,58 (per. ore 8,15).

Con mio telegramma n. 838 (2) ho trasmesso stamane a V. E. un riassunto del discorso che il Primo Ministro ha pronunziato ieri sera al congresso del partito conservatore, e per posta aerea trasmetto il testo integrale, quale è stato dato stamane dalla stampa.

Discorso rappresenta, come V.E. avrà potuto rilevare, una esposizione generale della politica estera del Governo britannico e mira essenzialmente a due conclusioni: alla riaffermazione del concetto della sicurezza collettiva, e a proclamare necessità da parte dell'Inghilterra di provvedere per suo conto a migliorare le condizioni e rafforzare i mezzi della sua difesa nazionale. Né l'una né l'altra di queste conclusioni .sono nuove, perché da tempo tutta l'azione del Gabinetto è stata diretta a scopo di portare opinione pubblica verso una politica armamenti, attraverso la dimostrazione degli obblighi e delle responsabilità che l'Inghilterra ha in base patto della S.d.N. e delle necessità che ora ha di far fronte agli armamenti e allo spirito aggressivo delle Potenze europee e particolarmente della Germania.

Se una novità vi è nel discorso Baldwin, questa è costituita daLla magg1Jore determinazione ed energ,ia con la quale egli ha insistito sull'urgenza provvedere rapidamente agli armamenti dell'Inghilterra.

Per quello che riguarda particolarmente atteggiamento britannico di fronte questione abissina, il pensiero di Baldwin spogliato della sua veste oratoria si può -a mio avviso -fissare essenzialmente nei due punti seguenti:

l) l'Inghilterra è determinata a prendere parte ad una azione collettiva che venga decisa da S.d.N. ma non ha mai inteso e non intende procedere ad una azione isolata contro l'Italia;

2) la S.d.N., -ora che le operazioni militari si sono iniziate -dovrà adoperarsi per abbreviare la guevra e affr,ettare un regolamento soddisfacente del conflitto.

Questi due punti corrispondono esattamente all'atteggiamento assunto in questi ultimi giorni dal Governo britannico e alle dichiarazioni che Hoare e Vansittart mi hanno fatto ripetutamente, e vanno messi naturalmente in rapporto ai fini che politica Governo britannico ora si propone raggiungere; avanzata nostre truppe ha determinato una situazione nuova: di fronte al fatto compiuto, Governo britannico si è posto problema immediato e diretto di limitare estensione e portata delle nostre operazioni militari in Etiopia. Verso questo scopo ora convergono e convergeranno suoi sforzi.

Linea direttiva sua azione sembra abbastanza evidente: esso ha cercato fino ad ora una ,soluzione pacifica del conflitto itala-abissino che ci facesse desistere, con un qualche acquisto territoriale secondario, dal nostro programma integrale. Ora che questi tentativi di soluzione pacifica di compromesso sono falliti, Governo britannico vuole prepararsi a porre dei limiti ai nostri obiettivi politici e militari in Abissinia. Quindi insistenza di Hoaere e di Vansittart nel dirmi che atteggiamento britannico dipenderà dagli sviluppi che azione militare italiana andrà assumendo. Quindi, l'affermazione di Baldwin che la S.d.N. dovrà adoperarsi per abbreviare le operazioni di guerra.

Detto questo è certo la fiducia nella possibilità di un immediato ed efficace intervento della S.d.N. è andata non pertanto diminuendo. Ciò è visibile anche nello stesso discorso di Baldwin e spiega anche la tattica più cauta che il Governo britannico ha ora adottato.

(1) -Vedi D. 284. (2) -Riferimento errato. Sul discorso di Baldwin Grandi aveva riferito con T. 6567/835 bis del 5 ottobre 1935, ore 12,05, non pubblicato.
261

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLIN!, AL MINISTRO A BERNA, TAMARO

T. 11243/131 P. R. (1). Roma, 6 ottobre 1935, ore 3.

Faccia presente a codesto Governo che l'articolo del Journal des Nations del 4 corrente oltrepassa tutto quanto possa essere decentemente tollerato anche in regime democratico. Mi faccia sapere o.uali provvedimenti codesto Governo prenderà (2).

262

IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6613/100 R. Kaunas, 6 ottobre 1935, ore 12,08 (per. ore 15,40).

A questo Ministero degli Affari Esteri si giudica che decisione Duce ha rovesciato in nostro favore situazione generale diplomatica su cui voleva dominare candidamente opposizione antitaliana e antifascista. Decisione Duce ha anche reso liberi nuovi orizzonti diplomatici.

Si è d'altra parte allarmati che conflitto tra l'Italia-Inghilterra-Lega delle Nazioni non solo diminuisca forze di arresto della minaccia Germania nel Baltico ma anche renda possibile una collaborazione generale itala-tedesca nell'Europa centrale, la quale lascerebbe scoperta Europa orientale.

Prossima ripresa delle difficoltà a Memel rendono acuto allarme dei [lituani] che vorrebbero trovare una nuova garanzia nella conclusione di un totale accordo franco-inglese. Così oggi si esprime giornale officioso.

A questo direttore Affari Politici, che mi ha fatto tali rilievi, ho risposto che piccole Potenze [per] evitare aggravare loro pericolo tedesco avrebbero dovuto a Ginevra dire tempestivamente all'Inghilterra che non avrebbero potuto concederle la loro collaborazione.

263

IL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 6 ottobre 1935, ore 19.

L'Ambasciatore del Cile ha informato che il Delegato del suo Paese a Ginevra, signor Porto Seguro, non ha ancora, a tutt'oggi, ricevuto risposta dal suo Governo al telegramma da lui inviatogli per sapere se poteva o meno far parte

21 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

della Commissione dei Sei designati dal Consiglio. In tali condizioni il Delegato del Cile non ha potuto prendere parte alla riunione del Comitato stesso.

L'Ambasciatore ha aggiunto di avere dal signor Porto Seguro avuto notizia oggi pomeriggio del fatto che il Comitato, cosi ridotto a cinque membri, ha stabilito che l'inizio delle ostilità in Etiopia rappresenta una violazione del Patto da parte dell'Italia e che pertanto sarà presentato domani al Consiglio, senz'altro, il problema dell'applicazione delle sanzioni.

(l) -Minuta autografa. (2) -Non è stata rinvenuta risposta.
264

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 1805/92 R. (l). Roma, 6 ottobre 1935, ore 24.

Secondo austriaco Berger, il sig. Benes sarebbe ora ostilissimo alla tesi italiana per l'Abissinia. Gli faccia sapere che ciò creerà una situazione delicata fra i due paesi (2).

265

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 6 ottobre 1935.

La procedura iniziata a Ginevra lascierà con tutta probabilità ancora qualche giorno di tempo prima di arrivare alle sanzioni. D'altronte anche le sanzioni, quando fossero adottate, comincieranno con delle misure blande che non dovrebbero crearci troppe difficoltà per la nostra azione militare.

Si può perciò ritenere che noi abbiamo ancora qualche tempo per condurre innanzi vigorosamente la nostra azione militare. Ora sarebbe di grandissima importanza di sfruttare al massimo il nostro slancio iniziale arrivando il più avanti possibile. I motivi sono i seguenti:

l) Non pare probabile che quando noi ci fermassimo sulle posizioni che hanno formato l'obiettivo del nostro primo balzo (mentre l'esercito abissino non si è ancora impegnato) si possano iniziare dei negoziati su una base di nostra soddisfazione.

2) Se invece la nostra azione ci portasse, sia nella aZJione che proviene da Nord che in quella eventuale proveniente da Sud, a darci in mano una parte più vasta di territorio abissino, noi ci troveremmo in condizioni migliori per trattare a Ginevra potendo, per i pegni che abbiamo in mano, esercitare una pressione maggiore, sia di fronte all'Abissinia che di fronte alla S.d.N.

3) Se invece ci fermiamo dopo raggiunti i primi obiettivi dell'azione in corso e se, come è presumibile, si viene a Ginevra a delle trattative che falliranno, noi ci troveremmo alla ripresa delle azioni in una situazione più difficile, sia perché Ginevra (in particolare la Gran Bretagna), si saranno maggiormente irrigidite, sia perché del tempo sarà passato e le sanzioni automaticamente andranno intensificandosi.

4) Per quanto l'attuale azione non ha trovato effettiva resistenza da parte abissina, si può pensare forse che la nostra conquista eserciti una influenza deprimente e dissolvente sulle forze abissine. Sarebbe bene approfittare subito prima che il Negus abbia tempo di spiegare le ragioni della ritirata strategica e galvanizzare la resistenza etiopica.

Quindi dal punto di vista delle trattative di Ginevra converrebbe che l'attuale azione sia sfruttata fino in fondo cercando di occupare il più vasto tratto possibile di territorio (l).

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 298.
266

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MUSSOLINI

T. 6614/278 R. Ginevra, 7 ottobre 1935, ore 1,30 (per. ore 5,15).

Pflligl mi ha detto che Selby, Ministro britannico a Vienna, prima di partire in congedo, suppongo per riferire a Hoare sulla situazione, ha rivolto a Berger una serie di domande sulla situazione politica generale, sui rapporti dell'Austria con l'Italia e la Germania ·e infine sulle 'intenzioni del Governo austriaco nei riguardi delle sanzioni.

Berger avrebbe risposto che questione pregiudiziale della dichiarazione di aggressione costituiva un precedente di eccezionale importanza per l'Austria, che teme l'aggressione tedesca e questione sanzioni presentava speciale difficoltà in ragione della critica situazione economica dell'Austria. Pfltigl ha aggiunto risultargli che Ministro inglese a Budapest ha fatto analoghe pressioni su signor Apor, Segretario Generale, il quale avrebbe dichiarato senza ambagi di escludere che il Governo ungherese avrebbe preso qualsiasi misura contro l'Italia.

Ho fatto noto a Pfliigl che nella questione dichiarazione aggressore l'Austria non ha da assumere nessuna responsabilità in quanto non siede in Consiglio e che nell'unica questione in cui potrà fare sentire la sua parola, e cioé in quella delle sanzioni, il R. Governo si attende dall'Austria un gesto di franca e coraggiosa amicizia. In conseguenza l'ho pregato di telefonare a Berger chiedendogli autorizzazione di secondarmi in Assemblea come io, secondo le circostanze, gli suggerirei.

Pflligl ha detto che domani sera, tra le ore 19 e 19,30 avrà luogo Consiglio presieduto dal Cancelliere per decidere su questione sanzioni e che egli telefonerà in proposito tempestivamente a Berger. Comunico quanto sopra per l'eventuale azione che V.E. riterrà di svolgere a Vienna.

(l) Annotazione a ma·rgine di Suvich, datata 7 ottobre: «Il capo restitu'isce dicendo che è necessaria una sosta di circa una settimana ».

267

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, BERGER-WALDENEGG

APPUNTO. Roma, 7 ottobre 1935, [ore 12 circa].

Il Ministro Berger-Waldenegg mi telefona per intrattenermi sull'atteggiamento dell'Austria nell'Assemblea, convocata per mercoledl venturo. Egli ritiene che l'Assemblea sarà posta di ftronte a due questioru: Ha fatto l'Italia ricorso alla guerra'? È l'azione dell'Italia aggressione non provocata?

Egli vorrebbe astenersi dal voto, giustificando questa sua astensione colla considerazione che non avendo partecipato alle discussioni non ha elementi sufficienti per giudicare, e farebbe valere anche tutte le ragioni che vede l'Austria sulla possibilità di una giustificazione dell'atteggiamento italiano.

Egli vorrebbe sapere:

l) se un tale contegno sarebbe gradito all'Italia;

2) se l'Italia non intravede in ciò pericoli per l'Austria che domani potrà essere nella necessità di ricorrere alla Società delle Nazioni contro un'aggressione germanica.

Rispondo al Ministro che è chiaro che tra un voto a favore e una astensione noi preferiamo un'astens·ione come tra l'astensione e un voto contrario preferiamo il voto contrario. L'astensione non è sufficiente per spezzare l'unanimità della votazione.

Non vedo nessun pericolo per l'Austria. Mi riservo ad ogni modo di ritornare su questo argomento.

Il Ministro Berger dopo la nostra risposta prenderà contatti con Kanya.

Riferisco però al Ministro che, secondo le mie notizie, l'Assemblea non sarebbe chiamata a deliberare su quei due punti ma piuttosto i singoli Stati all'Assemblea sa;ranno chiamati ad associarsi alle sanzioni che delib€rerebb€ il Consiglio. In tale caso noi ci attendiamo che l'Austria voti contro. Ha un buonissimo pretesto anche di fronte alla S.d.N., sostenendo che come piccolo Stato non può applicare le sanzioni di fronte ad una grande Potenza con grandissimo pregiudizio per la propria economia.

Il Ministro Berger mi dice di essere appunto in questa linea.

Si è incaricato telefonicamente Colonna di chiedere a Budapest quale sarebbe l'atteggiamento deU'Ungheria sui punti dei quali si patria più sopra. Budapest risponderà domani (1). Ad ogni modo l'impressione della nostra Legazione è che l'Ungheria sia piuttosto riservata (2).

(l) -Vedi D. 271. (2) -Una annotazione a margine dice: «V. dal Capo del Governo».
268

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6753/345 R. Shanghai, 7 ottobre 1935, ore 13 (per. ore 4 dell'B).

Telegramma di V.E. n. 1788/C (1). Per quello che riguarda Cina, mentre missione Leith-Ross è in procinto di svolgersi, possono già scorgersi elementi di insuccesso.

Una idea poco felice è stata certamente quella di fare giungere esperto britannico per via Tokio. Se Governo inglese voleva fare approcci con quello giapponese in materia di collaborazione in Cina o altrove, poteva servirsi di altro messo senza esporre Leith-Ross alla diffidenza cinese la quale, in mancanza di notizie sicure sugli scopi dena missione di lui in Giappone, finisce con [allinearsi] alle ipotesi (peggiori). Tale atmosfera di diffidenza sta aggravandosi con disillusione per vacuità delle proposte che egli è venuto a fare. Finora sembra che egli non abbia parlato che del modo di sistemare debiti cinesi verso l'Inghilterra, apparendo più nella veste di creditoce, che VUQle fare pesare una longanimità, che nella veste di uno che porti soccorsi. Ha offerto inoltre vendita materiale ferroviario, aeroplani, navi e macchinari. Di prestiti alla Cina non avrebbe parlato se non per fare comprendere necessità gradimento giapponese, il che ha maggiormente acui,to sospetti cinesi di una intesa dell'Inghilterra col Giappone.

Ambienti del Kuomintang, da cui provengono queste notizie riservate, considerano missione Leith-Ross in Cina fallita e io stesso, che ero ansioso di fare partecipare un esperto italiano agli eventuali successi dell'esperto britannico, sono ora indotto ad una certa prudenza prima di associare nostro nome ad iniziativa che sembra tramutarsi in uno scacco. Dello stesso parere è questa Ambasciata francese presso la quale ho appreso che esperto francese non si muove per ora.

Questi elementi di insuccesso del signor Leith-Ross in Cina non sono però confortanti quando si consideri che essi provengono in parte dal dubbio che missione, che sembra [sia stata ben accolta] Tokio, possa avere spianato il terreno ad una intesa con Inghilterra. Non esistono elementi sicuri al riguardo, ma si deve tener conto che ambienti prevenuti i quali nutrono tale dubbio, sono i migliori conoscitori delle cose dell'Estremo Oriente.

Un altro elemento indiretto che è stato rilevato presso sfera politica di Nanchino è che Inghilterra ha sguarnito sue forze navali in Estremo Oriente per inviarle al Mediterraneo il che, se appare spregabile in relazione preoccupazione della politica in cui Governo inglese si è impegnato in Europa, non sarebbe però avvenuto senza preventiva creazione di un elemento di tranquillità in Estremo Oriente determinato da una intesa, almeno passiva, con Giappone.

Sono questi sintomi sino ad ora palesi. Seguirò con molta attenzione argomenti e riferirò.

(l) Vedi D. 248.

269

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1809/168 R. Roma, 7 ottobre 1935, ore 16.

Dica personalmente a codesto Cancelliere che conto su voto contrario del delegato austriaco all'Assemblea quando venga in discussione l'applicazione delle sanzioni. Istruzioni in questo senso dovrebbero essere impartite senza indugio. Austria potrà sempre motivare voto contrario adducendo il fatto che essa è un piccolo paese e che non crede pertanto Ca prescindere da ogni altra considerazione: diversità di trattamento adottato in altri casi, rapporti esistenti con l'Italia; merito della questione ecc.) di procedere essa stessa all'applicazione delle sanzioni (l).

270

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6706/207 R. Ankara, 7 ottobre 1935, ore 16,56 (per. ore 19,25).

In lunga conversazione avuta ieri sera con Aras, questi mi ha dichiarato formalmente che linea adottata Governo turco pe·r eventualità applicazione articolo 16 è seguente:

a) esso non si farà parte diligente, né mostrerà alcuno zelo circa applica

zione misure economiche che, anzi, cercherà limitare al massimo perché anche

esso ne sarà danneggiato. Ma non potrà sottrarsi sanzioni, se verranno decise

da S.d.N. Aras pensa che si potrebbe anche arrivare in un secondo tempo a

contemplare sospensione rapporti di commercio;

b) Turchia rifiuterà qualsiasi concorso a misure militari, né permetterà

che altre forze militari si valgano del suo territorio per sanzioni contro Italia.

Tale decisione ha valore permanente. Non potrebbe [mutare] che se vi fossero

interessi concreti e direttamente turchi da difendere. Turchia ha troppo doloroso

ricordo passato conflitto mondiale per entrare in ingranaggio che potrebbe con

durre alla ripetizione.

Col rifiuto concorso anche passivo a misure militari, Aras crede porre impedi

mento a eventuali decisioni che non potrebbero, secondo lui, attuarsi senza con

tributo turco-jugoslavo.

(1) Identico telegramma fu inviato con l! n. 1808/143 R. a Colonna che rispose con il D. 274. Per la risposta di Preziosi vedi D. 286.

271

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6665/120 R. Budapest, 7 ottobre 1935, ore 18,30 (per. ore 20).

In merito risposta ungherese ai due quesiti segnalatimi testé telefonicamente da S. E. Guariglia (l) questo Ministro Affari Estelfi -col quale Presidente del Consiglio mi ha pregato trattare questione -ha cominciato col dire, con riserva di darmi domani informazioni definitive, ,propendere astensione per tutti e due punti.

Dopo deciso discorso da me tenutogli e richiamandomi tra l'altro recenti spontanei dichiarazioni fatteci Presidente del Consiglio e Capo dello Stato, ha così fissato provvisoriamente suo punto di vista: «Ad una, astensione; a due: possibilità venire incontro nostro desiderio».

In ogni caso però Ungheria conserverà atteggiamento nettamente contrario sanzioni.

272

IL MINISTRO AD OSLO, RODDOW, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6719/130 R. Oslo, 7 ottobre 1935, ore 19,47 (per. ore 22,30).

Mio telegramma per corriere n. 128 del 2 corr. (2).

Con mio telegramma stampa odie·mo n. 1427/223 (3) ho spedito comunicato ufficiale circa sanzioni emanate stamane dopo laboriose riunioni questa Commissione parlamentare degli affari esteri che si sono protratte nella giornata di ieri.

I Ministri ed i parlamentari contrari alle sanzioni sono rimasti in minoranza. La loro azione ha tuttavia valso a moderare conclusioni Presidente del Consiglio dei Ministri favorevole alle sanzioni per disciplina di partito ed estremista socetario Hambro filoinglese. Il Ministro degli Affari Esteri Koht ha ricevuto istruzioni di aderire ad eventuali sanzioni economiche di primo grado, cioé a quelle che portassero soltanto a divieto di rifornimento bellico. Queste, in pratica, non toccherebbero scambi commerciali tra l'Italia e Norvegia. In seno alla commissione parlamentare, Koht ha sostenuto che il Governo norvegese, prima di dar corso all'applicazione di sanzioni-sia pure delle meno gravi -doveva riservare esame della portata delle sanzioni che si proponessero a Ginevra. Koht parte oggi per Ginevra.

Mi ha detto in via strettamente confidenziale: l) che dopo conclusioni Commissione pa;rlamentare ed istruzioni ricevute dovevano farsi a Ginev,ra dichiarazioni di obbedienza agli impegni derivanti dal patto S.d.N.; 2) pensava che Assemblea della S.d.N. si sarebbe limitata a fare raccomandazioni per l'applicazione delle sanzioni economiche di primo grado; 3) in questo caso Governo norvegese aderirebbe alle raccomandazioni di Ginevra; 4) se invece a Ginevra si raccomandassero sanzioni economiche che interferissero sugli scambi commerciali itala-norvegesi, Governo norvegese avrebbe riferito al Parlamento; 5) mi ha ripetuto che comunque Governo norvegese non giungerebbe mai a sanzioni militari.

Koht conta ritornare domenica ventura. Il mio colloquio con Koht ha avuto luogo prima della sua partenza e dopo una sua conversazione con questo Ministro di Inghilterra.

(l) -Vedi D. 267. (2) -Con tale telegramma Roddolo riferiva circa le Impressioni riportate da Koht sul suo soggiorno a Ginevra. (3) -Non pubblicato.
273

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6673-6676/89-90 R. Berna, 7 ottobre 1935, ore 21,40 (per. ore 1,30 dell'B).

Consiglio Federale mantiene tuttora massimo riserbo circa questione sanzioni; sembra però deciso non subire pressioni partito di sinistra. Nessuna decisione è stata presa perché Consiglio Federale attenderebbe vedere quanto avverrà a Ginev.ra 'e Motta non avrebbe poteri se non •in questo senso. Motta sembra r.itenere essere nell'articolo 16 qualche cosa di ineluttabile anche per lui ma, nell'applicazione, si è dichiarato deciso tener conto della sua neutralità, amicizia con l'Italia e necessità buon vicinato, ragioni per le quali, pur non volendo essere ottimista, non può essere escluso che faccia appello deliberazioni assemblea S.d.N. 1921 riguardo piccoli Stati.

Dalla discussione che qui si fanno si ha ragione di ritenere che Svizzera è

preoccupata conseguenze che le sanzioni avrebbero sua economia, già gravemente

colpita dalla crisi economica. Si teme anche sanzioni possano eventualmente

degenerare e trascinare Svizzera fuori della sua neutralità, ma per quanto sen

sibili a queste preoccupazioni sono impressionati dalle perdite materiali prevedi

bili. Anzitutto perdita nostro mercato e di quei maggiori affari che guerra e

sanzioni potrebbe.ro loro off.rire se astenuti dalJe sanzioni.

Tali preoccupazioni però avrebbero efficacia ben più profonda se questi

esportatori avessero certezza che Italia paga, mentre oggi, anche per opera

propaganda avversa, temono contrario. Se R. Governo stima necessario ag•ire l!n

modo da influire su questo paese e fare possibile per trattenerlo da sanzioni.

gioverebbe considerare affare pagamento [debiti] all'estero e pendenti questioni economiche da un punto di vista politico non finanziario economico e sopratutto effettuare pagamenti. Influenza sarebbe notevolissima. Sempre allo scopo indicato riterrei opportuno rimandare negoziazione nuovi accordi commerciali poiché discussione essendo basi ancora lontane potrebbe suscitare malcontento e svalutare quelle rB,iioni materialiste che sono forse le sole atte a determinare ambienti interessati della Svizzera a considerare sanzioni in senso a noi favorevole.

274

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6662/122 R. Budapest, 7 ottobre 1935, ore 22,05 (per. ore 0,40 dell'B).

Ho riparlato stasera a questo Presidente del Consiglio facendogli comunicazione di cui al telegramma di V.E. n. 143 odierno (1).

Nel confermarmi Ungheria «assumerà atteggiamento nettamente contrario applicazione sanzioni ~ Generale Goemboes si è riservato darmi pomeriggio domani informazioni definitive in merito risposta ungherese ai due quesiti assemble,a S.d.N.

Sottolineato ~carattere provvisorio e personale conversazione Kanya stamane (2), Presidente ha tenuto infine riaffermare direttive sua politica e suoi sentimenti non sono mutate.

Gli ho risposto che perciò non dubitavo decisione Governo ungherese avrebbe corrisposto attesa di V.E.

275

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6666-6667/283 R. Ginevra, 7 ottobre 1935, ore 23,45 (per. ore 4 dell'B).

Iniziandosi oggi alle ore 16 seduta privata Consiglio, ho chiesto quale fosse esattamente ordine del giorno della seduta pubblica. Avendo Presidente risposto che si sarebbe trattata prima del rapporto del Comitato dei Tredici e successivamente del rapporto del Comitato dei Sei, ho obbiettato di non aver da parte mia, come dichiarato nella seduta precedente, nessuna abbiezione alla discussione del primo rapporto, ma, circa il secondo, chiedevo il rinvio della discussione a domani, avendo ricevuto solo stamani il documento. Alle insistenze del Presidente per la discussione oggi stesso anche del rapporto dei Sei, ho obbiet

tato formulando una protesta formale e chiedendone l'inserzione nel processo verbale. Presidente ha allora proposto che Consiglio si riunisse senza le parti per deliberare. Mi sono opposto a tale procedura. Rappresentante della Spagna, pur facendo mostra approvare proposta Presidente, l'ha in sostanza modificata nell'intento di appoggiarci, suggerendo che membri del Consiglio, meno le parti in causa, si riunissero in consultazione privata presso Segretario Generale. Eden si è opposto. Da parte mia ho detto che non avevo obbiezioni. Presidente ha adottato proposta Madariaga e seduta privata è stata così sospesa per circa mezz'ora.

Alle una, Presidente ha letto una dichiarazione, fatta anche a nome altri Membri dei ConsigHo, nella quale, dati avvenimenti in corso, si prospettava necessità procedura sollecita; in conseguenza Membri del Cons•i:glio sarebbeTo stati interpellati nella seduta pubblica odierna a fare singole dichiarazioni circa rapporto Comitato dei Sei, pur lasciando alle parti di enunciare le loro dichiarazioni in una seduta ulteriore del Consiglio. Ho allora dichiarato di mantenere la protesta già formulata. Adottandosi in tal modo l'ordine del giorno, si è iniziata in seduta pubblica discussione sul rapporto del Comitato dei Tredici in vista art. 15, par. 4.

Ho pronunciato la dichiarazione nota a V.E. Successivamente ha parlato Delegato etiopico il quale ha messo in rilievo punti del rapporto del Comitato favorevoli alla tesi etiopica; ha insistito che accordo tripartito e atti relativi non legano l'Etiopia (sic); possono essere considerati come preparanti spartizione dell'Etiopia, interpretazione che, contrastando con art. 10 del Patto, li renderebbe caduchi; ha dichiarato che scambio di note itala-inglesi 1925 non può ledere sovranità etiopica, come risulta da spiegazioni inviate a suo tempo da Governi interessati a S.d.N. Patto non potrebbe consentire che Etiopia sia posta sotto mandato o sotto forma analoga che ne attenti sovranità. Ha affermato che Consolati italiani in Etiopia mantengono dei depositi di armi per fomentare ribellioni, e si è riservato rapporto dettagliato su tali manovre italiane. Italia non ha mai dichiarato a Ginevra veri scopi della sua azione che vengono esposti però nella stampa italiana: Italia vuole costituire grande Impero coloniale e conquistare territorio di popolamento. Ha dichiarato accettare tanto rapporto Comitato del Tredici quanto rapporto Comitato dei Sei -Ha chiesto urgente applicazione art. 16 del Patto. Ha rivolto infine appello al Popolo italiano perché eviti la catastrofe di una guerra di lunga durata. Presidente ha dichiarato chiusa la discussione, nessuno domandando la parola.

Procedutosi al voto, Consiglio è stato unanime, salvo mio voto contrario, nell'approvazione del rapporto del Comitato dei Tredici. P.residente, nell'annunziare risultato votazione da considerarsi unanime, ha ricordato che il Consiglio si è riservato di fare altre raccomandazioni e cioé: per evitare ulteriori violazioni del Patto bisogna che le ostilità cessino; Consiglio resta a disposizione delle Parti per aiutarle a stabilire condizioni cessazione ostilità.

Si è poi iniziata discussione rapporto del Comitato dei Sei. Dichiarando inammissibile assurda procedura per cui decisione Consiglio avrebbe preceduto dichiarazioni delle Parti, ho ripetuto pubblica formale protesta reclamando che... (l). A questo punto Delegato etiopico ha annunziato che H Governo di. Addis Abeba si tiene a disposizione del Consiglio per fare cessare le ostilità. Tale dichiarazione non è stata rilevata da alcun membro del Consiglio. Presidente ha allora richiesto che i singoli membri procedessero rispettive dichiarazioni sul rapporto dei Sei. Con ciò si è voluto evitare formale votazione.

Membri del Consiglio si sono limitati ad approvare individualmente e su appello nominale rapporto, senza formulare alcuna dichiarazione. Da parte mia ho dichiarato che facevo ogni riserva sulla procedura adottata, che non approvavo il rapporto e che mi riservavo eventuali ulteriori dichiarazioni. Presidente ha constatato che quattordici membri S.d.N. considerano trovarsi nel caso di una guerra impegnata contrariamente obblighi articolo 12 del Patto. Ha poi dichiarato che rapporto dei Sei, con processo verbale seduta Consiglio, sarebbe stato inviato a tutti i membri della S.d.N., nonché al Presidente dell'Assemblea, perché questa possa essere associata nelle misure da adottare.

Risultati della giornata sono quelli previsti, salvo una accelerazione di tempo spinta agli estremi per accanita decisa volontà britannica, alla quale nessuno degli altri membri del Consiglio ha osato opporsi. Come ho già esposto altre volte a V.E., gli Inglesi stringono progressivamente i freni usando tutte le pressioni possibili, tanto qui quanto all'este.ro, pur di pervenire ad immediate sanzioni. Nella seduta di oggi, pur di potere avere nella serata la decisione, hanno ristretto la procedura. A comprova del predeterminato accordo a nostro danno cito una comunicazione distribuita già stampata dal Seg.retariato al momento stesso fine seduta, concernente trasmissione per radio delle deliberazioni del Consiglio. Minuziose indicazioni di carattere tecnico contenute nella comuru.cazione dimostrano preordinata preparazione.

(l) -Vedi D. 269, nota 1. (2) -Vedi D. 271.
276

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 6746/0106 R. Vienna, 7 ottobre 1935 (per. il 9).

Mio teleposta riservatissimo n. 2166 del 28 settembre (2).

Starhemberg mi ha confermato le notizie già riferite a V.E. circa lo scontento manifestatosi nella recente riunione delle gerarchie heimwehriste. Egli non se ne era mostrato preoccupato. Ha osservato che detto malcontento deriva sovratutto dal fatto che l'Heimatschutz, tenendo· troppo presenti le molteplici cariche che fu possibile conseguire l'anno scorso in favore di rappresentanti heimwehristi tanto nella formazione del Ministero Schuschnigg quanto nella costituzione dei nuovi Governi locali, è adesso proclive a considerare la sopravvenuta necessaria stasi nell'ottenimento di pubblici uffici come un vero e pro

prio regresso del movimento, il che non è poi esatto, giacché l'Heimatschutz, negli ultimi mesi, è riuscito a conquistare le confederazioni degli industriali e dei commercianti, divenute entrambe completamente heimwehriste, oltre che ad effettuare altre notevoli penetrazioni.

D'altra prurte, secondo Starhemberg, Je masse heimwebriste non si rend&ebooro esatto oonto delle attuali effettive possibilità del movimento. Esse trascurerebbero Ia circostanza che l'Heimatschutz, pur avendo fatto qualche prog.resso in seno alle organizzazioni dei contadini e degli operai, non può ancora certo contare sull'appoggio e sull'adesione di dette organizzazioni, che pur g.U sarebbero indispensabili per conseguiTe la direzione totaUtaria del Governo e delle amminitrazioni provinciali; né esse terrebbero nel dovuto conto la reale forza del cristiano-sociali, e sovratutto l'assoluta necessità di mantenere, per il bene supremo del Paese, con reciproche concessioni, un'equa bilancia fra gli interessi heimwehristi e quelli cristiano-sociali.

In tali condizioni Starhemberg confida che l'Heimatschutz, mercé un'opportuna propaganda, finirà col comprendere che il motivo del suo scontento risiede meno nella pretesa deficiente azione del suo Fiihrer, che nella logica delle cose. Ad ogni modo Starhemberg ha già ottenuto da Schuschnigg l'impegno di procedere presto a qualche atto che possa mostrare chiaramente all'opinione pubblica la loro solidale autorità ed il loro personale prestigio.

Starhemberg mi ha poscia segnalato la subdola azione di qualche capo, dedito a segreti ambiziosi piani. In stretta confidenza mi ha citato solo il nome del Fey, precisando che questi andrebbe da tempo cautamente insinuando:

l) che egli-Starhemberg -è troppo «aristocr-atico~ per poter assicurare alle Heimwehren un adeguato posto, rispetto alla parte cristiano-sociale;

2) che egli-Starhemberg -è responsabile della difficile e delicata posizione in cui si troverebbe attualmente l'Austria, e ciò pel fatto di aver puntato essenzialmente sull'Italia; mentre sarebbe venuto il tempo, sull'oes•empio di GombOs, che l'Austria si orientasse pur essa verso la Germania, naturalmente di conserva con l'Ungheria.

Circa quest'ultimo punto osservo che effettivamente il Fey, oltre a mantenersi in contatti col von Papen, nonché con dubbi elementi nazionali e del tipo Jakoncig, è stato il solo Ministro austri·aco ad inviare a Goemboes un telegramma di felicitazioni, in occasione del triennio del suo Governo. Inoltre può avere qualche significato la circostanza che, prospettandosi tempo fa, al momento della tragica fine della Signora Schuschnigg, l'eventuale costituzione di un Ministero Gleissner, corse la voce che, in tal caso, Starhemberg e Berger sarebbero stati rispettivamente sostituiti dal Fey e Jakoncig. Ma anche a questo riguardo Starhemberg è aHeno dal drammatizzare. Egli ritiene che tutte queste v•elleità sono destinate a dileguare non appena Ia situazione internazionale si sarà chiarita, facendo venir meno gli esagerati allarmi degli interessati.

Desidero infine aggiungere che Starhemberg si è detto pronto a prendere un assai più vivo interesse al suo movimento ed alla vita politica interna: una disposizione che, se si tradurrà nel fatto, sarà il più efficace antidoto tanto allo scontento dei suoi gregari, quanto alle suindicate velleità di questo o quel gerarca.

(l) -Il seguito della frase non è stato decifrato. (2) -Vedi D. 206.
277

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6758/044 R. Budapest, 7 ottobre 1935 (per. il 9).

Mio telegramma n. 118 del 5 corr. (1).

Questo Ministro degli Affari Esteri, nel conferma;rmi che il 5 corrente sarebbero state inviate istruzioni al Ministro d'Ungheria a Varsavia nel senso richiesto da V.E. con il telegramma n. 139 (2), mi ha assicurato stamane che mi avrebbe fatto conoscere appena possibile quanto al riguardo fosse per riferirgli il signor de Hory.

Il signor de Kanya ha aggiunto che del resto egli stesso aveva recentemente avuto occasione di esprimersi a Ginevra in termini analoghi con Beck, che aveva trovato ad un tempo favorevolmente disposto ma assai riservato.

278

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 6827 R. Durazzo, 7 ottobre 1935 (per. il 10).

Seguito mio telespresso n. 2559/1005 del 28 settembre u.s. (3). Mi consta che Governo albanese mi sottoporrà in questi giorni la proposta di integrare il progetto di accordo sull'organizzazione militare con un articolo

che ne stabilisca una durata pari a quella del trattato di alleanza. Sarei grato a V.E. se volesse farmi telegraficamente conoscere fin d'ora il suo pensiero a tale particolare riguardo.

Poiché l'argomento contempla una sistemazione e tecnica e finanziaria di qualche importanza per lo Stato albanese, non mi sembra che potremmo comunque esimerci dal vincolarci almeno per qualche anno, necessario ad una sua efficiente attuazione.

Se, poi, entrassimo nell'ordine d'idee di ricollegare, secondo si propone da parte albanese, l'accordo militare, in corso di conclusione, al trattato di alleanza, potremmo riservarci un'opportuna elasticità di decisione per ogni eventualità futura col formulare l'articolo in discorso od il preambolo dell'accordo in modo da precisare che l'accordo stesso ha come necessario presupposto l'osservanza dello spirito oltre che della lettera del Trattato principale (4).

(l) -Vedi D. 249, nota 3. (2) -Vedi D. 249. (3) -Non rinvenuto. (4) -Per la risposta di Suvich vedi D. 432.
279

COLLOQUIO DEL SO'ITOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 7 ottobre 1935.

Ho convocato l'Ambasciatore Chambrun per informarlo delle trattative in corso tra l'Austria e la Germania. La questione è abbastanza avanzata.

Da parte austriaca si è dato a von Papen, per ora senza impegno, uno schema di controprogetto alle proposte tedesche (1). Tale schema prevede cessazione della campagna di stampa, cessazione della propaganda ostile, facilitazioni per il passaggio delle frontiere, movimento turistico, riconoscimento da parte dell'Austria che il regime nazi è il regime dell'Impero germanico, riconoscimento da parte della Germania della indipendenza austriaca, riconoscimento da parte germanica che la questione nazista in Austria è una questione interna, affermazione da parte austriaca che i rapporti tra Austria e Germania partono dal presupposto che l'Austria è uno Stato tedesco.

Osservo all'Ambasciatore che tutto ciò è molto serio e che l'ultima affermazione relativa all'Austria «Stato tedesco» è di grande importanza e può essere il principio della Gleichschaltung. Tutto ciò lo dobbiamo agli inglesi che colle loro minacce hanno dato l'impressione che l'Italia fosse impeg•nata a fondo nel Mediterraneo e che non potesse difendere più con tanta energia il confine del Brennero. Gli austriaci hanno pensato forse che i tedeschi avrebbero approfittato di questa situazione e perciò cercano di prevenirla con un accordo.

L'Ambasciatore Chambrun si dice impressionato da questa notizia che riferirà a Parigi.

Intrattengo poi l'Ambasciatore sui rapporti itala-francesi. L'esame della risposta di Hoare (2) ha dato l'impressione che l'Inghilterra non intende prendere a priori seri impegni per il Continente. La base della stabilità del mantenimento della pace e della stabilità pòlitica di Europa, rimane sempre la collaborazione itala-francese.

Il Capo del Governo è disposto a procedere più avanti su questo terreno. Egli considera l'opportunità di uno sviluppo degli accordi politico-coloniali del 7 gennaio e degli accordi militare Gamelin (3) e aereo Denain (4), in modo da arrivare fra Italia e Francia a una alleanza difensiva politico-militare.

L'Ambasciatore trova queste considerazioni molto importanti e le riferirà immediatamente a Parigi.

Si viene poi a parlare della situazione esistente tra Italia e Gran Bretagna.

Il punto delicato è s·empre quello degli armamenti fatti dai due Paesi, l'uno contro l'altro. Una intesa dLretta tra Inghilterra e Italia in questo momento non pare possibile. Forse l'azione migliore per salvare la pace nel Mediterraneo sarebbe un intervento energico del Signor Lavai, il qual•e dovrebbe fare le più

forti pressioni sia sulla Gran Bretagna che sull'Italia per un principio di smobilitazione. I punti delicati sono, da parte inglese, il concentramento della « Home Fleet » nel Meditel'raneo e da parte italiana ammassamento delle tre divisioni in Libia.

Questa azione del Signor Lavai potrebbe essere fatta senza toccare per nulla la posizione da lui stesso presa, sia nei riguardi dell'Italia che della Gran Bretagna e della Società delle Nazioni.

L'Ambasciatore si riserva di intrattenere su questo argomento senza indugio il Signor Lavai.

(l) -Vedi D. 231. (2) -Vedi D. 219. (3) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 480.

(4) Ibid., D. 196.

280

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI SVEZIA A ROMA, SJ6BORG

APPUNTO. Roma, 7 ottobre 1935.

Ll Ministro di Svezia è venuto per comunicarmi che gli uffictali che attualmente prestano servizio in Etiopia hanno avuto l'ordine di rientrare (1).

281

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 3654/1485. Berlino, 7 ottobre 1935 {per. il 9).

Goring ha ormai finito le sue cacce. Ho quindi fatto domandare, nel pomeriggio di avantieri sabato, di vederlo. Mi ha ricevuto stamane alle 11. Siamo stati insieme un'ora e mezza.

Mi manca il tempo di riferire la conversazione in dettaglio. Ciò che importa è il succo e il suo senso generale, che è il seguente.

Goring si considera -e tiene a farsi considerare anche dagli altri -come il pilastro dell'amicizia italo-tedesca. Ha rievocato con accalorata simpatia i tempi da lui trascorsi in Italia; l'antica, cordiale consuetudine con il Duce dell'Italia fascista, che, tanto egli quanto il Fiihrer, considerano sempre come una figura «storica». Goring è per parte sua disposto a far di tutto perché l'antica amicizia (delle cui manifestazioni esteriori anche nei riguardi dell'Ambasciata mi ha dato un minuto quando vivido acconto), è disposto, dico, a f·ar di tutto perché l'antica amicizia Q"ifiorisca. Ma sarebbe ·ancora troppo presto, e il popolo tedesco non comprenderebbe dei gesti di troppo rapido riavvicinamento. Bisogna (ed egli si congratulava vivamente con me per quanto avevo fatto fino adesso e sopratutto pel mio discorso di presentazione delle credenziali) lasciar tempo al tempo e fare operare le forze e le affinità naturali, avendo peraltro cura di liberarle dagli impacci e dagli ostacoli esterni.

In un momento in cui i soddisfatti ed i satolli fanno fronte comune contro

diseredati, è più che naturale che questi si sentano solidali f:ra di loro. Egli era il primo a sentire questa solidarietà. Ma non cosi ancora il popolo tedesco, il quale era sempre sotto l'impressione che l'Italia si fosse scostata dalle sue associazioni naturali per accostarsi a Paesi (la Francia) la cui amicizia non poteva aver altra base che l'inimicizia per la Germania.

Ancora rievocando -direi con passione -i tempi passati, egli si immaginava cosa, in quelle condizioni, sarebbe successo ora in Germania per l'impresa italiana in Abissinia. Av,reste visto -mi diceva -delle dimostrazioni di piazza in vostro favore. Adesso no.

Il Governo, ed egli più di tutti, augurava di tutto cuore all'Italia ed al suo Duce pieno successo. Ma il popolo tedesco, reso ipersensibile dall'hitlerJ.smo, non era ancora accessibile agli stessi sentimenti. Esso si trovava tuttora sotto l'1mpressione delle lunghe, sanguinanti, campagne di stampa appena di recente tnterrotte e considerava l'Italia come estraniata dalla Germania.

Goring non ha mancato naturalmente di accennare eg~i stesso ai fatti dell'Austria, fatti peraltro --ha aggiunto subito -dovuti -e lo ha ripetuto due volte -a irresponsabilità di pochi subalterni e che il Governo tedesco si sarebbe riservato di opportunamente chiarire e liquidare.

Comunque, questa è storia del passato. Egli in tanto la rievocava in quanto voleva farmi comprendere come fosse difficile, e persino inopportuno, precipitare gli eventi. Ma egli era disposto, lo ripeteva nuovamente, a collaborare sinceramente con me ad un movimento di ripresa, e ciò anche all'infuori di og,ni «burocrazia diplomatica~.

Prima di accompagnarmi di persona fino al primo ingresso, Gi:iring ha tenuto a condurmi nella stanza immediatamente contigua al suo studio, nella quale, in mezzo a un folto gruppo di fotografie, egli teneva sempre, e con immutata ammi_[,azione, quella del Duce dell'Italia fascista.

Questo il succo, ripeto, di quanto Gi:iring mi ha detto o fatto intendere. Faccio grazia a V.E. -tanto più che V.E. può bene immaginarselo -di tutto quanto :io ho detto a lui.

Dalla conversazione ho tratto il convincimento che si può contare su Gi:ir.ing per una sostanziale ripresa delle relazioni italo-tedesche ma che questa, oltreché richiedere evidentemente grande tatto e perizia, non potrebbe avvenire che per gradi (l).

(l) Il presente c;ocumento reca Il visto di Mussollnl.

282

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 3046/1011. Bulkeley, 7 ottobre 1935 (per. il 12).

Ho avuto questa mattina un lungo colloquio con questo Alto Commissario britannico testé rientrato dal congedo, a quanto egli mi ha detto, prima del tempo previsto a causa della situazione.

Sir Miles Lampson, dopo alcuni preliminari improntati a quella affabilità che gli è caratteristica e che gli viene, nei miei riguardi, consentita dalla antica conoscenza reciproca, mi ha detto che desiderava parlarmi molto francamente, anche per incarico ricevutone a Londra da sir Robert Vansittart, della propaganda svolta dall'Italia ·in Egitto, propaganda che, per il suo carattere antibritannico, sarebbe contraria ana speciale situazione dell'Inghilterra 1n questo Paese ed inammissibile quindi da parte del Governo di Londra.

L'Alto Commissario ha aggiunto che, secondo sicure informazioni di cui il Foreign Office sarebbe in possesso, l'Italia sta svolgendo qui una attiva campagna, sovvenzionando giornali e gruppi politici ed istigandoli contro l'Inghilterra, con una azione tanto più abile in quanto questi gruppi politici non si professa:no filo-italiani. A questa azione non sarebbe estraneo qualche funzionario di questa Legazione. Sir Miles ha poi anche accennato alle radio-trasmissioni della stazione radiofonica di Bari.

Ho risposto a sir Miles Lampson che potendo decisamente escludere che vi sia in atto un'azione italiana comunque in contrasto con i diritti dell'Inghilterra in Egitto, non avrei avuto altro da aggiungere non avendo alcuna ragione di dare spiegazioni al riguardo né per quanto concerne la materia né per quanto concerne la competenza formale. Nell'intento però di continuare nell'intesa amichevole con lui intercorsa prima della sua partenza, di tenerci pe!l"sonalmente in contatto per eliminare localmente eventuali cause di frizione che potessero sorgere in Egitto nell'attuale momento, non avevo difficoltà a rispondergli a titolo puramente personale ed amichevole. L'Italia non svolge qui alcuna opera di propaganda antibritannica e tanto meno sovvenziona orga:ni di stampa o gruppi politici. Insinuazioni di tal genere erano già apparse su alcuni giornali inglesi. Esse sono semplicemente ridicole, perché la tesi il cui successo si attribuisce al danaro ed alla propaganda italiana, cioé che l'Egitto subordini il suo concorso all'Inghilterra in caso di conflitto al riconoscimento dell'indipendenza, è ormai sostenuta da così larga pa:rte della stampa e della pubblic·a opinione che avremmo dovuto pagare, all'uopo, tre quarti deLl'Egitto. CÀ"edevo pertanto che il buon senso britannico avesse già fatto giustizia di tali assurdità, come ne avevano f,atto giustizia osservatori imparziali quali il corrispondente dall'Egitto del Journal de Genève.

Evidentemente, in un paese musulmano e copto, che gode della più sfrenata libertà di stampa ed al quale vengono giornalmente propinate le più assurde notizie relativamente all'Italia, è logico e lecito che l'Italia faccia conoscere la verità dei fatti e le tendenze della sua politica, come è lecito, logico e più che naturale che il rappresenta:nte dell'Italia in questo pa,ese nei suoi contatti con uomini politici, con Principi del sangue, con membri del Governo, con direttori di giornali, spieghi e chiarisca il punto di vista italiano e rassicuri l'apprensione di un paese che è giornalmente avvelenato di allarmismi e di propaganda a noi contraria. Non è poi certo colpa dell'Italia se proprio i giornali più vicini all'Inghilterra sono invece i più ostili all'Italia, i meno ricettizi ai nostri chiarimenti, e se il più attivo di questi, il Gihad, è semplicemente velenoso e, secondo la pubblica voce, pagato anche dal console abissino.

22 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

Non ho infine taciuto a sir Miles Lampson che 1a necessità pe,r noi di chiarire e di rassicurare l'opinione pubblica egiziana proveniva sopratutto dallo stato di paura e dalla atmosfera di guerra imminente che gli armamenti inglesi in Egitto ed i discorsi bellicosi di militari e civili britannici creano giornalmente in questo Paese; da parte nostm non si parlava mai contro l'Inghilterra, né s[ parlava mai di Inghilterra ed Egitto, ma sempre solo di Italia ed Egitto. Italia ed Etiopia, Etiopia ed Egitto: la possibilità anche remota di un conflitto con l'Inghilterra veniva da noi giornalmente esclusa: ero invece in grado di assicurarlo che da parte britannica avveniva esattamente il contrario.

E poiché sir Miles Lampson, pur mostrando di non volere mettere in dubbio l'e mie parole, insisteva sulla bontà delle informazioni di cui generalmente è in possesso il Foreign Office, gli ho risposto che molto spesso i servizi di informazione, fra cui l'Intelligence Service, si lasciano trasportare dall'immaginazione del che egli ha convenuto -ed ho aggiunto che in molti ambienti altrettanto bene informati quanto il Foreign Office si attribuisce all'Inghilterra una sorda attività di propaganda antitaliana in tutto l'Egitto, e particolarmente presso i gruppi dei fuorusciti libici e presso i Senussi. Ho concluso infine dicendo all'Alto Commissario che egli non aveva che da leggere il Giornale d'Oriente e l'Agence d'Egypte et d'Orient da una parte e dall'altra la Reuter e l'Egyptian Gazette per constatare chi stia con tutti i mezzi soffiando nel fuoco.

Sk MUes Lampson mi ha a sua volta negato l'esistenza di una propag,anda inglese antitaliana, ha detto che la Senussia è morta e che i senussi non ricevono danaro dalla Residenza; ha affermato che l'Inghilterra prende tutte le misure per potersi difendere in Egitto, ma che essa non è ispirata da alcuna animosità contro l'Italia ed ha naturalmente aggiunto che né la Reuter né l'Egyptian Gazette sono sotto il suo controllo. Ha riconosciuto infine il nostro diritto di chiarire e di spiegare il nostro punto di vista all'opinione pubblica egiziana circa la questione etiopica, ma ha ripetuto che ogni attività propagandistica antinglese è contraria ai diritti britannici e quindi non ammissibile dal Governo di Londra.

Gli ho risposto che avrei lascLato al suo buon senso quindici giorni di personale esame della situazione per rendersi conto dello stato reale delle cose e gli ho inoltre raccomandato a mia volta di porre la massima attenzione ai punti qui sopra accenati circa l'azione britannica nei riguardi dell'Italia in questo Paese.

Il colloquio che ho sopra riportato è la conferma di una sensazione che è diffusissima in questi ambienti, e che qualche collega estero, con il quale sono in rapporti di confidenziale amicizia, ha riassunto così: « Les Anglais (d'Egitto) ont perdu la tète :..

Ho già riferito a V. E. in altre occasioni sullo spirito bellicoso che anima questi ambienti britannici. Evidentemente questi stessi ambienti, che lo scorso anno, attraverso la reggenza e l'azione del signor Peterson, credevano di avere definitivamente addormentato l'Egitto in apparenze di libertà e realtà di servitù, sono delusi ed indispettiti nel vedere che, alla prima occasione, l'Egitto obbedisce sì al padrone, ma molto a malincuore e con le più rumorose proteste.

Riunendo quindi un'animosità con l'altra, attribuiscono questo loro relativo insuccesso egiziano all'opera ostile dell'Italia. E raccogliendo fandonie e dando

corpo alle ombre, debbono essere riusciti a convince.re il Foreign Office dell'esistenza di una violenta propaganda italiana antibritannica, come ho potuto constatare dal fatto ·Che 1le accuse al riguardo, da prima contenute in corrispondenze dall'Egitto ai giornali inglesi, sono poi divenute articoli di fondo, fino a concretarsi nel colloquio dell'Alto Commissario.

Naturalmente, per quanto concerne questa Legazione, l'accusa di sovvenzioni alla stampa e di istigazioni antibritanniche ai partiti nazionalisti è in sé e per sé assurda. Le pochissime e modestissime gratificazioni che ho trovato in corso al mio arrivo costituiscono al più un tentativo di controassicurazione. Tutti i contatti della Legazione sono palesi ed hanno luogo con personalità ben qualificate della vita pubblica egiziana. Da due mesi sto inoltre rettificando talune posizioni, i cui risultati mi sono apparsi troppo effimeri in vista dei possibili svantagg'i. È indubbio invec·e che è in corso da parte nostra una notevole attività di propagamda per la questione etiopica ed è anche indubbio che tale nostra azione, che ha avuto concreti risultati, ha C·ontrtbuito altresì a mettere in movimento e ad incoraggiare indirettamente questa stampa e questi ci.Jrcoli politici.

Comunque sia, il Governo di Londra, forse persuaso suoi servizi in Egitto e dall'Intelligence Service e sopratutto dagli •ambienti britannici locali; forse invece agendo, per altri scopi, come se fosse persuaso, sta attentamente seguendo e controbattendo le nostre attività in Egitto con evidente spir•ito di esagerazione. Oltre quello da me sopra riportato, altri sintomi di tale stato di cose sono quelli, a suo tempo rriferiti, del licenziamento degli operai italiani dagli opifici milita-ri britamnici, nonché la richiesta ufficiosa, avanzata in questi g·iorni, sempre da parte del Foreign Office, dell'allontanamento da Corte di Verrucci bey, sospetto di intrighi politici (?!). Mi consta altresì che i capi inglesi della polizia hanno serie preoccupazioni circa l'efficienza e l'armamento (?) delle nostre organizzazioni fasciste.

Non posso infine, a conclusione di quanto precede, tacere la mia sensazione che una g.rande parte degli ambienti inglesi locali (e con ciò non voglio necessariamente intendere l'Alto Commissario né i diplomatici di carriera della Residenza) stiano, se non proprio cercando l'incidente, quanto meno facendo di tutto... per non evitarlo (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolin!.

283

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 3507/2208. Vienna, 7 ottobre 1935 (per. il 9).

Mio telespresso riservatissimo n. 2184 del 3 corrente (2). Il Direttore degli Affari Politici Hornbostel, che ha redatto il controprogetto al noto schema del von Papen, mi ha detto: l) che tale suo controprogetto non potrebbe essere perfettamente inteso se non raffrontandolo passo per passo con le corrispettive proposte te

desche: che solo da tale raffronto poteva dHatti apparire tutto lo studio da lui posto per rendere il più preciso ed inequivocabile possibile il senso e la portata degli impegni tedeschi, nonché per diminuire la lata interpretazione data dal von Papen alla affermazione dello Schuschnigg che «l'Austr~ia si riconosce per Stato tedesco» (cfr. mio telegmmma per corriere n. 087 del 27 agosto) (l);

3) che Berger aveva infine in ogni occasione ribadito al von Papen che il progettato modus vivendi avrebbe potuto essere concluso soltanto posteriormente al Patto danubiano, nei cui riguardi il governo federale aveva già preso precise intese con gli Stati amici.

Hornbostel mi ha poi fatto pervenire, a titolo confidenziale, il testo delle proposte formulate a suo tempo dal von Papen. Lo trasmetto qui accluso.

Da parte sua il mio collega di Francia mi ha stamani detto che dalle ulteriori informazioni raccolte al Ballplatz, ha tratto l'Impressione che ogni cosa si sia passata nella maggiore buona fede, e che il progettato modus vivendi potrebbe essere in definitiva un'utile soluzione, sempre quando esso venisse definito dopo la conclusione del Patto danubiano e non assumesse la solenne forma di un vero e proprio accordo diplomatico (2).

ALLEGATO

PROGETTO

Nell'iintento di ricondmre nuovamente le relazioni tra il Reich tedesco e l'Austria ad essere normali ed amichevoli e nella persuasione che questo desiderio espresso da entrambe le parti si possa soltanto realizzare, qualora vengano adempiute alcune condlizioni dai due Paesi,

nella persuasione anche che in tal modo l'organizzazione europea per il mantenimento della pace farebbe così un valido progresso, 1 Governi del Reich germanico e dell'Austria hanno convenuto quanto segue:

l) delle precisazioni del Ftihrer e Cancelliere del Reich del 21 maggio 1935 « La Germania non ha né l'intenzione né la volontà di intromettersi negli affar~ interni della Austria, o di annettersi od unirsi qualche parte dell'Austria» viene preso atto dal Governo austriaco.

a) Questa precisazione conferma che il Governo del Reich non svolgerà alcuna influenza su partiti o gruppi politici interni austriaci. La NSDAP, attualmente vietata in Austr~,a. è quindi una questione austriaca di puro carattere interno.

b) Il Governo del Reich avrà cura che le Associazioni di cittadini austriaci esistenti nel Reich, e dal Reich mconosciute, svolgano soltanto un'attività di pura beneficenza.

2) Il Governo austriaco adatterà la propriia. pol~tica alle esigenze dei comuni e pacifici interessi tedeschi in relazione alle dichiarazioni fatte in data 29 maggio 1935 dal Cancelliere Federale «che l'Austria si considera Stato tedesco».

a) Secondo H punto I-a) il Governo austriaco rinunzierà a definire vicende austr,:iache interne come eventi da collegarsi ad illecito intervento d'influenza stmruera.

b) In Austria le esistenti Associazioni di cittadini tedeschi del Red.ch non devono trov:are ~mpedimento alla loro attività, finché siano conformi ·alle regole fondamentali sancite nei loro statuti e finché non s'intromettano iJn questioni austriache interne.

3) In particolare viene concordato: a) Gli elementi competenti a formare la pubblica opinione dei due Paesi devono aiut:are a che le reciproche relazioni ll'itornino nuovamente normali ed amichevoli. Le due Pa:r:ti quindi influM-anno con ogni energia sulla propria stampa nel senso che si devono in ogni modo tenere presenti e trattare con delicatezza eventuali reciproche suscettibilità, mentre nel campo positivo s1 deve risvegliare la comprensione necessaria per un'amichevole coesistenza pacifica che sviluppi i comuni interessi tedeschi. '···-, b) Da parte austr·iaca viene riconosciuto che il nazionalsocialismo è la dottrina di Stato del Reich tedesco. La critica a questa dottrina e alle sue applicazioni deve essere esercitata nella misura compatibile con la situazione esistente tra due Stati amici. In correlazione la stampa tedesca, in base al pUnto 1-a) si asterrà da ogni forma d'influenza sul nazionalsocialismo vietato in Austria. Da parte austriaca si prende l'impegno di. compiere, relativamente alla stampa dei fuorusciti, quei passi che siano richiesti dal senso e dal contenuto del presente accoroo. c) Nella formazione dei programmi teatrali nei due Paesi e specialmente nel campo della cinematografta, avverrà lo stesso e si è d'accordo nel senso che non vengano proiettate in Austria pellicole il cui contenuto tocchi soltanto questioni di poUtica interna germanica. D'altra parte le pellicole di comune tendenza tedesca, e speciaJmente le pellicole culturali di questa categoria, non devono essere sottoposte in Austria ad alcnna censura. d) Per risolvere dubbi o difficoltà che possano sorgere in relazione al presente accordo viene costit~to un Comitato formato da tre personalità competenti di ciascuno dei due Paesi. Questa Commissione ha il compito di decidere sulle questioni dipendenti dall'applicazione dell'acCOirdo stesso tenendo regolari contatti. e) Riconoscendo che la questione dei fuorusc,iti costituisce un grave ostacolo ai reciproci mpporti, il Governo austriaco esaminerà al più presto la possibilità di permettere per mezzo di un'amn~stia il mtorno di quelle persone che non sono imputate di a21ioni contr,arie a.l Codice o colpevoli di fatti illectti irrilevanti. n Governo del Reich continuerà a porre ogni cura aff.inché, ad impedire incidenti, i fuorusciti austriaci, trattenuti in campi di concentramento, vengano allontanati ~l più possibile dalla frontiera. Per regolare la questione relativa al problema dei fuorusciti verrà con ultemore accordo formata una Commissione, la cui riunione s'intende avvenga al più presto. /) Il Governo austriaco riconosce ·i simboli e gli iinni namonali del Reich tedesco. Esso abrogherà le disposimoni per le quali veniva penalmente vietato ,a cittadini del Reich di portare tali simboli e ru cantare inni naZiionali. g) Vengono tolte le limitazioni apposte al traffico turistico in seguito alla tensione sorta tra i due Stati. Questo accordo non riguarda le restrizioni dipendenti dalla legislazione protettiva della valuta dei due Paesi.

(l) -II presente documento reca il visto di Mussollni. (2) -Vedi D. 231.

(2) che se il Barone Berger ha tenuto a mettere ben in chiaro, nella sua lettera con cui ha trasmesso al von Papen il controprogetto in parola, che questo contempla unicamente le vedute del «referente dell'ufficio competente», ciò è stato appunto per poter ad esso apportare tutte quelle modificazioni ed emendamenti che fossero per apparire i più convenienti;

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 832. (2) -Il prese n te documento reca 11 visto di Mussollni.
284

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 7 ottobre 1935.

Duce, Adua è presa. I giornali danno stamattina un'idea abbastanza precisa di quella che è stata ieri sera l'Italia. Tu so,lo puoi comprendere cosa significhi per noi, assediati da tanti mesi in mezzo a questa gente ostile e nemica, nella lotta di ogni ora per contrattaccare e scoprire i disegni dell'avversario, Tu solo puoi renderti conto della virile commozione che dà a noi lontani questa notizia. L'avanzata continua, e Tu Duce, sei in testa ai nostri Reggimenti e porti sempre più in alto, contro tutti, le nostre speranze.

La situazione in questi quattro giorni, e cioè da giovedì 3 a oggi lunedì 7, è indubbiamente migliorata su questo «fronte :. i:n cui l'Italia sta combattendo da dieci mesi una battaglia dura. L'avanzata delle nostre truppe ha stroncato le illusioni accumulate durante questi ultimi mesi sui risultati di una azione intimidatoria che è andata mano in mano aumentando d'intensità. Vi è indubbiamente in questi giorni un disorientamento nell'azione britannica, e ci vorrà qualche giorno prima che essa ricomponga le sue file e riprenda, con le necessarie modificazioni, il suo piano strategico contro di noi.

Ad accrescere questo disorientamento, è valso molto il Tuo messaggio che io ho recato a Hoare venerdì nel pomeriggio (1). Hoare non mi è piaciuto questa volta. Sebbene alla fine del colloquio, di fronte alle precise argomentazioni con cui ribattevo alle sue, egli abbia modificata e attutita l'intransigenza delle prime battute, pure il tono generale di questa conversazione è stato indubbiamente meno amichevole di quello della conversazione precedente.

La sera stessa di giovedì, la stampa ufficiosa e di opposizione ha cominciato a sferrare, sulla base delle menzogne telegrafate da Addis Abeba, un attacco generale contro di noi, circa i bombardamenti aerei di popolazioni civili, cercando così di provocare quel movimento di opinione pubblica che avrebbe dovuto, secondo i calcoli dei nostri avversari, rendere difficile questa prima giornata della nostra guerra in Africa. Ho sentito che bisognava subito reagilre contro queste manovre facendo conoscere, sia pure per via indiretta, all'opinione pubblica britannica il contenuto del Tuo messaggio a Hoare. Così ho fatto sul Times l'indiscrezione che Tu conosci (2). Ho scelto il Times, che è il portavoce più autorevole in questo momento dei nemici dell'Italia. Si è cercato di fermare la pubblicazione, ma l'interesse giornalistico è stato più forte del calcolo politico. Il Foreign Office, il quale calcolava che il seg,reto fosse mantenuto intorno al mio colloquio con Hoare, ha mostrato una palese irritazione per questa pubblicazione, ma ha dovuto subirla. Un'ora dopo che è uscito il Times la Reuter domandava all'Ambasciata se quanto il Times pubblicava corr1spondeva a verità. Io ho fatto rispondere alla Reuter che si recasse al Foreign Office per avere la versione ufficiale dal governo britannico. Così il Foreign Office non ha potuto a meno di confermare la versione del Times, e di essa si è impadronita immediatamente tutta l'opinione pubblica britannica. Non esagero dicendoti, Duce, che il Tuo messaggio a Hoare è stato una delle mosse diplomatiche più abili che Tu potessi fare in questo momento. L'imbarazzo del governo e dei nostri avversari ne è la prova più manifesta. Nella versione che Hoare è stato costretto dare ai giornali, egli ha dovuto essere meno predso di quello che egli non sia stato nel suo

colloquio con me, e questo perché il popolo britannico non può capire che di fronte alla leale offerta di Mussolini di smobilitare simultaneamente e reciprocamente le forze militari nel Mediterraneo, il gove,rno britannico risponda con un rifiuto. Da un mese la politica del governo e soprattutto del Foreign Office è quella di sobillare lo spirito del popolo inglese contro di noi, cercando d'insinuare nell'isterico e sospettoso popolo inglese, le necessità della difesa contro i pericoli d'eventuali attacchi da parte dell'Italia contro la flotta inglese nel Mediterraneo. Le Tue dichiarazioni, accompagnate ancora una volta dall'offerta di una discussione leale tra Inghilterra e Italia, per la ricerca d'una soluzione sulla questione abissina, soddisfacente per l'ItaHa, ha disorientato i nostri avversari. Leggi il Manchester Guardian di stamattina. Esso, il giornale antifascista e liberale, getta un grido d'allarme al governo e alla Società delle Nazioni per l'abile mossa di Mussolini 11 quale, da una parte conduce a fondo vigorosamente la guerra, dall'altra cerca d'addormentare la diplomazia internazionale e ginevrina offrendo nuove possibilità di negoziati.

Come Tu hai visto, io ho preso come centro del messaggio il punto relativo alla smobilitazione nel Mediterraneo, e non quello di possibili negoziati, poiché non so se e fino a qual punto, in questo momento, Tu voglia andare su questo particolare terreno.

Ad ogni modo conversazioni Tu le hai proposte, e il governo britannico oggi è in mora. L'iniziativa è tornata nella Tue mani sul terreno militare e sul terreno diplomatico.

Con l'inizio della nostra avanzata in Abissinia, bisogna esaminare la stampa da due punti di vista nettamente distinti: l'aspetto politico, e l'aspetto della cronaca della guerra. Sotto l'aspetto politico Ti ho già riferito che vi è un'indubbia attenuazione in questi quattro giorni negli attacchi della stampa contro di noi. L'articolo di ieri del Sunday Times, che vorrei Tu leggessi, e che è stato ispirato dall'Ufficio Stampa del Foreign Office, rivela il disorientamento e la battuta d'aspetto nell'azione britannica di fronte al fatto compiuto della nostra avanzata.

L'Inghilterra deve insistere per una azione collettiva, l'Inghilterra non può fare un'azione isolata, l'Italia deve essere arrestata nella sua avanzata, l'Inghilterra insieme alla Francia possono da sole prendere sanzioni che arrestino la marcia dell'Italia, l'Inghilterra può anche in determinate circostanze agire da sola, ecc. ecc.

C'è di tutto, ma, allo stato fluido, in attesa di ricomporsi secondo nuove linee direttrici. Esse potranno essere meno intrasigenti o più intransigenti. È prematuro per ora dirlo. Mi limito a fissare la situazione di questi quattro giorni.

Cronaca degli avvenimenti in Africa. La cronaca di venerdi è stata dominata da un sentimento fu!rioso di nuocerei e dalla volontà premeditata di eccitare gli animi contro di noi. Questa manovra è fallita. Gli animi non si sono agitati. Gli Inglesi hanno atteso come di ordinario alla preparazione metodic·a della loro scampagnata domenicale. Nella giornata di sabato la stampa giaHa e di grande informazione ha modificato il suo atteggiamento. L'interesse materialisttco della notizia per sé, da qualsiasi fonte, la più strampalata, ha preso il sopravvento, senza l'idea preconcetta di nuocere o di giovare all'Italia o all'Abissinia.

Le notizie dal nostro fronte e i nostri comunicati sono arrivati durante la giornata di sabato, sempre in ritardo sui comunicati e le notizie dal fronte etiopico. Ciò va detto e va ripetuto ancora una volta, perché se vogliamo battere sul terreno delle notizie l'avversario bisogna buttare senza risparmio, senza nessuno scrupolo di accuratezza, notizie e notizie «a sensazione ». Sulla marziale sobrietà dei nostri comunicati ufficiali avranno sempre il sopravvento le notizie inverosimili che i corrispondenti invieranno dai due fronti di guerra. Nella giornata di sabato la cronaca è ancora migliorata in nostro favore. Gli stessi giornali d'opposizione non hanno potuto a meno, per rispettare le esigenze del pubblico, e un minimo indispensabile di verità, di proclamare nei loro titoli la vittoriosa avU~nzata italiana.

Io Ti mando ogni giorno i ritagli della stampa perché Tu abbia un'idea, sopratutto dai titoli, di quella che è l'intonazione complessiva giorno per giorno. Ieri, domenica, le notizie dell'imminente caduta di Adua, sempre dal punto di vista dell'interesse giornalistico e professionale, hanno avuto il sopravvento sulle notizie pervenute dal fronte abissino.

Oggi tutta la stampa fa della vittoriosa conquista di Adua il centro quasi esclusivo della cronaca della guerra d'Africa. Pagine intere, come Tu vedrai, coi Tuo ritratto nel centro e la descrizione fedele e rispettosa delle scene d'entusiasmo che hanno avuto luogo ieri sera nel nostro Paese quando il Popolo d'Italia ha saputo che i nostri Morti di Adua di quaranta anni fa erano stati vendicati. Come Ti ho detto nella mia lette,ra precedente (1), io lavoro e mi batto notte e giorno per affiancare quanto viene fatto da Roma, e dal nostro fronte sotto questo riguardo. Quando le notizie ritardano, me le invento. Ma non lascio mai che un giornalista straniero esca dall'Ambasciata senza che sia in possesso di una novità qualsiasi da lanciare sul suo giornale. Questo è il segreto per rendere l'attacco dell'avversario il meno nocivo possibile. Chi prende l'iniziativa ha già vinto per metà.

Alla dimostrazione di ieri l'altro contro l'Ambasciata, ho reagito attraverso la British Union of Fascists, come Ti ho già riferito per telegramma (2). Domani si riunisce il Gabinetto per esaminare 1a nuova situazione, che io sorveglio ora per ora e sulla quale Ti riferirò telegraficamente.

(l) -Vedi D. 250. (2) -Il 5 ottobre Il Times aveva pubblicato la notizia del messaggio di Mussollni a Hoare, evidenziandone gli Intenti conciliativi.
285

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6712/284 R. Ginevra, 8 ottobre 1935, ore 13,58 (per. ore 16,30).

Nei tentativi fatti ieri presso Lavai per indurlo a influire nel Comi,tato dei Sei perché fosse adottata una dichiarazione di inf,razione bilaterale, ho trovato in lui un certo irrigidimento. Egli ha fatto comprendere che negli ultimi

giorni gli inglesi lo hanno accusato di soverchia italofilia e hanno esercitato anche in Francia in tutti gli ambienti quelle pressioni violente e quelle intimidazioni che hanno prodigato anche verso tutti gli altri Stati. Come ho comunicato nei giorni scorsi a V. E. (l), nemmeno l'Austria è stata risparmiata. Lavai ha lasciato comprendere che era necessario dare ieri soddisfazione agli inglesi per poter essere liberi più tardi nei loro riguardi.

Oltre che con Lavai e con l'austriaco, l'ungherese, il romeno ed altri fino all'ultimo momento fatto tentativi anche con turco e col portoghese ma, mentre finora tutti rispondevano in modo vago, ieri invece hanno confessato di non avere più alcuna libertà d'azione, restando in attesa delle istruzioni dei loro Governi. Ha influito su tutti il desiderio di costituire in questa occasione presso la S.d.N. un precedente da invocare eventualmente nei riguardi della Germania, ma è indubitabile Ch'e 1.1 maggiore fattore dell'unanimità contro l'Italia è costituito dalla presa che l'Inghilterra esercita sulla S.d.N. e individualmente su tutti gli Stati presenti a Ginevra.

(l) Vedi D. 259.

(2) Non pubbUcato.

286

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6737/197 R. Vienna, 8 ottobre 1935, ore 15,58 (per. ore 19,15).

Telegramma di V. E. n. 168 (2).

Berger-Waldenegg mi ha detto di avere già preso dirette intese con S. E. Sottosegretario di Stato, come anche di essersi abboccato telefonicamente con Kanya.

Ad ogni buon fine ho creduto opportuno farmi ripetere sue intese. Mi ha detto che delegato austriaco a Ginevra avrebbe ricordato riserve avanzate dall'Austria fin dall'aprile anno 1922 circa eventuale applicazione, da parte di essa, di «sanzioni». Fatto presente che Austria, assente da Consiglio e da Comitati, non aveva avuto modo di formarsi idee p;recise sulle opposte tesi italiana ed abissina; nonché avrebbe svolto altri argomenti che egli, Berger-Waldenegg, si riservava di vagliare in giornata.

A mia volta ho suggerite le tant.o più esplicite motivazioni indicate da

V. E., ma non mi è sembrato che Ministro degli Affari Esteri vi fosse del tutto favorevole. Ad ogni modo Berger-Waldenegg mi ha detto avrei potuto ass,icurare V. E. che delegato austriaco Ginevra «si pronuncerà contro».

Avendo fatto io opportunamente presente che ciò riguardava la parte teorica della discussione ma non quella pratica della votazione, Berger-Waldenegg ha finito col dirmi, pur con malcelata preoccupazione, che il voto sarebbe stato anch'esso contrario.

Berger-Waldenegg mi ha detto infine che egli, circa questione in parola, avrebbe continuato mantenersi in assiduo contatto non solo col Governo ungherese ma anche con quello svizzero.

(l) -Vedi D. 266. (2) -Vedi D. 269.
287

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6752/209 R. Ankara, 8 ottobre 1935, ore 19,10 (per. ore 1,45 del 9).

Mio telegramma n. 207 (l). Ho avuto nuova lunghissima conversazione con Aras fra Angora e Stambul, ciò che era unico modo di averne una ampia e indisturbata.

Dice a Belgrado concorderà ancora meglio linea di condotta comune con Jugoslavia e che probabilmente 'l1itulescu farà dichiarazioni unicamente per Piccola Intesa e Intesa balcanica.

Quanto al1a Turchia, ha rinnovato più esplicitamente del passato calde direttive che egli segue: minimo di rispetto al Covenant, assoluta indipendenza da qualsiasi pressione britannica, fiancheggiamento azione francese per evitare allargamento conflitto; e ha marcato decise disposizioni sostenere, entro i limiti suindicati, finalità nostri interessi, rinnovando esplicite simpatiche dichiarazioni per l'Italia. Anzi, ha concluso, ad ostilità ora aperte, sua Nazione potrà essere poiù esplicitamente decisa nostro favore. Rinnovato poi dichiarazione contenuta mio telegramma 207.

Tale è sintesi ·colloquio particolarmente, anzi insolitamente premuroso. Risponde certo precise direttive Governo turco e Ismet Pascià cui tendenza più conforme nostri interessi ha avuto prevalenza su quella ginevrina portata qui da Aras. Rilevo che anche atteggiamento Sovieti, ulteriormente sviluppato, non sembrerebbe incontrare pieno favore turco, poiché Aras proponeva intrattenerne Litvinov. È mia netta convinzione che, nel limite minimo societario, se ciò sia creduto utile nostro fine e con le riserve per la doppiezza di Aras. una azione Ginevra potrebbe essere opportunamente utilizzata per nostra pol-itica colà. In tal caso occorre io sia minutamente informato per agire eventualmente presso Ismet Pascià.

Ha fatto ampio elogio politica sincera, aperta, leale S. E. Capo del Governo nella cui parola politica turca pone oggi più che mai assoluta fiducia. Questo riconoscimento è stato fatto nell'ultimo Consiglio dei Ministri.

Aras parte stasera per Ginevra dove giungerà venerdì mattina.

288

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6725/286 R. Ginevra, 8 ottobre 1935, ore 19,25 (per. ore 21,15 del 9).

È venuto a vedermi Ministro austriaco Pfliigl che, avendo già conferito telefonicamente con Berger-Waldenegg, desiderava prendere accordi con me

su linea di condotta da seguire. Pur confermandomi proposito mettersi a disposizione Italia, mi ha spiegato difficoltà situazione dell'Austria in relazione possibili aggressioni Germania ed in seguito a pressioni anglo-francesi. Inghilterra ha fatto presente all'Austria sua dipendenza finanziaria dall'Inghilterra e pericolo di essere coinvolta nelle sanzioni da applicare all'Italia. Francia ha consigliato a Pflugl di limitarsi ad una astensione nella prima manifestazione dell'Assemblea che dovrà pronunciare sull'operato del Consiglio e di vedere in seguito come regolarsi circa le sanzioni.

Esaminati tutti gli aspetti della situazione ho suggerito a Pfltigl che, fin da prima eventuale votazione dell'Assemblea relativa alle conclusioni del Consiglio, egli prenda parola per dichiarare in Consiglio Austria restare fedele al vero spirito del Patto, ma che, nel caso presente, essa non può dimenticare che un anno fa il Paese ha corso pericolo moil."tale ed è stato salvato dall'Italia. In tali condizioni l'Austria non può accettare le conclusioni contrarie all'Italia.

Abbiamo convenuto essere preferibile per ciò che riguarda situazione austriaca ed anche per ulteriori sviluppi problemi di rifornimenti e transito conce.rnenti Austria e Germania, che Pflugl non pronunci né parola « aggressione » né parola «Germania ,,

Naturalmente, da questo atteggiamento dovrà derivare voto austriaco contrario alle sanzioni. Pflugl telefonerà in serata al suo Governo per il benestare. Stasera vedrò Delegato ungherese per cercare di trovare un analogo at

teggiamento da parte sua.

(l) Vedi D. 270.

289

IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6760/54 R. Montevideo, 8 ottobre 1935, ore 20,32 (per. ore 3 del 9)

Consiglio dei Ministri, esaminato oggi posizione Uruguay nei confronti conflitto itala-etiopico, ha unanimamente deciso impartire seguenti istruzioni Delegato Ginevra:

l) affermare amicizia tradizionale italo-uruguayana;

2) nel caso risulti evidente violazione da parte dell'Italia al Patto, e sempre che vi sia unanimità di voti, il Delegato lo riconoscerà;

3) Uruguay si manifesterà contrario qualsiasi sanzione militare;

4) eguale atteggiamento manterrà per le sanzioni economiche dirette

che giudica controproducenti e pregiudiziali;

5) potrà accettare soltanto sanzioni economiche indirette come proibizione di vendita di armi ecc., ma anche in quest'ultimo caso il Delegato dovrà chiedere istruzioni al Governo.

Le notizie di cui sopra non sono state rese di pubblica ragione e mi sono state comunicate in via confidenziale dal Ministro dell'Interno e dal Sottosegretario per gli Affari Esteri, grandi amici del nostro Paese.

290

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6745/123 R. Budapest, 8 ottobre 1935, ore 22,44 (per. ore 1 del 9).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 143 e mio telegramma n. 122 (1). D'incarico p,residente GombOs, Ministro Kanya mi ha dato testé risposte che qui di seguito riassumo:

l -Informazioni qui giunte fanno escludere siano posti Assemblea S.d.N. due quesiti segnalati ieri. Ipotesi più probabili sembrano invece:

a) Membri S.d.N. sarebbero chiamati pronunziarsi in merito applicazione sanzioni, o subito -come egli preferirebbe -o dopo lavori comitato coordinamento;

b) dopo relazione Presidente dell'Assemblea su lavori Consiglio questo adotterebbe procedura, non ancora precisata.

Ove sia possibile, delegato ungherese farà dichiarazioni in cui -richiamandosi rapporti itala-ungheresi, ragioni di carattere economico e demandando anche al merito questione -spiegherebbe come suo Paese non sia in grado partecipare sanzioni. Ove giungessesi voto, delegato ungherese si asterrebbe.

2 -Governo ungherese, mi ha confermato categoricamente Kanya, si asterrà nella maniera più assoluta dal partecipare a qualsiasi genere di sanzioni.

3 -Ho detto a Kanya che astensione Ungheria non rispondeva stato rapporti due Governi e che facevo perciò ogni riserva sulla accoglienza che essa avrebbe incontrato presso V. E.

291

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6860-6874/134-135 R. Sofia, 9 ottobre 1935, ore 23 (per. ore 14,45 del 10).

Ministro degli Affari Esteri, che ho visto oggi dopo suo ritorno Ginevra, mi ha pregato ripetere V. E. suo disappunto per essere stato costretto da situazione politica interna rinunziare progettata visita Roma.

Circa sua impressione Ginevra mi ha detto che dai colloqui avuti con suoi colleghi balcanici ha riportato convinzione che tutti in principio sarebbero contrari alla politica delle [sanzioni e] riluttanti sua applicazione.

Presidente del Consiglio jugoslavo gli avrebbe espresso opinione questione lo mette nel più grande imbarazzo sia per importanza che nostri scambi commerciali hanno nella bilancia jugoslava sia per ripercussioni da temere su politica riavvicinamento con Italia già inizia,ta.

Ruschdi bey, di passaggio oggi da Sofia, gli ha c.onfermato che egli ritorna Ginevra animato da sentimenti amichevoli verso di noi e determinato a rispettare non solo impegni assunti verso Società delle Nazioni ma anche quelli particolari che legano Turchia a Italia di modo che mai Turchia si sarebbe associata ad una azione di carattere militare. Secondo Ruschdi bey le sanzioni si risolverrebbero in divieto d'esportazione di materiale bellico e di importazione di merci. Però in sostanza né questo Ministro Esteri né Ruschdi bey né gli altri Ministri balcanici hanno un'idea esatta della procedura che sarà seguita a Ginevra, data elasticità e poca chiarezza del Patto e sperano che anche se siano decisi applicazione sanzioni venga lasciata a piccoli Stati libertà di azione.

Circa proposito del Governo bulgaro, Ministro degli Affari Esteri mi ha dichiarato di non essere in grado di dire nulla di concreto, giacché, pur confermando sentimenti di amicizia del suo Paese per il nostro manifestati Barone Aloisi, Bulgaria, data sua condizione pericolo isolamento, è obbligata conformare sua azione 1a quegli altri Stati balcanici e a mostrarsi attaccata ai principi societari. Egli si mantiene in contatto telefonico con delegati bulgari Ginevra e se qualche Stato autorevole si leverà contro pressioni inglesi, Bulgaria si troverà suo fianco, pur essendo scettica su questa eventualità, sopratutto dopo inaspettato voto Polonia in seno al Consiglio.

(l) Vedi rispettivamente DD. 269, nota l, e 274.

292

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AI, CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6724/287 R. Ginevra, 8 ottobre 1935, ore 23,45 (per. ore 1,45 del 9).

Lavai mi ha riferito la conversazione avuta stamane a colazione con Eden. Hanno parlato delle sanzioni e delle possibilità di conciliazione.

Circa sanzioni, Lavai ha riaffermato che opinione pubblica francese è assolutamente contraria a qualunque sanzione militare e che, nei riguardi di quelle economiche, egli è fautore di una graduazione che permetta di ricorrere alle sanzioni più gravi solo allorquando si fosse dimostrata impossibilità di qualunque conciliazione. Si è dichiarato quindi recisamente contrario alla adozione delle sanzioni in blocco. Eden si è limitato ad ascoltare senza esporre alcuna opinione al riguardo.

Circa possibilità conciliazione, Laval ha esplorato il terreno accennando a una nuova conversazione tripartita, che secondo lui sarebbe l'unica capace di portare a risultati concreti. Eden si è immediatamente opposto a tale idea, dicendo di non vedere alcuna possibilità extra conversazioni al di fuori della

S.d.N. Laval gli ha fatto allo,ra osservare che, se l'idea di una conversazione tripartita partisse dal Consiglio, il principio societario sarebbe salvo e nello stesso tempo l'ultimo e supremo tentativo per allontanare la minaccia di guerra sarebbe compiuto nelle condizioni più favorevoli. Eden non ha soUev,ato obiezioni.

Mi sono limitato ad ascoltare e riferisco a titolo informativo. Poiché Laval mi ha detto che domani avrà una nuova conversazione con Eden e poiché suppongo che vorrà riferirmene, prego V. E. di darmi istruzione nel caso che credesse opportuno profittare dell'occasione per fare eventualmente pervenire a Lavai qualche comunicazione.

Passati a parlare delle decisioni dei Comitati del Consiglio ho fatto osservare a Laval che la sua condotta di questi ultimi giorni pareva denotare un certo raffreddamento nei nostri riguardi. Dopo le mie insistenze, mi aveva infatti procurato penosa impressione la sua assenza di domenica mentre il Comitato dei Sei procedeva alla condanna dell'Italia. H tentativo di trasformare questa condanna in condanna di entrambi i belligeranti avrebbe avuto ben altra possibilità di successo se egli fosse stato nel Comitato a sostenerlo personalmente.

Ha risposto di avere lasciato a Léger precise istruzioni in tal senso, ma di avere avuto già prima l'assoluta convinzione che una sua insistenza non solo non avrebbe ottenuto alcun risultato, ma avrebbe potuto addirittura avvi:are ad una rottura fra Francia e Inghilterra, tanta è ormai la feroce intransigenza di quest'ultima. Mi ha ripetuto di avere deciso di essere transigente con l'Inghilterra nella questione della condanna per non precluder1e la via a tentare successivamente qualche cosa in nostro favore in materia di sanzioni. Malgrado questa giustiftcazione, gli ho confermato le mie osservazioni.

293

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1818/145 R. Roma, 8 ottobre 1935, ore 24.

Faccia notare a Géimbéis che atteggiamento stampa germanica è completamen1Je ostile all'Italia. Ta'le atteggiamento rende sempre più problematica quella détente itala-germanica che era nei voti di Géimbos. Stampa italiana non fa polemiche ma tutto viene notato e sarà ricordato (1).

(l) Con T. 6983/126 R. del 12 ottobre 1935, ore 21,15, Colonna riferì che Gombos aveva preso atto della comunicazione «...senza mostrare intenzione darle un seguito».

294

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1821/240 R. Roma, 8 ottobre 1935, ore 24.

Atteggiamento stampa germanica tutta ostile all'Italia è notato. Per il momento non si procede a contropoiemiche ma tale linea di condotta sarà ricordata (1).

295

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 1824/168 R. (2). Roma, 9 ottobre 1935, ore 3.

Atteggiamento locale stampa grottescamente ostile all'Italia viene notato e non sarà dimenticato (3).

296

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. s. 1823/393 R. (2). Roma, 9 ottobre 1935, ore 1.

Ho ricevuto tutti i tuoi rapporti riferenti colloqui coi diversi capi della politica inglese (4). Credo che quanto era necessario sapere è oggi noto e non sorprende me che ta,le sviluppo di eventi ho preveduto sin dal gennaio. Ritengo che tu non debba chiamare altra gente all'Ambasciata, il che potrebbe dar luogo a supporre che ci siano esibizioni o peggio da parte nostra. Naturalmente non rifiuterai colloqui se ti saranno richiesti (5).

(l) -Attolico rispose dapprima con un telegramma (T. 6809/243 R. del 9 ottobre 1935, ore 21,56) di commento e illustrazione di quanto aveva fmo ad allora fatto in proposito, poi si incontrò con Funk: vedi D. 342. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 301, nota 2. (4) -SI riferisce al telegrammi per corriere 6337/0179 R. del 27 settembre, 6546/0183 R. del 29 settembre, 6584/0188 R. del 2 ottobre, 6585/0190 R. del 3 ottobre e 6624/0195 R. del 4 ottobre 1935, relativi rispettivamente al colloqui con Lloyd George, Churchill, Lord Tyrrell, A. Chamberlain, Loi1d Lothlan ed H. Samuel. (5) -Lo stesso 9 ottobre Mussolini inviò a Grandi un altro telegramma (n. 11476/396 P.R., ore 24) il cui testo era il seguente: «Desidero elogiarti per l'attività che spieghi in questo momento così importante per quanto concerne i nostri rapporti con la Gran Bretagna».
297

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6750/289 R. Ginevra, 9 ottobre 1935, ore 12,45 (per. ore 13,50).

Ho conferito con rappresentante ungherese de Velics, al quale ho suggerito stessa linea proposta a Pfltigl, delegato austriaco (1). Formula con la quale egli darebbe voto contrario al rapporto dei Sei gli sarebbe dettata da Budapest.

Circa sua partecipazione al Comitato di coordinamento di Quindici membri, che prevedesi sarà insediato dall'Assemblea per applicazione sanzioni economiche, ho suggerito che rappresentanti austriaci entrati nel Comitato si adoperino in quella sede ad ogni possibile limitazione e attenuazione delle proposte che verranno fatte, mentre rappresentante ungherese rester·ebbe fuori dal Comitato per esplicazione della critica o opposizione alle deHberazioni del Comitato, quando queste verranno proposte all'approvazione dell'Assemblea.

Vedrò al suo arrivo Motta, che mi si assicura, proponesi pronunciare discorso facente appello a conciliazione ed esplicare azione moderata confoTme anche alle deliberazioni del Consiglio Federale svizzero.

298

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6713/290 R. Ginevra, 9 ottobre 1935, ore 16,50 (per. ore 18,30).

Telegramma di V. E. n. 92 (2).

Ho preferito inviare Rocco a fare presso Benes le rimost-ranze prescrittemi perché non volevo offrire al Delegato cecoslovacco, in quanto Presidente dell'Assemblea, l'occasione di impegnarmi nella procedura che egli vuole svolgere domani e riservarmi cosi tutta libertà d'azione.

Rocco ha quindi fatto a Benes le rimostranze prescritt·emi, senza tuttavia indicare fonte della segnalazione del suo atteggiamento. Benes ha negato di avere cambiato sentimenti e disposizioni quali ebbe a manifestare da tempo e quali ritiene di avere dimostrato col suo atteggiamento in fatto di forniture belliche all'Etiopia. Ha chiesto che gli si precisasse in che cosa Governo italiano avrebbe ravvisato sue disposizioni ostili. Circa frase «forza materiale» del suo discorso all'Assemblea, dice di avere dato spiegazioni alla R. Legazione Praga (3), sua opinione essendo stata sin da inizio S.d.N. che questa dovesse rappresentare anche una forza materiale. Per cui ta~e frase non voleva essere diretta contro l'Italia.

Per quanto riguarda attuale convocazione Assemblea, Benes ha messo avanti suoi doveri di Presidenza ed imparzialità alla quale è obbligato, ma ha assicurato che anche nell'oespletamento di tale suo dovere egli non è animato da alcuna animosità contro l'Italia e che, constatati i fatti risultanti dall'apertura delle ostilità e conseguenze che ne derivano a termini dei Patto, egli è sempre d'avviso che S.d.N. debba adoperarsi sopratutto per limitare durata ed estensione del conflitto.

Preso atto sue dichiarazioni, Rocco ha detto che attendeva vedere ai fatti suo atte.ggiamento. Benes ha aggiunto che si propone adoperarsi per fare adottare all'Assemblea seguenti linee: l) evitare voto formale sul rapporto dei Sei, che ci esporrebbe a nuovo schieramento contro l'Italia della quasi totalità Stati salvo due o tre voti;

2) far passare ordine del giorno senza votazione formale, sostituendo questo con discussione, in cui dovrebbero parlare Grandi Potenze e qualche altro Stato più interessato e, naturalmente, Italia per riaffermare sua tesi.

Non può garantire che discussione sia breve, ma farà egli stesso un breve discorso con appello a sobrietà, adoperandosi del suo meglio per evitare lunga discussione e passare rapidamente alla costituzione del previsto Comitato di Coordinamento per l'applicazione dell'art. 16. Non vorrebbe oltrepassare due

o tre gioxni per chiudere nuovamente Assemblea e lasciare in piedi Comitato Coordinamento cui lavori durerebbero alcune settimane. Spera che Assemblea non abbia bisogno di uiteriori riunioni fino a prossima ordinaria del 1936.

Rocco ha detto spetta a lui trovare giusti ed .equi procedimenti per non aggravare tensione che costringerebbe l'Italia ad abbandonare Lega delle Nazioni evitando da una parte deplorevoli azi·oni dimostrative .e dall'altra procedura strozzata e troppo disinvolta.

Benes ha assicurato farebbe del suo meglio ed ha concluso che nelle attuali circostanze V. E. deve essere sicuro che nessun Presidente dell'Assemblea potrebbe essere meglio disposto nel senso evitare ogni maggior da;nno alla pace mondiale ed alla .efficienza dell'Italia nel quadro e nella misura dell'indispensabile rispetto del Patto e deLl•a S.d.N.

Rocco attirato attenzione Benes sul dovere di tutti e per primo del Presidente dell'Assemblea di valutare responsabilità in termini derivanti dalla situazione.

(l) -Vedi D. 288. (2) -Vedi D. 264. (3) -Vedi D. 197.
299

IL CAPO DI GABINEITO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6709/292 R. Ginevra, 9 ottobre 1935, ore 16,32 (per. ore 18,30).

A titolo di cronaca e per seguire esattamente gli atteg.giamenti che si precisano fra i principali Delegati, informo che Benes ritiene che l'unico modo

23 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

di evitare complicazioni, che condurrebbero ad inevitabile catastrofe europea, è quella che le ostilità in Africa possano concludersi rapidamente per permettere all'Italia di accettare una soddisfacente soluzione di concilìazione. Una lunga campagna in Etiopia, impresa già imponente e severa, ave dovesse essere condotta attraverso crescente peso delle sanzioni, progressivo armamento etiopico ed aperte ostilità britanniche potr.ebbe condurre a diretto conflitto italabritannico ed a incalcolabili cons•eguenze.

Titulescu, a sua volta, ha detto che la S.d.N. faccia un appello alla conciliazione ·e agi•sca rapidamente in tal senso solo nel momento in cui la situazione stretegica del.le truppe italiane in Etiopia sia tale che possa convenire all'Italia di giustificare una sosta nella sua avanzata col pretesto di accogliere l'appello della Leg•a.

Mi risulta che tale idea trova s·empre maggior consenso tra le Delegazioni. La nota dominante è la crescente preoccupazione di possibili complicazioni. A questo stato d'animo oppongo la più serena riserva.

300

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. UU. 1828/115 R. Roma, 9 ottobre 1935, ore 17.

PregoLa far presente codesto Gov·erno che attuale Assemblea off.re occasione Governo albanese dimostrare verso l'Italia suoi sentimenti votando contro sanzioni.

Ci saranno altri paesi che votano contro. La motivazione può essere trovata nel fatto che l'economia albanese dipende quasi esclusivamente da quella italiana.

una interruziOne Ciel rapport1 commerciali con l'Italia vorrebbe dire miseria per tutto il paese (l).

301

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6830/255 R. Atene, 9 ottobre 1935, ore 20 (per. ore 22).

Mio telegramma n. 253 (2).

Questo Presidente del Consiglio, al quale ho fatoo presente pessima impres·sione che produce ignobile verboso eloquio stampa greca su avvenimenti Afri·ca Orientale ed al quale ho personalmente rimesso una copia del giornale

governativo Vradini in cui è rife,rito a grandi titoli di una « Seconda Adua ~ che si sarebbe conclusa con massacro truppe italiane, ha tentato scusare giornali locali ascrivendo loro linguaggio a ragioni di vendita, alla loro scarsa sensibilità e sopratutto alla effettiva mancanza di poter,e del Governo sulla

stampa.

Gli ho replicato che dirig,enti greci stavano assumendo una grave responsabilità, permettendo simile avvelenamento pubblica opinione, compiendo così una opera che difficilmente Nazione italiana potrà dimenticare.

Tsaldaris mi ha assicurato che egli non fa che soongiurare giornalisti locali, che si preoccupino degli interessi della Grecia ed abbandonino loro fanatismo in una questione, in cui Governo ellenico si è dichiarato neutrale; mi ha promesso che avrebbe convocato giornalisti per ripetere suoi appelli: quanto al Direttore della Vradini, ha affermato di averlo personalmente diffidato.

Gli ho detto ancora che mi era impossibile farmi illusioni sulle resipiscenze della stampa greca, ma che comunque prendevo atto delle sue d,eplorazioni.

Stasera giornali governativi, che hanno pubblicato edizioni « massacro di Adua ~. tentano scagionarsi per falsa notizia diffusa, affermando non avere fatto che ripetere quanto era stato loro comunicato da Londra.

Smentita di questa Legazione (di cui al mio telegramma n. 253) pubblicata da giornali locali.

(l) -Per la risposta di IndelU vedi D. 306. (2) -Con T. 6710/253 R., pari data, BoscarelU rispondendo al D. 295 comunicava di aver provveduto a smentire le notizie riportate dai giornali greci e odi aver, al riguardo, chiesto udienza a Tsaldaris.
302

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6888/372 R. Rio de Janeiro, 9 ottobre 1935, ore 21,30 (per. ore 10,10 del 10).

Mio telegramma 370 dell'8 ottobre (1).

Ques,ta opinione pubblica, specialmente negli strati bassi e negri della popolazione, si orienta sempre più nettamente e più accanitamente a favore di Abissinia. Giornali accentuano medesimo contegno. Ceti di,rigenti, finora quasi favor,evoli, cominciano mostrarsi molto riservati.

Due fattori hanno contribuito nel senso predetto: l) artkoio dell'ex Ministro dene Colonie francese Crenaud, che suggerisce dare all'ltalia terreni incolti Nord Brasile. Questo articolo, abilmente sfruttato, provoca tipiche r,eazioni che debbono meritare considerazione; 2) l'informazione secondo cui Brasile sarà invitato aderire Commissione coordinatrice sanzioni.

Ministero degli Affari Esteri oggi, avendo ricevuto pressioni da deputati sinistra per aderire invito Lega delle Nazioni, ha risposto evasivamente.

Gruppo opposizione parlamentare è riuscito in Parlamento far votare, con centotrenta voti favorevoli, mozione generica contro guerra, senza specificare allusioni Italia. Sebbene accompagnata da dichiarazioni voto, che a grande maggioranza le tolsero carattere antitaliano, mozione è sintomo stato d'animo.

Ho attirato su quanto sopra attenzione questo Governo. Segr·etari.o Generale Ministero degli Affari Esteri confidenzialmente mi ha confidato che osservatore brasiliano Ginevra telegrafato avvertendolo prossimo invito al Brasne, aggiungendo Svizzera si preparerebbe informare Lega delle Nazioni che da sua posizione potrebbe applicare sanzioni soltanto impedendo transito merci per l'Italia. Inoltre osservò, a titolo personale, che il Brasile proprio ora è molto Ueto di non appartenere Lega delle Nazioni e perciò pensa che non dovrebbe accettare invito. Mostrasi convinto Stati Uniti non accetteranno ciò che costituirà per il Brasile precedente notevole. Questa Ambasciata S.U.A. mostrerebbe medesima persuasione.

Segretario Generale ha aggiunto che Brasile potrebbe forse decider·e soltanto dopo avere consultato altri Paesi che non appartengono Lega delle Nazioni ed invitarli collaborare sanzioni. In ogni caso questo Governo, da quanto posso oggi comprendere, prenderà tempo e cercherà evitare pronunziarsi categoricamente.

Al ritorno di questo Ministro Affari Esteri darò più precisi ragguagli (1).

Brego informarmi su quanto a Ginevra possa eventualmente interessare Brasile. Mia previsione è che, qua•lora invito venga fatto ufficialmente, settore non tras·curabile dell'opinione pubbUca, sostenuta da note ditte locali e finanziarie inglesi, ormai in azione, farà il possibile perché il Brasile collabori sanzioni.

Sembrami possa prevedersi che se frattanto verranno conclusi noti contratti carne congelata e altri acquisti potrebbero aversi favorevoli ripercussioni.

(l) Non pubblicato.

303

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6977/0108 R. Vienna, 9 ottobre 1935 (per. il 13).

Miei telepressi riservatissimi nn. 2184 e 2208, rispettivamente del 3 e del 7 corrente (2).

Von P·apen, che era partito la settimana sc·orsa per Berlino onde comunicare al suo Governo lo schema di controprogetto austriaco, è tornato qui a;vant'1eri.

Nel pomeriggio di oggi egli si è recato da Berger, cui ha comunica·to che Hitler ave·va approvato il progetto di accordo da lui rimesso alla Cancelleria austriaca 1'11 luglio u.s.: sicchè egU intendeva questa volta presentarlo in nome del Governo del Rei•ch, onde iniziare trattative del tutto ufficiali.

Senonchè von Papen, anzichè presentare senz'altro il documento, ha creduto sollevare previamente una ben diversa questione, quella cioè delle pene e delle ammende con cui l'autorità giudiziaria austriaca ha colpito varie persone

che, nell'estate scorsa si erano riunite ad acclamarlo davanti ad un hotel nel Salisburghese, dove egli era disceso.

Berger, dopo avere ricordato che in quell'occasione dette persone avevan0 voluto procedere ad una vera e propria «dimostrazione politica» e rilevato che, trattandosi di cittadini austriaci, il passo del suo interlocutore rapp.resentava un tentativ·o di ingerenza nelle cose interne dell'Austria, ha fatto comprendere l'impossibilità di modificare le misure adottate dal potere giudiziario.

Al che il von Papen ha ripetuto le solite sue lagnanze sulle grandi difficoltà che verrebbe.ro qui frapposte alla sua missione, concludendo che, dato gli umori del BergN, non gli pareva più il caso di presentare lo schema d'accordo e di iniziare le conversazioni ufficiali al riguardo.

Berger, che mi ha riferito quanto precede, ha osservato che il linguaggio del von Papen era stato assai vivace, tanto da accennare financo all'inutilità di un'ulteriore sua permanenza a Viecrma; ed altrettanto vivaci erano state le sue risposte.

L'improvvisa decisione del von Papen di non consegnare il documento può attribuirsi a due moventi: che il von P.apen voglia procurarsi un successo nei riguardi dell'incidente suindicato, subordinando cioè ad un'eventuale misura austriaca di clemenza l'inizio della trattazione uffidale del negoziato, o che il Governo del Reich voglia avvalersi della situazione generale interna~ionale per «premere » sul Governo austriaco. Stante il carattere e la mentalità del von Papen, sarebbe da ritenersi più verosimile la prima ipotesi: comunque, ben presto potrà chiarirsi detto punto.

Intanto Berger, dopo avermi riassunto l'incidente avuto col von Papen, ha accennato al controp.rogetto redatto dal Hornbostel, facendo le seguenti principali osservazioni:

l) che durante i tre mesi trascorsi dalla presentazione delle proposte del von Papen, egli aveva fatto di tutto per attivare il Patto danubiano, facendo all'uopo pressioni sia sul mio collega di Francia che d'Inghilterra. segnalando ad entrambi le insistenze di questo rappresentante tedesco per un accordo diretto;

2) che allo stesso tempo non aveva mancato di far ripetutamente presente al von Papen che qualunque chiarimento od accordo austro-tedesco non av·rebbe dovuto in ogni caso contenere alcunchè che potesse risu1tare incompatibile col Patto danubiano in questione (il che costituisce una variante a quanto ebbe a dirmi Hornbostel, e di cui al punto 3 del mio telespresso n. 2208);

3) che, per quanto concerneva il punto relativo all'adattamento della politica austriaca alla nota dichiara:llione di Schuschnigg circa l'essenza tedesca dello Stato austriaco, la frase aveva voluto sopratutto riaffermare l'esistenza di un secondo Stato tedesco, pienamente ed uffi.cialmente riconosciuto dal Rei:ch;

4) che l'esatto contenuto e la precisa forma di un accordo con Berlino restava in ogni modo da precisarsi secondo quanto sarebbe apparso più conveniente nel corso dei negoziati, i due progetti -cioè tanto quello von Papen quanto quello Hornbostel -non rappresentando che le vedute personali dei due diplomatici.

Da parte sua questo Ministro di Francia è venuto a dirmi che Berger, parlandogli avant'ieri dell'accordo in questione, gli aveva fra l'altro accennato che egH non sentivasi di rif.iutare alcunché che potesse contribuire ad una distensione dei rapporti con Berlino e servire quindi ad evitare, specie nell'attuale situazione inte.rnazionale, un nuovo 25 luglio.

Per mio conto, a tale ultimo riguardo, ho notato, nell'odierno colloquio, che Berger era sotto l'impressione sia di quanto gli aveva riferito il von Papen, relativamente ad un recente telegramma di von Hassel a tinta assai pessimista sulla situazione generale; e sia di quanto gli aveva comunicato Io stesso Vollgruber, circa la gravità dei compiti che l'Italia deve attualmente assolvere e la desiderabilità di alleviarle ogni altro deprecabile carico.

(l) -Vedi D. 341. (2) -Vedi DD. 231 e 283.
304

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 6717/297 R. Ginevra, 10 ottobre 1935, ore 0,35 (per. ore 1,45).

Voto contrario dell'Austr•ia e dell'Ungheria ha prodotto enorme sensazione ed ha determinato viva irritazione nei circoU britannici. Ne è riprova il tentativo disperato del Segretariato di costringere con pressioni insistenti di strappare a Pfliigl ed a Velics interp11etazione autentica delle loro dichiarazioni che autorizzasse a considerare come semplici astensioni e riserve e non come avviso contrario al rapporto di Sei. Sono ar.rivato in tempo a sventare tali manovre (1).

305

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6780/298 R. Ginevra, 10 ottobre 1935, ore 0,30 (per. ore 1,45).

Motta ha voluto spiegarmi confidenzialmente decisione Consiglio Federale

circa sanzioni affinché io «possa farla prendere in considerazione da parte

di V. E.~-

Richlamandomi al trattato di amicizia tra l'Italia e la Svizzera ed a rapporti economici tra i due Paesi, egli mi ha detto che il Consiglio F·ederale, tenendo conto delle risoluzioni dell'Assemblea del 1920,' si opporrà evidentemente a qualsiasi sanzione militare; ma che, però, non potendo esimersi dal votare le sanzioni economiche, il Consiglio Federale ha deciso di applicarle soltanto nei

limiti degli interessi vitali e dehla neutralità della Svizzera. Ciò vuol dire, mi ha detto Motta, che praticamente esso si sforzerà di ridurre al minimo possibile le sanzioni economiche alle quali la Svizzera dovrà eventualmente associarsi. A tale proposito mi ha aggiunto: «Oggi, come avete visto, ho fatto le mie riserve circa pa;rtecipazione della Svizzera al Comitato di Coordinamento perchè volev<> che mi diceste se era il caso farne parte».

Ho risposto a Motta che lo ringraziavo della prima parte della domanda assicurand()lo che io l'avrei trasmessa a V. E. In quanto alla seconda parte, poichè non vi è il tempo di avere l'avviso di V. E. gli ho espresso il mio avviso essere preferibile -se realmente aveva in animo di fare opera di grande moderazione -che 'restasse nel Comitato.

(l) In risposta a questo telegramma Mussolini comunicava: «Dica a Pfltl.gl e al delegato ungherese la mia simpatia per !l contenuto e la forma dei loro discorsi antisanzionlsti » (T. 1836/96 R. del 10 ottobre 1935, ore 18).

306

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6856/109 R. Tirana, 10 ottobre 1935, ore 0,48 (per. ore 1 dell'11).

Mio telegramma n. 106 (1).

In questo momento mi si comunica testo che viene telegrafato a Mehi bey Frasceri per dichiarazione che egli dovrà f1are domani mattina all'Assemblea della S.d.N.:

«Governo albanese, pur restando fedele al patto de1la S.d.N. non può associarsi a decise sanzioni; anzitutto in ragione delle relazioni politiche risultanti daU'esistenZ<a del Trattato di alleanza con l'Italia; in secondo luogo stante l'importanza capitale degli interessi economici e deUe relazioni commerciali fra i due Paesi».

Comunico quanto precede anche a Ginevra per opportuni contatti con delegato albanese.

307

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL CANCELLIERE FEDERALE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG

T. 1837/169 R. (2). Roma, 10 ottobre 1935, ore 18,30.

L',atteggiamento amichevole e coraggioso del rappresentante 8/Ustriaco a Ginewa è destinato a fortificare i rapporti fra i nostri due Paesi mentre ha suscitato la mi:gliore impressione fra il popolo italiano. Il delegato austriaco non ha soUanto appoggiato il diritto dell'Italia, ma servito 1a causa della pace e della giustizia.

(l) -Con T. 6878/106 R .• pari data, ore 13,45, IndeUi riferiva di aver eseguito le istruzioni di cui al D. 300 e faceva riserva di comunicare la risposta definitiva albanese. (2) -Minuta autografa.
308

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, GoMBoS

T. 1838/148 R. (1). Roma, 10 ottobre 1935, ore 18,30.

Il discorso pronunciato a Ginevra dal delegato ungherese ispirato a ragioni di profonda comprenstone della causa italiana ha avuto una eco .co·rdialissima fra il popolo italiano. Ancora una volta l'Ungheria ha sostenuto ri principio della pace e della giustizia. II Governo e il popolo italiano non lo dimenticheranno {2).

309

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DEI PAESI BASSI A ROMA, PATIJN

APPUNTO. Roma, 10 ottobre 1935.

II Signor Patijn mi dice che nel suo paese si capiscono benissimo le necessità e i moventi dell'azione coloniale italiana. L'Olanda è un paese coionizzatore e ha fatto anche la propria esperienza sulla necessità di usare mezzi che non sono pacifici.

Quello che in Olanda offende però profondamente il sentimento popolare, è la presa di posizione contro il Covenant che è ritenuto una salvaguardia per l'assistenza dei paesi più piccoli e meno difesi.

Ritiene che il suo Governo farà anche nella questione delle sanzioni opera di moderazione (3).

310

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2277/1006. Ankara, 10 ottobre 1935 (per. il 15)

Nella conversazione avuta con Aras (4) si è toccato l'argomento del Dodecanneso quindi delle assicurazioni solenni di S. E. il Capo del Governo (5) e dei chiarimenti tecnici già dati al Governo turco, e che continueranno ad essere forniti.

Aras mi ha detto che però o·rmai la questione, da~ punto di vista della sicu

rezza turca, era risolta poichè erano in corso di ordinazione artiglierie pesanti

(specialmente in Cecoslovacchia e Ger-mania) che avrebbero messo al coperto la costa anatolica da qualsiasi azione che potesse eventualmente essere tentata contro la Turchia da parte italiana, base le isole. Per la minaccia potenziale che alla Turchia veniva dal Dodecanneso la Turchia era dunque costretta a spendere circa dieci milioni di lire turche in artiglieria pesante ed in aviazione.

Con ciò egli non sollevava il minimo dubbio sulle dichiarazioni di S. E. il Capo del Governo. Anzi la parola del Capo del fascismo (sono sue dichiarazioni testuali) aveva un valore ed una po•rtata molto superiore a qualsiasi dichiarazione di molle ami:cizia che potesse essere venuta in passato da un qualsiasi Governo dell'Italia liberale, la quale non aveva una poHtica propria ed indipendente, ma una accodata costantemente a Francia ed Inghilterra. La franchezza

P. la dirittura di S. E. Mussolini erano fortemente apprezzate dal Governo turco che in esse riponeva assoluta fiducia.

Ma la posizione geog.rafica delle isole era quella che era, ciqè immutabile e permanente. Una amicizia duratura e sincera non poteva immaginarsi fra Italia e Turchia che se le fortificazioni di Leros fossero distrutte la Turchia potesse in qualsiasi momento opporsi ad una diversa situazione pacifica che costringesse l'Italia, suo malgrado, a prendere posizione milita:rmente ostile contro l'Anatolia (1).

Lo stesso del resto faceva la Turchia verso i suoi alleati. La Grecia rafforzerebbe la sua flotta. La Turchia farebbe altrettanto. Gli eserciti balcanici e la aviazione balcanica si rafforzerebbero. Egualmente farebbe la Turchia affinché la sua voce nei consessi e nelle conferenze e nella effetttva valutazione non avesse minor peso degli alleati.

Ho oercato lungamente spiegare ad Aras che, come le circostanze pr.ovavano luminosamente, il Dodecanneso non era nè avrebbe mai potuto essere una base efficiente contro l'Anatolia sotto nessun punto di vista. I critici militari turchi proprio in questi giorni, facendo un confronto fra la situazione Malta Italia e Anatolia Dodecanneso, erano venuti alla conclusione che se Malta non offriva più una base sicura contro l'Italia egualmente era per il Dodecanneso contro la Turchia. Gli ho anche fatto rilevare che ciò era stato dimostra·to dai nostri Addetti militare e navale allo Stato Maggiore turco nei passati giorni, e meg'lio aùcora farebbero nei prossimi al ricevere dei dati richiesti.

Non sono davvero riuscito a far cambiare tesi ad Aras. Ho concluso dicendo che a crisi abissina fin~ta, il problema dei rappo-rti itala-turchi avrebbe dovuto essere ripreso in ampio esame, con la questione della necessità dei nostri armamenti nel Dodecanneso, per giungere ad una soluzione definitiva e permanente sulla quale non potessero mai più fare presa insinuazioni e tendenziosità ostili.

La franca ed anche cruda esposizione del pensiero di Aras, prova sostanzialmente quale sia H fondo dei pensiero turco e conferma poi le voci giunte negli ultimi tempi di appostamenti di artiglieria sulla costa anatolica prospiciente il nostro possedimento.

Devesi anche pensare che questo espresso esagerato timore del Dodecanneso è stato però sfruttato e continua ad esserlo, per giustificare l'acquisto di artiglierie pesanti mobili che al momento opportuno potranno essere utilizzate per il riarmo degli Stretti.

Noto per incidenza che in tale occasione Aras si è cortesemente rammaricato di non avere avuto nessuna risposta alla sua proposta di intensificazione dei rapporti turco-ita.liani (mio telegramma per corriere n. 41 del 20 agosto u.s.) (l) e nemmeno a quella per una eventuale composizione del conflitto abissino (mio te1eg,ramma filo n. 164 del 26 agosto u.s.) (2) per la quale ha alluso sperava almeno un riconoscimento di sua buona volontà. Sono verosimilmente pretesti per giustificare poi la sua sfuggente e duplice condotta verso di noi, ma sta anche in fatto però che egli può valersene.

(l) -Minuta autografa. (2) -R'itrasmesso a Budapest con T.r. 1842/149 R. dell'll ottobre 1935, oJ"e l. Per la risposta di Colonna vedi D. 312. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Vedi D. 287. (5) -Vedi D. 171.

(l) Cosi nel testo. Probabilmente si intendeva dire: «Una amicizia duratura e sincera non poteva immaginarsi fra Italia e Turchia altro che se le fortificazioni di Leros fossero state distrutte e la Turchia potesse in qualsiasi momento opporsi aJd una di•versa sistemazione, che l'Italia suo malgrado fosse costretta a prendere, militarmente ostile verso l'Anatolla ».

311

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6920/116 R. Belgrado, 11 ottobre 1935, ore 16,05 (per. ore 18,40).

Stojadinovic mi ha pregato comunicare a V. E. quanto segue:

«Malgrado ogni buona volontà, Jugoslavia costretta da sistema politico cui è legata dichi·arare Ginevra suo att,accamento CoV'enant. Puric per altro aveva istruzioni che sue dichiarazioni dovevano essere de la limonade.

Stojadinovic confida che V. E. si renda conto impossibilità per Jugoslavia assumere stesso atteggiamento Austria e Ungheria. Atteggiamento Jugoslavia Ginevra in nessun caso avrà effetto pratico verso l'Italia che potrà sempre contare ricevere da Jug-oslaV'ia quanto le occorre di materie prime combustibili e generi alimentari, ad esclusione armi e munizi-oni di cui del resto Jug10slavia non è fornita.

Stojadinovic ha insistito su carattere strettamente confidenziale taie sua dichiarazione~ (3).

312

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6916/125 R. Budapest, 11 ottobre 1935, ore 19,55 (per. ore 21,50).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 149 (4). Come segnalato Stefani fonogramma n. 9 (5), al telegramma S. E. il Capo del Governo al Presidente GombOs è stato da·to grande rilievo da intera stampa

{l) Vedi serie ottava, vol. I, D. 778. {2) Ibid., D. 817. {3) Il presente documento reca il visto di Mussol!ni. Per la sua risposta vedi D. 323. {4) Vedi D. 308, nota 2.

antimeridiana che -pure astenendosi commenti -ne ha riprodotto testo per lo più in grassetto con titdli vistosi sottolineanti frase «popolo italiano non

dimenticherà~.

Presidente del Consiglio, oui ho r~1Jenuto opportuno esprimere mio vivo apprezzamento discorso ieri al Partito (telegramma Agenzia telegrafica ungherese alla Stefani, telespresso posta aerea n. 1445) (l) che ha facilmente rafforzato dichiarazione delegato ungherese Ginevra, mi ha detto: «Nostro atteg·giamento è naturale. Così interpreto amtcizi'a. Nella scelta tra Inghilterra, cui sentimenti sono sempre platonici, e Italia, che tante tangibili prove ha dato dei suoi [sentimenti], UngheTia non poteva esitare».

(5) Non si pubblica.

313

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6910/901 R. Londra, 11 ottobre 1935, ore 21,34 (per. ore 3,30 del 12).

Come ho tnformato nel mio teleg·ramma n. 858, ho avuto occasione di mettere al corrente Vansittart del contenuto del telegramma di V. E. n. 378 (2).

Vansittart mi fa conoscere ora che proprio in questi giorni ha studiato la procedura da suggerire ai Governi interessati per ·la ripresa e il proseguimento delle conversazioni navali.

Foreign Office è di opinione che tali conversazioni potrebbero essere riprese al più presto 'a Londra e affidate ai rappresentanti diplomatici, i quali potrebbero essere assistiti da esperti che fossero inviati a Londra per la circostanza, o in mancanza di questi dai rispettivi addetti navali.

Questa procedura è stata suggerita dal Foreign Office anche alla Francia, agli Stati Uniti, al Giappone, e il Foreign Office prevede che verrà accettata da questi Stati (3).

314

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7071/0228 R. Londra, 11 ottobre 1935 (per. il 15).

Lord Lloyd ha cercato oggi nuovamente di vedermi poiché desiderava, così egli mi ha detto, continuare la convell."sazione dell'altro giorno ( 4).

«QueLlo che voi mi avete detto l'altro giorno mi ha vivamente impressionato. Ieri e avant'ieTi ho visto molti membri del Governo, e anche Vansittart. Noi stiamo facendo una politica che finirà col distruggere uno dopo

l'altro gli elementi di quel fironte antitedesco al quale il Foreign Office dichiara di avere dedicato tutte le risorse della sua azione diplomatica. Questo ho detto e ripetuto a Vansittart, prendendo uno dopo l'altro i vostri ~argomenti. Ho cercato di persuadere anche ChurchiLl, il quale del resto è rimasto abbastanza scosso dopo il colloquio che ha avuto con voi la scorsa settimana (1). Churchill è ora impegnato in pieno a dimostrare la sua adesione incondizionata al Governo, essendo egli in predicato per un posto importante nel prossimo Gabinetto conservatore. Ma io credo che una volta passate le elezioni, Churchill diventerà più malleabile e più trattabile. Churchtll rappresenta il più intransigente imperialismo br~tannico e non nasconde che la nuova Italia fascista può rappresentare un pericolo in alcuni punti sensibili dell'Impero. Ma egli è un realista e si rende conto che l'Italia può costituire l'elemento forse più prezioso contro il più pericoloso nemico dell'Impero britannico, cioè la Germania. Ho parl>ato con Amery dopo l'incontro che egli ha avuto ieri con voi (2), sul quale mi ha comunicato le sue impressioni. Amery è un amico leale e i vostri argomenti hanno fatto presa su di lui. Ieri sera con un gruppo di amici abbiamo deciso di indire, accanto alla riunione organizzata da Amery, un'altra riunione di membri della Camera dei Comuni e dei Lords appartenenti all'« Imperia! Policy group ». Questa riunione avrà luogo domani e in essa sarà votato un indirizzo al Pr.imò Ministro perché la progressione delle sanzioni stabilite a Ginevra contro l'Italia non sia accelerata e portata al punto da rendere la situazione dei rapporti italo-inglesi, che è già delicata, ancora più grave. Nel colloquio che ho avuto con Vansittart stamane ho ripetuto quello che voi mi avete detto. Io mi rifiuto di credere che i malintesi fra voi e noi non possano essere chiari. Ho detto a Vansittart che io mi mettevo a disposizione del Governo per qualunque cosa. Voi credete che se io mi recassi a Roma in forma assolutamente privata il Duce consentirebbe a vedermi e a par

larmi f,rancamente ?».

Ho risposto di essere certo che il Duce vedrebbe con piacere questa volta, come sempre, Lord Lloyd che il Duce considera uno dei più fedeli amici del Regime fascista che siano in Inghilterra. Ho aggiunto che per parte mia non avrei visto se non con viva soddisfazione che uno degli esponenti più autorevoli delle correnti imperialiste britanniche potesse in una 'Conversazione franca e amichev,ole col Duce rendersi conto quanto falsa, interessata e tendenziosa sia stata la propaganda condotta finora in Inghilterra per rappresentare la politica del Duce in Africa come una minaccia potenziale per l'Impero.

Lord Lloyd mi ha quindi detto di avere accennato anche a Vansittart questa sua idea di recarsi a Roma in forma privata per avere un colloquio col Duce.

Gli ho domandato che cosa Vans~ttart gli aveva risposto. Loro Lloyd mi ha detto che Vansittart, pur non escludendo l'utiutà di un viaggio a Roma di Lord Lloyd, Io aveva consigliato di aspettare una o due settimane. Vansittart non ha voluto aggiungere altro, ed ha cercato di evadere una risposta alle

(2} Con T. per corriere 7074/0230 R. del 10 ottobre 1935, Grand! aveva riferito sulle posizioni ant!sanz!on!ste di Amery e sulla riunione da lui organizzata di membri del Parlamento per protestare contro la politica estera del governo britannico.

domande precise che Lord Lloyd gli ha posto sulle r·agioni che consig.liavano questo ritardo.

«Le settimane che precederanno le elezioni saranno piuttosto dure ), ha continuato Lord Lloyd. Il Governo farà una surenchère elettorale della lotta contro l'Italia. Ma nonostante che Eden faccia dire sui giornali ufficiosi e sopratutto sul Daily Telegraph, che è il suo organo personrule, che a dicembre la situazione sarà più chiara perché il futuro Governo britannico e un probabile futuro Governo francese senza Lavai avranno magg.ior f·orza di agire direttamente contro Mussolini, pure io ritengo che se riusciamo a superare senza un peggioramento grave della situazione queste settimane, indubbiamente difficili, la situazione presenterà dopo novembre dei punti e un terreno sul quale si potrà agire per una possibile e mgionevole conciliazione. Assicurate ad ogni modo il Duce che io ed i miei amici lavoreremo 'lungo questa linea con tutte le nostre forze. Mi sarà molto utile continuare ad essere, come lo sono stato finora, in stretto contatto con voi perché voi possiate tenervi al corrente, e suggerirmi tutto quanto possa essere utile alla mia azione).

Ho ringraziato Lord Lloyd ed ho insistito con lui sulla necessità che l'elemento sano del partito conservatore reagisca subito ed efficacemente contro le tendenze filo-liberali e laburiste assunte da Ba1dwin e contro la criminosa politica delle sanzioni a cui intendono spingerlo gli avversari non solo dell'Italia, ma anche dello stesso pa·rtito conservatore (1).

(l) -Non si pubbllca. (2) -Vedi D. 235. (3) -Vedi D. 447. (4) -T. per corriere 7070/0212 R. dell'8 ottobre 1935, non pubblicato.

(l) Vedi D. 296, nota 4.

315

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 11 ottobre 1935.

È venuto il momento di tirare le somme dei crediti e della fiducia anticipati alla Francia.

Il Signo·r Lava·l ci aveva avvertito che, pur mantenendo integralmente l'amicizia italiana, avrebbe dovuto indulgere alle necessità della politica societaria che sono il fulcro della politica francese.

Il Signor Lavai ci aveva anche detto che aveva dovuto buttarsi sulle sanzioni economiche per potersi opporre decisamente a quelle mrlitari. Lavai sapeva anche che noi saremmo ricorsi all'azione militare ed era rassegnato.

Oggi la macchina delle sanzioni è in movimento. Le sanzioni economiche che sono destinate ad aggravarsi successivamente, in un determinato momento possono trasformarsi in sanzioni militari.

Così avverrà probabilmente se non 1Si ·prende qualche iniziativa per ev.itarlt. Gli altri paesi non seguiranno tutti, ma l'Inghilterra avrà una giustificaztone di carattere collettivo per andare avanti per conto proprio.

Bisogna che .in questo momento Lavai ci dica chiaramente come vede la situazione perché noi dobbiamo regolarci e prepararci a tempo per ogni eventualità.

Mi propongo, se V. E. è d'accordo, di tenere questo discorso a Cthambrun facendogli prendere degli appunti, perché lo esponga in modo preciso a Parigi.

Qualche cosa al riguardo potrebbe avere già detto Lava:l al Barone Alo.isi, per cui converrà attendere il ritorno di questo ultimo prima di fare il passo più sopra prospettato (1).

(l) Per la risposta di Mussolini vedi D. 352.

316

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 11 ottobre 1935.

L'impressione di una sosta nelle nostre operazioni per poi fare un secondo sbalzo, comporta i'l pericolo che alla ri·presa ci sia un aggravamento della macchina delle sanzioni ora già in movimento.

Se necessità di ordine militare non consentono, come sarebbe sommamente desiderabile, di continuare ora l'azione a fondo per occupare tutto il territorio fino al ciglione del Tacazè e a Macallè, bisognerebbe per lo meno dare l'impressione, con altre azioni locali di minore conto, che l'azione continui, di modo che il secondo sbalzo possa innestarsi automaticamente suiJ. movimento in corso senza dare l'impressione di una ripresa dopo un periodo di sosta.

Con tutto o quasi il Tigrai in mano potremo discutere, se si potrà venire ad una discussione, in altre condizioni che con la striscia di territorio che teniamo oggi. Ma se le sanzioni nel frattempo saranno talmente avanzate da costituire per noi una seria difficoltà per l'ulteriore azione, evidentemente la nostra situazione sarà indebolita.

Quindi, riassumendo, la necessità politica nel momento attuale imporrebbe di portare avanti l'azione militare con 'la massima rapidità che sia consentita dalle ragioni di sicurezza (1).

317

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6965/247 R. Berlino, 12 ottobre 1935, ore 17,50 (per. ore 20,05).

Ho veduto oggi Neurath dopo che questi aveva conferito con Hitler.

tl) Il presente documento reca !l visto di Mussolini.

Egli mi ha confermato che Germania intende, nel conflitto itala-abissino, mantenersi neutrale e quindi solo osservare gli obblighi che diritto internaziona~e riconosca come inerenti alla neutralità. Non intende perciò partecipare a sanzioni di qualunque natura, né interrompere con Italia sue relazioni commerciali.

Espressamente richiestone da me, egli ha specificato che Germania ritienesi pilenamente libera commerciare in materie prime, mentre non ritiene di •avere analoga libertà per quanto riguarda armi e munizioni.

A mia richiesta se Germania si preparasse a fare in materia una qualunque pubblica dichiarazione, Neurath mi ha detto di avere discusso anche questo con Hitler, il cui punto di vista è il seguente: Germania ha già, per bocca del suo cancelliere, solennemente dichiarato la propria neutralità. Essa non avrebbe quindi nul1a da aggiungere, tanto più che alle parole seguono i fatti e cioè la continuità nel pratico svolgimento delle relazioni normali con Italia.

La stessa Inghilterra, il cui Ambasciatore è ancora ieri andato a questo Ministero degli Affari Esteri: nll!lla ha domandato alla Germania. Sembra anzi che una primitiva [disposizione] a farla sia stata successivamente dismessa. Vi è però om la costituzione del famoso Comitato ginevrino aperto a tutti e vir,tua'lmente anche alla Germania. Germania, se invitata, rifiuterebbe, in questo caso pro.fittando dell'occasione per una nuova dichiarazione in materia. Ma sarebbe allora una occasione naturale, e non artificiosamente cercata.

Neurath ha aggiunto -anche in questo, sono sicuro, facendosi l'eco del pensiero di Hitler -che Germania non intende affatto aumentare le diffi.coltà che Italia incontra in questo momento e che vivamente si augura che essa riesca a sormontare.

Dopo avere debitamente preso atto di tutto questo aggiungendo che ne avrei subito riferito a V. E., ho profittato della circostanza per osservare che, se queste erano effettivamente le intenzioni della Germania, non capivo perché questa ne scemasse l'effetto con l'assurdità del contegno della sua stampa. Neurath mi ha risposto che ancora ieri sera aveva dato nuove e più precise istruzioni in proposito.

Accogliendo un mio suggerimento, egli tornerà ora a fare raccomandazione generica, praticamente dimostrantesi senza grande effetto, dei richiami a .qualche giornale per casi da me spe'Cificatamente indicati. Egli ha peraltro concluso pregando di dare alle manifestazioni della stampa il valore relativo che esse effettivamente meritano nel quadro generale delle relazioni tra i due Paesi.

Telegraferò ulteriormente, riferendo di un lungo colloquio avuto stamane con Litvinov (1).

(l) Vedi D. 318.

318

L'AMBASCIATORE A BERLINO, A'ITOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6970/248 R. Berlino, 12 ottobre 1935, ore 12,20 (per. ore 1,30 del 13).

Litvinov, impressionato incertezze societarie, SI e improvv·isamente deciso di andare a Ginevra. Passando da Berlino, ha chiesto vedermi, avendo così con me colloquio di un'ora e mezza.

Senza riferirne dettagli, di cui molti già noti a V. E. attraverso rapporti mio collega Mosca, mi limito informare V. E. linea generale sua possibile azione a Ginevra.

Litvinov tiene moltissimo a completare il più possibile « quadro giuridico » della azione S.d.N. contro uno Stato aggressore. Sostiene perciò che sanzioni economiche sono obbligatorie per tutti, ad esse non essendo applicabile discrezionalità invece possibile per sanzioni militari. E~li ritiene perltino attuabile e legitttmo un reciproco controllo sulla applicazione pratica delle sanzioni medesime. Mentre però egli si mo'Stra intransigente e anzi estremista in tutta questa parte giuridica (la sa:ldezza della cui costruzione vorrebbe perfezionata non per Italia di oggi, ma per Germania di domani) è invece disposto a larghe concessioni per quanto riguarda contenuto sostanziale sanzioni. Egli intenderebbe legare tutti i membri S.d.N. solo per un minimo, lasciando a chi piacesse facoltà eccederlo. Per parte sua, si contenterebbe delle sole armi e munizioni, un minimo sicurezza applicabile da tutti essendo preferibile ad un massimo p1aticamente non mantenibile.

A questo punto abbiamo largamente discusso questione materie prime e carbone. Gli ho fatto comprendere importanza che ltalia sarà costretta attribuire a·l contegno diversi Paesi sulla questione.

Egli ha naturalmente cercato di sondarmi sui propositi della Germania. Senza troppo sbi1anciarmi, .gli ho detto che 1i ritenevo ormai fissati dalla dichiarazione di neutralità già fatta da Hitler. Non so, aggiunsi, se Germania si dipartirà mai da questa linea; ove anche si inducesse a farlo, potreste essere si-curo che lo farebbe soltanto « a vostre spese ». Osservazione non ha mancato di turbare alquanto mio interlocutore, evidentemente preoccupato anche dei possibili nuovi orientamenti politici dell'Italia, quando questa fosse messa in grado sottrarsi al blocco societario grazie alla neutraLità tedesca.

Mi sono in sostanza convinto aver su Litvinov molto peso la considerazione della inopportunità portare blocco a limiti che lo rendessero patentemente inefficace. In proposito, credo riuscirebbero molto opportune ulteriori precisazioni da parte Svizzera sulla sua già fatta riserva di neutralità.

Avverto pure aver trovato necessario chiarire a Litvinov (nel senso mio telespresso n. 1431 approvato da V. E. con il telegramma n. 239) (l) le possibiLi reazioni Italia in caso di blocco.

Egli sembrava [convinto] che noi avremmo ammesso diritto tdi visita]. Eventualità conflitto navale Mediterraneo -da cui Inghilterra uscirebbe, nella migliore del1e ipotesi, seriamente malconcia -preoccupa U.R.S.S. per possibili ripercussioni sopra Giappone, che potrebbe profittaa:-ne per colpo di mano in Estremo Oriente.

Ho ritenuto infine opportuno [avvertire] il mio interlocutore che difficilmente Italia resterebbe S.d.N., quando sanzioni economiche arriV'assero alla proibizione forniture materie prime.

Ho l'impressione che Litvinov, tempestivamente avvicinato e seguito a Ginevra, potrebbe essere ancora, in più di una cosa, utilizzato a nostro vantaggio.

(l) Vedi D. 199.

319

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 6987/203 R. Vienna, 12 ottobre 1935, ore 19,30 (per. ore 21).

Mio telegramma per corriere 0108 del 9 corr. (1).

È assai possibile che von Papen, nel subordinare in certa guisa presentazione «ufficiale» noto progetto d'accordo austro-tedesco a previe misure clemenza per responsabilità incorse dai partecipanti all'incidente ria-ssunto nel predetto telegramma per corriere, avrebbe obbedito ad una mera iniziativa personale.

Al riguardo mi è stato riferito confidenzialmente che Primo Segretario questa Legazione di Germania si è ieri sera abboccato, in via del tutto privata, con signor Peter per trovare una via di uscita, giacchè von Papen, nel sol1levare questione predetto incidente, non avrebbe affatto obbedito ad istruzioni di Berlino (che l'aveva esclusivamente autorizzato ad iniziare senz'altro trattative «ufficiali» per noto accordo diretto), ma al desiderio personaLe di comporre preV'iamente incidente in questione. Von Papen si sarebbe pertanto fin oggi astenuto dal riferire alcunchè a Berlino su ultimo suo vivace colloquio con Berger-Waldenegg.

Da parte sua Commissario Governativo Colonnello Adam ha precisato ieri sera alla radio che attuaU conversazioni fra personalità austriache e german~che non possono essere qua'lificate come nego>~iati, nè che esse sono impegnative.

Inoltre ha affermato che distensione rapporti fra Austria e Germania è subordinata intangibildtà sovrarutà austriaca ed alla esclusione ogni ingerenza, precisando che anche propaganda ostile all'Austria rientra nel concetto dd ingerenza.

24 -· Documentt Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

(l) Vedi D. 303

320

1L MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6966/163 R. Bucarest, 12 ottobre 1935, ore 22 (per. ore 3,30 del 13).

Rispondo telegramma n. 310 da Ginevra (1).

Appena rientrato in sede ho provveduto prendere contatto con Governo romeno e con gli ambi·enti commerciali in genere facendo toccare con mano i danni irreparabili che deri·verebbero alla Romania se si lasciasse trascinare nelil'ingranaggio delle sanzioni economiche. Proprio ieri ho avuto due importanti riunioni con Ministro competente e co·l Governatore della Banca Nazionale che sono ansiosi aumentare acquisti romeni in Italia per mantenere attuale corrente verso i nostri porti.

Questa mattina tutti i giornali si esprimono in senso ostile riottoso alle sanzioni economiche. Il giornale Argus che è il più importante organo economico della Romania pubblica sotto il titolo a lettere di scatola «Che cosa la Romania perderebbe con le sanzioni l>. GiornaLe ricorda che l'Italia è diventata principale mercato per i prodotti romeni. Il venti per cento della sua esportazione genemle ed un terzo della sua esportazione petrolifera vengono assorbiti dall'Italia.

Da parte mia devo perciò ricordare a V. E. che l'interesse della Romania per sua esportazione Italia soffrirà un fatale tracollo se non verrà subito dato impulso all'esportazione dell'Italia anche con i mezzi straordinari segnalati con mio telespresso n. 545, 2 corrente (2), su cui richiamo sua personale attenzione. In questo momento la Romania è creditr•iC·e verso Italia per cento milioni di lire italiane. E' una situazione che portiamo qui con i denti ma che non può durare. Grazie al nostro clearing noi non paghiamo un soldo di divise per la colossale esportazione romena verso lire che in agosto e settembre ha sorpassato i trentacinque milioni di lire al mese e sta continuando anche in ottobre con ritmo accelerato. Romania è nostro principale mercato di rifornimento per il petrolio che da oltre un anno entra in Italia senza fuoriuscita per noi di una sola lira oro. Se noi vogliamo che questa nostra situazione privilegiata abbia a durare, occorre spingere con mezzi straordinari nostra esportazione verso questo mercato. Altrimenti, fra poche settLmane, questo paese si trov·erà nell'impossibilità continuare a finanziare sua esportazione verso Italia e lo trov·eremo in tal caso molto meno resistente ed ostile a:lla questione delle sanzioni.

Pregherei V. E. volere far ri'conoscere quanto precede a Ministero Finanze, Ministero Corporazioni, Istituto Nazionale Esportazioni e Sopraintendenza Cambi.

Signor Titulescu è in viaggio per Bucarest. Spero vederlo al mio arrivo lunedì ed urgerò affinchè egli impartisca precise istruzioni suo delegato Ginevra opporsi qualsiasi sanzione di carattere economico e commerciale.

(l) -Vedi D. 330, nota l. (2) -Non Tinvenuto.
321

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 6971/295 R. Buenos Aires, 12 ottobre 1935, ore 22,40 {per. ore 6,45 del 13).

Seguito mio telegramma n. 294 (1).

· Sono lieto trasmettere V. E. formale dichiarazione fattami da questo Ministro degli Affari Esteri durante nuovo particolareggiato colloquio avuto con lui alla presenza Presidente della Repubblica e di vari altri membri dei Gabinetto: «Le istruzioni definitive che si telegrafano al delegato argentino Ginevra sono nel senso di informare Comitato che Argentina, pur rimanendo fedele principio Patto Lega delle Nazioni, non appli:che.rà nessuna (ripeto nessuna) sanzione all'Italia, perchè ciò sarebbe contrario allo spirito ed alla lettera della costituzione di questo Paese ». Ministro degli Affari Esteri mi ha quindi espressamente autorizzato porre subito V. E. al corrente di quanto precede (2).

322

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6967-6975/314-315 R. Ginevra, 12 ottobre 1935, ore 23,50 (per. ore 3,40 del 13).

Circa prima giornata di lavori del. Comitato di coordinamento Massigli mi ha fatto rilevare che nella prima deliberazione del Comitato misure esecutive e di controllo dei divieti non ha in alcun modo contemplato aspetti marittimi.

Questione non è stata affatto posta in [agenda] del Comitato e Massig1i intende questo fatto come indice, se non favorevole, per lo meno di riserbo britannico.

Alla mia domanda perchè abbiano fin da prima deliberazione previsto e concretato le rigorose misure di esecuzione concernente transito riesportazione e annullamento contratti in corso, Massigli ha dapprima dato risposta che giudico evasiva ed infine mi ha esposto sua tesi che, cioè, per evitare aggravamento progressivo e rapido della situazione bisogna che le prime sanzioni abbiano una qualche efficacia pratica e non diano l'impressione di una burletta. Altrimenti -dice Massigli -inglesi sara·nno sempre più esagerati e precipiteranno loro azione. Bisogna che per due o tre settimane -sempre secondo Massigli -il congegno delle sanzioni abbia l'aria di funzionare.

Egli crede che lista delle armi e munizioni annessa alla prima de'liberazione del Comitato non crei imbarazzi all'Italia, ritenuto che autonomia Italia per forniture belliche propriamente dette sia più grande. Del resto -aggiunge la prima misura del Comitato concernente armi era inevitabile.

A mia domanda se noh potevasi seguire esempio americano, con emba,rgò bilaterale verso entrambi parti in guerra, Massigli ha risposto che la cosa sarebbe stata esaminata anche da Lavai ma era apparsa gimidicamente impossibile: Stati Uniti d'America applicano loro legge di neutralità, mentre Stati della S.d.N. applicano articolo 16 in base a constatazione di cui all'articolo 12 del Patto: non sono quindi su un terreno di neutralità. Inoltre Inghilterra tendeva decisa a poter iniziare armamenti dell'Etiopia.

Tornando al transito Massigli ha detto ritenere per certo che Svizzera solleverà questione convenzione Gottardo e si opporrà fermamente.

Ho poi potuto constatare daUo studio dei documenti che concetto informatore della deliberazione dei Diciassette travasi nel progetto francese presentato nel maggio 1935 al noto Comitato per la sicurezza collettiva.

Circa atteggiamento Austria e Ungheria, Massigli pretende chJe posizione assunta da quei due Stati mette speciaLmente l'Austria in situazione molto difficile senza avere praticamente gravato ad arrestare procedura sanzioni, e mi ha accennato vagamente al precedente di Hirtenberg.

Sulle varie argomentazioni di Massigli ho mantenuto massimo riserbo dicendo che non spettava a me di pronunciarmi al riguardo. Gli ho invece detto come mia impressione personale, che non vedevo nella prima deliberazione adottata dal Comitato di coordinamento, che si fosse ottenuta rulcuna ragionevole moderazione delle misure di applicazione concernenti riesportazione e trl!lnsito sulle quali Delegazione francese avrebbe pur potuto fare resistenza. Per cui speravo che alla prossima occasione le cose andassero diversamente. Particolarmente in materia di transito, riesportazione e contratti in corso il precedente creato con la deliberazione circa armi e munizioni non doveva -a mio avviso essere considerato che per escluderlo.

Massigli ha ripetuto che principali ostacoli al transito verranno dalla Svizzera e che appena si incomincierà a parlare di sanzioni economiche propriamente dette sorgeranno enormi difficoltà da ogni parte. Egli prevede che discussione durerà alcuni giorni, ma, per conto mi:o, dato ritmo accelerato col quale inglesi dirigono l'azione, ogni previsione su durata dei lavori è azzardata.

Schuller è venuto stamani a spiegarmi ragioni del suo atteggiamento in seno Comitato di coordinamento sanzioni dicendomi di aver lungamente parlato telefonicamente con Vienna.

Mi ha riferito che Deìegato britannico e Massigli gli hanno fatto considerare situazione difficHe dell'Austria e che se egli voleva ilmpedire Comitato incominciare funzionamento sanzioni si sarebbe tirata fuori di nuovo questione della esportazione di armi da Hirtenberg che risulta continuare, promuovendo a carico dell'Austria un processo per violazione del Trattato di Pace. Con me Schuller non ha esitato a qualificrure vero ricatto linguaggio che gli è stato tenuto e mi ha detto di avere replicato che rullora anche levata embargo sulle armi a favore dell'Etiopia è violazione di Trattato e che circa risposta di merito alla proposta del Comitato dei diciassette avrebbe deciso il Governo Vi,enna.

Dato che risoluzione al detto Comitato di Coordinamento col paragrafo finale

chiede e quindi salvaguarda esplicita risposta dei singoli Governi, Schtil'ler mi

ha detto che non v,edeva l'utHità di fare una affermazione esteriore che avrebbe aperto un nuovo incidente. Ha aggiunto confidenzialmente che gli è sembrato molto più importante non aprive pubblicamente questione e,sportazione materie inviate Hirtenberg dato che Austria rifiuta associarsi alle sanzioni. Sapeva che al riguardo eravi scambio di vedute tra Vienna e Roma ed aspettava istruzioni.

È rimasto sorpreso del voto di riserva del Delegato ungherese col quale non aveva avuto tempo di accordarsi, ma ritiene che suo silenzio non abbia affatto pregiudicato questione nonostante importanza data da giornali tendenziosi.

Nel complesso, però, SchUller ha tenuto a dirmi sua impressione molto pessimistica pel modo con cui ha visto Inghilterra procedere da padrone trascinando tutti i Delegati che non osano fiatare e non mi ha neppure nascosto in via confidenziale sua penosa impressione per atteggiamento francese.

Ho messo in guardia SchUller sul sistema ormai cla,ssico del voto col sHenzio. Nel pomeiJ."iggio ha ricevuto istruzioni di votare contro ogni sanzione.

(l) -Non pubblicato. (2) -11 presente documento reca il visto di Mussolinl, che rispose con il D. 363.
323

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINLSTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 1857/115 R. (1). Roma, 12 ottobre 1935, ore 24.

suo 116 (2).

Si rechi da Stojadinovdc e gli dica a mio nome che atteggiamento amichevole deHa Jugoslavia nell'applicazione pratica deHe «sanzioni» potrà avere conseguenze politiche -dico polit1che -di grande portata per l'avvenire dei due Paesi (3).

324

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 1860/118 R. Roma, 12 ottobre 1935, ore 24.

Prego V. S. comunicare a Re Zog il seguente messaggio:

«Desidero assicurare Vostra Maestà che ho molto apprezzato le amichevoli dichiarazioni btte dal Delegato albanese alla S.d.N. e specia1mente le parole con cui ha messo in rilievo l'importanza dei rapporti politici ed economici che uniscono i due paesi aHeati.

Tali dichiarazioni hanno avuto in Italia la più cordiale rispondenza.

Prego Vostra Maestà di gradire l'espressione del mio ossequio devoto» (4).

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 311. (3) -Per la risposta di Viola vedi D. 353. (4) -Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica.
325

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 12 ottobre 1935.

Il Conte Chambrun mi esprime il voto del suo Governo che Addli.s Abeba e Dire Daua possano essere risparmiate in eventuali bombardament-i a·erei.

Il Governo francese si permette di rilevare, nella forma più amichevole, che in questo momento una assicurazione al riguardo avrebbe un eiffetto favorevole nena situazione generale.

Mi dice di aver ricevuto un te1egramma da Lavai ne'l quale, a proposito del cosidetto progetto Chambrun (mandato sulla zone peri~rica), si parla della difficoltà di trattare cogLi inglesi nel momento attuale. Forse tempo addietro la cosa sarebbe potuta riuscire, ma oggi la situazione è cambiata.

Osservo aU'Ambasciatore che Lavai ha commesso l'errore di discutere della questione ora a Ginevra con Eden. Bisogna assolutamente eliminare Eden e arrivare direttamente a Baldwin e a Hoare.

Il Sig. Chambrun è d'accordo. Bisogna però incora~giare Lavai cihe in questo momento è piuttosto scoraggiato, pure essendo animato sempre dal più vi~o desiderio di trovare una soluzione che soddisfi l'Italia (l).

326

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 12 ottobre 1935.

Richiamo vivamente l'attenzione del!l'Ambasciatore sull'atteggiamento di buona parte deUa stampa tedesca, che, non solo raccogli'e tutte le notizie sfavorevolli. all'Italia, ma le mette in rilievo particolare e le commenta tendenziosamente. Ho tutto un materiale documentato a disposizione, ma non gliene parlo perchè so che ha avuto già delle conversazioni al riguardo col Sottosegretario del•la Stampa e Propaganda.

Il signor von Hassell è al corrente deHa cosa, si sta occupando attivamente col suo Governo per rettificare questa posizione. Afferma che l'origine principale di questa situazione sta neUa mancanza di sufficienti informazioni da parte italiana. Comunque egli spera che il suo intervento possa far cessare questo stato di cose.

Parlando deLla situazione general'e rilevo aH'Ambasciatore -con richiamo anche ai discorsi di Baldwin e Churchill -che la questione delle sanzioni

viene messa in moto contro di noi, ma elle in fondo non è che una prova generale per applicarle domani alla Ge!fmania.

L'Ambasciatore rit1ene che questa sia una tendenza di alcuni circoli inglesi, ma non della totalità dell'opinione pubblica della Gran Bretagna che si è avvicinata alla Germania.

Non sono d'accordo con lui. La Gran Bretagna diffida sopratutto dell'aviazione tedesca pe·r cui anche se contingenze momentanee possano portare a un apparente avvicinamento, il fondo della politica inglese è ostile alla Germania.

Nel discorso, l'Ambasciatore mi dice che dall'articolo di fondo di ieri del Giornale d'Italia ha avuto l'impressione che· gli italiani tentasS'ero di riprendere le trattative per la regolazione della questione abissina.

Gli rispondo che per ora non c'è nulla. Noi proseguiamo per la nostra strada. Chiedo al signor von Hassell se la Gran Bretagna esercita deUe pressioni a Berlino perché si associ alla questione delle sanzioni. Mi risponde che fino a ora ciò non è avvenuto in modo assoluto. Soltanto parecchio tempo fa, da parte inglese si era accennato a questa possibilità, ma a Berlino si era dichiarato che l'atteggiamento tedesco è quello della più assoluta neutralità (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

327

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI GRECIA A ROMA, METAXAS

APPUNTO. Roma, 12 ottobre 1935.

Il Ministro di Grecia viene a comunicare da parte del Generale Condylis il mutamento di governo avvenuto nel suo Paese. La mozione con la quale il Generale Condylis ha preso possesso del governo si basa su tre punti: l) decadenza de'l regime repubblicano; 2) conferma del plebiscito per il 3 novembre; 3) assunzione temporanea di tutto il potere sovrano da parte del governo. Il ple·biscito in queste condizioni avrà più che altro il ca•rattere di sanzione di un fatto già avvenuto.

Ringrazio il Ministro per la sua comunicazione e osservo che se il governo ha tutto il potere sovrano avrà anche quello di mettere un freno aNa stampa che in questi ultimi tempi ha avuto un contegno inqualificabile· contro n nostro Paese (l).

(l) Il presente documento reca il visto d! Mussolini.

328

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 12 ottobre 1935.

In reJazione all'accluso appunto dell'll ottobre (l) sembra prevedibile che nella sua azione mediatrice Lavai potrà essere indotto, dalla stessa imperfetta visione della situazione generale e dalle difficoltà della posizione francese che Io hanno portato troppo avanti in materia di sanzà.oni, ad errori che allontanerebbero invece di avvicinare le possibilità di una sistemazione della questione itala-etiopica.

Tra gli altri, l'errore più g·rave potrebbe consistere nel lasciarsi andare affrettatamente a concordare con gli inglesi una nuova proposta da sottoporre a noi, piuttDsto che discuterne previa,mente i dettagli con l'Italia.

NelLe condizioni attuali, perdurando l'intransigenza inglese, è più che probabile che tale proposta non potrebbe essere dii nostra soddisfazione. Noi saremmo allora costretti a respingerla, ed il nostro terzo rifiuto di una soluzione conciliativa aggraverebbe la situazione di ognuno.

Lavai ci ha bensì 10Ccennato alla sua idea di un mandato internazionale nella parte cen1Jrale dell'Abissinda e di un mandato itaUano nelle regioni periferiche. Una tale idea è però tuttora assai vaga e attraversa una elaborazione unilaterale franco-inglese; potrebbe ·essere sottoposta a tali e tante limitazioni e modifiche da perdere per noi tutto il suo valor·e.

Già infatti Lavai ha accennato ad Aloisi alla necessità di considerare la concessione di uno sbocco al mare all'Etiopia.

Prima che Lavai si metta all'opera sembra quindi assai urgente trovare il modo di studiare seriamente il suo schema con 1ui ed apportarvi insieme le indispensabili precisazioni. Proponendo a Lavai un tale studio occorrerebbe nel contempo avvertirlo dei pericoli che implicherebbe una sua superficiale e personale trattativa con gli ing,lesi senza un previo e poi contemporaneo contatto con l'Italia.

Questo contatto dovrebbe svolgersi nel modo più segreto per ovvie ragioni.

329

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6991/319 R. Ginevra, 13 ottobre 1935, ore 16,50 (per. ore 18,30).

Comitato Diciassette divenuto Comitato dei Diciotto per aggiunta Messico ha continuato sabato disquisizioni smzioni economiche.

{l) Vedi D. 315.

Delegato inglese Eden ha proposto in primo luogo applicazione divieto d'importaz,ione di prodotti italiani nei territori dei Paesi partecipanti alle sanzioni, rilevando che queste misure colpirebbero circa 70 % es,portazioni italiane e sarebbero di facile applicazione.

Francese Cou1on.dre manifestato invece sua preferenza per misure consistenti nel divieto o nella restrizione di rifo~nimenti all'Italia di materie prime che facilitano condotta guerra e specialmente prodotti chimici e minerali ed oli minerali. Ha dichiarato che tali misure sembrano più dirittamente adattate alle circostanze attuali mentre divieto contro prodotti itaLiani produrrebbe ri:percussi·oni dannose all'economia di alcuni Paesi. Comunque non si è rifiutato di esaminare le due categori'e di provvedimenti, avvertendo tuttavia che date decisioni Assemblea d'arrivare soluzione pacifica converrebbe adottare misure non suscettibiH di invelenire conflitto.

Titulescu appoggiato da delegati jugoslavo Puric e turco Aras, ha poi sollevato questi,one compensi da accordarsi a Paesi che subirebbero danni rilevanti per loro partecipazione alle sanzioni.

A sua volta del-egato sovietico Potemkine ha proposto di colpire con restrizioni commerciali e finanziarie anch'e Paesi membri ·O non membri della Lega che non partecipano alle sanzioni.

InHne delegato svizzero Motta ha rilevato diffico,ltà per il suo Paese di applicare rigide restrizioni nei riguardi dei traffici dell'Italia con il Canton Ticino dove su 160 mila abitanti di lingua italiana vivono 35 mila cittadini italiani. Egli ha osservato che al massimo si potrebbe adottare un sistema di contlingentamento.

Discussione non ha condotto ancora a prospettare soluzioni pratiche delle varie questioni sollevate. Delegato sud-africano Te Water proposto incominciare con misure concernenti relazioni diplomatiche con richiamo dei Capi-Missione. Comitato riprenderà suoi lavori lunedì.

330

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6989/138 R. Sofia, 13 ottobre 1935, ore 18,20 (per. ore 0,40 del 14).

Ho ricevuto ieri sera telegramma circolare da Ginevra (l). Attendo istruzioni (2). Intanto posso informare V. E. che questo Ministro Esteri che ho avuto occasione incontrare stamane mi ha detto spontaneamente che ha già dato

istruzioni al delegato bulgaro a GJ.nevra di fare in seno al Comitato di coordinamento le più ampie riserve circa concorso Bulgaria applicazione sanzioni che dovrebbero in ogni caso concernere strettamente material'e bellico.

Ha aggiunto che se situazione speciale in cui Patto balcanic·o mette Bulgaria lo avesse permesso, uguaie 'linguaggio sarebbe stato tenuto da deLegato bulgaro in seno Assemblea, [tanta essendo] la simpatia Bulgaria per la nostra causa.

Da notizie giuntegli Ginevra circa atteggiamento Romania e Jugoslavia, egLi ha impressione che situazione grazie sopratutto azione francese si volga a nostro vantaggio.

(l) -Con T. uu. 6939/310 R. del 12 ottobre 1935, ore 6,45, Aloìsi aveva indicato le direttive di massima a cui avrebbero dovuto attenersi 1 rappresentanti italiani presso gli Stati partecipanti al comitato di coordinamento per le sanzioni. (2) -Con T. 1919/123 R. del 18 ottobre 1935, ore 2, Suv1ch invitava Sapuppo a mantenere un atteggiamento conforme a quanto indicato nel telegramma da Ginevra.
331

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 1862/640 R. Roma, 13 ottobre 1935, ore 19.

Il Ministro Lavai ha fatto sapere all'Ambasciatore Aloisi che, appena arrivato a Parigi, avrebbe invitato V. E. a un colloquio. Per Sua norma, in previsione di tale conversazione, Le comunico come si presenta la situazione.

No,i abbiamo fino ad ora dato credito e prestato fiducia aHa Francia e ~l Signor Lavai in particolare, il quale ci aveva dichiarato la sua tattica di cedere all'Inghilterra su determinati punti per potere opporsi nella maniera più assoluta su altri punti di gravità maggiore. Abbiamo perciò impedito qualsiasi reazione, anche se il popolo italiano se ne mostra irritato, contro l'atteggiamento del Signor Lavai alla S.d.N., che app~rentemente dà l'impressiorne di una perfetta intesa colla Gran Bretagna.

Ha contribuito a questo nostro atteggiamento di aspettativa benevola dell'azione che al momento opportuno avrebbe svolto il Signor Lavai, anche la considerazione della situazione delicata della Francia di fronte a Ginevra e della situazione delicata del Signor Lavai di fronte alla politica interna francese.

Abbiamo tuttavia l'impressione che l'atteggiamento del Signor Lavai, se anche rispondente a una manovra che rientra nelle linee dell'amicizia italafrancese, sia andato su qualche punto troppo oltre.

Mi riferisco particolarmente alla adesione del Signor Lavai alle proposte dei Cinque, costituenti un vero atto di ostilità contro l'Italia e l'accettaziorne da parte del Signor Lavai -così pare sia avvenuto -sia pure come «estrema ratio » nella applicazione delle sanzioni econom.1,che, di una rottura totale di ogni rapporto commerciale ed economico finanziario fra Italia e gli a'ltri Paesi.

Vogilio ammettere che il Signor Lavai abbia accettato questa situazione, a noi sommamente sfavorevole, o per non aV1er misurato l'importanza della sua adesione, o per avere considerato queste questioni dettaglio che perdevano importanza di fmnte alla linea generale della sua manovra.

Oggi però siamo arrivati al punto in cui o interviene uua azione energica da parte della Francia a favore degli interessi itariani, sia pure sul terreno della conciliazione, oppure dovremo ammettere che l'azione del Signor Lavai, anziché tornare di vantaggio all'Italia, abbia costituito per essa un gravissimo e fo-rse irreparabile pregriudizio.

Un intervento energico del Signor Lavai a favore dell'Italia nel momento attuale può ~essere notevolmente facHitato dal fatto che la parte migliore del suo paese, con uno di quegli sLanci che risponde alle profonde ragioni delle necessità politiche della Nazione e che sono determinati nella evoLuzione dei rapporti fra i Paesi, si leva decisamente in favore dell'Italia al di sopra di tutte le combinazioni e 1e transazi,oni politJ.che interne ed esterne.

Il Signor Lavai deve rendersi conto che oggi la situazione è tale che, messa in moto col suo concorso la macchina delle sanzioni, la stessa progredisce automaticamente red offre la migliore base alla malevo1enza ed anzi alla ostHità dell'Inghilterra per arrivare fino alle estreme conseguenze, cioè alla guerra contro l'Italia.

Gli altri Paesi potranno non seguirla sul terreno pratico ma rimarrà sempre il loro appoggio morale che costituisce un incoraggiamento ed un sostegno formidabile per la Gran Bretagna.

Bisogna che il Signor Lavai faccia sapere ragli Inglesi che, sostenuto dalla maggioranza della opinione pubblica del suo Paese, ad un certo punto egli è disposto a mettere l'alt, non soltanto per assumere poi un atteggiamento passiNo, ma per impedire che le cose possano andare più oltre.

Bisogna che prima di arrivare a questo punto ci sia una pressione tale da parte della Francia sulla Gran Bretagna perché si arrivi a una soluzione di conciliazione favorevole all'Italia.

Giorni fa il Signor Lavai pareva, su suggerimento dell'Ambasciatore Chambrun, avere preso la buona via in quanto raveva accettato di sostenere un progetto che avrebbe dato esclusivamente all'Italia la missione di assistenza dell'Abissinia nella zona periferica (in altre parole il mandato all'Italia) (1).

Questa sua buona intenzione pare che il Signor Lavai l'abbia guastata intrattenendo della cosa il Ministro Eden e recentemente egli ha tenuto all'Ambasciatore Aloisi un discorso che metteva la questione sull'antico progretto da noi non accettato: cessione di un corridoio al mare all'Etio·pia v~erso cessione in compenso ~per noi di una parte del territorio etiopico. È vero che il Signor Lavai ha parlato di altri territori oltre l'Ogaden e si è fatto indicare quelle zone che noi consideriamo le più fertili e meglio sfruttabili nella zona periferica; ma nulla autorizza a ritenere che sulla base del progetto di compensazione gli Inglesi siano disposti ad andare tanto oltre.

Conviene che il Signor Lavai riprenda la sua idea primitiva: mandato a;ll'Italia sulla zona periferica, mandato collettivo sulla parte centrale. A queste sue proposte noi aggiungiamo le seguenti condizioni: l) prevalenza o a1meno adeguata rappresentanza dell'Italia nel mandato collettivo sulla parte centrale;

2) cessione all'Italia in dominio assoluto di tutto il territorio conquistato nel Tigrai; 3) fissazione a nostro favore del confine verso la Dankalia e del confine verso la Somalia; 4) disarmo dell'Abissinia.

Questo progetto dopo la nostra avanzata vittoriosa, che nei prossimi giorni sarà allargata, potrebbe essere accettato a Ginevra perché rimane la base del progetto dei Cinque per la parte centrale (indipendenza mlllenaria ecc.) e rimane il princLpio della sovranità dell'Abissinia su tutto il territorio, nominalmente anche su quello sottoposto al mandato, e assistenza italiana.

La guerra potrebbe cessare subito in quanto io avrei bisogno delle nostre truppe per occupare il territorio a noi ceduto in mandato.

Non mi nascondo tutte le difficoltà di arrivare nel momento attuale a una tale soluzione, ma mi pare indispensabile che il Signor Lava>! punti subito i piedi e si faccia iniziatore di questo tentativo di conciliazione. Condizione essenziale perché lo stesso abbia una qualche chance di riuscita è che il Signor Lavai tagli fuori completamente il Signor Eden e tratti direttamente col Capo d'el Governo o col Ministro degli Esteri di Gran Bretagna.

Sarà poi opportuno che prima di fare qualsiasi proposta agli inglesi il Signor Lava>! si consulti con noi. Un passo falso in questo momento, che ci mettesse ancora una volta nella necessità di respingere le offerte di conciliazione, sarebbe certamente fatale per la pace di Europa.

(l) Vedi D. 223.

332

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6990/323 R. Ginevra, 13 ottobre 1935, ore 19,55 (per. ore 21,40).

È venuto a vedermi Ministro del Giappone Hotta osservatore a Ginevra e già mio collega a Praga.

Nel commentare situazione, mi ha detto che gli viene domandato da ogni

parte come si regolerà Giappone in caso di invito del Comitato di Coordina

mento a collaborare alle sanzioni. Egli risponde finora che Governo giapponese

non vede utilità prendere decisione prima che caso si verifichi. Mi ha aggiunto

confidenzialmente sua opinione che Giappone non, dico non, potrà collaborare

a sanzioni economiche. In Giappone esistono innegabili simpatie per Etiopia

presso classi più modeste, ma anche simpatie per l'Italia presso classi più

elevate. Polemiche suscitate al momento dell'incidente Sugimura aumentarono

simpatie per Etiopia e irritazione contro l'Italia; ma successivi chiarimenti

migHorarono alquanto situazione. È possibile che Governo giapponese, qualora

invitato a coliaborare, si induca à promulgare embargo sutle armi negli stessi termini degli S.U.A., cioè per le due parti in guerra. Tali misure di neutralità, nel dare soddisfazione a correnti favorevoli ad Abissinia, non avrebbero effetti contrari all'Italia, che non acquista materiale bellico Giappone. Sul terreno interessi non cambierebbe gran che, perché -a quanto Rotta mi ha assicurato -Giappone non avrebbe fatto e non farebbe forniture belliche all'Etiopia, perché non può contare su pagamenti ed ancora meno su solvibilità vendita a credito. Le cose potrebbero cambiare se armi e munizioni fossero pagate in contanti «da qualche altro».

Secondo sue informazioni, questione invito Stati non membri a collaborare sarebbe stata già sollevata sabato e verrebbe certo fissata Comitato Iunedì. Vi sarebbero forti correnti inglesi e francesi a creazione precedenti nella procedura societaria, ma si considera anche che questione è molto delicata.

Rotta ha detto che Giappone si compiace di essere fuori della Lega perché sarebbe stato imbarazzato e dolente doversi eventualmente pronunciare contro l'Italia. Rotta crede che correnti societarie Stati Uniti prevarranno di fronte ad invito della Lega, imponendo qualche concessione a Roosevelt, che finora era riuscito a mantenere atteggiamento neutrale fra le opposte correnti americane, contrarie o favorevoli alla Lega.

Al riguardo avverto che è qui giunto il Signor Cummings che, secondo giornali, dovrà assistere Console Stati Uniti in Ginevra, Prentiss Gilbert, in qualità di osservatore politico Società nel conflitto itala-etiopico.

333

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICR, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1863/641 R. Roma, 13 ottobre 1935, ore 24.

Non riesce chiaro atteggiamento esperti francesi a Ginevra. Se anche è da sperare che essi si siano proposti trascinare per quanto possibile le cose in lungo, è certo d'altra parte che in definitiva essi rischiano di prestarsi al giuoco inglese come purtroppo è sempre avvenuto f.in qui da parte dei delegati franc1esi che non hanno voluto prendere posizioni più decise e più conformi ai comuni interessi itala-francesi.

Occorre V. E. mantengasi in continuo contatto con Laval e con Uffici Quai d'Orsay per vigilare istruzioni che saranno inviate Ginevra circa sanzioni, cercando continuamente influire su codesto Governo perché, di concessione in concessione all'Inghilterra, non si arrivi praticamente a risultati ben diversi di quelli a cui Laval dice voler giungere in materia di sanzioni.

Del resto noi non conosciamo ancora precisamente quale è il limite massimo cui codesto Governo è disposto farsi trascinare e quindi è necessario avere precisazioni in proposito.

334

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MtJSSOLINI, AL MINISTRO A BERNA, TAMARO

T. 1870/136 R. (1). Roma, 13 ottobre 1935, ore 24.

Voglia comunicare On. Motta che suo atteggiamento a Ginevra -pieno di comprensione e di equità -suscita la più grata impressione in tutta Italia ed è destinato a rafforzare l'amicizia fra i due Paesi, il che è stato obiettivo costante del Regime (2).

335

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI MUSSOLINI

R. 7502/22. Roma, 13 ottobre 1935 (per. il 18).

Ho presentato le lettere credenziali al Sovrano Pontefice, ieri, 12 ottobre. Invio qui unito il testo dei discorsi scambiati.

È stato seguito il cerimoniale d'uso in simili occasioni. Mi sono recato in Vaticano con le vetture papali accompagnato da tre Dignitari pontifici inviati espressamente alla R. Ambasciata. Erano con me il Marchese Talamo e il Duca La Tour rispettivamente Consigliere e Segretario della R. Ambasciata.

Dopo la lettura del mio discorso e la risposta del Pontefice Questi mi ha invitato a particolare colloquio nella Sua Biblioteca. Finita l'udienza papale sono sceso in San Pietro per la consueta adorazione agli altari del SS. Sacramento, della Vergine e della Confessione. Uscito dalla Basilica sono stato riaccompagnato alla R. Ambasciata dove ho ricevuto la visita di Monsignor Segretario e di Monsignor Sostituto per gli Affari Ecclesiastici Straordinari.

Per l'assenza del Cardinale Pacelli, che trovasi in !svizzera, è mancata la visita al Segretario di Stato che vedrò al suo ritomo ~n Sede (3).

Il Santo Padre ha mantenuto, nella conversazione privata, il tono del discorso, accentuando nella seconda pa.rte del colloquio la nota benevola. Ha !insistito sulla gravità del momento. Ha detto di volere tuttavia sperare, dichiarandosi fiducioso nell'azione conciliativa del signor Lavai. Mi sono permesso di osservare a questo punto che l'accanimento g~nevrino contro di noi non era di buon augurio. Il Papa si è espresso in termini severi verso la Società de.Ile Nazioni. Ha detto, con molta vivacità, di aV1ere resistito agli allettamenti che gli venivano anche da persone vicine a Lui per una partecipazione della Santa Sede alla Lega ginevrina. Si è dichiarato ben contento di avere resistito. Si propone di perseverare nella Sua linea di condotta.

Ho detto al Santo Padre che S. E. il Capo del Governo mi aveva espressamente incaricato di recargli l'espressione del suo ossequio. Il Pontefice se n'è mostrato sensibile. Mi ha pregato di recare a V. E. una sua speciale Benedizione. Ha aggiunto che pregherà e farà pregare per V. E. e, riferendosi alla gravità del momento -riferisco testualmente le parole del Pontefice -ha precisato che, personalmente, farà tutto il possibile.

Il Santo Padre, che nella prima parte della conversazione mi è sembrato stanco direi quasi svogliato, si è a questo punto animato. Il Papa ha in seguito annuito alle mie osservazioni. Ho detto che la responsabilità di quello che avveniva oggi si doveva ricercare nei Trattati di pace che hanno posto fine alla Grande guerra. Si era stati ingiusti verso l'Italia ch'era stata tagliata fuori, mentre altri si era diviso un largo bottino. Il Pontefice ha consentito, chiedendo tuttavia di potere aggiungere che gli Uomini che avevano rappresentato l'Italia al tavolo della Pace si erano dimostrati inferiori al loro compito. Non ho potuto contraddire il Papa.

Ho detto poi che il Regime fascista, seguendo le direttive di V. E., aveva dedicato una cura particolare al miglioramento morale e materiale delle classi diseredate con i felici risultati che tutti possono constare. Ma il Paese è stremato; ha bisogno di ossigeno. D'altra parte la crisi mondiale respinge in Patria le nostre masse emigrate. Il Papa -ho aggiunto -ha Nunzi a Buenos Aires e a Parigi e Missionari italiani che vivono in contatto dell'emigrazione italiana nei due Paesi. Essi debbono avergli descritta la grande, la desolante miseria italiana che vive ai margini di quelle due grandi città, in baracche fatte di latte di petrolio o di legno fradicio, in una promiscuità che è la negazione della morale e dell'igiene. Il Pontefice mi ha risposto che lo sa. Orbene, ho proseguito, perché una grande potenza si pone brutalmente a traverso dell'Italia? C'è una popolazione scarsa che vive su un territorio vastissimo che non sa sfruttare convenientemente. Non vogliamo cacciare dalle terre avite coloro che vi vivono ma desideriamo dirigerli, avviarli a una vita civile realizzando un concreto benessere per noi e per loro. Non ho mai fatto il nome dell'Inghilterra, ho parlato sempre di una grande Potenza incontrando ogni volta la visibile approvazione del Pontefice.

La conversazione si è aggirata poi su alcune situazioni europee instabili riguardanti specialmente l'Ungheria, la Bulgaria e il corridoio polacco. Su quest'ultimo punto il Papa, che è stato come è noto Nunzio a Varsavia, si è attardato un pò più osservando senza precisare che si sarebbe potuto provvedere in miglior modo a dare uno sbocco al mare alla Polonia.

Ho parlato pure al Pontefice dell'Osservatore Romano che raccoglie sovente notizie false ,e tendenziose -così ho detto -a nostro danno. Pe~r quanto avessi avuto cura di premettere che mi scusavo di trattare con Lui di un argomento speciale in una prima conversazione, il Papa si è visibilmente offuscato della mia domanda. Mi ha risposto che i rilievi di V. E. sull'Osservatore Romano gli erano già stati fatti noti da altra parte. Mi ha assicurato, rabbonendosi, che si era trattato di una «svista» e che era g.ià stato provveduto a che non si ripetesse. Evidentemente il Santo Pac1re si è riferito 'alla f'alsa notizia data dal giornale di curia circa un nostro ingente scoper~to verso la Romania per il pagamento

della nafta romena. Però l'Osservatore ha dato un mazzo di notizie false e non solo quelle concernenti i petroli! Non mi è sembrato tuttavia opportuno di insistere, visto che il Pontefice si adombrava.

Il Santo Padre non ha fatto nel corso della conversazione ·la benchè minima critica alla nostra azione nell'Africa Orientale. Il Papa mi è sembrato piuttosto addolorato o meglio ancora preoccupato degli svolgimenti di una situazione che a varie riprese ha detto di considerare grave. II Santo Padre ha tenuto un linguaggio da buono italiano.

La conversazione con i Monsignori Pizzardo e Ottaviani si è svolta nella stessa linea di quella col Papa. Monsignor Pizzardo ha accentuato la nota della preoccupazione, dandomi l'impressione di temere per il nostro Paese. Nelle sue parole mi è sembrato not.are un commento alle allusioni più imprecise del Santo Padre.

Su questo punto mi. sono spiegato nell'udienza che S. E. il Capo del Governo ha fatto l'onore di accordarmi dopo la presentazione delle Credenziali.

Richiamo infine l'attenzione sul seguente fatto. II Nunzio a Parigi è ripartito ieri per la sua sede, abbreviando notevo1mente le sue consuete vacanze autunnali, alle quali Monsignor Maglione tiene in modo specialissimo. II ritorno a Parigi del Rappresentante Pontificio si spiega, data la situazione. Nel caso speciale però può avere un stgnificato particolare per la insistenza che il Santo Padre ha messo nel dirmi che ri·pone la massima fiducia nel signor Laval. Il Papa mi ha diohiarato testualmente: «Ho visto il signor Lava! ed anche il signor Eden, ma con Lava! ho parlato a lungo. Conosco le sue idee, ho molta fiducia nella sua azione personale ». Per parte mia credo che il signor Lavai ·avrà raccontato molte frottole al Santo Padre. Però è molto probabile che a Parigi si stabilisca uno stretto contatto tra il Rappresentante Diplomatico della Santa Sede e il Quai d'Orsay.

Non condivido l'ottimismo del Pontefice nei riguardi dell'azione diplomatica del Presidente del Consiglio francese. Comunque non ho voluto disilludere il Pontefice. Mi sono limitato a porre un interrogativo al mio: ma resterà? Il Papa ha allargato le braccia senza rispondere.

(l) -Minuta autografa. (2) -Non è stata rinvenuta risposta. (3) -Vedi D. 589.
336

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. Londra, 13 ottobre 1935.

In questi giorni si sono verificati alcuni fatti di politica interna che ad un osservatore superficiale possono sembrare come suscettibili di inf·luire sul Governo e favorire un possibile mutamento nelle direttive del Gabinetto: la protesta dei 70 membri conservatori, capitanati dall'ex Ministro Amery, la viva delusione provocata nell'opinione pubblica in seguito alle notizie che giungono da Ginevra sulle difficoltà incontrate dalla delegazione britannica per un'applicazione drastica e progressiva delle sanzioni economiche, la anticipata fissazione della data delle elezioni generali le quali avranno luogo il 20 o al più tardi il 28 del prossimo mese di novembre. Quest'ultimo avvenimento sopratutto ha indotto alcuni a ritenere che il Governo conservatore, una volta riconquistato il potere e assicuratosi nuovamente per cinque anni una maggioranza parlamentare, potrà decidersi a mettere un punto di arresto nella fanatica propaganda anti-italiana e anti-fascista, e non potrà rifiutarsi di esam~nare la possibilità di una ragionevole soluzione della questione abissina, tale da mettere fine al grave turbamento d-ei rapporti itala-britannici e alla deltcata situazione internazionale determinatasi in' seguito agli avvenimenti di ques1Ji ultimi mesi.

Questo, ripeto, è il parere di molti in questi giorni. Le dichiarazioni di Lord Lloyd, di Amery (l) e di Gwynne -che Ti ho trasmesse nell'ultimo corriere ne sono una prova.

Io non posso conldividere queste previsioni ottimistiche. Credo comunque che esse non rispondano alla realtà della situazione quale essa è in questi giorni, e sono ad ogni modo assai premature. Io rimango dell'opinione che, da un paio di mesi a questa varte, qualcosa di più pwfondo e di più defini:to sta muovendosi nella politica del Governo inglese contro di noi, e che, dopo un lungo periodo di confusioni, di incertezze e di esitazioni questa gente ha preso la sua strada. Il Foreign Office, sconfitto un anno fa nel suo programma di azione anti-tedesco, sopratutto in seguito alla resistenza opposta da MacDonald e da Si:mon, ha preso questa volta la sua rivincita sul Gabinetto, ed è riuscito ad imporre con successo, un suo preciso programma di azione contro l'Italia. È vero che le prossime elezioni renderanno il Governo conser\èatore più indipendente dalLe correnti di sinistra, e quindi più libero di negoziare una soluzione della questione abissina su basi ragionevoli, ma esse lo renderanno nello stesso tempo più libero e più forte per proseguire, anche al di fuori del quadro societario, l'esecuzione di quello che tutti gli elementi di osservazione e di informazione conf,ermano essere ormai un programma determinato di stroncare a tutti i costi la nostra impresa in Africa.

Fallita la manovra intimidatoria che nell'illusione del Foreign Office avrebbe dovuto arrestare, prima che cominciassero, le nostre operazioni militari in Africa, superate le prime fasi di incertezza che l'avanzata vittoriosa delle nostre truppe aveva determinato, il Governo sembra ormai avere stabilito e predisposto uno dopo l'altro gli elementi della sua azione contro di noi.

La situazione è, a mio giudizio, tornata quella che era nel1e giornate precedenti allo scambio di assicurazioni fra il Duce e Hoare del 23 settembre (2), e che io ho descritto nella mia lettera del 19 settembre (3).

Ho cercato di metterTi al corrente giorno per ,giorno dei risultati delle mie osservazioni e informazioni le quali indicano come il Governo britannico tenta di precostituire quella catena di avvenimenti che possa giustifi:care sin da ora un suo intervento contro di noi: sanzioni economiche progressive, controllo militare sull'applicazione delle medesime, incidente anglo-italiano nel Mediterraneo o nel Mar Rosso. Ecco la catena che nella mente di Vansittart, di Eden

25 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

e di Baldwin lega «l'azione collettiva» di Ginevra all'intervento inglese contro l'Italia, la difesa degli interessi imperiali alla teoria della sicurezza collettiva. Durante questi ultimi giorni si parla con insistenza di 4: blocco» ai nostri eserciti in Africa, e le Associazioni liberali e antifasciste hanno ripreso, con una intensità troppo palese e incontrastata, la loro propaganda per l'interruzione delLe comunicazioni fra le nostre truppe in Africa e l'Italia.

Se l'Inghilterra prenderà le armi contro l'Italia è certo che essa cercherà di farlo inserendo i suoi interessi imperiali nel quadro societario, poiché è questo di cui il Governo britannico ha bisogno e si serve per mantenere unito il paese contro l'Italia. Ma colla S.d.N. o senza la S.d.N. l'obiettivo ingles·e sembra ormai chiaro: umiliare l'Italia nell'illusione di ricollocarla storicamente nelle condizioni in cui essa si trovava prima della Rivoluzione fascista.

Gli ostacoli che saranno indubbiamente frapposti e impediranno la realizzazione di questo piano britannico, noi dobbiamo ricercarli altrove, ma non più ormai in possibili elementi o fattori di poliUca interna. A meno che avvenimenti molto importanti e assolutamente imprev.edibili si verificassero durante il corso della campagna elettora1e (tutto è possibile in una campagna e-lettorale basata come l'attuale sul sentimento fanat~co: la esperienza della «lettera Zinoviev » nelle elezioni del 1924 insegni), nessuna seria resistenza al Governo conservatore è ormai da attendersi da parte di questa opinione pubblica. La coraggiosa 1niziativa di Amery e dei suoi amici è indubbiamente utile, e va spinta e incoraggiata in tutti i modi, ma non bisogna sopravalutarla nei suoi effetti prattci. È facile prevedere quella che sarà la risposta evasiva di Baldwin alla deputazione che si recherà domattina a domandargli delle assicurazioni pvecise che nessuna sanzione militare sarà proposta dalla Gran Bretagna contro l'Italia. Baldwin ricorrerà assai probabilmente al solito trucco: il Governo britannico non pensa assolutamente alla guerra coll'Italia, e ripeterà la solita dichiarazione di amicizia per il popolo italiano e la so1ita dichiarazione di fedeltà agli obblighi della S.d.N. I deputati conservatori se ne andranno insoddisfatti e la macchina continuerà il suo movimento contro di noi.

Tutto è stato predisposto, con una sinistra accuratezza, per evitare nello spirito pubblLco delle serie reazioni o resistenze. Il Governo ha messo in moto contemporaneamente tutt·e le l'eve: la leva societaria, la leva imperialista e la leva anti-fascista. Le correnti societarie sono state portate gradualmente alla idea di un'azione di forza contro l'Italia sul terreno dell'azione collettiva. Le correnti imperialiste sono state trascinate ad uno stato d'animo identico sul terreno della difesa dell'Impero contro le pretese ambizioni e minaccie dell'Italia. Le correnti antifasciste che erano ormai agonizzanti sono state ravvivate rinfocolando in esse la speranza che un'umiliazione inflitta all'Italia mett·erebbe il Regime Fascista in una posizione insostenibile.

Esaminandoli attentamente, i discorsi del conservatore Baldwin, del quac

chero fanatico Arcivescovo di Cant·erbury, del soc~etario Lord Cecil, dell'impe

rialista Churchill e dell'anti-fascista Morrison, hanno un identico filo condut

tore. Le elezioni si svolgeranno su una base comune: Ia guerra societaria contro

l'Iualia fascista. La propaganda elettorale è appena cominciata, e infatti già si

parla di erezioni kaki. Così gli inglesi definiscono le elezioni in tempo di guerra, e con questo modo il Governo conservatore si prepara a sfruttare anche il sentimento di panico che qualsiasi timore di complicazione internazionale porta con se.

Ogni giorno Io spirito pubblico è sobillato, aizmto contro di noi da una pr.opa;ganda condotta direttamente e indirettamente attraverso tutti gli organi della stampa, le stazioni radio, le dimostrazioni di piazza e gli infiniti strumenti di cui il Gov:erno dispone. Ogni giorno si nota un progressivo aumento nell'ostilità popolare contro l'Italia. Tutto serve a questo scopo. Le notizie più inverosimili sono immediatamente utilizzate per mantenere e per aumentare nello spirito pubblico questo stato di artificiosa eccitazione. Le nostre smentite, recise e immediate, sono diramate quando le notizie false hanno già avuto i loro eff·etti sul'la sensibilità popolare. Le false notizie di vittori•e abissine sono accolte da manifestazioni di compiacimento pubblico, quelle di vittorie italiane con un senso di irritazione e d'i dispetto. Il passaggio spontaneo nene nostJre file di Capi e di tribù indigene è presentato nella luce più sfavorevole (Ras Gugsa è definito con disprezzo: «il traditore )) ) ed ogni giorno si oerca di dar cred'ito aiJle menzogne da Addis Abeba su pretesi massa;cri compiuti dalle nostre trùppe e daJII'aviazione italiana delle popolazioni indigene, sull'impiego di gas velenosi e di pallottole dumdum. La notizia delle coraggiose dichiarazioni fatte dall'AustJria e dall'Ungheria ha suscitato la settimana scorsa una vera rabbia in questi ambi•enti politici, e provocato una campagna di intimidazione e di minacce all'indirizzo dei nostri Alleati. Mentre la stampa francese attacca pressoché unanimamente l'Inghilterra, non una parola, che dia notizia di questo stato d'animo francese, filtra nelle corrispondenze e nei commenti della stampa ufficiosa o di opposizione. Il pubblico britannico è tenuto a;ll'oscuro delle reazioni francesi, e ritiene che l'accordo fra la Fmncia e I'InghilterTa a Ginevra sia sostanzirulmente raggiunto.

La colonia italiana di Londra comincia ad essere oggetto di una persecuzione minuta e continua, e già molti italiani, boicottati nel loro lavoro e nelle loro attività, si preparano a rimpatriare. Il clima generale dell'ambiente non può più, insomma, considerarsi come normale. Preti, soci:a1isti, liberali, conservatori e imperialisti ormai parlano lo stesso linguaggio. Attraverso la crociata anti-fascista, si vuole l'azione di forza contro l'Italia, perché l'Ltalia ha dimo'strato di essere indipendente, forte e potente nel Mediterraneo. La questione abissina è ormai diventata un mezzo e un pretesto per un obiettivo assai più <preciso e definito: l'Italia fascista è diventata troppo forte, troppo armata e troppo potente, e ha mostrato una resistenza e una vitalità insospettate di fronte all'azione intimidatrice britannica. Bisogna colpirla, profittando di una ·situazione interna e internazionale che molto difficilmente si presenterebbe nel futuro.

Io Ti vado raccontando, Duce, cose che Tu sai perfettamente, che hai preveduto da tempo, e al[e quali Tu hai preparato da tempo nelle armi e nello· spirito ll popolo italiano. Tutto ciò non è una sorpresa per Te.

Quello che esaspera questa gente nemica sono sopratutto le notizie cihe pervengono quotidianamente dall'Italia, la serenità, la fede e la determinazione 'ferrea che Tu hai saputo infondere nel cuore di cinquanta milioni di Italiani, Toocolti attorno a Te con uno spirito il quale non è soltanto di obbedienza e di devozione, bensì di sacrificio sereno e consapevole e di dedizione assoluta a quello che Tu comanderai debba essere fatto. Questo spettacolo di resistenzaJ ferrea non era nei calcoli di questa gente avvezza ad ottenere risultati facili dalla loro sistematica azione intimidatrice; essi hanno sempre contato sull'Italia,' dal Risorgimento ad oggi, come su un Regno di Napoli allungato verso il Nord, La constatazione improvvisa di un'Italia fascista, che non cede davanti al ricatto più brutal,e e sinistro che mai sia stato registrato nella storia, l'i sta esasperando e rendendo furiosi. Non meno li esaspera la constatazione che il successo conseguito a Ginevra è stata sinora un successo assai più apparente che reale,•

•e che la mobilitazione dell'Europa e del mondo contro l'Italia, organizzata e perseguita con accanimento dalla Gran Bretagna, ha dato sinora dei risulta,ti di portata prati•ca molto inferiori a quelli che il Governo britannico si attendeva. L'applicazione delle sanzioni economiche si urta a difficortà e a scogli impreveduti.

Questo è, più o meno, lo spettacolo che fornisce l'Inghilterra in questi giorni, cioè all'a vigilia delle elezioni generali. Credo che dovremo assistere, da; oggi al 21 (questa sembra essere la data che il Governo sceglierà) ad un crescendo progressivo di tale stato d'animo contro di noi. Poi, ad elezioni comipiute, se nessun avvenimento sarà intervenuto nel frattempo a preiCipitare la; situa:llione del rapporti itala-britannici e se sopratutto il Governo britannicO' continuerà a registrare degli insuccessi a Ginevra e fallirà nel suo piano d1 strappare dai Consigli di Ginevra, e parti:colarmente dalla Francia, una specie di mandato diretto o iniliretto di agire anche militarmente contro l'Italia in nome della Sncietà delle Nazioni, allora la situa:?Jione entrerà, a mio giudizio; nella sua fase dedsiva: quella cioè in cui la Gran Bretagna dovrà scegUere ifra il negcziato e la guerra.

Comunque, prima di accettare una ripresa di negozia,ti, o fare la guerra,' J'Inghilterra tenterà l'inverosimile, a Ginevra e sopratutto a Parigi, perchè le sia reso possibile di raggiungere egualmente i suoi obiettivi politki e rnllitari contro di noi, senza uscire dal quadro della Società delle Nazioni, che nel calcolo della diplomazia britannica deve, non soil.o oggi ma sopratutto domani, rappresentare lo strumento legittimo delle guerre britanni,che future.

(l) -Vedi D. 314. (2) -Vedi D. 166. (3) -Vedi D. 146.
337

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7030/263 R. Atene, 14 ottobre 1935, ore 12,15 (per. ore 14,40).

Ho avuto in questi giorni occasione di v,edere due volte Condylis.

Avendomi egli incaricato far pervenire uno speciale messaggio a v. E. per inv.iarLe il suo deferente saluto e farLe sapeTe che come Capo del Governo greco avrebbe fatto una politica di a-micizia verso l'Ita;lia, gli ho risposto •che avrei volentieri comunicato il messaggio che sarebbe stato certamente apprezzato ma che mi aspettavo di vedere subito i frutti della sua poLitica.

Come prima cosa egli poteva modificare atteggiamento ostile all'Italia della stampa elleni,ca e poteva altresì inviare istruzioni a Maximos a Ginevra affdnchè sua azione nella questione sanzioni, pur tenendo conto interessi ellenici, risultasse il meno possibile dannosa a quelli italiani.

Val<endomi a tal uopo di dati fornitimi da questo Addetto Commerciale nella speciaie situazione della bilancia commer>Ciale italo-greca (lo stato attuale del clearing presenta un credito ellenico di circa 5 milioni di lire italiane) gli ho lasciato un appunto nel quale mi sono servito anche degli argomenti sviluppati nel telegramma di V. E. 310/C (l) e di quanto è stato pubbUcato dalla stampa italiana al riguardo.

Condylis mi ha risposto che, per quello che si riferiva alla stampa, eglii aveva già preso disposizioni come io stesso avevo potuto constatare. Per quel che si riferiva all'azione della Grecia a Ginevra, egli avrebbe inviato istruzioni a MaximOIS in conformità delle mie ri•chieste. Lo avrebbe incaricato di tenersi in contatto col delegato jugoslavo, risultandogli dalla Delegazione ellenica a Belgrado che quel Governo non era propenso accog'liere tutte le sanzioni economiche prospettate giacché danneggiavano il pareggio del bilancio commerciale. Occorreva però tener presente che Grecia non po.teva venire meno nè ai suoi impegni di membro della S.d.N., né a quelli del Patto balcanico.

Gli ho repliocato che quanto egli avrebbe fatto non era in contraddizione nè con i primi, nè con i secondi; che anzi, accogliendo le mie suggestioni, la Grecia, pur comp'iendo un gesto di amicizia verso l'Italia, faceva sopratutto i propri interessi (2).

338

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7034/324 R. Ginevra, 14 ottobre 1935, ore 14,20 (per. ore 17,15).

Signor Coulondre mi ha detto di essere rimasto impressionato della scarsa resistenza opposta alla pressione britannica dalla quasi totalità delle Delegazioni del Comitato dei Diciotto. Soltanto Svizzera ed un poco Jugoslavia hanno preso posizione in favore della tesi francese •che -secondo Coulondre -mirava ad allontanare immediata adozione del boicottaggio a!lle esportazioni ita'liane. Stati Sud AmerLca per lo più hanno espresso prudent·i riserve.

Intervento di Tituliescu per le compensazioni è stato abile diversivo, ma Coulondre dice di avea:e temuto che si arrivasse sabato stesso ad una decisione includente anche boicottaggio, e che, a grande stento, egli ha potuto da solo fare rinvii.are seguito deHa discussione a lunedì, rimanendo sulla tesi di istituire un comitato di studio.

In quanto a sanzioni finanziarie, mi ha detto che egli non crede avranno a danno dell'Italia notevole portata pratica ·che cambi lo stato di fatto attuale. Blocco dei saldi non sarebbe applicato ed averi degli Italiani all'estero non sarebbero colpiti.

Gli ho detto: l) che a noi risulta che molte Delegazioni hanno intenzione di seguire atteggiamento franco-~nglese finché questo concordi, ma di appoggiare tesi francese ruppena questa si manifesti indipendente e più favorevole all'Italia; quindi un suo atteggiamento più deciso può assicurargli sollecite adesioni ed appoggli che non osano manifestarsi dinanzi ad atteggiamenti tendenti ad ottenere risultati solo per via indiretta. Coulcmdre mi ha risposto che suo atteggiamento è stato [da tutti] interpretato che sembra opposizione a tesi britannica, tanto che egli ha dovuto in fretta moderare portata di tale interpretazione nella stampa; 2) che concetto di graduare applicazione sanzioni non mi sembra affatto tenuto in considerazione: a questo riguardo Coulondre mi ha detto in via confidenziale che presenza in comitato di molti Ministri degli Esteri e membri di Governo autorizzati rende difficile metodi dilatori mentre detti rappresentanti non oppongono resistenza attiva. Per cui egli crede che graduazione sarà ammessa, ma non si riuscirà a rinviare discussione delle successive tappe. Queste ·sa.ranno invece previste e loro appliocazione scaglionata a breve intervallo. A questa tendenza britannica sarà difficile opporsi, anche perché molti Delegati desiderano sbrigarsi presto e andarsene; 3) che allargamento lista prodotti chiave con inclusione combustibili ed altre materie prime è misura g·ravissima che in nessun caso dovrebbe essere am!l).essa e specialmente in questa prima fase. C<>ulondre mi ha risposto che farà del suo meglio e che la sua proposta del Comitato di Studio tende precisamente a guadagnar t-empo ed a fare considerare la gravità del prob[ema. Mi ha sottolineato estreme difUco'ltà della posizione francese. Ho creduto finalmente metterlo in guardia sulle voci circolanti in ambienti di stampa americana, che cioè egli sarebbe costretto, per ottenere istituzione Comitato di Studio su prodotti-chiave, a cedere su questioni boicottaggio merci italiane, vale a dire sulla più severa delle sanzioni economiche.

(l) -Vedi D. 330, nota l. (2) -Vedi D. 421.
339

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7056/205 R. Vienna, 14 ottobre 1935, ore 20 (per. ore 24).·

Telegramma di V. E. 172 (1).

Starhemberg e Berger-Waldenegg mi hanno riferito separatamente che il Consiglio dei Ministd ha deciso in massima che Austria resti contraria ad ogni sanzione.

Da pa-rte sua Berger-Waldenegg ha sostenuto che Austria, quale membro della S.d.N. (ed al riguardo segnalo all'E. V. insistenti pressioni francesi affinché Austria vi rimanga in ogni caso) e quale membro del Comitato delle Sanzioni (carica ·Che Austria avrebbe accettata su consiglio della nostra Delegazione a Ginevra), ed anche allo scopo di non incorrere in determinati ris·chi, come eventualmente temuto invio a Vienna d'un Commissario della S.d.N., è obbligata ad adot1lare un particolare modus procedendi: ossia quello di non trincerarsi dietro un aprioristico atteggiamento negativo, ma di opporsi, di volta in volta, a Ginevra ane sanzioni che ivi si propong·ono, •chiarendo allo stesso tempo i motivi sua impossibi'le adesione: salvo in qual'Che caso in cui potesse apparire conveniente, nello stesso interesse di Roma, di diverse decisioni. Donde, invio del Signor Schiiller a Ginevra.

Riferisco inoltre che, a mia richiesta di precisazioni, Berger-Waldenegg ha fatto iii caso del transito di merci dalla Germania, 'Circa cui rappresentante austriaco dovre•bbe sostenere a Ginevra che detto transito non potrebbe essere negato, senza che l'Austria incorra in grave responsabilità verso la Germania, stante da una parte Trattatto di Commercio e Navigazione itala-tedesco e dall'altro le dichiarazioni fatte a suo tempo da Drummond circa obb!Lgatorietà societaria verso commercio dl transito proveniente da un Paese neutrale.

Berger-Waldenegg mi è andato infine ripetendo in questi ultimi giorni che egli ha informato ed informerà V. E. di 01gni attività austriaca a Ginevra.

Per mia norma gradirò conoscere se una analnga linea di condotta è praticamente seguita anche da Schiiller nei riguardi di nostri funzionari in Ginevra.

(l) Con il T. 1872/172 R. del 13 ottobre 1935, ore 24, Suvich aveva invitato Preziosi a verificare se il delegato austriaco a Ginevra avesse ricevuto Istruzioni di votare contro tutte le sanzioni.

340

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7054/297 R. Buenos Aires, 14 ottobre 1935, ore 20,20 (per. ore 5 del 15).

Telegramma di V. E. n. 184 (l).

Come dato di fatto, la non applicazione di sanzioni da parte Argentina viene qui considerata con unanime senso di sollievo da tutta questa stampa la quale presenta la cosa come implicita •logica deduzione di quanto questo Ministro degli Affari Esteri dichiarato nella intervista con la Nacion, di cui al mio telegramma n. 5302 inviato ieri in chiaro al R. Ministero Propaganda.

.

Confermo parere espresso mio teleg,ramma n. 296 (l) nel senso poterei noi assai utilmente valere della decisione Argentina facendone pubblicamente risaltare il perfetto fondamento giuridico per nu11a contrastante con fedeltà ai principi ideologici della S.d.N. e la riaffermata grata cordialità verso il popOilo fratello.

In quanto alla eventuale esplicita pubbU.cazione sulla stampa delle testuaU dichiarazioni fatte a me in conversazione di carattere diplomatico, informo

V. E. che Saavedra Lamas, pur riconfermandole integralmente, mi ha fatto chiaramente intendere che preferirebbe farle risultare attravers,o le sue comunicazion ie le sue eventuali giustificazioni giuridiche al Comitato di Ginevra, Ciò anche perché nella ben nota delicata situazrone di interdi:pendenza economica con l'Inghilterra egli temerebbe che, con l'accentuarsi troppo, si suscitino idee di rappresaglia da parte di quest'Ultima (,tenere presente scadenza prossimo dicembre accordo impo:rtantissimo quantitativo esportazione carni verso la Gran Bretagna).

(l) Con T. 1868/184 R. del 13 ottobre 1935, ore 24, Suvich aveva chiesto di conoscere se le dichiarazioni di Saavedra Lamas (vedi D. 321) potevano essere rese pubbliche.

341

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7057/387 R. Rio de Janeiro, 14 ottobre 1935, ore 20,54 (per. ore 2,15 del 15). Mio teleg.ramma n. 383 (2).

Nuovo Ambasciatore d'Inghilterra !!ippena arrivato ha visitato Segreta~io Generale questo Ministero Affari Esteri. Giornali di,cono egli avrebbe domandato adesione Brasile Comitato sanzioni.

Ho agito per contrastare azione e ho appreso da questo Governo che predetto Ambasciatore non ha ancora fatto accenno sanzioni. Ho approfittato occasione per domandare risposta a quesito da me posto conclusivamente e con azione personale dr,ca adesione o meno del Brasile.

Segretario Generale, autorizzandomi comunicarlo a V. E., mi disse a nome del Ministro degli Affari Esteri che si trova in San Paolo, che, qualora invitato, Brasile risponderà sia ad Avenoi sia a Governo ing'lese con un netto rifiuto.

Presidente della Repubb:U•ca mi fa conoscere risposta negativa da lui voluta con unanime appoggio Consiglio dei Ministri, che sotto la sua presidenza si è mostrato deciso non turbare rapporti con l'Italia.

(l) -Con n T. 6972/296 R. del 12 ottobre 1935, Arlotta aveva segnalato l'opportunità che su Ila stampa ltallana apparissero apprezzamenti positivi sulle decisioni argen>tlne circa le sanzioni. (2) -Con T. 7006/383 del 13 ott<o~bre 1935, ore 13,24, Cantalupo riferiva di aver Interessato u Presidente della Repubblica perché il Brasile non aderisse all'eventuale Invito di paTtecipare al Comitato per le sanzioni.
342

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7050/250 R. Berlino, 14 ottobre 1935, ore 21,43 (per. ore 24).

Ho avuto oggi atteso colloquio con Funk sopra questioni stampa.

Segretario di Stato. mi ha fornito precise assicurazioni che situazione giornalistica nei riguardi campagna abissina e Italia forma oggetto costante attenzione Ministero Propaganda, che si propone di farla evolvere, gradualmente ma sicuramente, verso il meglio. Ha alluso al provvedimento speciale in corso proprio oggi, il cui effetto non dovrebbe tardare a rendersi palese nei prossimi giorni. Quaillto ,alla questione dei giornali di Monaco, mi ha detto di avere «ammoniti, l'Angri!! e il VOlkischer Beobachter. Ha concluso dicendo di volere anche egli personalmente lavorare al ristabilimento dei buoni rapporti tra l nostri due Paesi.

Di tutto questo ho naturalmente preso atto, insistendo però anche con lui, come avevo già fatto con Neurath (l) per far seguire alle istruzioni richiami generi·ci anche tstruzioni e richiami specifici, per casi singoli che non ho mancato di indicare.

Il colloquio mi è parso veramente soddisfacente. V. E. avrà del resto già notato che negli ultimi due giorni contegno ques.ta stampa è notevolmente migliorato (Angri!! del 14 corrente ha tutta una pagina di fotografie nostre sulla guerra). Appena, anzi, questo m.lglioramento sia !llcquisito e co·nsolidato gioverà che esso sia dalla stampa italiana espressamerfte rilevato e sottolineato.

343

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7044/744 R. Parigi, 14 ottobre 1935, ore 22,25 (per. ore 2,25 del 15).

Lavai mi ha detto che Nunzio Apostolico, reduce da Roma, g[l ha oggi di·chiarato che la Santa Sede si mette a sua dispooizione per secondare opera di conciliazione.

Egli stava pensando se il Papa non' potesse esercitare un'azione benefica sul Negus, consigliandogli di cedere per evitare ulteriore spargimento di sangue.

Lava! si espresse poi meno in termini molto elogiativi per attitudine tenuta costantemente dal Vaticano e mi lasciò intendere che proposta da lui

fattami recentemente gli era stata suggerita da Roma ed era risultato di studi della questione fatti dai due Ambasciatori francesi. In realtà egli credeva che il suggerimento fosse emanato dalla Segreteria di Stato.

(l) Vedi D. 317.

344

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7045/748 R. Parigi, 14 ottobre 1935, ore 22,15 (per. ore 2,25 del 15).

Telegramma di V. E. n. 640 (l).

Ho avuto una conferenza di un'ora con Lavai, chEò mi accolse dicendo che supponeva gU andassi a dire che non eravamo contenti. Se ne rendeva conto perché è impossibile accontentare due contendenti aventi idee opposte quando si è decisi a mantenere una linea mediana ohe è però la sola •che può portare alla conciliazione.

Ho esposto a Lavai le ragioni per cui in Italia si è rimasti gravemente delusi.

Egli ha obbiettato ehe non era vero che si fosse lasciato rimorchiare dagli inglesi. Aveva accettato finora soltanto di togliere embargo sul.<le armi destinate all'Etiopia, di vietare la loro esportazione in Italia e di non concedere prestiti e crediti commerciali. Così facendo non aveva fatto che dare forma legale a quanto avveniva già di fatto con una sola eccezione per abolizione embargo verso l'Etiopia. Era vero che Eden voleva giungere al più presto all'interdizione del commercio con l'Italia e che g.Ii aveva rivolto domanda urgente al riguardo, ma egli aveva risposto negativamente dicendo che questo terzo grado delle sanzioni potrebbe da lui essere considerato soltanto il giorno in cui fosse fallito il tentativo di conciliazione che si proponeva di intraprendere senza indugio considerando che il momento fosse propizio. Poté esprimersi in tal modo avendo insistito a Ginevra presso Eden ed ottenuto che egli aJg.giungesse alle sue dichiarazioni la frase relativa a'lla buona disposizione dell'Inghilterra di collaborare ad una azione conciliativa.

Ho detto a Lavai che ci trovavamo sopra un terreno, in cui cl potevamo intendere e gli ho chiesto innnanzi tutto perché nel conversare con Aloisi egli avesse riparlato del progetto che non aveva potuto essere accettato a Parigi, anziché di quello che mi aveva ultimamente proposto.

Lavai ha risposto che gli inglesi non avevano accolto con favore idea dì un mandato all'Italia sulle colonie etiopiche e di un mandato collettivo deUa

S.d.N. sopra Abissinia propriamente detta. Perciò aveva pensato non più a un mandato, ma ad annessione di territori parlando non solo dell'Ogaden e del Tigrè (eccettuato in ogni caso Axum che è città santa e deve quindi re

stare all'Etiopia) ma anche di territori fertili come Bale e Caffa. Eden gli aveva ripetutamente detto che egli non farebbe obbiezioni alla cessione di territori, qualora Negus fosse disposto a consentirvi.

Ho osservato che restava a vedere se gli inglesi non avrebbero infiuito sul Negus perché non cedesse in nulla.

Lavai ha insistito poi sulla necessità che noi accettassimo accesso dell'Etiopia al mare. Non comprendeva nostra riluttanza al riguardo e lo aveva detto ad Aloisi, perché sbocco suddetto, che avrebbe potuto essere pericoloso per il libero commercio delle armi in una Abissinia padrona assoluta di sè stessa, non lo era più in una Abissinia controllata. Non bisognava infatti dimenticare che il principio del controllo è stato accettato dal Ne.gus.

Ho obbiettato che nulla ci autorizza a ritenere che sulla base del suo progetto di compensazione gli inglesi fossero disposti ad andare tanto innanzi. Ho quindi insistito sulla sua ultima proposta e gli ho comunicato i quattro punti delle nostre condizioni.

Lavai ha osservato che gli inglesi non potranno certamente ruccettare questa soiuzione. Sarebbe l}ecessario che l'Italia limitasse al minimo le sue pretese e Cihe questo mini:mo coincidesse col massimo dell'Inghilterra. Ma oggi gli sembrava che fossimo ancora lontani da questo punto d'incontro. Ad ogni modo egli poteva, se io lo desideravo, ricevendo questa sera Clerk, parlargli delle condizioni alle quali noi saremmo disposti ad accettare una soluzione di concili'azione. Però mi ri•peteva che il rifiuto inglese sarebbe stato categorico.

Gli ho detto che avevo istruzioni di insistere presso di lui per una consultazione diligente e prolungata tra l'Italia e la Francia in modo che non ci fossero presentate formule di conciliazione, che noi avessimo ancora una volta da respingere. Ciò sarebbe stato fatale. Si limitasse dunque oggi a dire all'Ambasciatore d'Inghilterra che egli aveva parlato con me e che riteneva giunto il momento di tentare conciliazione ·sulla base della nuova siltuazione creata dalla conquista del Tigrè da parte dell'Italia, delle altre operazioni militari in corso in Etiopia, ecc. Aggiungesse che mi aveva chiesto di far conoscere queste sue idee a Roma e di precisare nostre aspirazioni minime compatibili con appartenenza Abissinia alla S.d.N.

Lavai mi ha detto che stava bene e che avrebbe quindi parlato in tal senso a Clerk. Però occorreva che a Roma si riesaminrusse 1a questione e che si dicesse esattamente quanto era minimo richiesto indicando i territori interi o parziali desiderati e sotto quale forma, nel caso che l'Inghilterra rifiuti di accettare quella del mandato alil'Italia e che si mostri più •comprensiva, tanto per accomodamento, qualora esse fossero ragionevoli ·e limitate. Pregò di precisare che cosa intendiamo esattamente per «fissazione a nostro favore dei confini verso Dankalia e verso Soma1ia ».

Quanto a'l trattare questione con Londra eliminando Eden, Lavai è d'accordo, tanto più che Eden stesso gli ha detto di discutere sue eventuali proposte con Ambasciatore d'Inghilterra. Egli non ha rinunziato all'idea di trattare soluzione in una conferenza dei tre Capi dei Governi, tanto più che ciò costituirebbe grande successo morale per il Duce. Eden, informato del

suo proposito, non disse né si né no. Poi naturalmente occorrerebbe ritornare a Ginevra, ri.convo.cando Comitato dei Cinque; ma tutto colà andrebbe liscio se si fosse raggiunto accordo tra Franoia, Italia e Inghilterra. Pregò che si faccia presto e che gli si dÌIIIlostri ,fiducia.

(l) Vedi D. 331.

345

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 1874/450 R. Roma, 14 ottobre 1935, ore 24.

Recenti provvedimenti codesto Governo per quanto pr·esi indipendentemente da azione Lega costituiscono in realtà fiangheggirumento e appoggio alle misure societarie contro l'Italia.

V. E. troverà i'l modo di farlo ri·levare costì mettendo altresì in ev.idenza che 8!cquiescenza ameri·cana alla politica inglese, ispirata so1ltanto da interessi europei e coloniali dell'Impero, si risolve in un aggravamento della situazione generale a cui l'Inghilte-rra può avere interesse per i suoi fini parUcolari ma non certo Stati Uniti.

D'altra parte azione V. E. dovrà essere diretta a dimostrare all'opinione pubblica amerLcana pacifista che misure coercizione contro l'Italia contengono gravissimi rischi per pace mondiale non allontanando ma avvtcinando possibilità di un conflitto (1).

346

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DELEGATO AGGIUNTIVO ALLA S.D.N., ROCCO

T. 1879/99 R. Roma, 14 ottobre 1935, ore 24.

Mio telegramma n. 1871/98 (2).

Nella Sua conversazione con Litvinov Ella vorrà anche osservargli che ambizione completare «quadro giuridico~ mentre risolvesi a vantaggio Inghilterra, non giova affatto ai fini che si propone URSS.

Atteggiamento Inghilterra verso S.d.N. dal 1919 mostra chiaramente come Inghilterra abbia dato a·l Covenant interpretazione che ha co.rrisposto volta a volta ai suoi precisi interessi. Qualunque « precedente ~ si crei questa volta non avrà che scarso o nessun valor·e se, nel domani più o meno prossimo di cui

si preoccupa l'URSS, l'Inghilterra non stimi che i suoi interessi la portino ad agire in modo analogo a quello che essa fa attualmente e ciò indipenden-• temente dalle decisioni che ora si prendono.

Tanto il Covenant quanto tali deiCisioni saranno interpretate in avvenire dall'Inghi1terra a seconda degli interessi e delle volontà che saranno allora• in giuoco mentre l'URSS e gli altri Stati si saranno intanto prestati a fare ora il gioco inglese.

(l) -Per la risposta di Rosso vedi D. 362. (2) -H testo del telegramma (n. 1871/98 R. del 13 ottobre 1935, ore 24) era il seguente: «Prenda contatto con Litvinov dopo aver preso conoscenza telegramma R. Ambasciatore a Berlino che le viene inviato stasera per corriere». Vedi D. 318.
347

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7097/0113 R. Vienna, 14 ottobre 1935 (per. il 16).

In questi ultimi tre o quattro giorni non mi è sfuggito ohe Berger fosse in preda a crescente preoccupazione. Ho potuto accertarne le cause:

l) le rei1Jera,te segnalazioni da lui ricevute da Londra e da Ginevra, giusta le quali il Governo bri.tannico sarebbe deciso a portare all'estremo Ia sua opposizione all'Italia, nonchè a tutti quegli ·stati che dimostrJ.no di doversi solidalizzare •con essa. Per quanto concerne l'Austria il Secret Service avrebbe fra l'altro raccolto o.gni precis~one su pretese forniture militari che sarebbero sta,te di re·cente spedite da stabilimenti austria•ci all'Italia, come pure informazioni sulla cessione del conio per i talleri di Maria Teresa;

2) un certo dubbio sul reale atteg.giamento francese nei nostri rigua·rdi: dubbio reso ,probabilmente più vivo dal risentimento e dalle mina,cce che va qui mostrando e fa;c·endo, a malgrado i volenterosi accor:gimenti del mio collega di Francia, il Presidente della Commissione per la politica estera al Parlamento francese. Questi si è dLmostrato alquanto intemperante con lo stesso signot Puaux, che ha accusato di non avere abbastanza fatto per scongiurare l'atteggiamento assunto dall'Austria a Ginevra;

3) infine l'oscuro atteggiamento della Germania •che, secondo notizie pervenute a'l Ballplatz, sarebbe ritenuto a Londra neutrale in massima, ma e'ffettivamente più anglofilo che italofilo. Al riguardo, devo pure segnalare che un altro motivo di disorientamento è qui dato dagli inesplicabili improvvisi attacchi della radio e della stampa t·edesca contro l'atteggiamento austriaco adottato· a Ginevra. In un primo tempo il Ballplatz è stato d'avviso che questi attacCihi rispondlevano al doppio giuoco del Reich di sfruttare, contemporaneamente, l'Italia e l'Inghilterra: ossia ohe essi volessero mascherare, agli oc•chi dell'Inghilterra, da cui ·la Germania attenderebbe larghi aiuti finanziari, il segreto proposito di rifornire l'Italia attraverso l'Austria. Ma questa prima ~rsione comincia ad apparire insufficiente ed anzi Berger la ritiene del tutto infondata.

348

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7053/330 R. Ginevra, 15 ottobre 1935, one 1,40 (per. ore 5).

Telegramma di V. E. n. 98 O).

Conforme ordine ricevuto, ho veduto Litvinov che mi ha confermato in massima quanto ha esposto ad Attolico. Da aggiungere che suo obbiettivo di rinforzare Lega per la sua vera prova di domani (Germania) può raggiungersà. in due modi: o attraverso efficaci sanzioni, oppure attraverso dimostrazione della .loro inefficacia, che renda necessario studio e ricerca di altri mezzi.

Confermatomi che politica dell'U.R.S.S. non ha alcun interesse contro l'Italia, aggiungendo che sua lotta contro fascismo è diretta contro la cattiva copia costituita dall'hitlerismo che purtroppo non si è potuta impedire per mancanza di un copyright in materia. A parte questa facezia, Litvinov mi è però sembrato risoluto a perseguire duramente il suddetto obbiettivo, av·endomi avvertito che attaccherà Austria e Ungheria per chiedere che anche esse vengano dichiarate in rottura del Patto. Ha però riconosciuto che questo non sarà possibile e che egli se ne servirà per dimostrare la necessità di rinforzare il Patto.

Nell'applicazione sanzioni economiche mi ha confermato che non è possibile -come egli crede -ott:Jenere misure diversamente efficaci, egli non vuole fare perdere al suo Paese affari e mercati a profitto degli Stati estranei al' Patto, o meno .leali a suo riguardo. Questo dico per ma1!er1e prime e combustibili in quanto egli crede che attraverso lunga e sterile discussione Comitato dovrà ridursi ai famosi prodotti-chiave per la fabbricazione materiale bellico.

Nonostante •campagna antisovi·etica, Litvinov afferma che U.R.S.S. non ha interesse ad una guerra e desidera invece conciliazione italo-brUannica, per cui faciliterà, per parte ·sua, lunga discussione che è anche nelle sU'e vedute.

All riguardo avverto che stamane Motta ha lungamente esposto che sanzioni iniziali dovranno essere approvate dal Parlamento, tesi 'CUi si è associato delegato olandese che Litvinov trova fondata.

Riferisco quanto precede con ogni riserva sul valorre delle dichiarazioni di Litvinov, nel quale non escludo un •certo tono di sincerità, ma che mi è parso anche animato da obbiettivi estremisti, che potrà perseguire se'nza escludere metodi pericolosi.

(l) Vedi D. 346, nota 2.

349

IL DO'ITOR DUBBIOSI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7103/304 R. Sanaa, 15 ottobre 1935, ore 12,25 (per. ore 4,40 del 16),

Riferimento telegramma di codesto Ministero n. 74 (l) e seguito mio telegramma n. 184 (2).

Ad opportuna occasione ho fatto rilevare a Ragheb Bey e Cadi .A!bdalla aspetto venuta qui missione italiana anche per rinnovazione Trattato. Mentre Ragheb Bey dimostra non riscontrare per svolgimento trattative alcuna urgenza; Cadì Abdalla, in via strettamente privata e riservata, interpellato Imam Y1ahia, mi ha di,chiarato che questi chiederà istruzioni circa venuta della nostra missione nello Yemen. Cadì Abdalla mi ha fatto comprendere che Imam Yahia gradLrebbe conoscere se missione italiana sarà compoota da personalità da lui già conosciute, gradendo <egli venuta qui di S. E. Gasparinl.

350

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7131/343 R. Ginevra, 15 ottobre 1935, ore 20,30 (per. ore 21,30).·

Ho veduto delegato bulgaro Momciloff, che non aveva .ancora istruzioni da Sofia, ma le attendeva oggi per telefono. Gli ho dato 'conarscenza de]lle comunicazioni, maggiore importanza del 13 corrente di Sapuppo (3).

Essendo stato escluso da. tutti i comitati Momciloff, mi ha promesso che appena gli saranno confe,rmate istruzioni suddette avrebbe fatto dichiarazioni· alla prima riunione plenaria del Comitato dei Cinquantadue, la sola alla quale egli partecipa.

Con l'occasione mi ha segnalato grave pericolo incombere sulla Bulgaria da parte della Turchia e URSS, che attuale appoggio britannico rende più minaccioso. Mi ha 'PUre espresso sua preoccupazione di trovarsi solo a fare dichiarazioni contro sanzioni proposte dai vari Comitati, pur sentendosi per la sua preparazione tecnica capace di esporre largamente «in protesta economica ~· della via che si sta seguendo, concetto che ha già propagandato a titolo peirso~ naie presso varie Delegazioni.

L'ho opportunamente incoraggiato esortandolo a continuare suoi contatti e concer,tare con altre Delegazioni presso cui troverà teiildenze a resistere per poco che si diffonda la sensazione di un movimento di resistenza.

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 502. (2) -Ibid., D. 722. (3) -Vedi D. 330.
351

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO (l)

T. 1887/c. R. Roma, 15 ottobre 1935, ore 24.

È giunto il momento di dire ai Governi che a Ginevra hanno votato l'applicazione di sanzioni contro l'Italia una ferma parola. Il Governo fascista si è reso perfettamente conto delle condizioni di costrizione, di incertezza o di imbarazzo che hanno indotto la maggior parte degli Sta·ti a prendere nei .riguardi di un grande Paese amico, quale l'Italia, d•ecisioni dalle quali sarebbero in normali condizioni rifuggiti. Esso si è pertanto astenuto dal sollevare finora nei riguardi di tali Paesi qualsiasi diretta questione e la ·stampa italiana non è uscita, nella sua legittima reazione, da opportune tlinee generali.

Ma se la formale accettazione a Ginevra delle determinazioni societarie da parte di Paesi con i quali abbiamo sempre avuto rapporti di feconda collaborazione non ha per l'Italia rappresentato motivo sufficiente per giudicare della loro amicizia, l'effettiva susseguente adesione invece a quelle odiose e pericolose sanzioni di cui si sta tentando a Ginevra il coordinamento e la messa, in opera, rappresenterebbe certo un grave co.lpo inferto ai nostri futuri rapporti con tali paesi.

Il Governo fascista è però convinto che nessuna delle forti amicizie che l'Italia conta nel mondo possa essere minimamente turbata dalla prova cui esse sono sottoposte. Esso conta sulla fermezza dei sentimenti che quei paesi hanno 3empre testimoniato come fa, d'altronde, pieno assegnamento sullo spirito di comprensione dei loro stessi fondamentali intere·ssi. CEsso non dimentioherà le prove ·che gli saranno oggi date di tale comprensione).

Lascio a V. E. (V. S.) la più ampia libertà nella scelta dei mezzi, dei tramiti, dei modi e delle forme con cui esprimere al Governo presso cui V. E. (V. S.) è accreditato tali nostre precise considerazioni, in armonia con la situazione locale e con la natura e la portata dei ·rapporti che noi con esso attualmente intratteniamo. V. E (V. S.) vorrà far conQSCere tali considerazioni anche ai' circoli polittci ed ai gruppi dirigenti e renderne partLcolarmente edotti, con idonei argomenti e mezzi, quegli ambienti finanziari e commerciali che più sono' intecr:-essati alla attuale situazione e tentando infine di arrivare, attraverso la stampa, fino alla pubblica opinione per muoverla in nostro favore, servendosf di ogni mezzo per controbattere la propaganda a noi avversa e per giunge:re ad' ogni costo ad impedire che da codesto Paese ci giungano effettivi pregiudizi.'

Mentre faccio pieno affidamento sull'opera che V. E. (V. S.) vorrà svolgere' in questo momento, pregola .riferirmi sulle determinazioni e sulle reazioni dr codesto Governo e di codesta opinione pubblica di fronte alle pressioni di' Ginevra ed alla azione di V. E. <V. S.).

(l) Eccettuate le seguenti: Londra, Be.rlino, Rio de Janeiro, Tokio, Washlngton, Vlenna, Budapest e Tlrana.

352

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 11802/402 P. R. (1). Roma, 15 ottobre 1935, ore 24.

Letto i tuoi coUoqui .con Lord Lloyd (2) ch'e saluterai da .prurte mia. Biso•gna fare intendere ai conservatori che la lotta contro il fascismo può aprire al bolscevismo russo le porte dell'Occidente. Vedrò sempre volentieri Lord Lloyd:

353

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7149/053 R. Belgrado, 15 ottobre 1935 (per. il 17).

Te1egramma di V. E. n. 115 del 12 corrente (3).

l) Ho fatto a Stojadinovic la dichiarazione prescrittami. Il Pres,idente del Consiglio mi ha incaricato di far pervenire a V. E. i suoi ringraziamenti e di assicurarLa ·ohe la confermata decisione del Governo da lui presieduto di mantenere un atteggiamento amichevole nell'appUcazione delle sanzioni economkhe (e ·ciò malgrado impegni dovuti assumere a GineV1ra nonchè -aggiungo io -insistenti pressioni britanni,che) deve essere interpretata da V. E. come un'affermazione concreta della precisa volontà dell'attuale Governo jugoslavo di venire incontro al Governo italiano sulla via di una stretta intesa economica e politica. Ho ringraziato a mia volta il signor Stojadinovic di tale sua di'Clliarazione.

2) Circa le sanzioni economiche colgo occasione per far presente a V. E. che le con'Co·rdi aperte dichiarazioni di ·elementi dirigenti e di rappresentanti autorizzati degU ambienti agricoli e commerciali, qui si attendono -di fronte all'atteggiamento amichevole jugoslavo nella loro appUcazione anche nei riguardi deltlransito -che l'Italia proceda a rilevanti acquisti in Jugoslavia di materie prime e prodotti agricoli, e con forme di pagamento indipen'denti dal cleruring ( 4).

(-4) Per la risposta di Mussolini vedi D. 422.

26 --Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

(l) -Minuta autoga:-afa. (2) -Vedi D. 314. (3) -Vedi D. 323.
354

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 15 ottobre 1935.

Ho informato il Signor Chambrun sul colloquio Laval-Gerruti (l) e :gli ho osservato che la via scelta dal Signor Lavai di cominciare con l'interpellare Eden al riguardo di una eventuale proposta conciliativa, era co!IlJ)~etamente sbagliata. Bisogna trattare con Londra, saltando Eden.

La proposta Chambrun è certo molto migliore di quanto il Signor Lavai vorrebbe offrirei -dopo il colloquio con Eden -secondo gli accenni fatti al Barone Aloisi.

Ora però è il momento che il Signor Lavai deve prendere l'iniziativa e con tutta energia.

Noi lo abbiamo seguito, gli abbiamo dato fiducia, anche quando ci pareva che andasse troppo oltre, ma se egli non interviene ora, sia con nuove proposte conciliative, sia con un fermo deciso alle 'richieste inglesi, la questione comincia a diV'entare pericolosa.

Chambrun è d'accordo. Vuole insistere sul progetto del mandato all'Italia sulla zona periferica, ma vorrebbe avere da noi una dl~hiarazione precisa che questo progetto può essere preso in considerazione come base di negoziazioni.

Gli rispondo che ad ogni modo noi dovremmo chiedere degli emendamenti al progetto, che sono quelli accennati dall'Ambasciatore Cerruti a Lavai.

Ghambrun riti,ene naturale che noi si fruocia delle .proposte di emendamento.

Chiede se il Capo del Governo non potrebbe affidargli un messaggio di<retto per Lavai. A tal fine domanda anche un'udienza col Capo del Governo per domani (2).

Gli chiedo se sarebbe disposto ad andare a Parigi.

Mi risponde che su tale ·punto deve riserval'si, non ·conoscendo le intenzioni del suo Governo (3).

355

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 15 ott,obre 1935.

Il f:ronte unieo per le sanzioni comincia a mostrare le prime crepe. Tuttavia si riuscirà a fare delle raccomandazioni ai Governi 1che potranno dare l'impressione di una unità di azione; dove invece si dimostrerà la loro inconsistenza sarà nella accettazione di tali sanzioni da parte dei Governi e più

ancora nella loro applicazione pratica. Se poi, come pare, il provvedimento sulle sanzioni dovrà essere approvato dai Parlamenti, è chiaro che ne risulterà una confusione tale per cui riuscirà difficile vedere fino a dove arrivi l'azione collettiva.

Si ha J'impressione che l'Inghilterra, e particolarmente il signor Eden, inebriato dalla sua innegabile vittoria per aver rac·colto intorno a sé contro l'Italia tutti i paesi membri della S.d.N., stia commettendo la gaffe di voler stabilire seriamente delle sanzioni collettive :efficaci che in pratica sono inapplicabili. Quindi per poter appUcare contro l'Italia de1Ie sanzioni veramente efficaci, l'Inghilterra a un determinato momento dovrà abbandonare l'azione collettiva su larga base per limitarsi ad un'azione più stretta o -nella peggiore delle ipotesi per lei -ad un'azione individuale.

Avrà in questa azione più stretta o individuale l'appoggio morale deilla maggioranza degli altri ;paesi? È da dubitare. Comunque è condizione essenziale, perchè l'Inghilterra possa dare l'impressione di non essere isolata, che la Francia solidarizzi con lei. Non pare dubbio :che la Francia scinderà le proprie responsabilità nel momento in cui si dovesse passare a delle sanzioni militari (e ciò anche se al Ministero Lava.! si dovesse sostituire un Ministero Herriot o peggio). Ma si può anche ragionevolmente sperare che la Francia non arrivi neanche all'applicazione delle estreme :sanzioni economiche.

È quindi sulla Francia che bisogna puntare con tutte le forze continuando e allargando I'opera iniziata con risultati abbastanza promettenti. Non c'è molto da fare direttamente sull'ambiente governativo infeudato in gran parte alla Se:conda Internazionale e alla massoneria. Bisogna agire attraverso i gruppi di destra, gli ambienti combattentistici che possono inscenare delle azioni di piazza.

La cosa va trattata tuttavia con prudenza perchè una reazione violenta del «Front Commun ~ che desse l'impressione della solidarietà della maggioranza del paese con gli ambienti antifascisti, parlamentari e governativi sarebbe in questo momento un disastro. La nostra grande carta da giuocare è sempre quella che la tesi italiana significa :localizzazione del conflitto in Afri.ca; la tesi sanzionista, l'allargamento del :conflitto in Europa, e la massima parte dei f:rancesi oggi non vuole la guerra nè contro nè pro l'Italia.

Per non toglierei questa base di azione che punta sulla si·curezza in Europa bisogna quindi che noi evitiamo di abbandonare la S.d.N. 11 che ci metterebbe contro larghi strati della Oipinione pubblica francese.

Per quanto riguarda la Gran Bretagna, è chiaro che essa cercherà di portarsi dietro tutti gli altri 1paesi il più lontano possibile.

Ad un determinato punto, come si è detto sopra, questa azione collettiva verrà meno, forse fino al punto da mettere la Gran Bretagna di fronte all'even-. tualità di proseguire ·sola la via delle sanzioni. In quel punto si presenterà alla Gran Bretagna il dilemma: o ritirarsi ritenendo esaurito il proprio !Compito. quale membro della Società, o andare avanti da sola rischiando una guerra con l'Italia.

L'una o l'altra di queste soluzioni potrà essere scelta a seconda della pressione degli elementi che sono in giuoco e che si chiamano: l) propaganda

elettorale (questo vale fino alla fine di novembre); 2) attaccamento effettivo al sistema collettivo in Europa; 3) sicurezza dell'Impero; 4) prestigio imperiale. Esaminiamo singolarmente questi elementi:

l) Propaganda elett\orale. Io non credo che la propaganda sa·rà fatta sulla base esplicita e sottintesa della guerra contro l'Italia: essa sarà fatta sulla base dell'azione energica della S.d.N. per fermare la guerra in Abissinia ed ottenere una .soluzione pacifica del ·conflitto con la pressione delle sanzioni, senza r~corso alla guerra. Nè credo quindi che il Governo uscito dalle elezioni avrà una specie di mandato per fare la guerra all'Italia più dì quanto non lo abbia il Governo attuale. Dopo le elezioni, eliminato il punto primo, rimarranno in giuo·co gli altri .elementi.

2) Attaccamento al sistema collettivo. Oggi in Inghilterra prevale la convinzione della necessità di una politica continentale della Gran Bretagna; di questa tendenza •ci sono autorevoli ·rappresentanti di tutti i partiti; il Governo nazionale oggi è decisamente su questa linea. Si può dire ·che vi è contrario. soltanto il gruppo iosolazionista: Beaverbrook e Rothermere. Va tenuto conto. che questo secondo •elemento agirebbe contro di noi se noi uscissimo dalla

S.d.N. e ciò per due considerazioni: a) la nostra uscita scuoterebbe il sistema. di sicurezza in Europa e quindi metterebbe contro di noi la sopradetta mag-. gioranza collaborazionista; b) una soluzione pacifica del conflitto itala-etiopico non può essere considerata dalla Gran Bretagna ·che nell'ambito della S.d.N. ;: una nostra uscita vorrebbe dire la rinuncia a tale .possibilità.

3) Sicurezza dell'Impero. Tutte le ragioni che preoccupano vivamente il Governo e il popolo inglese come conseguenza della nostra azione in Abissinia sono note. Una nostra azione a fondo per la .conquista totale della Abissinia ci porterebbe con tutta probabilità in guerra con l'Inghilterra. In tale caso non si farà più questione di azione colletti.va o individuale: un incidente per creare il conflitto è fadlmente provocato. Sarà opportuno quindi evitare tutte le misure di carattere militare contro la Gran Bretagna oche non siano determinate da imprescindibili ragioni di sicurezza e dare i più severi or1dini a tutte le forze armate per evitare gli incidenti che farebbero il giuoco della Gran Bre-' tagna. La soluzione prospettata che lascerebbe sotto controllo internazionale la parte centrale dell'Abissinia, cioè l'Abissinia sto.rica, guerresca ecc. ecc., opportunamente presentata, dovrebbe dare un affidamento sufficiente alla Gran Bretagna. Si potrà anche negoziare per una collaborazione itala-inglese nell'Africa Orientale che dia in tale riguardo ogn tranquillità all'Inghilterra.

4) Orgoglio imperiale. È fuori di dubbio che la Gran Bretagna non può ritirarsi senza avere nulla ottenuto. Bisognerà quindi favo•rire una soluzione che dia in offa all'orgoglio britannico la questione delle sanzioni e fare apparire una soluzione paocifica del conflitto itala-abissino come dovuto all'intervento britannico.

Ora tenendo ·conto di tutti questi elementi, io arrivo alla conclusione che il ;progetto -chiamiamolo Chambrun -può essere preso nella più seria considerazione.

Esso presenta i seguenti vantaggi:

a) rimane nell'ambito della Società;

b) non tocca la sovranità dell'Abissinia in quanto passerebbero in nostro diretto dominio i territori conquistati (e questi se rimangono limitati al Tigrai nessuno ce li contesta), mentre la zona periferica, che dovrebbe essere data a noi in amministrazione, col nome di assistenza, ma con l'essenza di mandato, rimarrebbe nominalmente sotto la sovranità abissina. I nostri acquisti territoriali in Dancalia e nell'Ogaden, dove le frontiere non sono fissate, avrebbero il carattere di delimitazione delle frootiere a nostro favore.

Rimarrebbe la base del Progetto dei Cinque (·con quei miglioramenti che potremmo apportarvi) per quanto riguarda la Abissinia classica, storica, Stato .che gode indipendenza da millenni, mentre l'assistenza .nostra nella zona periferica potrebbe avere il carattere di un compliemento ed un emendamento del Progetto dei Cinque dettato da ragioni storiche, pratiche e tecniche.

La guerra cesserebbe immediatamemte e le nostre truppe avrebbero in parte: il compito di occupare per ragioni amministrative le zone pe·riferiche; questa cessazione immediata della guerra dovrebbe essere anche condizionata al disarmo della AbLssinia il cui controllo potrebbe essere fatto dalle nostre truppe a cui potrebbero aggiungersi repa·rti degli altri Stati confinanti.

Il progetto lascia dei margini di negoziazioni (limitazione della zona a noi affidata, contatto diretto fra il residuo Stato abissino ed il Sudan, eventuale sbocco al mare con tutte le garanzie ecc.).

Sarebbe invec·e pericoloso partire dal principio caldeggiato dal stgnor Eden e doè compensazioni fra la conC'essione di uno sbocco territoriale al mare. all'Abissinia ed alcune cessioni di territori a nostro favore. Qualunque sia il risultato a cui si dovrà arrivare, la via da scegliere è l'altra.

È ·evidente che se l'opera di disgregazione interna continuasse e la nostra avanzata potesse estendersi in altri settori col carattere di occupazione pacificaJ il nostro compito sarebbe enormemente facilitato e gli obiettivi sopra indicati potrebbero anche essere riveduti (1).

(l) -Vedi D. 344. (2) -Vedi D. 357. (3) -Il presente documento reca 11 visto di MussoUni.
356

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE A BUENOS AIRES, RIO DE JANEIRO E SANTIAGO E ALLE LEGAZIONI NEL CENTRO E SUD AMERICA

T. 11797/C. P. R. Roma, 16 ottobre 1935, ore 1.

Manifestazioni solidarietà e patriottismo nostre collettività nell'America Latina in questa grande ora della storia italiana confermano loro alto spirito

nazionale mai smentito e saldezza dei vincoli spirituali che li lega alla Madre Patria.

Occorre che tali manifestazioni vengano intensificate e coordinate, mobilitando tutte le energie, promuovendo e incoraggiando iniziative, mettendo a profitto tutte le capacità e possibilità. Va curata soprattutto propaganda con conferenze stampa e ogni mezzo opportuno negli ambienti avversi o indifferenti o influenzati a nostro danno da campagne tendenziose.

Quest'azione deve essere svolta dai nostri connazionali approfittando tutte le occasioni e senza dimenticare riguardi dovuti paese che li ospita e necessità tenere sempre contegno dignitoso e misurato evitando ogni eccesso. Nostri connazionali possono avere funzione determinante nell'incoraggiare tendenza antisanzionista che già si afferma in modo molto preciso in parecchi paesi dell'America Latina.

Confido nel personale interessamento di V. E. (V.S.) e resto in attesa informazioni ed eventuali proposte.

(l) Il presente documento reca il visto di MussoUni.

357

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

VERBALE (l). Roma, 16 ottobre 1935, [ore 17].

L'Ambasciatore si rivolge al Capo del Governo in un momento grave.

La Francia ha dovuto cedere sulla questione delle sanzioni economiche per potersi opporre alle altre sanzioni più gravi, ma dato il ritmo con il quale l'Inghilterra spinge la questione, il signor Lavai è di opinione che ora convenga fare un tentativo di conciliazione. Egli vorrebbe sapere, prima di proseguire nella sua iniziativa, quali sono le idee del Governo italiano al riguardo.

Il Capo del Governo risponde che prendendo a base il progetto di cui si è

parlato recentemente, di una distinzione tra la zona centrale e la zona perife

rica, le idee del Governo italiano possono essere così riassunte:

-mandato o altra forma di amministrazione affidata all'Italia sulla zona periferica (paesi non amhara); -congrua partecipazione dell'Italia nel sistema di assistenza collettiva per il nucleo centrale (paesi amhara); -cessione definitiva all'Italia dei paesi riconquistati nell'Abissinia settentrionale, la cui superficie è minima valutata con quella totale dell'Etiopia;

-fissazione delle frontiere nella Dancalia e nello Ogaden in modo da allargare le attuali zone costiere in possesso dell'Italia;

-limitazione e controllo degli armamenti dell'Abissinia.

In contrapposto si è disposti ad assumere l'obbligo di non prelevare truppe dai Paesi in amministrazione italiana se non per i bisogni locali di Polizia e di ordine pubblico; si è sempre disposti naturalmente a dare all'Abissinia uno sbocco commerciale ad Assab in modo di assicurarle un altro sbocco al mare oltre Gibuti e Berbera.

L'Ambasciatore Chambrun si affretterà a comunicare il punto di vista italiano a Parigi.

Il Capo del Governo, come ha già detto, non si oppone a una soluzione conciliativa. Ritiene però che la pressione inglese, con tutte le conseguenze disastrose che ne possono derivare, potrebbe essere fermata immediatamente se la F1rancia prendesse decisa posizione dicendo fin qui si non più oltre.

Le ragioni per questo gesto francese si basano sui precedenti della S.d.N., sull'amicizia con l'Italia e sopratutto sulla sicurezza della Francia stessa. Una guerra itala-inglese metterebbe domani la Francia di fronte a una Germania di 80 milioni di abitanti senza l'aiuto sicuro dell'Inghilterra, con una Italia spossata.

L'ambasciatore Chambrun si farà interprete a Parigi di queste dichiarazioni del Capo del Governo. Si augura sinceramente che si trovi la via della conciliazione con piena soddisfazione dell'Italia (1).

(l) Il verbale è stato redatto da Suvlch, presente al colloquio.

358

L'INCARICATO D'AFFARI A SANTIAGO, SILENZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7158/105 R. Santiago, 16 ottobre 1935, ore 19,49 (per. ore 4 del 17).

Questo Presidente della Repubblica mi ha affermato che il Governo cileno, forse adottando per il momento punto di vista giuridico argentino, è disposto soavizzare in quanto possibile applicazioni eventuali sanzioni. Delegato Ginevra ha ricevuto ieri conferma istruzioni di consultare caso per caso Governo materia sanzioni economiche e respingere eventuali proibizioni libera vendita salnitro e rame in Italia.

Ho approfittato occasione per prospettare opportunamente Presidente della Repubblica argomenti contenuti telegramma circolare n. 1887 (2).

(l) -Vedi anche D. 366. (2) -Vedi D. 351.
359

IL CONTE VOLPI (l) AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. 12135/219-220 P.R. Bruxelles, 16 ottobre 1935, ore 21,02 (per. ore 1,50 del 17).

Ti prego comunicare a S. E. il Capo del Governo che stamane, insieme con Ambasciatore, ho avuto un lunghissimo colloquio col Primo Ministro belga.

Non ho mancato far rilevare subito a van Zeeland che il suo discorso di Ginevra aveva creato sensazione sgradevole in sfere dirigenti e opinione pubblica italiana.

Egli ha voluto dimostrarmi molto minutamente col testo alla mano che nel discorso stesso non vi era se non la preoccupazione della particolare pericolosa situazione del Belgio in caso di eventuali future aggressioni e della conseguente necessità di rimanere attaccatissimo alla S.d.N. Ha anzi aggiunto che due o tre frasi, come quella che si riferisce alla indispensabilità di senso pratico nella realizzazione di qualsiasi ideale, vi erano state inserite per favorire l'Italia e mi ha pregato di qualche precisazione in merito per S. E. il Capo del Governo.

E' mia opinione che questo Primo Ministro abbia dovuto subire la pressione della propria situazione di Gabinetto, essendo il partito socialista il più organizzato fra quelli che lo sostengono.

Gli ho poi detto che l'Italia, nel deplorare la levata dell'embargo delle armi e le sanzioni finanziarie, reputa tuttavia che i Governi amici non si lasceranno rimorchiare nel campo dei provvedimenti economici sia prendendo tempo, sia cercando di attenuarli nel testo oltre che nell'esecuzione, ove non sia possibile eliminarli addirittura. Assicuro, egli mi ha risposto, che il Belgio non ha preso né prenderà alcuna iniziativa, che non si accoderà a nessuna Potenza e che accederà soltanto a deliberazioni unanimi. E mi ha fatto anche comprendere di avere dato istruzioni ai rappresentanti diplomatici Belgio all'estero di facilitare ogni possibile intesa per una composizione onorevole della questione etiopica.

Per quanto si riferisce all'appUcazione di eventuali sanzioni economiche gli ho rilasciato un pro-memoria sulla base del tel'egramma circolare n. 310 diramato da Ginevra il 12 corrente (2).

È mia opinione che van Zeeland potrà tenere fede a queste sue promesS'e ma solo personalmente ed entro i limiti delle suddette gravi difficoltà derivanti dalla composizione del Governo di cui è al tempo stesso Capo e prigioniero.

Nel corso delle conversazioni, van Zeeland, si è J:agnato che negH sviluppi delle operazioni di clearing da parte dell'Italia non sia stato osservato l'impegno di pagare gli arretrati ed io gli ho risposto che l'Italia, nel momento in cui ric'eve dalle sanzioni un grave colpo alla sua bilancia dei pagamenti, non solo non può mantenere impegni ma dovrà pensare energi·camente ai propri casi come più le converrà.

Parto per Parigi per essere a Roma nel pomeriggi·o di venerdì e chiederei di essere ricevuto subito da S. E. il Capo del Governo dovendo sottoporgli moltepUci proposte del noto Comitato.

(l) -Con il T. 11690/177 P.R. del 12 ottobre 1935, ore 24, Suvich aveva preannunciato a Vannutelli Rey la missione ufficiosa che il conte Volpi si apprestava a compiere presso i locali ambienti economici e finanziari in connessione con la questione delle sanzioni. (2) -Vedi D. 330, nota l.
360

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 7119-7142-7137/755-756-757 R. Parigi, 16 ottobre 1935, ore 23 (per. ore 4 del 17).

Riassumo lunga conversazione avuta con Lavai a1la presenza di Léger. Lavai mi aveva chiamato per parlarmi delle sanzioni economiche discusse a Ginevra. Coulondre aveva cercato di resistere. Tutti gli esperti degli altri Stati si mostrano favorevoli a tali sanzioni. Egli non può opporre un veto per varie ragioni. In modo particolare perchè ottenne, attraverso difficoltà a noi sconos·ciute, che l'Inghilterra rinunzias,s•e appUcazione parte seconda dell'articolo 16, cioè sanzioni militari, chiusura Canale di Suez e blocco. A:vant'ieri nel suo colloquio con Clerk aveva pure posto veto alla visita navi di guerra. In secondo luogo, perchè veto della Francia indurrebbe l'Inghilterra ritirarsi, il che avrebbe conseguenze fatali, ponendo l'Inghilterra sola di fronte all'Italia e ciò significherebbe guerra a breve scadenza. Occorre invece continuare a restare nell'llimbito della S.d.N. e dis·correre con Inghilterra, attraverso Parigi. Del resto Duce, con chiara visione di Uomo di Stato, riconobbe nece·ssità accettar<e sanzoni pur di rimanere nel Patto e invitò popolo italiano sopportare privazioni relative.

Manifestai la mia sorpresa a Lavai. Avevo compreso che egli si sarebbe adoperato perchè esame terzo grado delle sanzioni f1osse rimandato ad epoca ulteriore, lasciando intanto che si svolgesse tentativo di conciliazione.

Lavai mi rispose che tale era effettivamente sua intenzione ed in tal senso aveva impartito istruzioni a Coulondre. Ma di fronte unanime d'ecisione approvare sanzioni e~conomi'Che, egli non poteva ormai fare altro, per le ragioni espostemi, che tentare di ottenere ch•e loro applicazione non avvenga durante tentativo di conciliazione.

Léger osservò che anche questo sarà difficile. Però è possibile che risposte d'ei vari Governi, i quali debbono accordare loro approvazione, tardino e si deve sfl!pere che nel frattempo conciliazione sorta un esito felice.

Tanto Lavai quanto Léger ,si rendono conto grandi difficoltà applicazione sospensione commercio ed inconvenienti a cui darà luogo. Lavai mi chi'ese quando avrei avuto risposta da Roma. Dissi ritenere che riceverei istruzioni domani.

Lavai aggiunse aver informato Clerk che stava discorrendo con Roma.

Urge intavolare trattative alle quali dedlc.herà tutte le sue forze a partire da

lunedì, cioè dopo elezioni senatoriali.

Egli aveva esaminato attentamente condizioni italiane da me comunicategli avantieri (1). Teneva chiarire che proposta mandato all'Italia su regioni periileriche e mandato alla S.d.N. su parte centrale era stata da lui avanzata in via strettamente personale. Come mi aveva detto (2), proposta gli era pervenuta da Roma ed egli poteva dunque ritenere che cm-rispondesse nostre vedute. Gli sembra escluso che l'Inghilterra possa accettare formula di mandato all'Italia su zona periferica. Perciò parlò di annessione limitata ch·e si potrebbe forse ottenere sempre che noi accettassimo sbocco al mare dell'Abissinia.

Gli ho detto, a titolo personale, che tale sbocco era pericoloso perché avrebbe costituito modo permettere all'Inghilterra rifornire di armi Abissinia.

Laval lo contestò di1cend·o che Eden gli aveva parlato di una convenzi•one per limitare e controllare armamento all'Etiopia. Francia naturalmente non potrebbe permettere costruzione di una ferrovia concorrente e lo aveva detto agli inglesi.

Lavai mi disse poi che sabato prossimo, contemporaneamente all'annunzio della decisione presa circa applicazione sanzLoni economiche, e.gli si proponeva di pubblicare comunicato dicendo che eg1i si trova in rapporti con Roma per trovare formula di conciliazione.

Ho osservato che doveva pure menzionare di essere in rapporto con Londra. Ne convenne e mi disse che concorderà meco testo del comunicato. Occorre tenere presente che questa è pure una manovra elettorale.

Laval giudica urgente uscire dalla situazione attuale. Mi chiese se nostre operazioni militari procedono bene e se è vero che gli abissini sono riusciti ad entrare dal sud in Eritrea.

Gli ho risposto che noi procediamo sistematicamente, rafforzandoci sulle posizioni occupate svolgendo opera persuasiva ed umana sulle popolazioni indigene per evitare spargimento di sangue. Ignoravo e ritenevo infondato successo abissino nella direzione di Assab. Ripetei che conciliazione è sinceramente desiderata da noi tanto è vero che il Duce gli aveva fatto dire di concordare con noi sua azione per evitare che noi dovessimo ancora respingere una proposta, dato che ciò avrebbe potuto avere conseguenze fatali.

Laval si mostrò convinto del nostro sincero desiderio di trovare soluzione.

Mostrò però apprensione per nostre condizioni relative disarmo Abissinia con

preva~enza od almeno adeguata rappresentanza dell'Italia nel mandato collet

tivo sulla parte centrale.

Ho risposto che disarmo si riferisce alla popolazione civile che possiede

un fucile. Ad Abissinia sarà certamente lasciato un piccolo esercito, ma deve

essere vietato armamento di tutta la popolazione. Quanto alla nostra rappre

sentanza nel mandato collettiNo, essa doveva essere prevalente o per lo meno

adeguata in considerazione dell'essere stati riconosciuti da Francia e Inghil

terra interessi prevalenti all'Italia in Etiopia e dal fare noi parte della S.d.N.

A titolo personale ho detto, concludendo conversazione, che conciliazione avrà

tanto maggiore probabilità di riuscita quanto maggiore sarà opera di persua

sl:one che Lavai riuscisse svolgere a Londra per fare comprendere all'Inghilterra necessità di cancellare con un contegno di comprensione il rancore che si è andato accumulando contro di essa in Italia. Interesse massimo di tutti è il mantenimento della .pace in Europa. Si giudicasse una buona volta affare etiopico con occhi europei e non si pregiudicasse la tranquillità del mondo.

Lavai ha risposto esserne persuaso. Ha poi insistito perchè noi considerassimo sua situazione difficilissima. Lloyd George aveva sferrato un attacco contro di lui, accusandolo di abbandonare Inghilterra nella difesa del Patto. Sapeva che questo era prodromo di una levata di scudi inglese molto più importante V'erso sua persona. Auspicava che la stampa italiana di cui lodò moderazione, continuasse in tale atteggiamento.

(l) -Vedt DD. 331 e 344. (2) -Vedi D. 343.
361

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7332/258 R. Madrid, 16 ottobre 1935, ore 23 (per. ore 4 del 17).

Telegramma di v. E. n. 1887;c. (1).

Posso assicurare V. E. che fin dal giorno in cui fu deliberata a Ginevra applicazione articolo 16 fu iniziata da questa Ambasciata campagna attivissima per spingere circoli politici ed economici ad evitare severa applicazione sanzioni. Per mezzo giornali a noi favorevoli (tutti quelli della C.E.D.A. e monarchtci meno A.B.C.), che pubblicavano articoli da noi ispirati e spesso da noi redatti, abbiamo incessantemente battuto non solo tema amicizia ma anche quello interessi, e non lo furono invano.

Situazione infatti è oggi nei seguenti termini. Abbiamo contro di noi partiti di sinistra e Presidente della Repubblica che si accanisce ritenendo S!Pagna obbligata da sua Costituzione (articoli 65, 76 e seguenti) applicare severamente decisioni Ginevra e che si ritiene Spagna debba essere alla testa movimento societario per la pa,ce. Ma nel Governo ma,ggioranza è contro una applicazione sanzioni che possono rappresentare ostilità e arenare buoni affari possibili in questo momento e sopratutto è decisa contrariare ogni adesione a sanzioni militari e di blocco. Conflitto tra Presidente della RepubbUca e maggioranza del Governo è così acuto che si parla persino di crisi imminente.

Ad aggravare tensioni giunsero richieste inglesi di potere, in caso di bisogno, adoperare porti Spagna e isole Baleari come punto di appoggio per flotta e di potere costruire aeroporti in zone neutre alle spalle di Gibilterra (mio telegramma n. 210) (2).

Tali richieste trovarono Governo ostile, mentre che Presidente della Repubblica titubava accoglierle. Fu data risposta negativa soprattutto perché Gil

Robles, Ministro della Guerra e arbitro sorti politica estera non intende accedere richieste britanniche interpretando anche malumore circoli militari verso accoglimento richieste stesse.

V. E. avrà anche osservato che zelo societario di Madariaga è molto diminuito perchè Governo, che lo controlla telefonicamente ogni giorno, gli ha dato istruzioni di essere tra coloro che frenano imposizione sanzioni e non tra coloro che fanno zelo societario.

In questo Paese, mercantile e neutrale per temperamento, l'atmosfera non è quindi oggi delle peggiori. Debbo però informare che pressione inglese, soprattutto nei circoli economici, è ogni giorno più intensa appoggiata sul fatto che Inghilterra è la principale importatrice di prodotti Spagna.

Fim.o a che resta odierno Governo, punto di vista italiano può dirsi buono ma nel caso di crisi, provocata dall'irritatissimo Presidente della Repubblica, le cose potrebbero cambiare sfavorevolmente.

Per influire con qualche cosa di concreto sopra l'opinione di questo mondo affari, che è potente, sarebbe assai bene, ove fosse possibile, iniziare acquisti di prodotti spagnuoli dei quali alcuni ci sarebbero in questo momento particolarmente utili.

Noi continuiamo in ogni modo con la massima intensità nostra azione intonata ad istruzioni contenute nel telegramma cui si riferisce questo mio. Ho chiesto udienza questo Ministro Affari Esteri: riferirò (l).

(l) -Vedi D. 351. (2) -T. 5967/210 R. del 19 settembre 1935, ore 22,20, non pubblicato.
362

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 7185-7190/495-496 R. Washington, 16 ottobre 1935, ore 23,~6 (per. ore 10,15 del 17).

Telegramma di V. E. n. 450 (2).

Caso specHico segnalato col mio telegramma n. 494 (3) mi ha fornito occasione favorevole per intrattenere Sottos·egretario di Stato sul problema generale dell'attitudine del Governo americano di fronte al conflitto italo-etropico.

Su questo tema ho avuto oggi col signor Philips conversazione di circa un'ora. Richiamandomi alle argomentazioni già svolte in precedenti contatti ho rinforzato con grande franchezza di linguaggio mie preoccupazioni per le correnti che sembrano prevalere al Dipartimento di Stato e credo di essere

riuscito a renderlo c-osciente delle responsabilità che in questo momento incombono anche sul Governo degli Stati Uniti. Ho premesso che alcune recenti manifestazioni verbali del signor Hull mi avevano dato sensazione che Dipartimento di Stato non fosse guidato nei confronti con l'Italia da quello spirito di imparzialità che legge sulla neutralità dava diritto di attendersi dal Governo americano. Ho fatto poi una disamina particolareggiata delle misure adottate e delle di·chiarazioni fatte dal Presidente e dal Segretario di Stato negli ultimi dieci giorni, constatando come provvedimenti presi siano risultati nella sostanza un parziale boicottaggio del commercio italiano e come sussista da parte nostra con ciò impressione che gli S.U.A. intendono appoggiare sanzioni econom1che e finanziarie della S.d.N. Ho osservato che decisioni della Lega delle Nazioni, prese sotto la formidabile pressione esercitata dall'Inghilterra, avevano carattere\ di dichiarata ostilità la quale non poteva conciliarsi con politica di neutralità proclamata da,gli S.U.A. Su tale punto desideravo attirare partioolare attenzione del Governo Federale specialmente in presenza della selmpre più aggressiva attitudine inglese che rappresentava seria minaccia per la pace mondiale e che era quindi pericoloso di incoraggiare. Ho concluso esprimendo mie apprensioni per le possibili conseguenze dell'atteggiamento americano che a torto o a ragione veniva Interpretato in Europa come appoggio alla politica

inglese e poteva quindi diventare responsabile di gravi complicazioni.

Sottosegretario di Stato, che mi aveva ascoltato con visibile attento interesse, mi parve specialmente impressionato da quanto gli dissi sulla gravità della situazione creata da Inghilterra. Circa atteggiamento degli Stati Uniti egli si sforzò di dimostrarmi che politica seguita dal Governo nella applicazione della legge sulla neutralità non aveva alcuna [dichiarata] ostilità verso l'Italia; che tutti i provvedimenti adottati finora erano diretti contl'o entrambi belligeranti; che diversità delle condizioni dell'Italia e dell'Etiopia, rendeva inevitabile diversità delle ripercussioni di tali provvedimenti sui due Paesi ed era quindi fatale che es.si venissero interpretati in Europa oon significato diverso a secondo di diversi interessi in giuoco. Poteva però dichiararmi in modo categorico:

l) che unico obiettivo della neutralità americana era di evitare nella maggiore misura del possibile occasione di essere trascinati in un conflitto europeo e che Governo intendeva ferma,mente mantenere Stati Uniti estranei al conflitto itala-etiopico ed a eventuali sue complicazioni;

2) 'Che tutte le misure di neutralità erano state prese in modo assolutamente indipendente;

3) che il Dipartimento di Stato non aveva ricevuto alcuna richiesta di cooperazione da parte della Lega delle Nazioni e che se tale domanda fosse stata avanzata Governo degli Stata Uniti l'avrebbe respinta.

Nel prendere atto dichiarazione ho osservato che purtroppo attitudine amerJcana era stata sfruttata tanto a Londra qua:nto a Ginevra.

Mi sono congedato pregando Sottosegretario di Stato di fare sapere al signor Hull che mi tenevo sempre a sua disposizione per qualsiasi scambio idee [volesse] avere con me su quanto trattato nel presente colloquio.

(l) -Vedi D. 418. (2) -Vedi D. 345. (3) -Con T.r. 7167/494 R., pari data, Rosso rendeva nota la richiesta della Federa! Reserve Bank ai principali Istituti bancari di conoscere tutte le ope·razioni bancarie compiute con banche o ditte italiane.
363

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 1900/188 R. Roma, 16 ottobre 1935, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 295 (1).

Prego V. E. esprimere codesto Ministro Affari Esteri viva soddisfazione mia e del Governo fascista per favorevole atteggiamento verso nostro Paese assunto dal Delegato Governo argentino Ginevra ai riguardJ. applicazione sanzioni (2) ..

364

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO (3)

T. 1901/C. R. Roma, 16 ottobre 1935 (4).

Mio telegramma n. 1887/C. (5).

A V. E. (V. S.) non sfugg.e certamente importanza che ha per noi possibilità mantenere anche in periodo sanzioni nostre correnti esportazioni verso l'estero.

Poichè a quanto sembra sanzioni che si intenderebbero adottare nei riguardi Italia consisterebbero oltre che in proibizione venderei alcrme determinate merci anche in divieto comperare nostri prodotti sarebbe o,pportuno che V. E.

(V. S.) lasciasse comprendere che in eventualità che cotesto Paese adottasse nei nostri confronti simile provvedimento R. Governo non potrebbe restare indifferente e adotterebbe nei riguardi delle importazioni da costì misure restrittive che potrebbero giungere fino a completo divieto.

365

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7125 R. Roma, 16 ottobre 1935 (per. ore 21,30).

Ho domandato a Monsignor PJzzardo che fondamento hanno le notizie di stampa su un passo del Nunzio a Parigi per una azione concordata con Lavai, peir porre fine al conflitto italo-etiopico.

Il Se,gretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari mi ha dichiarato formalmente che la notizia pubblicata dai giornali di una proposta di mediazione del Papa sono destituite di qualsiasi fondamento. Egli l'aveva smentita formalmente ai numerosi diplomatici che lo avevano interrogato al riguardo. Monsignor Maglione era stato incaricato dal Santo Padre di incoraggiare il signor Lavai a proseguire i suoi sforzi per giungere a una conciliazi-one. Il Pontefice ha una grande fiducia nel Presidente del Consiglio frances.e. Me lo ha detto nella conversaz.ione che ho avuto con Lui d·opo la presentazione delle lettere credenziali (mio rapporto del 13 corrente n. 7502/22) (1).

Ho detto a Monsignor Pizzardo che l'azione fin qui svolta dal signor Lavai, per quanto indubbiamente inspirata a propositi encomiabili, avrebbe potuto alla fine portare a dei risultati diversi da quelli ricercati, per i successivi pericolosi ripiegamenti dell'Uomo di Governo francese di fronte all'incalzante accanimento del Governo britanntco e specialmente del suo rappresentante a Ginevra.

(l) -Vedi D. 321. (2) -Con T. 7274/305 R. del 19 ottobre 1935, ore 17,06, Arlotta assicurava di aver eseguito :e presenti istruzioni. (3) -Eccettuate le seguenti: Londra, Berlino, Rio de Janeiro, Tokio, Washington, Vienna, Bt.:dapest, Tirana, Buenos Aires, Garacas e Partgl. (4) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (5) -Vedi D. 351.
366

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PERSONALE 1904/653 R. Roma, 17 ottobre 1935 (2).

Ieri ho esposto a Chambrun (3) le condizioni alle quali potrei accettare una soluzione pacifica del conflitto italo-etiopico, condizioni che Ella già cono, sce, ma che ad ogni buon fine Le riassumo:

-Mandato o altra forma di amministrazione affidata all'Italia sulla zona periferica (paesi non amhara); -congrua partecipazione dell'Italia nel sistema di assistenza collettiva per il nucl-eo centrale (paesi amhara); -cessione definitiva all'Italia dei paesi riconquistata nell'Abissinia settentrionale, la cui superficie è minima confrontata con quella totale dell'Etiopia; -fissazione delle frontiere nella Dancalia e nell'Ogaden in modo da allargare le attuali z.one costiere in posses8o dell'Italia; -limitazione e controllo degli aii'mamenti in Abissinia.

In contrapposto sarei disposto ad assumere l'obbligo di non prelevare truppe dai paesi in amministrazione italiana se non per i bLsogni locali di Polizia e di ordine pubblico.

Sono sempre disposto naturalmente a dare alla Abissinia uno sbocco commerciale ad Assab in modo di assicurarle un altro sbocco al mare oltoc-e Gibuti e Berbera.

È necessario che il signor Laval conosca esattamente le mie richieste, anche se egli crederà di dover ricorrere a qualche attenuazione nella forma di presentazione agli inglesi.

Per venire incontro al sigm.or Laval non sarei alieno dall'ammettere che i due punti relativi alla congrua partecipazione dell'Italia all'amministrazione del nucleo centrale ed al disarmo possano essere presentati sotto forma di emendamenti al Piano dei CLnque. Sarei disposto ad esempio ad accetJtare come inizio di negoziazione una formula presso a poco del seguente tenore:

«L'Italia si riserva di presentare degli emendamenti al Piano dei Cinque per quanto riguarda una sua congrua partecipazione alla assistenza collettiva da concedere all'Abissinia e per quanto riguarda una limitazione ed un controllo degli armamenti dell'Abissinia stessa».

Questo progetto di conciliazione può essere presentato discretamente bene alllChe dal punto di vista societari·o, in quanto il signor Lavai potrebbe asserire (naturalmente come cosa sua) che il Piano dei Cinque -con gli oipportuni emendamenti -viene preso a base del progetto, ma limitatamente al gruppo centrale, cioè alla Abissinia storica, quella che bene o male rappresenta da molti secoli una UJnità statale.

Questo progetto deve essere completato -sarebbe anche questo un emendamento in senso estensivo -con un regime speciale per la zona periferica che non appartiene nè geograficamente, nè etnicamente, nè storicamente alla Abissinia, che è stata conquistata negli ultimi decenni e che è stata disamministrata, sfruttata, devastata.

Per questa parte non bastano alcuni consiglieri, dato che non solo non esiste una vera amministrazione, ma anzi bisogna distruggere tutto quello che esiste per ricostruire su nuove basi. Questa parte, perchè si possa fare un lavo.ro efficace di riurganizzazione, deve essere affidata in amministrazione rud una Potenza sola, cioè all'Italia.

La cessione all'Italia dei territori riconquistati (territoi.re recouvrés) non dovrebbe incontrare difficoltà; anche la fissazione dei CDI!lfini, non anc•ora delimitati, in Dancalia e nell'Ogaden è piuttosto una questione di dettaglio,

La cong,rua partecipazione dell'Italia all'amministrazione della parte centrale risponde allo spirito di tutti i Trattati conclusi fra le P·otenze vicine. dell'Abissinia e la limitazione degli armamenti è misura di sicurezza per noi e per tutti gli altri.

Ho informazioni troppo precise sullo stato d'animo attuale della Gran Bretagna per pensare che un pro,getto del genere possa passare facilmente, ma se vi è qualche chance perchè lo stesso sia accettato, essa è subordinata aL fatto che il sigm.or Laval prenda la sua mis,sione con calore, e che non si limiti. a trasmettere senz'altro all'Ambasciatore d'Inghilterra quanto Ella posS'a dirgli,. come pareva disposto a fare secondo il Suo ultimo telegramma (1). Altrimenti tanto varrebbe che trattassimo noi direttamente con gli ingle,si.

Occorre anche che le trattative vengano svolte nel più assoluto segreto..

V. -E. v~orrà poi insistere in modo particolare col signor Lavai perchè la cosa venga presentata come una iniziativa francese, in risposta alla quale noi· abbiamo fatto conoscere le condizioni di cui sopra.

Ella sa che il signor Lavai aveva detto a Ginevra al Barone ALoisi che,. non essendo possibile far a·ccettare il pro.gramma della consegna delle zone periferiche all'Italia, bisognava ritornare al progetto di dare uno sbocco terri-. toriale al mare all'Abissinia, vers·o cessione da parte dell'Abissinia a noi di· alcuni territori del Sud etiopi,co. Si è pronunciato a tale riguardo sia a Ginevra che a Roma qualche nome, come Baie Gimma e Caffa, ma senza nessun impegno.

Il punto di vista inglese sarebbe poi, secondo il signor Lavai, seill(pre quello che queste cessioni sono possibili se il Ne.gus vi acconsenta.

È superfluo che io Le dica come preferirei una cessinoe di territorio in dominio diretto a quella di UIIl'amministrazione ,per mandato che mi creerebbe nuovi legami e nuovi obbligh~ verso la S.d.N.

Ritengo però, data la situazione, <che messa la questione sulla base del do ut des (a parte la difficoltà da parte mia di accettare un corridoio con sbooco al mare territoriale per l'Abissinia) le proposte che mi sarebbero fatte non potrebbero essere ·che irrisorie.

Ad ogni modo sarebbe utile che Ella cercasse nel discorso con Lavai di sapere se vl è qualche idea concreta nel riguardo della cessione di questi territori e di quali terr,itori si tratterebbe (1).

(l) -Vedi D. 335. (2) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (3) -Vedi D. 357. (l) -Vedi D. 360.
367

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 1912/180 R. Roma, 17 <ottobr~ 1935, ore 9.

Giornali pubblicano che Belgio avrebbe tolto embargo spedizioni armi al~ l'Etiopia. Pre.go V. E. far verbalmente presente a codesto Governo quanto segue: l) Governo belga, può se effettivamente e sinceramente lo vuole, trovare utili pretesti per eludere praticamente raccomandazione G!Jnevra.

2) Belgio non ha alcun reale interesse in Africa Orientale tale da spin-. .gerlo ad armar·e Etiopia contro di noi; suoi interessi saranno comUIIlque meglio salvaguardati da noi che da Governo etiopico.

3) Suo interesse, come potenza coloniale, è invece quello di non armare uno Stato africano selva.ggio contro una potenza civile europea. Difesa lnte

-o qualche cosa di simile sulla zona periferica •·

27 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

ressi coloniali delle singole potenze, e quindi anche del Belgio, si fonda sulla solidarietà delle potenze stesse; armare Etiopia contro Italia significa scuotere le basi di tale solidarietà e dare a tutti i Paesi africani, siano essi colonie, Protettorati o Mandati, convinzione che essi possono sempre contare, tper opporsi ai paesi europei che li dominano o che intendono tutelare loro .diritti e interessi, sull'appoggio morale e materiale di altri Paesi europei. Dal ,che possono derivare per tutti seri pericoli.

4) Armare Abissinia significa rendere più lungo e sanguinoso conflitto attuale invece che abbreviarlo.

5) Significa altresì assumere di fronte detto conflitto attitudine di netta parzialità a favore Stato selvaggio come Etiopia e a danno dell'Italia a cui ,Belgio è legato da vincoli storici e politici.

6) Opera che Italia intende compiere in Africa Orientale è opera di civiltà uguale a quella che il Be1gio svolge nel Congo; tale opera di civiltà è destinata a risolversi a beneficio delle stesse popolazioni abissine oppresse dagli scioani. Ella potrà citare in proposito le recenti sottomissioni di Capi tigrini (l).

(l) -Per la risposta di Cerruti vedi D. 390. Con successdvo telegramma (n. 1927/662 R. del 18 ottobre 1935, ore 13,40) Suvich riteneva opportuno ribadire: «Va ( ... ) chiarito che la nostra comunicazione a Pari·gi è una precisazione sulla proposta francese di un mandato
368

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 7268/497 R. Washington, 17 ottobre 1935, ore 9,54 (per. ore 20J.

Mio telegramma n. 495 (2). Di~hiarazioni fattemi ieri da Sottosegretario di Stato hamno confermato posizione formalmente pr,esa da Governo Stati Uniti fino da inizio del conflitto e cioè neutralità, assolutamente indipendente da azione della S.d.N. Sta di fatto che neutralità americama ha finora agito in pratica come fiancheggiamento della Lega delle Nazioni e senza dubbio ciò risponde all'intima tendenza del Dipartimento di Stato. Però anche maggioranza opinione pubblica ha finara approvato tali direttive generali nella convinzione che diversa politica avrebbe effetto di provocare contrasti con membri Lega delle Nazioni, specialmente con l'Inghilterra e di mettere quindi in pericolo neutralità americana. Questo timore domina attualmente intero paese e supera qualsiasi altra preoccupazione di carattere ideologico o materiale; ragione per cui incomincia a diffondersi anche negli Stati Uniti apprensione per aggressivo contegno dell'Inghilterra.

Tale apprensione si manifesta in alcuni circoli sotto forma di sorda. risentimento contro prepotenza britannica, mentre ambienti ufficiali si mostrano essenzialmente preoccupati del problema pratico della applicazione delle misure di neutralità, anche di fronte evenienza di conflitto itala-inglese e conseguentemente effettivo blocco navale del Mediterrane.o. Risentimento contro Inghilterra ha avuto sua manifestazione più energica in un articolo firmato Hearst, contenente critiche violente della politica anglofila del Segretario di Stato. Quest'ultimo ha risposto indirettamente con un recente discorso pubblico, riaffermando direttive Dipartimento di Stato nel senso S.U.A. debbono «esercitare propria influenza morale a favore della pace», ciò che nel pensiero del sig. Hull vuole evidentemente significare appoggio morale alla S.d.N. ed all'Inghilterra.

A sua volta Segretario Affari Esteri britannico ha inviato messaggio per radio, col quale ha molto abilmente sollecitato amor proprio del Segretario di Stato americano lo-dandone larga visione nel trattare problema ricostruzione economica mondiale. Con eguale abilità ha parlato anche dei comuni ideali pacifisti deU'Iinghilterra e degli Stati Uniti.

In conclusione: fine della politica americana è oggi cristallizzato nella conservazione della neutralità. Esistono però profondi contrasti sulla via da seguire per raggiungere scopo e ciascuna corrente mette in azione tutti i mezzi per fare prevalere proprio punto di vista. Secondo Hearst, che rispecchia anche correnti alto commercio nonchè della marina, Stati Uniti dovrebbero difendere libertà dei mari anche contro minaccia Lnglese; secondo corrente isolazionista prevalente nel Congresso, converrebbe agli Stati Uniti rinunziare alla difesa del commercio ameri-cano nelle zone controllate dai belligeranti e quindi applicare embargo nel modo più estensivo. Secondo correnti del Dipartimento di Stato infine neutralità dovrebbe assumere carattere di cooperazione, sia pure indiretta, con azione collettiva contro Stati aggressori. È ovvio che prapaganda inglese [agisce] per incoraggiare ultima corrente. S.U.A. stanno cioè attraversando oggi stessa crisi psicologica che caratterizzò prima fase della sua neutralità durante grande guerra.

Intanto debbo ritenere che il Governo cootempla già in questo momento possibile inclusione di altre voci nella lista dell'embargo. A riguardo mi consta esistono divergenze di vedute in seno allo stesso Gabinetto. Dipartimento di Stato sarebbe favorevole drastica riduzione commercio con belligeranti men-: tre Dipartimento commercio cerca frenare tale tendenza. Assenza Presidente Roosevelt tuttora in crociera nel golfo messicano non permette al Governo di prendere immediate decisioni. Sembra, del resto, che stesso Presidente non potrebbe legalmente modificare attuale applicazione della neutralità senza [ottenere] dal Congresso poteri più ampi di quelli conferitigli dalla legge in vigore.

Per quanto riguarda Inghilterra mia conversazione di ieri con Sottoseg['etario di Stato ha certamente valso a richiamare seria attenzione questo Governo contro pericolo di incoraggiamenti indiretti alla politica aggressiva di Londra. Non saprei dire però se avrà anche risultato indurre Segretario di Stato a fare giungere colà una parola di moderazione.

(l) -Per la risposta di Vannutelll vedi D. 419. (2) -Vedi D. 362.
369

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7153/354 R. Ginevra, 17 ottobre 1935, ore 20,30 (per. ore 22,30).

Ho riveduto Litvinov, al quale ho fatto le osservazioni aggil.lll1tive, di cui al telegramma di V. E. n. 99 {l) giuntomi dopo la mia prima conversazione riferita col mio telegramma n. 330 (2).

Egli mi ha detto che è !ungi dal sopravalutare la portata dei precedenti costituiti nel quadro della S.d.N. in confronto degli interessi continentali britannici. Ha aggiunto però che dalla costituzione di precedenti si potrà sempre trarre qualche argomentazione da richiamare a suo tempo all'Inghilterra. A questo mira la politica dell'U.R.S.S. verso l'Inghilterra in tale circostanza.

Avendogli io osservato che suo atteggiamento e sue intenzioni sembravano molto più radicali, anche in base a quanto mi aveva dichiarato l'altro giorno, Utvinov mi ha rettificato talune sue dichiarazioni, assicurandomi che egli questa volta non ha preso nessuna iniziativa per secondare la spinta inglese e che si è limitato ad accettare quanto gli veniva proposto dagli altri, facendo anche riserve e restrizioni. Così, per esempio, dice essere stato lui a fare escludere dalla lista delle esportazioni da colpire i prodotti parzialmente manufatti. fuori d'Italia, nonché dalla lista degli articoli di importazione in Italia talune voci di materiali rotabili e ferroviari. In confronto della sua posizione verso l'Austria e l'Ungheria da me pure ricordatagli come indice delle sue intenzioni radi•cali, mi ha detto che si era limitato a sollevare le questroni senza più ritornarvi.

Quanto alla teoria espostami di dimostrare, attraverso richieste radicali, inefficacia delle sanzioni, egli ha chiarito oggi suo pensiero in termini molto. più cauti, precisando che in materia sanzioni egli tiene a riaffermMe il concetto della loro universalità in mancanza della qua1e l'U.R.S.S. si riserva libertà d'azione e farà al riguardo una generale riserva alla fine dei lavori di questa: conferenza.

Litvinov si è molto doluto del tono della stampa italiana, ohe gli è sembrato cerchi di addossare al bolscev1ismo, e per esso all'U.R.S.S., buona parte della colpa di quello che succede, seguendo la stampa antisovietica che attribuisce all'U.R.S.S. reconditi propositi rivoluzionari. Avendo io· manifestato sorpresa, egli mi ha citato un articolo del Popolo d'Italia Che -ergli mi ha: detto -taluni attribuiscono al Duce. Suppongo alludesse all'articolo del 15 corrente. Ho fatto dovute riserve sull'opinione di stampa non autorizzata, ma gli ho pure detto che finora il suo atteggiamento giustificava nella stampa italiana

l'impressione che l'U.R.S.S. fosse la prima Potenza a mostrare di seguire con zelo le direttive britanniche, ciò che non poteva mancare di produrre una giusta reazione in Italia.

Litvinov mi ha confermato che egli non ha fatto dello zelo e non intende farne, intende solo costituire un precedente sia pure di un valore relativo e riafferma~re l'autorità della S.d.N. Tale azione non vuole in pratica essere diretta contro l'Italia, potendomi dimo•strare che sanzioni « in altri casi ~ potranno essere molto più drastiche ed efficacli. Ha peraltro insistito sul pericolo cile la stampa italiana possa scivolare verso una tendenza a considerare le relazioni itala-sovietiche sullo stesso piano di fondamentale opposizione esistente fra U.R.S.S. e Hitler, e sulle conseguen:?Je che potrebbero derivarne nell'atteggiamento dell'U.R.S.S. Su questo punto mi permetto di richiamare l'alta attenzione di V. E.

Parlando dei tentativi di conciliazione, Litvinov mi ha confermato che egli desidera vederli approdare. Mi ha rinnovato la sua tesi che S.d.N. non debba• pl["estarsi a solu:lli.oni contrarie ai principi del Patto, per cui egli preferirebbe un accordo diretto, realizzato anche attraverso mediazione, se del caso, fuori di Ginevra e che poi venisse portato alla S.d.N. perché questa ne, prenda atto.

(l) -Vedi D. 346. (2) -Vedi D. 348.
370

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 7143/355 R. Ginevra, 17 ottobre 1935, ore 17 (per. ore 18,25).

Mio telegramma n. 343 (l). Delegato bulgaro Momciloff [ha ricevuto] istruzioni conformi al telegramma di Sa1puppo (2). Solo gli è stato raccomandato dii ce<rcare di non restare solo nel suo atteggiamento, tanto più che da Sofia si ritiene che Pa•e.si vicini alla Bulgaria avrebbero intenzioni consimili. Momciloff sonderà all'uopo discretamente Delegazioni jugoslave e turca, nella speranza di poter arrivare ad una qualche azione concertata·.

Mi ha raccomandato carattere estremamente confidenziale delle sue comunlcazioni, dato sorveglianza esercitata su delegazioni piccoli Paesi dai dirigentli dell'azione attuale.

Qualora non giungesse a risultati sodd1sfacenti con Turchia e Jugoslavia, cercllerà sviluppare maggiormente contatti con Sud Americani dissidenti.

(l) -Vedi D. 350. (2) -Vedi D. 330.
371

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7203/99 R. Stoccolma, 17 ottobte 1935, ore 20,50 (per. ore 1,15 del 18).

Telegramma di V. E. n. 1887/C e 1901/C (1).

Rappresenterò nuovamente questo Governo serie conseguenze che certe sanzioni, specie contro nostre esportazioni, avrebbero sui rapporti politici fra i due paesi anche dopo attuale periodo. Ma so già che ad un eventuale ostile atteggiamento politico -italiano verso la Svezia non si annette qui alcun effetto pratico. Argomento non ha quindi influenza apprezzabile sulle decisioni, che sono inspirate dal profondo carattere societa.rio e antifascista del partito dominante e dall'influenza britannica. Minaccia agli interessi economici avrebbe maggior valore presso circoli industriali, ove io potessi prospettare con franchezza nostre rappresaglie secondo i1 contenuto telegramma circolare di

V. E. 1901. ' · ':-.unr·"":

Mi permetto però far presente che nostre importazioni dalla Svezia con-' sistono principalmente cellulosa e manufatti speciali che qui, tanto produttori quanto Governo, ritengono materie prime inddspensabili nostre industrie e che contano noi saremmo obbligati cercare di procurarci in Svezia, anohe in caso di sanzioni contro nostra esportazione. Mi occorre perciò essere' preciso su questo punto per far qualche impressione. Quindi prego assicurarmi in pro-, posito, specie per cellulosa, in rapporto anche alle disposizioni che particolarmente Snia Viscosa dovrebbe prendere per limitare o sospendere, secondo il caso, suoi acquisti affinché nostri passi non vengano poi smentiti da ordinazioni (2).

372

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 7191/208 R. Vienna, 17 ottobre 1935, ore 22,35 (per. ore 7,05 del 18).

Mie-l telespressi nn. 2031 del 2 settembre (3) e 2258 di avantieri (4).

Rimaneggiamento del Gabinetto è stato deciso testè, con assoluta preva

lenza degli Hedmwehristi. Difatti, meno Ministro e Segretario di Stato per

Agricoltura, tutti i nuovi membri del Governo sono Heimwehristi.

mente Ln proprio».

Subito dopo Consiglio dei Ministri Starhemberg ha fatto comunicare dal suo Capo di Gabinetto: l) che egli è assai lieto di quanto è riuscito a conseguire per le Heimwehren;

2) che il nuovo Gabinetto seguLrà una linea di condotta ancora più italofila, «essendo stati allontanati quei membri (allusione a Fey: mio teleg,ramma per corriere n. 0106 del 7 corr.) (l) sui quali i nazisti usavano ormai appoggiarsi:.;

3) è particolarmente soddisfatto pe·r la decisa unificazione di tutte formazioni volontarie militarizzate. Queste saranno sottopo.ste al suo diretto comando, anche quando, ad unificazione compiuta, verranno a far parte dell'esercito, sotto il nome di «Milizia Volontaria Heinatschutz austriaca:..

È particolarmente degno di nota che al Heimwehrista maggioil'e Baar (circa la sui energia e viva amiciZJia pe.r l'Italia ho riferito sovente) sono stati affidati i Ministeri dell'Interno e della Sicurezza.

Aggiungo che, almeno per il momento, nessuno speciale incarico è previsto per Fey.

(l) -Vedi DD. 351 e 364. (2) -con T. 2073/47 R. del 30 ottobre 1935, ore 24, Suvich comunicava che, nell'incertezza della situazione, era stato deciso di «ottenere per mezzo interessati rifornimenti singolimercati (e non già mediante acquisti diretti di Stato), sfruttando all'uopo particolari situazioni favorevoli e servendosi privati che abbiano competenza per trattare acquisti formal (3) -Vedi D. 20. (4) -Non rinvenuto.
373

L'INCARICATO D'AFFARI A LIMA, GAETANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7340/141 R. Lima, 17 ottobre 1935, ore 22,54 (per. ore 8 del 18).

Rispondo al telegramma di V. E. n. 1887/C (2).

Presidente del Consiglio dei Ministri assicuratomi confidenzialmente che contro l'Italia non [saranno] mai applicate [sanzioni] dal Perù. Presidente della Repubblica forni identiche dich'iarazioni a Nunzio Apostolico.

In base disposizioni date da V. E. col telegramma sopracitato mi sono recato ieri dal Ministro degli Affari Esteri cui ho chiesto in qual modo Governo peruviano intendeva conciliare rapporti fraterna amicizia intercorrenti fra i due Paesi con la impossibilità in cui esso Governo avrebbe finito per trovarsi di eludere la rigida applicazione delle sanzioni.

Ministro degl:t Affari Esteri mi ha comunicato oggi avere dato disposizioni al delegato in Ginevra di opporre riserva suo Goveil'no a qualunque proposta de·l Comitato delle sanzioni tendente a fare cessare gli scambi commerciali con l'Italia o, comunque, passibili di contrarre le buone relazioni politiche ed economiche esistenti fra i due Paesi. Ministro Affari Esteri pil'egatomi comunicare riservatamente all'E. V. quanto precede.

(l) -Vedi D. 276. (2) -Vedi D. 351.
374

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7304/221 R. Bruxelles, 17 ottobre 1935, ore 23 (per. ore 7,50 del 18).

Anche prima di ric.evere il telegramma di V. E. n. 1902/C (1) av·evo già deciso stamane di protestare contro la notizia, qui diffusa dalla radio e dalla stampa, che il rappresentante belga a Ginevra si era affrettato ad appoggiare le draconiane proposte britanniche contro le nostre esportazioni, tale atteggiamento contrastante in pieno con dichiaxazioni fatte ieri al Conte Volpi ed a me questo P.rimo Ministro (mio teleg,ramma n. 220) (2) che in materia di sanzioni il Belgà.o si associerebbe soltanto a deliberati unanimi.

Il Capo di Gabinetto del Primo Ministro è venuto alla Ambasciata a spiegarmi Cihe rappresentante belga aveva aderito soltanto dopo quelle di parecchie altre Potenze con raccomandazione di prudenza sotto riserva delle mitiga-· zioni necessarlie.

Gli ho dimostrato l'opportunità che un comunicato intervenga prontamente a rettificare la penosa impressione prodotta dalla notizia anzidetta ma temo che non si avrà il coraggio di diramarlo.

Padrone della situazione è infatti tuttora Vanderve1de, che influisce ten-· denziosamente sui giornali e sulle agenzie uffi·ciose con la complicità di alU funzionari di questo Ministero degli Esteri a 1ui devoti. Questa situazione ano-· malissima comincia ormai ad essere universalmente conos-ciuta ed una crescente onda di vivo malcontento va salendo contro il signor van Zeeland a causa dei gravi danni da cui il commercio belga si sente minacciato per una eJVentuale rigorosa applicazione delle sanzioni economiche contro l'Italia. L'alta Banca,. la grande industria e l'opposizione parlamentare stanno organizzando un attac-· co al Governo ed una più vasta campagna di stampa, da noi opportunamente di,retta, sarà sferrata contro di esso domani.

375

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7146/362 R. Ginevra, 17 ottobre 1935, ore 23,30 (per. ore 1,15 del 18).•

Questo delegato albanese mi ha detto di avere ricevuto tassative istruzioni dal suo Governo di votare in seno al Comitato coordinamento esattamente nello stesso modo con cui voteranno Delegazione austriaca e ungherese.

Il signor Kurti mi ha pvegato di chtarive che egli non aveva fatto d!chtarazioni di nessun genere finora:

l) perchè riteneva che la posizione assunta dalla sua Delegazione in seno all'Assemblea doveva essere considerata come definitiva e che non fossero necessarie conferme successive;

2) perohè dichiarazioni Delegazione• austriaca e ungherese su sanzioni f1inanziarie erano state fatte da delegati tecnici e non politici.

Ho detto al signo.r Kurti che, pur seguendo le Istruzioni del suo Governo sull'oppo.rtunità di asso'Ciarsi alle Delegazioni austriaca e ungherese anche in nuove eventuali occasioni, sarebbe stato opportuno che egli, prima che si chiudessero i lavori del Comitato di coordinamento, facesse una dichiarazione per. confermare che, in armonia all'atteggiamento assunto dal suo Governo dL fronte all'Assemblea, egli si associava completamente alle riserve e alle dichiarazioni fatte dalle Delegazioni austriaca ed ungherese.

Il signor Kurti mi ha risposto che agirà in questo senso mantenendosi. intanto in stretti contatti con questa legazione, ma ha insistito perchè fossero chiarite a V. E. le ragioni per cui egli non era finora intervenuto nella discussione svoltasi in seno al Comitato di coordinamento.

(l) -Vedi D. 434, nota 2. (2) -Vedi D. 359.
376

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7374/0239 R. Londra, 17 ottobr.e 1935\ (per. il 21)~

Hoare mi ha pregato oggi nel pomeriggio di passare da lui.

Ha cominciato col dirmi che egli era molto preoccupato della situazione) Poi ha continuato: «Desidero in questo momento attirare la vostra atten..; zione particolarmente su due punti:

l) da qualche tempo in qua si è accreditata l'idea, sopratutto in Italiai che alla condotta del Governo britannico a Ginevra e in generale nel conflitto' italo-abi.ssino non siano estranei motivi di carattere anti-fascista;

2) da qualche tempo in qua si è parimenti ll!Ccreditata l'idea in Italia che la Gran Bretagna prepari una guerra, o comunque le condizioni per cul una guerra possa divenire come inevitabile tra i nostri due Paesi.

Desidero che il Duce sappia che io smentisco assolutamente tutto ciò. L'azione della Gran Bretagna non è inspirata da alcun movente di carattere antifascista nè dal desiderio di indebolire il Regime fascista in Italia. Altrettanto dicasi a proposito dell'inevitabilità di un conflitto italo-britannico. Ambedue queste interpretazioni della situazione sono inesatte e pericolose».

Ho risposto a Hoare: «Trasmetterò questa vostra dichiarazione al Duce. Ma po.ichè deside·ro essere leale e preciso, vi dico che, come Ambasciatore d'Ita., lia, aggiungerò da parte mia il seguente commento alla comunicazione del Ministro degli Esteri britannico: Queste sono le dichiarazioni di Ho are, e non ho ragione di dubitare che esse non rispondano a quello che egli pensa. Ma esse non rispondono alla situazione di fatto, perchè i risultati della mia osser., vazione obiettiva mi hanno indotto e mi inducono sempre più nella ferma convinzione che gli obiettivi del Governo britannico sono i seguenti: la lotta contro il fascismo e la provocazione di una guerra contro l'Italia. In questo senso ho riferito e continuerò a riferire al mio Governo~.

Hoajre, che non si attendeva questa mia cruda risposta, non ha replicato dapprima. Poi mi ha pregato di spiegargli quali erano i motivi che mi indu~ cevano ad esprimere un giudizio così grave.

Ho risposto a Hoare ripetendo punto per punto e nella maniera più netta e più esplicita quello che ho detto a Vansittart nel mio colloquio del 5 otto1 bre (telegramma per corriere n. 208) (1). «Le dichiarazioni antifasciste di Ba·ldwin al Congresso di Bournemouth, l'intervento inqualificabile di Eden a Ginevra per domandare che nel rapporto del Consiglio fosse fatta una distinzione fra il Governo fascista e il popolo italiano, i contatti mai smentiti fra Eden, W. Stee'd e i fuorusciti italiani, l'opera quotidiana di sobillazione che gli uffici stampa del Foreign Office e di Downing Street esercitano sulla stamp~ per aocrescere e intensi-ficare un'artificiosa eccitazione popolare contro l'Italia, gli ordini dati dagii uffici governativi alle stazioni Radio di boicottare l'ItaUa e di dedicarsi interamente alla propaganda antiitaliana', le manifestazioni e dimostrazioni di piazza non ostacolate affatto dal Governo, la sistematica svalutazione delle notizie che pervengono dal fronte italiano, e la furiosa speculazione su tutte le menzogne che giungono o che sono fatte giungere da Addis Abeba. La condotta di Eden e della delegazione britannica a Ginevra che esercitano ogni sorta di influenza per premere le grandi e le piccole Nazioni ad adottare misure drastiche contro l'Italia, la continuata insistente opera di intimidazione fatta sul Governo francese per convincere la Francia ad abban.,. donare l'Italia ed associarsi alle proposte britanniche di sanzioni di estrema. durezza contro di noi, le oscure dichiarazioni fatte ieri da Baldwin a Amery· nelle quali si è chiaramente adombrato l'adozione di misure militari contro l'Italia, e da ultimo l'intimidatoria intervista di Chamberlain alla stampa fran-. cese. Tutto dimostra in un modo troppo chiaro quali sono le vere intenzioni britanniche e quale è la catena di avvenimenti che l'Inghilterra tenta di precostituirsi pe.r effettuare la sua aggressione contro l'Italia: sanzioni economiche, sanzioni militari o per lo meno controllo militare sulle sanzioni economi-· che, da ultimo blocco dei nostri eserciti in Afrka. Il che, naturalmente, significa la guerra, non solo fra l'Inghilterra e l'Italia ma -ho detto -la guerra in Europa. L'Inghilterra non deve farsi la benchè minima illusione che, se l'Italia sarà provocata e costretta a difendersi sul mare, il conflitto sarà localizzato fra l'Inghilterra e l'Italia. Il conflitto sarà esteso a tutta l'Europa, e l'Inghilterra unicamente porterà di' esso la responsabilità ~.

Hoa:re mi ha ascoltato con attenzione. Egli non ha contestato· i fatti e neppure quello che io ho indicato essere gli obiettivi dell'azione britannica a

Ginevra. «Non posso a meno di apprezzare la vostra cruda franchezza, ma non posso non dissentire dall'interpretazione che voi date della situazione». Hoare ha continuato negando naturalmente qualsiasi ostilità preconcetta contro l'Italia, giustificando le dichiarazioni di Ba1dwin, senza troppo tuttavia giustificare la condotta di Eden, e insistendo che la posizione del Go.verno britannico è tuttora quella che egli aveva esposto al Duce, il 23 settembre, pel tramite di Drummond (1). «Il 23 settembre u.s. ho dichiarato al Duce, per il tramite dell'Ambasciatore britannico a Roma, che l'Inghilterra non contemplava. nessuna azione oltre e al di fuolri dell'azione collettiva attraverso Gi'nevra. Ripeto ancora oggi che la Gran Bretagna non intende intraprendere alcuna azione isolata nei riguardi dell'Italia, a: meno che non si verifichino atti di· provocazione da parte italiana, atti che io ho il dovere di escludere dorpo 1e· nette dichiarazioni ed assicurazioni fatte dal Duce in ripetute o'C~ca'sioni, dal comunicato di Bolzano (2) al suo messaggio del 2 ottobre (3). Circa l'ampiezza e l'estensione delle sanzioni in base all'art. 16 voi dovete darmi atto che esse non sono andate sinora oltre i limiti di sanzioni economiche. Io prendo per, sonalmente l'impegno che dal primo capitolo non si passi al secondo e cioè che le sanzioni economichte non slittino sul terreno delle sanzioni militari. Concordo, con voi che bisogna rompere quella catena logica di avvenimenti che voi avete indicato prima che la situazione possa aggravarsi. Domando per ciò che l'Italia non renda con la sua ulteriore azione più difficile il mio compito».·

Ho risposto: «L'esperienza di queste ultime settimane, l'azione di Eden a Ginevra e l'azione/ di pressione del Foreign Office su Parigi hanno anche troprpo dimostrato che se la a'Pplicazione delle sanzioni contro l'Italia non è stata: portata finora ad estrema conseguenza ciò è dovuto esclusivamente a1la resi-' stenza frapposta da altre Nazioni. È stato dimostrato inoltre che cosa significa· veramente per la diplomazia inglese l' "azione collettiva". Questa non è altro che un paravento dietro il quale il Governo britannico, cerca, ma inutilmente,< di coprirsi giustificando quella che è stata e che è un'azione "isolata" dell'Inghilterra. Da·ll'invio della flotta nel Mediterraneo fino alle recenti escande"" s·cenze di Eden, l'Inghilterra non ha fatto altro se non una premeditata azione isolata di sistematica coercizione su quella che è la vera volontà della ma'ggio-· ranza dellle Nazioni. Il Governo fasdsta deve quindi fare le sue riserve su queste rinnovate assicurazioni che non rispondono alla rea1tà e all'esperienza dei fatti. L'Inghilterra ese.rcita già di fatto un'azione isolata contro l'Italia. Oggi cerca di fare questo dentro Ginevra. Domani è possibile, sa lo strumento di Ginevra fa'llisse, come fallirà, che questa azione isolata sia fatta fuori di Ginewa. Circa l' "ulteriore azione dell'Italia" deve essere ben chiaro che, se voi vi riferiste per avventura alla possibilità che l'Italia arresti le sue operazioni militari in Africa, vi rispondo subito, senza interpellare! il mio Go've-rno, che la nostra avanzata in Africa non sarà arrestata, e che una rinnovata azione intimidatoria verso l'Italia non avrebbe altro risultato se non dimostrare ancora una volta all'Italia fascista la necessità di andare fino in fondo.

Prendo atto che voi riconoscete la ne,cessità di rompere la catena pericolosa. Questo dipende esclusivamente dal Governo britannico. II Duce è stato sempre pronto da parte sua a far ciò. Que,gto è stato sempre il suo pensiero costante', e il motivo che ha determinato il messaggio che il Duce mi ha incaricato di portarvi il 3 ottobre u.s. Non posso dire che la vostra risposta è stata allora incoraggiante. Nel messag,gio del Duce erano contenuti dei punti e delle proposte che il Governo britannko ha lasciato cadere. Da quel giorno l'azione della delegazione britanniea a Ginevra ha aumentato il suo accanimento mettendo in ope'ra ogni sua influenza per acceletare una situazione che renda sempre più difficile la ricerca di una soluzione del conflitto itala-abissino, e inasprisca sempre più i rapporti fra i nostri due paesi. Occorre che· il Governo britannico, se intende. veramente venire a una distensione dei rapporti coll'Italia, cominci a dare ordini al suo delega:to a: Ginevra di procedere con un maggior senso di responsabilità verso quelli che sono gJi interessi della pace europea e della stessa S.d.N. ».

Hoare mi ha replicato dicendomi che « le' parole del messaggio del Duce del 3 ottobre non erano caldute o state dimenticate da lui. Malgrado le aumentate difficoltà derivanti dal ,fatto compiuto dell'inizio delle operazioni militari in Africa, io non ho perduto la speranza nella possibilità di trovare una soluzione della questione abissina che metta fine al grave turbamento internazionale determinatosi in questi ultimi mesi. Nel suo messruggio del 3 ottobre il Duce mi ha fatto sapere che egli ritiene che c'è modo di intendersi, e che peli' parte sua egli è pronto. Questa è una dichiarazione di intenzioni di cui ho preso e prendo atto con soddisfazione. La situazione sarebbe faiCilitata se il Duce avanzas:se delle proposte pre·cise. A queste proposte vi posso assicurare che, malga.-ado la situazione difficile, il Governo britannico non chiuderebbe la porta».

Ho risposto a Hoare che prendevo atto di quanto egll mi diceva, ma egli doveva retndersi conto che sarebbe assai difficile per il Duce di trattare un componimento del conflitto' itala-abissino in un'atmosf•era di così palese intimidazione quale è que1la che è venuta a determinarsi in questi ultimi tempi, per effetto esclusivamente dell'azione britannica. Occorre provocare prima una distensione rea'le ·ed effettiva nei rapporti italo..Jbritannici e in questa migliorata situazione psicologica negoziati putrebbero svolgersi con maggior probabilità di un esito favorevole.

Hoare ha replicato dicendomi che egli era convinto della necessità di una distensione dei rapporti itala-britannici. «Questi sono andati di nuovo divenendo più acuti in queste ultime settimane. Ritengo quindi otpportuno di riprendere l'argomento già discusso nei nostri colloqui del 30 settembre (l) e del 4 ottobre (2) circa la possibilità di una riduzione delle misure militari prese dall'Italia e dall'Inghilterra nel Mediterraneo. Il Governo e l'opinione pubblica britannica sono stati impressionati dall'ulteriore invio di truppe in Libia in questi ultimi giorni. Le forze nO'rmali in Libia sono state aumentate da 20 mila a 80 mila uomini circa. In queste condizioni noi siamo costretti ad inviare

una o due divisioni in Egitto. Io ripe,to la proposta fatta, e cioè se il Governo italiano esaminerà la possibilità di una riduzione delle sue truppe in Libia, noi rinunceremo all'invio di truppe in Egitto e non rinforzeremo ulteriormente, come in questi giorni è stato deciso dal Gabinetto, le nostre unità navali nel Mediterraneo».

Ho risposto a Hoare ricordandogli le precise proposte del Duce nel suo messaggio del 2 ottobre: « Re,ciproca e simultanea smobilitazione di tutte le misure di sicur·ezza delle forze dell'Italia e della Gran Bretagna nel Mediterraneo ». Ritengo che il Duce potrà esaminare una riduzionè delle nostre guarnigidni i'n Libia, ma solo a condizione che la Gran Bretagna fa·ccia altrettanto nelle sue unità navali nel Mediterraneo. Non ritengo possibile che il Duce possa esaminare il problema delle guarnigioni libiche soltanto in rapporto alle guarnigioni britanniche in Egitto e senza tener conto delle misure navali di carattere eccezionale J)["ese daUa Gra'n Bretagna nel Mediterraneo. Se è vero, come voi insistete a dirmi, che l'Inghilterra non pensa a un'azione isolata contro l'Italia, o dentro o fuori Ginevra, le misure navali adottate recentemente dall'Inghilterra nel Mediterraneo non hanno rag·~one di essere. Se verranno mantenute esse ·C'Ostituiranno la prova manifesta di quelle che tutto il popolo italiano e l'op~nione pubblica mondiale crede 'a ragione le intenzioni britanniche contro l'Italia e il Regime fasdsta ».

Hoare ha risposto dicendo: «Non è esatto che la "Home fleet" sia stata dislocata nel Mediterraneo. L'Ammi'ragliato britannico ha inviato ne·l Mediterraneo soltanto quel nume,ro di naVIi che risultavano mancanti all'organico prestaUlito per la nostra flotta mediterranea. Anche il Duce nel suo· incontro con Drummond (1), ha r·iconosc'iuto l'esattezza di questo. E' assai difficile per il Governo britannfco considerare il ritiro di queste navi, o, comunque, una riduzione delle misure navali difensive prese dall'Inghilterra. L'attitudine della stampa italiana in questi ultimi giorni e sdpratutto l'ulterio're invio delle truppe italiane in Libia ha di nuovo creato l'idea di una possibile mina·ccia da parte dell'Italia' contro la Gran Bretagna. L'Ammiragliato britannico ha. veramente temuto a metà settembre che un attac·co contro la nostra base di Malrta fosse stato preordinato dalll'ltalia ».

Ho inteno·tto a questo punto Hoa,re replicando vivacemente di non insistere su questi argomenti i quali rischierebbero di compromettere tutta la serietà della nostra discussione. «La stampa 'e la opinione pubblica italiana hanno dimostrato anche troppo, un senso di dignttoso riserbo e di controllo di fronte alle insultanti manifestazioni che hanno luogo ogni giorno in Inghilterra contro il fascismo e l'Italia, e di f["onte alla provocatoria e minacciosa azione giornalmente esercitata a Ginevra dalla delegazione britannica contro l'Italia».

Hoare: «È difficile, ri,peto, prendere in considerazione la possi'bilità di una riduzione delle nostre forze naval'Ì nel Mediterraneo. Tuttavia non intendo dirvi oggi a questo proposito· l'ultima pa'rola. Riprendiamo la conversazione fra qualche giorno. Io vi prometto di esaminare ancora questa questione coi miei colleghi e spero che qualche soluzione sarà trovata che venga incontro

alle preoccupazioni di ambe le parti. Desidero che il Duce sappia ad ogni modo:

l) di fronte a proposte predse da parte del Duce per una soluzione della questione abissina l'Inghilterra non chiuderà assolutamente la porta;

2) io farò del mio meglio per impedire lo slittamento delle sanzioni economiche sul terreno militare;

3) occorre in questo momento sopratutto determinare una di·stensione nei rapporti italo-britannici e per questo non mi rifiuto di esaminare la possibilità di una riduzione nelle misure prese o da prendersi nel Mediterraneo».

Ho replicato a Hoare che prendevo atto di queste sue dichiarazioni, e che mi auguravo sinceramente che esse rappresentassero finalmente l'inizio di una maggiore comprensione e anche -ho detto -di un maggiore senso di responsabilità dei doveri dell'Inghilterra, non solo di fronte all'Italia, ma anche di fronte al probllema della pace generale. 4: Sono costretto tuttavia a rilevare il tono di tutta la stampa britannca la qua}e è stata oggi portata a trarre dalla riunione del Gabinetto di ieri delle conclusioni assolutamente diverse e in netto contrasto colle dichiarazioni che voi mi avete testé fatto. Non potete pensare che dando contemporaneamente due impressioni e due versioni assolutamente contraddittorie, una di tono ottimistico al Gove'rno fascista, l'altra di tono pessimistico alla nazione britanni.ca, ciò induca a promuovere un senso di fiducia nelle intenzioni del GoVlerno britannico. La stampa di oggi è stata nettamente indirizzata dagli uffici del Foreign Office -ho continuato -a premere sulla Francia perchè abbandoni l'Italia ricorrendo persino alla minaccìa della dlenuncia di Locarno, a svalutare il contributo italiano alla sicurezza francese, a prO'spettare l'eve'ntualità di attacchi da parte dell'Italia contro la Gran Bretagna nel Mediterraneo, a met~ere in rilievo tutte le iniziative di Edetrl. per un'applicazione di sanzioni di carattere estremo ·contro ,l'Italia, a eccitare ancora la opinione pubblica britannica contro l'Italia e rendere più difficile quella distensione psicologica e quell'esame di una reciproca smolbilitazione nel Medit·erraneo ,che ·voi mi' avete testé dichiarato essere nelle vostre fntenzioni di promuovere».

Hoa're mi ha replicato dicendomi che la stampa britannica di oggi non r~produce quella che· è attualmente la situazione. «Quello che vi ho detto oggi, l'ho fatto stamane dire a Laval. Noi non chiudiamo le porte a nessuna proposta che possa portare a una distensione delle r'elazioni ita1o-britanniche e ad una soluzione del conflitto illalo-abissino. Le discussioni col Governo francese non sono finite, come i giornali affermano. Esse continueranno nei prossimi giorni. Desidero per questo stare in stretto contatto con voi».

Cosi la conversazione è terminata. Il linguaggio di Hoare, come il Duce ha visto, non è quello da lui usato i1 4 ottobre quando ebbi a pGrtargli il messaggio del Duce. Durante l'intero colloquio di oggi Hoare ha riVlelato la preoccupazione di •convincermi che nessuna premeditata intenzi'one ostile vi è da parte britannica nei riguardi dell'Italia. Per o•ttenere questo scopo Hoare si è lasciato andare ald alcune affermazioni ed a:rnrrrlssioni che non sono prive di interesse. Esse tuttavia vanno registrate con molta riserva.

L'esperienza ha dimostrato che alle nuove disposizioni generiche dimostrate di tanto in tarnto da Hoare non ha mai, almeno sinora, corrisposto l'azione effettiva del Governo britannico. Le dichiarazioni fattemi ieri da Hoare vanno messe, a mio avviso, in relazione:

l) col nervosismo crescente che si è andato manifestando a.varntieri nella City per il timore che l'azione di Eden a Ginevra possa provocare un conflitto europeo;

2) alle notizie che vengono da Ginevra e che famno intendere come il problema delle ·sanzioni sia ben complesso e più .pericoloso di quanto in Inghiitera:a non si immaginasse;

3) alle notizie dall'Italia le quali danno la precisa sensaz1one che il popolo italiano è convinto che l'Inghiltel'ra prepara la guerra e che l'Italia si prepara: ad affrontare, coo:npatta in una ferrea volontà di resistenza la minacciata aggressione britannica.

Il Duce giudicherà se .non sia il ·caso di farmi avere istruzioni in vista di ulterlori conversazioni che Hoare vorrà avere con me a seguito delle sue dichiarazioni di oggi (1).

(l) Vedi D. 257.

(l) -Vedi D. 166. (2) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 864, nota l. (3) -Vedi D. 224. (l) -Vedi D. 209. (2) -Vedi D. 250.

(l) Vedi D. 166.

377

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 12299/0174 P.R. Pari.gi, 17 ot~obre 1935 (pÙ. il 20).

Rientro dal Quai d'Orsay dove ho avuto un'interessante conversazione con Léger, preceduta dalla intesa dì parlare francamente nell'interesse dell'amicizia dei nostri Paesi.

Ho detto al Segretario Generale che le notizie giuntemi da Ginevra avevano confermato in me l'impressione che l'atteggiamento assu.nto dai piccoli stati era conseguenza del loro ·Convincimento che tra Francia ed Inghilterra regnasse un completo accordo circa le sanzioni da applicare all'Italia cosicché una loro eventuale resistenza non avrebbe servito a nulla.

Léger mi disse che egli aveva già tratto l'impressione dal colloquio di ieri fra il Signor Laval e me (2) che in Italia si considerasse come perfetto, sin dal primo momento, l'accordo fra Parigi e Londra circa le sanzioni. Nulla era più inesatto. Poteva anzi doveva dirmi che da vari anni i rapporti francobritannici non avevano traversato una crisi come quella attuale. Durante le conversazioni di Ginevra col Barone Aloisi tanto Laval che 1ui stesso avevano avuto occasione di lasciar intendere che le discussioni con gli inglesi erano giornaliere e spesso molto aspre. Egli considerava giunto il momento di parlare meco in tutta franchezza, pregandomi soltanto di fare uso discreto di quanto mi avrebbe confidato.

LI dissenso tra Parigi e Londra riguarda l'art. 16 e sorse fino dal primo momento in cui se ne parlò. Lavai si oppose infatti in termini categorici alle sanzioni militari, alla chiusura del canale di Suez ed al blocco, nonché alla visita delle navi di commercio. Poteva assicurarmi che le difficoltà che egli incontrò furono grandissime. Ottenuta ad ogni modo vittoria al riguardo, Laval voleva che gli ing.Iesi consentissero che non lo si poteva fare, dato che si era nel periodo precedente alla dichiarazione di colpabilità dell'Italia, in, un periodo quindi in cui non si dovevano menzionare le misure previste dall'art. 16. Quando tale dichiarazione avvenne Lavai insistette nuo'vamente presso gli inglesi per un comunicato che rendesse noto l'accordo intervenuto al riguardo tra Parigi e Londra, e sostenne che esso era necessario· anzi indispensabile per calmare gli animi e dimostrare che il pericolo di guerra non era così grande come generalmente si riteneva. Londra continuò a: rifiutare dicendo che una pubblicazione della determinazione franco-inglese non era possibil'e perché avrebbe potuto urtare le suscettibilità degli altri Stati membri del Consiglio, dato che soltanto questo consesso è competente, in linea di diritto, a statuire sulle sanzioni. Lavai era il"·imasto seccatissimo dell'atteggiamento inglese. Non potendo pubblicare un comunicato esplicito circa la limitazione deUe sanzioni a quelle di carattere finanziario ed economico, egli aveva nelle sue dichiarazioni di Clermont F1errand di domenica scO'rsa adoperato l'espressio'ne «nous avons décidé l) per ·esprimere in qualche modo che la decisione di limitare il carattere del1e sanzioni riguardava non solamente la Francia.

Per quanto concerne poi le sanzioni finanziarie ed economiche il Signo'r Lavai aveva chiesto ed ottenuto in modo categorico dall'Inghilterra che esse dovessero essere collettìve, cioè concordate e ciò tper evitare che domani la Francia si po'ssa tro·vare coinvolta in provvedimenti che essa non approva. Potevamo stare certi che la Francia teneva gli occhi bene a.perti non volendo correre rischi. In tale stato di cose gli impegni presi dalla Francia ne-i riguardi dell'Inghilterra sono espliciti ma limitati alle sanzioni ec'Onomiche, non essendo possibile che ne Viengano applicate altre, dopo gli accordi intervenuti. Mi aveva detto che gli impegni sono espliciti. Ciò significa che se, volendosi opporre alle ~sanzioni economiche, l'Italia attaccasse l'Inghilterra d qualunque altro Stato membro della S.d.N. per un fatto inerente alle sanziolni stesse, la Francia si riterrebbe obbligata a prestare la sua assistenza, anche militare allo Stato aggredito. Ciò però signifi,ca anche che se Inghilterra venisse aggredita dall'Italia non per una causa ìnerente alle sanzioni economiche, ma per una causa inerente al concentramento nel Mediterraneo della flotta ingl,ese, la Francia non avrebbe alcun obbligo ~di assistenza, dato· che il provvedime'nto britannico fu preso ad insaputa della: Francia la quale, se consultata, avrebbe espresso parere contrario a:d un provvedimento che ritiene abbia aggravato notevolmente la situazio'ne già tanto delicata.

Léger mi ha lasciato intendere che il risentimento inglese per questo atteggiamento di Lavai è molto .grande e, sia pure in forma velata, ha accennato ane difficoltà di politica interna che gli inglesi stanno creando al Presidente del Consiglio.

(l) -Non sono state rinvenute istruzioni di Mussolinl. Per il successivo colloquio di Grandi con Hoare vedi D. 519. (2) -Vedi D. 360.
378

COLLOQUI DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 14 e 17 ottobre 1935 (1).

L'Ambasciatore Long è statO' interpellato dall'Ambasciata inglese per sapere se gli risultasse che il Capo del Governo avesse dichiarato al Senatore Allen essere egli persuaso c.he l'Inghilterra prepara e vuole la guerra contro l'Italia.

L'Ambasciatore Long ha risposto ·che non lo sapeva, ma che del resto le sue conversazioni col senatore Allen avevano un car'attere puramente confidenziale.

Comunico all'Ambasciatore che verrà pubblicato un comunicato nel quale sa!rà detto non avere noi intenzione di bombardal'e Addis Abeba e Dire Daua, salivo nel caso che questi posti diventassero COIIlcentramenti di truppe e materiale abissino.

L'Ambasciatore, a mia domanda, mi dice che l'altteggiamento americano è inspirato alla più assoLuta neutralità. Og.gi l'atteggiamento americano puq disturbare noi, ma domani se il conflitto dovesse al1al'lgarsi, esso potrà esserci di vantaggio (2).

379

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVIGH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 17 o~toòre 1935.

L'Ambasciatore Stein d!ce che l'attività di Litvi,nov e dell'U.R.S.S. in genere è presentata in Italia sotto una falsa luce. Bisogna rendersi conto c.he l'U.R:S.S. si trova in una posizione particolarmente deUcata per il principio informatore della sua politica, contrario alla guerra di espansione e in genere alla guerra coloniale.

L'U.R.S.S. ha anche il massimo interesse a far constatare c.he la macchina di Gine.vra funziona.

28 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

Tutto cl.ò non ha nessuna punta éontro l'ttaìia e anzi, ottenutt i suoi intenti, l'U.R.S.S. intende attenuare per quanto possibile, le ripercussioni dannose per l'Italia.

Per dimostrare come viene svisato l'atteggiamento dell'U.R.S.S. a Ginevra, egli può dirmi che:

l) Litvinov non ha mai proposto di estendere le sanzioni all'Austria e all'Ungheria, come è stato pubblicato dai giornali italiani. Ha semplicemente chiesto che atteggiamento si terrà nei riguardi dei paesi obbligati alle sanzioni e che non vi partecipano;

2) Litvinov ha chiesto perché dall'elenco delle materie prime di cui si voleva vietare l'importazLone in Italia erano escluse la lana e la gomma. Ciò egli ha fatto per mettere nell'imbarazzo l'Inghilterra, dato che questi due prodotti sono, in tutto il mondo, sotto il controllo inglese. Thnto è vero che Litvinov ha dichiarato che egli non intendeva per nulla proporre che questi prodotti fo1ssero inclusi nell'elenco;

3) Litvinov ha votato contro una proposta francese che tendeva ad inasprire le sa'nzioni contro l'Italia.

Rispondo all'Ambasci,atore che non avevo seguito nei particolari le questioni di cui egli mi parla. Potevo dirgli però che in Italia c'è un certo risentimento contro l'U.R.S.S. che dà l'impressione di essere particolarmente accanita per la questione delle sanzioni.

Il discorso Potemkine è stato il più brutto discorso tenuto co'ntr'a l'Lta:lia nell'ultima sessione ginevrina.

J~'Ambasciatore deve rendersi conto che il popolo italiano è particolarmente suscettibile in questo momento e che tiene co'nto di ogni gesto degli altri paesi dato che ha l'impressione che, nei suoi confronti, si commetta una grandissima ingiustizia. Nessuno potrà mai persuadere il popolo italiano che ci sia una ragione per aver lasciato il Giappone prendere un territorio di quaranta milioni di cinesi, e ci sia la stessa ragione per impedire all'Italia la sua penetrazione in un paese barbaro e schiavista.

Il signor Stei:n risponde che all'epoca del Manciukuo la Russia non apparteneva alla S.d.N. e che in quell'occasione l'U.R.S.S. era contraria alla politica della S.d.N. perché voleva un atteggiamento più II'igido e s·evero.

Ad ogni modo l'Ambasciatore vuole richiamare l'attenzione del Governo italiano sulla campagna a carattere personale che si fa contro Litvinov in quasi tutti i giornali italiani. Cita fra l'altro l'articolo 4: Litvinov, del Regi

me Fascista.

Egli si chiede se veramente noi in questo momento abbiamo interesse ad attaccare tutto il mondo, anche quei paesi, che, come l'U.R.S.S., si tr:ovano in, una situazione di necessità ma vogliono mantenere i miglio;ri rapporti con l'Italia.

Gli ho già eSIPosto le ragioni per cui l'atteggiamento dell'U.R.S.S. ha suscitato una reazione in Italia. Mi riservo ad ogni modo di riesaminare ra:tteggiamento della stampa, di cui egli mi parla, per i possibili pro·vv,edimenti.

(l) -L'appunto è unico ma si riferisce a due colloqui distinti, come risulta anche da Foreign Relations oj the United states, 1935, vol. I, Genera!, the Near East and Africa, Washington, United States Government Printing Office, 1953, pp. 894-895. (2) -Il presen~c documento rec·a il visto di Mussolini.
380

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'INCARICATO D'AFFARI DEL BRASILE A ROMA, MACHEDO SOARES

APPUNTO. Roma, 17 ottobr(e 1935.

L'Incaricato d'Affari esprime la convinzione che il Brasile, che non è nella S.d.N., non vorrà associarsi in nessun modo alle sanzioni contro l'Italia. Ciò tanto più dopo l'atteggiamento amichevole nei nostri riguardi di altri paesi del Sud-America.

Egli è convinto che il Brasile non parteciperà ad alcuna mi·sura contro l'Italia. Ad ogni modo riferirà al suo Governo questa conversazione.

381

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DI ARGENTINA A ROMA, CANTILO

APPUNTO. Roma, 17 ~ttQbrte 1935.

Mi ha detto di essersi accordato col suo collega del CHe (l) per proporre a propri Governi di assumere a Ginevra una iniziativa del genere dii quella già assuntasi dagli Statì sudamericani in· occasione del conflitto per il Chaco. Per iniziativa dei delegati dell'Argentina e del Cile il Consiglio sarebbe invitato a delegare ai Governi delle tre Potenze confinanti con l'Etiopia la compo·sizione della vertenza. In sostanza, si tratterebbe di. una ripetizione dell'incontro di Parigi, ma questa vo•lta l'iniziativa sudamericana avrebbe lo speciale valore di costituire un riferimento a un precedente già sperimentato dal Consiglio nonché un ri·chiamo alla tradizione ginevrina di non precipitare le co'se nel caso di situazioni particolarmente gravi (2).

382

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 ottobre 1935.

Colloquio con l'Ambasciatore del Cile.

Mi ha riferito una sua conversazione con Drummond a proposito di sanzioni. Gli ho detto di ritenerle di dubbia ef'ficacia perché non unanimi, data la più o meno esplicita defezione di tutta l'America Latina e di molti altri Stati membri e non membri della Lega, e di ritenerle particollarmente dan

rtose in questo momento perché rendono estremamente difficile ogni tentativo di pacificazione. Drummond gli avrebbe rispo,sto: "È esatto, ma è difficile trovare una maniera di uscire da questo impiccio~.

Dopo questo preambolo, Rivas-Vicufia mi ha fatto la stessa proposta che l'Ambasciatore argentino (1), aggiungendo di averne già parlato a Chambrun, che ne riferirà al suo Governo.

Le visite a Drummond e Chambrun mostrano che la cosa è stata proposta a noi dopo che si è assodato che anche gli altri due sono ben disposti.

Dato ciò, prego V. E. compiacersi darmi pronte istruzioni in proposito affinché i due Ambasciatori possano telegrafare al più presto ai r1spettivi Governi (2).

(l) -Vedi D. 382. (2) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolinl.
383

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 17 ottobre 1935.

Mi ha detto di essere venuto a visitarmi per felicitarsi de'll'Oipera svolta daJUa Delegazione italiana a Ginevra. Ma vero scopo della sua visita era quello di sentire le mie impressioni su quello che si è svolto lassù.

Gli ho così sintetizzate le mie impressioni, aggiungendogli che esse erano condivise da tutte le delegazioni, specialmente da quella russa: questa mobilitazione ginevrina contro l'Italia non rappresenta che le grand.i manovre in vista deHa mobilitazione che a più o meno lontana scadenza dovrà essere ripetuta contro la Germania.

Ha: dichiarato• di essere pienamente convinto di questa interpretazione. Ora che la S.d.N. è stata smascherata senza possibilità di equivoci ed è stata riconosciuta quale strumento dell'imperialismo inglese, la Germania si felicita di esserne fuori. Ha aggiunto di e•ssere convinto che, una volta superat~ l'attuale svolta pericolosa, la riforma della Lega si imporrà come una necessità inderogabile (3).

384

LA SEZIONE AFFARI SEGRETI DEL GABINETTO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 ottobre 1935.

II signor Glabri, de~egato a Ginevra del Comitato siro-palestinese, è giunto a Roma da dove partirebbe sabato per Gerusalemme.

Egli mi fa presente che negli ultimi tempi la propaganda dai servizi segreti inglesi contro l'Italia ha segnato qualche successo specialmente in Siria e che egli stesso e il Schekib Arslam sono accusati di essersi fatti raggirare dall'Italia.

Il signor Glabri, che viene a Roona accompagnato dalle più ampie commendatizie di Schekib Arslam, insiste perché, come egli già richiese un mese fa, gli sia versato in anticipa tutta o parte della somma sulla quale egli afferma di poter contare nei prossimi due anni in base alle promesse fattegli. Tale somma dovrebbe aggirarsi intorno ai quattro milioni. La richiesta iniziale che il Glabri afferma approvata, sarebbe stata di sei milioni in tre anni a partire dall'll!prile 1934. Di qu:esta cifra è stata corrisposta a tutt'orggi la somma di l milione 740 mila lire.

Egli insiste anche perché siano fornite al più presto a Ibn Saud, sbarcando1e segretamente in un porto deHa Saudia, le armi di cui egli presentò un m:ese fa la lista. A riguardo di queste armi non risulta tuttavia che vi siano state precise promesse fatte al signor Glabri. Ove si decidesse di dar corso anche alla promessa delle armi, sarebbe oppo,rtuno che queste fossero di marca non italiana. Era stato al riguardo già parecchio tempo fa interessato il Ministero della Guerra perché accantonasse degli stock di armi ex-austriache. Non risulta se questi stock siano ancora esistenti. Eventualmente dovrebbero usarsi le armi acquistate ultimamente in via segreta in Belgio o quelle che sono in trattativa nell'Olanda. II signor G~abri intenderebbe eventualmente far caricare queste armi in porto straniero o italiano da piroscafi tedeschi dei quali egli afferma di poter sicuramente disporre.

(l) -Vedi D. 381. (2) -Mussollnl ha annotato sul documento: «Nulla asta», ma vedi D. 408. (3) -Il presente documento reca il visto d! Mussollnl.
385

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS

T. 1913/111 R. Roma, 18 ottobre 1935, ore 5,30.

PregoLa far rpre·sente verbalmente a codesto Governo che, nonostante pro>posta formulata Ginevra togliere embargo spedizioni armi in Etiopia, R. Governo confida che Cecoslovacchia si asterrà, come plù volte promessoci, dall'armare Etiopia contro di noi.

l) Governo cecoslovacco può, se effettivamente e sinceramente lo vuole, trO'Vare utiili pretesti per eludere praticamente raccomandazione Ginevra.

2) Armare Etiopia contro Itali'a significa rendere pi'ù lungo' e sanguinoso conflitto e renderne più difficile una soluzione di conciliazione anche rpel maggiore sforzo che ci sarà necessario compiere.

3) Interesse Cecoslovacchia è di fare in modo che Italia possa venire a capo rapidamente e con sua piena soddisfazione della questione abissina per togliere di mezzo perico,lo che la minaccia in Africa, ciò che le permetterà di dedicarsi più liberamente alle questioni europee alle quali codesto Paese è essenzialmente interessato.

4) Forniture armi fatte da Cecoslovacchia ad Abissinia sarebbero interpretate in Italia come attitudine di parzialità di codesto Paese a favore Abissinia e susciterebbero nell'opinione pubblica italiana legittimo risentimento (1).

386

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA

T. 1923/43 R. Roma, 18 ottobre 1935, ore 5,30.

A seguito telegramma 1901/C (2) segnalo a V. S. che in seduta del 16 corrrente del Sottocomitato economico per sanzioni a Ginevra Delegato di codesto Governo ha dato sua approvazione a proposta britannica vietare importazione di prodotti e manufiatti di ori.gine e provenienza metropolitana e coloniale italiana.

Misura predetta tende ridurre disponibilità italiana di valute e avrebbe per conseguenza [imitare possibilità rifornimenti popolazione civile. In tal senso misura predetta appare contraria direttive Assemblea ginevri'na 1921 che escludono almeno· in una prima fase applicazione misure del genere.

Voglia far presente a codesto Governo che atteggiamento del genere non può non influire sui rapporti di amicizia che corrono fra i due Paesi (3).

387

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. 1924/128 R. Roma, 18 ottobre 1935 (4).

Azione Titulescu ne·l Comitato· di coordinamento per le sanzioni ha mirato più volte accelerare e aggravare portata misure proposte .contro Italia. Segnalo tra l'altro tesi da lui sostenuta nella seduta 14 corrente che Governi membri in quanto hanno ratificato Trattati nei quali il patto è incluso si sono con ciò stesso 'impegnati a darre piena esecuzione alle misure contemplate dall'art. 16 le quali pertanto debbono essere immediatamente messe i.n vigore.

R. Governo non può non rilevare atteggiamento non amichevo•le tenuto nella presente circostanza e in contraddizione ·con rinnovate dichi'arazioni di lealtà e di amicizia. Attiro ·Comunque Sua attenzione su fatto che Sottocomitato giuristi, cui è stata sottoposta tesi predetta, ha riconosciuto, contrariamente argomenti Titulescu, che occorre riferirsi caso per caso alle disposizioni legislative vigenti nei singoli Paesi.

(l} Per la risposta di De Facendis vedi D. 413. (2} Vedi D. 364. (3} Per la risposta di Soragna vedi D. 420. (4} Manca !"indicazione dell'ora di partenza.

388

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

VERBALE (1). Roma, 18 ottobre 1935, [ore 12,30].

L'Ambasciatore Drummond ha un messaggio del proprio Gaverno che, secondo· 'lui, è atto a portare qualche ·Chiarimento nella situazione.

L'Ambasciatore, a maggior chiarimento del messaggio (che si allega), vuole aggiungere qualche parola. Osserva in primo luogo che a Lcmdra devono aver luogo delle conversazioni fra Grandi e il Ministro Hoare in relazione alla possibilità di smobilitazione nel Mediterraneo.

L'Ambasciatore Drummond osserva che ci sono in giro una quantità di voci assolutamente assurde sull'atteggiamento dell'Inghilterra e sui rapporti fra l'Inghilterra e l'Italia. Non so·lo l'Inghilterra non ha mai pensato di umiliare l'Italia, ma desidera che l'Italia sia grande e potente e che abbia un governo stabile ed autorevole come è il Gaverno attuale. Fra le voci ·che si spargono vi è quella che l'Inghilterra vedrebbe nell'Italia un p:erico~oso concorrente in Oriente e nell'Africa. L'Ambasciatore qualifica queste voci di ridicole. Altrettanto grottesca è l'altra diceria che la Gran Bretagna sarebbe preoccupata per l'avvicinamento itala-francese; sta invece il fatta che la Gran Bretagna ha sempre desiderato tale avvicinamento ed ha fatto tutto quanto stava in lei perchè fosse realizzato.

L'Ambasciatore Drummond continua dicendo che la fucina di molte di queste voci è la Francia. Inghilterra non sa rendersi conto quali interessi ci possano essere in Francia per suscitare le diffidenze dell'Italia contro la Gran Bretagna. Anche l'articolo di Gayda, che parlava apertamente della possibilità di una guerra itala-britannica, traeva le sue ispirazioni dal corrispondente del Temps da Londra.

n Capo del Governo apprezza il messaggio del Governo inglese che è un documento ·Chiaro e preciso. Deve dire con tutta franchezza, che l'attuale situazione di estrema tensione è stata determinata dal contegno della Gran Bretagna neila questione delle sanzioni. È un accanimento che non si può spiegare. Il popolo italiano ha l'impressione che si voglia soffocarlo.

Il Capo del Governo ammette che l'Italia possa, secondo un'interpretazione rigida del Covenant, essere considerata mancante verso le disposizioni del Covenant stesso, ma questo non giustifica che si adottino sanzioni di grado tale come quelle che si stanno discutendo a Ginevra. Ora si arriva alle sanzioni economiche che comprenderebbero la proibizione di ogni esportazione dall'Italia.

Questa misura può portare come conseguenza la sorveglianza del movimento da e per l'Italia e quindi il blocco. Fa presente che da queste misure ci vuole poco per arrivare ad un confUtto.

L'Ambasciatore osserva che di tutto ciò non si è mai parlato.

Il ca,po del Governo prosegue dicendo che queste sanzioni economiche portano un turbamento profondo nella economia mondiale e costituiscono un danno notevoLissimo per determinati paesi che hanno attivi scambi commerciali con l'Italia.

Si parla di sostituire questi traffici, ma è evidente che questi provvedimenti artificiosi non possono portare un sensibile alleviamento nella situazione che si creerà con le sanzioni economiche: il traffico risponde ad esigenze geografiche, alla necessità della compensazione delle singole economie, a tradizioni, ecc. ecc. Non si sostituiscono di punto in bianco con una dichiarazione ginevrina. D'altra parte è da prevedere che le sanzioni contro l'Italia non dureranno eternamente anzi dovrebbero essere limitate ad un breve periodo di ~tempo; ora si chiede se per un periodo di tempo limitato sia il caso di portare un tale scompiglio nella economia di tanti paesi.

L'Ambasciatore vede queste difficltà; riafferma che il suo paese in tutto ciò non è mosso che dal desiderio di applicare lealmente n Covenant; in Inghilterra la S.d.N. è una specie di religione. Egli non è riuscito a far capire ciò in Italia e da questo vari malintesi. Egli è persuaso che se non ci fosse stata di mezzo la S.d.N. la controversia italo-etiopica, per quanto riguarda l'Inghilterra, si sarebbe liquidata in otto giorni.

Il Capo del Governo pensa che gli inglesi potrebbero sostituire questa r~eli:gione con qualche cosa di meglio; ammette però che nel momento attuale 1a S.d.N. ha servito mo'lto bene a~l Governo nazionale ,per consolidare la propria situazione politica. Il Partito conservatore è riuscito a battere i laburisti con le loro stesse armi (1).

Il Capo de'l Governo osserva che quello che c'è di importante nelle dichiarazioni dell'Ambasciatore è la questione della smobilitazione nel Mediterraneo. Egli è disposto a ri'tirare le divisioni dalla Libia se la Gran Bretagna ritira la Home Fleet dal Mediterraneo.

L'ambasciatore crede che non si parli per il momento di una misura così vasta: oggi la flotta inglese può parere esercitare una pressione sull'Italia; domani sarebbe il contrario.

Il Capo del Governo lo esclude data la proporzione o anzi la sproporzione delle forze.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA S.N. Roma, 18 ottobre 1935.

His Majesty's Government, as repeatedly stated in responsible quarters, have no wish to take any action with regard :to the Italo-Abyssinian dispute beyond what ds reqlliired by their obli~ations a.s a loyal member of the League or beyond what

is agreed to or recommended by the League in accordance with the provisions of the Covenrunt. Any stat.ement or impressi.on that His Majesty's Government for self-tnterested motives have sought or are seekdng a qua.rrel with Italy or present Government of Italy is absolutely w1thout founda.t1on and wan only have been spread by mi.si.nformed or ill-.intentioned persons. A fortiori the idea that His Majesty's Govemment could contemplate with equanimity the possibility of present dispute developing in such a way as to involve war in which England ood Italy were the sole prota-goniste is absurdly untrue and ms Majesty's Government are most surorised that it should have abrained any credence whatever (1).

(l) Al colloquio era presente suvlch, che ha redatto 11 presente verbale.

(l) La parte di verbale che ha qui termine fu trasmessa da Suvlch a Grandi e Cerrutl con T.r. 1948/670 (Parigi) 410 (Londra) R. del 20 ottobre 1935 insieme ad un riassunto del D. 389.

389

COLLOQUIO DEL SO'ITOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 18 ottobre 1935.

In una breve conversazione con Drummond, dopo l'udienza del Capo del Governo (2), l'Ambasciatore mi ha detto che era contento perché comunque U passo di oggi ra·ppresenta un progresso verso la normalizzazione dei nostri rapporti.

Ho osservato che questa era anche la mila impressione, ma che la buona volontà della Gran Bretagna avrebbe dovuto manifestarsi nell'essere più accogliente verso la tesi ita-liana; ora, come l'Ambasciatore sa, Lavai ha preso l'iniziativa di una mediazione. Le richieste italiane entrano perfettamente nel quadro della S.d.N., come avrei modo· di dimostrargli alla prossima occasione.

L'Ambasciatore vede due difficoltà: la S.d.N. e il Negus; bisogna vincere anche quest'ultimo. [A lui] sarebbe molto più facile accettare una cessione di territorio all'Italia quando ci fosse una parvenza di compensazione. Per ciò l'Inghilterra insiste sulla questione del corridoio.

L'Amlbasciatore ritiene .poi che a noi conviene esaminare questa questione del corridoio; a lui pare che se noi possiamo stabilire un nostro controllo su tale corridoio (sottoponendolo ad esempio allo stesso regime della zona periferica) una sovranità puramente nominale del Negus non ci dovrebbe dare alcun fastidio.

Gli osservo che non è la questione della cessione di un piccolo tratto di territorio che può disturbarci, è invece l'accesso al mare che può dare all'Abissinia maggiore importanza e può aumentare le sue velleità di sottrarsi ad ogni forma di controllo; d'altra parte non è facile r-isolvere la questione nel senso delle aspirazioni italiane sulla base di una compensazione. Perché è questione di proporzione: si potrà eventualmente trovare che vi è una compensazione tra uno e cinque, ma non tra uno e cento.

(l) -Mussollni trasmise il testo di questo messaggio a Vittorio Emanuele con T. 1941 R. del 19 ottobre 1935, ore 12. (2) -Vedi D. 388.
390

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 7202/759 R. Parigi, 18 ottob'ne 1935, ore 12,55 (per. ore 15,30).

Telegramma di V. E. n. 653 (1).

Ho fatto testé al signor Lavai la comunicazione accompagnandola dalle opportune considerazioni circa le quali gli ho rilasciato un promemoria affinché gli serva per lo studio approfondito di esse.

Laval mi ha assicurato che a partire da martedl prossimo si dedicherà all'opera di conciliazione, che tanto gli sta a cuore.

Non ho avuto difficoltà a far comprendere a Lavai tutto l'interesse che vi è a dare al negoziato il carattere di una iniziativa francese. Egli mi ha detto che effettivamente la proposta era da lui [partita] e che non ne smentiva la paternità.

391

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7364-7267/358-359 R. Shanghai, 18 ottobre 1935, ore 13 (per. ore 22,20).

Autorità militari giapponesi m Manciuria e nel Nord Cina vanno spiegando sicura intensa attività, che sembra diretta alla formazione di un piano di azione generale nei riguardi della politica verso Ia Cina.

Con procedimento insolito nelle procedure militari vengono convocate riunioni per assicurare consenso dei vari comandi distaccati. Una di tali riunioni ha avuto luogo a Dairen e un'altra precisamente a Shanghai. Nella conferenza di Dairen, [è stato] formalmente discusso e approvato lo «scatenamento » della nuova politica economica nel Nord della Cina di cui principale esecutore sarebbe H complesso finanziario facente capo alla South Manchurian Railway. Lo stesso termine usato per indica,re inizio di questa azione economica dimostra con quanta dolcezza essa sarà condotta.

Intorno alle decisioni di questa conferenza, che sono state diffuse come riguardanti una campagna di invasione economica della Cina del Nord, si va formando un'atmosfera di preoccupazioni e di mistero, che sembra preludere ad un temporale politico e forse militare. Molte voci, e direi quasl molte opinioni autorevoli e informazioni di carattere serio, concentrano previsioni sopra un moto separatista della Cina del Nord, che dovrebbe essere promosso da Governatori e Generali cinesi favorevoli al Giappone, insediati nel potere sotto pressione dell'Esercito giapponese. Alcuni sostengono che questo sarebbe

unico mezzo per scongiurare più vaste azioni militari g-iapponesi e che questa

sarebbe anche opinione del Generalissimo.

Intanto questi sta operando conversione del suo esercito anti-comunista dal Szechwan allo Shen-Si ·con apparenti propositi minacciare provincie separatiste. Quest'ultimo movimento militare sembra essere destinato rimanere come semplice mossa preventiva, essendo improbabile che forze cinesi possano concepire una vera resistenza ai piani giapponesi a Nord del Fiume Giallo. Ma poiché si parla anche di una infiltrazione gilapponese nell'AI.to Yang-Tze, ave nessun Governo cinese può rimanere insensibile, si è venuta a determinare anche a Nanchino una forte apprensione non tanto per la sorte della Cina del Nord, quanto per quella delle regioni centrali che sono e saranno sempre H cuore della nuova Cina .

Questo stato d'animo si rivela nelle istruzioni che Ammiraglio Notarbartolo riceve in forma personale da Generalissimo per organizzare difesa YangTze «come se guerra dovesse scoppiare fra due mesi».

Infiltrazione sopra accennata si manifesta nei seguenti obiettivi presunti: l) estensione della occupazione de'll'attuale concessione giapponese alla contigua concessione ex-germanica in Hankow;

2) riesumazione di un urgente documento che accordava una concessione al Giappone presso Ichang nell'alta valle dello Yang-Tze e pretesa di rendere effettiva concessione creandovi una base aerea che svaluterebbe tutta la difesa cinese sul fiume.

Questa seconda informazione è stata data a Notarbartolo da Consoli francesi Chentu. Notarbartolo ne ha chiesto conferma ad Ammiraglio Eo-Yang, che nella Marina cinese rappresenta pensiero del Generalissimo, ed ha avuto risposta affermativa insieme a penose dichiarazioni sullo stato di prostrazione in cui Giappone vuol'e ridurre Gina persino nel cum-e delle sue provincie centrali.

Situazione generale di attesa di avvenimenti importanti comincia determinare qui diversione alla ormai troppo lunga concentrazione di atten~ione sulla questione abissina ed è quasi sperabile (per quanta simpatia si possa nutrire per Cina) che il mondo venga a trovarsi in presenza di problemi che peserebbero ben altrimenti sull'avvenire dei continenti civili.

Continuerò tenere al corrente V. E.

(l) Vedi D. 366.

392

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7345-7355/222-223 R. Ankara, 18 ottobre 1935, ore 15,20 (per. ore 0,30 del 19).

Telegrammi di V. E. n. 1887 e 1901/C (1).

Mia azione erasi svolta finora nel Corpo diplomatico, tuttora Stambul, ed anche attraverso nostri enti coloniali e finanziario-commerciali e nostri

giornali, e presso Governo ad Angora, sostanzialmente nel senso ora prescrittomi da V. E. Dopo istruzioni di V. E. sarà l)iù quotidiana, precisa e decisa.

Data libertà interpretazione concessami, ho dato a [comunicazione] un carattere messaggio personale di V. E. per Ismet Pascià il quale con Sukru Kaya rappresenta un binomio su cui credo poter riporre qualche fiducia.

Affermato che non temevamo soverchi danni ed arresti alla nostra azione da sanzioni economiche, insisto sopratutto su preoccupazioni che loro effettiva applicazione nuocesse a quei sentimenti di amicizia che V. E. voleva mantenuti con Turchia e intendeva sviluppare a crisi superata, gli ho dimostrato contraddizione fra esagerata ostilità progettato patto a quattro ed attuale quasi supina a,ccettazione del dominio di un solo [paese] a Ginevra, e fra favorevoli disposizioni Patto mediterraneo ed ammissione che Potenze ad esso estranee totalmente sostengono essere az-ione tendente sbocca,re a conmtto 3/rmato dal quale né sul Baltico né in America si avrebbero minimi danni. Occorreva resistere a tali pressioni ed intromissioni.

Intrattenuto poi su azione Delegazione turca, sulla quale ho per la pr~ma volta una precisa indicazione (telegramma di V. E. n. 1902) (1), dettogli che spirito delle assicurazioni datemi così solennemente era tradito. Occorreva perciò trovarci rimedio ed arresto se non si voleva scivolare sempre più in situazione dannosa, anche per Turchia che non aveva alcuna ragione di essere travolta e danneggiata da conflitto fra Grandi Potenze.

Ismet Pascià parlatomi con tono di non discutibile sincerità ed assicuratomi che Aras faceva tutto suo possibile per dimostrare sua amicizia per l'ItaUa, che Turchia non voleva essere trascinata in complicazioni che non la riguardano, voleva invece migliorare e non perdere scambi commerciali. Chiestomi, con non dubbia onestà, cosa si potrebbe fare.

Replicatogli che mie informazioni non concordavano con le sue: che delegazione turca annuiva senza quasi discutere a tutte le più strampalate proposte; che rendevomì conto difficoltà conciliare sempre Covenant con amicizia italiana, ma, fra interpretazione integrale di questa amicizia, come fatto da Austria ed Ungheria, ed approvazione incondizionata a sanzioni economiche, vi erano molte vie intermedie. Lo si rilevava facilmente da attitudine sv,izzera ed altri Stati. Delegazione turca non aveva che cercarle e sostenere l'applicazione meno sfavorevole all'Italia. Interpretazione applicazione data dalla stessa S.d.N. nell'anno 1921 ad articolo 16, che gli avrei inviata oggi, offriva molte scappatoie, e fertile ingegno Aras ne saprebbe trovare altre. Già il giorno precedente (prima delle istruzioni di V. E.: vedi mio telegramma

n. 220) (2) mi ero espresso analogamente con Sukru Kaya pur mancando allora di precisioni. Ora potevo essere esatto e gli indicavo altresì che, oltre attitudine a Ginevra, era la effettiva esecuzione in Turchia che in definitiva avrebbe contato.

Ismet Pascià concluse pregandomi ringraziare V. E., assicurandomi farebbe tutto suo possibile e domanderebbe Aras informazioni concrete sua condotta e gli darebbe istruzioni. Chiestomi se ero soddisfatto sua risposta, ho

replicato lo sarei soltanto dopo visto ulteriore atteggiamento turco a Ginevra e quanto poi si farebbe in concreto in Turchia.

Sono sicuro, ripeto sicuro, buona volontà Ismet Pascià e, entro ra,gionevoli limiti, credo possibile attenerne azione a noi favorevole. Ma, come ho chiesto più volte, mi occorre anche essere rapidamente informato da Ginevra della concreta azione della delegazione turca, con le possibili suggestioni che colà possono più agevolare vedute. Colà Aras agisce secondo sua consueta doppiezza, sottratto a controllo diretto di Angora, elude probabilmente istruzioni qui avute anche per influenza Litvinov ed in genere in un ambiente ginevrino.

(l) Vedi DD. 351 e 364.

(l) -Vedi D. 434, nota 2. (2) -T. 7193/220 R. del 17 ottobre 1935, ore 15,18, non pubbltcato.
393

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1926/661 R. Roma, 18 ottobre 1935, ore 16,30.

Mi riferisco telegramma da Ginevra n. 339 (l) inviatoLe direttamente contenente impressioni delegato polacco sull'atteggiamento Francia nella questione sanzioni.

Poiché stesse osservazioni ci arrivano da più parti Ella potrà far sapere al Signor Lavai che velleità opposizione che sorgono in diversi paesi all'atteggiamento inaudito di prepotenza tenuto da'Ha Gran Bretagna sono stroncate dall'acquiescenza francese che stupisce non solo noi ma un pò tutti.

Faccia conoscere senza ti.ndicare J:a fonte ~anche le osservazioni sulla

composizione delegazione francese (2).

394

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO

T. 1929/105 R. (3). Roma, 18 ottobre 1935, ore 18,15.

Dica a Litvinov che ho preso atto di quanto ha detto (4) ma resta il fatto che Russia marcia di punta in tema di sanzioni. Comunichi anche che sono state date istruzioni alla stampa di moderare i suoi attacchi ma non si deve pretendere troppo da una nazione ~contro la quale viene in questo momento organizzato un vero assedio morale ed economico (5).

(l) -T. 7120/339 R. del 16 ottobre 1935, ore 18,50. non pubbllcato. (2) -Per La riSposta vedi D. 425. (3) -Minuta autografa. (4) -Vedi D. 369. (5) -Per la risposta vedi D. 415.
395

L'AMBASCIATORE A PARIGI, OERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 7223-7224-7225/760 R. Parigi, 18 ottobre 1935, ore 18,35 (per. ore 23,30).

Ho rimesso a La val la lettera personale di S. E. il Capo del Governo (l), pervenutami mentre stavo recandomi al Quai d'Orsay e che riuscii però a leggere.

Lavai ne prese visione in mia presenza e chiamò poi Léger, al quale la comunicò. Lavai fu colpito dalla preoccupazione del Duce per la possibilità del blocco. Mi rLpeté che le sanzioni militari e perciò il blocco sono state assolutamente escluse negli accordi intervenuti fra ,la Francia ed Inghilterra.

Gli risposi che io avevo conosciuto soltanto dalla conversazione con Léger (2) i risultati delle trattative franco-inglesi circa articolo 16. Ero stato grato a Léger di avermi messo in grado di informare esattamente il mio Governo di una questione tanto importante.

Riflettendo alle cose apprese, dovevo dirgli che ,la distinzione riguardante l'obbligo di assistenza da parte della Francia all'Inghilterra, nel caso in cui flotta inglese fosse attaccata da parte italiana, mi pareva molto sottile e taLe da poter ingenerare equivoci.

Come si poteva infatti distinguere fra atto di aggressione, che fosse la conseguenza dell'applicazione di una sanzione economica, e atto di aggressione che fosse la conseguenza della entrata nel Mediterraneo di tutta la flotta inglese, avvenuta ad insaputa della Francia.

Laval mi ha risposto che sopra questo punto precisamente verteva il grave dissenso che esisteva presentemente fra Parigi e Londra. L'Inghilterra gli aveva posto al riguardo un quesito esplicito, al quale egli rsarebbe stato costretto di rispondere fra un paio di giorni. Inglesi pretendono dalla Francia assicurazione che flotta francese presterà sua assistenza a quella inglese in qualunque caso di aggressione da parte Italia. Rafforzamento della flotta inglese nel Mediterraneo è stato conseguenza eccessi oratori e di stampa italiana. Egli non può negare verità di questo fatto e sarà quindi costretto a cedere alla richiesta inglese.

Come v. E. vede da ieri ad oggi Laval ha mutato il suo atteggiamento. Di fronte ricatto inglese, Lavai ha piegato la testa. Situazione di Lavai è oggi seguente: o egli accede al volere dell'Inghilterra

o deve, fra tre giorni, rassegnare dimissioni.

Mi ha detto che in presenza della situazione espostami egli aveva insistito a Londra per ritiro forze inglesi ed italiane dal Mediterraneo come unico mezzo per calmare situazione. Inghilterra dichiara formalmente di non avere alcuna intenzione aggressiva verso Italia. In presenza atteggiamento ostile

che tuttora permane in Italia verso lnghilterra, èssa non poteva però ritirare proprie forze navali dal Mediterraneo se Italia, con un proprio .gesto, non dimostrasse in un primo tempo le sue Lntenzioni pacifiche. Questo gesto sarebbe riduzione forze concentrate in Libia al livello di quelle esistenti in Egitto. Ove ciò avvenisse, l'Inghilterra ritirerebbe da Gibilterra le sue due grandi navi da battaglia. Lava! dice che Inghilterra concentra nel Mediterraneo in tutto 120 mila tonne11ate in più dell'ordinaTio, cosi che il ritiro delle due grosse navi, che stazzano 80 mila tonnellate, forze navali straordinarie inglesi si ridurrebbero di oltre metà. Questo produrrebbe una impressione favorevolissima nel mondo intero, dimostrando che ci si avvia verso la pacificazione.

Ho obbiettato a Lavai:

1° -che giusta comunicazione da V.E. fatta fare a Londra (l) la smobilitazione nel Mediterraneo doveva essere simultanea e concordata;

2° -che il ritiro due grosse navi da battaglia inglesi costituiva in sostanza un grosso servizio reso all'Inghilterra perché essa eliminava pericolo di eventuali danneggiamenti alle loro maggiori unità;

3° -ho chiesto se per forze esistenti in Egitto si intendevano le forze attuali rafforzate o quelle normali.

Lava! ha risposto circa prima obiezione che non c'è da pensare ad ottenere consenso inglese a simili procedure. Sembrò ignorare oggetto della mia seconda obiezione e mi disse di non sapere a quali forze egiziane avesse inteso alludere l'Inghilterra. Lava! ha aggiunto che, se non si ottiene subito miglioramento della situazione nel Mediterraneo, è vano sperare in una conciliazione nell'Africa Orientale. Per quanto riguarda la soluzione del conflitto italo-etiopico l'Inghilterra gli ha comunicato che essa intende rimanere strettamente nel quadro della S.d.N. ed applicare rigidamente le dec·isioni prese o che fossero prese in avvenire dal Consig,1io.

(l) -Non rinvenuta. (2) -Vedi D. 377.
396

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMB!ASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, E AL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS

T. 1930/664 (Parigi) 114 (Praga) R. Roma, 18 ottobre 1935, ore 21.

Negli ambienti del Segretariato corre insistentemente la voce che Eden agirebbe presso Benes per ottenere che egli convoci l'Assemblea allo scopo di f·ar conferire all'Inghilterra un mandato o autorizzaz-ione di prendere le misure di controllo marittimo per integrare l'applicazione delle sanzioni.

(Per Parigi) Accerti subito presso Lava! se tale notizia abbia qualche fondamento e in caso affermativo attiri sua attenzione su gravità di una inizia

ttva destinata inevitabilmente a provocare un conflitto con incalcolabili conseguenze per la pace mondiale. Occorrerebbe in tal caso che Lavai agisse immediatamente su Benes perché si opponesse alla richiesta britannica. Analoga azione dovrebbe essere svolta da Lavai presso Avenol (1).

(Per Praga) Accerti subito da Benes se tale notizia abbia qualche fondamento e in caso affermativo attiri la flUa attenzione su gravità dell'iniziativa destinata inevitabilmente a provocare un conflitto con incalcolabili conseguenze per la pace mondiale. Tenga comunque 1presente che in base a direttive dell'Assemblea del 1921 conformi all'art. 16 alinea 2 del Patto una misura come quella che il Governo britannico intenderebbe applicare avrebbe carattere di sanzione militare. Esultere,bbe perciò da11a competenza di Benes, in quanto presidente dell'Assemblea, di assumere ogni iniziativa al riguardo che spetterebbe se mai al Presidente del Consiglio (2).

(l) Vedi D. 224.

397

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 7222/761 R. Parigi, 18 ottobre 1935, ore 21,15 (per. ore 24).

Lavai si trova in una condizione disperata. Ha la sc1elta fra la capitolazione di fronte all'Inghilterra e le dimissioni. Egli mi ha detto stamane che l'eccitazione degli animi esistente in Francia gli rendeva difficilissimo proprio compito.

Al suo accenno cortese che io pure ero responsabile della levata di scudi contro di lui, ho risposto che ero grato al popolo francese per le infinite testimonianze di simpatia che dava all'Italia e per la sua comprensione assai maggiore di quella del suo Governo. Popolo francese infatti capì fino dal primo momento con la sensibilità propria ai latini che le sanzioni sarebbero state fatalmente la guerra, mentre il Governo si irrigidì nella formula pericolosa del rispetto al Patto. Oggi se ne vedevano le conseguenze.

Lavai era furibondo per le ampie notizie riportate dalla stampa francese circa le sue trattative con gli inglesi. Chiese a Léger come ciò fosse stato possibile.

Léger rispose che da una telefonata dell'Ambasciata di Francia a Londra risulterebbe che il Foreign Office aveva emanato un comunicato ufficioso al riguardo.

Col sistema di fare della diplomazia pubblica e di pubblicare notizie atte ad avvelenire le situazioni si rendono molto ardui per non dire impossibili, i negoziati discreti delle Cancellerie. Bisogna prepararsi all'eventualità che Lavai non attenda nemmeno di essere rovesciato dal Parlamento e che dia spontaneamente le dimissioni. Successori probabili sono Herriot, Paul-Boncour e MandeJ, che oggi sarebbe forse il preferito.

Eccitazione degli animi è tale che non si possono escludere manifestazioni violente nelle strade, qualora assumesse potere un Governo che significasse possibilità di guerra. Francia è infatti decisa nella quasi unanimità (anche il «Fronte Popolare» la pensa in fondo così) a non volere lasciarsi trascinare in una guerra. Parte sana di essa, non invasa da sentimenti di antifascismo, non vuole poi indebolimento dell'Italia, perché si rende conto che soltanto essa può costituire un aiuto per la Francia nella situazione attuale.

Mi domando se non finirebbe per giovarci la caduta di Lavai. Egli ha dimostrato di non sapersi opporre alle imposizioni dell'Inghilterra e ne subì sempre i ricatti. Un Governo di sinistra, ostile a noi, avrebbe però certamente contro sé la maggioranza dell'opinione pubblica francese, che farebbe 'Comprendere chiaramente all'Inghilterra che il Governo francese può impegnarsi fin che vuole in una politica ligia al volere inglese, ma che il popolo non la seguirebbe e rifiuterebbe di marciare per un interesse non francese.

(l) -Con T. 7264/768 R. del 19 ottobre 1935, ore 14,40, Cerruti riferiva ave,rgli Léger assicurato che la notiz1a er,a priva di fondamento, e che comunque «ove una proposta del genere fosse fll!tta, la Francia vi si opporrebbe». (2) -Con T. 7277/180 R. del 19 ottobre 1935, ore 18,25, De Facendis comunicava: «Beneii mi assicura che notizie non hanno alcun fondamento giacché finora né da Eden, nè da altri gli è giunta alcuna richiesta per convocare assemblea... ».
398

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7346/178 R. Praga, 18 ottobre 1935, ore 21,45 (per. ore 2,15 del 19).

Benes mi ha ripetuto dichiarazioni già note a V. E. circa atteggiamento Governo cecoslovacco nella vertenza itala-etiopica:

l) Cecoslovacchia, in conformità decisioni Bled, intende rimanere estranea conflitto itala-abissino; 2) costretta poggiare difesa sua esistenza sulla S.d.N., Cecoslovacchia è obbligata seguire dettami ed applicarne decisioni;

3) convinta necessità di collaborare Italia in presenza dei problemi europei 'CUi soluzione comporta azione concorde, farà ogni sforzo buona volontà per serbarne amicizia auspicando attuale conflitto possa risolversi sollecitamente con soddisfazione interessi e aspirazioni ital[ane.

Ho fatto a Benes comunicazioni prescrittemi da V. E. con i telegr1ammi nn. 1887 e 1901 (l) circa sanzioni aggiungendo opportune considerazioni circa

(l} Vedi DD. 351 e 364.

29 -Documentt Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

esiziali conseguenze che da rigida appHcazione potrebbero derivare a,i rapporti politici ed e·conomici fra i due Paesi.

Benes, dopo avere accennato a suo rifiuto accettare presidenza comitato coordinamento Ginevra per esimersi incarico non gradito esecuzione misure contro l'Italia, mi ha detto pur non volendo far torti all'Italia, non può, per ovvie ragioni, inimicarsi l'Inghilterra che [esercita] gagliarde pressioni per esecuzione decisioni Ginevra. Mi ha informato che odierno Consiglio dei Ministri deciderà circa applicazione sanzioni. « Si capisce -ha soggiunto che molte cose sfuggiranno al Governo » (mio telespresso n. 1898 in data 17 corrente) (1). Mi ha assicurato precise raccomandazioni sono state fatte alla stampa continuare tenere linguaggio massima correttezza verso Italia.

399

IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7236/57 R. Montevideo, 18 ottobre 1935, ore 22,02 (per. ore 7 del 19).

Telegramma di V. E. n. 1887/C (2).

Ho avuto ri,petuti colloqui con il Presidente della Repubblica e con questo Ministro degli Affari Esteri. Entrambi mi hanno confermato che l'Uruguay intende mantenere a Ginevra un atteggiamento a.michevole verso l'Italia. La Cancelleria si tiene a contatto con i Governi dell'Argentina e del Cile, allo scopo dare uniformità di indirizzo alle decisioni adottate. Il punto di vista Uruguay è contrario alla applicazione di sanzioni economiche dirette, giudicate come controproducenti.

Continuo ad esercitare ogni pressione perché questo Governo mantenga suo atteggi:amento (3).

400

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7250/765 R. Parigi, 18 ottobre 1935, ore 22,20 (per. ore 2,10 del 19).

Nel pomeriggio odierno Léger ha dato all'Ambasciatore d'Inghilterra risposta verbale alla richiesta pure verbale dell'Inghilterra, circa assistenza da parte della Francia all'Inghilterra nel caso in cui flotta inglese fosse attaccata da quella italiana.

Nell'informarmene, Léger mi ha detto che impegno assunto dalla Francia è rigidamente conforme agli obblighi che le derivano dalla sua appartenenza alla S.d.N.

Ho osservato a Léger essere sperabile che il Governo francese non dovesse porre ad effetto l'impegno assunto, anche perché avrebbe corso rischio di scontrarsi contro decisa opposizione della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Vedi D. 351. (3) -Vedi D. 435.
401

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1931/665 R. Roma, 18 ottobre 1935, ore 24.

Prego V. E., in relazione affidamenti a suo tempo datici da codesto Governo di evitare forniture materiali belUco ad Abissinia da parte fabbriche francesi, voler far presente al Quai d'Orsay quanto segue:

l) Nell'opinione del R. Governo, Governo francese può, solo che effettivamente e sinceramente lo voglia, eludere praticamente proposta formulata Ginevra togliere embargo forniture belliche Abissinia.

2) Governo francese responsabile tutela e difesa Impero coloniale francese, non ignora certamente che tale tutela e difesa si fondano anchè sulla solidarietà delle Potenze coloniali. Armare un paese africano contro una Potenza europea significa scuotere basi di tale solidarietà a tutti i Paesi coloniali, siano essi ·colonie protettorati mandati, convinzione poter contare, per opporsi a Paesi europei che li dominano o che intendono farsi rispettare, sull'appoggio materiale di altri paesi europei; ciò che costituisce pericolo per tutti Francia compresa.

3) Rifornire mezzi bellici Abissinia significa inoltre rendere più lungo e difficile sforzo che Italia sta compiendo il che è l'opposto di ciò che si vorrebbe raggiungere nell'interesse generale della pace. È anche interesse specifico francese facilitare liquidazione questione etiopica con nostra soddisfazione, onde consentirci, liberi da ogni pericolo alle spalle, di dedicarci ai problemi europei con maggiore possibilità di azione.

4) Inoltre avviare armi Etiopia nel momento stesso in cui tali armi vengono negate all'Italia non potrebbe non avere ripercussioni su sentimenti Nazione italiana.

5) Infine rifornimenti bellici attraverso ferrovia Gibuti non potrebbero non porre alle Autorità militari problema ferrovia stessa (1).

(ll Per la rispos.ta ved·i D. 424.

402

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CHIARAMONTE BORDONARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7362/621/02 R. Lussemburgo, 18 ottobre 1935 (per. il 21).

Da una lunga amichevole conversazione con signor Bech, Capo Governo lussemburghese reduce Ginevra -ho rilevato quanto segue:

l) signor Bech si è mostrato quanto mai imbarazzato e spiacente dover prendere sanzioni contro Italia. Egli mi ha detto che intende procedere tout doucement nell'emanare disposizioni al riguardo.

2) Signor Bech aveva pensato in un primo tempo formulare riserve analogllimente Svizzera. Non lo ha fatto per non sollevare delicata questione neutralità Granducato che, per quanto sancita dalla Costituzione, non è riconosciuta perfettamente dalla S.d.N. Ne sarebbe anche stato sconsigliato dalla Delegazione svizzera, che aveva consultato e che gli avrebbe fatto osservare come riserve Svizzera fossero dettate sopratutto da sua posizione di Stato confinante coll'Italia.

3) Signor Bech mi ha detto che, dato il modo con cui erano state condotte e presentate le cose all'Assemblea, non era umanamente possibile a nessuno Stato -che non avesse particolari ragioni di attaccamento all'Italia di agire diversamente senza mancare pubblicamente al patto sottoscritto.

4) Signor Bech non crede menomamenrte che azione Gran Bretagna sia dettata da principi fedeltà al Patto e r·iconosce che suo atteggiamento è influenzato da difesa interessi particolari.

5) Signor Bech è esterrefatto per celerità recenti lavori Ginevra cui

S.d.N. -non era certo abituata. Attribuisce tale ·celerità all'impulso Gran Bretagna e non si nasconde che in eventuali future analoghe circostanze in cui Gran Bretagna non avesse lo stesso interesse di accelerare i lavori, intervento S.d.N. -tornerebbe ad essere lento e tardivo, e pertanto inefficace. 6) Signor Bech rdtiene che Lava! sarà presto rovesciato (f-orse fine novembre) e dovrà cedere posto a Flandin o Herriot. Mi ha detto che Lava! è circondato Ginevra da gente impossibile e che Delegazione francese desta ripugnanza per suoi intrighi e basse manovre. 7) Signor Bech riconosce che campagna Ginevra contro Italia è alimentata da coalizione massonico-socialista-comunista, e ritiene sapere che Governo britannico, imbarazzato di 1avere tali alleati, cer.ca calmarne ardori per non provocare reazione ambienti conservatori inglesi. Riferisco quanto precede per quell'interesse che può offrire l'opinione di

chi, rappresentando un piccolissimo paese, va in certo modo considerato come l'« uomo della strada » dell'Assemblea di Ginevra.

403

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7454/0114 R. Vienna, 18 ottobre 1935 (per. il 23).

Col mio telegramma per corriere n. 0105 del 3 corrente (1) ho informato

V. E. che Berger aveva indicato a questo Ministro di Jugoslavia il 20 corrente come data «probabile» per la sua nota visita a Stojadinovic, a Bled o a Lubiana.

In replica, il Presidente del Consiglio jugoslavo ha fatto segnalare a Berger l'o1pportunità di un rinvio, essendo egli occupatissimo per i lavori della Skupcina, che si riaprirà proprio nei giorni proposti per l'incontro.

Berger non ha dato alcuna risposta. Egli desidera, prima di prendere nuovi impegni per la sua visita, rendersi ben conto degli umori della Skupcina verso lo Stojadinovic, e quindi della reale situazione e forza politica di quest'ultimo.

Tutte le vicende subite dal progetto di visita in questione confermano l'impressione, già riferita a V. E., circa la soverchia fiducia prestata dalla Cancelleria alle troppo zelanti e personali affermazioni di questo mio collega jugoslavo.

404

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7455/06 R. Stoccolma, 18 ottobre 1935 (per. il 23).

Credo opportuno chiarire -in relazione a passi che ho compiuto e che compio presso questo Governo nei riguardi dell'atteggiamento che esso ha assunto verso di noi -,che il mio compito, per il momento, è divenuto estremamente semplice. Mi si è infatti dichiarato, senza ambagi, che il Governo svedese persegue un solo scopo: quello di costringerci, e con ogni mezzo possibile, alla resa a discrezione.

V. E. comprenderà quindi che il muovere obiezione a tale o tal'altro atteggiamento della delegazione svedese a Ginevra, l'argomentare sulle conseguenze che potranno derivare all'Europa da tale poutca, n far prevedere o anche minacciare l'inimicizia italiana per il futuro e via discorrendo; tutto questo cade nel vuoto. Si aggiunga l'incapacità dialettica e la poca inclinazione a discutere di questa gente: la conclusione è che i mei passi si riducono ad un monologo, e ad un monologo inutile perché apertamente mi si è già detto, all'inizio, che il GoVierno svedese vuole e desidera vederc,i soffocato e che questa, ora, è

l'unica cosa che veramente l'interessi. «Se l'Italia riesce a cavarsela, o completamente o con un ·compromesso per lei pratic!l!mente vantaggioso -mi rispondono -ciò significa che chiunque può assalire una piccola nazione con speranza di successo o aperto o larvato. Ora, lo scopo della nostra politica è di impedire ciò a tutti i costi, avvenga quel che può avvenire dopo». Detto questo, è il silenzio con qualche interiezione diretta a salvare le apparenze della cortesia.

Questo per il Governo. La massa della popolazione è dello stesso parere. Solo la destra, come pensiero politico, è in parte più moderata e vede sotto un punto di vista meno semplicistico; ma tutto sembra escludere che, nel campo politico stesso, essa possa ·esercitare qualche influenza di rilievo. Le espressioni pubbliche del suo dissenso sono modeste; si riducono ad articoli che appaiono qua e là nei giornali, or sull'uno or sull'altro, articoli cauti, poco combattivi, capaci forse di destare dubbi ed inquietudini, ma non di dare vitalità ad una corrente efficace ed attiva di pensiero.

In questo mare -ostile o grigio -manifestazioni sporadiche di un gruppetto di brave ed oneste persone -letterati, turisti, amanti del sole e della luce -sparsi un po' dappertutto nelle città e nelle provincie, ammiratori dell'Italia che hanno sposato il nostro punto di vista e non mancano di coraggio nell'esprimere le loro idee: ma sono isolati e non contano nulla. Nell'esercito, qualche ufficiale che è stato in Italia ci comprende e si rammarica dell'ingiustizia del proprio paese, ma -me lo diceva uno di loro -non trova alcuna rispondenza fra i colleghi.

Gli uomini d'affarL Essi, qui dovunque, tengono sopratutto a continuare gli affari e, se avranno la possibilità di farlo, non mancheranno di metterla a partito. Sono essi che in gran parte ispirano gli articoli anti-sanzionistici sui: giornali, e gli unici che potranno esserci di appoggio. Ma il loro atteg

giamento -specie quello degli importatori -dtpenderà da circostanze che non si sono ancora ben precisate. La mia conclusione perciò è questa. Per la parte politica, sorvegliare attentamente l'andamento del pensiero del Governo, per il caso si manifestassero dubbi o crepe: per il momento non c'è una fessura in cui introdurre un dito. Sono d'avviso di evitare per ora ogni reazione verbale o di stampa troppo accentuata, ogni atto troppo ostile non servirebbe che a rinsaldare i contrari nei loro propositi ci farebbe perdere anche le minime poste che abbiamo, e ci darebbe soltanto la magra soddisfazione di gridare contro un muro. Per ora, marcare il passo, per non danneggiare in nulla quelle possibilità che invece si manifestassero per la parte economica.

Così, far di tutto per dar modo al commercio da e per l'Italia di proseguire !l!d onta delle sanzioni. Da alcuni commercianti svedesi, se lo possono, non dovrebbero mancare aiuti. Per il momento, parmì, ciò costituisce l'unica zona di utile attività. Se, ad onta di tutto, il commercio dall'Italia verrà arrestato (il che sarà meno facile se i nostri commercianti sapranno utilizzare gli intermediari), allora si potrà pensare !l!d applicare delle contro-misure, a meno che la necessità o l'interesse non ci portino a continuare qui le nostre compere delle materie prime, come la cellulosa, indispensabili per le nostre industrie di esportazione.

In questo momento, l'Amministratore Delegato della Snia Viscosa sta appunto qui saggiando il terreno sull'argomento. Appena conoscero precisamente la portata definitiva delle sanzioni economiche, non mancherò di esaminare e riferire.

(l) Non pubblicato.

405

IL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7459/138 R. Oslo, 18 ottobre 1935 (per. il 23).

Col mio telegramma filo n. 135 in data 17 (l) ho avuto l'onore di accennare la mia conversazione avuta col Ministro Koht al suo ritorno da Ginevra, dove si era recato per prendere parte ai lavori dell'Assemblea nei riguardi delle sanzioni.

L'ho trovato imbarazzato e preoccupato: ho cominciato col chiedergli, naturalmente, le sue impressioni sulle due penose giornate ginevrine. Nel farmi un po' di cronaca, mi ha detto di avere notato questa volta che i più accaniti difensori del patto societario ed i più favorevoli all'estensione delle sanzioni, non erano gli ingle;si. Koht mi ha molto parlato d Benes e dell'impressione che ha fatto su tutti i convenuti l'idea da lui sostenuta che se le sanzioni si dovevano applicare bisognava che le sanzioni stesse fossero nella loro realtà .efficaci.

Ho fatto valere ogni possibile argomentazione a sostegno della nostra tesi, e contro l'arma a doppio taglio delle sanzioni. II signor Koht ha dovuto convenire che nel fondo l'Italia aveva ragione; rispondendo ·con eguale franchezza alla mia mi disse che, a suo avviso, si era giunti alla situazione attuale per il fatto che troppo tardi l'Italia si era appellata a Ginevra e che troppo l'Italia aveva mostrato di non prendere sul serio la S.d.N. Secondo lui, il nostro Memorandum, pur tanto suggestivo, sarebbe stato efficace se avesse contenuto esplicite conclusioni e definite rivendicazioni.

Non ho mancato di fargli osservare che una condanna su forme procedurali poteva anche rappresentare la più profonda ingiustizia, le cui conseguenze nel tempo sarebbero incalcolabili, essere piuttosto palese che Ginevra non era che un istrumento nelle mani, non di chi sapeva, ma di chi poteva

servirsene.

Il signor Koht ha terminato dicendomi che secondo lui la sola speranza di soluzione nella situazione attuale era il permanere dell'Italia nella S.d.N. e la circostanza che la nostra delegazione non ha lasciato l'Assemblea. Questo su molti delegati aveva prodotto la più favorevole impressione.

Per concludere, ho trovato Koht molto mutato da quando gli parlai prima della sua partenza per Ginevra (mio telegramma Gabinetto per corriere n. 128 del 2 ottobre (2). 8e ha seguito le decisioni del partito laburista norvegese di adesione a Ginevra per antifascismo, egli è senza dubbio rimasto sotto l'in

fluenza delle pressioni dl ogni genere che devono ,essere state esercitate su di lui a Ginevra.

Quanto alle sanzioni si è limitato a dirmi che suo dovere era di riferirne al Governo, cui spettava di decidere fin dove la Norvegia poteva e doveva arrivare.

Alle mie argomentazioni ed alle mie insistenze mi ha ripetuto che la Norvegia non poteva venir meno agli impegni assunti a Ginevra, ma che la Norvegia sentiva anche tutto il valore della nostra amimzia.

(l) -Non pubbUcato. (2) -Vedi D. 272, nota 2.
406

IL MINISTRO A OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 7456/140 R. Oslo, 18 ottobre 1935 (per. il 23).

Telegrammi di V. E. n. 1887/C del 16/10 e n. 1901/C del 17/10 (1). Ho detto ufficialmente una ferma parola circa le conseguenze di una estensione di sanzioni contro di noi, che il Governo norvegese dec,idesse di adottare.

Mi sono reso conto attraverso le dichiarazioni fattemi che questo Governo, a malgrado la pressione del partito cui appartiene, pur mantenendosi nella linea della Società delle Nazioni, procederà con prudenza per non pregiudicare i buoni rapporti tra Italia e Norvegia.

In obbedienza alle istruzioni ricevute ho poi cercato e cerco dl agire con ogni mezzo per controbattere l'influenza e le pressioni ingles~. Mi sono inteso in un segreto convegno che ebbe luogo stamane con i maggiori armatori ed esportatori di merci norvegtesi in Italia, per opportune pressioni su questo Governo. Senza por tempo in mezzo, prima che si riunisse il Consiglio dei Ministri odierno, questi signori hanno avuto conferenze con i Ministri degli Esteri e del Commercio, e mi hanno tenuto al corrente o,ra per ora della loro azione coordinata con comprensione e intelligenza dal nostro Console Generale Comm. Rudolf Olsen, che, come è noto, ha grande ~influenza in questi ambienti. I rapporti fin qui ricevuti sono soddisfacenti. Il Governo norvegese sembra preoccuparsi realmente delle sue relazioni con noi. Se è costretto a mantenere fede agli impegni assunti a Ginevra, resisterà ad un'insana estensione di sanzioni contro di noi.

Anche la campagna di stampa procede in modo soddisfacente. Ho riferito al R. MLnistero Stampa e Propaganda con rapporto segTeto n. 1540/123 in data 17 ottobre (2) sull'inizio della polemica contro le sanzioni. Si sono schierati contro le sanzioni gli organi di destra e specialmente il Norges Handels og Sjfartstidende (organo degli armatori e degli industriali), il Nationen, e più moderatamente nel senso di una neutraltà, il Tidens Tegn: persino l'Aftenposten, tributario di questa Legazione d'Inghilterra, ha pubblcato cose che sono molto spiaciute at suoi padroni; continuano contrari l'Arbeiderbladet, che tuttavia riesco a moderare grazie alla amicizia personale del Capo dell'Uffico

Stampa di questo Ministero degli Affari Esteri, signor Vidnes, ed il Dagbladet, organo del blocco della sinistra radicale, su cui mi è stato impossibile fin qui d'influire. I dettagli su questa campagna risultano dai miei telegrammi stampa e dalle traduzioni che mando regolarmente al R. Ministero Stampa e Propaganda. Ho constatato che l'argomento più efficace perr influire suH'opinione pubblica norveg.ese è ancor quello di secondare il profondo patriottismo di questo popolo e portarlo a reagire contro la prepotenza britannica. È in questa direzione che continuo ad insistere.

(l) -Vedi DD. 351 e 364. (2) -Non pubblicato.
407

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7599/018 R. Bucarest, 18 ottobre 1935 (per. il 26).

L'azione che questo Ministro di Polonia sta svolgendo da parecchi mesi contro la politica di Titulescu diretta a stipulare un patto di mutua assistenza con la Russia, e che il signor Arzcizewskli ha animosamente condotto anche presso il Sovrano, siccome ebbi ad informare V. E. con mio telegramma n. 157 del 4 ottobre c.a. (l) è stata coronata, almeno per il momento, da un significativo successo. Agitando l'opinione pubblica romena contro ogni •impegno che avrebbe condotto ad un'intima collaborazione militare fra Romania e Sovieti, e sovratutto insistendo sui pericoli che sarebbero derivati alla Romania da un eventuale passaggio delle truppe russe· sul territorio nazionale, il signor Arzcizewski è riuscito a mettere in iscacco la poHtica di Titulescu e di Litvinov.

Insisto nel fare il nome del mio collega perché si è trattato di un'azione condotta da lui personalmente e vorrei dire da lui isolatamente, perché il Governo di Varsavia, che appoggia incondizionatamente il suo rappresentante non ha avuto però nessun modo di influire nemmeno in via indiretta sul Governo romeno, data anche l'assenza del titolare della Legazione romena a Varsavia.

Questo Ministero degli Esteri è stato costretto a pubblicare un comunicato ufficiale che smentisce l'esistenza dei negoziati romeno-sovietici, e smentisce che sia mai stata questione di ammettere un qualsiasi passaggio delle forze militari russe attraverso il territorio nazionale.

L'opinione pubblica, benché ignara del progresso dei negoziati, ha comunque accolto questo comunicato con visibile soddisfazione: gli iniziati invece, che erano moltissimi (e fra di essi i capi partito che Titulescu aveva avuto cura di consultare e che si erano quasi tutti espressi in senso contrario al transito di qualsiasi forza militare sovietica), hanno appreso la smentita con sollievo commisto a stupore per la disinvoltura con cui Titulescu ha smentito l'esistenza dei negoziati e la loro finalità.

Questo scacco della politica di Titulescu nel campo del Patto orientale è stato da lui vivamente risentito. Egli ha fatto intendere che pensa alle dimis

sioni. (Nessuno ci crede). I suoi rapporti col Governo, che gli ha forzato la mano, e col Re, che all'ultimo momento lo ha mollato, si sono inaspriti.

Intanto la Polonia, che in questa fase almeno ha guadagnato la partita, sembra non intenda sottolineare il successo con rampogne postume contro la Romania. Il prossimo discorso di Beck conterrà quindi parole, che qui faranno molto piacere, di grande apprezzamento per la Romania e l'alleanza, mentre il signor Arzcizewski, con una pioggia di decorazioni, ricompenserà tutti gli uomini politici e tutti gii alti ufficiali dell'esercito che sono intervenuti presso il Sovrano per salvare l'alleanza fra Romania e Polonia.

(l) Con l:l T. 6563/157 R. del 4 ottobre 1935, ore 11,50, Sola riferiva circa i progressi dei negoziati tra Titulescu e Litv1nov per la conclusione di un patto di mutua assistenza.

408

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON GLI AMBASCIATORI DI ARGENTINA A ROMA, CANTILO, E DEL CILE A ROMA, RIVAS-VICUITA

APPUNTO. Roma, 18 ottobre 1935.

Sono venuti a discutere la posizione da adottare. Rivas-V,icufia mi ha comunicato il telegramma con cui il suo Governo lo informa: l) che è stata diramata a Santi8!go una «Havas » da Londra che dà l'annunzio di una mediazione sudamericana in corso;

2) che il Vaticano, pel tramite del suo Nunzio a Santiago, ha fatto pressioni sul Governo cileno affinché questo faccia ogni possibile sforzo verso la pace. A questo proposito Rivas-Vicufia ha potuto stamane assicurare Mons. Borgongini Duca di essere già all'opera da qualche tempo;

3) che il Governo cileno ha deciso di confidare a lui e a Cantilo la redamone de:lla comunicazione al Consiglio nonché la scelta del momento più adatto alla presentazione.

Circa la questione del subordinare o meno l'iniziativa alla preventiva approvazione inglese, entrambi mi hanno comunicato il sopraggiungere di un fatto nuovo, che li costringe a mutare la loro decisione di ieri (1). E cioè mentre il Governo cileno ha ceduto alle insistenze fattegli da Cantilo da Roma e ha dato l'autorizzazione a varare l'iniziativa indipendentemente dall'approvazione inglese, il Governo argentino, forse per placare l'Inghilterra dopo l'irritazione prodotta dal discorso antisanzionista del Presidente dell'Argentina, ha dato ordini a Cantilo di attendere l'approvazione inglese.

In conseguenza di quest'ordine anche il Cileno è stato costretto a disdire il passo ed entrambi attenderanno il responso inglese. Probabilmente chiederanno anche 11 parere del Governo francese il quale ha mostrato il desiderio di non essere lasciato fuori. Difatti oggJ il primo Segretario francese Garnier, in assenza di Chambrun ammalato, è stato da Rivas-Vicufta a dirgli che il Governo francese lo invitava a non dar corso alla iniziativa finché non si fosse trovata una base ragionevole di trattative.

(l) Vedi DD. 381 e 382.

409

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 18 ottobre 1935.

Ho comunicato a Wagnière che V. E. aveva disposto la sospensione della misura di divieto di ingresso nel Regno adottata nei riguardi deJ. JournaZ de Genève. Ho aggiunto che però questa misura di clemenza non doveva incoraggiare il giornale a perseverare in quella tendenziosità ai nostri danni, che avevo ancora recentemente constatato a Ginevra.

Per chiarirgli la questione, l'ho messo al corrente dei precedenti. Circa un mese fa avevo fatto le mie rimostranze al redattore di politica estera del giornale, il quale, messo alle strette, aveva finito per confessare che gli ordini di spiegare un'azione anti-italiana gli venivano dal suo direttore. Avevo allora insistito per vedere il direttore, ma questi non si era mai fatto vivo.

Successivamente, in seguito al divieto di introduzione in Italia, il redattorecapo era ritornato da me per chiedermi di intercedere presso V. E. Naturalmente gli avevo risposto che non avrei dato seguito alla sua preghiera perché non avevo notato alcun segno di ravvedimento.

Prima della mia ultima partenza da Ginevra anche Motta era venuto da me allo stesso fine. Lo avevo allora messo al corrente della cosa e gli avevo ricordato che il Governo italiano aveva più volte accolto preghiere di clemenza a favore di giornali svizzeri, mentre il Governo Federale non aveva da parte sua tenuto alcun conto della mia unica richiesta relativa 8illa espulsione di

A. Prato. Motta mi aveva allora promesso di parlarne alla prossima riunione del Consiglio :F1ederale (1).

410

LA SEZIONE AFFARI SEGRETI DEL GABINETTO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 18 ottobre 1935.

Il signor Djabri fa sapere che egli è assolutamente costretto a partire domani per Gerusalemme. Non è da nascondersi che quanto egli chiede, cioè un anticipo delle rate che egli afferma dovutegli e l'invio di armi ,in Saudia, può in questo momento creare qualche imbarazzo.

Tuttavia è anche da tener presente che, ave la nostra situazione con l'Inghilterra dovesse volger,e verso operazioni di carattere militare, il movimento che è prospettato in Transgiordania con l'aiuto di Ibn Saud, e che da vari elementi si presenta come seriamente preparato e guidato, potrebbe essere per noi di grande utilità.

Sembrerebbe quindi opportuno non disgustare totalmente il signor Djabri, che ha grande autorità nel prossimo Oriente mussulmano. Si potrebbe richiederlo di attendere ancora qualche tempo, ad esempio un mese, perché diamo una risposta definitiva. Ove poi si volesse venire intanto in piccola parte incontro ai suoi desideri si potrebbe concedergli l'anticipo di due rate del corrente anno in modo da completare subito i pagamenti per il 1935.

(l) Il presente documento :reca il visto di Mussolini.

411

IL MINISTRO AL CAmO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 3201/1082. Cairo, 18 ottobre 1935 (per. il 23).

Come sono venuto riferendo a V. E., proseguono attivamente le conversazioni fra l'Alto Commissario ed il Governo egiziano, e vengono facendosi sempre più viv,e le pressioni inglesi per ottenere che l'Egitto applichi le sanzioni finanziarie ed economiche contro l'Italia. Al problema delle sanzioni va connesso quello delle capitolazioni. Si studia infatti la possibilità di sospenderle nei soli riguardi dell'Italia, quale mezzo necessario per potere applicare le sanzioni. È questo però sopratutto un espediente per mascherare un provvedimento che da un lato colpirebbe le nostre collettività, la cui resistenza e la cui organizzazione preoccupano gli inglesi, e dall'altro renderebbe le sanzioni più accette agli egiziani, che vedrebbero in un provvedimento siifatto un primo passo verso dl raggiungimento di una delle loro maggiori aspirazioni.

Io credo di potere assicurare V. E. di avere fatto in questi tre mesi quanto era possibile per mantenere l'Egitto nella neutralità. Le indubbie simpatie filo etiopiche, che prendevano una proporz.ione allarmante, sotto l'impulso dei copti che sono generalmente i più fedeli agli inglesi fra gli egiziani, sono state nettamente arrestate.

Dei numerosi volontari che venivano arruolati sulle piazze delle maggiori città, nessuno è partito. L'inizio delle ostilità contro l'Abissinia non ha suscitato alcuna ripercussione essendo ormai scontato di lunga mano. Il Comitato «Pro Etiopia», presieduto dal Principe Omar Tussun e dal Patriarca copto, si limita a raccogliere fondi (richiedendoli perfino ad italiani) per l'invio di una missione medica, ·e finora è partito per l'Etiopia .il solo screditatissimo Nabil Ismail Daud. Dallo stesso Principe Omar Tussun sono partiti consigli di moderazione e il Patriarca copto mi ha fatto dire anche oggi che egli non è contro l'Italia, e che la sua azione, che gli è d'altronde imposta dal suo entourage, non ha carattere politico. E in v.erità il Capo della Chiesa abissina non solo non ha lanciato alcun anatema contro le armi italiane, ma non ha proferito finora alcuna parola meno che riguardosa verso l'Italia.

Nel campo più vasto dell'atteggiamento dell'Egitto nei riguardi della politica inglese v.erso l'Italia, non potendo vivificare delle forze che non esistono, ho cercato di aumentare tutte le riluttanze e tutte le ripugnanze di questo Paese a lasciarsi trascinare dall'Inghilterra in una azione antitaUana. Il Governo ha visto ingrossar·e ogni giorno la falange dei giornali e dei partiti, dall'Ahram al Balagh, dai chaabisti ai nazionalisti, che lo mettono in guardia contro ogni azione a rimorchio dell'Inghilterra o lo combattono per la sua arrendevolezza. Il Wafd, i cui capi appoggiano Nassim pascià, ha dovuto fare dichiarazioni analoghe, ma in pari tempo l'indisciplina corrode le sue file perché la condotta di Nahas pascià viene malgrado ciò giudicata troppo condiscendente.

Si è così potuto evitare finora, per quanto possa apparire paradossale per un paese presidiato da 30 mila soldati, cinquecento aeroplani e cento bastimenti britannici, che il Governo egiziano, a parte qualche vaga dichiarazione generica del Presidente del Consiglio, prenda effettiva posizione contro di noi nel conflitto itala-inglese.

Ritengo però che siamo ormai giunti al limite estremo della resistenza di questo Governo. L'Egitto è quello che V. E. ben conosce e che io Le ho onestamente descritto. La massa dei fellahin, ignorante e poverissima, è imbelle per tradizione secolare. La classe dirigente, turca e siriana, senza fede e senza patriottismo, non ha nessun interess.e al definitivo allontanamento degli inglesi perché l'indipendenza dell'Egitto sarà possibile soltanto quando cesserà di esistere il mondo dei pascià che accumula tutte le ricchezze e tutti i poteri e che sfrutta un paese che non ama e da cui non è amato. In Egitto vi è un solo lottatore: il Re, ma questi, invecchiato e stanco, infermo ed amar.eggiato, è tenuto lontano da tutto e non ha per sè il caldo amore del popolo, né la sicura amicizia di un gruppo di fedeli. Il Principe del Said è ostaggio dell'Inghilterra e non mancano Principi aspiranti alla regg.enza, pronti a qualsiasi baratto con il Governo di Londra.

Il sentimento predominante in questo Paese è in questo momento la paura. I nostri movimenti militari in Libia hanno suscitato una impressione vivissima che tuttora persiste malgrado le mie assicurazioni. D'altronde, stretto e controllato in tutte le sue parti vitali dall'Inghilterra, senza valore e senza uomini, soffocato dalle raddoppiate forze militari britanniche, l'Egitto è ben poco di più di una colonia inglese. La forza maggior.e su cui si possa fare assegnamento è la resistenza passiva.

Se è ormai probabilmente impossibile evitare che l'Egitto si presti a deliberare quelle sanzioni contro l'Italia che l'Inghilterra gli indicherà, il nostro giuoco potrà però riprendere subito dopo per quanto concerne l'applicazione, sopratutto se, in luogo di scagliarci contro il Governo egiziano, mostreremo di renderei conto della sua impossibilità a sottrarsi a tale sgradita necessità, così come abbiamo fatto per gli Stati membri della S.d.N., e se porteremo la questione (come prescrive V. E. per gli altri Paesi nei suoi telegrammi n. 1887 e 1901) (l) nel campo della pratica realizzazione.

Mi adopero intanto a ritardare l'applicazione delle sanzioni ed a svalutarle fin d'ora per quanto possibile. Tutta la stampa e particolarmente quella che con noi intrattiene le migliori relazioni, si pronuncia energicamente contro le

sanzioni, riportando anche gli argomenti che hanno fatto oggetto de.i telegrammi sopracitati. Gli ambienti politici commerciali e finanziari sono parimenti intrattenuti e lavorati.

Per quanto concerne la questione della sospensione delle capitolazioni nei riguardi degli italiani, sto prendendo contatti col mio collega di Francia, col quale mantengo frequenti e cordialissimi rapporti, nonché con i Ministri di Grecia e del Belgio. Mi permetto altresì di sottoporre a V. E. l'opportunità di invitare eventualmente il Governo francese e forse quelli greco e belga a considerare il grave pregiudizio che da un simile provvedimento deriverebbe alla questione capitolare. Questa stampa di lingua francese è già intanto tutta insorta contro tale possibilità ed il Temps pubblicherà una lunga corrispondenza nello stesso senso.

Non sarebbe per vero da escludere a priori anche la possibilità di una più decisa azione attraverso i vari gruppi politici estremisti, peraltro molto strettamente sorvegliati. Se un movimento generale sembra pur sempre da escludere, non altrettanto impossibile sarebbe forse il determinare ancor maggiori irrequietezze. Una simile azione mi sembra peraltro consigliabile solo in determinate circostanze, sia per le probabili reazioni d'ordine generale che V. E. bene intende, sia per le indubbie ed immediate ripercussioni sulle nostre collettività.

Il problema delle nostre collettività in Egitto, forza inestimabile, materiale e spirituale, dell'Italia in tutto l'Oriente, e in pari tempo punto della nostra maggiore vulnerabilità, deve pur restare in prima linea nell'azione di questa Legazione, fino a che V. E. non ordini diversamente. In tal caso gli italiani d'Egitto saprebbero comprendere e sacrificarsi. Ma, fino a che la situazione non consigli altrimenti, credo che convenga di dare agli egiziani ed ai Ministri ed ai Pascià che ne sono gli esponenti, la sensazione della nostra persuasione che le eventuali misure contro di noi sono loro imposte malgrado la loro volontà, manovrando in modo da non scavare fra egiziani ed italiani un solco incolmabile.

Io sono persuaso che le nostre collettività potranno in tal modo superare serenamente e coraggiosamente le prove non lievi che stanno già attraversando, e riprendere e consolidare, non appena risolta vittoriosamente la situazione attuale, con aumentato prestigio le nostre posizioni in Egitto (1).

(l) Vedi DD. 351 e 364.

412

IL MINISTRO A BOGOTA, GAZZERA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7394/67 R. Bogotà, 19 ottobre 1935, ore 3,25 (per. ore 23,15).

R. Legazione Caracas, priva di cifrario, mi ha inviato aereo seguente telegramma in data 15 corrente con preghiera trasmissione a V. E.:

«Questa Legazione ha svolto azione presso il Governo Venezuela per ottenere non si associasse, almeno di fatto, alle sanzioni. Ubaldo Chiara, già Incaricato d'Af.fari in Venezuela, valendosi sua intima amicizia col dittatore Generale Gomez ha collaborato decisamente in questa azione convincendo dittatore telefonare a suo delegato Ginevra presentare prima ampie riserve e quindi illustrarle notificando alla Società delle Nazioni che Venezuela intende rispettare verso l'Italia contratti già conclusi, nella realtà inesistenti, e che non si trov.i impedito trasportare petroli verso l'Italia e che, per rinunziare possibile futuro contratto con l'Italia, chiede forte compensazione. Chiara mi informa avere anche ottenuto dal Generale Gomez promessa permettere segretamente, in caso acquisto, imbarco grandi quantità ottime fra le locali che Venezuela prepara in stabilimenti di proprietà nazionale avendo Venezuela liberato quest'industria dal controllo inglese. Prego telegrafarmi urgenza (l) se

R. Governo dispone che Chiara continui trattative in questo senso oppure le abbandoni e se intende dare altre speciali istruzioni a Chiara cui situazione verso questo Governo è eccezionalmente favorevole. PECCHIO ».

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolin!.

413

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLJ:NI

T. 7273/181 R. Praga, 19 ottobre 1935, ore 19 (per. ore 21,25 del 20).

Ho parlato a Benes nel senso indicatomi col telegramma di V. E. n. 111 (2) circa rifornimenti armi Abissinia.

Benes, convenendo in massima considerazioni di V. E., si è riportato alle dichiarazioni fattemi ieri (mio telegramma n. 178) (3) confermandomi interesse suo Paese rapida e per noi soddisfacente soluzione di un conflitto che, mentre libererebbe Cecoslovacchia ed altri specialmente Francia da situazione estremamente difficile, riporterebbe l'Italia in :pieno su terreno questione europea.

Intanto, secondo informazioni g-iunte a questo Addetto Militare, sarebbe in corso presso officine Skoda fabbricazione armi non per conto Abissinia, ma per conto inglesi con destinazione Inghilterra.

(l) -Alcune settima;ne dopo, suvich con T. uu. 2523/38 R. del 3 dicembre 1935, ore l, autorizzava la continuazione delle trattative per il rifornimento di petrolio dal Venezuela. Con T. 9974/43 R. del 26 dicembre 1935, ore 12,19, Oazzera comunicava che, a seguito del decesso di Oomez, le trattative erano state interrotte e che erano ln corso conversazioni per ottenere rifornimenti da altre fonti. (2) -Vedi D. 385. (3) -Vedi D. 398.
414

IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7371-7372/72-73 R. Riga, 19 ottobre 1935, ore 19,10 (per. ore 24).

Mi riferisco ai telegrammi di V. E. n. 1887 e n. 1901/C (1).

Mentre agisco con ogni possibile mezzo, data situazione locale, ho ritenuto opportuno avere nuovo colloquio con attuale effettivo dirigente politica estera Lettonia Segretario Generale degli Affari Esteri. Egli ha preso nota accuratamente ogni mia comunicazione. Dopo rinnovate affermazioni sentimenti amicizia Lettonia verso Italia sue risposte possono essere riassunte come segue:

l) questo Consiglio dei Ministri non ha creduto potersi sottrarre adesione sanzioni n. l e 2 tanto più che hanno per Lettonia soltanto valore tecnico. Infatti, non fabbricando armi, non ha da considerarsi questione credito non esportando materie prime comprese lista ginevrina. Governo Lettonia ritiene pertanto che c.iò non influirà sui rapporti che esistono tra i due Paesi. Fatto a questo proposito le dovute riserve.

2) Questione grave sorgerà per Lettonia quando dovranno decidersi eventuali proposte divieto d'importazione nostre merci. Anche tale questione sarà sottoposta Consiglio dei Ministri, che l'esaminerà tenendo conto portata e conseguenza. Segretario Generale ha evitato ogni precisazione affidamento rilevando che nessuno può ora prevedere decisione perché essa dipenderà anche dalla situazione che si sarà sviluppata. Ha dichiarato tuttavia che non vi è da parte del Governo preconcetto, nè desiderio adesione. Ha soggiunto che mi preavviserà tempestivamente salvo che circostanze speciali assolute non lo vietino. È interessante notare che citava a questo proposito, benché come ipotesi personale e non probabile, che Segreteria Generale S.d.N. chieda risposta entro dodici ore e sotto vincolo segreto. Non ho mancato di dire ciò che pensavo di tali eventuali ottimi procedimenti societari.

3) Ha anche accennato che è in sospeso da parte nostra pagamento a questo Monopolio Statale di circa 35 mila franchi francesi per parti,ta Iino inviato giugno scorso linificio e canapificio nazionale italiano in Milano e ha sottolineato impressione favorevole che produrrebbe in questo momento sollecito pagamento. Non ho dubbio che impressione sarebbe favorevole.

Tuttavia, a parte dichiarazione Segretario Generale Affari Esteri, esattamente ben nota situazione locale è che questo Paese è societario all'estremo ed assoggettato influenze ed interessi inglesi. Non si può coscienziosamente prevedere che questo Governo vorrà o potrà facilmente sottrairsi -nonostante ogni nostra azione -ad altre decisioni in tutto o in parte a noi sfavorevoli. Non vedo quindi da parte mia perché dovremmo affrettarci ad un pagamento che renderebbe ancora più libero questo Governo nelle sue decisioni, mentre

sembra oggi così preoccupato somma ln questione. Secondo dati locali da gennaio ad agosto scorso bilancia commerciale indica attivo per noi di oltre il doppio e per valore che supera quattro milioni di lire italiane.

(l) Vedi DD. 351 e 364.

415

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7281/374 R. Ginevra, 19 ottobre 1935, ore 19,08 (per. ore 20,30). Telegramma di V. E. n. 105 (l).

Litvinov, al quale ho fatto comunicazione ordinatami, mi ha detto che URSS non ha inteso e non intende marciare di punta nelle sanzioni contro l'Italia. Mi ha pregato di dirlo a V. E., informandoLa che in questi ultimi giorni non soltanto ha mantenuto atteggiamento passivo astenendosi da ogni iniziativa, ma si è astenuto addirittura dall'intervenir·e personalmente in parecchie sedute inviando un semplice rappresentante. Per provare suo asserto circa atteggiamento URSS verso Italia mi ha pregato di fare sapere a V. E. che Ambasciatore britannico ha protestato l'altro giorno a Mosca contro stampa sovietica avendo questa scritto che attuale conflitto non è questione societaria sebbene dissidio coloniale tra Italia e Inghilterra.

Si è compiaciuto di quanto gli ho detto circa stampa italiana ed ha aggiunto che obbiettivi politici sovietici in questa circostanza erano: riaffermare obblighi del Patto e costituire precedenti in fatto di sanzioni. Tali risultati essendo stati raggiunti egli limiterassi alla fine dei lavori a rinnovare note riserve circa interessi suo Paese, precisando che il complesso delle sanzioni adottate in questo caso non rappresenta che una parte delle misure che possono essere prese in casi più gravi; dal che risulterà che caso dell'Italia non è ritenuto a giudizio dell'URSS, violazione grave.

Ha concluso conversazione pregandomi nuovamente di dire al Duce che egli non ha inteso marciare e non marcerà di punta nelle sanzioni.

416

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7282/259 R. Berlino, 19 ottobre 1935, ore 19,15 (per. ore 21,25).

Mio telegramma n. 247 (2). Governo tedesco si attende ormai ad una démarche ginevrina da un giorno all'altro e precisamente per lunedì.

30 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

Si ritiene qui che S.d.N., anziché domandare sic et simpliciter adesione Paesi neutrali alle sanzioni, si limiterà probabilmente a suggerire adozione di un « minimo ~ di provvedimenti indispensabili a non frustrare completamente efficacia sanzioni societarie.

In previsione domanda, Governo tedesco ha già considerato grandi linee possibUe risposta che, salvo gli adattamenti suggeriti dal preciso contesto della richiesta ginevrina, sarebbe seguente:

l) Governo tedesco ripeterà (in forma più o meno analoga a quella giapponese) già fatte dichiarazioni neutralità, le quali dovranno intendersi riferibili per tutta la durata conflitto itala-abissino ma anche ai conflitti conseguenziali: Italia-S.d.N. e virtualmente anche Italia-Inghilterra (sebbene a questo Ministero degli Affari Esteri si nutrano ora a riguardo apprensioni assai minori di prima);

2) piuttosto che una risposta precisa ai singoU punti dell'attesa richiesta ginevrina, Governo tedesco preferirà una risposta generica e comprensiva affermante il suo distacco da Ginevra e dal suo quadro, con ciò facendo chiaramente, per quanto implicitamente, intendere che sanzioni art. 16 non lo riguardano;

3) al contrario Governo tedesco affermerà espressamente suo proposito continuare conformarsi Patti che tuttora lo legano alle altre Potenze (compresi trattati di commercio) e loro stipulazioni;

4) subordinatamente alla possibilità che richiesta ginevrina ne dia o meno l'occasione, Governo tedesco esprimerà suo rincrescimento che circostanze abbiano portato alla rottura fronte europeo (razza bianca) a favore di fattori non europei (Russia, Giappone, Africa). Ho potuto rendermi conto che questo ultimo punto (che sembra essere molto caro al Cancelliere) incontra una certa resistenza da parte degli uffici, questi ultimi più propensi invece a sottolineare gravità conseguenze che sul già affaticato e sconquassato organismo economico dell'Europa e del mondo non mancheranno di sentirsi le nuove limitazioni economiche e finanziarie che ora vengono imposte.

Continuerò ad informare (1).

(l) -Vedi D. 394. (2) -Vedi D. 317.
417

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CAPASSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7376/68 R. Copenaghen, 19 ottobre 1935, ore 19,35 (per. ore 22,20). Telegramma di V. E. n. 1887

Mentre mi adopero in tutti i modi a prospettare le considerazioni espostemi dall'E. V., in questi circoli politici commerciali e giornalistici, nonostante le difficoltà quas,i insormontabili dell'ambiente inquinato, ho avuto ieri un lungo colloquio con questo Ministro degli Affari Este!I'i.

La mentalità dominante a Ginevra, donde è ritornato ieri l'altro, ha reso più rigido atteggiamento del signor Munch, sull'animo del quale le mie precise e ferme parole hanno fatto scarsa presa. La Danimarca, che pochissimo ha da perdere con la diminuzione delle esportazioni per l'Italia e poco con l'arresto totale di esse (ciò che ho fatto intendere inevitabilmente avverrebbe a norma delle istruzioni del telegramma di V. E. 1901) (l) si trincera dietro la Gran Bretagna, suo massimo cUente commerciale e suo patrono politico. I pericoli insiti nell'applicazione delle sanzioni progressive non sembrano turbare questo Governo il quale si dimostra convinto, in seguito ai contatti ginevrini, che il Governo francese, sia pure riluttantemente, finirà per cedere alle pressioni inglesi, russe e della Piccola Intesa per la difesa dei suoi permanenti interessi antigermanici. La pressione che ne risulterà sarà tale, nel pensiero evidente di questo Governo, da condurre non soltanto al trionfo di Ginevra, arca santa dei piccoli Stati, ma da servire indirettamente agli interessi nazionali danesi con la remora che verrebbe imposta a future mire della Germania, unico Stato la cui politica desta qui preoccupazioni e timori. Soltanto la minaccia di collaborazione itala-tedesca o quanto meno una pressione di Berlino potrebbe fermare Danimarca sulla via sulla quale si è messa al seguito di Londra.

Questo Ministro degli Affari Esteri di Danimarca, come già fece a favore Bolivia, non può sottrarsi alla decisione del Consiglio della S.d.N. di togliere embargo delle armi a favore Etiopia. Ciò nonostante continuo a svolgere azione serrata perché voci di opposizione alla politica dominante, nonché di comprensione degli interessi italiani si levino in seno a questa opinione pubblica.

(2). (l) -Vedi D. 483. (2) -Vedi D. 351.
418

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7316/261 R. Madrid, 19 ottobre 1935, ore 20,15 (per. ore 23,15). M1o telegramma n. 258 (2).

Ho parlato stamane con Ministro degli Affari Esteri Lerroux ed in forma appropriata gli ho esposto le considerazioni di cui ai telegrammi nn. 1887 e 1901 (3) direttamente.

Lerroux mi ha risposto che, dal giorno in cui la questione delle sanzioni è venuta in discussione, la delegazione spagnuola ha ricevuto ordini quotidiani di opporsi alle sanzioni più severe, accettando le più miti. Egli stesso ha ripetutamente ricordato alla delegazione particolare condizione Spagna che, vivendo nel Mediterraneo, non può rinunzia.re facilmente correnti traffici importanti con l'Italia. Mi ha assicurato che contegno Governo non cambia nel senso di adempiere obblighi Ginevra con giusta parsimonia e nella riaffermazione che simpatia Spagna per l'Italia non può e non deve essere in nessuna decisione

dimenticata. Per quanto concerne applicazione sanzioni già decretate, egli finora non ha ricevuto che comunicazione ufficiale per traffico armi, che Governo impedirà secondo suo obbligo. Sanzioni finanziarie non concernono Spagna. Sanzioni economiche danneggiando Spagna hanno già provocato riserve esplicite Delegazione Spagna Ginevra ed egli non vede come possano essere di pratica applicazione senza pregiudizio del suo paese, che Governo tiene nel massimo conto.

Mi ha confermato avere convocato Madariaga Madrid per ripetergli istruzioni nel senso e ha concluso che noi possiamo fare affidamento su contegno non solo moderato, ma amichevole Spagna in questo momento e che non dovrà mai porsi in dubbio assoluta volontà Spagna. assoluta neutralità nel caso complicazioni.

A complemento del colloquio, confermo che urto tra Governo e Presidente della Repubblica, per inopportuno intervento del Presidente in politica estera, continua acuto.

(l) -Vedi D. 364. (2) -Vedi D. 361. (3) -Vedi DD. 351 e 364.
419

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7347/227 R. Bruxelles, 19 ottobre 1935, ore 21 (per. ore 1,10 del 20).

Tutti e singolarmente gli argomenti suggeriti da V. E. con il suo telegramma n. 180 (l) sono stati da me esperiti presso questo Governo fin da primavera scorsa, quando incominciò la lotta accanita di questa Ambasciata per impedire o almeno intralciare traffico delle armi dal Belgio all'Etiopia. E sono ora già tornato di mia iniziativa ad avvalermene appena fu noto che sarebbe stato 1evato divieto di accordo licenza per traffico suddetto.

Come V. E. ricorderà, tale divieto era stato ottenuto da noi con grande fatica contro ingenti interessi dell'industria pesante e delle masse operaie belghe da essa impiegate, onde la loro pressione, mai venuta meno nel frattempo, ha reso impossibile al Governo di mantenerlo in vigore dopo che la sua abrogazione era stata formalmente decisa a Ginevra e già applicata da una grande Potenza.

Più anglofili e antifascisti, sono stati dunque i mercanti di cannoni a fare le,vare con tanta fretta l'embargo. Th'attasi di molti e molti milioni di affari immediati, sotto il cui fascino questo ceto mercantile rimane refrattario ad ogni considerazione di amicizia e di fratellanza europea, di comune politica coloniale avvenire, di incivilimento e controllo delle razze africane, benedicendo Ginevra che gli consente di arricchirsi sul momento.

Nessuna opposizione sistematica di fronte .a questo atteggiamento di una frazione importantissima della produzione nazionale è lecito attendersi dal Governo, sia perchè ciò sarebbe pericoloso per la sua permanenza al potere, sia perchè esso Governo è quasi tutto composto di socialisti, massoni e democratici-cristiani nostri avversari, a parte il suo capo, il quale (nonostante il suo fanatismo societario) è il solo da cui ho strappato finora e vado strappando tuttora quanto è possibile in nostro favore.

(l) Vedi D. 367.

420

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7336/101 R. Stoccolma, 19 ottobre 1935, ore 21 (per. ore 3,10 del 20).

Telegramma di V. E. n. 43 (1).

Fatta comunicazione come prescritto.

Segreta,rio Generale Ministero degli Affari Esteri mi ha fatto osservare che, nello spirito delegati che hanno proposto ed approvato tale genere sanzioni, era assente idea di limitare rifornimenti necessari popolazione italiana, essendosi calcolato che quota esportazione italiane verso i paesi non membri della S.d.N. era suf.ficiente procurare valuta per rifornimenti indispensabill.

Gli ho risposto che, poiché entravamo in tema di commenti, eghl. non doveva ignorare gli immediati sforzi compiuti da certe Potenze verso i Paesi non membri per indurii ad unirsi al regime delle sanzioni, il che non testimoniava a favore sistema di cui parlava. Il signor Gunther ha ammessa la verità di quanto gli dicevo. Parlando delle sanzioni, mi ha confessato che dubita di un loro funzionamento efficace e che si rende conto dei pericoli che presentano.

Nel corso della conversazione si è parlato sempre di Inghilterra e !talla e non d'Italia a Ginevra. Ha convenuto meco sulla gravità della permanenza delle forze navali britanniche nel Mediterraneo.

Mi ha poi chiesto se identica comunicazione era stata fatta agli altri paesi partecipi della deliberazione del Sottocomitato economico, ma gli ho risposto non avere informazioni in proposito.

Per la prima volta ho constatato nel signor Gunther una minore fermezza nell'esporre le note tesi societarie e sanzionistiche ed una visibile preoccupazione.

(l) Vedi D. 386.

421

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 1943/179 R. Roma, 19 ottobre 1935, ore 24.

Suo telegramma 263 (l).

Ella può esprimersi con Condylis nel senso che ho apprezzato il suo messaggio e anche letto con interesse le sue varie dichiarazioni fatte in questi giorni alla stampa sui rapporti con l'Italia.

Mentre è superfluo che ricordi e riconfermi quale sia l'atteggiamento costante di comprensione mantenuto dal R. Governo anche quando più sembrava che la politica greca si distaccasse dallo spirito animatore degli accordi esistenti, Ella può far intendere al Condylis che seguiamo con simpatia e con ogni migliore voto lo sforzo ricostruttivo del Governo ellenico e saremo molto sensibili all'atteggiamento che esso adotterà a Ginevra per contemplare i suoi obblighi societari alle esigenze più attuali e più posit~ve di amichevoli rapporti con noi, in modo che non venga danno nè alle relazioni commerciali nè a quelle politiche fra i due paesi (2).

422

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 1944/120 R. Roma, 19 ottobre 1935, ore 24.

Suo telegramma 053 (3).

PregoLa dire a Stojadinovrc che ho molto apprezzato quanto Ella ha avuto incarico di riferirmi e che anche io interpreto l'atteggiamento jugoslavo nelle presenti circostanze come la dimostrazione reale e positiva di una seria volontà di intesa tra i due Paesi. Circa la questione del clearing di cui Stojadinovic La ha da ultimo interessata e a cui hanno seguito passi analoghi di questo Ministro di Jugoslavia, Ella può dire che la situazione è stata oggetto del più attento esame da parte degli organi tecnici competenti.

Codesto Addetto commerciale riceverà direttamente istruzioni dal Ministero delle Corporazioni perché prenda contatto con codesti organi tecnici e discuta questione con spirito di comprensione per difficoltà manifestatesi e desiderio di rimediarvi, compatibilmente con particolari esigenze nostre dell'ora attuale.

A prescindere da ogni eventuale più complessa sistemazione, misura pm ovvia per sanare situazione clearing sarebbe aumento degli acquisti jugoslavi in Italia. Dr. Benedetti toccherà questo punto con elementi tecnici.

Occorre poi tener presente nell'esaminare situazione complessiva scambi tra i due Paesi, elemento rappresentato da rivelanti acquisti compiuti direttamente da amministrazioni italiane, specie militari con realizzazione immediata fuori clearing del controvalore delle merci a noi vendute.

In relazione poi a profferte per nostri maggiori acquisti di materie prime dr. Benedetti potrebbe raccogliere intanto e trasmetterei con ogni necessario dettaglio notizie su materie prime, specie minerali, che, oltre correnti di traffico già esistenti, mercato jugoslavo potrebbe se necessario utilmente fornirci.

Interessi economici e politici dei due Paesi, più forti e diretti di quelli di cui sono espressione le deliberazioni ginevrine, indicano chiaramente la via che con reciproco vantaggio converrà seguire dall'Italia e dalla Jugoslavia nei loro rapporti.

(l) -Vedi D. 337. (2) -Per la risposta di Boscarelli vedi D. 458. (3) -Vedi D. 353.
423

L'EX MINISTRO A CARACAS, GEMELLI (1), AL MINISTRO DEGLI ESTERI DEL VENEZUELA, CHACIN

T. 12073. Roma, 19 ottobre 1935, ore 24.

Nome Eccellenza Mussolini sono lieto assicurarLa che prova amicizia offerta all'Italia dal Venezuela attraverso sua delegazione Ginevra è stata vivamente apprezzata da Governo italiano. Gesto spontaneo Venezuela, che ha destato la più viva simpatia nel nostro Paese, renderà indubbiamente ancora più profondi e cordiali legami amicizia fra le due Nazioni. PregoLa gradire l'espressione rinnovata della mia più alta considerazione (2).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7358/0181 R. Parigi, 19 ottobre 1935 (per. il 21).

Telegramma di V. E. n. 665 (3). Ho fatto presente questa mattina al sig. Léger 1 cinque punti del telegramma cui rispondo.

Segretario Generale mi ha risposto che il sentimento di amicizia che la Francia nutriva verso l'Italia era di per se stesso un argomento validissimo per guidare il Governo francese nel senso da noi desiderato, vale a dire per farlo perseverare nel non consentire l'esportazione di materiale bellico diretto

in Abissinia. Le considerazioni da me espostegli erano naturalmente state ponderate anche a Parigi ed avevano avuto un certo peso nel determinare la linea di condotta sopra menzionata.

Il Governo francese doveva contare con le pressioni di talune ditte industriali desiderose di concludere contratti con l'Abissinia. Le ditte che fabbricavano materiale bellico erano però tutte controllate e sarebbe stato tanto più agevole convincerle a non fornire merce all'Abissinia dato che esse lavorano presentemente in pieno per conto del Governo della Repubblica.

Le dichiarazioni di Léger, fatte in termini molto amichevoli, mi sembrano soddisfacenti (l).

(l) -Rientrato a Roma il 1° settembre, il minis,tro Bruno Gemelli fu destinato a reggere il Consolato Generale di Zurigo. (2) -Per la risposta vedi D. 467. (3) -Vedi D. 401.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7359/0182 R. Parigi, 19 ottobre 1935 (per. il 21).

Telegramma di V. E. n. 661 (2).

Avevo già parlato a Lavai dell'attrggiamento della Francia a Ginevra e gU avevo detto assai chiaramente che se i suoi delegati avessero assunto un atteggiamento indipendente da quello dell'Inghilterra i piccoli Stati avrebbero seguito in gran parte il suo esempio, mentre così essi si sono semplicemente accodati all'azione concorde dell'Inghilterra e della Francia. Lavai mi aveva risposto che Francia deve seguire strettamente la linea tracciatale dal Patto della S.d.N. ma che ciò nonostante i delegati francesi a Ginevra avevano ricevuto l'istruzione di tenere sempre presente l'amicizia che Lega la Francia all'Italia e di agire di conseguenza.

Stamane ho parlato della questione a Léger e gli ho pure accennato all'inconveniente, cui potrebbe dar luogo, il fatto che mentre l'Inghilterra è rappresentata a Ginevra da un Ministro che per di più non ci è benevolo, la Francia vi ha presentemente soltanto dei funzionari, ancorché molto distinti. In un colloquio molto amichevole Léger si è studiato di convincermi che quest'ultima circostanza ci riesce di grande utilità, perché Coulondre non è in grado di assumere la responsabilità di una decisione e deve in ogni caso riservarsi di riferire a Parigi. È tanto tempo di guadagnato e le istruzioni che riceve sono sempre inspirate ai sentimenti di amicizia che Lavai ed il Governo francese nutrono per l'Italia. Egli stesso, durante i lavori del Comitato dei Cinque, aveva agito in modo da non ammettere alcuna deliberazione che ci riuscisse sgradita, perché di condanna o di deplorazione. Dubitava che la nostra delegazione a Ginevra ne avesse avuto notizia e che avesse apprezzato l'opera sua al giusto valore. Teneva a dirmi che, grazie all'atteggiamento da

(l} Ritrasmesso a Varsavia, Bruxelles e Praga (T. 1999/C.R. del 24 ottobre 1935, ore 1,30) con la seguente indicazione: «V. E. potrà usare discretamente della Informazione di cui sopra per cercare di Indurre codesto Govemo ad adottare in pa"atica un atteggtamento conforme a quello adottato dal Governo francese». Peil' le risposte da Bruxelles e Praga vedi DD. 494 e 485.

(2} Vedi D. 393.

lui assunto, il rapporto del Comitato dei Cinque era stato redatto senza che contenesse alcun apprezzamento sul fondo della questione, menzionando semplicemente i fatti in ordine cronologico (la documentazione era esclusivamente italiana). Egli si era opposto alla caratterizzazione dei fatti, cosicché il Comitato dei Cinque non aveva rHevato nessuna responsabilità morale. Si era pure adoperato perché non si menzionasse l'art. 16 e perché nel rapporto non vi fosse alcun elemento che potesse indurre il Consiglio della S.d.N. a pronunciare una censura od un biasimo contro l'Italia.

Léger mi disse quanto precede pe,r giungere aLla conclusione che è sovente più utile poter agire secondo le norme tradizionali della diplomazia classica, norme che comportano più tempo ma permettono di riflettere maggiormente ed eventualmente di smentire i propri agenti. Egli riteneva che a Ginevra, agendo come fa, la Francia rendesse all'Italia dei servigi che noi forse non possiamo apprezzare subito, ma che constateremo in seguito.

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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7360/040 R. Sofia, 19 ottobre 1935 (per. il 21).

A telegramma di V. E. n. 123 (l) e precedenti n. 1887 e 1901 (2).

Ieri sera ho avuto un lungo colloquio con questo Ministro degli Esteri. Nell'informarlo che V. E. aveva preso atto di quanto egli mi aveva detto domenica scorsa (mio telegramma 138) (3) ho creduto opportuno non solo di esporgli il nostro pensiero rispetto alla limitazione delle sanzioni economiche secondo i sei punti precisati dalla circolare di Ginevra ma anche di metterio al corrente della reazione provocata sul Governo fascista dalle decisioni di principio prese a Ginevra di mettere in moto l'ingranaggio delle sanzioni a nostro danno e dei fermi propositi di cui esso è animato.

Dati gli ottimi rapporti personali che intrattengo con il signor Kiosseivanoff e la indubbia buona volontà del Governo bulgaro, ho potuto togliere a quanto ho detto qualunque sapore di asperità o intimidazione, che sarebbe stato al momento attuale fuori di luogo, pur precisando nettamente i diversi concetti e pregando il Ministro di voler mettere al corrente del nostro colloquio il Presidente del Consiglio e i suoi colleghi più direttamente interessati.

Sono stato ascoltato con la massima comprensione e il signor Kiosseivanoff ha trovato molto opportuno e tempestivo che governi e opinioni pubbliche siano fin da ora indotti a considerare la reazione italiana a provvedimenti che colpissero anche le sue esportazioni.

D'altro canto circa precisi propositi del Governo bulgaro nulla di nuovo posso rilevare da questo ultimo colloquio. Il rappresentante bulgaro a Ginevra

è obbligato a seguire una linea di condotta di prudente riserbo ed attesa mentre bisogna tener presente che il signor Momciloff non fa parte di nessuna commissione, non è messo al corrente delle discussioni in corrso e non è stato finora presentito su nessun spec~ale argomento. La Bulgaria, che non ha alleati con i quali accordarsi per un'azione comune, spera sempre e confida che l'atteggiamento degli altri Stati balcanici, sopratutto della Jugoslavia satellite della Francia, le faciliti il modo di poter espletare a nostro favore un'azione che si accordi e ai suoi sentimenti e ai suoi :interessi politici ed economici. Infine il signor Kiosseivanoff mi promise che mi avrebbe tenuto al corrente delle istruzioni che sarebbero state man mano impartite al proprrio delegato: egli crede però che la questione delle sanzioni potrà essere concretizzata solo alla fine del mese.

Come ho già avuto occasione di riferire l'opinione pubblica bulgara nella sua grande maggioranza ci è favorevole e la stampa rispecchia, o apertamente o, sotto veste di prudente imparzialità, questi sentimenti, tanto che ieri l'altro il mio collega inglese ha protestato sia presso il Ministro degli Esteri (che me lo ha ieri confermato) che presso il Capo dell'Ufficio Stampa per l'atteggiamento parziale della stampa bulgara. Mi risulta che un giornalista inglese e un sedicente impiegato del Consolato giunto da poco da Londra si agitano negli ambienti giornalistici per far proseliti, ma finora, con risultati quasi nulli. Qualche notizia falsa passata sottomano a giornali di provincia, ed è bastato un mio richiamo all'Ufficio Stampa perché il caso, sullo stesso giornale, non si ripetesse.

Io impronto la mia azione e quella dei miei collaboratori nei riguardi della stampa a molta discrezione (pur fornendo quasi giornalmente materiale per articoli e illustrazioni a giornalisti amici che ne approfittano largamente) sia perché un'azione più diretta ed insistente non è per ora almeno necessaria, sia per non provocare qualche dannosa reazione visto che questo Governo, che controlla tutta la stampa, non potrebbe trincerarsi in caso di maggiori pressioni e proteste inglesi dietro al rispetto del principio di libertà di stampa.

Con telespresso a parte (l) trasmetto alcuni ri:assunti di arrticoli comparsi in questi ultimi giorni sulla questione delle sanzioni e alcune sintomatiche illustrazioni. Più ampio materiale viene regolarmente inviato al Ministero Stampa.

(l) -Vedi D. 330. nota 2. (2) -Vedi DD. 351 e 364. (3) -Vedi D. 330.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 19 ottobr,e 1935.

L'Ambasciatore Chambrun ha avuto da Drummond la relazione del colloquio di ieri col Capo del Governo (2) fin nei dettagli.

Chambrun crede che il passo di ieri della Gran Bretagna sia fatto con il desiderio effettivo di portare a una détente. A ciò la Gran Bretagna è stata indotta: dall'assoluta opposizione di Lavai alle sanzioni militari; dal desiderio reale che essa ha di evitare una guerra; dal modo come è stata condotta l'azione in Africa e sopratutto dal contegno delle popolazioni conquistate nei nostri riguardi; dalla difficoltà dell'applicazione delle sanzioni economiche; dall'intervento del Pontefice a mezzo di Charles-Roux.

L'Ambasciatore ritiene che non bisogna scoraggiare l'Inghilterra dallo sviluppare queste sue intenzioni pacifiche.

Ha trovato Drummond molto più ottimista.

Ha parlato con Drummond del progetto Argentina-Cile. Chambrun Io trova buono. Anche Drummond pare abbastanza persuaso e gli ha promesso che ne avrebbe riferito a Londra.

Ho detto all'Ambasciatore, richiamandomi al passo di ieri della Gran Bretagna, che oramai tutto dipendeva dalla Francia. Se la Francia metteva il suo veto, gli altr·i Paesi l'avrebbero seguita ·e la Gran Bretag.na, che dichiarava di non voler fare azione isolata, avrebbe dovuto piegarsi alla maggioranza.

Chambrun ammette che le cose stanno così e intende insistere ancora in ques.to senso presso il suo Governo (l).

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 388.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVIGH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (2). Roma, 19 ottobre 1935.

L'ambasciatore Cerruti mi avverte che la risposta data a Londra, di cui all'unita Reuter (3), ha superato la di&tinzione di cui al suo telegramma di ieri (4) (la Francia aiuta o non aiuta la Gran Bretagna aggredita dall'Italia in relazione all'applicazione delle sanzioni a seconda che i provvedimenti inglesi, contro i quali l'Italia reagisce, abbiano o non abbiano avuto origine dall'applicazione delle sanzioni stesse). Quindi è chiaro che con la risposta data a Londra si promette l'aiuto all'Inghilterra, quando sia aggredita dall'Italia, in seguito all'applicazione delle sanzioni, qualunque sia l'origine del provvedimento preso dall'Inghilterra.

Affermo all'Ambasciatore che con questa dichiara:I'Jione francese la posizione dell'Italia nel Mediterraneo è molto aggravata. L'Ambasciatore è d'accordo.

Gli aggiungo che bisogna per Io meno essere precisi sul fatto che la Francia metterà un veto all'Inghilterra per le sanzioni militari. Io intendo per sanziond militari tutti i provvedimenti di polizia, di controllo, di visita, di blocco che possano servire anche a controllare le sanzioni economiche.

L'Ambasciatore mi risponde che ha avuto dichiarazioni precise e assolute che la Francia non solo non parteciperà a tali sanzioni, ma che voterà contro l'applicazione delle sanzioni stesse anche da parte degli altri, e quindi anche di un mandato del genere che potrebbe essere affidato dalla S.d.N. all'Inghilterra. Risulta poi a Parigi che l'Inghilterra non intende chiedere tale mandato.

L'Ambasciatore può aggiungermi che la F.rancia ha molto insistito per la pubblicazione di tale accordo sui limiti delle sanzioni ma l'Inghilterra si è opposta dicendo che sarebbe stata una scorrettezza verso il Consiglio il quale è almeno formalmente arbitro della situazione.

Per quanto riguarda le sanzioni economiche a Parigi risulta che dopo il 28 si daranno ai vari Paesi un paio di settimane di tempo per l'accettazione definitiva e l'applicazione pratica delle sanzioni. Perché poi le sanzioni possano essere applicate occorre che ci sia una determinata percentuale di Stati che Vi aderiscano. In Francia si ha l'impressione di avere portato con ciò una notevole attenuazione alle sanzioni economiche (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Questo documento è intitolato «Colloquio telefonico con l'ambasciatore Cerruti ». (3) -Vedi D. 400. Il testo della Reuter era il seguente: «L'Ambasciatore di Gran Bretagna ha ricevuto in serat·a la risposta della Francia. la quale dice che la Francia è pronta ad adempiere i suoi impegni in virtù del paragrafo 3 dell'art. 16 del Patto della Società delle Nazioni». (4) -Vedi D. 395.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 19 ottobre 1935.

Avvalendomi dell'autorizzazione di V. E. ho avuto un primo contatto «casuale :. con Drummond in casa di amici comuni.

Di comune accordo in questo primo incontro ci siamo limitati a uno scambio di v.edute su quei soli aspetti della questione che sono attualmente in corso di sviluppo, e precisamente:

l) Mediazione francese. Ha detto di ritenere che le proposte presentate da V. E. a Chambrun hanno probabilità d'i costituire una base di discussione dato che, in fondo, esse non si discostano sensibilmente da quelle del Comitato dei Cinque, che erano state accettate tanto dal Governo inglese quanto dal Negus. Ha voluto chiarire che si tratta oggi di probabilità e non più di certezza per il fatto nuovo della guerra e della condanna di Ginevra, che hanno tanto aggravato la situazione. In ogni modo egli ha tenuto a precisare che il riconoscimento da parte nostra di due principi rappresenta la condizione essenziale di una eventuale accettazione da parte inglese, e cioè: a) che la sovranità nominale del Negus sia riconosciuta tanto sulla parte sottoposta ad una amministrazione internazionale, quanto sulla parte sottoposta a una amministrazione italiana; b) che sia concesso all'Etiopia uno sbocco al mare, in quanto una tale cessione rappresenta una necessaria contropartita alle concessioni che il Negus dovrebbe fare all'Italia. Senza di essa il Negus non potrebbe giustificare agli occhi dei suoi sudditi i necessari sacrifici territoriali.

Su questo punto non ho voluto ingaggiare una discussione dato che la cosa è oramai già passata nelle mani del gove,rno francese. Mi sono limitato a fargli osservare che le proposte giungono in buon punto, dato che ieri Hoare ha dichiarato al nostro Ambasciatore (l) che il Governo inglese è disposto a discutere nostre proposte.

2) Smobilitazione. Abbiamo riconosciuto entrambi essere la smobilitazione militare una premessa necessaria per la smobilitazione degli animi, senza la quale qualunque discussione rischia di essere stroncata prima di giungere a risultati concreti. Gli ho fatto poi notare essere necessario che il Governo inglese riconosca: a) che non possiamo evidentemente accettare che la smobilitazione nostra preceda quella inglese; b) che il ritiro della flotta -e mai, comunque, di due sole navi -rappresenta una concessione di minor valore che non il ritiro di divisioni dell'esercito, data la diversa rapidità di dislocazione che permette all'una un rapido ritorno, che è negato alle altre.

3) Iniziativa Stati sudamericani. Gli ho fatto notare il vantaggio che una tale mossa rappresenta anche per l'Inghilterra, data ,la estrema difficoltà che essa sta incontrando nella applicazione delle sanzioni, il saito nel buio che queste rappresentano pe,r l'economia di tutti gli Stati e l'inacerbirsi della situazione internazionale che esse provocano. Ha convenuto e ha poi fatto notare che secondo lui l'iniziativa dovrebbe svolgersi prima del 28 ottobre, data deHa convocazione dell'Assemblea per la dectsione finale, ma non prima che ci sia conosciuta la reazione del suo Governo alle proposte che presenterà Lavai, ossia prima di tre o quattro giorni.

Il colloquio è stato cordialissimo e a varie riprese nrummond mi ha dichiarato di ritenere utilissima questa presa diretta di contatto ai fini di discussioni particolareggiate che egli non è in grado di svolgere direttamente con V. E.

Mi ha promesso di contribuire con la sua opera ad una presa in considerazione da parte del suo Governo di tutti i tre punti oggi trattati.

Mi riservo di fornirgli alcune precisazioni, che egli mi ha chieste, non appena mi avrà avvertito che gli saranno giunti i telegrammi di risposta a quelli che egii trasmetterà questa sera.

(l) Il presente documento reea il visto di Mussolinl.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7323/183 R. Mosca, 20 ott.obre 1935, ore 2,42 (per. ore 5,30).

Ho avuto oggi lungo colloquio con Krestinski.

Gli ho detto che con rincrescimento dovevo rilevare una evoluzione in senso a noi contra,rio nell'attitudine dell'U.R.S.S. nel conflitto itala-abissino. Gli ho ricordato come nel mese di agosto u.s. la preoccupazione precipua dei

soviet fosse che l'Italia «Paese amico» uscisse indebolito dall'attuale conflitto.

Oggi l'U.R.S.S. contribuisce con la sua azione a Ginevra a tale indebolimento.

Gli ho ricordato le dichiarazioni fatte da Litvinov il 29 settembre, peggiorate a

Berlino nel colloquio con Attolico ed ancora più a Ginevra con Aloisi (1).

Gli ho detto che, mentre sembrava inteso che l'U.R.S.S. non dovesse prendere

iniziative a noi contrarie, il signor Potemkine aveva invocato provvedimenti

contro l'Austria e l'Ungheria. La stessa partenza improvvisa per Ginevra di

Litvinov era un incoraggiamento per i sanzionisti ed aveva il suo peso. L'Italia

non poteva non preoccuparsi di tale atteggiamento dell'U.R.S.S., che sembrava

incompatibile con i proclamati sentimenti amichevoli.

Il signor Krestinski ha tirato in campo la solita teoria della prova del

l'efficienza della S.d.N. per eventuali futuri casi europei in cui l'U.R.S.S. avesse

dovuto trovarsi direttamente minacciata.

Gli ho detto che questa teoria di « esperimento da laboratorio » ai danni

dell'Italia non era certo amichevole. Gli ho detto pure che l'U.R.S.S. rischiava

cosi di compromettere la nostra amicizia, mentre tutto faceva credere che in

futuro mai la S.d.N. avrebbe funzionato contro la volontà dell'Inghilterra. Di

ciò il signor Krestinski ha convenuto.

Da parte sua così egli riassumeva la posizione attuale dell'U.R.S.S. a Ginevra:

l) nessuna intesa esiste fra l'Inghilterra e la Russia per un comune

atteggiamento nella questione italo-[abissina];

2) l'attitudine dell'U.R.S.S. era ispirata ai due concetti: di amicizia verso

l'Italia e di lealtà verso la S.d.N.;

3) l'U.R.S.S. avrebbe scrupolosamente mantenuti gli impegni che avesse

dovuto !l!Ssumere a Ginevra;

4) l'U.R.S.S., però, non intende nella questione delle sanzioni tenere a Ginewa una posizione di primo piano, facendosi Kres,tinskl comprendere che non si sarebbe insistito sull'iniziativa Potemkine nei riguardi dell'Austria e dell'Ungheria.

(l) Vedi D. 376.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1951/c. R. (2). Roma, 20 ottobre 1935, ore 3.

Il R. Ministro in Cairo telegrafa in data 18 corrente quanto segue:

«Da più fonti molto attendibili mi viene confermato che, nei colloqui da me segnalati, vengono esaminati, dietro pressione britannica, modalità adesione Egitto sanzioni contro di noi.

collettività straniere».

All'uopo si sta studiando modo sospendere parzialmente regime capitolare nei riguardi degli italiani. Trattative avvengono al di fuori del Re. Reagisco attraverso stampa e ambienti politici.

Come ho peraltro più volte riferito, il Governo egiziano, malgrado il suo desiderio conservarsi neutrale, non ha alcuna possibilità sottrarsi imposizione britannica. Aumento delle forze inglesi ha del resto accentuata situazione assoluta dipendenza di questo Paese :..

Prego V. E. voler mostrarsi informata di quanto precede col Foreign Office ed esprimersi nel senso che, pur non prestando fede a tali informazioni, sarebbe bene darci qualche chiarimento, poiché questione oltretutto costituirebbe gravissimo precedente nei confronti anche altri Stati capitolari (1).

(l) -Vedi D. 177. (2) -Il telegramma era indirizzato anche alle ambasciate a Parigi e Washington e alla legazione ad Atene, con le seguenti istruzioni: «Prego V. E. (S.) attirare verbalmente attenzione di codesto Governo su tali informazioni, che, se confermate, dimostrerebbero intenzione Governo britannico Intaccare regime capitolare Egitto. con gravi ripercussioni per avvenire quelle
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 1954/123 R. Roma, 20 ottobre 1935, ore 3.

Suo telegramma per corriere circa accordo organizzazione militare (2). Mi rendo conto delle ragioni che inducono Governo albanese a chiedere di integrare progetto accordo militare con un articolo che ne stabilisce durata pari a quella Trattato alleanza. Quanto all'Italia Le indico le seguenti considerazioni:

l) Accettazione predetta richiesta 'avvalorerebbe agli occhi albanesi e stranieri asserzione albanese da noi sempre respinta che spese militari Albania siano imposte unicamente da Trattato allean:lla, mentre nuova organizzazione militare elaborata da Tenente Colonnello D'Antoni d'accordo con la S. V. risponde quasi esclusivamente a'i fini mantenimento ordine pubblico e perciò ad esigenze insopprimibili per qualsiasi Governo.

2) Ricollegando accordo militare con Trattato alleanza si verrebbe piuttosto a togliere che a dare elasticità nostra futura politica in Albania perché non potremmo nel caso di deviazioni albanesi da politica leale collaborazione sospendere o ridurre nostro apporto finanziario senza mettere in discussione validità Trattato.

3) Ministero Guerra (promemoria Pariani relativo ai vari punti accordo militare, che Ella riceverà per corri-ere) (3), osserva che concessione nostro aiuto dovrebbe essere rinnovata a brevi scadenze, possibilmente annuali.

(l) -Per la risposta di Grandi vedi D. 534. (2) -Vedi D. 278. (3) -Non pubblicato.
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L'AMBASCIATORE A WNDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7319/1053 R. Londra, 20 ottobre 1935, ore 3,17 (per. ore 12,30).

Ho veduto Vansittart. Abbiamo ripreso insieme l'esame della situazione sulle linee del colloquio con Hoare di avantieri (1).

Vansittart ha insistito nel negare qualsiasi ostilità premeditata dell'Inghilterra contro l'lllalia o contro il regime fascista. Vansittart ha aggiunto: «Hoare è rimasto molto impressionato di quanto avete detto ed ha subito dopo telegrafato a Drummond di vedere immediatamente il Duce ~.

Ho risposto che avevo preso atto delle assicurazioni datemi avantieri da Hoare ma attendevo, per valutarne la portata e per mutare eventualmente la mia già ripetutamente esposta convinzione sulle intenzioni del Governo britannico, il seguito che sarà dato nei fatti a queste assicurazioni.

Vansittart mi ha chiesto quali erano i fatti che mi attendevo a prova della lealtà dell'atteggiamento britannico.

Ho risposto che sono tre: l) che Eden la smetta con la sua azione provocatr·ice a Ginevra; 2) che l'Inghilterra ritiri dal Mediterraneo le unità deUa flotta del Nord dislocate senza alcuna mgione plausibile davanti al Canale di Suez; 3) che la stampa, ispirata dal Governo, la smetta di attaccare l'Italia e di rappresentare le nostre operazioni militari in Abissinia sotto una luce inammissibile. L'azione di Eden a Ginevra ha dimostrato anche ai più incredul~ che I'« azione collettiva~ non è se non una maschera la quale nasconde una vera e propri·a «azione isolata~ già in atto. Di ciò è prova il continuo tentativo di violentare una assemblea di nazioni recalcitranti. È Eden che, con la sua azione, ha fatto di nuovo slittare la questione, che doveva rimanere fra l'ItaUa e la S.d.N., in una questione diretta fra l'Italia e l'Inghilterra.

Vansittart mi ha risposto che non è vero che Eden capeggi a Ginevra il movimento per l'applicazione delle sanzioni. Ho replicato che non sono né io né la stampa italiana a dire questo, bensì tutta la stampa inglese e internazionale e lo stesso Eden.

Vansittart ha detto a questo punto che Eden partirà da Ginevra in questi giorni in seguito alla interruzione dei lavori dei Comitati. Abbiamo dunque davanti 'a noi, almeno per quanto riguarda le discussioni di Ginevra, un periodo di due settimane di calma. Profittiamo di questo periodo -mi ha detto Vansittart -per trattare, se è possibile, una soluzione della questione abissina in un modo soddisfacente.

Ho risposto che mi sembrava forse utile aspettare per veri e propri negoziati, che il Governo abbia fatto le elezioni. Da queste ultime non ci separano ormai più che una ventina di giorni. Quando· il Gabinetto non sarà più premuto da necessità d'ordine elettorale o interno, esso si sentirà forse più libero nel considerare con senso di realtà e di obiettività la situazione internazionale.

Vansittart ha replicato che, intanto, si potrebbe profittare di questo periodo

per gettare almeno le basi di una trattativa.

Ho risposto che bisognava determinare anzitutto un ambiente psicologicamente favorevole dando subito alle assicurazioni verbali scambiate a Londra e a Roma un seguito pratico mediante una simultanea e reciproca smobilitazione di tutte le misure di sicurezza prese dall'Inghilterra e dall'Italia nel Mediterraneo. Ho soggiunto di avere letto nei giornali di stamane che l'Inghilterl1a intende ritirare soltanto due navi da battaglia. È evidente che se questo fosse vero sarebbe assai difficile per il Duce considerare una riduzione delle nostre guarnigioni in Libia perché -come ho già detto a Hoare -non vi sarebbe tra i due provvedimenti una equa proporzione. Perchè la distensione che i Go~erni britannico e italiano intendono raggiungere sia una distensione effettiva, bisogna rimuovere interamente da ambo le parti le cause che hanno provo.cato la tensione.

'

Vansittart mi ha risposto dicendo che la questione v'a studiata attentamente in vista di ottenere un regolamento soddisfacente per l'Italia come per l'Inghilterra. Egli ha soggiunto di sperare che il Governo fascista si renda conto della situazione delicata in cui si trov1a in questo momento il Gabinetto alla vigilia delle elezioni, e da ultimo non ha escluso che, a elezioni fatte, il Governo possa essere indotto a considerare la situazione in una atmosfera più calma. Ma ad ogni modo doveva restare fermo che qualsiasi soluzione doveva essere esaminata dentro Ginevra.

Ho replicato che il Duce si è sempre reso conto della situazione interna, e questo ebbi a dire a Simon fin dal 30 aprile stesso (1}. Ho detto a Vansittart che una soluzione della questione abissina si sarebbe benissimo potuta trovare, e ancora si può trovare, senza compromettere la S.d.N. Ma Governo britannico lo ha fino ad oggi impedito. Governo britannico, e particolarmente Eden•. hanno fatto tutto quanto era in loro potere durante questi mesi per distruggere Lega delle Nazioni, mentre Go•verno italiano ha fatto di tutto per salvaria. E il futuro lo proverà.

(l) Vedi D. 376.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7369/167 R. Bucarest, 20 ottobre 1935, ore 13,10 (per. ore 17,25).

Telegramma di V. E. n. 1902 (2).

Questo Governo, con cui mi tengo in continuo contatto, mi fa presente che fino ad ora Romania non ha mai votato, né intende in avvenire votare in modo diverso dalla Francia sulla questione generale dell'applicazione delle sanzioni.

31 -Documentt Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

Questo Governo mi ha sottolineato che il rappresentante romeno è stato quello che in maniera più decisa ha impostato a Ginevra il problema dei compensi che qui si ritiene impedirà che l'applicazione delle sanzioni economiche possa avere pratico effetto.

Per quanto concerne le importazioni dei manufatti italiani, la Romani'a si trova in questo momento ad avere una disponibilità in clearing di oltre cinquanta milioni di lire italiane con rapida tendenza all'aumento. Essa può impiegal'e tale somma, che per l'economia romena è ingentissima, solo mediante acquisti di prodotti italiani manufatti. La Romania quindi si opporrà a qualsiasi pratica limitazione per essa delle importazioni dall'Italia, a meno compensi, che non si vede qui da chi e come potrebbero essere dati.

Per quanto concerne la esportazione romena, qui si ritiene pure che la richiesta dei compensi avrà come pratico effetto, che le sanzioni non potranno estendersi ai rifornimenti delle materie prime che provengono da questa parte del bacino Mediterraneo (olii minerali, olii vegetali, cereali, legnami ecc.).

(l) -Vedi serie ottava, vol. l, DD. 115 e 134. (2) -Con il T. 1902/C.R. del 17 ottobre 1935, ore 3,30, Mussolini rendeva nota la proposta britannica di vietare l'importazione di prodotti e manufatti italiani e chiedeva a Tamaro, Sola, Galli, Taliani, Vannutelli Rey e Arone di intervenire presso i rispettivi Governi di accreditamento per evitare l'adoz·ione di tale misura.
435

IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7349/59 R. Montevideo, 20 ottobre 1935, ore 14,46 (per. ore 20,45).

Ho avuto un altro colloquio (l) con Presidente della Repubblica, il quale, confermandomi che l'Uruguay uniformerà suo atteggiamento a quello altri paesi sudamericani, mi ha detto che pressioni Inghilterra presso delegazione Ginevra sono insistenti e che questo Governo teme perdere quel mercato eccezionale all'economia del paese. Conseguenze applicazioni sanzioni. sono studiate da tecnici.

Ho fatto presenti ancora una volta considerazioni di cui al telegramma di V. E. n. 1887 e n. 1901 (2), aggiungendo che massa italiana figli italiani residenti Uruguay accoglierebbe con molta contrarietà applicazione sanzioni.

Presidente confermatomi suoi sentimenti amichevoli verso l'Italia ed assicuratomi che è suo vivo desiderio trovare la formula per uniformarsi ad essi.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, TONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7384/99 R. La Paz, 20 ottobre 1935, ore 19,10 (per. ore 4 del 21).

Teleg,ramma circolare di V. E. n. 1887 e 1901 (2). Delegato boliviano Ginevra ha informato questo Governo circa rifiuto quella delegazione argentina di applicare sanzioni contro l'Italia senza avere

prima. consultato Congresso Nazionale. Governo boliviano riconosce in tale atteggiamento argentino la stessa formula che Bolivia ritiene venne consigliata dall'Argentina al Paraguay al tempo delle raccomandazioni societa.rie nel conflitto del Ciaco. In tale circostanza la Bolivia invocò e difese il Patto al quale sempre restò avvinta. Questo non fortunato precedente mette oggi Governo boliviano in grave imbarazzo tra la necessità di non trovarsi in contraddizione con un recente passato, di fronte ad una vertenza ancora lungi dall'essere composta, ed il desiderio di favorire l'Italia nell'opera civilizzatrice .che essa si ripromette in Etiopia contro palese interessata avversità inglese. Tutto ciò, non astante che le relazioni commerciali con la Gran Bretagna abbiano peculiare importanza nello sviluppo minerario di questo Paese. Nutro fiducia che, presentandosi una qualsiasi via di uscita, la Bolivia farà onore all'amicizia verso di noi.

(l) -Vedi D. 399. (2) -Vedi DD. 351 e 364.
437

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'ALTO COMMISSARIO PER LE COLONIE DELL'AFRICA ORIENTALE, DE BONO (l)

T. 12096. Roma, 20 ottobre 1935, ore 22,10.

Questo telegramma è un po' lungo ma è fondamentale e ne esaminerai il contenuto insieme con Badoglio e Lessona.

Come saprai la Società delle Nazioni ha deciso di raccomandare ai Governi di ·adottare varie sanzioni contro l'Italia. Ci sono dei Governi che adotteranno al cento per cento le raccomandazioni leghiste, altri che le adotteranno al cinquanta per cento, altri ancora che non ne faranno nulla, senza contare gli Stati fuori della Lega come Brasile, Germania, Giappone, Stati Uniti. Non credo che le sanzioni econOJmiche avranno una influenza sulle nostre operazioni militari o sulla resistenza del popolo italiano formidabilmente unito e risoluto. Esiste un pericolo tuttavia e cioè che, vista l'inefficienza delle san-; zioni economiche, si passi a quelle !il carattere militare. Inglesi e francesi me lo hanno formalmente escluso, hanno cioè dichiarato che non hanno. mai pensato al blocco, alla chiusura di Suez, ma io mi fido poco degli uni e degli altri. Si può pensare, in ogni modo, che prima di passare dalle sanzioni economiche a quelle militari passerà un certo periodo di tempo. Mentre i sanzionisti di Ginevra cingevano di assedio l'Italia io· ho fatto· conoscere a Laval le· richieste mi:nime dell'Italia (2) e cioè:

1°) annessione pura e semplice alle nostre colonie dei territori conquistati;

2°) mandato all'Italia o qualche cosa di equivalente su tutti paesi non amarici dell'Abissini•a; 3°) rettifiche territoriali nella Dancalia e nell'Ogaden; 4°) partecipazione dell'Italia al mandato societario sugli Amara; 5°) disarmo controllato dell'Abissinia.

Queste richieste dell'Italia saranno respinte. Necessita persuadersi che noi avremo sicuramente soltanto quello che avremo occupato. A queste condizioni di fatto bisogna adeguare nel modo e nel tempo la nostra azione militare. Non ci saranno complicazioni tn Europa prima delle elezioni inglesi fissate per la metà di novembre. Ebbene per quella data tutto Tigrai fino a Macallè ed oltre deve essere nostro. Nella tua lettera del 6 ottobre mi chiedevi un mese di tempo e un mese di tempo è a tua disposizione. Nell'attesa del mio ordine che potrà giungerti fra il 1° e 5 novembre manda avanti l'occupazione del territorio, occupazione tipo macchia d'olio, in modo che ultimo sbalzo non sia di lunghezza eccessiva.

Ho anche il dovere di ricordarti che colla fine dell'embargo armi moderne e munizioni arrivano in grande quantità in Etiopia, per cui il tempo lavora contro di noi e, d'altra parte, una troppo ritardata occupazione di Macallè può imbaldanzire i nemici e cagionare perplessità negli amici. Dopo averne parlato con Badoglio e Lessona, rispondimi (1).

(l) -In Archivio dell'Uf!icio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Ed. in R. DE FELICE, Mussolini il duce, vol. I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi, 1974, pp. 687-688. (2) -Vedi D. 366.
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IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1226/1127. Ginevra, 20 ottobre 1935 (per. il 21).

Mentre il Comitato sta concludendo suoi lavori cercherò di trarre alcuni elementi conclusivi circa l'atteggiamento di alcuni Stati durante questa. ultima settimana a Ginevra. Mi sembra possano fissarsi queste principali conclusioni:

l) l'Inghilterra ha agito, come è noto, attraverso pressioni, intimida.zioni ed anche veri e propri ric•atti, ottenendo in definitiva quanto essa s~ proponeva. Anche se lungo la cintura che si è cercato di costituire intorno al nostro Paese vi saranno considerevoli flessioni e infiltrazioni, alnche se per lo squilibrio e il perturbamento che ne deriverà sull'economia mondiale le misure adottate non saranno rigorose nè universalmente applicate, sta di fatto che l'Inghilterra è riuscita attraverso un'azione diplomatica intesa a mettere in moto, per la prima volta nella storia della Lega, la macchina delle sanzioni.

2) La Francia e la Russia si sono distinte in un atteggiamento particolarmente spinto. La Francia ha giustificato questa sua linea di condotta,

gramma è il mio e che in sostanza progressiva avanzata è già modestamente in atto. È questione al massimo di qualche differenza non di rilievo nel tempo».

affermando che occorreva dare soddisfazione agli inglesi nel terreno economico per evitare di doverli poi seguire sull'eventuale terreno delle misure militari. Atteggiamento apparentemente prudenziale che si è però tradotto, in base a numerose proposte ed iniziative dello stesso Coulondre, in un'attività ultra societaria che ha finito per meravigliare molta gente e per giustificare le numerose voci scettiche circolanti in questi giorni circa una poUtica doppia che svolgerebbe la Francia nei nostri riguardi. Il Signor Litvinov come ho comunicato a V. E. con mio telegramma n. 374 del 19 corrente (l) mi ha detto e riconfermato di non avere voluto sostenere la parte di pattuglia di punta. La realtà è peraltro che la Delegazione sovietica ha dato prova, come In occasione del conflitto Bolivia-Paraguay, di uno straordinario zelo societario. È di origine sovietica la proposta. di applicare le sanzioni anche all'Austria e all'Ungheria; ancora nell'ultimo giorno dei lavori, sono stati i ·sovi·etici i primi a dare l'adesione anche alla proposta n. 2 sulle sanzioni finanziarie. La realtà è che tanto la Francia quanto l'U.R.S.S. hanno ispirato la loro condotta. alla loro preoccupazione fondamentale, cioè l'eventuale prossimo caso della Germania e si SO'no regolate come se invece di dover adottare le sanzioni contro l'Italia si dovesse applicar~e contro la Germania. Il desiderio di costituire un precedente ben chiaro che potesse adottarsi immediatamente ad un caso analogo avvenire è stato evidentemente l'elemento determinante che ha molto influito sull'orientazione delle Delegazioni francese e sovietica.

3) Situazione analoga è quella che ha ispirato le Delegazioni della Piccola Intesa. Romania e Jugoslavia si sono preoccupate del futuro caso Ungheria e si sono premunite verso un eventuale domani. Quanto alla Cecoslovacchia essa ha avuto presente allo spirito le due possibilità insieme. Gli Stati della Piccola Intesa hanno, naturalmente, anche dimostrato il fermo proposito di non compromettere la loro situazione economica interna. Titulesco ha, come sempre, clamorosamente chiesto che si indennizzasse il suo paese dei danni che subirà. Egli ha preteso che il suo atteggiamento era anche dilatorio ostruzionistico a nostro vantaggio. Eden ha dovuto fare qualche sforzo per calmarlo, ed alla fine ha dovuto anche ricordargli gli ingenti crediti dell'Inghilterra verso il suo paese per indurlo a moderarsi. La Jugoslavia è dominata dalla viva preoccupazione di poter pregiudicare irreparabilmente il suo mercato con l'interrompere i rapporti commerciali con l'Italia.

4) Il gruppo delle nazioni mediterranee Grecia, Turchia e Spagna hanno, pur dichiarando che non si associeranno mai a misure militari, subito pienamente la volontà inglese con reazioni scarse per non dire nulle. Il Portogallo, nella sua funzione presidenziale, ha svolto funzioni di servile strumento inglese.

5) Nei limiti delle sue possibilità, la Polonia ha sollevato, quando lo ha potuto, eccezioni e riserve.

6) Gli Stati dell'America latina, dominati dalle esperienze ancora degli ultimi due conflitti, dall'incubo di nuove possibili complicazioni nel continente

sud americano e dalla volontà di fare blocco comune, non hanno saputo nè voluto assumere un atteggiamento coraggioso fin dall'inizio ed hanno seguito supinamente o quasi la volontà della Gran Bretagna. È molto probabile che alcuni degli Stati sud-americani -che non hanno mancato di riaffermare quando hanno potuto le loro simpatie per l'Italia -si asterranno dall'adottare praticamente le sanzioni. Ma moralmente anch'essi si sono vincolati al carro inglese. Da notare un temporaneo tentativo di indipendenza dell'Argentina, mentre il più fermo atteggiamento è stato assunto dal Venezuela.

7) È noto a V. E. l'atteggiamento coraggioso dell'Austria, dell'Ungheria e anche della Svizzera. Quest'ultima, pur avendo dovuto aderire in gran parte alle sanzioni, si è trincerata dietro molte riserve. II Signor Motta ha esplicitamente dichiarato poi che se la conferenza degli Stati intendesse passare al blocco economico, la Svizzera vi si opporrebbe con tutte le sue forze. Nell'ultimo giorno di lavori il Sig. Stucky ha un poco ceduto nella questione delle esportazioni italiane, ma sulla questione fondamentale del transito, l'atteggiamento dell'Austria e della Svizzera è stato tale che il Sig. Eden e il Comitato non hanno osato nemmeno abbordarla, per cui questo importantissimo punto è rimasto impregiudicato, eccezione fatta pel transito delle armi e munizioni (sanzione n. 1).

Questo mi sembra un quadro generale, sia pure sommario e provvisorio, della situazione nel momento in cui i lavori di adozione delle sanzioni hanno preso fine.

Vorrei aggiungere a questo sintetico quadro una considerazione sui successivi possibili sviluppi di lavoro del Comitato permanente di applicazione delle sanzioni. Anche questo Comitato, come è da attendersi, sarà diretto e ispirato dalla volontà inglese. È chiaro che qualora la situazione politica evolverà nel senso di una détente, non vi è da attendersi a nuove iniziative britanniche. Ma qualora viceversa le ostilità in Etiopia continuassero malgrrado le sanzioni, e la situazione politica generale non migliorasse, è da prevedersi che l'Inghilterra cercherà di passare al blocco economico. Essa sosterrà che la misura non rientra nel quadro delle sanzioni militari ma che è viceversa il corollario logico delle sanzioni economiche e finanziarie e la «stretta » decisiva che potrebbe arrestare le ostilità. Qualora l'Inghilterra sosterrà questa tesi anche la pregiudiziale di alcuni Stati contro le sanzioni militari potrà essere, attraverso la politica di pressioni e di intimidazioni che ha gà fatto ottima prova, più rapidamente superata di quanto non si pensi.

Se poi qualche incidente navale avesse a verificarsi tra la flotta inglese e nostre unità durante l'applicazione del blocco economico l'Inghilterra avrebbe buon gioco per chiedere alla Francia la messa in opera della mutua assistenza prevista dal Patto e dai successivi impegni anglo-francesi.

Tra le previsioni prossime sullo sviluppo eventuale degli avvenimenti a Ginevra questo del blocco economico mi pare il più importante per cui ho ritenuto di doverlo segnalare in modo particolare all'alta attenzione di V. E. (1).

(l) Con T. 88 in data 21 ottobre De Bono rispondeva: «Tu devi essere sicuro che tuo pro

(l) Vedi D. 415.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolin!.

439

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 1953/140 R. Roma, 21 ottobre 1935, ore 3.

Suo 303 (1).

Prego V. S. volersi adoperare in quanto possibile calmare impressionabilità di codesti ambienti politici e commerciali sopratutto per quanto si riferisce azione e intenzioni nostre nel Mar Rosso. Italia è stata costretta iniziare verso Etiopia sua azione politico-militare al fine ottenere sicurezza proprie Colonie e favorire sviluppo economico; e non ha, verso Paesi arabi del Mar Rosso, altra misura che di mantenere e consolidare suoi rapporti fiduciosa amicizia. Ella potrà fornire in tal senso le più esplicite assicurazioni.

Misure prese da autorità Aden per regolare sosta nostre navi in quel porto, sono del genere di quelle normalmente applicate da Stati neutrali alle navi dei paesi belligeranti.

440

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1955/154 R. Roma, 21 ottobre 1935, ore 3.

Faccia sapere a GombOs che in questo momento considero opportuno sospendere la visita progettata (2).

Apprezzo moltissimo l'atteggiamento tenuto dall'Ungheria che ha rinforzato l'amicizia esistente tra i due Paesi, ma considero che in questo momento manifestazioni esteriori di tale amicizia siano da evitare sopratutto nell'interesse dell'Ungheria che oggi è fatta segno a vari attacchi per questa sua amicizia, quanto nell'interesse italiano, perché non vogliamo dare l'impressione di fare delle pressioni sugli Stati nostri amici ed esporli ai nostri rischi.

Appena l'orizzonte sarà schiarito sarà per me un piacere incontrarmi con

s. E. GombOs (3).

(l) -Con T. 7099/303 R. del 15 ottobre 1935, ore 12,50, Dubbiosi aveva riferito cLrca la preoccupazione degli ambienti yemeniti per le conseguenze del conflitto italo-etiopico e particolarmente per la notizia dei «provvedimenti adottati da autorità inglesi in Aden per sicurezza Potenze ». ' ' .. •1 (2) -Vedi D. 63. Mussolini aveva in primo tempo comunicato, ·con il T. 1920/153 R. del 18 ottobre 1935, ore 4, che la visita avrebbe potuto ave;r luogo entro il mese di ottobre. (3) -Analoghe istruzioni furono inviate a Preziosi circa la progettata visita di Starhemberg con T. 1956/177 R., pari ora e data. Con T. 7417/135 R., pari data, ore 10,35, Colonna riferì che Gombos condivideva l'opportunità di sospendere la visita. Identica risposta circa Starhemberg forni Preziosi con T. 7389/212 R., pari data, ore 18,28.
441

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7512/364 R. Shanghai, 21 ottobre 1935, ore 12 (per. ore 22,30).

Mi valgo delle istruzioni di V. E. datemi con i telegrammi nn. 1887 e 1901 (l) per esercitare graduale pressione sopra questo Governo, cui disposizioni verso nostro Paese son fondamentalmente buone, quali che possano essere necessità formali a cui esso deve obbedire di fronte a Società delle Nazioni.

Mentre faccio pervenire a questo Ministero degli Affari Esteri disteso promemoria sulla opportunità per la Cina di salvare sua amicizia per noi piuttosto che utopia ginevrina, di cui Cina stessa ha avuto così disgraziata prova, e sulla convenienza per questo Governo di dichiarare che non può esercitare contro paese amico sanzioni concrete che non furono esercitate a favore Cina, attendo che Chang Kai-Shek abbia tempo di esaminare tale promemoria per dettagliata risposta nel colloquio annunziato (mio tele.gramma

n. 362) (2).

Intanto comunicato stampa dice che questo Governo, cui sono pervenuti due messaggi del Segretario Generale della S.d.N. sull'applicazione delle sanzioni, sta studiando suo atteggiamento giacché «mentre è dovere di ciascun membro di :adempiere obbligazioni del Covenant, le par,ticolari condizioni esistenti in questo Stato nel momento attuale debbono essere prese anzitutto in considerazione prima che si:a raggiunta una decisione pregiudiziale '>. Questo accenno alle particolari condizioni attuali della Cina deve riferirsi, oltre alle

relazioni di amicizia inalterata verso Italia, anche allo stato delle provincie periferiche, sulle quali il Governo di Nanchino non esercita controllo sufficiente per imporre esecuzione sanzioni e rinunzia alla speculazione che sarebbe riservata ai rapporti commerciali. Una intensificazione di tali rapporti da parte nostra con quelle provincie, mentre sta per pronunciarsi un moto separatista di esse, costituirebbe per Nanchino grave colpo. D'altra parte, quesiti posti da Chang Kai-Shek pe'r avere assicurazione esecuzione nostre forniture starebbero a dimostrare che non è considerata da lui eventualità di agire di propria iniziativa contro importazione italiana in Cina.

Segnalo, infine, che continuano ad affluire ai nostri Consolati offerte di prodotti da speculatori cinesi e persino dalla potente Società Manciuriana inglese « Kailan Mining ~. che possiede grandi miniere di carbone nel Nord Cina.

Dubito, dato quanto già scritto, anche Governo di Nanchino [possa] uniformarsi in una politica che all'interno della stessa Cina potrebbe formare oggetto inadempienze così vaste denunzianti pubblicamente quanto sia nominale sua autorità fuori del nucleo centrale del suo immenso territorio.

(l) -Vedi DD. 351 e 364. (2) -Con il T. 7401/362 R., pari data, Lojacono comunic-ava che avrebbe avuto un colloquio con Chang Kai-Shek tra il 2 e H 4 novembre.
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IL DO'ITOR DUBBIOSI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7499-7502/318-319 R. Sanaa, 21 ottobre 1935, ore 18,15 (per. ore 10 del 22).

Circolano da più di un mese e mezzo notizie di origine inglese relativamente a tentativi del R. Governo di occupazione zona costiera yemenita. Non avrei comunicato tali notizie, evidentemente tendenziose, se informazioni circa ciò non mi fossero state date dallo stesso Cadi Abdalla a proposito deHa voce sparsa: avere cioè R. Governo intendimento chiedere una concessione a Moka e Taiz per stabilirvi convalescenziario per le truppe dislocate nella zona di Assab.

È stata inoltre diffusa notizia, a me pervenuta dall'ambiente ufficioso, che R. Governo avrebbe richiesto ad Ibn Saud, attuale possessore dell'Assir, di soddisfare tutte le pendenze che famiglia Idris aveva precedentemente con

R. Governo per aiuti et forniture da questo dati. Ibn Saud, in relazione al Trattato dello scorso anno, avrebbe passata all'Imam la r,ichiesta del R. Governo, anche per chiedere quale atteggiamento Imam assumerebbe per una eventuale risposta al R. Governo. Imam non avrebbe data alcuna risposta ad Ibn Saud.

Poiché notizie di tale genere, che fioriscono continuamente, rispondono ad una organizzazione sistematica per destare sospetti verso di noi non solo nella opinione pubblica ma anche nell'ambiente importante arabo locale, ho notificato quanto sopra per far presente che in attuale momento quello che sanitari nello Yemen con personale attività possono qui fare per neutralizzare gli effetti di tale piano d'azione è insufficiente alle necessità, e per rendere noto l'urgenza di provvedere al riguardo con adatta organizzazione da parte del R. Governo, a cominciare da quella di far qui pervenire frequentemente e con sollecitudine notizie pe;r non lascia;re terreno solo alle notizie inglesi (l).

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IL MINISTRO A TALLINN, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7426/48 R. Tallinn, 21 ottobre 1935, ore 18,18 (per. ore 21,30).

Mi sono espresso con Ministro degli Affari Esteri circa questione adesione nei termini prescritti da V. E. con i telegrammi nn. 1887 e 1901 (2). Ho poi atti

rato sua particolare attenzione su attitudine stampa locale mostratasi finora indifferente nei nostri riguardi e spesso anche ostile. Signor Seljama mi ha detto che Governo estone è stato invitato fornire risposta Ginevra entro 28 corrente. Per ora si è limitato far sapere che questione forma soggetto studio apposita Commissione. Signor Seljama ha osservato riguardo Estonia applicazione sanzioni per quanto concerne esportazione armi e concessione crediti non (dico non) ha valore pratico. Interessa Estonia solo questione importazione merci se sanzioni riferisconsi prodotti importati da Italia quali seta artificiale e frutta. Tuttavia mio interlocutore ha messo in rilievo che finora bilancia commerciale tra i due paesi è stata passiva per Estonia. A dimostrare sentimenti da cui è animato verso di noi Ministro degli Affari Esteri mi ha detto di aver convocato direttori generali e aver loro dichiarato che desidera che stampa tenga conto stretta cordialità che informa relazioni tra due paesi. Ha ricordato a tal fine che l'Italia fu il primo Stato a riconoscere de jure Estonia e che più tardi appoggiò efficacemente sua entrata S.d.N.

Rivedrò Mìnistro degli Affari Esteri quando saranno espletati lavori Commissione innanzi Lndicata e riferirò ulteriormente a V. E.

(l) -Con T. 2029/146 R. del 26 ottobre 1935, ore 3, Suvich rispondeva: «Informazioni riferite costì a V. S. sono completamente false. V. S. potrà sment1rle nettamente facendo i!"ilevare che notizie stesse vengono diffuse ad arte per nuocere ai buoni rapporti italo-yemeniti », e si riservava di inviare istruzioni circa la missione da mandare in Yemen dii cui al D. 349. (2) -Vedi DD. 351 e 364.
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7386/383 R. Ginevra, 21 ottobre 1935, ore 21,30 (per. ore 23).

Questo Console Generale Germania, Krauel, mi ha detto che parte domani mattina perché chiamato dal suo Governo a riferire sui lavori dei comitati sanzioni.

Ho chiesto a Krauel se aveva notizie sull'atteggiamento del suo Governo relativamente al problema delle sanzioni.

Krauel mi ha detto, in via confidenziale, che il punto di vista di Berlino era di mantenere la piena neutralità nel conflitto sebbene non vedeva come fosse giuridicamente conciliabile tale neutralità col fatto che non vi era un vero e proprio stato di guerra e con la situazione assurda che sarebbe sorta in seguito all'appUcazione delle sanzioni; e di non profittare né politicamente né economicamente, per ragioni morali, della situazione speciale in cui si sarebbe venuta a trovare la Germania per il fatto di non essere vincolata all'applicazione delle .;anziani.

Krauel si è lamentato con me dell'atteggiamento delle Delegazioni francese e sovietica in seno ai vari Comitati sanzionisti, atteggiamento che aveva chiaramente di mira la Germania e di cui Berlino aveva preso atto. Egli ha aggiunto che le sanzioni economiche non avrebbero certamente fatto cessare le ostilità e, secondo lui, l'immancabile constatazione di questo fallimento avrebbe inevitabilmente spinto gli inglesi a proporre nuove e più rigorose misure. Oltre uno scacco per la Lega, la mancata efficacia delle sanzioni economiche minacciava così di diventare uno scacco per la pace.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 7402/777 R. Parigi, 21 ottobre 1935, ore 21,35 (per. ore 1 del 22).

A conferma ed ampliazione della mia c'omunicazione telefonica odierna, informo V. E. che Léger comunicò 19 corrente a questo Ambasciatore d'lngh11terra nostra formula, consistente nell'iniziare ritiro di una divisione militare dalla Cirenaica in giorno X e nel ritiro delle due grandi navi da battaglia inglesi da Gibilterra in giorno X più uno o due, con previe intese che operazioni di smobilitazione verrebbero eseguite sulla «parola di gentiluomo'> di entrambi i Governi.

Léger mi ha detto avere riportato l'impressione che Clerk non abbia accolto intervento della Francia in tale questione con eccessivo favore. Riconfermò ad ogni modo che lo avrebbe fatto conoscere al suo Governo.

Léger accennò poi a notizie qui pervenute da Londra al Quai d'Orsay dalle quali risulterebbe che Grandi avrebbe parlato della smobilitazione nel Mediterraneo con Vansittart, ma che i termini della sua comunicazione, definita marchandag, non avrebbe fatto sul Foreign Office troppa buona impressione. Dall'ulteriore linguaggio [tenuto] ieri da Léger ho tratto la netta impressione che la Francia teme che Londra, con cui ha terminato da tre giorni di questionare in modo molto aspro (circa sanzioni) possa, dalla mediazione Laval c~rca la smobilitazione nel Mediterraneo, aggiungere una prova che Parigi parteggia per Roma. ln tale stato di cose, Qual d'Orsay preferirebbe che noi trat.tassimo la questione direttamente con I'Inghilte.rra. Ad ogni modo aderendo a mia insistenza, Léger ha consentito a parlare della questione con Laval questa sera e si è riservato di farmi conoscere decisioni del Presidente del Consiglio circa ulteriore azione da svolgere dalla Francia come pure eventuale risposta che fosse data da Clerk.

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L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7425/400 R. Rio de Janeiro, 21 ottobre 1935, ore 21,40 (per. ore 3,50 del 22).

Mio telegramma n. 397 del 19 corrente (1).

Ringrazio l'E. V. per le [comunicazioni] relative atteggiamento Giappone, Germania, Stati Uniti di fronte sanzioni (1). Ne ho fatto succintamente conoscere contenuto al Presidente della Repubblica che ha trovato particolarmente interessante per Brasile condotta Stati Uniti molto incoraggiante per la neutralità Brasile.

Profittando poi della comunicazione di V. E. relativa al testo che la Lega delle Nazioni invierà a quattro Stati non membri (2), ho domandato a questo Governo poter rendere in Italia di pubblica ragione politica Brasile circa sanzioni. Questo Ministero degli Affari Esteri ha dato la sua autorizzazione riservandosi emanare suo comunicato ufficiale in Brasile subito dopo che esso avrà risposto all'invito ginevrino. Ecco pertanto testo telegramma da Rio de Janeiro che sono autorizzato trasmettere a codesto Ministero degli Affari Esteri e che potrà essere immediatamente pubblicato sui giornali italiani come telegramma stampa:

«Dopo varie conversazioni avvenute coll'Ambasciatore d'Italia circa posizione Governo brasiliano nei riguardi sanzioni oggi questo Ministro degli Affari Esteri comunicava al R. Ambasciatore d'Italia decisione rispondere all'invito ginevrino che il Brasile, per il fatto stesso di non appartenere alla Lega delle Nazioni, si disinteressa dell'art. 16 Covenant che non lo riguarda e si riserva determinare nella massima libertà sua azione alla stregua degli interessi nazionali ».

Prego telegrafarmi in chiaro testo comunicato appena sarà diramato dalla Agenzia Stefani (3).

(l) Non pubblicato.

447

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7414/1076 R. Londra, 21 ottobre 1935, ore 23,05 (per. ore 5,30 del 22).

Mio telegramma n. 901 (4).

Foreign Office mi ha informato oggi che Governo britannico ha intenzione di prendere iniziativa della convocazione della Conferenza per la limitazione armamenti navali, che ai termini del Trattato di Londra deve riunirsi entro fine dell'anno corrente. Esso si propone pertanto dirigere all'Italia, alla Francia, agli Stati Uniti e al Giappone un invito che sarà diramato tra qualche giorno,

proponendo che i lavori della conferenza abbiano inizio a Londra lunedì due dicembre prossimo (1).

Scopo conferenza dovrebbe essere un accordo a cinque più vasto e completo su tutte le forme di limitazioni navali, in modo da giungere ad un Trattato che possa sostituire il Trattato di Londra. Il Foreign Office tuttavia ha aggiunto che, allo stato delle cose, è difficile prevedere che l'accordo possa farsi su altre basi che la limitazione in questi tempi.

Gli Stati invitati alla conferenza sono soltanto i firmatari di Washington e di Londra. Essi poi decideranno quando e quali Stati potranno essere eventualmente indicati a unirsi al loro lavoro.

Il Foreign Office, per suo conto, è di opinione che i cinque Stati firmatari dei Trattati di Washington e di Londra dovrebbero anzitutto mettersi d'accordo fra loro e, solo dopo che un accordo di principio sarà raggiunto, considerare problema della estensione della conferenza ad altri Paesi.

Quanto alla composizione delle Delegazioni che saranno invitate a venire a Londra, il Governo britannico non ha particolari proposte da fare. Esso suggerirebbe tuttavia che Delegazioni fossero composte dei rispettivi Ambasciatori delle quattro Potenze a Londra e da una alta personalità tecnica per ciascuna di esse, che potrà essere o Capo dello Stato Maggiore o altro ufficiale ammiraglio. Delegazione britannica sarà composta da una personalità politica forse Ministro degli Affari Esteri -e da un Capo del.Io Sta,to Ma-ggiore della Marina.

Delegazione americana sarà composta da questo Ambasciatore S.U.A. e Ammiraglio Standley. Delegazioni saranno accompagnate da esperti navali e un segretario diplomatico.

Intanto Foreign Office vorrebbe sapere se V. E. ha deciso invio dell'esperto che dovrebbe prossimamente venire Londra per conversazioni preliminari e approssimativamente data arrivo (2).

(l) -Si tra:tta dei TT. 1950/C.R. e 1960/C.R. del 20 ottobre 1935, con i quali venivano ritrasmessi i DD. 362 e 416 circa l'atteggiamento degli Stati Uniti d'America e della Germania relativamente al conflitto itala-etiopico. Non è stata rinvenuta la comunicazione relativa all'atteggiamento del Giappone. (2) -Con T. 1959/C.R. del 20 ottobre 1935, ore 23, Buti aveva ritrasmesso alle Ambasciate a Berlino, Tokio, Washimgton e Rio de Janeiro il T. 7289/377 R. del 19 ottobre 1935, ore 22,45 da Ginevra, contenente il testo del progetto di comunicazione del Presidente del Comitato di coordinamento agli Stati non membri, testo che term~nava con la seguente frase: «i Governi rappresentati nel Comitato di coordinamento gradirebbero ricevere le comunicazioni che qualunque Stato non membro giudicherà utile inviargli o la notifica di qualsiasi misura suscettibile di essere presa da esso nelle presenti circostanze». (3) -Per la risposta di Mussolini vedi D. 4'1~. (4) -Vedi D. 313.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1972/675 R. Roma, 21 ottobre 1935, ore 24.

Gli inglesi continuano a parlare del loro desiderio di evitare che le sanzioni economiche si trasformino in sanzioni militari. Quindi non escludono le sanzioni militari.

Viceversa a quanto ci fa sapere Lavai ci sarebbe un impegno franco-inglese di non oltrepassare i limiti delle pure sanzioni economiche (l) quindi niente blocco, niente controllo, niente visita delle navi ed altre misure del genere.

Noi potremmo comprendere l'esitazione della Gran Bretagna a rendere pubblico questo accordo per riguardo verso il Consiglio della S.d.N.

Quello però che non abbiamo mai saputo con sicurezza assoluta, e che dobbiamo invece sapere, è se effettivamente l'accordo sopraddetto esiste, quale sia il suo valore impegnativo, in quali termini ed in quale forma sia stato concluso.

Se V. E. non ha elementi sufficienti per rispondere a questa domanda voglia porre la questione direttamente o nettamente al sig. Lavai, essendo inteso che della sua risposta noi faremo l'uso più riservato per non metterlo in imbarazzo di fronte alla Gran Bretagna (2).

Considererei anche atto doverosamente amichevole da parte del sig. Lavai quello di comunicarci i termini della sua risposta alla Gran Bretagna dato che l'oggetto della intesa, anche se non espresso, è l'Italia.

(l) -Con T. 7542/1104 R. del 24 ottobre 1935, ore 20,45, Grandi comunicava di aver ricevuto l'invito ufficiale per il Governo italiano a partecipare alla Conferenza navale, con inizio del lavori al 2 dicembre. (2) -Con T. 2089/712 (Parigi) 440 (Londra) R. del 31 ottobre 1935, ore 24, Suvlch comunicava l'arrivo a Londra il 6 novembre dell'ammiraglio Raineri Biscia e del capitano d~ fregata Margottinl.
449

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7469/063 R. Berna, 21 ottobre 1935 (per. il 23).

Riferimento mio telegramma n. 98 (3).

Nel colloquio avuto oggi con lui, l'On. Motta -circa l'embargo sulle armi -mi ha ripetuto quanto aveva già detto a Ginevra al Ministro Rocco: cioè che il Consiglio Federale, temendo con un'altra misura di sembrare poco leale verso i deliberata della S.d.N. era deciso a proclamare l'embargo delle armi soltanto contro l'Italia (contro l'aggressore) ma che intendeva però fare un passo presso le fabbriche d'armi per raccomandare ad esse di non fornire armi all'Etiopia.

Ho risposto al Motta che noi non potevamo accettare senza risentimento una tale misura e che noi la dovevamo ritenere contraria alla neutralità svizzera, che ne sarebbe stata lesa nello spirito e nella lette~a: oltre a ciò iJ. vedeTe la Svizzera, che ritenevamo nostra amica, armare il Negus contro l'Italia, avrebbe causato una pessima impressione. Poiché il Motta rilevava le critiche che una misura per noi accettabile (embargo verso i due belligeranti) avrebbe suscitato a Ginevra e si mostrava incerto sui valore della Convenzione dell'Aja rispetto al patto, ho risposto che la convenzione doveva considerarsi in pieno vigore, perché la S.d.N. non aveva dato nessuna nuova definizione della neu

tralità, che la Svizzera era sovrana nel giudicare ciò che fosse necessario per difendere la sua neutralità e che l'art. 10 della Convenzione dell'Aja proibiva di considerare ostile l'atto che uno Stato avesse creduto di dover compiere per mantenere la sua neutralità, al quale articolo anche la S.d.N. doveva ritenersi obbligata nel valutare l'atteggiamento della Svizzera. Ho continuato affermando che il Consiglio Federale non poteva discutere la cosa nei termini aggressore e aggredito: proprio la Svizzera, dati i suoi legami morali e di sangue con la nostra Nazione, non poteva dimenticare che si trovava di fronte all'Italia e che si trattava dell'Italia.

In quanto all'opinione pubblica svizzera ho avuto il consenso dell'On. Motta asserendo che essa avrebbe apprezzato vivamente tutto quanto fosse appa,rso rinforzare la neutralità, e ho soggiunto che vi·ceversa l'optnione pubblica italiana avrebbe considerato come segno di poca amicizia l'embargo unilaterale. Rilevato come tanto egli, quanto lo Stucki, avessero ta-tto riserva circa l'applicazione delle sanzioni con riguardo alla italianità dei ticinesi, ho detto che mi meravigliavo come non s'avvedessero che tal riserva aveva forse anche maggior valore per l'embargo sulle armi, in quanto, se il Consiglio Federale l'avesse deciso unilaterale, avrebbe ammesso, teoricamente, e forse praticamente, che gli italiani della Svizzera armassero il Negus contro l'Italia.

Circa la promessa di un « passo » presso le fabbriche d'armi, ho dichiarato che per noi non potrebbe avere nessun valore. Ho chiesto al Motta se la legislazione svizzera permettesse un controllo sull'esportazione d'armi e mi ha risposto negativamente. Ho chiesto allora se il Consiglio avesse modo di fare pressione sui fabbricanti d'armi e l'ha negato. Mi ha detto che avrebbero fatto raccomandazioni e «pregato» di non fare spedizioni per il Negus. Al che ho replicato che avrebbero rivolto tale «preghiera» proprio al console generale di Etiopia, poiché il direttore generale della Oerlikon riveste quella carica. A questo punto lo stesso On. Motta ha riconosciuto che il progettato «passo» non potrebbe essere preso da noi in nessuna considerazione. Gli ho fatto osservare allora che tutti i cannoni presi finora sul fronte eritreo erano, secondo i bollettini, della Oerlikon e che tale fatto produceva penosa impressione sugli amici della Svizzera. L'On. Motta alla fine di questa discussione mi ha detto che in essa erano apparsi elementi non ancora esaminati dal Consiglio Federale e che egli, senza poter impegnarsi circa le decisioni del Consiglio stesso, si sarebbe fatto un dovere di esporgli tutte le ragioni da me addotte.

Passando alle sanzioni finanziarie l'On. Motta mi ha detto che su esse il Consiglio Federale sarà chiamato a discutere venerdì prossimo e che la questione non è stata ancora esaminata: è sicuro però che le misure che saranno prese non faranno alcun danno all'Italia. Egli mi ha ripetutamente affermato che il Consiglio Federale farà tutto il suo possibile per non intaccare l'amicizia fra i due paesi, che gli sta sommamente a cuore. Esso proibirà l'esportazione delle

cosiddette materie prime-chiave, ma tale probizione non avrà nessun valore pratico, perchè, fuori d'una piccola quantità di alluminio, la Svizzera non esporta in Italia nessuna di quelle materie. Non proibirà invece le importazioni italiane in Svizzera: per non attirarsi la collera di Ginevra, cercherà di applicare un sistema di scambi commerciali compensati, ma su questo tratterà diretta

mente col Governo italiano. Ho replicato che non potevo giudicare il valore di questo progetto, ma che apprendendo comunque con piacere che ne volesse discutere col R. Governo. Prima, discorrendo di sanzioni in tesi generali, l'avevo ad ogni buon conto avvertito che l'Italia a ogni misura altrui che l'avesse danneggiata avrebbe opposto una contromisura adeguata.

Ho parlato con l'On. Motta anche del transito del Gottardo facendogli notare non solo il diritto che poteva far valere la Germania, ma altresì che una chiusura di quel transito, più che una sanzione, sarebbe stata un atto di blocco. Egli mi ha assicurato che la Svizzera non chiuderà in nessun caso la via del Gottardo. Poichè sembrava prendere in considerazione soltanto il transito carbone gli ho chiesto se pensavano di non permettere che questo mi ha risposto no. Chiestogli poi se avrebbero lasciato libero il transito delle materie prime-chiave ha risposto di sì, soggiungendo che forse sarebbero stati obbligati a impedirvi il transito di armi e munizioni, ma anche questo era incerto, giacchè la questione del transito finora non era stata trattata da nessuno a Ginevra.

Come ho più su de,tto, il Consiglio Federale tratterà delle sanzioni venerdì prossimo, 25 corr. Se il R. Ministero volesse far pervenire all'On. Motta qualche avviso prima della discussione, voglia cortesemente telegra:farmi a tempo.

(l) -Vedi D. 377. (2) -Per la risposta vedi D. 464. (3) -T. 7416/98 R. del 21 ottobre 1935, ore 20,55, non pubblicato, contiene un riassunto della prima parte di questo telegramma.
450

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 21 ottobre 1935.

Il signor Wysocki viene a comunicarmi i criteri che hanno presieduto al rimpasto del Governo: il Presidente Mociki ha dato al Gab~netto una impronta più personale; tuttavia sono rimasti alcuni dei più intimi collaboratori del Maresciallo Pilsudsky, come il Ministro Beck; ciò significa che la politica estera non sarà cambiata.

Mi dice poi di avere avuto sentore che l'atteggiamento polacco nella recente fase della politica internazionale ha sollevato qualche critica in Italia; egli deve riaffermare che la Polonia tiene molto al Patto e alla dimostrazione della sua applicabilità perchè essa considera che vi sarà costretta a ricorrere fra non molto.

Gli domando quale pericolo la Polonia veda nel prossimo avvenire.

L'Ambasciatore mi risponde che l'accordo con la Germania non ha il carattere nè di un'alleanza né di un patto di amicizia; è una tregua per dieci anni; alla sua scadenza risorgeranno le tendenze tedesche all'espansione verso Oriente e le sue aspirazioni per il Corridoio (1).

(l) Il presen te documento reca il visto di Mussollni.

451

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 3671/2281. Vienna, 21 ottobre 1935 (per. il 25).

Mio telegramma n. 203 del 12 corrente (1). Dopo due interventi del tutto personali da parte del Primo Segretario della sua Legazione, von Papen si è recato stamani personalmente da Peter, intra.ttenendolo dell'incidente occorso nell'ultimo suo colloquio con Berger, e di cui è oggetto il mio telegramma per corriere n. 0108 del 9 corrente (2). Von Papen si è anzitutto di nuovo !agnato delle difficoltà che incontrerebbero costantemente i suoi sforzi per una rapida distensione dei rapporti fra Vienna e Berlino; ha ribadito di aver ricevuto istruzioni ufficiali di condurre a

termine l'accordo da lui stesso proposto; e, nel dare la sua versione dell'incidente suindtcato, ha detto ancora una volta che l'atmosfera non gli sembra del tutto propizia per l'inizio di negoziati tendenti alla desiderata normalizzazione.

A sua volta Peter gli ha fatto rilevare che quest'ultima osservazione non è esatta pel fatto che è stato invece possibile addivenire al noto accordo per il contegno della stampa austriaca e tedesca, un accordo che ha dato e dà buoni frutti; che l'ultimo incidente, qualora si voglia riassumerlo nei suoi veri termini diplomatici, fu esclusivamente dovuto all'intervento ufficiale -rafforzato con la presentazione di note ufficiali -d'un rappresentante estero, in favore di sudditi austriaci, puniti dalle competenti autorità in stretta conformità alle leggi del paese; e che questo intervento, se fosse accaduto a Berlino od altrove, avrebbe di certo provocato un severo ammonimento, se non addirittura il richiamo, del rappresentante diplomatico responsabile, da parte del suo stesso governo.

Peter mi ha detto che questa sua insinuazione aveva prodotto grande impressione sul von Papen, che gli risulta non essersi ancora deciso a riferire alcunché a Berlino sul suo ultimo colloquio con Berger.

Peter ha l'impressione che Hitler abbia effettivamente dato al von Papen l'istruzione -forse generica -di trattare per una normalizzazione dei rapporti austro-tedeschi; ma che von Papen si studia di previamente risolvere le questioni in corso che gli stanno più a cuore, e specie quella sorta in seguito alla manifestazione cui dette luogo la sua visita ad Attersee: manifestazione per cui egli sente una personale responsabilità, specie rispetto a quei dimostranti che, per essersi recati, spontaneamente o meno, ad acclamarlo, sono incorsi nelle rigorose pene stabilite per ogni manifestazione politica nazista.

32 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

(l) -Vedi D. 319. (2) -Vedi D. 303.
452

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7418/231 R. Bruxelles, 22 ottobre 1935, ore 1,36 (per. ore 5).

L'attacco iniziatosi dietro nostro impulso tre giorni fa, come da mio telegramma n. 221 (1), ha già riportato primo successo obbligando Governo preannunziare temperamenti applicazione sanzioni di cui miei telegrammi nn. 226 e 230 (2). Principali gruppi bancari, commerciali ed industriali (che manteniamo in allarme con la nostra campagna di stampa) continuano ad esercitare forti e reiterate pressioni minacciando rifiuto osservanza sanzioni e organizzazioni contrabbando.

Nel campo politico si sono ridestati interessanti fermenti per pubblico manifesto analogo a quello di parte liberale e conservatrice che potrebbero anche preparare il terreno per una crisi ministeriale. Mi si conferma riservatamente, da ottima fonte, avere lo stesso Sovrano espresso vivo desiderio che sanzioni vengano ridotte a minimi termini. Gli intellettuali belgi francesi ed Associazioni combattentistiche continuano nelle loro dimostrazioni di simpatia.

Situazione generale va gradualmente orientandosi in nostro favore.

453

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7451/105 R. Stocoolma, 22 ottobre 1935, ore 20,45 {per. ore 23).

Mio telegramma n. 99 (3).

Commissione Affari Esteri si riunirà giovedì per decidere applicazione sanzioni. Circoli industriali continueranno loro pressione antisanzionistica, ma non pare dubbio che provvedimenti legali verranno adottati a norma precisa delle raccomandazioni di Ginevra.

Ho compiuto in ogni modo stamane [passo] di cui al telegramma di v. E.

n. 1901/G (4). Ho spiegato al Segretario Generale di questo Ministero degli Affari Esteri ragioni pratiche e morali della possibilità tale linea di condotta di fronte ad un Governo che adottava, senza alcuna riserva e senza esservi costretto da impegni imprescindibili, misure dirette rompere completamente i propri obblighi contrattuali con l'Italia, noi ci saremmo trovati nel diritto e nella necessità adottare analoghe contromisure. Ho altresì messo in guardia questo Governo contro illusioni che certi prodotti svedesi ci siano indispensabili

ed ho attirato sua attenzione su eventualità che attuali correnti di acquisti, se da noi rivolte altrove o sostenute da altri ritrovati della nostra chimica, non abbia più a rivivere anche dopo periodo delle sanzioni.

SegretaTio Generale, il quale è rimasto un poco turbato dalla mia d~chiarazione, mi ha chiesto in quale modo e in qual momento sarebbero entrate in vigore le nostre contromisure. Gli ho risposto che non mi era possibile dargli precisazioni in proposito dipendendo ciò da circostanze non ancora verificate e non perfettamente prevedibili.

Continuo conferire questi giorni con portavoci gruppi industriali e commercianti.

(l) -Vedi D. 374. (2) -Non pubblicati. (3) -Vedi D. 371. (4) -Vedi D. 364.
454

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

I'. 7477/171 R. Bucarest, 22 ottobre 1935, ore 21,10 (per. ore 1 del 23).

Telegramma di V. E. n. 1887, 1901 (l) e 126 (2).

Posso assicurare V. E. che nulla io lascio intentato per spingere questo Governo a restare alla difensiva per eventuali sanzioni economiche. Ho fatto schierare qui tutti i capi partito contro le sanzioni. Anche ieri Goga ha pronunciato un importante discorso in cui si è scagliato contro le sanzioni (tale parte del discorso gli era stata preparata da questa Legazione).

In quanto al fenomeno Titulescu esso non ha bisogno di essere illustrato. Egli da una parte ci aiuta dall'altra parte tenta di fare speculazione politica contro l'Ungheria. Sta di fatto però che egli è il solo che abbia posto, sia pur con cinismo che però ci è utile, la questione dei compensi in generale e l'unico che abbia ardito battersi contro Eden e che tenti trascinare Lavai. Di ciò trovo conferma negli stessi giornali italiani. Non ho potuto influire direttamente su Titulescu che non è tornato a Bucarest come avevo annunziato. Ma ho ogni giorno riunione con i Ministri romeni che sono tutti violentemente avversi all'embargo sulle merci italiane e come per esempio non disposte all'embargo sulle esportazioni romene.

Sto convogliando, ripeto, contro le sanzioni tutte le forze del paese: sanzioni passeranno solo se Inghilterra direttamente o indirettamente pagherà. Aspettasi da questi signori un atteggiamento ispirato non dai loro interessi (e quindi anche da interessi che hanno al mantenimento della Lega delle Nazioni) ma dalle speranze di benefici della nostra futura amicizia, o dalle preoccupazioni di una nostra futura inimicizia, significa mettersi a mio avviso fuori dal terreno su cui questi signori vogliono tenere i piedi. È quindi sul terreno degli interessi economici della Romania che io sto manovrando, l'unico su cui una manovra può riuscire.

(l) -Vedi DD. 351 e 364. (2) -T. 11729/126 P.R. del 14 ottobre 1935, ore 23,30, relati'vo alla situazione del cleartng italo-romeno.
455

IL MINISTRO A CITTA' DEL MESSICO, MARCHETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7484/51 R. Città del Messico, 22 ottobre 1935, ore 22 (per. ore 11,40).

Stamane, in occasione della mia prima visita al Capo del Dipartimento delle Relazioni Estere (assente dalla capitale fino a ieri), mi sono con lui lungamente espresso conforme al contenuto dei telegrammi di V. E. n. 1887 e 1901 (l). Sono stato sopratutto reciso nel dichiarargli che prenderemo norma, per le nostre presenti e future relazioni con questo Paese, dal modo in cui esso applicherà sanzioni in particolare per quanto si riferisce ad acquisti di prodotti italiani.

Mio interlocutore ha mostrato di rendersi conto della gravità della cosa. Mi ha detto che i provvedimenti sono allo studio e che essi dovranno necessariamente, nelle grandi linee, conformarsi alle decisioni di Ginevra. Per la loro entrata in vigore occorre approvazione del Congresso, ma è intenzione di questo Governo chiedere ad esso delega a legiferare in materia, onde evitare una pubblica discussione nella quale non mancherebbero aspri attacchi alla poli.tica italiana. In questo modo, inoltre, il potere esecutivo vedrà, nei limiti del possibile (e pur dovendo sempre avere presenti direttive di Ginevra), di tenere conto di quanto da me prospettato.

Ho di nuovo sottolineato al mio interlocutore che il presente momento è di eccezionale importanza per i futuri rapporti fra i due Paesi e gli ho accennato a possibili eventuali ritorsioni da parte nostra secondo l'ultima parte del telegramma di V. E. 1901. Tornerò sull'argomento col Dipartimento. Altrettanto faccio con altre personalità con cui sto entrando in contatto. Sarei certamente agevolato ove V. E. potesse eventualmente telegrafarmi in che modo altri Governi hanno risolto o si accingono a risolvere questione delle sanzioni in termini da noi accettabili (2).

456

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI

T. 1979/136 R. Roma, 22 ottobre 1935 (3).

Dato il breve periodo che intercede per la ripresa dei lavori del comitato delle sanzioni e l'obbligo fatto ai Governi di rispondere entro il 28 corrente è necessario che V. E. faccia presente a Beck senza indugio che l'Italia si attende dalla Polonia una risposta ispirata a quella schietta amicizia che è alla base dei rapporti tra i due paesi.

Molti Governi legati all'Italia da rapporti di uguale cordialità non hanno

esitato a fare presente l'incompatibilità fra la loro amicizia e l'adozione di

misure di evidente gravità e di carattere ostile. Una risposta di tal genere

sarebbe facilmente giustificata da considerazioni di carattere puramente eco

nomico, che facessero valere la difficoltà per non dire l'impossibilità di ap

plicare proposte il cui risultato evidente è di ferire gli Stati che le applicano

a tutto vantaggio dei paesi concorrenti. Il delegato Komarnicki ha con gran

de efficacia segnalato a Ginevra la complessità del problema e l'impossibilità

di attenersi a soluzioni che prescindano da ogni senso di responsabilità e da

ogni visione della realtà.

Ove non fosse possibile indurre codesto Governo ad inviare una risposta negativa, V. E. insista perché la risposta abbia il carattere meno impegnativo possibile e che a tal fine sia accompagnata da riserve tali che lascino praticamente piena libertà a codesto Governo di non modificare gli attuali scambi fra i due paesi. In particolare nella risposta codesto Governo potrebbe: l) subordinare la sua adesione a quella di tutti gli altri Stati che hanno con l'Italia scambi di prodotti similari ai suoi; 2) insistere sui danni che gli deriverebbero dal mancato traffico con l'Italia, nonché su quelli derivantigli anche per l'avvenire dall'intensificarsi dei traffici con paesi concorrenti, non legati da impegni per le sanzioni. Perciò potrebbe nella risposta subordinare e rinviare l'applicazione delle sanzioni a quando fossero stati precisati i risarcimenti da ottenere pei danni gravissimi che ne risulterebbero per l'economia del suo paese.

V. E. farà intendere che l'Italia non potrebbe rimanere insensibile a misure restrittive che venissero adottate nei suoi confronti. Essa sarebbe costretta, se non altro per misura di difesa, a riservare almeno in parte i suoi acquisti all'estero a quei mercati che restano aperti all'importazione dei suoi prodotti. Il danno che deriverebbe dalla applicazione di tali misure potrebbe perciò avere caratte,re permanente per lo sviamento delle clientele. Ma sovratutto ne ver·rebbe a soffrire quell'intimità di rapporti fra i due Paesi che si giustifica e si rafforza da prove di concreta solidarietà.

Dovendo fronteggiare la situazione e coordinare le difese V. E. voNà fare al più presto i passi necessari riferendomene i risultati (1).

(1) -Vedi DD. 351 e 364. (2) -Per la risposta di Suvich vedi D. 465, nota l. (3) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza.
457

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, GALLI, E A MOSCA, ARONE, E AI MINISTRI AD ATENE, BOSCARELLI, A BUCAREST, SOLA, AD HELSINKI, KOCH, A PRAGA, DE F ACENDIS, E A SOFIA, SAPUPPO

T. 1981/c.R. Roma, 22 ottobre 1935 (2).

Dato il breve periodo che intercede per la ripresa dei lavori del Comitato delle sanzioni e l'obbligo fatto ai Governi di rispondere entro il 28 corr., è

necessario che V. E. (V. S.) senza indugio svolga la più efficace e decisiva azione presso codesto Governo per ottenere l'assicurazione che esso risponderà tenendo conto, come hanno fatto già alcuni Stati, dei particolari rapporti politici ed economici che codesto Paese ha con l'Italia, tanto più che fin dal 1921 l'Assemblea riconobbe che gli obblighi derivanti dall'art. 16 differiscono da Stato a Stato a seconda delle condizioni geografiche, politiche, economiche ecc. Di tali considerazioni si sono avvalsi gli Stati dell'America Latina e la Svizzera.

Ove possibile, V. E. <V. S.) insista perché la risposta abbia il carattere meno impegnativo possibile e a tal fine che essa sia accompagnata da riserve tali che lascino praticamente piena libertà di azione a codesto Governo di non modificare gli attuali scambi tra i due Paesi. In particolare, nella risposta codesto Governo potrebbe:

l) subordinare la sua adesione a quella di tutti gli altri Stati che hanno con l'Italia scambi di prodotti similari ai suoi;

2) insistere sui danni che gli deriverebbero del mancato traffico con l'Italia, nonché su quelli derivantigli anche per l'avvenire dall'intensificarsi dei traffici con paesi concorrenti, non legati da impegni per le sanzioni. E perciò potrebbe nella risposta subordinare e rinviare l'applicazione delle sanzioni a quanto fossero stati precisati i risarcimenti da ottenere pei danni gravissimi che ne risulterebbero per l'economia del suo paese.

V. S. farà chiaramente comprendere che questo Governo risponderà all'applicazione delle sanzioni, con misure di ritorsione di pari portata. Nè trascurerà dal far presente, che, dovendosi l'Italia provvedere altrove delle materie che le occorrono, il danno che a codesto Stato deriverà dalla applicazione delle sanzioni potrebbe assumere carattere permanente per lo sviamento della clientela.

Nè, infine, trascurerà dal far presente, come considerazione di ordine generale, che l'Italia non dimentica e che dall'atteggiamento di codesto Governo terrà debito conto nei rapporti presenti e futuri tra i due Stati.

Dovendo fronteggiare la situazione e coordinare le difese, V. S. vorrà fare al più presto i passi necessari, rife,rendone i risultati (l).

(l) -Analoghe istruzioni furono inviate all'ambasciatore a Madrvd con T. 1980/145 R., paridata. Per le risposte di Bastianini e Pedrazz! vedi DD. 475 e 470. (2) -Manca l'indicazione dell'ora d! partenza.
458

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7472/0116 R. Atene, 22 ottobre 1935 (per. il 23).

Con rapporto n. 10038/1551 del 18 corr. (2) ho riferito a V. E. circa tendenze che manifestansi in seno Gabinetto ellenico per quanto si riferisce no-stra paese ed accennavo alla circostanza che Condylis è sopraffatto nella sua attuazione di un programma di politica estera, dai legami balcanici della Grecia e dall'azione che ha sempre svolto in questo senso il signor Maximos.

DD. da 478. Atene, Bucarest, Helsinki, Praga e Sofia vedi rispettivamente pubblicato.

Costui è del resto rimasto a presiedere Delegazione ellenica a Ginevra e nel nuovo Ministro degli Esteri, Conte Theotokis, ha trovato qualcuno che per ragioni da me esposte, non è stato in grado di farlo recedere dalle posizioni che Maximos aveva precedentemente stabilite circa contegno Governo ellenico in materia di sanzioni.

Ho, nonostante tale stato di cose, prospettato a Condylis e successivamente a Theotokis, quanto V. E. mi ha comunicato con telegramma n. 1887/C del 15 ottobre (l) e mentre ho trovato il Presidente del Consiglio animato dai propositi più amkhevoli, non mi è parso di aver notato nel Ministro degli Esteri quella piena rispondenza ai concetti espressi da Condylis nelle sue ripetute dichiarazioni fatte alla stampa relative alla sua decisa volontà di tenere nel massimo conto relazioni con l'Italia. Sicché, mentre Condylls mi aveva esplicitamente promesso che avrebbe fatto tenere urgenti, telegrafiche istruzioni a Maximos nel senso di invitarlo a correggere il suo atteggiamento in seno al Comitato delle sanzioni e venire più incontro ai desiderata italiani, il conte Theotokis, invece, in una conversazione che ho avuto con lui il 18 corrente mi faceva intendere che Grecia doveva piena adesione alla Lega ed alle direttive dell'Intesa balcanica e che per conseguenza Delegazione ellenica era costretta ad uniformarsi alle direttive sanzioniste a cui Maximos aveva precedentemente aderito.

Riba·ttevo a Theotokis, facendogli notare pregiudizio che simile interpretazione degli obblighi del patto della S.d.N. avrebbe arrecato alla Grecia, nazione eminentemente mediter·ranea e per questo legata all'Italia, da necessità economiche e politiche che trascendono dalla portata e dagli obblighi del patto stesso.

Pervenutomi successivamente il telegramma di V. E. n. 179 del 20 ottobre (2) facevo pa•rte a Condylis delle felicitazioni che V. E. si è compiaciuto di fargli pervenire in risposta al messaggio che aveva voluto dirigergli, per mio tramite, allorché iniziò l'assunzione alla reggenza e della Presidenza del Governo greco; comunicavo altresì gli apprezzamenti e le considerazioni che

V. E. attribuiva ad una politica di amicizia italo-greca del Generale auspicata durante la visita a Roma (3) e della quale adesso, in pubbliche dichiarazioni, si è chiamato il realizzatore. Coglievo occasione per fargli notare che quanto egli mi aveva assicurato circa probabile azione delegazione ellenica a Ginevra in merito sanzioni era stato contraddetto dalla rendevolezza dimostrata dalla delegazione ellenica alle pretese britanniche e più specialmente dalle dichiarazioni fattemi da Theotokis.

Generale Condylis mi ha r~sposto:

l) che egli aveva fatto pervenire a Maximos urgente disposizione nel senso da me richiesto pel tramite del signor Streit, il noto giurista che era passato da Ginevra diretto a Londra;

2) che Maximos, o per essersi troppo compromesso precedentemente o per aver voluto svolgere un'azione indipendente, si era scostato dalle istruzioni predette, cosa che Generale non poteva che deplorare e di cui avrebbe tenuto conto quando sarebbe stata questione di affidargli un'altra missione;

3) che R. Governo deve contare sull'amicizia e sulle buone disposizioni Governo ellenico quanto alla pratica applicazione delle sanzioni.

Ho replicato a Condylis che facevo pieno assegnamento sulla sua opera ma che mi permettevo di metterlo in guardia contro certe tendenze Ministero ellenico che stavano dimostrare come intendimenti da lui manifestati non fossero forse pienamente compresi da amministrazioni dipendenti.

Da predette conversazioni, V. E. potrà rilevare come nostra opera nei confronti Governo ellenico dovrà necessariamente limitarsi ad un'azione personale sul Generale cui eventuale indipendenza svolgere programma politica estera è subordinata alle maggiori o minori possibilità che egli ha di rafforzare la sua posizione all'interno (mio rapporto n. 10038/1551 del 18 corr.).

Parallelamente a tali assicurazioni del Reggente mi pervengono da questi ambienti commerciali proposte di varia natura intese a neutralizzare per quanto possibile effetti sanzioni progettate specialmente di quelle aventi attinenza con rifornimenti prodotti che potrebbero occorrere all'Italia. Ugualmente la stampa, e devo ad onor del vero notare che si tratta prevalentemente di quella venizelista, ha reagito, dietro suggerimenti questa R. Rappresentanza, alla politica sanzionista rappresentandola come altamente nociva agli interessi economici e politici della Grecia.

Con telespresso n. 10197/1570 (l) tra:smetto le principali proposte che mi sono pervenute circa i rifornimenti commerciali e con telespresso n. 10198/ 1571 (l) gli articoli più salienti che sono stati pubblicati da questa stampa a favore della nostra tesi.

(l) Per le risposte 502, 469, 496, 485 e (2) Non (l) -Vedi D. 351. (2) -Vedi D. 421. (3) -Vedi serle ottava, vol. I, DD. 525, 544 e 551.
459

COLLOQUIO DEL SOITOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 22 ottobre 1935.

Il signor von Hassell mi ha detto che in Germania si era rimasti impressionati per le voci sparse -e poi smentite -della nostra impossibilità di difendere il Brennero.

Gli dico che non c'è nessuna ragione di impressionarsi perché le voci non hanno nessun fondamento.

L'Ambasciatore mi ha chiesto poi se siamo contenti del contegno della stampa tedesca. Gli ho risposto che effettivamente l'atteggiamento negli ultimi tempi era migliorato. Il Signor von Hassell mi ha poi intrattenuto sulla questione di Memel, come dall'unito appunto.

Gli rispondo che ci metteremo in rapporto con Francia e Inghilterra per un'azione in comune e abbiamo già considerato l'opportunità di ridiscutere, dopo le elezioni, la costituzione del Direttorio Cl).

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GERMANIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA I 751. Roma, 22 ottobre 1935.

Nelle elezioni per la Dieta di Memel, la popolazione di Memel, segnando una paiDtecipazione elettorale del 91,6 %, diede 1'81,17% dei voti alla lista unitaria di Memel. Questo risultato delle elezioni appare ancora più si·gnificativo considerato .alla

luce degli sviluppi verificatisi in Memel negli ultimi anni.

Come ben si ricorderà, il Governo Lituano, sin dall'entrata in vigore dello Statuto di Memel, ha commesso tutta rUlla serie di innumerevoli infrazioni all'Autonomia, dirette in particolare contro le due principali colonne dell'Autonomia di Memel: il Direttorio e la Dieta. Soltanto due dei quindici Direttori. susseguitisi dall'andata in vigore dello Statuto di Memel hanno goduto della fiducia della Dieta prescritta dalla Costituzione. La Dieta venne con arlifd.zio resa mcapace a deliberare, al fine di .toglierle 1a possibilità di pronunziare un voto di sfiduc:iJa formalmente valido contro i Direttori lituani contmsta~nti con lo Statuto.

Con una seme di atti amministrativi ed altrt provveddmenti del Governo litUJano nonché degli illegali DirettoT:i lituani, l'Autonomia del territorio di Memel venne tarpata anche materialmente (proolamazione dello Stato di guerra: 1926; legge sull'ordinamento dell'autorità giudiziarie: 1933; legge sulla protezione dello Stato: 1934; abolizione dell'Autonomia scolastica; ecc.). Gli illegali Direttori litooni, a loro volta, lituanizzavano tutti i campi della vita politica, economica e culturale con una serie di misure che non mancò a contribmre che al posto dei diritti gamnlttti nello Statuto di Memel si creasse .una &tuazione intollerabile di Wegalttà ed arb~trio.

Ed anche le elezioni stesse si sono svolte in una maniera q,uanto mai svantagg;iosa per la lista unitavia di Memel. Il loro svolgimento ha convinto il mondo intero della irrazionalità di tale sistema elettorale.

Le diverse infrazioni formali di diritto che si ver-ificarono duxante le elezioni sono state rese suUicientemente note ai rappresentanti delle Potenze Firmatarie.

In grazia dell'intervento delle Potenze Firmatarie, si SOIIlo potute introdurre alcune correzioni tecniche nell'appltcazione dell'apparato elettorale. Queste cm:rezion\ però ha.nno ben poco peso se considerate nel quadro d'i·nsieme delle condizioni cosi svantaggiose per la popolaZJione di Memel fedele aU'Autonomia.

Tanto maggiore significa-to acquista pertanto H fatto che la popolazione di Memel abbia, ad onta di tutto ciò, manifestato nuovramente con una maggioranza schiacciante il carattere germ·anico del Territorio dd Memel e 1a ferma volontà dei suoi abitanti al mantenimento dell'Autonomia.

Date queste circostanze ed in base al risultato inequivocabile delle elezioni no;1 rimane aperta che una sola via per una soddisfacente sistemaz-ione deUa situaZJione del territorio di Memel: la recessione radicale del Governo lituano, daJ.l'illegale

atteggiamento finora seguito e contrastante con la volontà della popolazione. E dipende esclusivamente dal Governo li.tua.no d[ rimuovere una situazione inSostenibile in Europa. A tale scopo si dovranno revocare effettivamente i provvedimenti contrastanti con lo Statuto introdotti dal Governo lituano, e si dovrà in avvenire, da parte lituana, rispettare lo Statuto di Memel, garantito internazionalmente, in accordo con la chiara volontà della popolazione. Sol·tanto per questa via si potrit giungere a relazioni soddisfacenti e proficue fra la popolazione di Memel e le autorità lituane e quindi anche ad una distensione dei rapporti fra la Germania e la Lituama.

(l) Non pubblicato.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

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COLLOQUIO DEL SO'ITOSEGRETARIO 1\GLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 22 ottobre 1935.

Sir Eric Drummond mi comunica che il Governo inglese sarà interpellato alla Camera dei Comuni sulle ripercussioni che potrà avere su Locarno la definitiva uscita della Germania dalla S.d.N.

Il Governo inglese risponderà come da unito appunto (1).

L'Ambasciatore mi informa inoltre che le regole sulla neutralità contenute nella convenzione 138 dell'Aja, sono state applicate di fatto nei porti inglesi e nei porti del Sudan anglo-egiziano.

Rispondo all'Ambasciatore che avevo avuto già notizia di queste disposizioni e le avevo fatte anche esaminare dagli Uffici. L'impressione nostra è che queste regole siano state applicate con grande severità estendendole anche a tutte le navi che sono impiegate o noleggiate dal Governo italiano per il trasporto di rifornimenti alle forze di terra e di mare.

A parte ciò, il provvedimento inglese solleva una questione molto delicata perché, se ci sono i diritti dei neutri, ci sono anche i diritti dei belligeranti. Questo è un problema che noi fino ad ora non abbiamo toccato.

L'Ambasciatore Drummond riconosce la delicatezza del problema. Mi osserva però che è bene che la Gran Bretagna abbia preso nettamente la posizione di neutro, dato che una applicazione severa dell'art. 16 potrebbe portare i membri della S.d.N. a considerarsi belligeranti.

Mi riservo ad ogni modo di esaminare l'appunto inglese allegato (2) e se del caso di fargli delle osservazioni.

To such a question Hls Majesty's Oovernmen•t would reply that under Artic!e 17 of the Covenant the provlsions of articles of the Covenant referred to in the T.reaty of Loca.rno can become applicable to disputes where one of the parties is not a member of the League;there ls therefore a means by wh1ch all the provlsions of the Treaty of Locarno can still rece!ve thelr due appllcation In the new clrcums·tances ».

Venendo a parlare della questione generale, l'Ambasciatore mi dice che ha trovato il discorso di Baldwi.n molto buono (1). Gli rispondo che evidentemente non posso condividere questo suo giudizio. Però devo riconoscere che questo discorso è più tranquillo dei precedenti.

Entrando nella questione delle condizioni per una possibl:le conciliazione, affermo, esaminando punto per punto, che le condizioni italiane comunicate a Parigi in ri.sposta alla iniziativa francese (2) sono di'fendibili anche dal punto di vista societario.

L'Ambasciatore trova che la difficoltà sarà costituita dalla mancata adesione del Negus. Fino a che il Negus non sarà seriamente battuto non si può pretendere che egli venga a condizioni di pace come quelle volute dall'Italia. La cosa potrebbe essere facilitata se noi acconsentissimo a uno sbocco territoriale al mare per l'Abissinia. Questo territorio ceduto all'Abissinia potrebbe essere sotto la sovranità puramente nominale del Negus, ed entrare nel regime di controllo della nostra zona periferica.

(l) Il testo dell'appunto era il seguente: «When Parliament meets next week Hls Majesty's Oovernment may be asked what the effect of Oermany's withdrawal from the League of Nations has on the Treaty of Locarno.

(2) Il testo dell'-appunto, In data 21 ottobre, era 11 seguente: « His Majesty's Oove.rnment destre to lnform the Royal Itallan Oovernment that, genera!ly speaking, the rules of neutrality, contained in the Hague Convention n. 13 are belng appUed de tacto in British Colonia'! ports and territories, includlng the Anglo-Egyptian Sudan. Hls Majesty's Oovernment are advised that in no circumstances can treatment more favourable to Italy than this be extended to her under internatlonal law and that there 1s no question whatsoever of the applicat!on of this treatment constitut!ng a "sanction ". Con nota verbale 239735/196del 6 novembre 1935, !l Ministero degli esteri esprimeva all'ambasciata di Gran Bretagna a Roma la protesta contro questo provvedimento e «le più ampie riserve circa la sua legllllità e circa l'interpretazione data alla Convenzione citata nella comunicazione britannica».

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BERNA, TAMARO

T. R. 1987/140 R. Roma, 23 ottobre 1935, ore 2,30.

In relazione alle dichiarazioni del delegato svizzero a Ginevra nel Comitato di Coordinamento delle sanzioni, prego V. S. accertare quali siano precisamente gli intendimenti di codesto Governo circa il regime degli scambi commerciali con l'Italia. Sembrerebbe dalle dichiarazioni predette che Governo federale propenda ad applicare un sistema di clearing in via unilaterale. Tenga presente che R. Governo non potrebbe assolutamente accettare tale soluzione non sopportabile da economia italiana e che costituirebbe in ogni caso un atto non amichevole in contrasto con le dichiarazioni di Motta. Occorre invece che materia sia regolata mediante amichevoli trattative tenendo conto delle poposte già avanzate da parte italiana. In attesa che si concreti un accordo e dato che i Governi sono stati invitati dal Comitato di Coordinamento a comunicare prima del 28 corrente se siano disposti a vietare l'importazione delle merci italiane, prego V. S. di far passi presso codesto Governo perché o si astenga se possibile dal dare una risposta o si limiti a dare una risposta di carattere preliminare e non impegnativa, riservandosi di far conoscere appena possibile le sue decisioni. V. S. vorrà dare al suo passo il tono più amichevole possibile in conformità ai cordiali rapporti esistenti fra i due paesi (3).

T. -7325/1057 R. del 20 ottobre 1935, ore 13,05, non pubblicato.
(l) -Si riferisce al discorso del 19 ottobre, del quale Grandi aveva dato conto con (2) -Vedi D. 366. (3) -Ricevute queste istruzioni, Ta.maro chiese se «dopo quanto ho riferito con mio telegramma posta n. 63 in data 21 corrente, circa intenzione Governo svizzero eventuale clearing, passo prescrittomi da V.E. sia ancora necessario o se debba effettuarsi sulla base della comunicazione verbale fattami da Motta» (T. 7493/100 R. del 23 ottobre 1935, ore 18). Non risulta che ci sia stata risposta.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. R. 1988/124 R. Roma, 23 ottobre 1935, ore 17,15.

A Ginevra il Comitato delle sanzioni è stato brevemente aggiornato e intanto i Governi membri della Lega debbono rispondere entro il 28 corrente alle proposte fatte.

Occorre approfittare del breve intervallo per svolgere ovunque e particorarmente nei centri che più ci interessano un'azione di cauta persuasione e di chiarimento circa le risposte che i vari Stati si propongono eventualmente di dare e sulle conseguenze che tali risposte possono comportare per l'andamento futuro dei rapporti economici e politici tra l'Italia e questi Paesi.

Per quanto concerne la Jugoslavia, oltre a quanto espressamente e riservatamente il signor Stojadinovic la ha incaricata di riferirmi (1), abbiamo rilevato con soddisfazione i sinceri apprezzamenti e le varie riserve che si sono costì espresse e nei circoli i più differenti circa la posizione di codesto Paese di fronte alle sanzioni e di fronte alla particolare sua situazione verso l'Italia. Desidero però che Ella intrattenga espressamente sull'argomento e al più presto il signor Stojadinovic. È nostro vivo interesse che gli Stati interpellati o ritardino la risposta o comunque nel rispondere formulino delle riserve così gravi da dare alla risposta il carattere il meno impegnativo possibile. Ciò che del resto corrisponde in definitiva oltre e più che ad un certo interesse, all'interesse del paese interpellato che si lascia cosi migliore libertà di azione e di scelta, a seconda delle future circostanze ed evidenze.

La prima giustificazione giuridica ad ogni modo di risposte condizionate e qualificate sta nella deliberazione presa fin dal 1921 dalla Assemblea di Ginevra che gli obblighi incombenti in base all'art. 16 differiscono da Stato a Stato a seconda delle condizioni geografiche, politiche, economiche.

Come è noto a tale deliberato hanno fatto già espresso riferimento varii Stati dell'America Latina e la Svizzera.

Ove il signor Stojadinovic entri di massima, come non dovrebbe essere difficile, nell'ordine di idee sopra accennate, pur lasciando naturalmente al medesimo come meglio argomentare dal lato tecnico le proprie riserve, Ella potrebbe al caso accennare in linea generale a due considerazioni:

a) danno che potrebbe derivare alla Jugoslavia dalla mancata adesione alle sanzioni di paesi produttori di prodotti similari ai suoi; b) importanza del mercato italiano per il mercato jugoslavo sia percentualmente sia quantitativamente.

Prego dare alla Sua comunicazione al signor Stojadinovic il carattere il più amichevole possibile sulla linea politica, in questi ultimi tempi delinea

tasi, e a cui gli avvenimenti odierni danno una improvvisa e imprevedibile possibilità di attuazione e di sviluppo.

Naturalmente però anche a prescindere da ogni considerazione di carattere politico, l'Italia non potrà non tenere conto sia pure sul solo terreno economico dell'atteggiamento che i singoli Paesi adotteranno. È un argomento che deve avere certamente e in ogni caso un grande peso, tanto più in quei Paesi che come la Jugoslavia sono così interessati al nostro mercato, e che d'altra parte è già presente nella considerazione di questi due Stati, come è stato chiaramente dimostrato a Ginevra con la questione sollevata da Titulescu delle cosidette compensazioni.

Attendo Sue comunicazioni telegrafiche. È inutile che sottolinei la grande importanza della questione, come pure l'opportunità che nel caso particolare della Jugoslavia essa venga inquadrata nella nuova atmosfera che già si è andata instaurando fra i due Paesi (1).

(l) Veò.i DD. 311 e 353.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7495/392 R. Ginevra, 23 ottobre 1935, ore 23,15 (per. ore 0,50 del 24).

Discorso Hoare ha confermato in questi ambienti impressione détente che si era manifestata negli ultimi giorni.

Malgrado le versioni contraddittorie e le molteplici previsioni ottimiste e pessimiste che si fanno sulla situazione, dalle numerose conversazioni che ho avuto oggi con i delegati di varie Nazioni ho tratto alcuni elementi che mi permetto segnalare all'attenzione di V. E.:

l) Malgrado tono moderato del discorso di Hoare, la maggior parte dei miei interlocutori qui si è dimostrata convinta che l'Inghilterra resta decisa nell'esigere l'applicazione delle sanzioni economiche che procrastina ora per ragioni tecniche ed elettorali. Nel caso che ostilità dovessero continuare, cercherà di passare al blocco. Lo stesso discorso di Hoare non esclude tale possibilità; e ottima prova fatta sino ad ora dal funzionamento del Patto non potrà non incoraggiare gli Stati, compresa la Francia, a seguire in questa via l'Inghilterra che non mancherebbe di preparare opportunamente, anche per tale successiva progressione del meccanismo sanzioni, il terreno diplomatico.

2) Su questa strada l'Inghilterra marcerebbe tanto più facilmente in quanto è ormai sicura appoggio flotta francese in caso complicazioni nel Mediterraneo.

3) Voci di proposte italiane accordo state fatte a Parigi per una base possihile soluzione del conflitto circolano qui con insistenza. Da varie parti mi si è detto che l'Italia dovrebbe farsi iniziatrlce di proposte anche a Ginevra, dato che Inghilterra e Francia non faranno nulla senza ricondurre prima o poi il negoziato a Ginevra, mentre l'Italia conserverebbe in tal caso iniziativa dalla sua parte; porrebbe essa condizioni da rappresentare base del negoziato; dovrebbe non permettere nessuna discussione o esperimento di soluzione senza sua diretta partecipazione, anche per evitare che inglesi tentino di nuovo varare progetto dei Cinque che sembrano disposti a sostenere come base trattative con lievi varianti.

4) Rinnovata dichiarazione Hoare circa esigenze italiane di espansione e sicurezza economica e questione materie prime coloniali dovrebbe indurre l'Italia a farsi inizi'atrice di una conferenza economica che dovrebbe dare, a parte gli aggiustamenti territoriali, compensi concreti di natura economica al popolo italiano.

Discorso Hoare è comunque considerato qui come ferma espressione della volontà britannica di mantenere soluzione del conflitto nel quadro di Ginevra.

(l) Per la risposta di Viola vedi D. 513.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 7487/785 R. Parigi, 23 ottobre 1935, ore 23,55 (per. ore 2,15 del 24).

Telegramma di V. E. n. 675 (1).

La val, al quale ho chiesto le precisazioni desiderate da V. E., mi ha detto innanzi tutto che nel suo discorso di ieri Hoare ha dal suo lato esposto quanto egli mi aveva comunicato circa accordo intervenuto fra la Francia e l'Inghilterra relativo alle sanzioni (2).

Rispondendo poi ai punti da me espostlgli, Lavai ha detto che non esisteva un accordo scritto. Dai colloqui che egli ebbe con Hoare e Eden risultò intesa circa modo di concepire sanzioni, fu cioè deciso che esse non sarebbero militari, fu esclusa chiusura Canale di Suez e blocco. Quest'ultima esclusione implica che non vi sarà visita delle navi. Lavai ha aggiunto di avere fatto conoscere all'Inghilterra il suo desiderio che si giunga alla conclusione di una conciliazione prima del primo novembre in modo da non applicare sanzioni. Egli si rende infatti conto che potrebbero sorgere serie complicazioni che sarebbe necessario eliminare.

Quanto ai termini della risposta della Francia all'Inghilterra circa assistenza in caso di attacco della flotta inglese, Lavai mi ha detto che incaricherà Léger di comunicarmela. Vedrò quest'ultimo domani (3).

(l) -Vedi D. 448. (2) -Vedi D. 395. (3) -Il relativo documento non è stato rinvenuto.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE A BUENOS AIRES E SANTIAGO E ALLE LEGAZIONI A MONTEVIDEO, LIMA, QUITO, BOGOTA, LA PAZ, PANAMA, CARACAS E CITTA DEL MESSICO

T. 1997/c. R. (1). Roma, 23 ottobre 1935.

Comitato di Coordinamento delle sanzioni ha invitato Governi comunicare entro 28 corr. se intendano applicare: l) embargo su esportazioni in Italia di prodotti chiave;

2) divieto di importazioni di prodotti italiani. In conformità agli affidamenti dati ed alle dichiarazioni fatte a Ginevra dalla maggior parte dei rappresentanti dell'America Latina che hanno fatto valere speciali legami di sangue e di amicizia che uniscono i loro paesi all'Italia, R. Governo confida che alla richiesta del Comitato possa essere risposto negativamente in modo da tagliar corto una volta per sempre ad ogni possibilità di dubbi. Una risposta in tal senso potrebbe essere giustificata dagli argomenti esposti dalla delegazione argentina e precisamente:

a) da ostacoli costituzionali per cui un impegno governativo non può essere preso senza l'assenso del Parlamento;

b) dalla speciale posizione economica e geografica dei paesi sudamericanl, in conformità alle decisioni dell'Assemblea del 1921 che riconobbe che gli obblighi derivanti dall'art. 16 differiscono da Stato a Stato a seconda della sua posizione;

c) dall'esistenza di numerose e attive colonie italiane nonché dall'origine italiana di parte della popolazione, analogamente a quanto anche la Svizzera ha fatto valere.

Converrà sopratutto insistere sul carattere puramente coloniale del conflitto itala-etiopico e sulla proporzionata gravità delle misure proposte che non mancherebbero di avere la più dannosa ripercussione sulla economia mondiale. A V. E. (V. S.) non mancherà il modo eventualmente, sulla base degli elementi a sua diretta conoscenza, di accennare al turbamento che tali misure, ove fossero attuate costà, arrecherebbero agli scambi fra l'Italia e coaesto Paese, anche in conseguenza della politica restrittiva che l'Italia sarebbe costretta ad applicare nei riguardi dei paesi sanzionisti.

Ove fosse difficile indurre codesto Governo a rispondere negativamente, la E. V. (S. V.) veda di insistere perchè ritardi al massimo una risposta. Tenga presente al riguardo che il Governo britannico, d'accordo con quello francese, sembra d'avviso di attendere, per l'entrata in vigore delle misure suaccennate, che siano pervenute a Ginevra le adesioni di Stati per una percentuale non ancora fissata, ma superiore al 50 per cento del volume delle esportazioni italiane. È perciò nostro interesse ritardare al massimo il numero delle risposte

che implichino un'adesione anche formale. V. E. (V. S.) potrà accennare a tal fine ai tentativi in corso, anche per opera di Governi dell'America Latina {1), per la ripresa di una azione diretta ad un regolamento della controversia italaetiopica e che è pertanto opportuno soprassedere da ogni misura che aggravi l'atmosfera e renda più difficili i tentativi predetti.

(l) Questa comunicazione venne inviata a Città del Messico con T. 2013/38 R. del 24 ottobre 1935, ore 24.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL BELGIO A ROMA, LIGNE

APPUNTO. Roma, 23 ottobre 1935.

Il Principe de Ligne, che mi aveva chiesto un colloquio di urgenza, mi dice che nella mattinata era successo [un fatto] spiacevolissimo. Il Segretario del Partito ed il Segretario Amministrativo del Partito avevano rinviato all'Ambasciata, accompagnate da biglietti da visita, le alte decorazioni che erano state loro conferite dal Re dei Belgi.

L'Ambasciatore aveva saputo di altri casi di restituzione di decorazioni, ma si trattava di privati che non avevano alcuna posizione ufficiale. Questo caso invece è ben diverso.

Il Segretario del Partito è una delle più alte cariche dello Stato; un atto del genere non può quindi essere mantenuto nei limiti di una manifestazione personale.

L'Ambasciatore è tanto più spiacente della cosa in quanto egli dà tutta la sua attività per superare le attuali difficoltà: fa il possibile per impedire esportazione di armi dal Belgio in Abissinia; ha insistito energicamente per il ritiro degli ufficiali belgi dall'Abissinia e si [propone] di continuare con tutta la sua buona volontà in quest'opera per avvicinare il suo Paese al nostro. Un atto come quello della restituzione delle decorazioni [tocca tutto] il popolo belga dove ci sono pure tanti sinceri amici dell'Italia. L'Ambasciatore spera che le due personalità del Partito siano ancora in tempo per desistere dal loro atto e prega ad ogni modo che alla cosa non sia data nessuna pubblicità.

Rispondo all'Ambasciatore che il Segretario del Partito non ha nessuna forma di rappresentanza di fronte all'estero; quindi il suo atto e quello del Segretario Amministrativo hanno certamente carattere puramente individuale; tanto è vero che il Ministero degli Esteri, che ha invece la rappresentanza del Paese di fronte all'estero, non ne ha avuto preventiva conoscenza. È quindi una ragione di sensibilità personale che ha indotto il Segretario del Partito ed il Segretario Amministrativo a restituire le decorazioni. Di tale sensibilità sono giudici essi soli. Debbo anche aggiungere all'Ambasciatore che nel gesto delle

due personalità del Partito si può vedere il riflesso di uno stato d'animo che è molto diffuso nel Paese. In Italia l'atteggiamento del Belgio e la sua supina acquiescienza alle richieste inglesi sono giudicati molto male; se ne fa maggior colpa al Belgio che agli altri Paesi che hanno aderito alle sanzioni, e ciò per tre ragioni: l) perché il Belgio è stato nostro alleato in guerra; 2) perché il Belgio è legato all'Italia da vincoli di parentela fra le due Case regnanti; 3) perché l'Italia è garante del Belgio per l'Atto di Locarno, garanzia unilaterale che non ha contropartita.

Devo avvertire anche l'Ambasciatore che in Italia la questione di Locarno è all'ordine del giorno; ci sono molti che si domandano e ci domandano se la garanzia dell'Italia per il Belgio possa rimanere in piedi quando il Belgio si associa ad un'azione diretta ad indebolire l'Italia. Sarebbe bene che al suo Paese riflettessero a tale questione.

Non mi pare possibile -non mi sentirei neanche di chiederlo -che le due personalità del Partito ritirino l'atto ormai compiuto. Viceversa ritengo che non ci sarà nessuna difficoltà ad evitare che alla cosa sia data pubblicità. Mi rendo benissimo conto dello stato d'animo dell'Ambasciatore in quanto noi tutti sappiamo -ed apprezziamo -come la sua azione sia volta a far comprendere al suo Paese le ragioni dell'Italia e a fargli assumere una posizione più favorevole alla tesi italiana (1).

P. S. Confermo successivamente per telefono all'Ambasciatore che la manifestazione ha carattere individuale e che alla cosa non sarà data pubblicità.

(l) Per le risposte da Buenos Aires, Santiago, Quito, Bogotà, Panama e Città del Messico, vedi rispettivamente i DD. 477, 484, 474, 497, 539 e 490. Non sono state rinvenute le risposte dalle altJ:e rappresentanze in indirizzo ma vedi DD. 530 e 540.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI DEL VENEZUELA, CHACIN, ALL'EX MINISTRO A CARACAS, GEMELLI

L. P. Caracas, 23 ottobre 1935.

El Gobierno de Venezuela aprecia altamente la manifestaci6n cordial que

v. E. se ha servido trasmitirme en nombre de Su Excelencia Mussolini {2) y ruega a V. E. llevarlo a conocimiento del Gobierno italiano. Las instrucciones dadas a la delegaci6n venzolana han sido inspiradas por nuestro espiritu de confraternidad y concordia que aspira a conciliar en el cuadro de los compromisos internacionales la necesidad de la paz y el justo aprecio por Naciones de la mas glorioso tradici6n como lo es Italia con cuyo pueblo tenemos vinculaciones inolvidables. Propendian nuestros deseos a procurar al lado de la accion generai una acci6n fraterna! de las delegaciones de la America Latina en Ginebra en pro de la paz de Europa. Reciba V. E. los recuerdos cordiales de este Gobierno y el testimonio personal de mi alta estimaci6n.

33 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 423.
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IL MINISTRO AL CAIRO, GRIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 7555/580 R. Cairo, 24 ottobre 1935, ore 13,11 (per. ore 15,30).

Mio rapporto 3201/1082 del 18 ottobre (1).

Ho avuto questi giorni conferma che provvedimento relativo sospensione capitolazioni riguardi italiani travasi effettivamente preparazione.

Questo Ministro di Francia, parimenti informato, mi ha riferito confidenzialmente avere chiesto istruzioni suo Governo. Da ulteriori indagini ho anche accertato che il provvedimento sarebbe posto relazione con sanzioni da adottarsi prossimamente nonché con necessità ordine pubblico nella misura eventuale dichiarazione stato allarme in seguito concentramento truppe italiane in Libia e particolarmente frontiera occidentale egiziana. Mi sono pertanto recato fin da sabato scorso a visitare Ministro degli Affari Esteri. Ho detto ad Ezzat che, da notizie stampa e informazioni degne fiducia, avevo appreso essere in preparazione decreto sospensione capitolazioni solamente per italiani. Speravo notizia non fosse vera, ma desideravo, comunque, attirare, per ora a titolo personale, la più seria attenzione sua e del Governo egiziano su portata che verrebbe ad assumere ad iniziativa consimile provvedimento, ingiustificato in fatto ed in diritto. In fatto perché collettività italiane, di cui continuavo assumermi piena responsabilità, sono perfettamente calme e disciplinate e Consolati, i quali sono i soli in Egitto ad avere giudici di carriera, collaborano senza limitazione su mie precise istruzioni, polizia locale. In diritto perché, mentre Governo italiano ha sempre considerato massima benevolenza aspirazioni egiziane materia capitolare, atto arbitrario ed unilaterale diretto soltanto contro italiani, avrebbe carattere odiosità e ostilità verso Italia. Ho pregato Ezzat di portare quanto precede a conoscenza Presidente del Consiglio, col quale mi riservavo conferire ulteriormente.

Mi sono infatti recato ieri da Nassim Pascià al quale ho ripetuto, sempre a titolo personale, mie considerazioni, nelle quali egli ha convenuto. Presidente del Consiglio mi ha risposto che, se data speciale situazione attuale Egitto, egli non può prendere impegni assoluti per avvenire (che spera tuttavia vivamente porti miglioramento situazione generale), mi assicurava però che, allo stato delle cose, Governo egiziano non adotterà provvedimento sospensione capitolazioni nei riguardi italiani.

Sono quindi passato a parlare questione sanzioni contro Italia. Della imminente applicazione, da parte Governo egiziano, per tassativo invito britannico, ho ricevuto ulteriore conferma; Nassim Pascià non mi ha infatti negato essere attualmente in esame adesione egiziana deliberata Ginevra, ed ha accennato a necessità ordine superiore.

Ho fatto per parte mla osservare a Presidente del Consiglio quegli argomenti che mi sembravano più opportuni, che Egitto non essendo membro

della S.D.N. tale adesione avrebbe carattere e significato speciale e che, d'altronde, il vero danneggiato in definitiva sarebbe precisamente l'Egitto. Auguravo pertanto che Governo egiziano procedesse con la massima ponderazione prima di incamminarsi su una via così piena di difficoltà e di svantaggi per il presente e avvenire.

Nessim Pascià mi ha lasciato comprendere che, nell'ambito possibilità del Governo egiziano, terrà in massimo conto mie considerazioni.

(l) Vedi D. 411.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7634/173 R. Bucarest, 24 ottobre 1935, ore 20,50 (per. ore 4 del 25).

Rispondo telegramma di V. E. n. 1989 (l) e 1981 (2).

Ho avuto oggi stesso lunghissima conferenza con Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri e riassumo qui di seguito le raccomandazioni e richieste che gli ho presentate e che l'ho pregato trasmettere stasera per telefono a Titulescu, che si trova tuttora a Ginevra.

l) La Romania, essendo il paese che uscirà più di ogni altro danneggiato dall'applicazione delle sanzioni economiche, è giusto sia l'ultimo a rispondere al Comitato dei Diciotto anche per avere agio esaminare ed approfittare di tutte eventuali concrete [proposte] avanzate da altri Stati.

2) Nella eventuale risposta, la Romania deve astenersi dall'indicare data da cui dovrebbero avere inizio sanzioni, insistendo sul punto di vista che sanzioni effettive non debbono iniziarsi senza previo [approfondito] esame, finora non fatto, delle gravissime conseguenze economiche che ricadrebbero su taluni Stati come Romania, Jugoslavia e Cecoslovacchia.

3) Risposta dovrebbe contenere espresse e pregiudiziali riserve circa compensi.

4) Romania deve far presente che essa ha attualmente un saldo attivo bloccato in Italia di ben centocinquanta milioni di lire italiane (in realtà trattasi di somma inferiore, ma conviene alla Romania ed a noi che sia denunziata una somma superiore) e che quindi dovrebbe essere in ogni caso riservato alla Romania diritto di continuare le sue importazioni dall'Italia fino esaurimento tale suo saldo attivo, ciò che significa un anno di commercio normale.

5) Romania dovrebbe inoltre avanzare domanda che dal divieto di importazione dall'Italia fossero esclusi i materiali di cui le amministrazioni romene hanno alto bisogno per la ricostruzione e la attrezzatura del Paese anche per quanto riguarda l'armamento.

Ho fatto rilevare al Sottosegretario di Stato in quale baratro l sanzlonisti ad oltranza pretendono gettare Romania. Egli si è reso ben conto che arrestare importazioni dall'Italia significa arrestare esportazione dalla Romania cioè Io scaternarsi di una crisi economica quale Romania non ha mai sperimentato nella sua storia.

Sottosegretario di Stato mi ha assicurato che riprodurrà fedelmente a Titulescu mia esposizione. Egli mi ha detto che Titulescu con presentazione delle domande dei compensi ha intenzionalmente gettato fra le gambe dei sanzionisti un ostacolo non facilmente superabile. Ho replicato che ciò non basta, perché se Romania ammette anche soltanto in principio una data qualsiasi d'inizio delle sanzioni finirà per essere trascinata nell'ingranaggio.

Sembrerebbemi opportuno che codesto Ministero facesse ripetere a Titulescu, da parte della nostra Delegazione, i punti che ho sopra elencati. Sarebbe anche opportuno che trovassimo modo di fare sentire a Titulescu, la cui vanità è ben nota a codesto Ministero, che noi apprezziamo quanto egli ha finora fatto e che confidiamo su un suo contributo anche più efficace in questa fase decisiva.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Vedi D. 457.
470

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 7565/266 R. Madrid, 24 ottobre 1935, ore 22,30 (per. ore 4 del 25).

Mi riferisco telegrammi nn. 145 e 1989/C (1). Avevo già esposti concetti riferentisi sanzioni e riassunti nei citati telegrammi a Lerroux alcuni giorni or sono riferendone con mio telegramma

n. 261 (2).

Mi sono recato subito da Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri non essendo possibile parlare in questi giorni con Lerroux, gravemente compromesso in scandalo parlamentare che assorbe interamente sua attenzione. Davanti a miei argomenti, Sottosegretario di Stato, che è per temperamento riservatissimo, mi ha ricordato che delegazione spagnuola ha lavorato in Ginevra in modo simpatico per l'Italia pur essendo costretta ottemperare ai suoi impegni societari e che in questa occasione Spagna non avrebbe cambiato rotta.

Ho anche parlato con il direttore generale affari politici Aguilar, che fa parte delegazione Ginevra e che più esplicitamente mi ha confermato volontà Spagna esaminare problema sanzioni economiche dal punto di vista interessi spagnuoli e quindi con somma prudenza, senza dimenticare amicizia con l'Italia. Mi ha informato che stasera presiederà riunione interministeriale per esaminare problema dal punto di vista puramente economico e che certamente non mancheranno riserve per applicazione sanzioni stesse.

Ho allora subito fatto interpellare da nostro Consigliere Commerciale signor Meruendano, direttore generale Commercio, e che dimostrasi decisamente contrario applicazione sanzioni economiche. Egli ha rinnovato promessa che rappresentanti del Ministero del Commercio sosterranno nella riunione molte e gravi riserve. Appena avrò notizie comunicherò (1). Gazzetta Ufficiale pubblica oggi decreto proibizione esportazione armi verso l'Italia.

(l) -Vedi D. 456, nota l p. 429. Il T. 1989/C. non è stato rinvenuto. (2) -Vedi D. 418.
471

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 2006/686 R. Roma, 24 ottobre 1935, ore 24.

Pur prendendo atto dei chiarimenti dati dal signor Léger (2) sull'azione moderatrice che sarebbe stata esercitata dal delegato francese nel Comitato delle sanzioni, resta il fatto che la procedura sanzionista è stata spinta con la maggiore rapidità fino alle estreme misure col concorso attivo della delegazione francese. R. Governo e opinione pubblica italiana si attendono ora nella imminente ripresa dei lavori del Comitato un atteggiamento apertamente amichevole e una comprensione delle esigenze italiane quale è imposta da tutto l'insieme di accordi e convenzioni esistenti fra i due paesi dai quali deriva l'obbligo di prestarsi reciprocamente assistenza e non già di seguire una politica contrastante.

Si pone d'altro canto la questione gravissima dell'applicazione che la Francia intende praticamente dare alle sanzioni proposte a Ginevra. Su questo punto un preciso chiarimento si impone. La soluzione più semplice sarebbe di ritardare, per quanto è possibile, l'adesione alle misure proposte. Codesto Governo potrebbe logicamente far valere che, pendendo un tentativo di mediazione converrebbe soprassedere da misure, che non possono che aggravare l'atmosfera e rendere più difficile l'azione in corso.

Ove non fosse possibile indurre codesto Governo a seguire una tale linea, sarebbe comunque necessario dichiarare fermamente che, anche se per considerazioni di politica societaria che il R. Governo non intende disconoscere, la Francia si trovasse nella necessità di dare un'adesione formale alle misure di embargo sulle materie chiave, noi contiamo di poterei in un modo o in un altro, continuare a rifornire dal mercato francese. 8i tratta di materie necessarie alla industria di guerra che la Francia è interessata a non indebolire. Sopratutto

noi ci attendiamo che si trovi il modo di assicurarci le forniture dei rottami di ferro necessari senza dover ricorrere agli Stati Uniti.

Non potremmo inoltre ammettere che la Francia imponesse un divieto delle nostre esportazioni. La ripercussione nella opinione pubblica italiana sarebbe gravissima, tanto più in confronto all'atteggiamento liberale tenuto d·alla Germania. Occorre insomma che il signor Lavai si renda conto che di concessione in concessione a favore della tesi societaria si rischia di andare incontro a una situazione che nè il Governo francese né quello italiano possono evidentemente desiderare, data l'incompatibilità assoluta tra la politica di amicizia e l'adozione di misure di carattere innegabilmente ostile. Se questo non è stato chiaramente avvertito fino a quando si è rimasti nel campo delle discussioni teoriche, esso diventerà anche troppo palese, con ripercussioni ben comprensibili nell'opinione pubblica, quando si dovesse incominciare a risentirne gli effetti. Occorre perciò risolutamente fermarsi prima di essere trascinati alle estreme conseguenze dalla forza stessa dell'ingranaggio.

V. E. vorrà all'uopo accennare alla necessità di una deviazione dei traffici a favore di altri paesi e per quanto concerne il carbone della Germania, che diventerebbe per noi indispensabile qualora non potessimo in alcun modo contare sulla Francia, tanto più che saremmo anche costretti a por limiti alle importazioni degli oggetti non strettamente necessari che ci fornisce la Francia, per non depauperare le nostre riserve (1).

(l) -Con T. 7672/26!1 R. del 26 ottobre 1935, ore 22,30, Pedrazzi comunicò che erano state «impartite direttive a delegazione a GineVM affinché sostenga convenienza ritardare appUcazione sanzioni economiche e faccia riserve per speciali danni che deriverebbero Spagna applic,andole ». (2) -Vedi D. 377.
472

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO

T. 2009/291 R. Roma, 25 ottobre 1935, ore 3.

Telegramma di V. E. n. 400 del 21 corrente (2).

Voglia recarsi dal signor de Macedo Soares e voglia dirgli a mio nome che ho altamente apprezzato la netta decisione presa dal suo Governo nei riguardi della richiesta di Ginevra per l'adesione del Brasile all'applicazione dell'art. 16 del Patto.

Tale decisione, che sono convinto sarà fermamente ed effettivamente mantenuta, dimostra la chiara concezione di codesto Governo dei reali interessi brasiliani e testimonia i suoi sentimenti in modo degno della salda amicizia esistente tra i due Paesi.

Dica a de Macedo Soares che l'Italia non dimenticherà il gesto compiuto dal Brasile nell'attuale momento (3).

(l) -Per la risposta vedi D. 487. (2) -Vedi D. 446. (3) -Per la risposta vedi D. 512.
473

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 2010/689 R. Roma, 25 ottobre 1935, ore 3,30.

Dalle recenti dichiarazioni fatte al Parlamento dal Governo britannico e da tutte le altre informazioni che ci pervengono risulta che la nota di maggiore serenità che da Londra si desidera imprimere all'attuale situazione politica non modifica sostanzialmente il pensiero del Governo inglese circa una soluzione del conflitto itala-etiopico che comporti un soddisfacente riconoscimento dei diritti e interessi italiani. Non c'è da farsi molte illusioni sui risultati che potrà avere ora l'opera di Lavai, giacchè soltanto dopo le elezioni è sperabile che il Governo britannico abbia una maggiore elasticità d'azione e di negoziazione. È quindi assai pericoloso voler portare a conclusione un'azione conciliativa fra il momento attuale e la data di applicazione delle sanzioni giacchè, come ho già segnalato a V. E., Francia e Inghilterra ci metterebbero innanzi ancora una volta delle proposte minacciando di dare il via alle sanzioni se noi non le accettassimo. E così si sfrutterebbe nell'opinione pubblica mondiale, l'argomento del rifiuto italiano di una quarta proposta conciliativa.

Ciò deve essere evitato se il Governo francese vuole compiere una seria ed efficace azione conciliatrice. Occorre pertanto che V. E. segnali chiaramente a Lavai i suddetti pericoli derivanti da negoziati affrettatamente condotti prima delle elezioni inglesi specie durante il suo prossimo incontro con Hoare a Ginevra (l).

Nell'interesse di tutti conviene mantenere i contatti attuali, senza rischiare di romperli con sistemi del tipo di quelli finora usati.

474

IL MINISTRO A QUITO, CAFIERO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7597/35 R. Quito, 25 ottobre 1935, ore 17,25 (per. ore 2,45 del 26). Telegramma di V. E. n. 1997/C (2).

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che non gli è possibile far dare subito, come avrebbe desiderato, risposta negativa circa sanzioni, a causa dell'assenza da Quito dell'Incaricato del potere supremo della Repubblica. In ogni modo mi ha confermato che delegato equatoriano a Ginevra ha istruzioni di procedere d'accordo coi delegati del Cile e dell'Argentina per un'azione in favore della pace e che perciò non darà nessuna risposta circa sanzioni.

(l) -Per la risposta vedi D. 487. (2) -Vedi D. 465.
475

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 7575/153 R. Varsavia, 25 ottobre 1935, ore 15,01 (per. ore 18,55).

A seguito di una conversazione avuta ieri Capo di Gabinetto di Beck, sulla quale riferisco con rapporto per corriere (1), ho avuto stamane altra lunga conversazione con lui durante la quale mi è stato dichiarato che azione Polonia è volta a fare larghe breccie su muro sanzioni ·e che riserve da me suggerite sono attentamente esaminate da esperti economisti polacchi, qui giunti da Ginevra.

Circa questione armi all'Abissinia lo stesso Capo di Gabinetto mi ha dichiarato che Governo polacco non (dico non) vede alcuna ragione per mutare sua linea corrispondente al senso da noi desiderato.

476

IL MINISTRO A PANAMA, CAPANNI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7627/72 R. Panama, 25 ottobre 1935, ore 17,25 (per. ore 2,45 del 26).

In relazione telegramma di V. E. n. 1887 (2) ho il pregio di comunicare a

V. E. che il Governo di Costarica ha dichiarato di non aver alcun partito da prendere, nè da fare dichiarazioni, nè' da dichiarare neutralità perché tutto ciò, data la situazione di un paese piccolo ed inerme, avrebbe carattere da operetta. Una qualunque dimostrazione in favore dell'Etiopia di questo piccolo Stato d'America non avrebbe altro effetto che attrarre verso Costarica l'antipatia di una Nazione amica come l'Italia alla quale ci uniscono tradizionali relazioni di commercio e di simpatia. Tali dichiarazioni fatte al Reggente Gambassi dal Ministro degli Affari Esteri cui l'avevo incaricato recarsi, sono state ripetute dal Presidente della Repubblica e date alla stampa.

Per bocca del Ministro degli Affari Esteri Arosemena ho avuto assicurazioni che Panama, quantunque firmataria delle sanzioni, non (dico non) le applica per non commettere un atto di ingratitudine e di mortificazione verso una Nazione amica come Italia. Ho l'impressione della sincerità di tale dichiarazione.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Vedi D. 351.
477

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7656/314 R. Buenos Aires, 25 ottobre 1935, ore 21,05 (per. ore 2,45 del 26).

Telegramma di V. E. n. 1997/C del 23 corr. (1).

Assicuro essermi valso del suo contenuto sotto ogni opportuna forma nei continuativi quotidiani contatti che mantengo personalmente a tal fine con Ministro Affari Esteri, va:ri membri del Governo ed altri ambienti politici e di stampa (nonché ad ogni buon fine col dovuto tatto anche con quello di opposizione). Tutti sono concordemente convinti assurdità di una eventuale pratica applicazione di sanzioni da parte dell'Argentina, e certamente di tale opinione sono Presidente della Republica e Ministro Affari Esteri.

In seguito alle prolungate apposite conversazioni avute fino a questa notte con quest'ultimo e con suoi consiglieri giuridici al Ministero Affari Esteri, dovrei peraltro escludere possibilità di una risposta categorica in senso negativo tale da tagliare senz'altro corto ai dubbi, giacché mentre mi è stata francamente da loro confidenzialmente confermata necessità salvaguardare delicata posizione personale del Ministro Affari Esteri, per avere egli altre volte, come è noto, così intensamente sostenuto reingresso Argentina Lega Nazioni, sussistono sempre imbarazzi derivanti relazioni economiche finanziarie con la Gran Bretagna. Mi è stato però fermamente dichiarato essere col massimo impegno allo studio ricerca di una forma di risposta a Ginevra che permetta favorirci praticamente, pur conciliandola con affermazione rispetto impegni internazionali, e inoltre consenta possibilmente atteggiamento dilatorio.

478

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7690/043 R. Sofia, 25 ottobre 1935 (per. il 28).

Mio telegramma filo odierno n. 148 {2).

Nella conversazione avruta stamani col signor Kiosseivanoff ho abbinato i concetti esposti nei due telegrammi circolari 1981 (3) e 1989 (4) prospettando con maggiore chiarezza e fermezza le conseguenze economiche e politiche di una completa dedizione bulgara alle imposizioni ginevrine (vedi mio telegramma per corriere n. 040 del 19 ottobre) (5). Gli ho detto anche che ora che gli

avvenimenti stringono noi abbiamo la necessità e il diritto di vedere attuata in fatti la tante volte ripetuta amicizia, simpatia e comprensione.

Kiosseivanoff ha preso appunti sia delle nostre argomentazioni giuridiche che giustificherebbero il non rispondere dentro la data fissata al Comitato di Coordinamento, sia degli argomenti che potrebbero essere riportati in una risposta evasiva e dilatoria, dicendomi che nessuna decisione era stata presa circa la risposta da far pervenire a Ginevra e che l'argomento doveva ancora essere discusso dal Consiglio dei Ministri. Malgrado che egli mi abbia detto che, se gli uffici competenti avessero trovate esatte le nostre argomentazioni per giustificare una mancanza di risposta, egli avrebbe cercato di far trionfare al Consiglio dei Ministri questa tesi, ho riportato l'impressione che difficilmente questo avverrà. Ritengo invece di poter prestare fede alla sua assicurazione che in ogni caso il Governo bulgaro farà di tutto per ritardare il più possibile una risposta definitiva sollevando ogni sorta di obiezioni, quesiti e pretese di ordine economico. E ho tratto pure l'impressione che alla lunga, se tutti gli Stati balcanici dovessero cedere incondizionatamente, la Bulgaria non avrà la forza di restare isolata nel suo dissenso. È sintomatica infatti la frase seguente pronunziata ieri da Kiosseivanoff nel corso de.Ua nostra conversazione: «A cosa varrebbe ostinarsi a resistere attorniati come siamo da stati che nella peggiore ipotesi proibiranno il traffico di transito tra noi e voi'/ Ma egli spera sempre in una resistenza collettiva e nelle difficoltà pratiche di giungere ad una applicazione totale delle sanzioni di terzo grado ritenendo quasi impossibile che i piccoli stati che avanzano pretese di compensazione dei danni che subirebbero possano essere accontentati. Mi ha detto inoltre che Momciloff sarà probabilmente chiamato a far parte della sotto-commissione che deve studiare la questione della ripartizione e compensazione degli oneri e che ha già avuto ordine di essere attivissimo nel sollevare obiezioni e pretese. A proposito del Momciloff credo opportuno informare V. E. che dall'insieme delle conversazioni avute col Ministro Kiosseivanoff e col Segretario Generale del Ministero (col quale nei giorni scorsi mi sono tenuto giornalmente a contatto per cercare di seguire l'azione a Ginevra) mi risulta che egli avrebbe avuto una lata libertà di azione di cui non ha profittato. Egli che aveva istruzione di avanzare precise riserve in seno alla sotto-commissione per bocca del rappresentante di qualche altro stato, si è accontentato di far dire dal delegato jugoslavo che anche la Bulgaria avanzerebbe pretese di indennizzo; il Segretario Generale mi ha letto parte del suo rapporto sulla seduta e decisioni del 19 ottobre, e ho potuto constatare che egli si scusa di non aver preso la parola in seno al Comitato di Coordinamento, perché nessun delegato di altri stati (a parte il gruppo Austria-Ungheria-Albania) prese la parola, cosa che non so se sia esatta. Questo governo ha approvato la sua azione; ma credo di poter ritenere che se avesse voluto avrebbe potuto benissimo avere un gesto più energico e simpatico a nostro favore. Il suo rapporto sulla seduta del 19 è arrivato a Sofia solo il 23 e nel frattempo il Segretario Generale del Ministero sfogliava i telegrammi dell'Agenzia telegrafica per trovare la notizia delle riserve del Delegato bulgaro! Il Direttore di questa Sede della Banca Commerciale che lo ha avuto per impiegato in questi ultimi anni mi dice che

è un uomo pieno di sufficienza e pretenzione ma privo di carattere e schivo di assumere responsabilità, e che per lui chi parla da ultimo ha sempre ragione.

Mi. permetto di richiamare l'attenzione di V. E. sul telegramma per corriere che porta il numero successivo a questo col quale riferisco quanto Kiosseivanoff mi ha detto sul colloquio avuto ieri alla stazione di Sofia con Ruschdi Aras (1).

(l) -Vedi D. 465. (2) -Con il T. u. 7572/148 R. pari data, ore 14, Sapuppo assicurava di aver interpellato Klosseivanoff e d! essere in attesa di conoscere la sua risposta. (3) -Vedi D. 457. (4) -Non rinvenuto. (5) -Vedi D. 426.
479

COLLOQUIO DEL SO'ITOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, GOMEZ OCERIN

APPUNTO. Roma, 25 ottobre 1935.

Il signor Gomez Ocerin vede che le cose vanno meglio. Gli osservo che c1o non risponde alla realtà. Se si va alle sanzioni, la situazione sarà grave. Il popolo italiano non può tollerarla.

L'Ambasciatore si dice a nostra disposizione per tutto quello che potrà fare.

Gli dico che può rappresentare al suo Governo lo stato d'animo che c'è in Italia contro i paesi sanzionati, i danni che deriveranno al suo paese per l'applicazione delle sanzioni, l'opportunità di rispondere negativamente alla

S.d.N. o almeno dilazionare la risposta, ed infine fare tutte le difficoltà possibili per l'applicazione delle sanzioni stesse.

480

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI DANIMARCA A ROMA, KRUSE

APPUNTO. Roma, 25 ottobre 1935.

Il signor Kruse ritiene che la situazione sia migliorata.

Gli rispondo che non abbiamo nessun sintomo, anzi siccome si va verso l'applicazione delle sanzioni, noi la riteniamo peggiorata. Il popolo italiano non potrà mai dimenticare l'ingiustizia che si commette contro di lui dopo che in casi analoghi precedenti non si era fatto nulla.

Il Ministro osserva che nelle condizioni attuali la violazione del Covenant era così palese che non era possibile sottrarsi alla necessità di imporre le sanzioni anche se ciò costi moltissimo a tanti paesi come il suo che vorrebbero mantenere i migliori rapporti con l'Italia.

Gli rispondo che, a parte l'esattezza della sua interpretazione, in nessun caso poi il Covenant impone di passare subito all'applicazione delle sanzioni più gravi.

D'altra parte le sanzioni non funzioneranno e chi ne approfitterà saranno i paesi che non le applicheranno.

Il Ministro è molto spiacente che si sia arrivati a questo punto. Egli pensa che se noi avessimo atteso i tre mesi prescritti dal Covenant, avremmo potuto fare la guerra senza che nessuno ci potesse dir nulla.

Gli rispondo che neanche questo è certo. La Società deUe Nazioni avrebbe potuto farci tutte le difficoltà. Noi ci siamo persuasi invece che la S.d.N. ha trattato la cosa senza nessun desiderio di risolverla a nostro favore, per seguire soltanto le direttive della Gran Bretagna che ha degli interessi particolari (l).

(l) Con T. per corriere 7682/044 R.. pari data, Sapuppo riferiva che Rtistu Aras aveva manifestato a Kiossedivanoff l'intenzione di ritardare il più possibile l'entrata in vigore delle sanzioni e la speranza della ripresa dei lavori del Comitato dei Cinque per riaprire 1 negoziati italo-abissinl.

481

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 25 ottobre 1935.

Il Ministro del Portogallo, in seguito all'appunto da me fattogli circa le false notizie propalate dalla Radio di Lisbona, è venuto oggi a dichiararmi che il 19 corrente il Direttore di quella Radio era stato dal Governo portoghese revocato e sostituito da altra persona che dava sicuri affidamenti di una maggiore comprensione della situazione politica internazionale.

Il signor D'Avila Lima ha voluto farmi comprendere che con questa decisione il Governo portoghese aveva dato piena soddisfazione alla richiesta del Governo italiano (2).

482

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1244/1142. Ginevra, 25 ottobre 1935 (per. il 29).

A Ginevra si comincia a comprendere come indipendentemente dalle difficoltà tecniche relative alla messa in opera delle S'anziani e alle conseguenze gravi che comporterà per molti paesi la scrupolosa osservanza delle decisioni prese dal Comitato di coordinazione, il rinvio delle sanzioni s'impone per ragioni di ordine politico. A parte la canea vociferante contro di noi, vi sono

molte persone di buon senso che mi hanno detto come uno sforzo inteso a ritardare la messa in azione delle sanzioni, se vi è qualche speranza di favorire con questa misura il successo del negoziato politico, rientra precisamente in quella che dovrebbe essere la funzione essenziale della Lega e cioè d'impedire che la situazione generale europea si aggravi e si vada verso una catastrofe.

Malgrado l'incoscienza con cui alcuni fanatici fuori e dentro il Segretariato affermano che tanto più presto saranno applicate le sanzioni, tanto più rapidamente l'Italia sarà ridotta alla ragione, qui si fa strada la preoccupazione che il popolo italiano possa essere condotto all'esasperazione dalla minaccia economica che grava sulla vita nazionale italiana. E opinioni pubbliche esasperate con l'incalcolabile danno che potrebbe venire da un inevitabile riaccendersi delle polemiche di stampa non sono fatte per favorire la soluzione dei conflitti.

Per quanto concerne queste possibili soluzioni qui si fa un gran parlare delle «proposte italiane che sarebbero state trasmesse a Parigi e su cui sono state pubblicate smentite tanto a Parigi che a Londra.

Naturalmente data la sensibilità di questo ambiente per quanto riguarda le possibili soluzioni societarie -sensibilità che nulla giova a trascurare qui si discute sul come sarà possibile dare soddisfazione all'Italia senza violare i principi del Patto e si esagera su certe incompatibilità, senza rendersi conto che una delle rarissime prerogative dell'organismo ginevrino è proprio quella di saper escogitare delle formule compromissorie che salvino la faccia ai principi.

Per lasciare alla soluzione del conflitto un apparente quadro societario da molti si vorrebbe che fosse il Comitato dei Cinque a riprendere l'iniziativa, che potrebbe consistere nel confidare ai Governi più interessati della Francia e dell'Inghilterra la formulazione d'un piano che dovrebbe, con la opportuna pressione diplomatica inglese, essere accettato dal Negus, o fosse lo stesso Governo italiano a riprendere come base del negoziato le proposte dei Cinque.

Naturalmente la possibilità di rimettere in azione il Comitato dei Cinque è combattuta da altri che affermano come il Comitato dei Cinque ha cessato di esistere, una volta che si è iniziata la procedura sulla base dell'art. 16 e che secondo quanto dichiarò lo stesso Presidente del Consiglio è oggi solo il «Consiglio che resta a disposizione delle Parti pe,r aiutarle a stabilire delle condizioni con le quali le ostilità potrebbero essere arrestate».

Il Journal des Nations odierno si fa naturalmente eco di questa tesi che è sostenuta da alcuni anche al Segretariato; mentre è ovvio constatare che lo stesso Consiglio, per lo scopo su accennato, potrebbe riconfermare il mandato al Comitato dei Cinque il quale potrebbe a sua volta deferire il compito di trattare ai «Governi più particolarmente interessati».

Per quel che riguarda le possibilità di trasferimenti territoriali riferisco con ogni riserva quanto mi è stato detto e cioè che gli inglesi, convinti che il Negus farebbe difficoltà serie per la cessione dell'Barrar, non sarebbero alieni dal proporre in cambio all'Italia la cessione della regione dei Borana. L'Inghilterra preferirebbe in fondo avere confinanti con la Northern Frontier Province, gli Italiani agli Etiopici (l).

(ll Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) -Il presen te documento reca il visto di Mussolini. (2) -R!trasmesso a Lisbona con Telespr. 241887/30 del 21 novembre 1935.
483

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7621/262 R. Berlino, 26 ottobre 1935, ore 10,25 (per. ore 22).

Mio telegramma n. 259 (1).

Ho veduto di nuovo Segretario di Stato.

Nella situazione, che pur rimane sostanzialmente invariata, si è introdotto qualche elemento di dubbio circa forma ed occasione migliore per una risposta e ciò per le circostanze seguenti:

l) nessuna comunicazione da parte dell'organo costituzionale e rappresentativo della S.D.N. (Presidente del Consiglio oppure Segretario Generale) è dopo tutto avvenuta;

2) la stessa comunicazione (redatta del resto in te,rza persona) del signor Vasconcellos in fondo non domanda nulla di concreto n è di preciso; 3) viene così a mancare base per una risposta diretta, tanto più che Governo tedesco, preoccupasi di nulla fare oppure dire che implichi riconoscimento

S.d.N.

In queste circostanze si preferisce (anche in vista attitudine degli altri neutrali) attendere. Soltanto circostanze potranno dire se, in definitiva, sia più opportuno che il Governo tedesco faccia conoscere proprio pensiero sotto forma di un comunicato stampa, oppure di una qualche dichiarazione da inserire in un discorso di politica estera del Cancelliere. Se, quindi, nulla è cambiato fin qui sostanzialmente nell'attitudine e nei propositi tedeschi, è chiaro tuttavia che, venuta a mancare occasione e motivo per un rifiuto altrettanto patente quanto netto, considerazioni di politica generale possono portare automaticamente Governo tedesco a preferire formule di risposte se non più vaghe, almeno più indirette.

484

L'INCARICATO D'AFFARI A SANTIAGO, SILENZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7659/110 R. Santiago, 26 ottobre 1935, ore 11,38 (per. ore 18,40).

A seguito istruzioni telegramma di V. E. n. 1997/C (2) e a conoscenza insistenti pressioni presso questo Governo da parte dell'Incaricato di Affari Inghilterra, ho potuto vedere subito questo Cancelliere e, dopo avergli esposto desiderata R. Governo facendo nel caso speciale Cile risaltare turbamento che sanzioni avrebbero su economia cilena e su proficui scambi commerciali con Italia, a richiesta del Cancelliere stesso presentai apposito memorandum.

Cancelliere mi assicurò sarà ritardata al massimo possibile la risposta Cile a richiesta Comitato coordinamento Ginevra e risposta sarà sempre di aderire sa,nzioni più lievemente possibile e sempre escludendo salnitro e rame. Egli mi rinnovò assicurazione che Ambasciatori Cile Roma Parigi e Londra hanno ricevuto dettagliate [istruzioni] collaborare in ogni modo per ragg.iungimento pace appoggiando proposte italiane.

(l) -Vedi D. 416. (2) -Vedi D. 465.
485

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 7626/185 R. Praga, 26 ottobre 1935, ore 12,30 (per. ore 14,45).

Telegrammi di V. E. n. 1981/C Cl) e 1989/C (2). Ho chiesto a Benes quale risposta Governo cecoslovacco avrebbe data alla

S.d.N. per applicazione sanzioni e gli ho fatto presenti argomentazioni prescrittemi da V.E.

Benes mi ha informato che questo Ministro di Jugoslavia gli ha partecipato che suo Governo si proporrebbe rispondere Ginevra facendo alcune riserve. Mi ha fatto notare che Jugoslavia, data sua situazione, a riparo immediate minacce, può usare maggiore indipendenza verso S.d.N. per salvaguardare suoi preponderanti interessi economici nei confronti dell'Italia. Mi ha detto che ad ogni modo riunirà rappresentanti Ministeri tecnici per sentirne parere prima di decidere circa tenore della risposta da dare alla S.d.N., cui sarebbe chiesta in ogni caso dilazione per applicazione sanzioni.

Ho richiamato con insistenza attenzione di Benes sulla necessità di considerare molto seriamente ripercussioni politiche ed economiche che atteggiamento Cecoslovacchia in questa contingenza potrebbe avere nei rapporti con Italia.

486

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7623/215 R. Vienna, 26 ottobre 1935, ore 13,20 (per. ore 15,15).

Von Papen è tornato ieri sera da Be,rlino. Ad ogni buon fine riferisco avermi egli detto che, nel corso di una lunga conversazione con Hitler, questi gli avrebbe fra l'altro accennato: l) che fra breve Germania dichiarerà sua stretta neutralità nel conflitto italo-etiopico; 2) che in pari tempo sarà decretato embargo armi sia nei riguardi dell' Abissinia che dell'Italia; 3) che per quanto concerne commercio, questo continuerà normalmente.

(l) -Vedi D. 457. (2) -Non rinvenuto.
487

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7607/794 R. Parigi, 26 ottobre 1935, ore 13,35 (per. ore 16,15).

Telegrammi di V. E. n. 686 (l) e 689 (2). Ho avuto vari colloqui con Lavai circa argomenti trattati nei due telegrammi suddetti.

Presidente del Consiglio mi ha detto essere perfettamente convinto che applicazione delle sanzioni economiche potrebbe dar luogo ad ogni sorta di complicazioni. Egli sembra però credere che il 31 ottobre a Ginevra si sarebbe fissata la data della loro entrata in vigore, alla quale la Francia non avrebbe potuto sottrarsi a causa dei suoi obblighi societari, se prima di allora non si fosse riusciti a condurre in porto opera di conciliazione a cui egli dedicava tutte le sue forze.

Spiegai a Lavai che il 31 ottobre sarebbe stata decisa soltanto entrata in vigore delle sanzioni finanziarie. Per quelle economiche i Governi avrebbero soltanto dovuto stabilire in massima applicazione salvo far conoscere in seguito le loro osservazioni eventuali e decisioni circa messa in vigore.

Assunte informazioni e constatato che le cose stavano realmente nei termini da me espostigli Lavai osservò che vi era qualche settimana di tempo durante la quale si sarebbe potuto sperare di raggiungere soluzione che evitasse applicazione sanzioni stesse. Lavai non crede che gli inglesi per considerazione elettorale possano essere trattenuti dal contribuire ad azioni di conciliazione. Propende anzi ritenere che dopo elezioni essi sarebbero più intransigenti. Per tale ragione non intende perdere un solo minuto. Egli parla sempre ancora della speranza di portare a Ginevra il 31 ottobre un progetto di conciliazione progredito al punto da essere sottoposto ad una commissione e poi al Consiglio. Scorge necessità di evitare che un progetto il quale tenga conto delle nostre aspirazioni e dei nostri interessi sia da noi respinto con conseguenze imprevedute. Assicura che se dovesse constatare esistenza di un tale pericolo, agirebbe in modo da non lasciare giungere a termine il negoziato. Lo sospenderebbe ad un determinato momento o, per lo meno, avrebbe curato di farlo terminare «en queue de poisson ed in modo da poter al caso essere ripreso ulteriormente. Laval scorge una conferma nel suo ottimismo circa favorevoli disposizioni degli inglesi nella circostanza che questi, ancora prima di conoscere termini di conciliazione da lui proposti, mandarono spontaneamente a Parigi Peterson affinchè fosse sul posto e potesse subito lavorare con Saint-Quentin in qualità di esperto inglese per le questioni abissine (3).

(l) -Vedi D. 471. (2) -Vedi D. 473. (3) -Con T. r. per corriere 2044 R. del 27 ottobre 1935 Suvich invitava Cerrutl a continuare a segnalare a Lava! U peri()olo di prospettare a Ginevra soluzioni non sottoposte preventivamente all'Italia, che avrebbero potuto condurre ad un ulteriore rifiuto del R. Governo. Con successivo telegramma (T. 2060/705 R. del 28 ottobre 1935, ore 23), Mussolini ribadiva: «Sarebbe molto pericoloso che Lava! portasse a Ginevra delle proposte da concord,are con Hoare senza una nostra preventiva intesa».
488

L'INCARICATO D'AFFARI A GUATEMALA, CORTESE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7666/50 R. Guatemala, 26 ottobre 1935, ore 17,03 (per. ore 2 del 27).

Telegramma circolare, n. 1887 Cl).

Non ho mancato influenzare anche il Governo Salvador in questione sanzioni. Come Guatemala, Salvador non partecipa attuali lavori S.d.N. e in più Guatemala ha interesse non perder mercato italiano per suo caffè. Ho ragione di ritenere che sua risposta alla Lega delle Nazioni si intonerà a quella di questo Governo che ho rivelato al mio collega Salvador. Allo scopo influire più direttamente parto per San Salvador motivando viaggio presentazione lettere credenziali (2).

489

IL MINISTRO A KAUNAS, AMADORI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7631-7638/110-111 R. Kaunas, 26 ottobre 1935, ore 17,53 (per. ore 22).

Governo lituano ha ricevuto da Riga e Tallinn comunicazione loro decisione aderire a sanzioni economiche. In risposta, questo Governo, in considerazione delle suggestioni di procrastinamento da me fatte, ha oggi stesso proposto ai Governi Lettonia ed Estonia di rispondere a Ginevra che loro applicazione sanzioni non potrebbe aver luogo prima del 28 novembre.

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che tale procrastinazione ha in vista accordo di conclliazione oppure una situazione militare etiopica in netto favore Italia che modificherebbe situazione diplomatica. D'altra parte Lituania non può abbandonare sue basi diplomatiche: Lega delle Nazioni e Intesa baltica.

Ho da parte mia insistito che al procrastinamento fossero aggiunte alcune condizioni ad una adesione di principio: come la riserva di revisionare gli impegni di massima, secondo gli impegni reali degli altri Stati e secondo gli interessi reali Lituania quali si dimostreranno nel futuro.

Signor Lozoraitis mi ha assicurato terrà presente tale suggestione nella prossima decisione e che Governo Lituano, ad ogni modo, lascerà di fatto passare tutte le importazioni italiane.

34 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

Alla fine mio colloquio con questo Ministro degli Affari Esteri ho messo in rilievo:

l) Governo lituano non si deve illudere con un facile ottimismo su una soluzione amichevole del conflitto, ove non si voglia dare soddisfazione all'Italia. Un tale ottimismo è artificioso e potrebbe apportare i vari Governi ad aderire sanzioni progressive senza rendersi conto che saranno poi condotti ad una sempre più severa applicazione ed alle reazioni difensive italiane;

2) Governo lituano non dovrebbe lasciarsi guidare dalla tesi degli altri Stati baltici poiché esso, a differenza di Lettonia ed Estonia, ha tuttora in fase critica alcune questioni nazionali, come questione di Memel, su cui Governo italiano deve dire la sua parola. Governo italiano non avrebbe certamente particolare malanimo contro Lituania, ma per la difesa dei suoi interessi vitali contro ingiustizia di Londra e di Ginevra potrebbe essere portato a cercare collaborazioni con Germania, di cui Lituania potrebbe indirettamente fare prossimamente spese, e dopo Lituania anche gli altri Paesi baltici.

Governo lituano deciderà lunedì sua posizione definitiva per sanzioni.

Signor Lozoraitis partirà martedì o mercoledì: suppongo per mettersi in contatto con Rappresentanti delle Potenze firmatarie per affari Memel in vista delle esigenze germaniche che riaggravano la posizione Lituania.

Crederei efficace R. Ministero appoggiasse miei passi con intervento immediato presso codesta Legazione di Lituania perchè Governo Lituano ne sia informato lunedì.

(l) -Vedi D. 351. (2) -Con successivo T. 7908/55 R. del 31 ottobre 1935 Cortese comunicava ancora: «confermo a V.E. che decisione presa dalla Repubblica del Salvador !n questione sa.nz!on! s!m!le a quella del Guatemala. Infatti questo Governo si è limitato rispondere alla Lega delle Nazioni che adempirà entro limiti possibilità».
490

IL MINISTRO A CITTA DEL MESSICO, MARCHETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7658/52 R. Città del Messico, 26 ottobre 1935, ore 18,40 (per. ore 7,10 del 27).

Mi sono interessato stamane col facente funzioni di Ministro per gli Affari Esteri nel senso desiderato da V. E. col suo telegramma 38 (1).

Signor Ceniceros mi ha detto di nuovo che questo Governo non può sottrarsi alle direttive di Ginevra, sia per gli obblighi che gli incombono sia in vista delle pressioni che gli vengono da vari settori di questa opinione pubblica. Ha aggiunto tuttavia che solo fra qualche giorno il Presidente solleciterà dal Senato facoltà di emettere decreti concernenti embargo armi e prodotti equiparati; nonché sanzioni finanziarie (circa queste ultime mi ha fatto osservare che recenti statistiche dimostrano che pregiudizio che potrà derivarcene sarà minimo, più teorico che pratico). Circa sanzioni commerciali egli mi ha lasciato sperare che vedrà di procrastinarle.

Ho insistito vivamente perché vengano ritardate il più possibile. Oltre agli argomenti fornitimi da V. E. gli ho fatto presente che non possono mancare pretesti e ragioni, come la necessità raccogliere tutti i dati presso gli altri dipartimenti interessati, e di non recare agli interessi di questo paese un colpo, tanto più grave in quanto altri Governi si mostrano avversi o restii ad applicare sanzioni in parola. Gli ho nuovamente ripetuto che in questo periodo l'Italia sta contando i suoi amici e che i futuri rapporti con gli altri Paesi saranno seriamente influenzati dall'atteggiamento che ognuno di essi sta assumendo ora. Assicuro V. E. che non tralascio occasione di fare opera di persuasione nel senso da noi desiderato, sia presso questo Governo che negli ambienti finanziari e commerciali.

(l) Vedi D. 465, nota 1.

491

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 7643/105 R. Berna, 26 ottobre 1935, ore 21,20 (per. ore 24).

Ministro Stucki in colloquio odierno mi ha ripetuto che la Svizzera risponderà lunedì: l) accettando embargo armi ma estendendolo anche per Abissinia; 2) accettando sanzioni finanziarie con ampia riserva circa difesa e valorizzazione Svizzera in Italia; 3) accettando divieto d'esportazione materie prime secondo il progetto francese;

4) dichiarando non poter accettare proposta inglese per divieto d'esportazioni italiane in Svizzera aggiungendo in linea di massima due dichiarazioni: a) che è disposta studiare sistema compensazioni poiché Inghilterra ha affermato che sua proposta tende soltanto a privare Italia eccedenza divise; se ora si adduce esservi altre ragioni, Svizzera dichiarerebbe non poter aderire nessuna misura che sembri punizione popolo italiano; b) che non intende arricchirsi a danno di altri Stati completamente sanzionisti.

Ministro Stucki mi ha detto tali dichiarazioni sono necessarie per evitare reazione inglese, essendo egli convinto che dipende largamente dai mercati inglesi per materie prime e dal mondo anglo-sassone [per] movimento turistico. Inghilterra, già molto malcontenta, potrebbe costringerla ad accettare punto 4°.

Circa clearing Stucki rinnova assicurazione che ne tratterebbe con R. Governo soggiungendo che tale misura non deve considerarsi sanzione poiché Svizzera non potrebbe più commerciare con Italia se non in base al clearing.

Circa transito Gottardo, salvo per armi e munizioni, Svizzera resisterà qualunque pressione si faccia per imporne chiusura.

492

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 12695/0197 P. R. Parigi, 26 ottobre 1935 (per. il 28).

A conferma della mia comunicazione telefonica di iersera a S. E. Suvich e perchè ne rimanga traccia negli archivi ripeto qui appresso il risultato di un primo studio delle condizioni italiane fatte dagli esperti francese e inglese, Signori de Saint-Quentin e Peterson.

Nel comunicarmelo il Signor Lavai ha insistito sulla circostanza che Io studio medesimo non lega menomamente nè il Governo francese nè quello inglese, che Io ignorava al momento in cui egli me ne parlava.

Le risultanze a cui sarebbero giunti i due esperti sono le seguenti: -si potrebbe considerare il mandato all'Italia di tutto il territorio etiopico al disotto dell'8° parallelo; -sembra da escludersi l'annessione ai possedimenti italiani del Tigrè, poichè fa parte integrale dell'Abissinia amharica; -sembra pure impossibile l'estensione del mandato da concedersi all'Italia della regione del Harrar, feudo personale del Negus; -deve essere concesso all'Etiopia uno sbocco al mare sopra territorio proprio a mezzo di un corridoio che potrebbe sboccare ad Assab. Qualora Italia non potesse consentirvi Inghilterra è sempre ancora disposta a concedere corridoio stesso attraverso la Somalia britannica con sbocco a Zeila; -non si scorgono difficoltà per le rettifiche di confine a nostro favore nella Dancalia e nell'Ogaden. Ho sostenuto immediatamente con Lavai impossibilità per noi di rinunciare all'annessione del Tigrè. Ho ricordato i precedenti storici, il nostro dominio sopra una regione in cui si trovano le località di Adua, Adigrat, Abba Garima, Makallè, nomi che sono sacri ad ogni italiano perchè ricordano il sacrificio di molti valorosi soldati. Ho posto in rilievo l'importanza della nostra penetrazione pacifica nel Tigrè, dovuta in grande parte al ricorso incancellabile che le popolazioni locali serbano per il grande generale e colonizzatore che fu Baldissera,

di cui si è sempre parlato in quella regione come dell'« uomo giusto». Ho pure detto che non ci è possibile rinunciare al Harrar che è una zona fertile e via di penetrazione.

Oggi il Signor di Saint-Quentin mi ha chiesto di mandargli d'urgenza un memoriale sul Tigrè, segno manifesto che gli argomenti da me svolti a Lavai in sua presenza furono ritenuti degni di ulteriore considerazione. Mi accorsi infatti che al Quai d'Orsay ignoravano che noi avevamo avuto il Tigrè in nostro dominio.

Circa lo sbocco al mare, Lavai osservò che qualunque potesse essere la soluzione occorrerà discuterla tenendo presenti gli interessi della ferrovia francese i quali non devono essere lesi.

Siamo rimasti intesi con Lavai che egli mi avrebbe nuovamente convocato non appena fosse stato in grado di farmi conoscere qualcosa di nuovo.

493

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

L. P. Roma, 26 ottobre 1935.

Le mando copia di un documento estremamente grave (1). Esso dimostra quale è la reale direttiva della politica britannica: la guerra contro l'Italia, col concorso militare della Francia, coll'ausilio morale di Ginevra. Ella deve parlare oramai nettissimamente a Lavai, facendogli intendere che noi siamo esattamente informati delle richieste inglesi e domandandogli che significato egli attribuisca ancora agli accordi del gennaio e ai protocolli militari Valle-Denain, Badoglio-Gamelin. Noi abbiamo lette·ralmente sguarnito la frontiera occidentale, ma visto che si parla di attacchi aerei francesi a quella frontiera, è chiaro che la situazione va riveduta. Il documento che le mando è un vero e proprio progetto di alleanza militare contro l'Italia, anche al di fuori delle sanzioni. È chiaro che il pretesto di un attacco italiano alla flotta inglese non è serio. Si vuole slittare dalle sanzioni economiche a quelle militari e costringere l'Italia a cedere di fronte alle due flotte, ai due eserciti, alle due aviazioni francobritanniche. Non escludo di provocare qualche indiscrezione sul documento (2).

494

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7670/237 R. Bruxelles, 27 ottobre 1935, ore 20,35 (per. ore 0,45 del 28).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 1999/C (3).

Non mancherò di citare atteggiamento del Governo francese per cercare di ottenere in pratica qualche attenuante del traffico di armi verso l'Etiopia. Osservo, però, che è assai malagevole qui invocare esempio della Francia, con la quale il Belgio ha da qualche tempo rapporti meno cordiali a causa cattive relazioni economiche. A differenza inoltre di quanto accade in Francia, 11 Governo non ha qui alcuna seria possibilità di controllo di coprire produzione delle fabbriche di armi giacchè il piccolo esercito belga non ne ha alcun speciale bisogno. Tenterò tuttavia di fare appello ai principi di correttezza di questo Primo Ministro esortandolo a rifiutare le licenze di esportazione almeno nei casi (non) di armi e munizioni effettivamente fabbricate in Belgio ma solo qui concentrate da ogni parte per opera dei noti mediatori.

(l) -Non si pubbllca. (2) -La risposta di Cerruti non è stata rinvenuta.. (3) -Vedi D. 424, nota l p. 400.
495

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7677/190 R. Mosca, 27 ottobre 1935, ore 21,37 (per. ore 0,45 del 28).

Mio telegramma n. 189 (1).

Conferendo [con] persona bene informata [mi ha detto] che confermami la tesi del Journal de Moscou. L'U.R.S.S. non può avere scuse per il ritardo nella applicazione delle sanzioni economiche, alle quali per altro aveva c a malincuore, aderito, visto che per applicarle non è obbligata all'interno ad alcuna formalità all'infuori di un semplice ordine. Nella riunione del 31 corrente a Ginevra non solleverà eccezioni. Soltanto nel caso che le dichiarazioni degli altri Stati membri della S.d.N. mostrassero chiaramente l'inutilità delle sanzioni economiche, sarebbe costretta a riesaminare la propria situazione. Si asterrà dal prendere qualunque altra iniziativa in merito.

Ho domandato a Litvinov quando, a suo avviso, le sanzioni potrebbero essere giudicate inutili. Mi ha risposto vagamente, affermando che non era certo la mancanza dei piccoli Stati che poteva dare loro tale carattere. Nell'insieme mi sembrava però un poco meno entusiasta della macchina societaria.

Egli si mostra [convinto che i] britannici non avrebbero molto cambiato prima delle elezioni. Non vedeva la possibilità di un accomodamento a breve scadenza. Temeva che, anche dopo le elezioni, tale atteggiamento non sarebbe stato molto più conciliante, dato lo stato d'animo dell'opinione pubblica inglese.

Mi ha domandato se era vero che l'Inghilterra aspirasse ad un mandato in Abissinia in proprio favore. Gli ho detto di non avere gli elementi per rispondere, ma che da parte Inghilterra niente mi avrebbe ormai stupito.

496

IL MINISTRO AD HELSINKI, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7678/46 R. Helsinki, 28 ottobre 1935, ore 0,40 (per. ore 6,45).

Notizie sulla distensione dei rapporti itala-inglesi circa problema abissino, giunte sopratutto da Londra, hanno avuto una certa ripercussione anche in questo Paese. Circoli governativi e stampa sembrano dimostrare una maggiore

comprensione della nostra situazione e nei centri commerciali si nota qualche preoccupazione per le voci di ritorsione che potrebbero essere prese a Roma.

Ispirandomi agli ultimi telegrammi di V. E. sulla materia non ho mancato da parte mia di adoperarmi nel senso desiderato nelle conversazioni avute coi dirigenti e con le varie personalità di questo paese in occasione dei contatti presi dopo presentate credenziali. Mi sono sopratutto intrattenuto sull'argomento col Presidente del Consiglio e col Ministro degli Affari Esteri appena rientrato da Ginevra. Questi mi ha detto:

l) che Governo finlandese, pur attenendosi strettamente ai doveri collettivi imposti dal Patto della S.d.N., non intendeva farsi parte diligente quanto applicazione delle misure che saranno decise in occasione delle prescrizioni del Patto stesso;

2) che qualora esso dovesse dare sua adesione alle deliberazioni Ginevra, non potrebbe in ogni modo accompagnarla da riserve fatte, o che saranno fatte, da altri Paesi, non potendo esso basarle su nessuna delle motivazioni di cui quelli si possono valere. In base legislazione vigente potere esecutivo può d'altra parte decidere in tali contingenze, senza preliminare [consultazione] sua prossima linea di condotta a Ginevra, riservandosi di confermarla a decisioni che saranno prese da altri, specialmente da Stati vicini coi quali è in scambio di vedute;

3) che Governo finlandese si rende ben conto del turbamento che potrebbe soffrire il suo commercio dall'applicazione di sanzioni economiche, dato sopratutto le reazioni che esse provocherebbero a Roma verso i prodotti di questo Paese.

Per queste ragioni, ha aggiunto il Ministro degli Affari Esteri, e nella preoccupazione che i buoni rapporti con l'Italia potessero venirne indeboliti, egli ha tentato, con altri delegati di piccoli Stati, di ottenere a Ginevra che Finlandia fosse esonerata dall'adozione delle sanzioni cui essa tuttavia si dichiarava senz'altro disposta ad aderire. Ma, ha sottolineato il Ministro, si tiene a Ginevra a che l'adesione dei piccoli Stati non sia solamente di principio per darle maggiormente il significato di una manifestazione societaria.

In conclusione questo Governo, che come è noto, agisce nella questlohe ispirato completamente ai principi di Ginevra e seguendo politica inglese, darà sua adesione completa a tutte le decisioni che saranno prese a Ginevra, pur evitando di inasprire con iniziative proprie situazione dei rapporti con noi. (Mi riferisco al riguardo anche a voci che fecero oggetto del mio telegramma

n. 45 (1), e che questo Presidente del Consiglio mi ha di nuovo nettamente smentito).

Intanto, non so se in seguito passi da me fatti, o se per le notizie giunte da Londra su negoziati itala-inglesi, questo Governo, che aveva segretamente fissato di portare in parlamento la questione delle sanzioni nella seduta dell'altro ieri, ha deciso all'ultimo momento di ritardare la discussione.

(l) Con T. 7671/189 R. pari data, ore 15, Arone aveva trasmesso 1 principali brani d! un articolo apparso sul JournaZ de Moscou circa le sanzioni.

(l) T. 7429/45 R. del 22 ottobre 1935, ore 13,33, relatdvo alla voce riportata dal Ministro f1nlandese a Londra circa trattative italo-lnglesi per la soluzione pacifica del conflitto etiopico.

497

IL MINISTRO A BOGOTA, GAZZERA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7729/73 R. Bogotà, 28 ottobre 1935, ore 6,33 (per. ore 3,30 del 29).

Telegramma di V. E. n. 1997 e precedente (1).

Ho avuto vari colloqui con Ministro Affari Esteri col quale ho sostenuto considerazioni di cui al telegramma di V. E. Colombia è del tutto indifferente al conflitto itala-etiopico che non la riguarda. Per se stessa sarebbe naturalmente schiva da sanzioni; è combattuta dal suo desiderio mantenere amicizia con l'Italia e da ciò che essa definisce suo obbligo verso S.d.N. avendo essa chiesto sanzioni contro il Perù. Ma sanzioni non essendo state accordate, come ho ricordato al Ministro Affari Esteri, quindi venendo mancare suo debito riconoscenza è probabile che con scusa di una questione di principio questo Governo voglia piuttosto nascondere pressioni formidabili che sta esercitando Inghilterra.

È probabile che in merito sanzioni governo non abbia ancora preso una decisione fissa; so che in un primo tempo era stato pensato aderire misura provvisoria chiedendo alla S.d.N. riconsiderare suo caso non appena fosse manifesto esservi altri paesi Sud America che alle sanzioni non avessero aderito, il che tornerebbe a danno dei sanzionisti. Quantunque abbia impressione che molto al riguardo sia lasciata all'iniziativa del delegato colombiano a Ginevra, che è il Ministro presso il Quirinale, il quale si regolerebbe sulla condotta dei più, ed è possibile sia così essendo signor Turbay capo partito liberale al potere uno dei personaggi più in vista della Colombia il quale risiede a Roma e continua essere magna pars nella politica attiva della repubblica, non mancherà attiva mia azione volendo influenzare anche ambienti produttori caffè, i maggiori interessati negli scambi commerciali fra i due Paesi.

498

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7681-7797/366-367 R. Shanghai, 28 ottobre 1935, ore 13 (per. ore 24).

Conferenza militare giapponese tenutasi Shanghai (2), sulla quale non si hanno naturalmente dati concreti, ha certamente confermato deliberazione conferenza precedente circa azione nella Cina del Nord; ma si aggiunge voce, proveniente da fonte seria, secondo cui fra le condizioni che Giappone porrà alla Cina vi sarà quella della eliminazione di Chang Kai-Shek e demilitarizzazione

delle provincie di Chekiang, Anhwei e Kiangsu, che comprendono foci Yang-Tze e basso corso del fiume compreso Shanghai e Nanchino. Anche a non volere considerare per ora come precise queste informazioni, sussiste idea generale di un tentatìvo di infiltrazione giapponese nella valle dello Yang-Tze, a prescindere da azione palese nella Cina del Nord.

Contro questa infiltrazione Governo cinese, che è insensibile alle sorti delle provincie settentrionali, cerca invece porre argine sia con la preparazione militare e sia con disperata illusione di avere aiuto da Ginevra. Si dice infatti che nel basso corso Yang-Tze siano concentrati 250 mila uomini, cui onere finanziario aggrava crisi del dollaro locale, già colpito dal fallimento della missione Ross rivelatasi incapace di fornire alla Cina nuovo denaro.

Illusione ginevrina e speranza ottenere seggio Consiglio della S.d.N. hanno fatto qui rialzare azioni della Lega delle Nazioni e di riflesso influiscono sull'atteggiamento del Governo cinese di fronte al problema delle sanzioni, alle quali questo Governo non sembra alieno dall'associarsi formalmente, nella speranza che la prova di vitalità fornita dalla Lega delle Nazioni a favore dell'Abissinia possa valere anche a favore della Cina, la quale perciò non vuole costituirsi manchevole in questo momento verso Ginevra.

Rendendomi conto del pericolo che Governo cinese risponda affermativamente ai quesiti posti dalla Lega delle Nazioni circa applicazione sanzioni e avendo informazioni che entro Ministero degli Affari Esteri di Nanchino questo atteggiamento, sia pure formalmente, viene caldeggiato, mi sono recato presso Ministro Kung, a cui ho dato copia del promemoria lasciato a Nanchino (mio telegramma n. 364) (1).

Egli mi ha detto che argomenti relativi alla non convenienza per la Cina di applicare contro Paese amico sanzioni concrete che non erano state applicate a favore della Cina erano fortissimi e che egli personalmente era convinto che S.d.N. non avrebbe mai fatto nulla in avvenire per la Cina, ma che Cina doveva evitare che Lega delle Nazioni motivasse in avvenire propria inefficienza in Estremo Oriente col pretesto del mancato appoggio cinese nell'attuale applicazione delle decisioni ginevrine.

Gli ho detto che ciò non valeva a carico di un Paese come l'Italia e che sarebbe stato errore grave credere che la vitalità di Ginevra nel Mediterraneo (ove del resto poteva anche finire in un buco nell'acqua) ritardasse una ripresa di vitalità in Estremo Oriente, ove la mano di Ginevra aveva dimostrato di non potere giungere. Ho aggiunto che in ogni caso vi erano tanti modi di applicare sanzioni e che altro era negare crediti e armi e altro rompere relazioni commerciali.

Kung mi ha detto che suo parere personale era di mantenere integre relazioni commerciali con l'Italia ma che egli non era Ministro degli Affari Esteri. Gli ho domandato se, come Ministro delle Finanze e come membro preminente del Gabinetto, avrebbe dato ordini alle dogane di fermare importazioni dall'Italia ed egli mi ha risposto di no. Gli ho domandato se avrebbe continuato a vendere all'Italia e mi ha risposto di si. Gli ho fatto osservare che dogane

cinesi sono in mano organizzazioni internazionali in cui comandano inglesi e ha constatato di potere girare difficoltà studiando con noi «modalità speciali~.

Vedrò quali radici e quali sviluppi possano avere queste asserzioni che mitigherebbero atteggiamento formale che Governo cinese non ha [ritenuto] di rifiutare di fronte ai guai che Io minacciano. Intanto ho creduto doveroso rendere edotta V. E. dei Iati sfavorevoli della situazione, delle sue maggiori attenuanti di fatto e dei dive·rslvi di [varia] mole che essa può contenere (1).

(l) -Vedi D. 465. (2) -Vedi D. 391.

(l) Vedi D. 441.

499

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7718/191 R. Mosca, 28 ottobre 1935, ore 17,30 (per. ore 20,10).

Litvinov mi accennava ieri a certe sue preoccupazioni per la rinnovata attività giapponese in Estremo Oriente che egli connetteva con l'attuale conflitto itala-etiopico. A suo dire, e il Commissario del Popolo Io constatava con evidente compiacimento, ciò non influiva a migliorare rapporti fra l'Inghilterra e Giappone.

Di tale argomento Litvinov deve avere parlato a Ginevra con Eden ed è probabile che l'attitudine dell'U.R.S.S. sulla questione delle sanzioni risenta più o meno direttamente influenza di tale conversazione (mio telespresso 4679/1796 del 24 ottobre) (2).

500

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 7726/155 R. Varsavia, 28 ottobre 1935, ore 18,25 (per. ore 20,10).

Informo V. E. che Governo polacco nella sua risposta Comitato di Coordinamento dichiarerà: a) essere pronto mettere in vigore sanzioni proposte ad una data che dovrà essere fissata di comune accordo; b) riservarsi piena esecuzione contratti speciali in corso (tabacchi italiani, carbone polacco, forniture Fiat);

c) riservarsi in maniera generale con espressa dichiarazione che «essendo misure proposte di carattere collettivo, Governo polacco si propone osservare atteggiamento degli altri Stati in tale questione).

Schema della risposta era stato redatto fissando sette novembre come data in cui Polonia sarebbe stata pronta applicare sanzioni. Ho potuto far sostituire tale data con la formula su riportata.

Ho potuto infine ottenere che venisse aggiunta la riserva generale di cui sopra che offre varie possibilità sia nello sviluppo delle discussioni che avranno luogo a Ginevra, sia nelle modalità di applicazione.

(l) -Per la risposta di Mussolini vedi D. 549. (2) -Non pubbUcato.
501

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 2059/158 R. Roma, 28 ottobre 1935, ore 24.

Dica GombOs e agli anglofili di cui al Suo rapporto n. 1523 (l) di non farsi illusioni sul revisionismo inglese in favore dell'Ungheria. Francia e Gran Bretagna stanno facendo il blocco dello statu-quo europeo e coloniale (2).

502

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLl, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7850/0117 R. Atene, 28 ottobre 1935 (per. il 31).

Suoi telegrammi nn. 1989/C (3) et 1981/C (4).

Risultati azione che ho continuato a svolgere presso Condylis, presso questo Ministro Esteri et presso altri membri Governo ellenico non mi permettono modificare quanto ho esposto con mio telegramma per corriere n. 0116 del

22 corrente (5).

Governo greco dichiara non poter in nulla mutare linea condotta finora seguita Ginevra d'accordo con suoi alleati balcanici e con suoi obblighi societari.

Oltre che da ragioni generali già ricordate sua intransigenza sarebbe dovuta (secondo dichiarazioni esplicite fatte a persona amica dallo stesso Condylis) a nuove forti pressioni e minaccie fatte da Inghilterra.

Tanto Condylls quanto questo Ministro Esteri mi hanno però ripetuto che in eventuale applicazione sanzioni Governo greco cercherà ogni maniera facilitarci.

Credo possa contarsi su tale promessa non tanto per sincerità suoi autori quanto per tradizionale desiderio lucro popolo greco.

(l) -Con il Telespr. 11341/1523 del 21 ottobre 1935, Colonna riferiva sulle tendenze anglofiledel gruppo capeggi,ato da Emilio Nagy e di una parte della stampa ungherese. (2) -Vedi D. 908. (3) -Non rinvenuto. (4) -Vedi D. 457. (5) -Vedi D. 458.
503

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7849/0118 R. Atene, 28 ottobre 1935 (per. il 31).

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha espressamente chiesto di telegrafare a V. E. per informarla che: l) secondo accordi presi dalla Reggenza con S. M. il Re Giorgio, quest'ultimo dovrebbe arrivare ad Atene il giorno 17 novembre p.v.; 2) il Re verrebbe in. Grecia via Italia prendendo imbarco a Brindisi su di una torpediniera greca appositamente colà inviata; 3) il Governo greco sarebbe molto riconoscente a V. E. degli onori che Ella volesse far tributare a Re Giorgio al suo passaggio nel Regno.

L'attitudine d'incomprensiva intransigenza mostrata anche dall'attuale Governo ellenico (specialmente dal Ministro degli Esteri Conte Theotokis e del rappresentante greco a Ginevra, signor Maximos) nella questione delle sanzioni dovrebbe forse farci esitare ad accogliere la domanda di cui al n. 3. Mi permetto tuttavia di suggerire d'accoglierla, per le seguenti ragioni:

l) è ancora difficile dire in maniera sicura se gli attuali Ministri resteranno a lungo al Governo dopo ritorno Re Giorgio. Questi, d'altra parte, avrebbe già fatto sapere di avere intenzione di occuparsi personalmente della politica estera greca. Rendergli onore prima ancora che Egli abbia ripreso la corona, potrebbe, forse, neutralizzare in parte l'influenza che certamente non avranno mancato di esercitare su di lui le sue parentele ed i suoi amici inglesi;

2) R. Governo è stato finora sospettato di avere fatto una politica decisamente venizelista fino al punto che una parte dell'opinione pubblica ateniese ritiene, a torto, che noi abbiamo facilitato Venizelos nella rivolta del marzo scorso. Oggi che i realisti sono al potere non sarebbe inopportuno dar loro una prova del contrario. Gli onori tributati al Sovrano sarebbero grandemente apprezzati e si potrebbero all'occorrenza far valere come un atto spontaneo d'amieizia da parte nostra;

3) quantunque nella questione che maggiormente c'interessa, cioè quella delle sanzioni, il Governo di Condilys, nonostante le dichiarazioni del suo Capo, non ha fatto nulla per aderire ai nostri desiderata, bisogna tuttavia riconoscere che, da quando il Generale ha assunto il potere, la invereconda campagna di stampa ai nostri riguardi è cessata ed in genere il tono della stampa greca è molto migliorato.

Circa gli onori da tributare al Sovrano al suo passaggio dell'Italia V. E.

giudicherà in che cosa essi dovranno esattamente consistere.

A mio subordinato parere si dovrebbe, in ogni caso, offrire al Sovrano

il treno reale dal confine fino a Brindisi. Durante il suo passaggio in Italia

il Re Giorgio dovrebbe forse essere salutato da un rappresentante di S. M. il

Re o da un alto rappresentante di V. E. Si potrebbe anche studiare la maniera

di fargli rendere degli onori militari al momento del suo imbarco a Brindisi.

Qualora V. E., accoglierà in massima la richiesta greca sarei grato se Ella volesse darmi comunicazione telegrafica delle Sue decisioni sia per mettermi in grado di dare una risposta al Ministro degli Affari Esteri sia per permettermi di valorizzare presso di lui il nostro gesto (1).

504

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8036/0271 R. Londra, 28 ottobre 1935 (per. il 4 novembre).

Come ho riferito con mio telegramma n. 1104 del 24 corrente (2), la Conferenza navale è stata convocata per il 2 dicembre. Dalla nota d'invito, che ho trasmesso a V. E. e dai miei telegrammi, V. E. rileverà quali sono le idee e i suggerimenti del Governo britannico, circa i lavori della Conferenza e il carattere e i limiti degli accordi che esso vorrebbe raggiungere.

Il programma del Governo inglese è chiarissimo: esso non (dico non) vuole che dalla Conferenza esca una qualunque limitazione e tanto meno una riduzione della flotta britannica. L'Ammiragliato ha combattuto per anni e anni contro gli accordi di Washington e di Londra, e esso intende ora approfittare delle circostanze internazionali per far trionfare il suo punto di vista. Tale punto di vista nella sua semplicità e crudezza si può riassumere in questa formula: l'Inghilterra deve avere mano libera per costruire quante navi vuole, per portare la sua flotta al livello che vuole, e per poter riconquistare la predominanza sui mari perduta nel periodo 1919-1935.

Per imporre questo suo punto di vista alle ultime deboli resistenze dei disarmisti, l'Ammiragliato si è servito dei seguenti argomenti:

l) la debolezza inglese nel Mediterraneo, quale si è rivelata in queste ultime settimane, nel corso delle quali l'Ammiragliato ha potuto documentare i rischi ai quali l'Inghilterra sarebbe esposta qualora si venisse a un conflitto con l'Italia;

2) l'accordo politico franco-italiano, il quale ha messo l'Inghilterra in una netta condizione di inferiorità nel Mediterraneo; 3) la necessità di sostenere con la potenza navale britannica, la politica intimidatrice e ricattatrice dell'Inghilterra a Ginevra;

4) la necessità di dare all'Impero -dall'Egitto all'Australia -un maggior senso di sicurezza, ricostituendo una grandiosa potenza navale, che sia capace nel Mediterraneo di far fronte alla politica espansionista dell'Italia e nel Pacifico alla politica espansionista del Giappone.

Questo è il programma nel quale il Governo conservatore si presenta alle elezioni. Esso si riassume in una formula: ricostituzione della potenza navale inglese.

Il 14 novembre, uscendo vittorioso dalle elezioni, il Governo si dedicherà con tutte le forze all'attuazione di questo programma, e dalla conferenza navale cercherà di trarre un accordo che ne faciliti l'attuazione.

Esso vuole perciò raggiungere: l) Un accordo sui tipi delle navi, in modo da poter far procedere le sue costruzioni senza correre il rischio di trovarsi poi di fronte a tipi nuovi e più potenti, che svalutino le navi già costruite. 2) Un accordo sui programmi navali -per un determinato periodo di anni -accordo che garantisca l'Inghilterra, mentre essa costruisce la sua nuova armata, contro il pericolo che vi sia da parte di altri Stati un improvviso aumento nei loro programmi. Di questi due scopi tuttavia solo il primo interessa veramente l'Ammiragliato, ù quale farebbe volentieri a meno di qualunque impegno -anche provvisorio -di carattere quantitativo. È da attendersi pertanto che la Delegazione britannica tenterà di rendere l'accordo per la limitazione qualitativa indipendente da ogni impegno circa la limitazione quantitativa, ed a questo scopo esso sta esercitando attualmente le più vive pressioni sul Governo giapponese, che esso cerca di allettare, con la promessa di una più condiscendente politica inglese verso la politica giapponese in Cina. Per far meglio riuscire questa manovra, il Foreign Office ha immaginato un sistema col quale la Conferenza Navale dovrà diventare una riunione di Ambasciatori e di esperti. Mi fermo un momento ad esaminare le vere ragioni di questa decisione e che sono diverse da quelle che il Foreign Office ufficialmente avanza. Il Foreign Office sostiene che siccome poco è da attendersi dalla Conferenza navaie, date le gravi divergenze di idee che esistono tra le Cinque Grandi Potenze, non è il caso di riunire una Conferenza, che attrarrebbe troppo vivamente l'attenzione del pubblico, e susciterebbe troppe speranze e troppe delusioni. Bisogna quindi -esso dice -fare della Conferenza una riunione diplomatica, con poca gente, un programma limitato e nessuna pubblicità. In realtà il Foreign Office vuole impedire che la Conferenza assuma un diverso carattere da quello che le vuoi dare l'Ammiragliato, e sopratutto che la questione navale diventi oggetto di dibattiti nell'opinione pubblica inglese, dibattiti che l laburisti sfrutterebbero per combattere il programma di armamenti del Governo. Chiuse le discussioni nell'ambito dei negoziati diplomatici e navali, il Foreign Office pensa che non sarà possibile a nessun Governo tentare di modificare le basi sulle quali l'Ammiragliato desidera mantenere i lavori della Conferenza, e sopratutto che non sarà possibile a nessun Governo presentare delle proposte di limitazione degli armamenti che vadano al di là dei piani dell'Ammiragliato, e che suscitando le simpatie e gli interessi dei laburisti e dei disarmisti inglesi, mettano nell'imbarazzo il Governo britannico. Il Governo britannico vuole presentarsi davanti alla sua opinione pubblica non solo con il suo vasto programma navale, sanzionato dalla Conferenza, ma

anche avendo pronta la dimostrazione che tale vasto programma è stato reso necessario dalla impossibilità di raggiungere un accordo sulla limitazione quantitativa e rigettando la colpa di questo mancato accordo sulle altre quattro Potenze.

Questa manovra sarebbe impossibile, se si tenesse una Conferenza come quella del 1921 o quella del 1930, perché allora l'atteggiamento ostruzionistico inglese salterebbe agli occhi di tutti. Il Foregn Office vuole quindi ridurre la conferenza ai minimi termini, e sopratutto vuole evitare che i lavori della Conferenza escano da quelle modeste proporzioni che esso ha indicate nel suo pro-memoria del 2 agosto. Ecco perché esso si prende tanta pena a insistere sul punto, che allo stato presente delle cose, il solo accordo possibile è un accordo sui tipi e le caratteristiche delle navi.

Io non entro ora qui a discutere se ciò a noi conviene o no dal punto di vista tecnico, e ho naturalmente presente, su questo aspetto della questione, il nostro pro-memoria del 26 agosto. Dal punto di vista politico non (dico non) vedo perché noi dovremmo supinamente adattarci ai desideri degli interessi del Governo britannico. Al contrario, se il Governo britannico vuole ridurre la discussione ai minimi termini, a noi converrebbe allargarla, se il Governo britannico vuole farne una questione politica, connessa con tutti gli elementi della situazione, e se infine il Governo britannico non vuole che siano avanzati piani radicali di disarmo, sui quali si getterebbero avidamente i laburisti inglesi, e che minaccerebbe l'esecuzione del suo programma navale, a noi conviene farlo, e farlo con la maggiore pubblicità. Questo darà fastidio al Governo inglese? Tanto meglio. Sarà una maniera colla quale faremo capire all'Inghilterra che essa non può con una mano cercare di soffocarci nel Mediterraneo e nell'Africa e con l'altra chiederci di sanzionare l'aumento della sua potenza navale. Dopo tutto l'argomento principale che il Governo britannico porta a sostenere il suo programma di costruzioni navali, è la minaccia della potenza navale italiana nel Mediterraneo. È nostro interesse mostrare che questa minaccia non esiste, e che noi siamo pronti ad andare in materia di disarmo navale molto più in là di quello a cui è pronta ad andare l'Inghilterra. E in questa occasione potremmo anche sollevare la questione della sicurezza e libertà del Mediterraneo, pronti noi a garantire all'Inghilterra tale sicurezza, se essa ci garantisse che tra Gibilterra e Suez e tra Suez e Aden, l'Italia non avrà mai a temere di essere aggredita dalla flotta inglese. Vi sono nella letteratura pacifista bellissime formule sulla libertà dei mari, che possono essere tirate fuori e impiegate contro gli Inglesi, su quello stesso terreno del Patto della S.d.N. che essi hanno scelto come il campo d'azione della loro politica estera e anche militare.

In questo momento io vedo la Conferenza navale come un'arma nelle nostre mani, e nelle mani della Francia, un'arma della quale la Francia può servirsi ai fini dei suoi piani di sicurezza europea, e un'arma della quale noi possiamo -io credo -servirei per qualunque possibile negoziato sulla questione abissina. L'Inghilterra non (dico non) vuole il disarmo navale -vuole la garanzia che gli Stati Uniti, il Giappone, la Francia e l'Italia non costruiscano tipi di navi che mettano fuori uso le sue. Questo può anche convenire alla Francia e a noi rispetto all'Inghilterra, ma non vedo perché dovremmo senz'altro concedere all'Inghilterra quello che le serve. È mio avviso che il 2 dicembre noi dovremmo presentare! a Londra, di sorpresa, con un grosso programma di limitazioni quantitative e qualitative esposto in un documento ufficiale, dare subito pubblicità a questo documento, suscitare l'interesse dell'opinione pubblica mondiale e spaventare l'Ammiragliato, il quale già crede di essere riuscito a limitare la Conferenza al solo problema della limitazione qualitativa. Armati di questo programma, per il quale è presumibile che avremmo l'appoggio del Giappone, noi entreremo nei negoziati navali minacciando i piani dell'Ammiragliato e riaccendendo tutte le vecchie polemiche sul disarmo che l'Ammiragliato vuole soffocare. Ci creeremo così una massa di manovre, che ci sarà utile, per far considerare agli inglesi l'utilità di mettersi d'accordo con noi, sulle questioni che ci interessano.

Mi permetto perciò di suggerire a V. E. che nel rispondere all'invito inglese venga adottata una formula generica, che non possa suonare adesione incondizionata al concetto che la Conferenza avrà uno scopo limitato, concetto abilmente mascherato nella nota inglese sotto la formula: « the Conference would be to secure agreement on as many aspects as possible of naval limitation ». È mio avviso che noi dobbiamo riservare! assoluta libertà di azione e di manovra, in modo che la Conferenza serva ai fini della nostra politica generale, oltre che a tutelare i nostri specifici interessi navali.

(l) -Con T. 12952/190 P.R. del 5 novembre 1935, Suvich approvava le proposte di BoscM"elli. (2) -Vedi D. 447, nota l p. 421.
505

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 28 ottobre 1935.

Sir Eric Drummond ha incarico da Londra di parlare col Capo del Governo. Ha voluto prima vedermi per riferirmi su quello che sarà l'oggetto del colloquio col Capo del Governo (1).

La Gran Bretagna ha molto apprezzato il ritiro della divisione dalla Libia, come atto tendente a chiarire l'orizzonte e a portare una détente nei rapporti tra i due Paesi.

La Gran Bretagna è ben disposta da parte sua a contribuire a quest'opera di détente. Deve però, perché la stessa sia sincera, fare alcune osservazioni preliminari.

Il Governo inglese ha rinforzato la flotta del Mediterraneo in seguito agli attacchi della stampa italiana che facevano intravedere l'esistenza di una minaccia per l'Impero. Questi attacchi però sono continuati e continuano tuttora.

Anche la stazione radio di Bari (l'Ambasciatore fa prendere nota di tutte le trasmissioni) continua ad aizzare i popoli soggetti alla Gran Bretagna contro l'Impero.

Il Governo di Londra si domanda se in queste condizioni, delle manifestazioni di détente possano veramente raggiungere il loro effetto.

Inoltre il Governo britannico osserva che prima dell'aumento di questi ultimi mesi, in Libia c'erano 20 mila uomini ed in Egitto 11 mila. Oggi, dopo il ritiro preannunciato, della Divisione, in Libia rimarranno 55 mila uomini ed in Egitto 15.500. È una sproporzione troppo forte.

Il Governo inglese sarebbe d'accordo di accettare una proporzione da due a uno a favore della Libia, ma se ciò occorrerebbe il ritiro di un'altra divisione.

Naturalmente rimarrebbe inteso che in caso di torbidi, dall'una parte e dall'altra, si sarebbe liberi di inviare le truppe necessarie in aumento di quelle stabilite nella suddetta proporzione.

Ho risposto coi noti argomenti relativi alla legittima reazione italiana contro le ostilità inglesi; anche l'attuale atteggiamento della Gran Bretagna non è fatto per conquistare le simpatie del pubblico italiano; ad un nostro atto di détente sarebbe stato logico che la Gran Bretagna facesse qualche passo corrispondente; invece si chiede da noi con delle considerazioni di valore discutibile, altre misure di disarmo prima che la Gran Bretagna si decida a muovere quelle sue due famose navi.

L'Ambasciatore osserva che non si chiede niente prima; basta che la Gran Bretagna sia sicura che noi procederemo alle chieste misure di smobilitazione. L'Ambasciatore insiste sul fatto che se si deve venire a questa détente bisogna che la stessa sia sincera.

(l) Vedi D. 510.

506

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI

APPUNTO R. Roma, 28 ottobre 1935.

Il Capo ha intenzione dopo la presa di Macallé (prima settimana di novembre) di dichiarare sospese le ostilità.

La comunicazione potrebbe essere fatta da De Bono direttamente al Negus. Si dichiarerebbe che abbiamo raggiunto il principale obiettivo che era quello di riconquistare i territori già occupati.

Questo potrà dar luogo a trattative. Ad ogni modo nelle more avremo tempo per sistemare le nostre posizioni e le vie d'accesso.

507

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4778/1845. Mosca, 28 ottobre 1935 (per. il 7 novembre).

In un colloquio avuto testè con Litvinov, gli ho chiesto notizie circa l'annunziata visita di Titulescu, che, come è noto, forma da tempo oggetto di

35 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

discussione internazionale e fa scorrere, specie in questo corpo diplomatico, molti fiumi di inchiostro.

Il Commissario degli Esteri mi ha confermato che Titulescu, già da vari mesi gli aveva replicatamente manifestato il desiderio di venire a Mosca in visita ufficiale. Tale intenzione era stata ancora ultimamente ribadita; però il Ministro degli Esteri romeno aveva, nel contempo, espresso la sua viva aspirazione di potere nell'occasione incontrare Stalin. Litvinov, data l'assenza da Mosca del dittatore rosso recatosi nel Caucaso per le ferie autunnali, aveva, pertanto, dovuto consigliare Titulescu a ritardare un po' la sua venuta. Ma -aggiungeva il mio interlocutore -è noto come lo statista romeno « tema molto il freddo e preferisca passare i mesi d'inverno a Mentone ». Si,cché, egli concludeva, la visita di Titulescu è ormai con ogni probabilità rinviata alla prossima primavera.

Ho chiesto allora al Commissario cosa vi fosse di vero nell'asserita prossima conclusione di un patto di mutua assistenza romeno-sovietico. Litvinov ha senz'altro escluso, pel momento, una possibilità del genere. La visita di Titulescu a Mosca -egli mi ha detto -ove avesse avuto luogo, sarebbe stata una sempUce visita di cortesia, «alla pari di quelle precedenti di Eden e di Laval», e non sarebbe stata accompagnata dalla firma di alcun patto politico. Tanto meno, dunque, ora che la predetta visita sarebbe rinviata alla stagione dei fiori ...

Come l'E. V. rileverà, le esplicite dichiarazioni di Litvinov confermano le previsioni contenute nei miei precedenti rapporti nn. 3987/1533 e 4112/1584 delli 5 e 12 settembre u.s. (1). In sostanza, Litvinov e Titulescu, nelle loro frequenti conversazioni ginevrine, hanno certamente discusso a lungo la questione del patto, più o meno, di mutua assistenza. Ma da un canto il problema della Bessarabia e, d'altro canto, i diversi obbiettivi, rispettivamente perseguiti -antitedesco per l'U.R.S.S. ed antiungherese per la Romania -hanno impedito che la cosa giungesse ora a maturazione. Se ne riparlerà forse tra qualche mese (2).

508

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 6041/678. Zagabria, 28 ottobre 1935 (per. il 5 novembre).

In questo ultimo mese e mezzo sono apparse sulla stampa di Belgrado e di qui non poche notizie che riguardano il lavorio continuo del partito al Governo, e di quelli delle opposizioni serbe, per cercare di trovare una soluzione o almeno un compromesso con questa opposizione fuori della Skupstina, atta a risolvere l'annosa questione croata. I risultati di tutto questo armeggio sono finora presso che nulli: la questione pesa sempre sulla politica interna in modo grave ed ha non pochi riflessi anche sulla politica estera dello Stato.

Negli ultimi tempi gli osservatori superficiali si trovano disorientati nei

loro giudizi e credono in un indebolimento della politica croata. A produrre

tale falsa impressione valsero le frequenti ed incessanti notizie tendenziose

diffuse dagli amici prima del Jeftié ed ora dello Stojadinovié, poi anche e

principalmente le dichiarazioni dei rappresentanti più o meno ufficiali del par

tito croato di opposizione, fatto nei singoli comizi, dichiarazioni che vengono

messe in rilievo speciale, ed ogni volta deformate, dalla stampa del paese.

Per tali dichiarazioni, nelle quali si sottolinea «che i croati non sono con

trari alla Jugoslavia quale unità statale, ma che desiderano avere in questo

Stato non solo i doveri ma anche i diritti ~ si deve pensare al luogo dove furono

fatte ed all'uditorio davanti al quale vennero pronunciate.

È inoltre necessario tenere conto dei motivi di ambizione personale di coloro che hanno attorniato il dott. Macek e fra i quali, per forza di cose, si scelgono gli oratori per i singoli comizi. Non deve infine essere trascurata la circostanza che sono sempre in vigore le vecchie leggi della dittatura e che una parte della stampa locale è recentemente passata al servizio della massoneria.

Persona vicina al dott. Macek ha richiamato in questi giorni la mia attenzione sulla circostanza che «il popolo croato non segue il Macek a motivo della sua persona, ma perché lo considera ed è convinto che egli rappresenta il miglior interprete della sua idea politica. Se il popolo avesse da constatare il contrario, al Macek toccherebbe la sorte toccata già agli altri capi del popolo croato, che oggi non contano proprio nulla ».

Di tale verità il dott. Macek sarebbe perfettamente convinto. Infatti, dalle sue dichiarazioni ufficiali ed ufficiose pronunciate dalla scarcerazione ad oggi, risulta che egli considera la Croazia quale « unità nazionale separata~ e che la soluzione del problema croato egli la cerca solo in un accordo fra «due nazioni». A suo modo di vedere la comunanza di sangue fra il popolo croato e serbo non deve influire affatto sulla situazione politica croata.

Un altro dirigente croato mi diceva: «La situazione politica, subentrata dopo Ie elezioni del 5 maggio 1935, deve essere considerata, ed è anche considerata, non già come una vittoria del partito croato sulla politica del regime d1 Jeftié, ma come vittoria della Nazione croata sulla Nazione serba. Tale vittoria deve essere confermata ed aumentata dal risultato delle nuove libere elezioni. Noi prepariamo il terreno a tali libere elezioni e perciò facciamo tutto il possibile per aumentare il numero degli elettori, senza riguardo alla loro qualità politica. Per raggiungere ciò è necessario adottare un sistema speciale: le idee estremiste devono in questo momento cedere di fronte a idee più accettabili per gli incerti, per gli indifferenti e specialmente per quelli che durante i passati Governi si sono alquanto compromessi». Questo riguarderebbe l'azione politica preelettorale fra la popolazione croata delle regioni croate.

Per quanto si riferisce alla popolazione serba nelle regioni croate e nelle regioni serbe, la azione croata mirerebbe a cattivarsi le simpatie degli oppositori serbi, per poter col loro aiuto distruggere gli stessi serbi che si trovano al comando e che vogliono la Jugoslavia integrale e centralizzata.

Dal complesso delle notizie raccolte, si possono trarre le seguenti conclusioni: l'attuale movimento nazionale croato è composto di tre gruppi politici o partiti. Essi hanno fra loro la proporzione numerica: Frankiani 40 %; Radi ciani 30 % e clericali circa 30 %.

Questi gruppi rappresentano nel blocco nazionale croato il 90 % della popolazione. Il resto è dato dai democratici pribiceviciani, rappresentati da Wilder. Essi sono apertamente ostili al nostro Paese e sono in relazioni tese specialmente coi frankiani.

Ai frankiani appartiene l'elemento politicamente più battagliero e più intransigente, per quanto riguarda la soluzione del problema. Fra i propri simpatizzanti essi contano il dott. Macek. Al nostro Paese essi sono molto attaccati, specialmente per l'asilo che viene dato agli ustase e al loro capo comune, dott. Pavelié. I radiciani persero non pochi simpatizzanti ed aderenti, specialmente fra la popolazione delle campagne, dato che la politica di «rassegnata attesa» predicata dai loro capi, è risultata praticamente poco adatta al fine croato. Una parte di costoro non può liberarsi dal sospetto della poca sincerità delle simpatie del nostro Paese verso i croati. Infine i clericali dall'epoca della morte di Radié hanno fatto tutto il possibile nelle campagne per riguadagnare quell'elemento che il vecchio partito radiciano aveva loro portato via. Ed in ciò sono riusciti egregiamente. Al nostro Paese essi si sentono abbastanza attaccati, a motivo della comunanza che hanno col fascismo nella lotta contro il comunismo e la massoneria, e per le buone relazioni che intercorrono fra il Vaticano ed il Governo nostro.

Ho potuto infine accorgermi che la nostra azione militare contro l'Abissinia ha fatto svanire nei circoli dirigenti croati l'allarme e la preoccupazione subentrata a suo tempo, dopo la nota dichiarazione di S. E. Viola all'atto della consegna delle sue credenziali al Reggente.

La disposizione d'animo del popolo croato nei confronti del nostro Paese è ora messa a dura prova dal recentissimo passaggio dei giornali Jutarnji List e Obzor al servizio delle correnti massoniche, qui credesi anglofile.

Descritta così per sommi capi la locale situazione in Croazia, e senza riferire le continue voci che corrono di prossime crisi o rimaneggiamenti al Governo centrale, tutti più o meno diretti alla soluzione della questione tra serbi e croati, la mia impressione è che la lotta tra le due «nazioni » non è meno viva che nel passato, per quanto le angherie e le crudeltà della polizia verso i croati siano diminuite in questa regione.

Pel momento non ci sono segni sicuri che il dissidio abbia a cessare e verosimilmente la lotta si svolgerà ora nel campo elettorale: ora i croati possono inalberare la loro bandiera e tenere comizi. Non hanno però ancora un giornale loro e all'estero le idee e le lotte hanno attualmente poca risonanza. Ciò non ci deve far pensare che il paese sia pacifico e che la situazione sia in sostanza cambiata, a vantaggio della stabilità jugoslava.

Per questo è quanto mai opportuno seguire attentamente gli sviluppi dei vari movimenti interni in Jugoslavia, anche per i riflessi che essi hanno sulla politica estera. Da un pezzo l'influenza francese è in forte ribasso: negli ultimi tempi di Re Alessandro le simpatie dei governanti sembrava si volgessero alla Germania di Hitler e tali simpatie si mostrarono pm marcate durante il periodo della dittatura Jeftié. Ora sembra che col Governo Stojadinovié e con l'aumentare della autorità personale del Reggente Principe Paolo, l'influenza inglese sia preponderante e abbia determinato maggiori sforzi da parte di Belgrado per raggiungere l'accordo coi croati. Nei nostri riguardi le relazioni sono in apparenza molto migliorate; in sostanza l'ostilità serba permane, ma più nascosta, e, a chi conosce bene la verità, essa si manifesta rumorosamente solo a mezzo della stampa di Zagabria, dando così la parvenza che, da oltre un semestre fino ad ora, l'opinione pubblica dei croati veda con ripugnanza lo svolgersi della politica italiana, specialmente nei riguardi del conflitto italaetiopico. Io credo che la realtà sia differente. I croati sanno bene che da soli difficilmente riusciranno a liberarsi dai serbi e che solo dall'Italia possono sperare un serio aiuto per raggiungere le loro aspirazioni. E perciò guardano con una certa simpatia -sia pure interessata --lo sforzo italiano per l'impresa etiopica, considerando che più forte e più temuto sarà il nostro Paese, più essi avranno possibilità di essere validamente sostenuti nella loro lotta contro Belgrado.

(l) -Non pubblicati. (2) -11 presente documento reca il visto di Mussolinl.
509

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7715-7728/1144-1145 R. Londra, 29 ottobre 1935, ore 1,05 (per. ore 5,45).

Ho avuto stamane con Vansittart una lunga conversazione. Mi limito telegrafare quei punti che possono interessarP. subito V. E.

l) Vansittart mi ha informato del contenuto delle istruzioni impartite stamane a Drummond circa proposte britanniche relative a provvedimenti da effettuare per parziale smobilitazione delle forze dei nostri due Paesi nel Mediterraneo. Vansittart ha cercato, con un lungo ragionamento e sulla base delle cifre concernenti il numero delle nostre truppe in Libia e tonnellaggio navi britanniche nel Mediterraneo, di spiegare punto di vista britannico. Su questo Drummond intratterrà personalmente stasera o domani mattina V. E. (1). Ho risposto a Vansittart che non avevo istruzioni di trattare questione e che era quindi opportuno lasciare che essa fosse discussa fra V. E. e Drummond.

2) Circa conversazioni che si svolgono tra Lava! e Ambasciatore d'Inghilterra, Vansittart mi ha informato che esperto inviato a Parigi da Foreign Office è tornato stamane portando con sé dettagliate proposte di Loval. Ho creduto rispondere, interpretando essere queste istruzioni di V. E., di evitare ogni dicscussione su questo punto. Mi sono limitato semplicemente a domandare a Vansittart, a titolo puramente personale, quale sarà risposta che il Governo britannico darà alle proposte di Lava!. Vansittart mi ha risposto che le comu

nicazioni fatte da Lavai sono indubbiamente interessanti e che in questo momento il Comitato di Gabinetto le sta attentamente esaminando. Una risposta sarà data a Lavai al più presto possibile. Tale risposta non avrà -si crede -carattere negativo, sebbene molti punti debbano essere maggiormente chiariti e fatti oggetto di più approfondito esame.

3) Ho chiesto a Vansittart le sue personali impressioni sulla situazione. Egli mi ha detto che, per quanto riguarda la situazione nel Mediterraneo, egli confida che in uno spazio di tempo relativamente breve si potrebbe giungere ad un rallentamento effettivo della tensione tra i due Paesi. Per quanto riguarda una soluzione vera e propria della questione abissina, Vansittart ritiene utile che i negoziati tra Londra e Parigi e tra Parigi e Roma non siano arrestati, ma che data complessità delle questioni da trattare egli non ritiene possa essere data ai negoziati una spinta decisiva prima del 14 novembre, prima cioè delle elezioni inglesi. Ho risposto a Vansittart che prendevo atto di quanto mi diceva, ma non potevo a meno di rilevare contrasto fra le sue parole e alcuni aspetti tutt'altro che incoraggianti dell'atteggiamento britannico in questi ultimi giorni.

Ho richiamato la più seria attenzione di Vansittart sul contenuto del messaggio del Duce alle Camicie Nere per anno XIV. Invio per corriere resoconto colloquio e mie impressioni (1).

(l) Vedi D. 510.

510

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

VERBALE (2). Roma, 29 ottobre 1935, [ore 16,30].

L'Ambasciatore Drummond espone al Capo del Governo esattamente quanto

aveva riferito all'On. Suvich nel colloquio avuto con lui il giorno prima (3).

Il Capo del Governo risponde:

Stampa. Anche la stampa inglese attacca violentemente l'Italia. Di quanto fa la Stazione di Bari non è informato. Incarica Suvich di raccogliere gli elementi e metterlo al corrente. Non è in genere contrario a smorzare questa cappagna se altrettanto verrà fatto da parte inglese.

L'ambasciatore osserva che i giornali di opposizione in Inghilterra si sottraggono a qualsiasi controllo.

Smobilitazione nel Mediterraneo. Per quanto riguarda le truppe in Libia il Capo del Governo è disposto a prendere in considerazione il punto di vista inglese. Però se l'Inghilterra fa una questione di proporzione di forze per terra, egli ne fa una di proporzione di forze per mare. Ora le cifre che gli risultano, per quanto riguarda la flotta sono le seguenti:

il 5 agosto c'erano nel Mediterraneo 280 mila tonnellate di naviglio inglese, oggi ce ne sono 644 m1la. Nel Mar Rosso c'erano 2 mila tonnellate ed oggi ce ne sono 50 mila. Quindi assieme 700 mila, di fronte a circa 230 mila tonnellate italiane. Bisogna ritornare alle proporzioni di prima.

Il Capo del Governo non creae a questa smobilitazione a piccole dosi. Se vogliamo fare le cose sul serio, mettiamoci intorno al tavolo e stabiliamo il rapporto tra Italia ed Inghilterra per terra e per mare. Altrimenti egli non ritirerà neanche un uomo.

L'Ambasciatore ritiene che il suo Governo sarà disposto a fare qualsiasi trattativa (l'unica cosa che non potrebbe trattare sarebbero i rapporti italaabissini, poiché questi sono stati rinviati alla S.d.N.), ma egli osserva che il carattere della mobilitazione della flotta inglese e delle truppe italiane in Libia è diverso. La mobilitazione della flotta ha carattere puramente difensivo ed è stata disposta di fronte alle chiare e precise minaccie italiane. La mobilitazione delle truppe in Libia, invece, ha carattere offensivo e rappresenta una diretta minaccia per l'Egitto.

Il Capo del Governo non è disposto a riconoscere questo carattere difensivo alla mobilitazione inglese. Egli è anzi persuaso che la Gran Bretagna finirà col farci la guerra, e ciò per una logica progressione della sua azione. L'Inghilterra vuol far cessare la guerra attraverso le sanzioni economiche. Ciò non le riuscirà, perché le san,zioni economiche, o non funzioneranno o funzioneranno male. Dovrà ricorrere agli inasprimenti ed al controllo di queste sanzioni, quindi al blocco. Il che è già l'avviamento alla guerra.

L'Ambasciatore protesta vivacemente. Nessuno dei fattori responsabili inglesi ha parlato di blocco, nè di sanzioni militari, anzi le stesse sono state espressamente escluse, come appare da tutte le dichiarazioni ed in special modo dalla dichiarazione di Baldwin comparsa nei giornali di stasera. Nessuno in Inghilterra pensa ad una guerra con l'Italia; sarebbe una cosa mostruosa, contraria assolutamente allo spirito britannico. L'Inghilterra non ha fatto che il proprio dovere come membro della S.d.N. Lo stesso hanno fatto altri paesi. L'Ambasciatore non vede perciò perchè in Italia si deve prendersela in modo quasi esclusivo con la Gran Bretagna, come se questa fosse il principale nemico e l'Abissinia stessa non passasse che in seconda linea.

Il Capo del Governo non crede che si possa affermare che l'Inghilterra non ha fatto che il proprio dovere; gli pare che abbia fatto qualche cosa di più, perchè è proprio l'Inghilterra che con interventi, con pressioni, con minaccie, spinge gli altri Paesi che sono riluttanti ad applicare le sanzioni contro l'Italia. Il Capo del Governo riconosce che da uno stretto punto di vista societario egli può aver mancato, ed ha ammesso anche la possibilità di qualche sanzione, ma non gli pare che il dovere degli Stati, dovere del quale si è fatta banditrice e zelatrice la Gran Bretagna, sia quello di strozzare l'Italia. Non si è presa in considerazione nessuna circostanza a favore dell'Italia: l'aggressione continuata abissina, le nostre ragioni di sicurezza, lo stato di inciviltà dell'ultimo paese schiavista del mondo, la mancata reazione in casi precedenti, etc. Si è voluto procedere subito alle misure estreme. Conviene che si sappia però che se noi

fossimo messi dinanzi all'alternativa di capitolare o di fare la guerra, noi preferiremo la guerra.

L'Ambasciatore non si rende bene conto perchè il Capo del Governo parli come se fosse sotto una minaccia di capitolazione. Quale sarebbe questa capitolazione?

Il Capo del Governo risponde che sarebbe ad esempio l'abbandono dei paesi conquistati in Abissinia. L'Ambasciatore contesta che sia in atto questa minaccia. Si vuole soltanto mettere in applicazione gli articoli del Covenant e ristabilire l'autorità della Lega. Il Capo del Governo osserva che la minaccia, anche se non espressa, è tuttavia potenziale e ciò sopra tutto per opera della Gran Bretagna.

L'Ambasciatore osserva che non bisogna mettere tutto sul conto delle ostilità inglesi. C'è ad esempio il Negus, col quale bisognerà pure fare i conti. Non si vede come il Negus, senza essere stato battuto, possa accettare delle condizioni di pace umilianti.

II Capo del Governo è persuaso che se non ci fosse stata la Gran Bretagna, col Negus saremmo già venuti ad un accordo. Gli abissini non possono resistere alla nostra superiorità militare. Anche se il Negus continuerà a ritirarsi senza accettare combattimenti, un bel giorno si accorgerà che la sua armata si sarà disgregata. D'altra parte la mobilitazione abissina non può durare più di sei mesi; se gli uomini non ritornano a casa non c'è nessuno che coltivi i campi e l'anno prossimo sarà la fame generale.

L'Ambasciatore riconosce la giustizia di queste osservazioni del Capo del Governo.

Il Capo del Governo per queste ragioni non esclude che si possa venire ad un accordo col Negus, a meno che l'Inghilterra non dica al Negus di non accettare le condizioni italiane. Che cosa crede l'Ambasciatore che farebbe l'Inghilterra in una tale evenienza?

L'Ambasciatore risponde che gli inglesi ringrazierebbero il buon Dio.

Il Capo del Governo ha i suoi dubbi in proposito.

(l) -Vedi D. 526. (2) -Al colloquio era presente Suvlch, che ha redatto il presente verbale. (3) -Vedi D. 505.
511

IL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7842/157 R. Oslo, 29 ottobre 1935, ore 20,15 (per. ore 23,45).

Mio telegramma n. 156 (1). Nel rispondere ieri a Ginevra circa sanzioni economiche propriamente dette (proposte 3 e 4) questo Governo ha fatto tre riserve: l) Accordo per clearing itala-norvegese;

2) contratti in corso;

3) applicazione effettiva sanzioni economiche non prima del 15 novembre.

Queste riserve sono precisate in un memorandum che il rappresentante norvegese a Ginevra presenterà al Comitato Coordinazione alla seduta 31 corrente. Con ciò questo Governo, non ostante direttive societarie, vorrebbe salvaguardare clearing (che in questo momento registra una attività per la Norvegia di circa 9 milioni di lire italiane), conservarsi il nostro mercato e mostrarci le sue amichevoli intenzioni. Mi si fanno sin troppe dichiarazioni verbali in questo senso, mentre in realtà Governo norvegese subisce la pressione inglese e reagisce assai poco a Ginevra. Per quanto mi manchino completi elementi di giudizio mi sembra che nel gioco di queste timide riserve i norvegesi vogliono difendere i propri interessi concedendo ben poco in cambio e sopra tutto vogliono non perdere il loro credito in conto clearing.

V. E. giudicherà se io debba continuare nelle trattative per i nostri velivoli Breda, e nelle conversazioni appena iniziate per la fornitura di motonavi tipo Pilsudsky alla Norsk America od insistere nella minaccia di ritorsione.

(1) Non pubbllcato.

512

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 7819/419 R. Rio de Janeiro, 29 ottobre 1935, ore 20,28 (per. ore 3,15 del 30).

Telegramma di V. E. n. 291 del 25 ottobre (l) .

Fino a questo momento questo Governo non ha ancora ricevuto invito dalla Lega delle Nazioni aderire sanzioni. Segretario Generale Ministero degli Affari Esteri mi ha informato che questo Ambasciatore d'Inghilterra ha domandato se e quanto rispondesse alla realtà telegramma da Rio de Janeiro apparso sui giornali italiani relativo decisioni Brasile non aderire sanzioni. Segretario Generale gli ha risposto che il telegramma pubblicato a Roma risponde a verità. Questo Ambasciatore britannico non ha commentato, ma sembra non abbia gradito. Infatti durante mia prima visita odierna a questo Ambasciatore britannico, egli si mostrava meco poco entusiasta dell'atteggiamento brasiliano nei riguardi nostri e non sarei stupito se egli intraprendesse azione contro la mia. Superfluo assicurare che seguo molto da vicino mio collega britannico nonché andamento del pensiero dei Governo brasiliano.

Ho già eseguito istruzioni dell'E. V. impartite con telegramma soprascritto. Questo Ministro degli Affari Esteri ringrazia V. E. per le lusinghiere espressioni rivoltegli e con l'occasione ha ripetuto già note dichiarazioni circa astensione del Brasile dalle sanzioni e libertà d'azione futura.

Delle istruzioni che V. E. mi ha dato col Suo 291 ho ritenuto opportuno informare Presidente della Repubblica che ha personalmente redatto schema risposta che il Brasile dovrà dare alla S.d.N.

Con mio telegramma successivo riferirò intero colloquio con questo Ministro degli Affari Esteri (1).

(l) Vedi D. 472.

513

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7848/054 R. Belgrado, 29 ottobre 1935 (per. il 31).

Telegramma di V. E. n. 124 (2) e seguito al mio teleg,ramma filo n. 127 (3). Ho svolto in questi giorni costante opera di persuasione presso questo Governo nel senso prescrittomi e in base agli elementi favoritimi dall'E. V.

Stojadinovic si è sempre dimostrato preoccupato dal desiderio non soltanto di ridurre al minimo il danno derivante dall'applicazione delle sanzioni all'economia jugoslava, ma altresì di non compromettere i risultati fin qui ottenuti nella via della normalizzazione dei rapporti itala-jugoslavi e ancor più la possibilità di quegli sviluppi che egli si ripromette di raggiungere in futuro nelle relazioni politiche ed economiche fra i due Paesi.

Egli che si era già impegnato con me a fare del suo meglio per tirare in lungo la risposta jugoslava a Ginevra e per circondarla di ogni possibile riserva e che mi aveva promesso di farmi conoscere la definitiva decisione del suo Governo dopo i necessari concerti con i Ministeri competenti e dopo sentita anche la Delegazione tecnica ritornata appunto da Ginevra in questi giorni, mi ha convocato oggi per farmi le dichiarazioni seguenti:

Sanzioni finanziarie. È in corso un apposito decreto del Ministro delle Finanze col quale si elencano le operazioni finanziarie la cui effettuazione rimane vietata nei riguardi dell'Italia e colonie e si comminano per i contravventori delle multe varianti da un minimo di dinari cento a un massimo di dinari trecentomila. La notificazione del provvedimento a Ginevra potrà avvenire nei prossimi giorni.

Sanzioni economiche. La risposta a Ginevra, circa la loro applicazione, sarà data verso la fine di dicembre; in ogni caso non prima del 15 novembre. Si prevede -a quanto mi ha detto Stojadinovic -che la risoluzione di tutte le dtff'icoltà tecniche in rapporto con le esigenze legislative e costituzionali di ordine interno dello Stato jugoslavo saranno tali da produrre ulteriori notevoli ritardi ne.ll'applicazione. Ad ogni modo la risposta stessa comporterà le seguenti riserve:

l) le importazioni dall'Italia dovranno essere consentite fino a concorrenza del saldo passivo del clearing italo-jugoslavo; 2) sono da escludersi dalle sanzioni le importazioni per forniture allo Stato alle Banovine e ai Comuni;

3) sono da escludersi i contratti in corso di esecuzione. Circa le riserve di cui ai numeri 2 e 3 il Governo jugoslavo conta di avere alleata la Polonia per analogia di interessi.

Questa la linea di condotta che il Governo jugoslavo ha deciso di tenere di fronte alla S.d.N. Per quanto riguarda invece, in pratica, i rapporti economico-commerciali itala-jugoslavi, Stojadinovic ha tenuto a farmi presente, a titolo amichevole, quanto segue: l'applicazione delle sanzioni finanziarie è pressocchè destituita di effetti pratici nei riguardi dell'Italia; ma comunque le vietate operazioni finanziarie potrebbero sempre in fatto essere effettuate dai privati quante volte essi si assumessero contrattualmente il rischio del pagamento della multa.

In materia di sanzioni economiche, la riserva di cui al n. l viene così formulata ad uso di Ginevra, ma non va intesa nel senso che le importazioni dall'Italia si arresteranno allorché sia raggiunta la copertura del saldo debitore del clearing: in pratica, non sarà difficile fare apparire questo saldo come sempre, in maggiore o minor misura, scoperto.

Stojadinovic mi ha confermato poi che nessuna esportazione dalla Jugoslavia verso l'Italia sarà ostacolata, tranne le armi e materiali di guerra specificati nell'atto di adesione all'embargo. Ha espresso anzi nuovamente il desiderio che gli acquisti da parte Italia possano avere maggiore impulso; in ogni caso non diminuiscano a profitto di altri mercati, o di intermediari.

Il Presidente del Consiglio infine mi ha pregato assicurare V. E. che tutto il possibile sarà fatto per non dipartirsi da atteggiamento amichevole nell'applicazione sanzioni e mi ha aggiunto che scontava affidamento dato da V. E. circa conseguenze politiche di grande portata in connessione con atteggiamento jugoslavo nell'attuale momento (telegramma di V. E. n. 115 (1).

Occorre senza dubbio prendere atto delle dichiarazioni di Stojadinovic e sopra tutto delle sue effettive buone disposizioni; senonchè d'altra parte non posso esimermi dal segnalare a V. E. che mi consta che l'azione inglese per sollecitare l'adesione jugoslava sta assumendo in questi giorni il carattere di vera e propria pressione. Onde è da chiedersi fino a che punto il Governo jugoslavo sarà in grado di resistere nel tempo nonchè nella difesa delle posizioni di riserva assunte.

(l) -Vedi D. 523. (2) -Vedi D. 462. (3) -Con T. 7765/127 R .. pari data, ore 19,15, Viola preannunciava l'invio del presente telegramma.
514

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8199-8200/047-048 R. Ankara, 29 ottobre 1935 (per. il 9 novembre).

Mio telegramma filo n. 236 (2).

Riferisco più ampiamente colloquio avuto ieri con Aras e del quale ho telegrafato l'essenziale riferentesi all'applicazione delle sanzioni da parte della Turchia.

Aras ha anzitutto tenuto a spiegare e chiarire sua condotta Ginevra. Premesso critica situazione che faceva temere gravi decisioni inglesi, difficoltà anche personali di Laval minato nella sua situazione parlamentare, e necessità da un verso di non inasprire rigidità inglese e garantire [dall'altro] permanenza Lavai, garanzia di non accessione ad idee di sanzioni militari, Aras, uniformando anche sua condotta a direttive ricevute da Ismet a seguito di nostra richiesta Cteleg,ramma di V. E. n. 110 e mio telegramma n. 189 (l) e per la decisa volontà turca di agire, nell'ambito delle possibilità concesse dalla S.d.N., a favore dell'Italia, ha svolto la sua attività nel modo più discreto ma più deciso, per appoggiare e corroborare la politica di Lavai. A questo scopo ha anche fatto nel giro di pochi giorni due viaggi da Ginevra e Parigi sopratutto al fine di appoggiare presso Lavai il concetto che per ottenere una revisione delle idee inglesi quanto alle sanzioni militari era necessario accedere quanto più possibile alle proposte di Londra per le sanzioni economiche. Era necessario, in una parola, dire subito chiaramente e senza equivoci a Londra quanto si era disposti a fare e quanto a non fare. Questa precisa direttiva adottata da Lavai, e che egli aveva sostenuto con ogni suo mezzo, aveva portato alla distensione attuale, ed al momento presente nel quale poteva sperarsi che il pericolo di un conflitto militare itala-britannico, sia diretto sia di sotto specie di S.d.N., fosse escluso, e si poteva immaginare che un minore puntiglio britannico ed una moderazione delle esigenze italiane avrebbero potuto condurre rapidamente ad una soluzione, la quale sarebbe appoggiata grandemente da sperati prossimi risultati militari in Abissinia ed anche soltanto da un allargamento della occupazione.

Quanto alle sanzioni economiche egli riteneva che esclusi i divieti di quei rifornimenti dei quali l'Italia realmente abbisognava (petrolio e carbone), proprio lui personalmente aveva subordinato la adozione di tali divieti e preventivi accordi con America e Germania (accordi che ritiene non verranno mai; ma in tal modo l'essenziale non verrebbe a difettare all'Italia); riteneva che i divieti di esportazione secondo le liste concretate a Ginevra non potrebbero in nessun caso produrre alcun risultato prima di tre o quattro mesi, e di qui ad allora sperabilmente la situazione sarebbe già arrivata alla sua migliore conclusione con le soddisfazioni dovute all'Italia.

Mi ha poi ripetuto quanto già telegrafato ad Ankara e SUkrU Kaya mi aveva letto (mio telegramma n. 220) (2) circa suoi particolari interventi e richieste che stavano a dimostrare come egli, pur sempre nel quadro societario, non aveva perduto occasione per agire conformemente alle promesse fatteci, ed alle direttive avute dal suo Governo. Anzi egli era stato pregato di attenuare qualche sua richiesta per non acuire la situazione nel confronto degli inglesi, che negli ultimi tempi egli aveva però trovati assai moderati tanto da ritenere che una utile definitiva trattativa non sarebbe stata difficile.

Ha concluso affermando che in sostanza non solo la sua attitudine ma quella di tutti i balcanici era stato delle più simpatiche per l'Italia e che egli era stato sempre nella scia di Lavai, ed in pieno accordo con Governo jugoslavo, specialmente nella questione delle indennità. Ha poi richiamato la mia attenzione sui

processi verbali di tutte le sedute e riunioni, «processi verbali che sono anche in possesso dell'Italia, egli ha detto, e dei quali voi potete rilevare la prova del mio atteggiamento favorevole all'Italia».

Lo ho ringraziato di così ampia esposizione. Gli ho detto che qualche mia osservazione non tanto veniva da desiderio di critica o da lamento ma dal fatto che dagli amici si pretende forse sempre di più e si spera di più di quanto possono dare ed hanno promesso. E le parole di Ismet, le sue e di Stikrti Kaya erano state di amici. Era quindi in me legittima l'aspettativa di vedere un atteggiamento turco anche più deciso verso il nostro bene inteso ed interpretato interesse, come anche verso l'interesse turco.

Aras che ha richiamato la mia attenzione sulle sue dichiarazioni fatte alla United Press prima del discorso di Hoare (non ho veduto questa intervista) e quelle al suo ultimo passaggio da Belgrado per affermare che « nessun uomo di Governo aveva escluso con tanta precisione e nettezza le possibilità di sanzioni militari». Mi ha poi aggiunto che il blocco non sarà mai richiesto ufficialmente dall'Inghilterra alla S.d.N. poiché dovrebbe avere la unanimità del Consiglio, unanimità che l'Inghilterra sa non potere mai avere.

Circa l'atteggiamento di Aras questo Ambasciatore di Francia mi ha detto che egli a Ginevra aveva costantemente ed utilmente secondato Lavai. Questo Ministro di Ungheria mi ha pure detto che Aras aveva fatto comunicare a Budapest dal suo Ministro colà che la attitudine turca a Ginevra sarebbe stata unicamente inspirata dalla amicizia per l'Italia.

Sarò riconoscente a V. E. se, con gli elementi che sono in Suo possesso, vorrà farmi conoscere quale sia il definitivo e complessivo giudizio dell'E. V. sull'attitudine di Aras a Ginevra (1). Ciò per ogni mia utile norma nei futuri contatti, e per una più esatta valutazione delle dichiarazioni ed esposizioni che egli può farmi.

Aras è poi passato, su mia domanda, ad espormi le decisioni turche sulla applicazione delle sanzioni. Mi ha fatto rilevare che nessun concreto provvedimento interno era stato ancora preso nè per le armi nè per le sanzioni fina~ziarie. Ancor meno per le economiche. Divieto esportazioni armi era platonico perché Turchia non ne produceva e non ne aveva da vendere sui suoi depositi. Così pure era platonico il divieto di crediti all'Italia. Ma pur essendo una decisione puramente formale la Turchia aveva voluto ritardarla al più possibile. Essa finiva tuttavia per avere significato antipatico che si poteva non certo evitare ma almeno rimandare fino a togliergli per quanto possibile anche il puro significato formale. Il Governo turco poteva benissimo prendere per decreto decisioni siffatte, come poteva ciò fare per le sanzioni economiche. Ma aveva preferito trincerarsi dietro la costituzione e far conoscere ieri ufficialmente alla S.d.N. che la Camera avrebbe al più presto votato i p1·ovvedimenti richiesti il 19 ottobre. Tale voto però non potrebbe aver luogo prima di una diecina di giorni, ed egli col Governo avrebbe ancora, se possibile, ritardato, nella speranza che di qui ad una diecina di giorni qualche fatto nuovo rendesse superfluo anche la provocazione parlamentare di tale legge.

Chiestogli se sarebbe votato anche il divieto di importazione dall'Italia, mi ha risposto di si. E gli ho allora fatto osservare che non attribuivamo alcun significato, anche soltanto inamichevole, a simile provvedimento. Ma dovevamo pur vivere e provvedere alle nostre necessità. Non si sorprendessero pertanto se fossimo stati costretti a sospendere anche i nostri acquisti in Turchia, acquisti che ragionevoli previsioni potrebbero far salire nel corrente esercizio fino a cento milioni di lire italiane.

Egli mi ha risposto che se ne rendeva conto, che non obbligava nessuno ad acquistare in Turchia. Ma gli era difficile se non impossibile fare di meno di quanto si farebbe rispetto alle sanzioni economiche. L'obiettivo più importante era evitare pericolose decisioni inglesi. Ed era stato raggiunto. Se alla distensione attuale Italia ed Inghilterra avevano un merito pari per ciascuna al 25 per cento il merito di Lavai era del 40 per cento. Ed il suo del 10 per cento. D'altronde esclusi petrolio e carbone, le sanzioni economiche non agirebbero che fra tre o quattro mesi. Perciò egli le farebbe adottare dal suo paese, sicuro che sarebbero in pratica inoperanti.

Per le sanzioni economiche gli ho detto fra l'altro che comprendevo dal suo esposto come la situazione si fosse svolta e fosse arrivata al punto odierno. Ma dovevo pure osservare che vi era una cecità collettiva che conduceva a nuove miserie economiche mondiali, perché la S.d.N. non aveva voluto distinguere fra rigida applicazione di una unilaterale interpretazione del patto ed una non discutibile realtà. Si giungeva cosi ad una situazione paradossale: da un Iato a voler dimostrare la applicazione fino a cento di una aprioristica teoria contrattuale, e dall'altro ridurre a zero le effettive realtà contingenti. D'altronde l'Italia non era Paese globalmente importatore che avrebbe sofferto dalle sanzioni economiche, ma i paesi dai quali l'Italia importava avrebbero sofferto. Anzi l'Italia vi avrebbe guadagnato poiché avrebbe imparato a risparmiare, ed avrebbe veduto dove erano mercati sicuri non sottoposti a chiusura dovuti a capricciosi interessi non propri. Se era esatto che il momento critico di un conflitto bellico sembrava allontanato, non era meno esatto che la applicazione dell'art. 16 era anche cosa oscura e pericolosa, 'sopratutto per le Nazioni che la avrebbero ciecamente applicata.

Segue telegramma per corriere n. 49 (1).

(l) -Vedi D. 323. (2) -T. )l. 7731/236 R. del 28 ottobre 1935, ore 21,25, non pubblicato. (l) -Vedi D. 171. (2) -Vedi D. 392, nota 2 p. 372.

(l) Vedi D. 678.

515

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 29 ottobre 1935.

Le ultime manifestazioni in Gran Bretagna danno l'impressione di una certa esitazione nell'applicazione del piano sanzionista.

Tale esitazione riguarda tanto gli sviluppi successivi del piano delle sanzioni, quanto anche i tempi di esecuzione del piano stesso. Le dichiarazioni governative si possono riassumere nei seguenti punti: -speranza che le sanzioni economiche siano sufficienti; -speranza di arrivare a un componimento prima dell'applicazione delle sanzioni economiche; -si esclude che le sanzioni militari abbiano costituito un elemento del programma politico inglese; -decisione che qualunque azione debba essere collettiva e non isolata.

Questa esitazione può essere determinata dalla sensazione che le sanzioni economiche incontreranno molte difficoltà e che anche se potranno raccogliere la parvenza della unanimità, in pratica dimostreranno il dissidio delle singole potenze su questo punto.

Di fronte al fallimento totale o parziale delle sanzioni economiche, l'Inghilterra si troverà al bivio o di proseguire nella politica delle sanzioni coll'inasprimento delle sanzioni attuali o coll'introduzione di nuove forme di sanzioni, o di trovare in quanto possibile una via di ritirata.

La prima ipotesi, che è la più probabile, può portare con relativa facilità al conflitto itala-inglese, con o senza la partecipazione -materiale o morale degli altri Stati sanzionisti a favore dell'Inghilterra.

Non c'è dubbio che questa ipotesi turba la Gran Bretagna, la quale deve da una parte salvare il proprio prestigio ma deve d'altra parte non accendere dei focolai pericolosi, come avverrebbe nel caso della provocazione di una guerra, per la coesione dell'Impero.

Per quanto la Gran Bretagna non cerchi una guerra, è chiaro d'altra parte che essa considera una guerra come possibile e vuole premunirsi per qualsiasi eventualità.

Fra le misure di precauzione vanno indicate:

-concentramento della flotta nel Mediterraneo e nel Mar Rosso; -rafforzamento di truppe, di materiale e vari apprestamenti militari in Egitto, nelle Colonie, nei protettorati, nei mandati inglesi.

Ma quello che sopratutto interessa l'Inghilterra in questo momento, è il concorso della flotta e delle basi marittime francesi in caso di guerra coll'Italia.

Fino ad ora, a quanto si sa, la Francia ha riconosciuto l'obbligo dell'art. 16, punto 3 del Covenant (mutua assistenza), e avrebbe anche aderito pur con riluttanza a misure più estese in quanto gli inglesi presentano il caso di una aggressione italiana.

Non c'è dubbio che la Gran Bretagna in seguito a questi accordi con la Francia ha migliorato la sua posizione politico-militare in Mediterraneo, poiché ha l'assicurazione che in determinate circostanze potrà contare sull'ausilio delle basi marittime e della flotta francese contro l'Italia.

Il concetto dell'aggressione è un concetto molto labile che può avere varie interpretazioni.

La Francia, come si vede, pur facendo delle resistenze sotto il ricatto inglese che fa intravvedere l'aiuto per il pericolo tedesco, finisce coll'accettare le imposizioni della Gran Bretagna.

Il Signor Lavai, che d'altra parte è considerato dalla Gran Bretagna il principale responsabile di queste resistenze, è ormai compromesso forse in modo irreparabile.

Il piano del signor Lavai era quello di cedere sulle sanzioni economiche per resistere su quelle militari.

Non ha calcolato forse sufficientemente colla tenacia della Gran Bretagna che di passo in passo con una serie di richieste, che a filo di logica sono ineccepibili, lo porta a dare il proprio appoggio alla politica britannica fino alle conseguenze più spinte.

Forse Lavai ha perduto un'ottima occasione che gli era data dalla reazione del suo Paese contro le sanzioni, per mettere un fermo all'Inghilterra rifiutandosi di andare oltre certi limiti.

Comunque la questione è ancora aperta e non c'è dubbio che lo stato d'animo della Francia, molto favorevole all'Italia negli ambienti di destra e contrario ad ogni complicazione bellica negli ambienti di sinistra, eserciterà ancora un peso notevolissimo sulla situazione generale, peso che al momento opportuno potrà essere determinante.

È certo che il tentativo di conciliazione, al quale si è accinto il signor Lavai, sarà proseguito attivamente nei prossimi giorni rappresentando, ad onta di tutto, la via più facile per uscire dalla difficile situazione in cui si trovano un po' tutti.

Non pare probabile che prima delle elezioni inglesi si possa venire ad una soluzione di compromesso.

Se il Governo inglese accettasse in questo periodo elettorale una soluzione favorevole all'Italia, distruggerebbe la base dell'attuale sua politica che gli dà un indiscutibile vantaggio sulla opposizione. Il Governo inglese accettando una soluzione favorevole all'Italia si esporrebbe alla critica di avere inscenato la commedia ginevrina per poi favorire, con un senso di solidarietà tra i due Stati imperialisti, le mire dell'imperialismo italiano. Passate le elezioni queste critiche perderanno di importanza e l'idea della pace a qualunque costo potrà forse prevalere su ogni altra considerazione. Ad ogni modo gli imprevisti sono tanti e lo stato d'animo inglese ci ha dimostrato di essere sottoposto a delle improvvise fluttuazioni più di quelle di qualsiasi altro Paese.

Se anche le probabilità di una soluzione conciliativa sono piuttosto per il periodo successivo alle elezioni inglesi, possono tuttavia continuare nel frattempo le conversazioni già avviate.

Anche se le indicazioni degli esperti (vedi telegramma Cerruti) (l) non saranno per ora approvate dal Governo inglese, tuttavia l'affermazione della possibilità di un mandato all'Italia su una parte cosi notevole dell'Abissinia (ammesso che l'informazione non sia stata amplificata dal signor Lavai, come è possibile) è della massima importanza e non bisogna !asciarla cadere.

Quello che bisogna evitare è che il signor Lavai, partendo da queste indica

zioni che indicano vagamente la possibilità di un accordo, nell'esame della que

stione che farà con il Ministro Hoare a Ginevra e ceda come è suo costume di

fronte alle imposizioni britanniche e ci presenti un progetto che noi saremmo

costretti a rifiutare. Un nostro quarto rifiuto renderebbe molto tesa la situa

zione generale.

Si è cercato di far comprendere ciò al signor Lavai ed oggi ancora si insiste

sulla questione.

Il signor Lavai ha raccolto le nostre impressioni; raccolga quelle britanniche;

tenga la porta aperta e non venga ad un progetto concordato franco-inglese.

Nel momento opportuno potrà giocare anche l'elemento della nostra sospensione delle ostilità in Africa Orientale. Bisognerà vedere, secondo la fase a cui saranno giunte le conversazioni, se ci convenga prendere noi l'iniziativa di una dichiarazione di sospensione delle ostilità o aderire ad un'iniziativa che apparisse presa da altri, o se convenga sospenderle di fatto senza nessuna dichiarazione.

Una distensione dei rapporti itala-britannici sia in seguito a misure militari, sia per un'attenuazione della campagna di stampa non possono evidentemente che favorire una soluzione conciliativa. Conviene attendere gli sviluppi immediati dell'azione di Lavai, che nei prossimi giorni in seguito al suo incontro con Hoare produrrà certamente qualche elemento più preciso.

Se ci si trovasse di fronte ad un netto rifiuto inglese (e sopratutto se non vi sarà un'adeguata reazione da parte francese) saremmo sempre in tempo per riesaminare la situazione e cambiare tattica.

Il superamento delle elezioni inglesi e il riconosciuto fallimento delle sanzioni economiche determineranno nella seconda metà di novembre una fase nuova che forse sarà la più opportuna per riprendere un serio tentativo di accomodamento anche nel caso che le attuali conversazioni, per il rifiuto della GranBretagna, venissero sospese (l).

(l) T. per corriere 8201/049 R. del 29 ottobre 1935, relativo al prestito finanziarlo ed alle forniture navali dell'Italia.

(l) Vedi D. 487.

516

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 29 ottobre 1935.

Prima di recarmi a Ginevra, mi onoro, come sempre, sottoporre a v. E. le linee dell'azione che mi propongo di svolgere.

Con Lavai evidentemente parlerò della mediazione in corso, attenendomi alle note istruzioni (2). Ma credo necessario prospettare a V. E. l'opportunità di non limitare a questo solo campo la nostra azione.

36 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

La mediazione è indubbiamente un espediente a cui può essere utile ricorrere ad ogni momento. Oggi però che il Governo inglese è poco disposto a trattare per non incorrere nel rischio di fare un passo falso prima delle elezioni; che le sanzioni hanno ridotto la libertà di movimento di eventuali mediatori e che la Francia specialmente si è aggiogata al carro inglese, più che su tentativi di mediazione riterrei opportuno puntare su di una iniziativa che mirasse a mutare la situazione a nostro vantaggio.

Innanzi tutto riterrei necessario cambiare metodo. Le vecchie vie e i vecchi metodi finora adoperati, di carattere passivo e giuridico, hanno fatto il loro tempo, dimostrandosi assolutamente inadeguati. Il lasciar fare, seguendo docilmente l'iniziativa altrui e difendendoci su di un piano strettamente giuridico, si è rivelato un sistema poco dissimile dalla inazione.

Presi dall'ingranaggio montato da altri, invano abbiamo seguito gli avversari sul loro terreno accumulando prove, memoriali e discorsi giuridicamente ferratissimi. Nessuno ci ha ascoltati; nessuno ha preso atto; nessuno ci ha risposto. Ed il macchinone è andato avanti per suo conto, trascinandoci dove voleva.

Tentiamo ora di prendere noi le redini dell'iniziativa e lasciamo per una volta da canto le nostre fin troppo buone ragioni giuridiche.

Dato che V. E., a quanto mi ha riferito S. E. Suvich (1), sembra abbia deciso sospendere le ostilità dopo l'arrivo a Macallé al fine di trattare col Negus, e dato che in tal caso il Negus sicuramente si trincererebbe dietro la S.d.N., perché non giuocare questa carta direttamente alla S.d.N., ponendo tanto questa quanto l'Inghilterra con le spalle al muro?

Premessi: a) gli infiniti casi di vizi procedurali da me denunciati nel discorso del 10 ottobre, i quali hanno inficiato la validità di tutta la trattazione del conflitto itala-etiopico dinanzi alla S.d.N.; b) il fatto nuovo della occupazione del Tigré, che ci ha dato la sicurezza delle frontiere, che abbiamo sempre proclamato essere uno dei due principali obiettivi della nostra azione; c) il fatto nuovo della spontanea sottomissione del Capo del Tigré orientale nonché di tutto il clero axumita, il che dimostra la mancanza di consenso nei governati e l'assenza di autorità nel governo centrale abissino, conformemente alla documentazione presentata dal Governo italiano; d) la non mai smentita tradizione di politica pacificatrice svolta senza interruzione da V. E. a cominciare da Locarno, il Patto a Quattro e la Sarre fino alle due ultime prove fornite rimanendo a Ginevra dopo la decisione delle sanzioni e ritirando spontaneamente una divisione dalla Libia; e) la circostanza che il Consiglio della S.d.N. per bocca del suo Presidente ed il Governo britannico per bocca del Premier e del Ministro degli Esteri hanno ripetutamente dichiarato di essere sempre pronti ad accogliere qualunque proposta tendente alla pacificazione.

Premesso tutto ciò, il Governo italiano chiederebbe alla S.d.N. la revisione

di tutta quanta la trattazione del conflitto itala-etiopico.

La revisione servirebbe a dar giustizia all'Italia, a far fare onorevole am

menda alla S.d.N., dinanzi al suo stesso tribunale, e a sospendere la minaccia

che le sciocche ed ingiuste sanzioni hanno accumulato non solo sull'Italia, ma

anche sulla economia mondiale in crisi e sull'instabile equilibrio di pace del

mondo.

Il Governo italiano è tanto sicuro del suo diritto che oggi che l'acquistata sicurezza delle frontiere delle sue colonie glielo permette, e beninteso alla evidente condizione che le sanzioni vengano contemporaneamente sospese, sarebbe disposto a fare un magnanimo atto di pace offrendosi, nel caso che la revisione fosse concessa, di desistere dalle ostilità e di arrestarsi sulle posizioni raggiunte.

Evidentemente non c'è da attendersi che l'Inghilterra faccia buon viso a tale proposta, dato che la revisione è contro di lei. Sarebbe perciò utile negoziarla direttamente con lei, avvalendoci dei buoni uffici della Francia, la quale ha tutto l'interesse a vedere noi soddisfatti di lei, Ginevra riabilitata, e quindi rafforzata, e se stessa fuori da ogni rischio di complicaziom.

Ma nel caso che le trattative dirette non riuscissero a spuntarla sulla sua opposizione, noi potremmo minacciarla di rivolgere ufficialmente al Consiglio la richiesta di revisione e la nostra offerta di pace, corredandole di tutti gli argomenti societari dinanzi esposti e affiancandole con una vasta propaganda presso l'opinione pubblica mondiale. In tal modo l'Inghilterra sarebbe messa nella condizione di svelare il suo gioco nel caso che, opponendo il suo rifiuto, volesse assumersi dinanzi alla S.d.N. la responsabilità di rifiutare la pace pronunciandosi per la continuazione della guerra.

Caduto il paravento ginevrino, dietro cui essa ha finora mascherato la sua azione interessata, i reticenti e i dubbiosi, che finora l'hanno seguita di malavoglia sul cammino delle sanzioni, avrebbero buon giuoco per districarsene.

Dal nostro punto di vista, la richiesta di revisione e la contemporanea offerta di cessazione dalle ostilità, avanzate dopo la vittoria militare, apparirebbero una nostra spontanea e generosa concessione e ci guadagnerebbero le simpatie internazionali.

La revisione ci permetterebbe una impostazione ex novo del problema, su basi senza alcun dubbio migliori; ci accorderebbe un prezioso guadagno di tempo nel quale svolgere un utile lavorio diplomatico presso tutte le cancellerie, mirante a mutare Io schieramento di oggi, ed infine ci permetterebbe una azione politica di disgregazione in Abissinia che, come l'esperienza insegna, forse non meno che un ulteriore sforzo militare potrebbe condurre l'Abissinia al progressivo sfaldamento e magari alla ribellione. È anche da notare che un ulteriore sforzo militare aumenterebbe le difficoltà dal punto di vista diplomatico e irrigidirebbe maggiormente l'opposizione inglese.

Un eventuale, peraltro difficile, rifiuto inglese non pregiudicherebbe in nulla la nostra posizione ed anzi ci lascerebbe in vantaggio tattico verso l'Inghilterra e morale presso l'opinione pubblica mondiale, mentre per il Governo inglese costituirebbe una incognita per le prossime elezioni.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Vedi D. 366.

(l) Vedi D. 506.

517

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3958/1597. Berlino, 29 ottobre 1935 {per. il 2 novembre).

Il Comm. Scarpa ora venuto a Berlino da Monaco ove si è trattenuto vari giorni, mi riferisce essersi reso conto che il Governo tedesco, col suo atteggiamento di neutralità favorevole all'Italia va in questo momento, innegabilmente, contro corrente. Specialmente nella Germania meridionale, dove, a ragione della vicinanza e dell'affinità, l'ambiente risente in modo molto più diretto della tensione esistente in Austria. Coloro i quali prendono posizione in nostro favore lo fanno per uno sforzo di ragionamento. In fondo al loro animo permane la medesima preoccupazione della massa, che un successo italiano possa allontanare la soluzione austriaca, possa anzi significare la perdita dell'Austria.

Si può invece notare -continua lo Scarpa -un cambiamento di attitudine nei circoli interni del partito. È in questi circoli che più forte era rimasto, sino a ieri, il risentimento per le polemiche di stampa e per la tensione seguente agli avvenimenti di Austria. Oggi si è fatta in essi strada la sensazione che contro di noi sono schierate le stesse forze le quali più osteggiano il nazionalsocialismo -cioè comunismo, massoneria, giudaismo ecc. -e che il colpo che si tenta contro il fascismo ha di mira allo stesso tempo il regime di Germania. Però questo stato d'animo non è ancora tanto di simpatia e di confidenza in noi quanto sensazione di un pericolo comune.

Per conto mio, ritengo che le osservazioni del Comm. 'Scarpa siano in fondo giuste. Più di una volta il Capo Ufficio Stampa all'Auswartiges Amt mi ha per esempio riferito di dover fare «grandi sforzi» per tenere a freno la stampa. Bisogna quindi, riconoscere che questi sforzi sono perfettamente riusciti e che, perdurando questo stato di cose, anche il sentimento pubblico si verrà mano a mano cambiando (1).

518

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3967/1605. Berlino, 29 ottobre 1935 (per. il 2 novembre).

Ieri 28 ottobre sono andato da Hess, il quale com'è noto è, oltre che Ministro senza portafoglio (il primo nella gerarchia ministeriale), anche Rappresentante del Filhrer per il Partito Nazionalsocialista.

Si è trattato di una visita di semplice salute e presa di contatti, intesa ad allargare la zona di comprensione della situazione nostra.

Non ho mancato peraltro nel corso della conversazione, per quanto con la dovuta discrezione, di accennare alla questione abissina, ribadendo che la guerra mossa contro l'Italia a Ginevra ha intenti e fini di politica interna, non meno che di politica estera. Hess lo ha senz'altro riconosciuto, sottolineando anzi che la cosa non aveva mancato di essere debitamente rilevata e messa in luce dalla stampa tedesca.

A proposito di questa, Hess ha richiamato la mia attenzione sulla speciale sensibilità che i circoli tedeschi hanno in materia di «questione di Memel ~ (articolo Piccio etc. etc.). L'ho completamente rassicurato al riguardo.

Nel corso ulteriore della conversazione Hess ha a più riprese e di sua iniziativa insistito sulle affinità ideali fra fascismo e nazionalsocialismo -primissima fra tutte la comune ostilità al bolscevismo -aggiungendo che esse offrono una base naturale di intesa e di collaborazione fra i due paesi. Egli ha anzi finito il suo dire su questo punto cosi: «Non posso dimenticare che oggi è il 28 ottobre. Io mi felicito con voi per questa data, che tutto il mondo avrebbe il dovere di festeggiare in quanto ha dato il segno della riscossa contro il comunismo».

Assisteva al colloquio Ribbentrop (indizio che il partito lo riconosce ufficialmente come l'esponente proprio in fatto di politica estera). Siamo rimasti di accordo con Hess che avremmo continuato i nostri contatti sia ufficiali che ufficiosi per i quali spero anzi aver trovato un utile tramite.

Le insistenze del signor Hess sul fatto che l'anticomunismo costituisce la migliore e maggiore delle affinità fra i due movimenti, mi suggerisce, dato che gli approcci per un riavvicinamento fra i due paesi devono essere necessariamente cauti e graduali, mi suggerisce-dico-l'idea che quella comunanza possa costituire un utile « tema » per la nostra stampa. Esso è infatti il meno cospicuo e il più naturale insieme di tutti i « motivi» che possano essere messi a base delle relazioni itala-germaniche. Anche senza alcun riferimento alla Germania, ogni nostra azione in senso, anche soltanto teoricamente, anticomunista, mentre non ci può danneggiare con gli altri paesi e la stessa U.R.S.S., che giornalmente elucubra contro il « fascismo », non può che giovarci, automaticamente, nei riguardi ed ai fini della Germania (l).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

519

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7800-7804/1156-1157 R. Londra, 30 ottobre 1935, ore 0,55 (per. ore 6,40).

Ho veduto stamane Hoare, il quale mi ha ripetuto press'a poco dichiarazioni fattemi ieri da Vansittart (2). Tono delle dichiarazioni di Hoare è stato, come prevedevo, meno generico, ma anche meno ottimistico.

l) Circa questione della smobilitazione parziale forze italiane e inglesi nel Mediterraneo, Hoare mi ha di nuovo illustrato il contenuto delle istruzioni inviate a Drummond, insistendo particolarmente sul contributo che da parte inglese rappresenterebbe ritiro due navi da battaglia. Ho spiegato a Hoare, a titolo personale, come ritiro di due corazzate inglesi dal Mediterraneo mi sembrava una misura assolutamente inadeguata. Se il Governo britannico intende effettivamente attuare progettata distensione dei rapporti itala-inglesi, deve adottare misure ben più vaste, e non solo per quanto riguarda flotta ma anche tutto l'insieme dei suoi preparativi militari nel Mediterraneo.

2) Circa le « tentative suggestions » pervenute da Parigi per una soluzione della questione abissina, Hoare mi ha confermato che esse sono oggetto attento esame ma che soltanto fra qualche giorno Governo britannico sarà in grado di esprimere il proprio giudizio sui vari punti prospettati da Lavai. Risposta del Governo britannico non sarà negativa nel senso assoluto della parola, in quanto i suggerimenti di Lavai potranno servire come una utile base di discussione. «Però, Hoare mi ha detto, nella loro forma attuale tali punti non possono considerarsi accettabili. Ciò non tanto da parte dell'Inghilterra o della Francia quanto da parte della S.d.N. e da parte Abissinia. Ciò -ha aggiunto Hoare è del resto anche il giudizio di Lavai, che Lavai mi risulta aver già comunicato a Roma. Occorre introdurre quelle necessarie modificazioni che consentano la generale accettazione».

Ho risposto a Hoare che quando una intesa sostanziale fra l'Italia, Inghilterra e Francia fosse raggiunta, la questione dell'accettazione da parte dell'Etiopia e da parte della S.d.N. diverrebbe un problema di carattere secondario. L'Etiopia e la S.d.N. finiranno con l'accettare sempre quello che sarà il risultato di un accordo tra le tre Potenze firmatarie del tripartito.

Hoare ha replicato che io dimenticavo presenza della Russia a Ginevra. Ho ribattuto che l'azione esercitata dalla Russia durante le discussioni della questione abissina è una riprova della necessità per le tre Potenze europee di agire insieme e d'accordo, impedendo alla Russia comunista di utilizzare lo

strumento di Ginevra contro la stabilità sociale e la politica di pace che è il comune obbiettivo delle grandi Potenze occidentali.

Hoare ha riconosciuto giustezza delle mie osservazioni e ha aggiunto che è stato grave errore da parte della Francia e precisamente di Barthou inserire nella già complessa e delicata questione della pace occidentale il problema insolubile delle garanzie orientali, attirando Russia nell'orbita di Ginevra.

Ritornando al punto sostanziale ho detto a Hoare che mi auguravo che Governo britannico non ripeta a dieci mesi di distanza imperdonabili errori commessi al principio dell'anno corrente, rifiutando cioè di esaminare con lealtà e senso politico quello che era allora, e tanto più è oggi, un ragionevole piano di soluzione della questione abissina. Ho attirato l'attenzione di Hoare sul messaggio del Duce per l'anno XIV e gli ho dimostrato come atteggiamento intransigente che Governo britannico ha annunziato in materia di sanzioni, proprio all'indomani chiusura del Parlamento, renderà molto più difficile discussioni per componimento questione abissina. Governo britannico non deve farsi illu

sioni su questo punto. Italia non tratterà mai sotto la pressione dell'assedio economico. Hoare mi ha risposto che era molto difficile per Governo britannico, modificare atteggiamento preso in materia di sanzioni.

Hoare mi ha confermato che tanto egli quanto Eden si recheranno a Ginevra. Eden continuerà a svolgere sua azione in seno alle Commissioni. Hoare non prenderà parte ai lavori del Comitato, ma dedicherà tutta la sua attività per esaminare con Lavai e con altri Delegati a Ginevra limiti e possibilità di una soluzione della questione abissina.

Ho risposto a Hoare che non conoscevo pensiero Governo italiano su questo punto, ma presumevo che Duce non riteneva affatto che negoziati fossero facili

o di breve durata. Esperienza circa atteggiamento Governo britannico durante questi mesi non incoraggia certo, ho concluso, a fare delle previsioni ottimistiche. Ma sentivo dovere ancora una volta di richiamare Governo britannico alle sue precise responsabilità di fronte pericoli che minacciano pace di Europa.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussoldn.l. (2) -Vedi D. 509.
520

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7821/811 R. Parigi, 30 ottobre 1935, ore 15,05 (per. ore 17,25).

Telegramma di V. E. n. 705 e telegramma per corriere 2044 (l).

Lavai mi ha assicurato che ha ben presente lo spirito raccomandazioni ripetutamente fattegli relative al pericolo di mettere Italia in condizioni di dover respingere ancora una volta proposte insufficienti.

Egli intende discutere tutto con Italia e con Inghilterra. Stima per poter fare ciò che si richiede presenza di Aloisi a Ginevra. Vuole condurre negoziati conciliazione con fermezza non disgiunta da massima cautela per impedire che essi siano bloccati. Riconosce oggi poca probabilità per inglesi accettare conciliazione prima delle elezioni, ma non dispera ancora che finiscano per aderire al suo punto di vista. Egli vuole conciliazione per evitare che le sanzioni producano serii danni all'Italia ed anche perché realizza le loro gravi conseguenze per gli Stati che le applicheranno, compresa Francia.

521

IL MINISTRO A RIGA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 7853/83 R. Riga, 30 ottobre 1935, ore 20,59 (per. ore 23,50). Mi riferisco al mio telegramma n. 81

Riferisco circa successivo colloquio. Ulmanis mi ha dichiarato: l) Sentimento popolo e Governo lettone non sono dubbi Ma con ogni franchezza pregava Governo italiano considerare che metà traffici Lettonia sono in mano Gran Bretagna. Governo lettone non aveva scelta sue obbligazioni Società delle Nazioni. Pregava ancora tuttavia R. Governo apprezzare che in ogni modo possibile Governo lettone ha mantenuto contegno corretto e amichevole lasciando che stampa si manifestasse in favore Italia, impedendo transito armi e invio unità Croce Rossa in Abissinia contrariamente a quanto altri Stati vicini hanno fatto, tra essi Estonia, Finlandia, Svezia. 2) Circa trattative intercorse tra Stati baltici, Governo lettone formalmente dichiara che ha respinta proposta Lituania circa riunione Ministri degli Affari Esteri perchè non potesse essere detto che Stati baltici si riunivano per decidere sanzioni contro l'Italia. Estonia esigeva semplice adesione maggioranza ginevrina, mentre la Lituania propone data fissata, mostrava non conoscere termini esatti questione che era invece rispondere in quanto tempo Governo poteva applicare sanzioni. Soltanto in seguito insistenza questa Legazione, Governo lettone ha deciso ed è riuscito fare accettare altri due paesi termine due settimane e un mese che considera massima che sarà fatto Ginevra da Stati europei. Tali trattative risalgono [ad una] settimana fa. Consuetudine e insincerità Stati baltici nel gettare sulle spalle dell'altro responsabilità loro decisione sono note. Sta di fatto tuttavia che sin da venerdì scorso questo Governo mi comunicò decisioni che erano evidentemente risultato consultazioni avvenute (mio telegramma n. 79) (1). 3) Mantenendo affidamenti datimi, questo Governo si era astenuto ieri dare risposta Ginevrà~ Vi è stato costretto da urgente telegramma Segretario Generale della S.d.N. 4) Non ha avuto sin qui possibilità materiale far riserve non appartenendo Comitato Diciotto, né alcun Sottocomitato. Sue sole possibilità sono, se pure, nel Comitato coordinamento.

In seguito mie insistenze ha già dato istruzioni e ha oggi ripetuto suo rappresentante presso S.d.N. di cogliere ogni possibile occasione di formulare in Comitato riserve principio e particolari Lettonia che fossero possibili.

(2). (l) -Vedi D. 487, nota 3. (2) -T. uu. 7694/81 del 28 ottobre 1935, ore 14,53, relativo alle eventuali riserve da parte del Governo lettone.
522

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7823-7830/813-814 R. Parigi, 30 ottobre 1935, ore 21,20 (per. ore 1,30 del 31).

Lavai mi ha detto che attendeva che Ambasciatore d'Inghilterra gli facesse conoscere nel pomeriggio odierno osservazioni del suo Governo alle nostre condizioni. Prima ancora di recarsi a Ginevra per continuare a discutere colà con

Hoare mi avrebbe chiamato per mettermi al corrente del pensiero britannico. Egli continuava ad essere ottimista e nutriva fiducia di riuscire nella sua opera di conciliazione. Era infatti necessario trovare una via di uscita dalla situazione attuale perchè sanzioni avrebbero danneggiato Italia ed imbarazzato tutti gli altri Paesi.

Aveva dichiarato alla Commissione senatoriale degli Affari Esteri quali erano le linee direttive della sua politica: assoluto rispetto del Patto e quindi assoluta solidarietà con l'Inghilterra per applicazione delle sanzioni economiche. Aveva però dichiarato fin dal primo momento a Londra che respingeva categoricamente sanzioni militari, chiusura Canale di Suez e blocco così che se l'Inghilterra avesse creduto di poter trascinare Francia in ulteriori sanzioni aventi carattere militare egli avrebbe risposto negativamente in modo categorico.

Obbiettai che essendosi prestato al gioco delle sanzioni economiche avrebbe potuto correre il rischio di trovarsi impegnato contro la sua volontà in una guerra.

Lavai protestò energicamente sostenendo che unica possibilità di tal genere avrebbe consistito in un atto di aggressione italiana alla flotta inglese. Ora dichiarando da un Iato Inghilterra di non aver alcuna intenzione di guerra all'Italia e dall'altro Italia di non pensare a compiere qualsiasi atto ostile contro flotta inglese, impegno categorico assunto dalla Francia di prestare assistenza completa all'Inghilterra per mare, terra ed aria nel caso in cui essa fosse aggredita non poteva avere che un valore platonico. D'altra parte Francia non aveva potuto lasciar passare questa occasione per procurare di assicurarsi assistenza dell'Inghilterra nel caso in cui Germania dovesse attaccarla in futuro.

Alla mia abbiezione che anche solo con intenzione di applicare integralmente Mnzwni economiche poteva appressarsi alla guerra, Lavai rispose con un dimt. go categorico dichiarandomi che egli sarebbe stato con O'Cchi bene aperti per non correre alcun rischio. Gli ho domandato che cosa accadrebbe nel caso in cui egli non fosse più al potere. Lavai mi rispose vivacemente che se non ci fosse stata la questione etiopica da risolvere non avrebbe certamente atteso che gli inglesi, che tramano punizioni contro di lui, lo facessero cadere. Avrebbe rassegnato le sue dimissioni già da vari giorni, sicurissimo di ritornare dopo un paio di settimane molto più libero ed in condizione di poter svolgere politica assai più ferma. E si lasciò scappare la frase: «Se sapeste quanto sono stufo di tutte le difficoltà che mi fanno '>.

Occasione mi era così data di parlargli delle varie notizie pubblicate dai giornali di ieri circa ulteriori trattative svoltesi a Parigi non essendo inglesi rimasti soddisfatti delle assicurazioni ottenute dalla Francia. Lavai, evidentemente imbarazzato, mi disse che egli non sapeva a che cosa i giornali volessero alludere.

Avendo insistito e detto che Pertinax, La T,abouis e De Brinon hanno fama di essere sempre bene informati, Lavai dichiarò che i primi due erano notoriamente suoi nemici acerrimi. Poi soggiunse: Io vi ho sempre tenuto al corrente di tutte le conversazioni con gli inglesi. Ho accordato loro ogni possibile appoggio nel caso in cui li attacchiate mentre si stanno applicando sanzioni economiche e per questo motivo non mi sono impegnato a nulla di più, perchè non accetterò mai le sanzioni militari.

Menzionai dall'articolo di De Brinon l'uso da parte della flotta inglese dei porti di Tolone e di Biserta e collaborazione aerea, ottenendo da Lavai risposta che egli aveva accordato agli inglesi tutto ciò ed anche più dato che aveva ripetutamente dichiarato di essersi impegnato con tutte le forze per terra, mare ed aria, ma insistette che ciò si riferiva solo al caso di un'offensiva nostra nelle circostanze sopraesposte.

Non mi diedi per soddisfatto e gli chiesi, a titolo personale, se credeva che noi potessimo rimanere [indifferenti] di fronte a simili impegni verso gli inglesi, visto che, in base agli accordi che gli erano noti, avevamo sguarnito interamente nostra frontiera terrestre verso la Francia.

Lavai rispose che la Francia aveva preso identici provvedimenti dal suo lato e che mi poteva garantire che non un uomo era stato dopo di allora inviato verso confine italiano. E concluse: «Nessuno è più convinto di me della necessità di conservare amicizia italo-francese che ho voluta e realizzata. Nessuno più di me desidera uscire dalla situazione critica in cui ci troviamo tutti e nessuno agisce con maggior tenacia per realizzare azione conciliativa. Vi domando in cambio due cose: di avere fede in me e di facilitarmi il compito a cu1 dedico tutta la mia energia, mostrandovi, se sarà necessario, arrendevole e ragionevole. Mussolini sa essere [realista] ed è anzi ciò una delle maggiori sue forze~

(l) Non pubblicato.

523

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 7903/421 R. Rio de Janeiro, 30 ottobre 1935, ore 21,30 (per. ore 3,45 del 31).

Mio telegramma del 29 corrente n. 419 (1).

Ministro Affari Esteri ritornato capitale mi ha confermato pienamente

dichiarazioni fattemi in suo nome e con consenso Presidente Repubblica da

Segretario Generale circa atteggiamento Brasile nei confronti sanzioni (mio

telegramma 400 del 22 ottobre) (2).

Macedo Soares ha confermato decisione Brasile astenersi sanzioni, aggiun

gendo che essa sarà mantenuta anche se sarannovi pressioni inglesi, sia perché

Brasile è fuori Lega e geograficamente lontano, sia perchè è politicamente

libero e desidera dimostrare all'Italia, paese giovane e di grande avvenire, che

Brasile è capace di politica autonoma. Ha riconfermato vivo desiderio di que

sto Governo di incrementare esportazioni in Italia durante conflitto. Ha pre

cisato che interesse Brasile venderei alcune tonnellate merci in più o meno è

inferiore agli interessi ideali che Brasile attribuisce alla propria attitudine in

questa circostanza. Ha aggiunto essere anche intenzione Governo impedire

Inghilterra ci crei fastidi in Brasile. Ministro Esteri concludeva che tale atteggiamento Brasile durerebbe fino fine conflitto. Fin qui Macedo Soares.

Allo scopo di mettere in evidenza presso V. E. le sostanziali ragioni di interesse brasiliano che Macedo Soares riveste di simpatiche forme italofile, rispondenti anche al suo sentimento personale, debbo chiarire che condotta e linguaggio di questo Governo nei confronti sanzioni sono determinati da cause concrete principali che a mio avviso vanno così riassunte:

l) risentimento verso S.d.N. da cui Brasile uscì offeso ed alla quale ora più che mai è felice non appartenere; 2) grande difficoltà di assumere atteggiamento diverso da Stati Uniti che come è noto da miei numerosi rapporti esercitano qui predominante influenza; 3) desiderio vendere tutto il possibile all'Italia; 4) opportunità profittare presso noi delle scarse simpatie di cui Argentina sembra ora godere a Roma per avere aderito sanzioni.

A questi concreti interessi brasiliani, oltre che a sincero ma recente sentimento di amicizia per l'Italia, parmi subordinatamente debba commisurarsi finora nostra politica verso Brasile. Identificate come sopra le ragioni della politica brasiliana può aggiungersi anche che questo Governo sembra animato da ira verso Inghilterra a causa delle pressioni esercitate da finanza londinese per ottenere pagamento noti debiti.

Ritengo inoltre opportuno prevedere sia pure teoricamente alcuni elementi che potrebbero eventualmente influire nel futuro in senso a noi non (dico non) favorevole e che potrebbero spinr;ere oppositori del Governo a consigliare politica meno amichevole per Italia:

l) possibilità che S. U. attenuino loro neutralità in senso almeno moralmente favorevole alla Lega. Infatti ambigua risposta S. U. a Ginevra ha prodotto sensazione in questo Ministero Esteri, che attendeva dichiarazione di più rigida neutralità e più ostile alle sanzioni; ciò che fa pensare che ove S. U. divenissero favorevoli sanzioni, potrebbero aversi ripercussioni in Brasile;

2) sentimento solidarietà panamericana dal quale per prima volta Brasile dopo Cinquanta anni è allontanatosi e al quale potrebbe riavvicinarsi ove realizzasse trovarsi ormai solo di fronte tutti altri Stati sud-americani favorevoli sanzioni. A tale proposito sorgono allarmi stampa locale;

3) eventuali delusioni politica commerciale con Italia e corrispondenti o

maggiori allettamenti da parte inglese già iniziati con grosse offerte;

4) possibilità allontanamento Macedo Soares dagli Esteri;

5) pressione politica Gran Bretagna che può prevedersi sicura come risulta da iniziale azione nuovo Ambasciatore Inghilterra. Detta azione potrebbe essere energicamente appoggiata da finanza inglese creditrice Brasile.

Tutto ciò ho ritenuto utile mettere in evidenza presso V. E. anche per trame occasione di assicurare l'E. V. che sorveglio situazione assiduamente sviluppando mia azione con mezzi di cui dispongo, lieto che politica amicizia da questa Ambasciata praticata in Brasile ultimi anni dia finora frutti che mi attendevo.

(l) -Vedi D. 512. (2) -Vedi D. 446.
524

IL CAPO DELL'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, GUARNASCHELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 30 ottobre 1935.

Dalle informazioni fornite dal R. Ambasciatore a Parigi (1), appare che i tecnici francesi ed inglesi abbiano studiato una soluzione del conflitto italaetiopico basata fra l'altro sul distacco in qualche forma dall'Etiopia dei territori a sud dell'8° parallelo.

Tale proposta prende evidentemente lo spunto dalla differenziazione, su cui il memoriale italiano ha particolarmente insistito, fra i territori del ceppo amharico e quelli abitati da popolazioni non amhara.

Benchè lo studio anglo-francese escluda precisamente l'Harrar, perchè feudo personale dell'attuale Imperatore, non sembra che da parte nostra si debba al momento opportuno rinunziare od insLstere perché anche l'Harrar sia distaccato dall'Etiopia.

La provincia di Harrar, una delle più belle zone dell'Africa dal punto di vista agricolo, con clima favorevole all'acclimatazione di popolazione bianca, abitata da popoli non amhara, di religione musulmana; e che fino alla conquista etiopica (1887) ha costituito un Sultanato musulmano indipendente. In detta provincia trovansi le sorgenti di tutti i fiumi che convogliano le acque verso la Somalia italiana; sicchè può dirsi che, se pure in diverso grado, la provincia di Harrar ha per noi la stessa importanza che ha il Lago Tzana per il Sudan.

Dallo studio anglo-francese sarebbe anche escluso il distacco dall'Etiopia delle zone dell'Uollega e dei Beni Sciangul.

Anche queste zone del Sud Ovest etiopico sono però abitate da popolazioni non amhara, e sono fra quelle dove si è più esercitata la schiavitù da parte del Governo di Addis Abeba. Inoltre è da notare che nell'Uollega, regione delle miniere di platino, l'Italia ha già importantissimi interessi, e cioè la maggioranza delle azioni della Società Prasso che si occupa dell'estrazione del platino in detta regione. I beni Sciangul comprendono la zona delle miniere d'oro. I beni Sciangul sono stati sottomessi dall'Etiopia nel 1899, mentre la maggior parte dell'Uollega è stata sottomessa nel 1890.

Nella supposizione che le circostanze non permettano di insistere per allargare al nord-est e al nord-ovest, secondo quanto sopra è accennato, i territori eventualmente affidati all'Italia, si potrebbe escogitare qualche altra soluzione che miri, fin d'ora, ad una efficiente penetrazione economica italiana, anche se non isolata, tanto nelle regioni dell'Uollega e dei beni Sciangul, quanto nella provincia dell'Harrar.

Per quanto riguarda l'Uollega e i beni Sciangul, si potrebbe prospettare agli inglesi la costituzione di una società mineraria anglo-italiana. avente per iscopo lo sfruttamento dal punto di vista minerario delle due regioni anzidette. Una

tale società potrebbe anche innestarsi, o prendere ongme, alla esistente società itala-britannica, formata dalla Società Prasso e dalla Birbir Mines Ltd., nella quale possediamo già la maggioranza azionaria di una sterlina.

Per quanto riguarda la zona di Harra, e più specialmente la regione dell'Auasc, a nord di essa, si potrebbe pensare alla costituzione di un Sindacato itala-britannico che abbia per scopo la ricerca e Io sfruttamento di giacimenti petroliferi che sembrano esistere nella regione dell'Auasc.

A tal scopo occorrerebbe trattare cogli inglesi per accordarsi per un'azione comune onde ottenere che sia considerata nulla la concessione Rickett, che comprenderà fra l'altro la ricerca dei giacimenti petroliferi nella zona dell' Auasc.

Queste forme di penetrazione economica, con partecipazione britannica, mentre da un Iato potrebbero presentare il vantaggio di attirare dei capitali inglesi allo sfruttamento delle regioni minerarie etiopiche, dall'altro potrebbero indurre il Governo di Londra a mostrarsi meno rigido nei negoziati.

(l) Vedi DD. 492 e 528.

525

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 3999/1617. Berlino, 30 ottobre 1935 (per. il 2 novembre).

Ho l'onore di confermare il mio telegramma odierno n. 267 (1), col quale ho informato V. E. che, tutto ben considerato, la Germania si è indotta, secondo quanto mi ha comunicato il Barone von Neurath ieri sem, a non rispondere alla nota del signor Vasconcellos.

Un momento di esitazione circa la via da seguire ci deve essere stato l'altro giorno, quando si seppe della risposta di Hull, risposta che fu infatti distribuita alla stampa con ritardo, evidentemente per vagliarne in anticipazione la portata e ficcarne l'interpretazione. Come ho mostrato col mio rapporto odierno n. 3960/1607 (2) è prevalso al riguardo il consiglio di assegnare a quella risposta fini speciali, rispondenti alla specialità delle esigenze americane, togliendole così ogni carattere di «precedente». Donde il silenzio quasi generale serbato in materia dalla stampa tedesca e la nota della Politisch-Diplomatische Korrespondenz da me illustrata col rapporto sopra citato.

In sostanza -auspice Hitler -il Governo tedesco vuole mostrare al mondo, ch'esso ignora ·la S.d.N. Tamquam non esset...

La cosa è indubbiamente importante per noi. Essa dovrebbe quindi essere opportunamente rilevata dalla nostra stampa ma, direi quasi, con discrezione e sopratutto senza «scampanio». Il Governo tedesco si trova in materia in una situazione singolarmente difficile, premuto com'è, dai suoi interessi da una parte, e dagli interessi inglesi dall'altra. L'~nghilterra ha compreso che, forzando la Germania ad una risposta, si sarebbe espost~ ad un netto e forse clamoroso rifiuto. Ha manovrato in maniera da evitarlo. Analogamente noi, sottolineando

troppo l'attitudine tedesca e sopratutto dipingendola come dovuta a particolari simpatie per noi, ci esporremmo al rischio di vederla ulteriormente qualificata in senso non necessariamente legato alla nostra causa. Lasciando, invece, che le cose seguano il loro corso naturale, l'attitudine tedesca si qualificherà, e in senso indubbiamente non contrario a noi, da sè, sopratutto attraverso la persistente e evidentemente voluta correttezza nei nostri riguardi di tutta, ormai, la stampa del Reich e sopratutto, direi quasi, di quella di partito.

Una ulteriore, spontanea qualificazione dell'attitudine tedesca nei riguardi italiani la si avrà in un secondo momento, quando, cioè, la politica dei due pesi e delle due misure usata verso di noi dalla S.d.N. (è proprio la stessa cosa che la Germania rimprovera all'istituto ginevrino nei riguardi propri) giungerà alle sue ultime, fatali conseguenze, quella di allontanare anche noi dalla Lega nel cui seno, ed attorno al cui tavolo, nessuna vittoria di armi italiana potrà -per la legge farisaica che, auspice l'interesse inglese cui la stessa Francia non può a meno di inchinarsi ogni giorno di più, ferreamente la regge -nessuna, dico, vittoria di armi italiane potrà avere il riconoscimento che le spetta. È allora, e in quella eventualità, che una solidarietà italo-tedesca verrà a maturarsi e rivelarsi, offrendo una base naturale per spontanei riavvicinamenti.

L'uscita dell'Italia dalla S.d.N. significherebbe anche automaticamente, a più o meno breve scadenza, la rimessa in discussione del sistema di Locarno; mentre, d'altra parte, la Francia, privata per fatto inglese dell'appoggio italiano, sarebbe costretta ad appoggiarsi sempre più alla Gran Bretagna da questa richiedendo peraltro assai più delle assicurazioni generiche finora ricevute e mettendo così la stessa Inghilterra ad un bivio, difficile quanto pericoloso, fra Francia e Germania.

È questa la linea naturale degli avvenimenti e quella, ripeto che determinerà, quasi automaticamente e all'infuori di qualunque artificio diplomatico, il riavvicinamento fra Italia e Germania, senza che nessuno dei due Paesi sia il primo a volerlo e sopratutto a mostrare di cercarlo.

Nell'attesa, mi permetto suggerire da parte della nostra stampa una grande discrezione. Temi utili da svolgere potranno essere, anche agli effetti futuri: anti-bolscevismo, doppiezza ginevrina, caratteri, opere e tendenze dei due Regimi, ecc. ecc. (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Non ;rl:nvenuto.
526

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7846/1167-1168 R. Londra, 31 ottobre 1935, ore 0,40 (per. ore 8,15). Hoare partirà domani per Ginevra.

Versione ufficiale del suo viaggio è che egli intende esaminare personalmente con Laval la situazione generale e cercare di venire con lui ad un

accordo per quelle ·che potrebbero essere le possibili basi di una soluzione dei conflitto itala-abissino nel quadro della S.d.N.

In realtà io mi sono convinto che Hoare va a Ginevra sopratutto per riprendere personalmente con Lava! lo scambio d'idee sulla cooperazione francoinglese nel Mediterraneo, e fare un passo innanzi verso quegli accordi di mutua garanzia tra i due Paesi che il Foreign Office tenacemente persegue e che ho segnalati nel mio telegramma per corriere n. 221 del 12 corrente (1). La tattica del Foreign Office per stringere con la Francia una rete di accordi militari, navali ed aerei che vada dal Mare del Nord al Mediterraneo si è andata metodicamente svolgendo. Nonostante tutte le assicurazioni date e le dichiarazioni fatte in senso contrario durante due settimane scorse, Governo britannico ha perseguito e sta perseguendo senza interruzioni e senza esitazioni i suoi obbiettivi anti-italiani. Questi vanno molto al di là di quelle garanzie che l'Inghilterra pretende giustificare come necessarie per premunirsi contro l'immaginario pericolo di un attacco italiano alla flotta inglese nel Mediterraneo. Questo pericolo, anche se in qualche momento l'Ammiragliato britannico vi ha creduto, non è che un pretesto per spezzare gli accordi franco italiani del gennaio scorso e isolare l'Italia nel Mediterraneo.

Governo britannico si è in questi mesi andato poco a poco convincendo cne oltre agli accordi politici franco italiani che gli sono stati comunicati il :9 gennaio, Francia e Italia hanno concluso fra loro alleanza militare e navale e che a questa alleanza si deve la tenace resistenza opposta da Lavai alla politica sanzioni.

Foreign Office non vuole che esista una alleanza itala-francese nel Mediterraneo e vuole obbligare la Francia a rinunziarvi. Per raggiungere obiettivo Governo britannico cerca::

l) ricattare Francia con la minaccia revisione dei Trattati di Locarno; 2) insinuare sospetto che fra l'Italia e la Germania vi sia accordo segreto per Austria; 3) allettare Francia con la promessa di accordi militari navali ed aerei, che attualmente dovrebbero servire per soffocarci nel Mediterraneo ·e per stroncare nostra impresa in Abissinia; ma che Governo britannico presenta alla Francia come inizio di un'intima e generale intesa militare anglo-francese.

Questo poi corrisponde al programma Foreign Office che da anni lavora per gettare basi di una alleanza militare e politica anglo-francese e che vede finalmente possibilità di attuarla, vincendo resistenze degli isolazionisti con la artificiosa rappresentazione di un pericolo italiano nel Mediterraneo e contro il quale l'Inghilterra dovrebbe assicurarsi appoggio francese in cambio appoggio che essa dovrebbe dare alla Francia sul Reno.

Ho segnalato a V. E. durante questo ultimo mese sintomi e prove di questa insidiosa manovra che ha obbiettivi: uno immediato, che è quello di stroncare, ripeto, la nostra impresa di Africa ed in questo mi pare ormai evidente concorre anche la Francia; un secondo, non meno preciso, di di

struggere l'intesa franco-italiana, isolando così l'Italia nel Mediterraneo e mettendo nello stesso tempo la Francia alla mercé dell'Inghilterra.

In questo mese l'Inghilterra si è accorta quanto l'intesa franco-italiana (che è andata molto al di là di quanto essa desiderava) possa rendere più forte tanto la Francia che l'Italia nei confronti dell'Inghilterra, e il suo determinato proposito è di dividerci di nuovo. Le dichiarazioni ostentatamente concilianti di questi giorni, non hanno che uno scopo, quello di mascherare la sua manovra e fare sentire meno i pericoli della situazione nella quale l'Inghilterra intende trascinare tanto la Francia quanto noi.

Questo è il commento che io faccio alle mie ultime conversazioni con Hoare e con Vansittart.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) T. per corriere 7032/0221 R. del 12 ottobre 1935, non pubblicato.

527

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

T. 2067/305 R. Roma, 31 ottobre 1935, ore 13.

Telegramma di V. S. n. 598 (1).

In conformità a una decisione del Comitato di Coordinamento per le sanzioni il Presidente di detto Comitato ha trasmesso in data 19 corrente agli Stati che non fanno parte della Lega la documentazione relativa al conflitto itala-etiopico e le raccomandazioni del Comitato di Coordinamento. Comunicazione termina come segue: «Gouvernements représentés au Comité de Coordination seraient heureux de recevoir les communications que tout Etat nonmembre pourra juger utile de lui adresser ou la notification de toute mesure susceptible d'ètre prise par cet Etat dans les circonstances présentes "·

Mi riservo trasmetterle ulteriori precisioni su quanto risultasse a Ginevra circa atteggiamento Egitto. Comunque non essendo codesto Governo membro della S.d.N. non ha nè obbligo nè diritto di aderire alle sanzioni proposte. Un'eventuale adozione di misure discriminatorie nei confronti dell'Italia costituirebbe un'infrazione dei principi della neutralità. Per questo motivo tutti Stati non membri della Lega si sono astenuti dall'aderire alle misure proposte. Queste comunque costituirebbero una violazione degli accordi economici vigenti tra i due paesi nè potrebbero trovare, come per gli Stati membri, una giustificazione sia pure formale negli obblighi loro derivanti dall'art. 16 del Patto della S.d.N.

Relazioni speciali tra l'Inghilterra e l'Egitto non riguardano l'Italia e comunque non sono tali da modificare diritti ed obblighi dell'Egitto in quanto Stato neutrale non membro della S.d.N.

Nel far presente quanto precede la S. V. aggiungerà tutte quelle considerazioni di carattere politico relative agli stretti rapporti correnti tra i due

paesi che la S. V. riterrà più opportuno per dare al passo il carattere più

amichevole.

Segnalo ad ogni buon fine che alcuni Stati, ancorché membri della Lega, hanno fatto valere la presenza di numerose colonie di italiani sul loro territorio come motivo che impedisce loro l'applicazione di misure di rigor·e nei riguardi dell'Italia. Una tale circostanza potrebbe essere invocata dall'Egitto per resistere a eventuali pressioni e giustificare anche con ragioni di opportunità pratica, l'impossibilità di allontanarsi da una linea di stretta neutralità (1).

(l) Con T. 7770/598 P.R. del 29 ottobre 1935, ore 21,52, Ghigi aveva chiesto conferma della notizia dell'invito, da parte della S.d.N., al governo egiziano di aderire alle sanzioni contro l'Italia.

528

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 7862-7871-7870/816-817-818 R. Partgt, 31 ottobre 1935, ore 14,35 (per. ore 19,50).

Lavai mi ha detto che questo Ambasciatore Inghilterra nel pomeriggio di ieri avevagli rimesso un documento che già dalla prima imperfetta lettura dato che era redatto in inglese, che egli conosce poco, non ·eragli sembrato soddisfacente.

Lo aveva detto subito aJ Clerk e glielo ripeterà stamane dopo aver letto attentamente documento nella traduzione francese, senza entrare però in discussione con lui dato che domani vedrà a Ginevra Sir Samuel Hoare.

Oggi alle tredici Lavai parte per Ginevra essendo stanco e non volendo viaggiare di notte.

Egli cercò d'esimersi dal darmi comunicazione del documento inglese e fu dietro mia insistenza che me ne dette rapida lettura assicurandomi però che ne avrebbe reso edotto Aloisl.

Rilevai seguenti punti: il Governo inglese non ritiene possibile il pensare ad un mandato od altra forma amministrazione da riconoscere all'Italia sulla parte Amhara di sotto dell'ottavo parallelo, perché ciò potrebbe apparire come un premio concesso all'invasore, sarebbe inaccettabile tanto ad Addis Abeba che a Ginevra e contrario alla relazione del Comitato Cinque.

Esso invece crede possibile annettere all'Italia territori che, limitati al sud dal confine del Kenia, comprendano Baie e Boran, limitati però ad Ovest dal quarantesimo meridiano. Non ho potuto comprendere quale sarebbe limite di questi territori al Nord.

Osserva che Italia non potrà obbiettare che trattasi di deserto perché territori stessi sono molto fertili.

(T. -2095/85 R.) ed a Costarica (T. 2108/32 R.) e, 11 30 novembre, al dottor Dubbio.sl a Sanaa (T. -2489/187 R.). Per le risposte di Ghigi e Persico vedi DD. 556 e 900, mentre non risUJlta che Dubbiosi abbia risposto. Con T. 8171/80 R. del 7 novembre 1935, ore 20,15, Ca;panni riferiva circa l'intenzione del Costarica di rima!llere a.ssolutamente neutrale.

37 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

Poiché esperti francesi ed inglesi avevano accennato alla convenienza di creare per l'occupazione della zona non Amhara affidata all'Italia una legione str.aniera composta di volontari che avrebbero potuto essere in pratica quasi tutti italiani, il memorandum inglese esprime parere contrario a tale legione e dice che invece la zona annessa all'Italia potrà essere presidiata da truppe italiane. Non ritiene viceversa possibile anche in genere considerare presenza di militari italiani nel territorio etiopico. Siccome progetto degli esperti menzionava presenza ad Addis Abeba, a lato del Governo etiopico, di un altro funzionario italiano quale Sovraintendente dell'Amministrazione della zona non amarica sottoposta a mandato, Londra boccia completamente tale idea come conseguenza del rifiuto considerare possibilità mandato stesso. Osservò che dato stato di guerra ha grande peso oggi in Etiopia parere dei ras, cosicché Negus potrebbe essere detronizzato se si mostrasse arrendevole. Trova che soluzione preferibile sarebbe quella di uno scambio puro e semplice di territorio, con cessione da parte dell'Etiopia all'Italia del sopra menzionato contro cessione dall'Italia all'Etiopia di uno sbocco al mare che potrebbe essere limitato anche al semplice territorio della strada che dovrebbe condurre ad Assab. In questa fase del negoziato Francia e Inghilterra dovrebbero rinunziare all'idea di far concessioni all'Etiopia in territori di loro pertinenza per garantirle accesso al mare sopra territorio etiopico.

Lava! considera che risposta stessa dimostra scarsa disposizione del Governo britannico di concludere ·conciliazione prima delle elezioni. Egli procurerà di appurare sue precise intenzioni, sondando Hoare a Ginevra.

Lavai non avrebbe voluto informarmi della risposta britannica prima di tutto perché essa è da lui considerata assolutamente non soddisfacente e poi anche perché credeva che essa ci rendesse nervosi. Conta continuare a discutere con Hoare e solo quando sarà raggiunta una base che gli sembrasse accettabile dall'Italia ce la comunicherà.

Gli ho risposto che questa procedura è in contrasto aperto con gli accordi da lui presi meco e con le promesse formali fatteci secondo le quali eg.U doveva tenere! sempre al corrente di tutto, in modo che noi potessimo fargli conoscere man mano le nostre osservazioni ed obbiezioni. Solo in questo modo si potrà evitare che noi dobbiamo respingere ancora una volta una proposta inaccettabile.

Lavai ribatté che io avevo frai:nteso. Naturalmente si terrà in contatto con noi altri perché sa benissimo quali sono i pericoli connessi con un nostro nuovo rifiuto.

Nonostante queste assicurazioni, Aloisi farà bene a ricordare continuamente a Lavai impegno da lui assunto di trattare ogni cosa allo stesso tempo con inglesi e con noi a scanso di gravissimi inconvenienti.

Ho rilevato che documento inglese non menziona nemmeno Tigré. Analoga reticenza è stata fatta per Harrar. Lavai ne ha convenuto.

Non ho potuto celare a Lavai pessima impressione, causata dalla rapida lettura, che documento inglese mi sembrava nuova prova dell'intenzione dell'Inghilterra di escludere Italia dall'Etiopia. Lava! non [ha commentato]. Egli rimane ottimista, ritiene che occorre probabilmente lasciare passare elezioni inglesi ed intanto continuare a lavorare per costruire basi della conciliazione. Quanto alle sanzioni, Lavai, da me interrogato per conoscere se e quanto contasse fare per ritardare applicazione di quelle commerciali sino al termine dell'azione di conciliazione, ha risposto trattarsi di cosa molto delicata e che sta a cuore degli inglesi. Egli però avrebbe cercato di vedere se vi fosse il modo di esserci utile.

Mi ha poi dichiarato, in aggiunta a quanto dettomi ieri, che, nel caso in cui da qualsiasi parte fossero proposte a Ginevra sanzioni militari, chiusura Canale di Suez o blocco, egli .voterebbe contro e che a riguardo conta pubblicare un comunicato ufficiale che non lasci dubbio circa atteggiamento Governo francese.

(l) Analoghe istruzioni vennero da Suvich Inviate, li 2 novembre, alle legazioni a Gedda

529

IL MINISTRO AD ASSUNZIONE, MARIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 7864/44 R. Assunzione, 31 ottobre 1935, ore 17 (per. ore 1 del 1° novembre).

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che oggi avrebbe telegrafato a Ginevra nei termini seguenti: «Questione sanzioni è materia riservata al Congresso della Nazione e Governo Paraguay non ritiene opportuno, data situazione specialissima di questo paese, sottometterla alla considerazione del Congresso ».

530

IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7932/65 R. Montevideo, 31 ottobre 1935, ore 18,09 (per. ore 1 del 1° novembre).

Mio telegramma n. 62 (l).

Ho avuto colloquio col Presidente della Repubblica, col Presidente dell'Assemblea Legislativa e col Ministro degli Affari Esteri. Concordemente mi è stato detto che il progetto di legge autorizzante Governo adottare sanzioni economiche, secondo impegno ginevrino, è stato presentato per pr·endere tempo e che si farà di tutto perché esso non venga discusso prima della chiusura della sessione parlamentare prevista per la metà di novembre. Frattanto opinione pubblica orientasi sempre più verso noi, mentre stampa ufficiosa sostiene impossibilità pratica applicazione sanzioni.

(l) Con T. 7602/62 R. del 26 ottobre 1935, ore 9,46, Mazzol!ni comunicava la decisione del consiglio del Ministri uruguaisno di sottoporre il problema delle sanzioni al Parlamento.

531

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 7887/159-160 R. Sofia, 31 ottobre 1935, ore 19 (per. ore 21).

Contrariamente a promesse fattemi, solo stamane nel corso di una visita di mia iniziativa al Segretario Generale degli Affari Esteri ho appreso che è già stata consegnata risposta Bulgaria a Ginevra che è di adesione pura e semplice alle sanzioni con unica riserva che il Governo Bulgaria non potrà applicarle che dopo il 15 novembre. Segretario Generale degli Affari Esteri ha detto risposta Bulgaria è identica a quella jugoslava e che è stata consegnata dopo di quella. Ha aggiunto che, siccome non è stato ancora risposto alla questione del «mutuo appoggio » egli cercherà persuadere Ministro Esteri di formulare risposta a questo riguardo in modo far dipendere esecuzione degli obblighi derivanti dalla adesione alle proposte terza e quarta da una effettiva messa in [opera] delle compensazioni per i danni cui il Paese va incontro vietando le importazioni italiane e limitando le proprie.

Tutto quanto è successo mi convince sempre più che ciò che ho detto con il telegramma n. 153 sia esatto: questo Governo si sia venduto per un piatto di lenticchie (1). Del resto la notizia della moratoria accordata dagli Inglesi in compenso della adesione incondizionata alle sanzioni circola già in questi ambienti giornalistici.

La stessa persona di cui al telegramma n. 157 (2) mi diceva stamane che adesione Bulgaria a Ginevra è stata consegnata avant'ieri sera e che la Bulgaria è stata il dodicesimo Stato aderente e che la cosa ha fatto [scandalo] negli ambienti a noi favorevoli mentre come a me anche a loro Governo aveva assicurato che avrebbe aderito dopo che maggioranza Stati rappresentati a Ginevra avesse comunicato propria risposta. Si penserebbe già far cadere responsabilità grossolana scorrettezza su Ufficio Bulgaria a Ginevra. Segue rapporto per corriere (3).

Intanto mi permetto di prospettare a V. E. se non sia il caso di studiare la possibilità e convenienza di sospendere l'assegno dei premi di esportazione di pollame, uova e farina di granoturco (ristorno dei dazi) di cui avvantaggiamo questo Governo (4).

(l) -Con il T. rr. 7721/153 R. del 28 ottobre 1935, ore 14,30, Sapuppo aveva comunicato di aver confidenzialmente appreso dell'offerta della Gran Bretagna alla Bulgaria della moratoria cLel pagamento degli rnteressi del debito estero in cambio dell'adesione alle sanzioni. (2) -Con il T. 7777!157 R. del 29 ottobre 1935, ore 15,20, Sapuppo rliferiva circa un colloquio avuto con una personalità industriale bulgara relativamente alle sanzioni. (3) -Non rinvenuto. (4) -Con T. u.r. 7904/161 R. del lo novembre 1935, ore 11,30, Sapuppo aggiungeva: «Da fonte degna massima fede apprendo che S.M. Re Boris è rimasto scontent,issimo proceduraseguita e che da Varna dove si trova ha fatto giungere a Ministro degli Affari Esteri sua disa.pprovazione »,
532

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 7882/188 R. Praga, 31 ottobre 1935, ore 20,35 (per. ore 22,35).

Mio telegramma n. 185 (1). Delegazione cecoslovacca Ginevra avrebbe avuto istruzioni dichiarare che suo Governo si conformerà decisioni S.d.N. circa sanzioni.

Dopo scambio di vedute con Delegazioni jugoslava e romena francese e inglese, e qualora fossero fatte riserve da parte della maggioranza Stati aventi rapporti economici con l'Italia, Delegazione cecoslovacca potrà fare riserve anche da parte sua in relazione danni commercio suo Paese.

Mi risulta che Ministro Agricoltura Hodza, maggiore esponente partito agrario, che erasi schierato contro sanzioni in occasione suo recente viaggio Londra, avrebbe fatto presente ragioni atteggiamento suo partito, determinante da perdite derivanti interruzione esportazione Italia. Gli sarebbe stato assicurato che l'Inghilterra assumerebbe a suo carico danni per mancata esportazione e conseguente ribasso prezzi causa diminuito smercio.

533

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7888/246 R. Bruxelles, 31 ottobre 1935, ore 21,50 (per. ore 1,30 del 1° novembre).

Più di una volta, nel corso delle varie conversazioni ·che ho avute con lui negli ultimi giorni a proposito applicazione delle sanzioni, questo Primo Ministro ha fatto delle allusioni alla collaborazione da lui prestata ai tentativi da parte francese per un componimento soddisfacente del nostro conflitto con l'Etiopia. Avendo egli sempre risposto vagamente ed evasivamente a discreti quesiti da me postigli per ottenere maggiori particolari, ero addivenuto (anche in base ad opportuno controllo) alla conclusione che egli era semplicemente tenuto al corrente da Parigi sull'andamento delle trattative.

Oggi però apprendo da fonte attendibile essersi il signor Van Zeeland recato ieri l'altro inosservatamente a conferire con Lavai, suggerendogli tutto un piano di conciliazione da presentare concordemente nelle imminenti conversazioni di Ginevra dove egli pure sarà domani. Non è riuscito al mio informatore di conoscere i dettagli del presunto piano di Van Zeeland, ma egli crede potermi assicurare che esso tiene largo conto dei nostri desideri, sopra tutto nelle zone che formano l'obiettivo delle operazioni militari, e che con

tiene speciali proposte di privilegi da riconoscere all'Italia nello sfruttamento del sottosuolo dell'Impero etiopico.

Il mio informatore mi assicura che con tale tentativo questo Primo Ministro (il quale si sarebbe convinto che le sanzioni saranno imperfettamente applicabili nella realtà praticamente inoperanti ai loro fini) cerca di riguadagnare la simpatia dell'Italia, scossa in seguito all'atteggiamento da lui dovuto assumere sotto le note pressioni dei suoi colleghi di Governo, ma io ho l'impressione che il suo concorso nell'opera di mediazione miri altresì ad assicurare al Belgio qualche particolare vantaggio nella nuova sistemazione da darsi all'Etiopia entro il quadro della S.D.N. Van Zeeland ha comunque un interesse diretto che la crisi internazionale si risolva per evitare il contraccolpo di essa sulla situazione economica interna di questo Paese, da lui sottoposto alla dura prova della svalutazione ancora tutt'altro che superata (1).

(l) Vedi D. 485.

534

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7957/0289 R. Londra, 31 ottobre 1935 (per. il 2 novembre).

Con mio telegramma n. 1155 (2) ho riferito quanto mi è stato dichiarato al Foreign Office circa la questione delle capitolazioni in Egitto. Il Foreign Office smentisce che il Governo britannico abbia fatto o stia facendo dei passi presso il Governo egiziano per l'abolizione delle Capitolazioni nei riguardi di cittadini italiani. Questa smentita non mi stupisce perché il Foreign Office tiene sempre a negare che esso ·eserciti qualunque pressione sul Governo egiziano le cui decisioni esso vuoi fare apparire come spontaneamente prese. Ad ogni modo io mi sono v·also di questa occasione per mettere in chiaro con Vansittart che qualunque atto ostile del Governo egiziano noi lo consideriamo in realtà un atto ostile da parte dell'Inghilterra.

Intanto è certo che a parte se sia vero o no che l'Inghilterra pensi a far

sospendere le Capitolazioni nei nostri riguardi è in questo momento in Inghil

terra tutto un lavorio per rivedere i rapporti anglo-egiziani, e l'abolizione delle

Capitolazioni fa certo parte di tutto un piano, che si sta metodicamente svol

gendo per rafforzare la posizione dell'Inghilterra in Egitto, ai danni tanto

dell'indipendenza egiziana che degli interessi degli altri Stati.

Il Governo britannico sta cercando da mesi di sfruttare il conflitto itala

abissino ai fini della sua politica egiziana. Col pretesto che l'azione italiana

nell'Africa Orientale e nel Mediterraneo può minacciare l'Egitto, esso è andato

accumulando in Egitto uomini e armi, che potranno servire nel momento opportuno a soffocare qualunque tentativo di resistenza da parte degli egiziani. Col pretesto, della nostra propaganda in Egitto -un argomento questo sul quale il Foreign Office continua incessantemente la sua campagna -esso vuole giustificare la sua manomissione dell'Egitto e minacciare definitivamente i nazionalisti che vengono accusati di segreti intrighi con l'Italia. Col pretesto di voler dare all'Egitto delle soddisfazioni, esso cerca di sostituire al regime capitolare un regime di amministrazione giudiziaria anglo-egiziana.

Tutto questo -con la solita tattica inglese -viene presentato nella propà"ganda ufficiosa ingles·e come una serie di concessioni che l'Inghilterra si prepara a fare all'Egitto, per difenderlo dai sinistri disegni dell'Italia, e per liberarlo dalla umiliazione del regime capitolare. Non che la Inghilterra voglia chè l'Egitto si liberi senz'altro del regime capitolare. Vuole che questa liberazione sia un dono che l'Inghilterra fa all'Egitto per il quale dono l'Egitto dovrà pagare un prezzo, e questo prezzo l'Inghilterra vuole essere lei ad intascarlo, non vuole che siano gli altri Stati titolari delle capitolazioni.

La campagna contro la nostra pretesa propaganda antibritannica in Egitto ha cosi tre obiettivi: l) eccitare l'opinione pubblica inglese contro l'Italia, con l'artificiosa rappresentazione di un pericolo italiano in Egitto e nel Sudan; 2) giustificare le misure eccezionali che le Autorità coloniali e militari prendono in Egitto; 3) preparare la liquidazione degli interessi stranieri e in primo luogo naturalmente degli interessi italiani in Egitto.

In questa politica gli inglesi hanno complici coscienti e incoscienti gli egiziani, i quali allettati dall'idea di una revisione del presente regime, finiscono essi stessi col farsi strumento dell'imperialismo britannico e preparano essi stessi la via al sacrificio di quella larva che è attualmente la loro indipendenza.

(l) -A questo telegramma Suvich così rlsiP<>se il 5 novembre 1935: «Senta, senza aver l'aria di indagare, da va.n zeeland quale è la portata della sua proposta conciliativa» (T. 2127/196 R.). (2) -T. 7778/1155 R. del 30 ottobre 1935, ore 0,50, non pubblicato.
535

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

Roma, 31 ottobre 1935.

APPUNTO.

Il cambiamento del Ministero in Austria è stato considerato da tutti un deciso orientamento del governo austriaco in senso italofilo. (Vedi anche articolo del Times qui unito).

Si ricorda anche l'atteggiamento coraggioso tenuto dall'Austria nell'ultima recente fase delle discussioni a Ginevra, atteggiamento che ha provocato da parte dell'Inghilterra delle rappresaglie che già si fanno sentire e da parte di Litvinov la richiesta che anche l'Austria sia punita con delle sanzioni.

Non è da meravigliarsi che in Austria in alcuni circoli ci si preoccupi delle conseguenze di questa amicizia itala-austriaca e si tenti di scalzarla facendo vedere i pericoli a cui si andrebbe incontro.

Il Governo però, e in particolar modo il Cancelliere, Starhemberg e Berger, tengono un contegno di una lealtà assoluta nei riguardi dell'amicizia italiana.

In queste condizioni, per i rapporti itala-austriaci presenti e futuri, sarebbe del più grave danno se noi dimostrassimo di non voler dare esecuzione alla promessa fatta e confermata più volte in modo esplicito e definitivo, relativa all'insegnamento privato della lingua tedesca nell'Alto Adige (1).

Se il problema ha assunto proporzioni tali che non ci sia la possibilità per ora di una soluzione integrale, bisogna per lo meno dare un principio di esecuzione, ma in misura tale che dimostri la serietà delle nostre intenzioni (2).

536

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 31 ottobre 1935.

Ho ricevuto l'Ambasciatore Cantilo il quale mi ha voluto informare che i Governi sud-americani si vedevano loro malgrado costretti a procrastinare ogni iniziativa (3) tendente ad una mediazione in conseguenza di una fortissima pressione inglese.

537

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 4013/1623. Berlino, 31 ottobre 1935 (per. il 2 novembre).

Faccio seguito al mio telegramma filo in data odierna (4). Ho visto Schacht oggi alle 12, avendo con lui una conversazione molto cordiale.

A parte le dichiarazioni di amicizia fatte per il nostro Paese egli si è, per quanto riguarda l'Inghilterra, espresso, in termini molto analoghi a quelli risultanti a V. E. dal telegramma n. 7468 R. del R. Ministro a Berna (5).

«Gli inglesi -egli ha specificato -hanno già, col primo esempio da essi dato di confisca della proprietà privata, spianato la strada al bolscevismo; con la svalutazione della loro moneta, dato a suo tempo inizio allo scombussola

mento di tutta la finanza. Ora, con le sanzioni, iniziano la distruzione dell'economia mondiale. Ne risentiranno essi per i primi le conseguenze. Gli inglesi non sanno cosa significa obbligare la gente ad aprirsi per forza nuove vie. Noi tedeschi dobbiamo al blocco inglese della guerr·a lo sviluppo delle nostre invenzioni industriali e la maggiore autonomia di cui adesso godiamo in confronto del passato. Altrettanto sarà adesso per voi. Ciò senza contare, ha aggiunto Schacht, che il fallimento delle sanzioni potrebbe costituire la svalutazione, forse definitiva, della S.d.N. ».

Non ostante che la nostra conversazione abbia necessariamente avuto, tanto più per essere la prima, carattere generico, non sono mancati gli spunti e gli accenni a questioni specifiche e concrete aventi attinenza con la situazione pres·ente.

Premesso che egli è disposto a fare di tutto per favorire in ogni modo la corrente di traffici e di affari fra la Germania e l'Italia, il Dottor Schacht mt ha dichiarato:

l) essere disposto a studiare accordi continuativi e d'insieme per far fronte alla maggiore prevedibile mole e intensità di traffici fra la Germania e l'Italia;

2) in questa connessione non avere alcuna abbiezione anche a studiare Ie possibilità di riscatto delle nostre tranches di prestiti Dawes e Young, semprechè ancora disponibili.

Qull.nto al primo punto, egli ha aggiunto che un'ottima occasione per un eventuale inizio di conversazioni sarebbe il suo prossimo incontro con Azzolini e Beneduce a Basilea il 10 novembre. Egli ha però dichiarato che, pur riconoscendo l'utilità e l'urgenza della cosa, ne lascerà la iniziativa a noi, desiderando impedire che una sua eventuale avance possa essere politicamente male interpretata dagli inglesi.

Quanto al secondo punto, ha soggiunto che, pur non avendo obbiezioni di principio, egli ritiene la cosa un po' dubbia dato che, secondo informazioni sue, noi avremmo già ceduto (è vero?) le nostre tranches Dawes e Young in sicurtà alla Banca Nazionale Austriaca onde acquistare il controllo della Società Austriaca di Navigazione sul Danubio.

Il signor Schacht ha mostrato di ignorare il recente arresto delle negoziazioni italo-tedesche in materia di carboni. Ha comunque osservato che in questioni simili, arresti e intoppi si verificano ogni momento, ma che è sempre possibile superarli. Appunto a questo proposito egli stesso ha riconosciuto la opportunità di accordi continuativi sulla base di «programmi».

Su questo punto io mi permetto di insistere in modo speciale. Sono sicuro che, andando avanti col sistema del caso per caso seguito finora, verrà un momento in cui ci troveremo di fronte a intoppi seri e difficilmente superabili. Bisogna prevenire tutto questo. Negoziando un accordo d'insieme e continuativo, oltreché ottenere nel complesso condizioni migliori, eviteremo di trovarci di fronte a sorprese che, in determinate circostanze, potrebbero anche riuscirei sgradevoli (l).

(l} Il presente documento reca il visto dl Mussollnl.

(1) -Vedi D. 205. (2) -Una annotazione a margine dice: « Il Capo del Governo concorda e darà disposizione ». (3) -Vedi D. 408. (4) -T. 7874/268 ore 20,59, non pubblicato. (5) -Con il T. per corriere 7468/061 R. del 22 ottobre 1935, Tamaro aveva riferito circa un colloquio di Schacht con 11 Gov"rnatore della Banca d'Inghilter.ra.
538

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4787/1854. Mosca, 31 ottobre 1935 (per. il 5 novembre).

Questo Commissario Aggiunto per gli Affari Esteri mi diceva ieri l'altro che Litvinov non aveva per il momento alcuna intenzione di recarsi ancora una volta a Ginevra. Non escludeva però che in un futuro più o meno prossimo «le circostanze» avrebbero potuto obbligarlo a cambiare d'idea. Gli ho osservato che per conto mio preferivo di molto che egli rimanesse a Mosca lontano dall'ambiente a noi ingiustamente ostile della S.d.N.

Benché non lo si dica qui apertamente -Litvinov ha anzi detto ad Aloisi ed ha confermato a me che vedrebbe con soddisfazione il raggiungimento di una soluzione transazionale -mi pare di notare una certa preoccupazione che il conflitto itala-abissino possa essere regolato con una formula di compromesso fra l'Italia e l'Inghilterra, auspice la Francia, e ad esclusione dell'U.R.S.S.

È sintomatico il nervosismo della stampa e gli attacchi alla politica dei « paesi imperialisti » tutte le volte che le notizie da Parigi e da Londra possano dare l'impressione di un chiarimento nella situazione. Qui si teme oltretutto che di una maniera o di un'altra abbia a risorgere il fronte di Stresa o, ancora peggio, quel patto a quattro che aveva già destato le gelose diffidenze di Mosca.

Chiarimento della situazione, quindi, sia pure -sebbene l'attuale conflitto abbia dato e continui a dare a Litvinov possibilità di manovra -ma che almeno l'U.R.S.S. non sia lasciata in disparte (1).

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IL MINISTRO A PANAMA, CAPANNI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7928/76 R. Panama, 1° novembre 1935, ore 12,30 (per. ore 20,30).

Mi riferisco al telegramma di V. E. 1997/C (2). Nel confermare il mio telegramma n. 72 del 25 ottobre u.s. (3) aggiungo posteriori nuove assicurazioni senso desiderato. In ogni modo questa Repub

blica risponderà sempre in modo evasivo insistenze Ginevra adducendo motivi riferentisi sue leggi e sua speciale posizione geografica. Tale punto di vista Governo di Panama è reso pubblicamente noto mezzo stampa (4).

(l) -Il presente documento reca Il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 465. (3) -Vedi D. 476. (4) -Per la risposta di Suvich vedi D. 564.
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L'INCARICATO D'AFFARI A LIMA, GAETANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7919/147 R. Lima, 1° novembre 1935, ore 19,50 (per. ore 3,45 del 2).

Ministero Affari Esteri convocommi per comunicarmi aver dato disposizioni delegato Ginevra per aderire sanzioni embargo armi. Essere egli convinto che ritardo in tale decisione ed essersi Perù limitato ad accettazione solo punto primo delle sanzioni proposte dalla S.d.N., saranno interpretati dal R. Governo come atti amichevoli, sopratutto tenendo presente che Perù non ha alcuna produzione rientrante entro tale categoria. Rinnovate assicurazioni che per successive sanzioni, implicanti reale applicazione Perù si trincererà dietro necessità approvazione Congresso Nazionale. Su tale terreno questa Legazione potrà lavorare in senso negativo.

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IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 7943/434 R. Ginevra, 1° novembre 1935 (per. il 2).

Krauel tornato ieri sera da Berline ha detto stamani a Bova Scoppa: l) che Governo tedesco intende mantenere la più assoluta neutralità nel conflitto e che per conseguenza non prenderà nessun impegno per quanto ::oncerne le sanzioni. I rapporti fra Germania e Italia ìn materia economica e finanziaria continueranno inalterati come per il passato; 2) ,che Governo tedesco non intende avere alcun rapporto con la S.d.N. Per tale ragione, mentre in un primo momento si era pensato di dare una risposta alla lettera circolare diretta agli Stati non membri direttamt-nte dal Signor Vasconcellos, in quanto Presidente di una conferenza di Stati che non ha alcuna relazione con la Lega, sembra che ora è prevalsa l'idea di far fissare l'atteggiamento del Reich attraverso un discorso del Fuhrer che sarà pronunciato in una prossima occasione; 3) che secondo il convincimeneto di Berlino il Governo francese sta svolgendo un giuoco infido, mentre l'Inghilterra non recede né recederà dalla sua posizione intransigente fino alle elezioni. Ma anche dopo le elezioni -sempre secondo Berlino -non c'è da attendersi un decisivo mutamento dell'atteggiamento inglese e ciò sia perché un successo dei conservatori non farebbe che irrigidirli nella loro intransigenza, sia perché un successo laburista sposterebbe sempre più la lotta dal terreno imperialista o coloniale sul terreno dell'antifascismo; 4) che tanto il Fuhrer quanto von Neurath e von Biilow restano decisi a non riprendere contatto con la S.d.N. fino al giorno in cui l'istituzione po

tesse essere ricostituita su nuove basi. In quel giorno il Governo tedesco si farà avanti per assumere nel nuovo organismo, che non sarà più una società di assicurazione franco-britannica, la situazione che dovrà competergli sullo stesso piede delle altre grandi Potenze mondiali.

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IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7906/438 R. Ginevra, 1° novembre 1935, ore 22 (1).

A seguito mio telegramma n. 437 data odierna (2), comunico riassunto del rapporto presentato dal Sottocomitato giuridico al Comitato dei Diciotto.

Il Sottocomitato ha esaminato le risposte inviate dai Governi degli Stati membri relativamente alla proposta l. Tali risposte assommano a cinquantuno. Risulta da esse che le misure, le quali formano oggetto della proposta n. l, sono già in vigore in quarantatre Paesi. Tuttavia, tra questi Stati il Lussemburgo e la Svizzera non hanno accettato la proposta l, per quel che riguarda l'Etiopia, invocando il primo la sua politica di neutralità ed il secondo la Convenzione dell'Aja del 1907 concernente i diritti e i doveri delle Potenze neutrali in caso di guerra terrestre (art. 9) così come il suo Stato di neutralità.

Il Sottocomitato giuridico nota che esso non è stato incaricato di esaminare la compatibilità di un tale atteggiamento con gli obblighi del Patto.

Sette Stati (Afghanistan, Guatemala, Haiti, Honduras, Iran, Nicaragua e San Salvador) si sono inoltre limltati a dichiarare che essi accettano la proposta, ma non hanno preso alcuna misura di esecuzione, senza dubbio perché estranei alla fabbricazione ed al commercio delle armi e delle munizioni di guerra.

Infine uno Stato, il Paraguay, ha dichiarato di non ritenere sia attualmente desiderabile data la situazione esistente in quel Paese, di prendere in considerazione l'opportunità che il potere legislativo dia l'autorizzazione necessaria per quel che riguarda le misure necessarie.

543

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, VOLLGRUBER

APPUNTO. Roma, 1° novembre 1935.

II signor Vollgruber é ritornato da Vienna. Ha parlato col Cancelliere, con Starhemberg, con Berger; ha assistito al Consiglio dei Ministri in cui si è trattato dell'atteggiamento verso l'Italia.

A Vienna si é decisi a mantenere l'atteggiamento negativo nei riguardi delle sanzioni, ad onta delle difficoltà che ciò procurerà all'Austria. Si è già fatta sentire la pressione inglese mediante la rinuncia di molti turisti inglesi alla stagione invernale in Austria e mediante difficoltà per le trattative per la Credit Anstaldt.

Il Governo austriaco é poi a disposizione dell'Italia per tutti quegli aiuti di cui il Governo italiano potesse avere bisogno nelle attuali contingenze.

Il Governo austriaco vede due punti deboli nel suo atteggiamento antisanzionista e precisamente: il transito di merci attraverso l'Austria e la fornitura di armi all'Italia.

Per quanto riguarda il transito di merc1 e molto probabile un intervento della S.d.N. per sospender lo; é già stato detto a Schuller a Ginevra che la libertà di transito attraverso l'Austria manderebbe per aria tutto l'edificio delle sanzioni. Pare si voglia ricorrere al metodo di contingentare all'Austria sulla media degli ultimi tre anni, i prodotti di cui sarebbe proibita l'importazione in Italia. Siccome gli ultimi tre anni sono stati i tre anni di crisi, i contingenti non sarebbero probabilmente neanche sufficienti per l'Austria. Ad ogni modo per questa minaccia il Governo austriaco non intende cambiare il proprio atteggiamento.

Il secondo punto sarebbe quello della fornitura di armi. Qui la cosa é più grave: l'Austria, secondo i Trattati, non può produrre armi per esportarle all'estero; fino ad ora si é chiuso un occhio, però l'Austria su questo punto é in difetto e quindi tale esportazione può essere proibita.

Già a Ginevra Massigli, in presenza di Eden e col consenso di quest'ultimo ha detto a Schuller che l'esportazione delle armi di Hirtenberg doveva cessare.

Per il Governo austriaco questa questione delle armi può essere un grave imbarazzo. Sarebbe un imbarazzo anche sospendere la fornitura perché ormai la fabbrica é stata attrezzata per questo. Prima di prendere una decisione il Governo austriaco vorrebbe sapere -la cosa é urgente -quale interesse il Governo italiano annette a questa fornitura.

Il Ministro mi riferisce poi sulle trattative von Papen-Berger. Nell'ultimo colloquio tra Berger e von Papen (l) quest'ultimo si era presentato dicendo che portava delle proposte non più a nome personale, ma per incarico del Governo del Reich. Chiedeva prima però che fossero liberati quegli hitleriani che erano stati incarcerati a Gmunden in occasione della sua visita in quella località. Berger si é rifiutato dicendo che era questione che interessava la giustizia austriaca. Papen ha detto che allora avrebbe dovuto partire per Berlino per riferire. Berger ha replicato che facesse come voleva. Papen è stato a Berlino; è ritornato e non si è fatto fino ad ora vedere da Berger (2).

(l) -Manca l'indicazione dell'ora di arrivo. (2) -T. 7905/437 R. del 1° •novembre 1935, ore 21, non pubblicato. (l) -Veci! D. 303. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 1° novembre 1935.

La tattica del signor Lavai appare chiara: dare in questo momento alla Gran Bretagna le soddisfazioni chieste che consistono in una promessa di collaborazione per mare, per terra, per aria, nel caso che la Gran Bretagna fosse attaccata dall'Italia. Queste assicurazioni hanno un valore puramente formale perchè il signor Lavai è persuaso che questo caso mai si verificherà.

Il signor Lavai considera che queste assicurazioni, a cui l'Inghilterra tiene in modo particolarissimo, rispondono ad un doppio fine: l) legare l'Inghilterra al .sistema di pace continentale, il che domani servirà contro la Germania; 2) data soddisfazione alla Gran Bretagna sui punti sopradetti, sarà più facile ottenere dalla stessa una maggiore comprensione del punto di vista italiano.

Sebbene il signor Lavai in questa sua politica sia andato (per leggerezza e per faciloneria) troppo avanti, si dovrebbe tuttavia dargli ancora del credito (2).

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IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2293/676. Lisbona, 1° novembre 1935 (per. il 7).

Mio telegramma n. 71 del 31 ottobre u.s. (3).

Ho parlato a lungo ieri con questo Ministro degli Affari Esteri, reduce da Ginevra, sul conflitto italo-abissino e gli ho fatto presente che in Italia aveva prodotto spiacevole sorpresa il fatto che il Portogallo avesse acceUato di presiedere la Commissione per le sanzioni, cosa che resterà come ricordo certamente non favorevole nelle buone relazioni fra 1 due paesi e che non potevo non dolermi dell'atteggiamento della stampa portoghese, che pure è controllata dalla censura, in massima parte così avversa alla tesi ed all'azione italiane. Egli mi ha detto che la presidenza della Commissione fu offerta al signor Vasconcellos di sorpresa in modo che gli riuscì difficile rifiutare (ho sentito molti portoghesi, di cui alcuni ricoprono attualmente cariche di governo, rimpiangere che ciò sia avvenuto) e, circa la stampa, egli affermò che bisognava rendersi conto dello stato d'animo della pubblica opinione portoghese fermamente avversa ad ogni mutamento di statu quo europeo e specialmente africano, e che considerava con terrore la possibilità di violente complicazioni internazionali ove il Portogallo avrebbe tutto da perdere. Egli mi ha dichiarato

che il governo, anche in seguito ai ripetuti interventi di questa R. Legazione, aveva dato alla censura ordini tassativi (infatti da qualche tempo la stampa si mostra meno contraria), e che egli aveva esplicato a Ginevra ogni opera in nostro favore nei limiti consentiti dagli impegni societari e dall'alleanza. Ha aggiunto che il governo portoghese soltanto ieri, ultimo giorno fissato dalla Commissione, aveva preso provvedimenti circa l'embargo delle armi e le sanzioni finanziarie, e che avrebbe cercato per quanto possibile di limitare ogni misura che possa ledere gli interessi italiani in Portogallo. Egli si è mostrato molto preoccupato del corso degli avvenimenti, cercando di dimostrare che l'Italia ha avuto torto di non accettare le proposte di conciliazione della Commissione ginevrina. Gli ho ribattuto con gli argomenti ben noti ma egli mi ha risposto che noi non percepiamo con esattezza l'orrore che ispira la guerra alla maggior parte dei paesi rappresentati a Ginevra, i quali temono per una ragione o per un'altra, ove si stabilisse il precedente abissino, essere oggetto di violenze internazionali. Gli ho chiesto se tali stati credevano che la Società delle Nazioni potesse in tale caso difenderli, egli mi ha detto che evidentemente essi non ne sono sicuri ma che è l'unica speranza a cui disperatamente si attaccano. Egli ha concluso dichiarando che vorrebbe potere avere la possibilità di far comprendere al governo italiano la convenienza di trovare un compromesso che tenga conto delle esigenze e dei desideri italiani ma che salvaguardi i principi societari.

Una indiscrezione che può presentare un qualche interesse è quella fattami che tra i francesi a Ginevra quegli che più risolutamente ha sostenuto la nostra tesi dando prova non solo di molta comprensione ma di affannosa ricerca di una soluzione atta a far trionfare il nostro punto di vista è il signor Léger (1).

(l) -Ed. in R. DE FELICE, Mussolini il duce, vol. I, c1t., pp. 682-683. (2) -Annotazione a margine di Suvich: «Visto dal Capo: è d'accordo». (3) -Con 'l'. 7856/71 R. del 31 ottobre 1935, ore 11.05, Tuozzi aveva comunicato: «Consiglio del Mm'lstrl !erl sera ha decretato embargo ·armi e sanz'lon! flnanziarle che entreranno !n v'lgore oggi ».
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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1959/1325. Praga, 1° novembre 1935 {per. l'11).

Mio telespresso N. 1924/1295 in data 21 ottobre (2).

Questo Incaricato d'Affari di Germania che aveva preso nota con interesse di quanto gli avevo detto circa la stampa di Henlein mi ha informato che essendosi recato a Berlino nei giorni scorsi aveva riferito quanto gli avevo fatto presente e che erano state date disposizioni perché gli inconvenienti verificatisi non si ripetessero. Mi ha chiarito: «i tedeschi dei Sudeti per 1'80% sono nazisti ed Henlein non ha che da seguire le direttive di Hitler e del nazismo. La Germania di fronte al conflitto italo-etiopico ha dichiarato di voler rimanere lealmente neutrale. Henlein e il suo partito devono fare altrettanto; hanno ricevuto perciò ordini di astenersi da qualsiasi commento sfavorevole a riguardo dell'Italia.

Si direbbe che il signor Krofta, in fondo, non aveva torto quando, in risposta alle mie rimostranze circa l'atteggiamento antitaliano della stampa dei tedeschi dei Sudeti, mi diceva: « Henlein terrà più conto delle istruzioni di Berlino che non delle intimidazioni di Praga » (l).

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Non pubblicato.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7934/1185-1185 bis R. Londra, 2 novembre 1935, ore 0,45 (per. ore 5,45).

Esperti navali francesi Ammiraglio Decaux e Comandante Deleuze sono tornati stamane a Parigi dopo 48 ore soggiorno a Londra, durante il quale essi hanno avuto scambio di idee cogli esperti del Foreign Office e con Ammiraglio Chatwood.

Ho veduto stamane questo Ambasciatore di Francia che si reca egli pure oggi a Parigi per riferire direttamente al Quai d'Orsay.

Corbin mi ha confermato che le discussioni tra gli esperti franco-inglesi hanno avuto per oggetto sia prossima Conferenza navale, sia cooperazione anglofrancese sul Mediterraneo.

l) Sul primo argomento discussione si è limitata ad un esame generico e preliminare.

Da ambo le parti si è riconosciuto che la conferenza dovrà affrontare gravi difficoltà, in vista sopratutto delle resistenze che saranno frapposte dal Giappone e dagli S.U.A.

Esperti francesi hanno dichiarato agli inglesi che circa i problemi tecnici da discutere nella prossima conferenza vi sarebbe già un accordo tra il Governo italiano e il Governo francese. Riferirò ulteriormente per corriere su questo punto (2).

2) Circa questione cooperazione anglo-francese nel Mediterra:neo questo Ambasciatore di Francia mi ha detto che: «Governo francese non poteva rinunziare a profittare dell'occasione offertagli dagli inglesi per realizzare quello che è stato per quattordici anni l'obiettivo principale della politica francese, dare cioè al trattato Locarno una base di cooperazione militare concreta e positiva. Eventuali impegni che noi potessimo assumere si riferiscono esclusivamente al caso, che noi francesi non prevediamo come possibile, che l'Italia attaccasse l'Inghilterra nel Mediterraneo. Tutta la Francia è unanime nel respingere qualsiasi proposta o azione che possa portare a misure di carattere militare contro l'Italia. Governo francese è fermo su questa linea. Tanto Ammiraglio Decaux come Comandante Deleuze hanno cercato spiegare agli inglesi le difficoltà di carattere tecnico che si frappongono ad una cooperazione anglofrancese non solo nel campo navale ma anche nel campo terrestre e aereo.

È chiaro che non è possibile, come inglesi pretendono, limitare tali di

scussioni al campo misure navali. Nessun accordo è stato raggiunto e le discus

sioni continueranno a Parigi». Sin qui l'Ambasciatore di Francia.

Mi risulta da fonte attendibile inglese che due esperti francesi hanno

accettato volentieri discutere cogli inglesi i vari punti indicati dal Governo

inglese per una cooperazione militare franco-britannica, con intesa, tuttavia,

che questa non venga limitata al Mediterraneo ma bensì venga estesa all'Atlan

tico ed al Mare del Nord.

Nello stesso tempo i francesi hanno insistito nel dimostrare agli Inglesi

difficoltà per la Francia di cooperare con la Gran Bretagna in una eventuale

azione contro l'Italia.

Alla specifica domanda inglese di usufruire della base navale di Biserta, i Francesi avrebbero risposto facendo presente serie difficoltà che da tale eventuale concessione deriverebbero alla Francia, data presenza in Tunisia di una forte colonia italiana, la quale non mancherebbe di reagire.

Esperti francesi hanno continuato dicendo che sarebbe impossibile, nel caso di complicazione con l'Italia, limitare al campo navale la cooperazione militare con l'Inghilterra. Una mobilitazione dell'esercito francese sarebbe fatto che implicherebbe subito necessità richiamare truppe dall'Africa.

In questo caso Francia sarebbe costretta domandare all'Inghilterra di concorrere con la sua flotta alla protezione dei trasporti di truppe dall'Algeria contro inevitabili attacchi flotta italiana.

Esperti francesi hanno richiamato attenzione degli Inglesi sulla efficienza della Marina italiana e specialmente dei sommergibili, sopratutto in una guerra corsara quale sarebbe appunto una guerra nel Mediterraneo, che permetterebbe agli Italiani di sfruttare al massimo loro possibilità.

Mi risulta ·che Ammiraglio Chatwood si prepara recarsi a Parigi per continuare conversazioni con Stato Maggiore francese.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Non rinvenuto.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7914/439 R. Ginevra, 2 novembre 1935, ore 1,15 (per. ore 4,45).

Sin da stamane Lavai e Hoare hanno entrambi chiesto alla Delegazione di vedermi al mio arrivo. Stasera incontrato Lavai. Incominciato a dirgli che ero venuto sopratutto a dissipare malintesi.

l) Negli ambienti di Ginevra si dice che Ia mia venuta si debba a nostro desiderio di trattare e pertanto egli, che sa benissimo che è solo dietro sua personale preghiera che il Capo del Governo ha ordinato Ia mia venuta, farà bene a mettere in chiaro questo punto a mezzo della sua stampa e, eventualmente, a mezzo di una dichiarazione in qualche seduta alla S.d.N. Mi ha promesso di farlo.

38 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

2) E ben chiaro che l'Italia non desidera essere messa in questa occasione di fronte a nuove proposte inaccettabili, dato che essa non le ha in nessun modo provocate. Noi non ci presteremmo al gioco del quarto rifiuto. Per evitare ciò la Francia non ha che da tenere fede all'impegno assunto verso di noi di tenerci di momento in momento al corrente di ogni sua trattativa al riguardo. Anche su questo punto mi ha dato assicurazioni aggiungendo che mai farà una proposta senza nostro previo assenso.

3) Notizie da varie fonti hanno prodotto in Italia convinzione che un vasto accordo politico-militare franco-inglese sia in corso di preparazione. Tali trattative, volte a completare l'accordo militare già intervenuto relativo all'accordo dei porti militari francesi, hanno prodotto nel nostro pubblico pessima impressione, mentre nelle sfere governative sono state interpretate come la cancellazione degli accordi di gennaio. Difatti di tali accordi è stata violata la lettera, non essendo noi stati preventivamente consultati, e lo spirito, in quanto le trattative sono la manifestazione di un atteggiamento a noi ostile. Lavai ha tentato di giustificare accordo pei porti dicendo che esso non esorbita dai doveri imposti dall'articolo 16, alinea 3, del Patto. Dimostratogli facilmente che la flotta inglese è venuta nel Mediterraneo prima, ed indipendentemente, da ogni decisione di Ginevra, ha tentato altre giustificazioni sulla base degli attacchi della stampa italiana e invio Divisioni in Libia, dipendenti anche essi, secondo lui, dal corso della trattazione della questione italo-etiopica alla

S.d.N. Replicato che stampa italiana aveva risposto a campagna iniziata da stampa inglese e che, eomunque, era caso assolutamente nuovo nella politica internazionale che attacchi di stampa provocassero mobilitazione. Quanto poi agli accordi anglo-francesi, innegabilmente susseguenti alla venuta della flotta, essi costituiscono una presa di posizione contro l'Italia per la quale Francia non trova alcuna giustificazione. Perchè Francia si è rifiutata ad una analoga nostra proposta di or è un mese tendente a stringere maggiormente i legami fra di noi? Sarebbe oggi la Francia disposta ad assumere verso di noi gli stessi impegni politico-militari che ha contratti e sta contrattando con l'Inghilterra? Mi ha chiesto di riflettere ed ha sviato subito discussione sulla questione della smobilitazione nel Mediterraneo, la quale, se fosse decisa in base alle linee esposte in seguito, renderebbe secondo lui, automaticamente sorpassate tutte suesposte complicazioni. Ho tenuto a mareare che anche in quel caso la questione di principio resterebbe inalterata.

Trattative per smobilitazione. Non ha risposto nulla a Clerk, che gli ha riferito su ultimi colloqui Drummond con V.E. (1) perchè di questa delicata questione voleva parlare direttamente ad Hoare, al quale ha detto stamane che non era stato elegante da parte inglese lasciar cadere l'occasione di rispondere adeguatamente al gesto del ritiro Divisioni della Libia e alle proposte del Duce, che egli ha appoggiate, ripetendo a Hoare le nostre considerazioni tecniche in base alle quali deve essere commisurata la mobilitazione dell'una e dell'altra parte. Mi ha detto che, anche in questo campo, egli ha intenzione di proporre al Duce e a Hoare la sua mediazione sulla seguente base: contemporanea riduzione delle nostre forze in Libia e delle forze navali inglesi

(ll Vedi DD. 388 e 510.

nel Mediterraneo al livello dei tempi normali. Prima di marciare su questa via chiede per mio tramite l'assenso di V.E. Sanzioni: Egli ne ha parlato stamane con Hoare e massimo a cui è riuscito è stato di spostarne la data di applicazione al 15 corrente.

Mediazione. Dettomi essere stato molto sorpreso di vedere che Inglesi, invece di rigettare senz'altro linee mediazione, che egli aveva chiesto a V.E. e che poi aveva fatto sue, avevano risposto inviando a Parigi Peterson. Questi ha redatto, in collaborazione con Saint-Quentin, noto progetto telegrafato da Cerruti (1). Tale progetto non è stato accettato dal Foreign Of.fice che ne ha fortemente ridotto le concessioni, ·secondo ha telegrafato stesso Cerruti (2). Lava! dettomi avere subito dichiarato stamane a Hoare impossibilità basarsi su tale progetto ridotto. Naturalmente gli ho detto che di questo secondo progetto non era nemmeno il caso di parlarne. Lava! è fiducioso che si potrà giungere ad una soluzione non perdendo i contatti. È solo però ad elezioni inglesi avvenute che egli si propone di esercitare una energica pressione su Londra per concludere la pacificazione prima che le sanzioni, che la Francia non vuole, abbiano prodotto le loro rovine economiche.

Domani mattina vedrò Hoare (3) e rivedrò Lavai (4).

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. PER RADIO 2093/268 R. Roma, 2 novembre 1935, ore 2.

Telegrammi di V. E. nn. 366-367 (5).

In occasione Suo imminente incontro col Generalissimo, prendendo le mosse dalla questione seggio Cina in Consiglio, V.E. vorrà coltivare, nel modo che riterrà più appropriato, speranze Cina nella S.d.N. (speranze che sembrano rinascere costà) nel senso che. qualora Giappone commettesse nuove violazioni territorio o sovranità cinese, tutto sommato, converrebbe alla Cina fare appello alla S.d.N.; potrebbe infatti darsi che, da un lato atteggiamento assunto dalla Lega nella vertenza itala-etiopica e, dall'altro, interessi inglesi che verrebbero lesi nella vallata Yang-Tze, inducessero Ginevra essere in Estremo Oriente meno blanda che in passato. In ogni caso mossa cinese verrebbe a mettere Lega in grave imbarazzo.

Aggiunga che R. Governo da parte sua continuerà appoggiare, nella apposita Commissione che tornerà riunirsi sotto presidenza delegato italiano verso fine novembre, richiesta Cina di un seggio in Consiglio.

Mi rendo conto che se Cina torna guardare con fiducia a Ginevra più difficilmente potrà essere distolta dallo applicare sanzioni nei nostri riguardi.

Ma, prima di tutto, vantaggi che deriverebbero a noi dal rimettere in questo momento S.d.N. di fronte a una vertenza cino-giapponese sarebbero assai maggiori che inconvenienti eventuali sanzioni cinesi e poi sanzioni anzidette, seppure dovessero essere applica~e nella forma, potrebbero essere vuotate di contenuto !imitandole nella loro estensione e nella loro applicazione pratica, secondo idee espresse da V.E. a codesto Ministro delle Finanze e da lui divise in massima (l).

(l) -Vedi D. 492. (2) -Vedi D. 528. (3) -Vedi D. 554. (4) -Vedi DD. 550 e 555. (5) -Vedi D. 498.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7948/443 R. Ginevra, 2 novembre 1935, ore 12,35 (per. ore 13,50).

Ho veduto 1en sera Lavai dopo la sua seconda conversazione con Hoare. Mi ha detto di avere portato a conoscenza del suo collega inglese gli argomenti trattati nella conversazione avuta con me e mi pregava stamane, vedendo il Ministro degli Affari Esteri inglese, di porgli il problema del ritiro della «HomeFleet » dal Mediterraneo nelle linee concordate. Questa comunicazione di La val mi lascia credere che egli abbia incontrato ieri sera della resistenza.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 2101/715 R. Roma, 2 novembre 1935, ore 13.

Con telegramma posta n. 2228 del 26 corrente (2) V. E. ha rimesso un estratto della dichiarazione verbale che Lavai ha fatto all'Ambasciatore della Gran Bretagna in risposta al quesito posto dal Governo britannico circa l'obbligo della mutua assistenza derivante dall'articolo 16. Dall'assieme di notizie circa le trattative anglo-francesi in materia di assistenza francese, nel caso in cui la Gran Bretagna fosse attaccata dall'Italia, si dovrebbe ritenere che il Governo francese abbia fatto all'Inghilterra ulteriori comunicazioni. Alcuni giornali francesi precisano la data del 26 ottobre. Le relazioni di reciproca fiduciosa amicizia che esistono tra l'Italia e la Francia e la lettera e Io spirito della Dichiarazione generale premessa agli Accordi itala-francesi del 7 gennaio ci dànno, mi pare, il diritto di chiedere alla Francia di darci esatta comunicazione dei termini dell'impegno da essa preso, dato che l'oggetto dell'impegno stesso sarebbe l'Italia. PregoLa esprimersi in tal senso con Lavai (3).

(l) -Per la risposta di Lojacono vedi D. 560. (2) -Non pubbllcato. (3) -Vedi D. 571, Allegato.
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L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7997-8004-8005/377-377/2-379 R. Shanghai, 2 novembre 1935, ore 13 (per. ore 4,20 del 3).

Ho avuto a Nanchino colloqui con Vice Ministro degli Affari Esteri e poi con Chang Kai-Shek.

Ho chiesto al primo informazioni precise sopra atteggiamento Cina nei riguardi sanzioni, richiamando attenzione sopra importanza di questo momento sia per il fatto specifico della lesione degli interessi italiani sia per le conseguenze generali sulla politica italo-cinese, sul cui avvenire gradivo conoscere punto di vista cinese. Ho aggiunto che, pur conoscendo ragioni di principio e pericoli della situazione in Estremo Oriente che portano Governo cinese a non intaccare pretesa potenza della Lega delle Nazioni per poi metterla alla prova qui e darle forse un colpo mortale, dovevo metterlo in guardia contro pericoloso gioco di alcuni Stati che, specie all'ombra della Lega delle Nazioni e dietro lo schermo di rapporti politici, credono di soddisfare eroica velleità di colpire Italia senza indubbio rischio. Essi debbono essere avvertiti che prima di morire di fame popolo italiano preferirà affrontare prova del fuoco rompendo con la spada il nodo che vorrebbe soffocarlo. Che quindi sanzioni sono inutili se inefficienti e sono tremendamente pericolose per tutti se efficienti.

Isusumo mi ha risposto che era con grandissimo rincrescimento che Cina si trovava nel dilemma della fedeltà alla Lega delle Nazioni ovvero della fedeltà all'Italia amica. Che Governo cinese confidava che V.E. avrebbe compreso come situazione esistente in Estremo Oriente creava alla Cina necessità riporre sue speranze sopra aiuto mondo occidentale, cui appoggio non potrà manifestarsi da parte di alcuna Potenza singolarmente presa bensì attraverso accordo collettivo, e che se pure queste speranze erano minime non era possibile a questo Paese rinunziarvi. Mi ha spiegato che fra le varie domande della Lega delle Nazioni per le sanzioni nessuna concerne la Cina,

salvo quella del boicottaggio delle esportazioni italiane, e che Governo cinese non poteva da una parte approvare le altre domande e rifiutare poi questa unica che lo riguarda, senza dimostrare di prendersi gioco della Lega delle Nazioni. Che quindi Governo cinese aveva risposto favorevolmente alla applicabilità di questa sanzione «in linea di principio» e senza indicare data in cui intende metterla in azione. Ciò per mantenersi in atteggiamento assolutamente passivo fino a che Lega delle Nazioni non gli imponga una data di inizio. Ha aggiunto che, in questo caso, e malgrado presenza di una organizzazione doganale dominata da inglesi, riteneva possibile girare difficoltà e che consigliava a persone non ufficiali, da me incaricate, di prendere contatti con sfere commerciali cinesi di Shanghai per preparare espedienti che « certamente esistevano ».

Alla sua dichiarazione che Cina avrebbe continuato a vendere all'Italia tutto ciò non compreso nelle Uste delle materie vietate, e principalmente carbone, ho risposto che noi potevamo valerci del carbone e di altre materie cinesi in quanto ci sia possibile pagare con compensazione di merci italiane introdotte in Cina e che quindi avvenire commerciale fra i due Paesi dipendeva da possibilità eludere boicottaggio merci italiane, anche con l'aiuto delle Autorità cinesi. [Confidavo quindi che] loro spirito continuasse essere amichevole verso Italia in queste gravi contingenze che costringono Cina a mettersi formalmente fra Paesi che condannano Italia.

Isusumo mi ha assicurato che questo spirito amichevole [perdurava] e che avrebbe cercato di dimostrarlo nello studio di tutti gli espedienti pratici per danneggiarci il meno possibile.

Colloquio con Chang Kai-Shek. Ho presentato espressione di calorosa simpatia di V.E. per sforzi compiuti verso riorganizzazione questo Paese e lotta contro comunismo. Ho aggiunto che, malgrado ogni difficoltà, V.E. mi ha incaricato di garantire che tutti gli impegni assunti da parte nostra per forniture alla Cine saranno rispettati. Ho detto che mi sembrava opportuno, nel momento in cui Cina si apprestava associarsi alle sanzioni, potesse giungere a V. E., dalla persona stessa di Chang Kai-Shek, una parola di spiegazione e di affidamento sull'avvenire delle relazioni italo-cinese.

Chang Kai-Shek mi ha chiesto (forse perchè non pronto ad una migliore risposta) a che punto fossero trattative tra l'Italia e Francia e Inghilterra per una pace in Abissinia. Gli ho risposto che non avevano fatto un passo avanti. Egli mi ha detto allora che era consigliabile mettere termine rapidamente allo stato di incertezza regnante in Europa. Gli ho risposto che lo ringraziavo del consiglio ma che tutto dipendeva dalle soddisfazioni che Europa darà alle aspirazioni ed all'onore del Popolo italiano. Ancora una volta egli ha insistito che, nell'interesse del Popolo italiano, era opportuno che l'Italia si mostrasse più arrendevole. Gli ho detto che Popolo italiano preferiva morire piuttosto che rinunziare al successo e che era disposto, se il cerchio si stringeva troppo, a romperlo con le armi. Ad una monotona ripetizione che urgeva far presto, ho risposto che non potevo interpretare questo suo atteggiamento se non come un augurio di immediata vittoria dell'Italia.

Come V.E. vede, questo principio non è stato facile ma lo attribuisco non tanto da un vero proposito di Chang Kai-Shek di dire delle cose inopportune, quanto al fatto che egli non avesse forse chiara preparazione sulle cose da dire. Ammiratore, come sono, dei soldati e dei contadini non faccio torto a Chang Kai-Shek dicendo che in tutto il colloquio egli non mi è apparso più di un semplice contadino cinese, asservito da soldati europei.

Passando alla questione specifica delle sanzioni, egli ha ripetuto dichiarazioni fattemi prima da Isusumo, accentuando frasi relative a desiderio di lui di aiutare Italia e possibilità trovare espedienti e vie traverse giungere strada segreta in guisa da avviare commercio italo-cinese. Accenno a S.U.A. mi è sembrato destinato a indicare un Paese non membro della S.d.N. ben più del Giappone come intermediario dei nostri traffici con Cina.

Dopo aver abbordato questione L8rdi ed altre, egli mi ha congedato di

cendomi che «augurava successo all'Italia».

Sulla questione Lordi ha preso parola per il primo porgendomi testo di un telegramma per l'E. V. che trasmetto in traduzione dall'inglese (1). Ho detto che avrei inoltrato telegramma ma che mi correva obbligo dichiarare che Lordi era stato sostituito per ragioni di salute, che già si erano rivelate molto gravi a Shanghai nel giugno scorso e che rendevano suo ritorno materialmente impossibile.

Chang Kai-Shek ha detto che lo si privava del braccio destro e che non era giusto che egli ricominciasse ad affiatarsi con altri esperti. Non starò a ripetere con quanta ferma insistenza egli ha continuato a reclamare ritorno Lordi, per quanto io lo pregassi di aver fiducia nella persona di Scaroni, che V. E. aveva prescelto e che offriva assolute garanzie di efficace lavoro. Alla fine egli mi ha detto che non era vero che Lordi fosse ammalato e che invece gli risultava ,che era « imprigionato » in Italia. Che se questo provvedimento derivava da fatti commessi in Cina, egli copriva completamente Lordi e chiedeva suo ritorno, se invece si trattava di fatti commessi in Italia non aveva nulla da dire. Gli ho detto che non conoscevo quale fosse situazione disciplinare di Lordi ma che certamente, se erano state prese misure contro di lui, ciò doveva dipendere da fatti che in qualunque caso non potevano sfuggire alla disciplina militare italiana. Generalissimo mi ha espresso desiderio di avere da V. E. una comunicazione in proposito.

Ci troviamo evidentemente in presenza di un intrigo proveniente tanto dall'ambiente dei Generali cinesi che aspettano soldi quanto da contatti epistolari che debbono essere intervenuti tra signora Lordi e signora Chang Kai-Shek. Intromissione di quest'ultima sembra sicura se si considera energia spiegata da Generalissimo per ritorno Lordi come nessun Capo di Governo penserebbe mai di fare per una questione di persone e di fronte ad un Rappresentante straniero.

Debbo segnalare a V. E. che compito Scaroni non è facile in questo ambiente di intrigo di donne e di pretoriani. Ho detto perciò a Scaroni di procedere con [cautela, di badare] alla sostanza delle cose e di cercare di sfondare con una sola arte: « di essere un duro al lavoro ».

Permettomi ora suggerire che risposta di V. E. giunga al più presto a Chang Kai-Shek anche nell'interesse della chiarezza della posizione di Scaroni.

Se mi è lecito suggerire tono risposta credo che questa dovrebbe riaffermare che desiderio di V. E. di accontentare sempre Generalissimo [è] frustrato in questo caso da effettive condizioni di salute di Lordi alle quali si aggiunge,

senza che occorra farne mistero, una procedura disciplinare, che riguarda unicamente sua qualità di Ufficiale Italiano e che non potrebbe quindi essere trascurata senza ·ledere onore dell'Arma a cui egli appartiene (1).

(l) Il testo del telegramma di Chang Kal-Shek a Musso1lni, trasmesso con 'il T. 380, era il seguente: «Con profondo rincrescimento ho appreso sostituzione Lordi. Naturalmente Ignoro ragione che abbia fatto prendere provvedimento, ma durante la sua permanenza in Cina si dimostrò fedele, onesto, capace, diligente e coscienzioso nel disimpegno delle sue mansioni od rn altre parole un uomo di integrità inattaccabile ed un degno esponente della dottrina fascista. Se mai alcun appunto gli fu mosso, esso si rifeirì alla sua insistenza su stretta disciplina tra i suoi subordinati, desideroso con questa di mantenere un alto grado di efficienza nella Missione aeronautica. E in questo punto egli eseguiva semplicemente mie! ordini. In considerazione di quanto precede, esprimo la speranza che V. E. voglia permettergll di ritornare al più presto possibile in Cina per condurre a termine il suo compito, per il quale egliè parti,colarmente adatto e per 11 quale egli gode della mia p.ierna fiducia».

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L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLO'ITA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7990/329 R. Buenos Aires, 2 novembre 1935, ore 15,06 (per. ore 21,30). Mio telegramma n. 326 (2).

V. E. è a questa ora certamente già al corrente del tenore della risposta argentina data in definitiva a Ginevra in merito sanzioni finanziarie ed economiche.

Pubblica dichiarazione di Saavedra Lamas circa impossibilità boicottaggio nostre importazioni quì, senza previa votazione di una speciale legge da parte Congresso (cui periodo sessione ordinaria dovrebbe riaprirsi, a meno apposita convocazione, soltanto maggio 1936), è stata accolta senso unanime approvazione e sollievo da questa opinione pubblica. Ciò è sintetizzato da odierni commenti ufficiosi Nacion che afferma avere raccolto nei circoli governativi: «certamente sanzioni non danneggeranno gli interessi itala-argentini ».

Oltre favorevoli disposizioni, precedentemente segnalate, dei Ministri competenti, mi è stato di speciale ausilio, per girare difficoltà procedurali riferite con il mio telegramma n. 326 (3) e per ottenere riserve contenute nella formula dilatoria ora detta, il volenteroso e decisivo intervento del Presidente della Repubblica, da me sollecitato in data del 29 ottobre con lettera strettamente confidenziale a mezzo opportuna interposta persona.

Per la nostra stampa mi permetto raccomandare vivamente, ove nulla osti, atteggiamento prudenziale, in entrambi sensi, nei riguardi Argentina, scopo non tendere nota delicata situazione di quest'ultima obbligata dimostrare formale completo ossequio a patto S.d.N. (4).

Lunedì avrà luogo presso questo Ministero degli Affari Esteri prima riunione plenaria con la missione Asquini (l) sotto apposita forma di semplice studio.

(1) -Mussol!ni rispose a Chamg Kai-Shek con il seguente telegramma, trasmesso a Lojacono con T. 13008/279 P.R. del 6 novembre 1935:«Alto elogio di V.E. per opera compiuta da Lordi mi è giunto particolarmente gradito in quanto dimostra quali buO'Ili frutti possa dare concreta collaborazione tra i nostri due Paesi. V.E. sa che è mio vivo desiderio accontentarla in ogni circostanza ed anche questa volta avrei desiderato poterlo fare tornando ad inviare Lordi presso di Lei. Senonché. purtroppo, ne sono impedito da condizioni salute Lordi, le quall non permetterebbero all'ex Capo Missione Aeronautica italiana riprendere suo compito con energia che esso richiede. Con preghiera tenere notizia riservata, mi duole dover aggiungere che a carico Lordi è in corso procedura discipllnare: tale procedura ·riguarda unicamente sua qualità ufficiale itallano e pertanto non potreboo essere trascurata senza ledere onore Arma cui egll appartiene. Assicuro V. E. che ho messo ogni cura nello scegliere successore Lordi, nell'intento inviarL<> persona adatt·a a continuare riorganizzazione aviazione cinese, così felicemente iniziata sotto gutda della E.V. e conftdo che Ella troverà Scaroni all'altezza della missione che gli ho affidato». (2) -Con il T. 7809/326 R. del 29 ottobre 1935, ore 22,35, Arlotta aveva ~nformato che, a seguito delle dirette pressioni di Avenol, il Governo argentino si apprestava a comunicare le proprie decisioni circa le sanzioni. (3) -Non pubbllcato. (4) -Con T. 13386/215 P.R. del 13 novembre 1935, ore 24, Alfieri comunicava ad Arlotta: «Info•rmasi che sono state impartit€ istruzioni alla stampa italtana in relazione raccomandazioni d! V. E.».
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7975/445 R. Ginevra, 2 novembre 1935, ore 21,06 (per. ore 22,45).

Avuto colloquio lunghissimo con Hoare che era solo, senza Eden. È stato marcatamente cortese, rinnovando a varie riprese proteste di simpatia ed amicizia. Il tono è stato quindi assai migliore di quello dell'ultimo incontro di ora è un mese (2). Ha incominciato deplorando che situazione sia finita per sboccare dove egli da molti mesi aveva previsto. Gli ho risposto che lo stesso potevamo dire noi e gli ho ricordato a questo proposito gli sforzi invano tentati presso Eden nei mesi scorsi per stabilire un continuo contatto diretto fra noi. In ogni modo credevo oggi preferibile abbandonare inutili recriminazioni e considerare realisticamente situazione attuale.

Smobilitazione. A varie riprese Governo britannico e Hoare stesso personalmente hanno dichiarato di non avere alcuna intenzione ostile contro l'Italia e di essere disposti ad accogliere qualunque tentativo di conciliazione. Sembravagli mai possibile che tali tentativi potessero svilupparsi in atmosfera adatta qualora Home Fleet continuasse a stazionare nel Mediterraneo e qualora dopo il 15 corrente a queste pressioni si aggiungesse anche quella delle sanzioni? Dalla sua personale fierezza egli doveva comprendere come fierezza italiana si ribellasse alla idea di trattare sotto pressioni e minaccie. È per questa ragione che Duce aveva fatto gesto elegante, vero tair play, -cioè decisione non negoziata -ritirando di:visione dalla Li:bia. A questo gesto, Governo inglese non solo non aveva convenevolmente risposto, ma aveva inviato Drummond dal Capo del Governo (3) per dire sostanzialmente che una divisione non bastava e che prima di iniziare -con appena due navi -smobilitazione della « Home Fleet », Inghilterra poneva come condizione un ulteriore ritiro truppe [dalla Libia]. Ci dispiace non esserci potuti incontrare in questa occasione con Gran Bretagna in una scambievole eleganza di atteggiamento che tanto avrebbe contribuito ad avviare la questione verso una soluzione. In ogni modo dopo queste esperienze è chiaro che, qualora Capo del Governo decidesse accedere alle proposte comunicate da Lavai (mio telegramma

n. 439) (4), ciò non potrebbe avvenire sotto condizioni, ma nella forma di « gentlemen agreement » e nei termini di smobilitazione contemporanea, una soluzione leale. Hoare ha ascoltato e solo in fine ha obiettato che in questo momento opinione pubblica suo paese non potrebbe approvare una riduzione

di più che due navi. Tuttavia egli personalmente si immedesimava nostre ragioni e questa sera rientrando a Londra parlerebbe a Baldwin della questione, comunicandoci risposta entro due o tre giorni.

Conflitto itala-etiopico. In primo luogo ho spiegato anche a lui che noi non l'abbiamo chiesta e che iniziativa mediazione è tutta di Lavai, dietro cui insistenze V. E. si è limitata a fare conoscere condizioni fondamentali alle quali R. Governo potrebbe prendere in considerazione eventuali tentativi pacificazione Cl). Successivamente gli ho compendiato punto di vista italiano nei due termini sicurezza espansione, a entrambi i quali siamo stati costretti a provvedere con nostre forze, visto che né Stati né Società delle Nazioni sono stati disposti ad aiutarci a provvedere. Oggi problema si è arricchito di un terzo termine: questione territorio occupato. Se occupazione ha messo in luce esattezza e verità delle ragioni determinanti nostra azione in Etiopia, ha prodotto anche un fatto nuovo che tutti i Governi saranno ormai costretti tenere conto: spontanea sottomissione Capi, Clero e popolazioni che rende ormai fuori discussione definitivo distacco Tigré da Etiopia in base principio ginevrino auto decisioni popolari. Hoare mi ha subito obiettato che cessione Tigré all'Italia è da escludere giacché sarebbe inammissibile il riconoscimento di un premio all'aggressore. Gli ho ribattuto invitandolo a considerare se Inghilterra, in analoghe condizioni, potrebbe mai ammettere di riconsegnare aUa vendetta del Negus popolazioni che si fossero spontaneamente affidate alla protezione della Bandiera britannica. Questo argomento l'ha colpito e mi ha chiesto allora se vi fosse via per conciliare le due esigenze. A titolo personale gli ho accennato alla possibilità di uno Stato cuscinetto indipendente del Tigré. Hoare è parso accogliere l'idea con vivo interesse.

Circa espansione gli ho detto che proprio lui, che in varie circostanze aveva riconosciuto questo nostro diritto, doveva ora agire in conseguenza e badare a non offrirei ancora deserti, così come hanno fatto riducendolo Peterson -Saint-Quentin ai territori al di qua del quarantesimo di longitudine. A lungo sulla carta, ho cercato dimostrargli legittimità e necessità cessione di tutta regione compresa nella richiesta di V. E. Hoare ha dimostrato molto interesse e mi ha chiesto continue spiegazioni, ma non si è pronunziato. Su di un solo punto è stato esplicito e deciso, ripetendo trattarsi di conditio sine qua non di qualunque pacificazione: sullo sbocco al mare da accordare in sovranità e non in concessione, il quale possa servire come contropartita alle cessioni territoriali da parte dell'Etiopia.

Mi ha chiesto poi cosa ci era di vero nella voce che V. E. si proponeva di trattare direttamente col Negus. Ho risposto di ignorare ogni cosa al riguardo, ma di ritenere che evidentemente se Inghilterra si dimostrerà intrattabile, l'Italia non potrà far a meno di tentare altre vie. Abbiamo concluso decidendo di mantenere il contatto finché non si potranno abbordare vere e proprie trattative.

Impressione complessiva del colloquio è stata la marcata cordialità. Tuttavia, se forma è migliorata, non sembra almeno pel momento, che irrigidimento inglese accenni a mitigarsi. In tutto il corso del colloquio affiorava

evidente sottintesa impossibilità qualunque decisione -salvo forse smobilitazione -prima delle elezioni. Oramai qualunque mossa del Governo inglese è volta a questo fine supremo. Anche la S.d.N. e anche gli Stati qui rappresentati sembrano in istato di mobilitazione agli ordini elettorali del Governo britannico.

(l) Il prof. Alberto Asquini era a Buenos Aires con l'incarico di presiedere la Commissione mista di studio per l'·intercambio tra i due Paesi.

(2) Cfr. P. ALorsr, Journal (25 juillet 1932 -14 juin 1936), Paris, Pian, 1957, p. 309.

(3) -Vedi D. 505. (4) -Vedi D. 548.

(l) Vedi D. 357.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7966/446 R. Ginevra, 2 novembre 1935, ore 17,50 (per. ore 20,20).

Ho riferito a Lavai conversazione avuta con Hoare (1). Trova meschino a prova di vedute atteggiamento inglese nei riguardi smobilitazione Mediterraneo e si propone di far nuove pressioni in proposito. Ma anche lui è convinto che per ora le elezioni soffocano qualsiasi altra preoccupazione.

Affermando di voler dare grande prova di fiducia, Lavai mi ha dato lettura documenti scambiati tra Parigi e Londra relativi accordo navale anglofrancese. Effettivamente dalla loro lettura reazione francese alle richieste inglesi appare tenace e talvolta perfino violenta, cosi come appare evidente cura mantenere impegni entro i limiti fissati dall'articolo 16, alinea 3, del Patto. Mi permetto consigliare di richiedere ufficialmente al Governo francese schiarimenti su tale argomento.

Lavai mi ha informato che stamane Primo Ministro belga gli ha suggerito di farsi promotore proposta di una tregua di armi fra l'Italia ed Etiopia e che egli ha rifiutato (2).

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IL MINISTRO AL CAIRO, GRIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 7987/612 R. Cairo, 2 novembre 1935, ore 22,30 (per. ore 3,10 del 3).

Mi sono recato da questo Ministro Affari Esteri, il quale mi ha confermato che il Governo egiziano ha comunicato S.d.N. sua decisione aderire linea di massima applicazione sanzioni finanziarie ed economiche. Gli ho chiesto se Governo egiziano avesse dato comunicazione sua decisione a R. Governo. Mi ha risposto essersi limitato informarne per notizia Ministro egiziano Roma.

Ho quindi energicamente ribadito ancora una volta ad Ezzat Pascià argomenti già ripetutamente svolti a lui, a Presidente del Consiglio e Ministro

delle Finanze e che sostanzialmente corrispondono a quelll contenuti nel telegramma di V. E. n. 305 (1). Ezzat Pascià, visibilmente imbarazzato, non ha saputo rispondermi altro che trattarsi decisione Consiglio dei Ministri dovuta ragioni ordine superiore. Gli ho ripetuto che Governo egiziano non ha diritto prendere misure che costituiscono infrazione principi neutralità e violazione accordi economici vigenti fra i due Paesi e ho concluso formulando più ampie riserve per ogni ulteriore azione dopo avere riferito a V. E. Vedrò domani Presidente dei Ministri al quale terrò analogo linguaggio (2).

Pregherei telegrafarmi eventuali istruzioni ulteriore linea condotta anche relazione mio rapporto n. 1082 del 18 ottobre (3). Riservomi intanto comunicare quanto risulterà circa effettivi provvedimenti che verranno adottati e per i quali riterrei opportuno presentare nota scritta ampia protesta per ogni infrazione sia accordo commerciale che regime capitolare.

Stampa esprimesi finora grandissima maggioranza contraria decisioni governative che attribuisce imposizione britannica. In questi ambienti stranieri si riconosce che Egitto non ha alcun diritto adottare sanzioni e si osserva che Governo egiziano non solo non gode alcuna indipendenza sostanziale ma non è nemmeno in grado salvare la forma. È atteso per oggi comunicato ufficiale Governo egiziano. Queste collettività italiane si preparano rispondere sanzioni con offerte oro alla Patria (4).

(l) -Vedi D. 554. (2) -Con T. 7998/455 R. del 3 novembre 1935. ore 11,35, Aloisl riferiva ancora: «Al fine di evitare qualsiasi malinteso circa la demobilitazione del Mediterraneo ho pregato Lava!, in seguito alla mia conversazione di sta.mane con Hoare, di precisare con quest'ultimo che l'idea di ri:tLrare i due «battle cruisers » contro una divisione itaHana dalla Libia, non poteva essere presa in considerazione dal R. Governo ed era già stata rifiutata dall'E.V. nella conversazione con Drummond [vedi D. 510]. Lavai mi ha assicurato di avere fatto tale comunicazione».
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 8073/0301 R. Londra, 2 novembre 1935 (per. il 5).

Ho avuto oggi una lunga conversazione con Vansittart.

Ho trovato Vansittart in uno stato d'autentica sovraeccitazione per le notizie ricevute da Drummond sull'andamento del colloquio avuto con il Duce in data 29 corrente (5). Vansittart mi ha detto che 1 risultati del colloquio fra il Duce e Drummond hanno sorpreso il Governo britannico il quale si aspettava ben diversa accoglienza. Vansittart ha aggiunto che Drummond è stato oggi incaricato di domandare al Duce in modo preciso quali sono le sorgenti d'informazioni secondo le quali il Duce ha potuto asserire a Drummond che l'Inghilterra ha l'intenzione di provocare a Ginevra l'adozione di misure per il controllo militare di sanzioni economiche, nonché premere sugli Stati Uniti e sulla Germania perché aderiscano alle misure adottate a Ginevra contro l'Italia. Vansittart ha enfaticamente ripetuto che tutte queste sono menzogne e che il Governo britannico non ha mai avuto nè ha alcuna intenzione preconcetta e ostile contro l'Italia.

Ho risposto molto calmamente a Vansittart che non vi è alcun bisogno di domandare al Duce spiegazioni sopra elementi di fatto che sono ormai noti e conosciuti dall'opinione pubblica di tutto il mondo, e che la stampa ufficiosa britannica, nell'illustrare l'azione del Governo, s'incarica ogni giorno di confermare.

Vansittart mi ha interrotto, per ricordarmi le parole pronunciate da Baldwin ieri sera al Guildhall di rispetto e di amicizia per l'Italia, e le ripetute dichiarazioni fatte dai Ministri inglesi che l'Inghilterra non ha mai pensato nè ha in animo d'applicare sanzioni militari all'Italia.

Ho risposto che l'Inghilterra non ha imparato niente dall'esperienza di tutti questi mesi. «È fra l'altro supremamente ridicolo -ho detto -ritenere che l'Italia fascista, dopo le esperienze di quasi dieci mesi d'azione antiitaliana esercitata dall'Inghilterra, possa prendere sul serio le dichiarazioni d'amicizia e le assicurazioni verbali date recentemente dagli uomini del Governo britannico, e ciò mentre il Governo britannico persegue senza posa la sua azione diretta ad accumulare armi nel Mediterraneo, a distruggere l'intesa italo-francese, a premere sulla Francia per un accordo di cooperazione e d'intervento militare contro l'Italia nel Mediterraneo, a rendere sempre più drastico e operante l'assedio economico, a stroncare in una parola la nostra impresa in Africa e umiliare l'Italia e il regime :».

Vansittart ha ribattuto vivacemente dicendo che tutto ciò non era vero, e che bisognava distinguere fra l'azione fatta dall'Inghilterra, direttamente e l'azione che l'Inghilterra è costretta a fare quale membro della Società delle Nazioni.

Ho replicato che questa ormai è una vecchia storia alla quale nessuno ha mai creduto nè in Italia nè in Europa nè in nessun paese del mondo. Mentre ieri Baldwin cercava di blandire, con parole di dubbio significato, il popolo italiano, l'Inghilterra respingeva i suggerimenti di Lavai per una ragionevole soluzione della questione abissina, frustrava con proposte assurde la leale iniziativa del Duce per una totale smobilitazione nel Mediterraneo, strappava all'Egitto l'adesione alle sanzioni economiche contro l'Italia e cercava di mettere in moto nella City l'applicazione di sanzioni finanziarie contro l'Italia dando alle misure di principio adottate a Ginevra un'interpretazione e un carattere ancora più drastico e ancora più ostile di quello che l'Inghilterra non abbia dato nei riguardi della stessa Germania all'inizio della guerra del 1914.

Vansittart ha protestato dicendo che l'Inghilterra non andrà oltre alle sanzioni economiche e che tutte le interpretazioni in senso contrario sono puramente arbitrarie.

Ho replicato che l'esperienza di questi dieci mesi induceva a pensare il contrario. L'esperienza è avvalorata da tutta una letteratura politica inglese la quale ha sempre cercato di dimostrare durante dieci anni di discussioni politiche intorno al Trattato di Locarno, che è impossibile fare una distinzione netta tra sanzioni economiche e sanzioni militari. L'invio della flotta inglese nel Mediterraneo vale assai più di un discorso di Baldwin o di Hoare. La flotta britannica è nel Mediterraneo il braccio secolare della Lega delle Nazioni, e la Lega delle Nazioni, ha detto l'altra sera Churchill, futuro Ministro inglese, «è il ponte di comando della nave ammiraglia della flotta britannica».

Vansittart mi ha interrotto per dirmi che la flotta è stata mandata nel Mediterraneo in seguito agli attacchi della stampa italiana, ma che ad ogni modo è falso che nel Mediterraneo vi sia stato un aumento considerevole nelle forze navali britanniche.

Ho replicato dicendo che non ero in grado di fare dei confronti a base di cifre su quello che era la flotta inglese prima e dopo il mese di settembre. «Ma se è così come voi dite, perché il Governo britannico non aveva creduto di smentire tutto quello che la stampa inglese ha pubblicato sopra la presenza della " Home Fleet " nelle acque di Suez e di Alessandria, e sul:la propaganda navale che l'Ammiragliato fa fare ogni sera nei cinematografi di Londra, passando in rivista l'una dopo l'altra le navi della "Home Fleet" nel Mediterraneo?». Circa gli attacchi della stampa italiana, ho detto a Vansittart che era ormai ora di trovare un pretesto più verosimile e meno sciocco di quello avanzato finora, che cioè gli articoli di Gayda abbiano costretto l'Ammiragliato a raddoppiare le unità navali britanniche nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. Se il Governo inglese dovesse muovere la sua flotta in relazione agli attacchi della stampa degli altri Paesi, esso avrebbe dovuto in questi ultimi tempi spostare tutte le sue flotte da tutti i mari del mondo e concentrarle nei porti della Francia, per difendersi dagli attacchi della stampa francese. « Se le sanzioni militari -ho continuato -non sono state prese ufficialmente in considerazione a Ginevra, ciò è soltanto perché la Francia s'è opposta e perché la maggioranza del popolo inglese è sostanzialmente contraria, malgrado l'eccitazione artificiosamente provocata dal Governo, alla guerra, e anche all'inasprimento dei rapporti con l'Italia. Il recente dibattito parlamentare ha dimostrato -ho detto -che la maggioranza del Paese non condivide la politica anti-italiana del Governo, ed ha inteso mettere un freno a questa politica. Adesso il Governo britannico ritiene, come Churchill ha cercato così bene di spiegare nel suo discorso ai Comuni, che un prolungato assedio economico finirà col piegare egualmente l'Italia».

Vansittart: «Se tutto questo fosse vero, come spieghereste la nostra volontà ripetutamente dichiarata di determinare una distensione psicologica nei rapporti tra Inghilterra e Italia? Questo il Governo britannico lo desidera e nessuno può negarlo ».

Ho risposto: «Lo credo. Il Governo britannico vuole una distensione psicologica dei rapporti con l'Italia soltanto perché questo gli fa comodo durante il periodo elettorale. Gli avvenimenti di queste due settimane hanno dimostrato che il panico determinato dal Governo britannico reagiva in senso contrario agli interessi elettorali del Partito conservatore, perché le grandi masse britanniche, nonostante l'apparenza contraria, non vogliono saperne d'una guerra contro l'Italia. La distensione dei rapporti con l'Italia fa dunque parte della tattica elettorale del Governo britannico. Il Governo vuole addormentare da una parte l'Italia, dall'altra i conservatori di destra e cercare di portarli di nuovo al fronte unico contro di noi. Il Governo britannico spera inoltre attraverso i negoziati fra il Duce e Drummond d'indebolire, col ritiro di truppe italiane dalla Libia, il nostro sistema difensivo nel Mediterraneo. Queste sono le sole ragioni che hanno determinato quella che voi definite la "volontà di distensione" da parte del Governo britanni:co. I discorsi dei vostri Ministri non sono altro che cortine di fumo le quali tuttavia non riescono a nascondere quella che è la vera situazione ,,

Vansittart ha cercato di protestare ancora una volta dicendomi che le mie interpretazioni erano assolutamente erronee. Ha aggiunto che egli desidera continuare lunedì la nostra discussione.

Ho risposto che non ne vedevo l'utilità, ma che ero sempre pronto. Se egli voleva convincermi del contrario, accorrevano non delle argomentazioni, ma dei fatti. E i fatti sono quelli che sono: Vansittart verrà qui all'Ambasciata a vedermi lunedì nel pomeriggio per continuare la conversazione (1).

Da tutto il colloquio con Vansittart ho potuto rilevare come profondo sia stato l'effetto delle dichiarazioni fatte dal Duce a Drummond, e come efficaci e tempestive siano state le Sue parole, che il Governo britannico non si attendeva, e che hanno pertanto disturbato i suoi piani e i suoi calcoli. Di qui l'irritazione di Vansittart? Il Duce vedrà anche dalle insistenze di Vansittart, qual'è veramente il punto debole di tutta la politica britannica. Il Governo britannico vuole stroncare la nostra impresa in Africa, ma per far questo esso ha bisogno di dare sempre più alla sua azione una fase ed una giustificazione societaria. Il Governo britannico comincia tuttavia a sentire che col diffondersi in Europa del convincimento che l'Inghilterra prepara una guerra contro l'Italia, viene a mancare alla politica inglese l'alibi societario. Questo mostra quanto sia importante per noi continuare ad affermare e documentare, nella stampa internazionale, e con tutti i mezzi di cui possiamo disporre, che l'Inghilterra sta preparando un'aggressione contro l'Italia nel Mediterraneo. Occorre, a mio avviso, dare la più larga pubblicità a tutti i preparativi militari britannici nel Mediterraneo, e a tutto quanto possa servire a dimostrare e a scoprire davanti all'opinione pubblica mondiale le vere intenzioni britanniche. Questo aiuterà anche la nostra azione presso questi conservatori di destra che il Governo cerca d'addormentare fingendo buone disposizioni verso l'Italia, e d'eccitare nello stesso tempo contro di noi denunciando ogni giorno pretesi intrighi e inesistenti minaccie da parte dell'Italia in Europa, in Africa e nel Mediterraneo.

(l) -Vedi D. 527. (2) -Vedi D. 559. (3) -Vedi D. 411. (4) -Per la risposta vedi D. 570. Il presente documento reca il visto di Mussol!nl. (5) -Vedi D. 510.
558

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 7968/454 R. Ginevra, 3 novembre 1935, ore 0,58 (per. ore 2,15).

Impressione giornata di oggi circa le sanzioni è in complesso abbastanza favorevole.

Tenuto conto del precedente andamento dei lavori Comitato di coordinamento ed anche discorso ermetico di Hoare, spunto offerto da Lavai con accenno esplicito a Patto d'amicizia con Italia e largo seguito trovato presso altri oratori ha determinato una certa reazione sentimentale alla rigida intransigenza britannica che era stata caratteristica di tutta l'attività del Comitato. Lavai ha fatto un evidente s~orzo, avendo anche influito su Van Zeeland per indurlo a fare la nota proposta di un esplicito incarico di conciliazione da raccomandare alle due Potenze. Egli mi ha detto altresì che sarebbe di pretta suggestione francese l'azione svolta dalla delegazione jugoslava per cercare di procrastinare la data d'inizio delle sanzioni.

Madariaga ha fatto le dichiarazioni più calde ed espansive e Motta le più nobili. Titulescu ha pronunciato nel complesso discorso istrionesco, terminato con brevi cenni di amicizia verso l'Italia. Il discorso di Potemkine è stato nella linea della politica sovietica e dominato dal consueto incubo di precostituire precedente contro la Germania. Comunque discorso duro, di rigida difesa del Patto e senza nessun accenno simpatico verso le relazioni irtalosovietiche.

In conclusione molte parole e poca sostanza, ma in complesso, degno di particolare rilievo:

lo -il fatto che il più vasto coro di recriminazioni contro l'adozione delle sanzioni e di simpatia verso l'Italia si è levato proprio il giorno in cui si è fissata la data dell'inizio del funzionamento del complicato congegno sanzionista;

2° -la quasi totale unanimità con cui il Comitato ha preso atto della proposta Van Zeeland.

(l) Vedi D. 563.

559

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8003/616 R. Cairo, 3 novembre 1935, ore 18,36 (per. ore 19,50).

Ho avuto colloquio di un'ora con Presidente del Consiglio al quale ho energicamente rinnovato mie ampie riserve per ulteriore azione.

Gli ho ripetuto che, a parte questione politica, circa la quale il meno che potevo dire era che il Governo egiziano rischia turbare gravemente ora e per il futuro amicizia che dura da fondazione Regno d'Italia e che ha dato grandi vantaggi Egitto, ve ne è una giuridica ed economica sulla quale attiravo comunque sua più seria attenzione. Nessuna delle sanzioni economicofinanziarie è compatibile con regime capitolare; in mancanza accordi economici, Egitto è astretto da impegni solenni. Domandavo quindi a Presidente del Consiglio se e come Governo egiziano intendesse rispettare parola d'onore data Italia.

Presidente del Consiglio non è stato nelle sue risposte molto più brillante del suo collega degli Esteri. Ha accennato interessi egiziani associarsi sanzioni seguite d'altronde da tutti Stati. Ha ripetuto che Governo egiziano non intendeva con ciò assumere atteggiamento poco amichevole verso Italia.

Per dare d'altronde idea maturità competenza e preparazione con cut questo Governo ha preso o ha subito decisione aderire sanzioni, basta riferire che Ministro degli Affari Esteri mi ha dichiarato non essere questione sua competenza e Presidente del Consiglio mi ha citato Romania quale altro Stato «non membro S.d.N.) che ha aderito sanzioni (1).

560

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8031/383 R. Shanghai, 4 novembre 1935, ore 13 {per. ore 21,40).

Telegramma di V. E. n. 268 (2).

Dal resoconto dei miei colloqui con Vice Ministro degli Affari Esteri e con Chang Kai-Shek (3) V. E. avrà rilevato che atteggiamento della Cina, prestante fede alla S.d.N. per metterla nella necessità di intervenire Estremo Oriente al momento del bisogno, costituisce ormai una precisa direttiva.

In tali colloqui, pur definendo sanzioni come iniquità e pericolo, ho sempre finito per prendere atto della direzione che Governo cinese intendeva dare all'osservanza di esse, per Ia convinzione che mi ha sorretto del valore politico che aveva per noi la preparazione in Estremo Oriente di una situazione in cui S.d.N. potrà rimanere impigUata tanto più gravemente quanto più si sarà inoltrata nel caso italiano e quanto più ampia sarà stata adesione cinese alle sue procedure.

Comincio ora dedicarmi in questa piazza commerciale allo studio dei modi per rendere quanto meno effettiva possibile applicazione sanzioni, secondo l'espediente che vari Ministri, e specialmente Ministro delle Finanze (4), mi hanno ,lasciato intravedere.

561

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8129/058 R. Belgrado, 4 novembre 1935 {per. il 7).

Stojadinovic ha tenuto a prospettarmi le difficoltà incontrate a Ginevra dalla delegazione jugoslava e a giustificarsi di non aver potuto ottenere di più sia in fatto di ritardo all'applicazione delle sanzioni economiche sia in materia di riserve.

Mi ha fatto rilevare che la proroga di tre giorni (fino al 18 corr.) è sopratutto dovuta all'azione jugoslava; egli spera ancora provocare ulteriori ritardi

39 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

:mediante discussioni in sede sottocomitato esame debiti clearing. Si è lagnato essere venuto meno al momento opportuno l'appoggio di Titulescu col quale delegazione jugoslava aveva condotto fino a un certo punto azione comune per far accettare riserve.

Mi ha poi lasciato intendere che pressioni inglesi sono state in questi ultimi giorni fortissime e da sue parole ho creduto comprendere che esse dovessero essere messe in relazione con soggiorno Principe Paolo a Londra.

Anche opposizione francese a Ginevra è stata viva, specie da parte del signor Coulondre presso il quale non avrebbe avuto effetto la considerazione prospettata dalla delegazione jugoslava circa le difficoltà in cui verrebbe messo il Governo di Belgrado di pagare le cedole dei prestiti collocati in Francia, qualora, per la mancata realizzazione dei suoi crediti commerciali verso l'Italia, vengano a mancargli le divise.

Non ho nascosto a Stojadinovic che -pur rendendomi conto di tutte queste difficoltà e pur riconoscendo che la Jugoslavia non ha assunto l'atteggiamento zelante che ha caratterizzato altri Stati -mi sarei atteso una maggiore resistenza jugoslava a Ginevra, dopo i propositi da lui manifestatimi nel nostro ultimo colloquio e le precisioni datemi circa quanto si riprometteva di ottenere (miei telegrammi filo n. 127 e per corriere n. 054 del 29 ottobre) (1).

Ho spiegato che dal punto di vista pratico la più o meno condizionata applicazione delle sanzioni da parte della Jugoslavia non ci preoccupava: data la nostra posizione negli scambi colla Jugoslavia potevamo facilmente diventare i sanzionatori anziché i sanzionati. Ma avremmo gradito vedere la Jugoslavia, a Ginevra, maggiormente preoccupata del buon andamento delle relazioni con noi, suoi vicini, e sopratutto con riguardo all'avvenire. Contavamo unicamente sopra una attestazione di carattere morale, di speciale significato in questo momento, e della quale avremmo voluto prendere buona nota. Di minore importanza è il fatto che la Jugoslavia intenda conUnuare ·a rifornirei anche in regime di sanzioni e sia forse anche disposta a fare il contrabbando. Ciò in sostanza non corrisponde che al suo elementare interesse, mentre altri paesi -anche vicini -le sono concorrenti nell'esportazione verso l'Italia per prodotti similari.

(1) -Per la risposta di Mussolini vedi D. 570. (2) -Vedi D. 549. (3) -Vedi D. 552. (4) -Vedi D. 498.
562

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

VERBALE (2). Roma, 5 novembre 1935, [ore 16].

L'Ambasciatore Drummond afferma che il Governo inglese, agendo nello stesso spirito del Governo italiano, si propone di arrivare a una détente nel Mediterraneo.

L'Ambasciatore deve anzitutto rettificare alcune cifre indicate dal Capo del Governo nel precedente colloquio (l).

Da parte italiana è stata presa a base della situazione normale la data del 5 agosto: questa data non può dare una situazione esatta in quanto allora mancavano dal Mediterraneo 110 mila tonnellate di navi che erano assenti per riparazioni o per altri motivi. L1 tonnellaggio normale della flotta inglese nel Mediterraneo è di 286 mila tonnellate di navi da battaglia e 42 mila di ausiliari: totale 328 mila. Ora nel Mediterraneo ci sono 488 mila tonnellate di navi da battaglia e 56 mila di ausiliari: totale 544 mila. Tolti gli ausiliari, la proporzione tra le navi inglesi e quelle italiane sarebbe circa da tre a due.

Nel Mar Rosso le cifre indicate dal Capo del Governo nel precedente colloquio sono press'a poco esatte.

Il Capo del Governo osserva che non basta vedere la quantità ma bisogna vedere anche la qualità del naviglio. La Gran Bretagna ha le grosse corazzate e gli incrociatori da battaglia con armamento tale che rappresentano una superiorità schiacciante di fronte alle navi italiane. Di più la Gran Bretagna ha due navi portaerei che noi non abbiamo.

L'Ambasciatore osserva che l'Italia non ha le navi portaerei, ma ha le basi aeree che mamcano all'Inghilterra, ciò che rappresenta una netta superiorità italiana. Inoltre l'Italia ha i sottomarini in numero molto rilevante.

Il Capo del Governo osserva che per quanto riguarda i sottomarini la sproporzione non è notevole. Egli calcola che l'Inghilterra abbia 45 sottomarini, mentre noi ne avremo 47 o 48.

L'Ambasciatore afferma di aver voluto chiarire questi dati di fatto come punto di partenza per quella détente che è nei voti delle due Parti.

Il Ministro Hoare, dal colloquio avuto col Barone Aloisi (2), ha. tratto l'impressione che ci sia modo di avanzare sulla via della détente ed ha annunciato delle proposte che arriveranno nei prossimi giorni.

Il Capo del Governo ritiene che la détente non si possa raggiungere che riportando la situazione allo stato normale e ricercando i mezzi per impedire che ridiventi un'altra volta anormale. A tale riguardo si potrebbero prendere degli impegni. Egli da parte sua è pronto, sebbene si renda conto che è molto diverso ritirare delle Divisioni che ritirare delle navi: le navi in breve tempo possono essere un'altra volta sul posto, le Divisioni invece hanno per necessità un movimento pesante e lento.

Sir Eric Drummond vuole poi chiarire un altro punto. Il Capo del Governo ha affermato nell'ultimo colloquio che la Gran Bretagna sarà portata a fare la guerra all'Italia perché il mancato funzionamento delle sanzioni economiche porterà ad un inasprimento di queste e poi al controllo militare delle stesse, e poi al blocco e quindi al conflitto. Ora l'Ambasciatore deve chiarire nel modo più formale che in Inghilterra nessuno si sogna di fare la guerra all'Italia, che le sanzioni militari non sono state mai considerate dal Governo inglese, che di un controllo militare non si è mai fatto cenno neanche a Ginevra: insomma tutto ciò non entra nelle vedute del Governo inglese.

Il Capo del Governo ringrazia l'Ambasciatore per una dichiarazione cosi precisa. Egli non può tuttavia non tener conto di quella che è la conseguenza logica del modo come si è impostato il problema delle sanzioni a Ginevra. Se si fosse detto semplicemente che le sanzioni sono un provvedimento di punizione contro l'Italia perchè ha mancato a una delle regole del Covenant, la cosa potrebbe finire così dopo aver dimostrato che la S.d.N. è stata capace di mettere in moto questa macchina; ma invece si è detto che le sanzioni devono far cessare la guerra. Ora, siccome le sanzioni che sono in corso non faranno cessare la guerra, bisognerà ricorrere a delle altre, per esempio all'embargo del carbone, della benzina, del ferro, di cui già si parla, e poi -siccome questi prodotti continueranno a venire in Italia -al blocco, che potrà chiamarsi anche pacifico, ma che sarà tuttavia l'inizio della guerra.

Tutto ciò naturalmente impedisce una soluzione del conflitto perchè il Negus non sarà indotto a trattare e a fare delle concessioni fino a che si sentirà spalleggiato dall'Inghilterra e da Ginevra, e avrà la speranza di più diretti aiuti, magari militari.

L'Ambasciatore ritiene che il suo Governo abbia già fatto sapere al Negus in modo preciso che non era da attendersi un aiuto militare. Evidentemente la Gran Bretagna non può andare tanto in là fino ad indurre il Negus a cedere.

Il Capo del Governo ritiene che di ciò non ci sia bisogno. Quando il Negus avrà la netta sensazione di non potere attendersi dei miracoli, sarà lui a cedere perchè l'Etiopia non è in grado di resistere. Il Capo del Governo ritiene che la Gran Bretagna abbia fatto già molto per evitare il discredito della

S.d.N. , ed a questo ha già sacrificato molti suoi interessi. L'Ambasciatore consente che la Gran Bretagna ha fatto molti sacrifici e

afferma ancora una volta che questi sono stati fatti soltanto per sostenere la politica societaria e non per fini particolari.

(l) -Vedi D. 513. (2) -Al colloquio era presente Suvich, che ha redatto il verbale. (l) -Vedi D. 510. (2) -Vedi D. 554.
563

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8074/120 R. Londra, 5 novembre 1935, ore 19,18 (per. ore 24).

Seguito mio telegramma per corriere 0301 (1).

Vansittart è venuto a vedermi ieri. Egli mi ha detto che desiderava riprendere con me conversazione avuta venerdì scorso e particolarmente punto relativo smobilitazione itala-inglese nel Mediterraneo. Essendomi pervenuto resoconto colloquio tra H Duce e Drummond di mercoledì 30 ottobre (2) ho !risposto a Vansittart tenendomi costantemente sulla line·a dichiarazioni del

Duce a Drummond. Sulla base di cifre, esposte dal Duce a Drummond, le quali dimostrano che le forze navali britanniche nel Mar Rosso e nel Mediterraneo sono state triplicate dal 5 agosto ad oggi, ho contestato a Vansittart ancora una volta dichiarazioni fattemi venerdì.

Vansittart ha risposto dicendomi che il 5 agosto flotta inglese era in gran parte nei bacini di carenaggio per riparazioni. Ho replicato che questa scusa non reggeva.

Vansittart mi ha detto che il Governo britannico aveva dato alle parole del Duce a Drummond un'attenta considerazione e preso conseguentemente la decisione, in linea di mas~>ima di rispondere al gesto spontaneo fatto dal Duce circa ritiro di una Divisione dalla Libia con un gesto dello stesso carattere. «Si potrà in tal modo, ha soggiunto Vansittart, continuare sulla base di un " gentlemen agreement " a prendere le misure da una parte e dall'altra dirette a una graduale e reciproca smobilitazione nel Mediterraneo».

Ho risposto, senza entrare in particolari, ripetendo più o meno quello che ho detto a Vansittart venerdi scorso e esprimendo nostro augurio che Governo britannico si renda conto una volta per sempre che, per attuare realmente distensione dei rapporti italo-britannici, occorrono non delle dubbie parole, ma dei fatti precisi.

Vansittart quindi parlato del progetto Peterson -Saint-Quentin.

Non conosco questo progetto e mi sono perciò tenuto sulle generali.

Vansittart era ieri sera marcatamente diverso da quello che non fosse venerdì. Per quanto nostri rapporti personali non siano mai mutati durante questo mese difficile, pure Vansittart ha ostentato ieri sera una cordialità tutta particolare, che va rilevata.

Invio con lettera al Duce (1) dettagli questo colloquio e mie impressioni.

(l) -Vedtl D. 557. (2) -Vedi D. 510.
564

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A PANAMA, CAPANNI

T. 2128/33 R. Roma, 5 novembre 1935, ore 24.

Suo telegramma n. 76 (2).

Nella seduta comitato coordinamento 1° corrente Delegato Panama Solis ha dichiarato riservare suo Governo libertà decidere se esso intenda dare priorità a obblighi risultanti dal patto o a quelli derivanti da qualsiasi altro Trattato.

Avendogli Presidente Comitato contestato disposto dell'art. 20 del Patto, Solis ha efficacemente replicato essere a suo avviso molto dubbio che Comitato Coordinamento tragga suoi poteri dal patto, egli ritiene articolo 16 del patto

lascia libero ogni Stato determinare sanzioni da applicare e non subordina azione Stati membri a decisioni di organismo amministrativo tecnico qualsiasi della S.d.N.

In sostanza Delegato Panama ha inteso prendere posizione perchè nessuna responsabilità sia imputata Panama ove non applicasse talune sanzioni.

Tesi espressa da Solis a titolo personale dovrebbe essere ora ufficialmente confermata da codesto Governo. PregoLa influire in tal senso, ed in caso esito favorevole suoi passi, esprimere a codesto Governo apprezzamento Governo italiano per atteggiamento adottato dal Panama (1).

(l) -Non rinvenuta. (2) -Vedi D. 539.
565

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 5 novembre 1935.

Il signor Chambrun è lieto di informare che alla richiesta del Governo italiano relativa all'influenza che gli accordi franco-inglesi possano avere sulle intese aeree concluse nell'occasione della visita del Ministro Denan, il Governo francese ha risposto confermando la piena validità di tali accordi. La comunicazione sarà fatta con maggiori dettagli tecnici dall'Addetto Aeronautico al Ministero dell'Aria.

L'Ambasciatore ha voluto dare ad ogni modo personalmente questa notizia per mettere in rilievo la grande importanza politica che la Francia dà al mantenimento di quegli accordi.

Parlando del risentimento italiano contro la Francia metto sopratutto in evidenza l'atteggiamento del Signor Coulondre. Dalle informazioni che abbiamo da Ginevra ci risulta che in molte occasioni il signor Coulondre è stato sostenitore delle posizioni più estreme contro di noi. La cosa fa tanto più impressione poichè il signor Coulondre passa per essere un buon amico dell'Italia. Del resto io stesso lo conosco da molti anni e ne ho avuto sempre questa impressione. La conclusione quindi sarebbe che gli ordini più duri contro di noi vengono proprio da Parigi.

L'Ambasciatore è molto spiacente di questa situazione. Egli ritiene però che il signor Coulondre difenda la situazione della Francia contro la Gran Bretagna.

C'è un giuoco a Ginevra da parte di quest'ultima: quello cioè di escludere dalle sanzioni i prodotti che interessano gli esportatori inglesi. Evidentemente le altre Potenze non possono prestarsi a questo giuoco (2).

(l) -Con T. 8172/81 R. del 7 novembre 1935, ore 20,15, Capanni comunicava di aver ricevuto assicurazioni circa la conformità delle dichiarazioni d! Solls alle istruzioni e desiderata del Governo panamense. (2) -Il presente documento reca il visto d! Mussollnl.
566

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, WAGNIERE

APPUNTO. Roma, 5 novembre 1935.

Il signor Wagnière mi presenta l'unita nota (1). La Svizzera fa il possibile per sottrarsi all'obbligo delle sanzioni imposto dal Covenant, ma deve essere un po' aiutata dall'Italia.

Gli rispondo che si esaminerà la proposta; so però che fino ad ora noi siamo stati contrari al clearing sulla base dell'assoluta parità come prospettata dalla Svizzera; non so poi se i nostri delegati in questo momento di intensissimo lavoro -causa le sanzioni -potranno assentarsi da Roma. Ad ogni modo il contegno della Svizzera è seguito ed apprezzato in Italia come ha avuto anche occasione di affermare giorni fa il Capo del Governo al Rettore della Università di Losanna. In tale occasione il Capo del Governo ha messo in rilievo l'atteggiamento fermo e combattivo del signor Motta (2).

567

IL CAPO DELL'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, GUARNASCHELLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 5 novembre 1935.

La soluzione della questione etiopica studiata fra tecnici inglesi e francesi (3), fra l'altro, sembra prevedesse il passaggio sotto H controllo italiano di alcune regioni etiopiche al sud dell'Bo para'l.lelo lasciando quindi all'Etiopia la regione di Harrar, una fra le più ricche e fra le più atte alla acclimatazione di popolazioni bianche; malgrado che anche essa sia, come le altre a sud dell'Bo parallelo, abitata da popolazioni non amhara.

Infatti non si può volere da parte francese, né da parte inglese, l'installazione dell'Italia in una regione che domina la ferrovia di Gibuti e le comunicazioni con Zeila, e che è quindi tale da interrompere i rapporti fra il centro dell'Impero da un lato e la Costa francese dei somali e il Somaliland britannico dall'altro. È sintomatico a tale riguardo quanto riferisce il R. Ambasciatore a Londra in data 31 ottobre us.:

«Un mio informatore di fiducia, il quale finora mi ha portato notizie attendibili circa quanto si fa e si dice al Foreign Office, mi riferisce stamane che Peterson è tornato da Parigi molto soddisfatto dell'attitudine di S. Quentin il quale, Peterson avrebbe detto, sta lavorando per riprendere agli italiani quello che Lavai troppo affrettatamente e troppo leggermente ha loro concesso

nell'.&ccordo del 9 gennaio. Anche S. Quentin pensa che l'Harrar non deve essere ceduto all'Italia. L'Harrar in mano dell'Italia significa -Peterson riferisce avergli detto S. Quentin -la perdita certa, fra non molto di Gibuti~

Non sarà certo agevole, in eventuali negoziati, di vincere l'opposizione anglo-francese circa l'Harrar.

Il dominio italiano nello Harrar non potrà essere ottenuto che creando una situazione di fatto a noi favorevole, cioè occupando per fatto bellico tale regione.

È noto come il Generale Graziani si sia finora limitato nel settore somalo e delle operazioni di difensiva attiva, e che a tale compito di carattere strategico sono state commisurate le forze poste a sua disposizione.

L'aumento di tali forze in misura adeguata potrebbe tuttavia consentirgli, data la relativa facilità del terreno e dato l'ambiente etnico a noi favorevoJe, di dare un più efficiente e celere impulso alle operazioni del fronte somalo e di puntare decisamente su Harrar.

Mentre un'estensione dell'occupazione italiana oltre il Tigrai nelle regioni amhara del nord complicherebbe nei futuri negoziati la soluzione del problema (non potendosi più evidentemente abbandonare da parte nostra tali regioni dopo averle occupate), una estensione della nostra occupazione nella regione dell'Harrar spingerebbe in modo decisivo ad una soluzione integrale basata sulla nota differenziazione fra regioni amhara e non amhara; e ci assicurerebbe una fra le più ricche regioni etiopiche, ed insieme il centro tradizionale di tutte le popolazioni mussulmane dell'Impero, le quali sarebbero cosi ancor più attratte verso di noi e disposte a ribellarsi ai dominatori amhara.

Si può dire che l'occupazione da parte nostra dell'Harrar costituirebbe il fattore determinante, nei rispetti dell'Etiopia, per la disintegrazione dell'Impero, e, nei rispetti dei franco-inglesi, per indurii, semprechè non intendano fermarci con la forza delle armi, a proposte di conciliazione ispirate a criteri meno restrittivi di quelle sinora avanzate.

(l) -Non rinvenuta. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolln!. (3) -Vedi DD. 492 e 528.
568

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 12971/133 P. R. Roma, 6 novembre 1935, ore 1,30.

Con riferimento alle dichiarazioni recentemente fatte a V. S. da Stojadinovic (l) pregola procurarsi occasione intrattenere Presidente del Consiglio jugoslavo per cercare di precisare il più nettamente possibile fino a q'ual punto Jugoslavia sia disposta a spingere sue relazioni con noi, sia nel campo delle intese sia in quello del pratico svolgimento dei traffici, malgrado sua adesione alle decisioni di Ginevra in materia di sanzioni (2).

(1) -Vedi DD. 311 e 513. (2) -Con T. 8112/131 R. del 6 novembre 1935, ore 21,50, Viola chiedevca di conoscere, primadi parlare con Stojadinovic, quale sarebbe stato l'atteggiamento del R. Governo nel caso in cui la Jugoslavia avesse applicato rigorosamente le sanzioni. Suvich non rispose, ma vedi il D. 679.
569

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8126/430 R. Rio de Janeiro, 6 novembre 1935, ore 14,38 (per. ore 21,10).

Mio telegramma n. 421 del 30 ottobre (1). Questo Governo ha ricevuto da Lega delle Nazioni invito associarsi sanzioni. Testo i:dentico inviato Berlino, Washington, Tokio. Ho avuto nuova conversazione con questo Ministro degli Affari Esteri il quale mi ha confermato noti sentimenti e pensieri Governo brasiliano nonchè

Presidente della Repubblica. Sono lieto informare V. E. che esso ha esaminato con dovuta attenzione [risposta]. Non appartenendo alla Lega delle Nazioni, Brasile afferma trovarsi perfettamente a suo agio per dichiarare che non parteciperà alle misure sanzioni:ste riserbandosi salvaguardare [neutralità] in

ogni eventualità, come gli consigliano suoi interessi internazionali nonchè principi che sempre guidarono sua politica estera e che trovano espressione nella sua Costituzione. Fin qui risposta Brasile. Con essa ritengo chiusa prima fase condotta politica questo Governo di fronte sanzioni.

Ora è mia cura iniziare nuova azione scopo impedire mutamenti durantE> la seconda fase, la quale consisterà nella applicazione pratica da parte di questo Governo dei principi chiaramente enunciati nella dichiarazione suddetta.

Ho dovuto vincere qualche resistenza degli Uffici governativi che desideravano inserire nella risposta espressioni pacifiste che avrebbero potuto prestarsi interpretazioni dannose alla nostra posizione nella Lega delle Nazioni.

Questo tentativo di influenzare in senso societario trae origine dai tre motivi seguenti:

l) Pressione inglese, sebbene finora non vigorosa, comincia diventare sensibile, e forse impressiona funzionari di questo Ministero degli Affari Esteri. Polemica situa Brasile in una difficile posizione rischio e pericolo con l'Inghilterra per tante ragioni qui efficientissime.

2) Accentuazione pacifista della risposta nord-americana alla Lega delle Nazioni ha lasciato pensare che gli S.U.A. potrebbero eventualmente suggerire al Bra'Sile tdentico atteggiamento. Per quanto ciò non siasi finora verificato, era tuttavia avviso di alcuni collaboratori di questo Ministro degli Affari Esteri che convenisse prevenire eventuale Consiglio di Washington coll'adeguarsi spontaneamente.

3) Rimproveri che alcuni organi stampa argentina e brasiliana rivolgono al Brasile, unico fra i paesi sud americani separatosi da altri Stati sanzionisti rompendone fronte unico panamericano. Diplomazia Brasile teme isolarsi proprio mentre conferenza Chaco esige che il Brasile mantenga in piena efficienza sue relazioni con il sud e il nord America.

Atmosfera determinata ultimi giorni dai suddetti elementi prova che le mie previsioni affacciate nel telegramma n. 421 non erano infondate. Con azione diretta presso personalità responsabili verso di me, ho ottenuto che generiche espressioni pacifiste venissero soppresse.

(l) Vedi D. 523.

570

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

T. 2136/335 R. Roma, 6 novembre 1935, ore 24.

Suoi telegrammi n. 612, 613, 614, 616 e 617 (1).

Approvo azione svolta e linguaggio tenuto da V. S.

Pregola presentare codesto Governo nota di protesta secondo le linee seguenti, salvo osservazioni da parte della S. V. « D'ordine suo Governo Legazione d'Italia ha l'onore presentare Governo egiziano formale protesta per decisione adottata in linea di massima di aderire al principio dell'applicazione delle sanzioni finanziarie ed economiche contro l'Italia; e di comunicare nel contempo che il R. Governo da parte sua si riserva di adottare le misure che si imporranno, in relazione all'eventuale violazione di impegni internazionali dell'Egitto verso l'Italia, derivante dall'applicazione della suddetta decisione ». Nel presentare tale nota V. S. vorrà chiarire che le sanzioni non sono state «decretate dalla S.d.N. » (secondo la frase del comunicato egiziano), ma adottate da singoli Stati membri della S.d.N.; Egitto, che come Stato non membro non aveva alcun 9bbligo aderire, è stato l'unico fra gli Stati non membri ad adottare una decisione che non solo costituisce atto non amichevole verso l'Italia ma viola sostanzialmente neutralità egiziana nel conflitto. Ove applicazione della decisione adottata comporterà la violazione di impegni internazionali dell'Egitto verso l'Italia R. Governo si vedrebbe costretto adot

tare opportune misure di ritorsione. Nei suoi contatti costì, V. S. potrà regolarsi secondo concetti esposti suo rapporto 1082 del 18 ottobre (2); decisione Governo egiziano è infatti nuova prova dell'assoluta dipendenza dell'Egitto dalla

volontà britannica. PregoLa seguire azione della Commissione, agendo per ridurre. in quanto possibile, portata provvedimenti e loro pratica efficacia (3).

R. -del 3 novembre 1935 non si pubblicano.
(l) -Vedi DD. 556 e 559. I telegrammi 7978/613 R. del 2 novembre 1935, 8001/614 R. e 8000/617 (2) -Vedi D. 411. (3) -Con T. 8226/637 R. del 10 novembre 1935, ore 14,32, Ghigi riferiva di avere eseguito le istruzioni ricevute (vedi D. 606), e con successivo T. 9231/708 R. del 2 dicembre 1935, ore 22,07, trasmetteva il testo della nota di risposta egiziana: «Con riferimento alla nota verbale del 7 novembre, della Regia Legazione d'Italia, il Ministro degli Affari Esteri ha l'onore di portare a Sua conoscenza che l'Italia e l'Egitto, essendo ambedue firmatari de,J Patto e che Italia nella sua qualità di membro S.d.N. avendo votato la risoluzione del 4 ottobre 1921, che pretes~ collaborazione degli Stati non membri nell'applicazione dell'art. 16 del Patto S.d.N. , le misure che saranno prese in vista della messa in vigore delle sanzioni non potrebbero in alcun caso essere considerate come costituenti violazione di un impegno internazionale».
571

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 0211. Parigi, 6 novembre 1935.

Lavai è rientrato ieri sera a Parigi chiamatovi probabilmente da ragioni

di politica interna. Mi ha ricevuto stamane dicendomi che riteneva di aver

dimostrato col suo atteggiamento a Ginevra la sua sincera amicizia per l'Italia

ed il suo vivo desiderio di esserci utile. Era grato a V. E. di aver inviato colà

il Barone Aloisi al quale aveva così riferito sollecitamente quanto aveva ap

preso da Hoare.

Mi sono espresso con Lavai nel senso che nonostante i suoi sforzi ed il suo linguaggio, che erano stati certamente apprezzati al loro giusto valore nei circoli ufficiali, l'opinione pubblica italiana era tutt'altro che contenta della Francia perchè constatava che nonostante molte buone parole i fatti provavano che Parigi non aveva saputo resistere a Londra nella questione delle sanzioni e perchè era molto preoccupata degli accordi che secondo notizie di stampa non smentite sarebbero stati perfezionati il 26 ottobre scorso e che equivalevano ad una vera e propria alleanza franco-inglese.

Lavai menzionò allora le conversazioni avute con Aloisi al riguardo (l) e si soffermò in modo speciale sopra il punto toccato da quest'ultimo che la Francia, volendosi mostrare veramente amica dell'Italia, avrebbe dovuto concludere con noi un accordo di assistenza identico a quello convenuto con la Gran Bretagna nel caso in cui quest'ultima Potenza aggredisse l'Italia. Lavai si mostrò stupito di tale apertura perchè assistenza che la Francia aveva assicurato all'Inghilterra concerneva unicamente l'ipotesi che l'Italia attaccasse la flotta britannica nel Mediterraneo in connessione con azione che questa esercitasse in relazione alle sanzioni decise contro l'Italia. Come si poteva in tal caso parlare di contropartita? Da quanto si trovava l'Inghilterra in rottura di patto?

Lavai si riferì a conversazioni avute meco durante lo scorso mese per ricordare che egli non aveva fatto meco mistero delle difficoltà di ogni specie che l'Inghilterra gli aveva create e per menzionare ostilità che perdurava tuttora dall'altro lato della Manica contro la Francia e contro la sua persona in particolare che venivano considerate eccessivamente favorevoli all'Italia.

Ho detto a Lavai che era necessario venire ad un chiarimento della situazione creata dalle discussioni franco-inglesi che ci riguardavano direttamente, ma che noi conoscevano imperfettamente. Lavai mi interruppe chiedendomi se Léger non mi avesse inviato un memorandum al riguardo. Risposi affermativamente ma accennai alle ulteriori discussioni che avrebbero avuto luogo a Parigi ed anche a Londra fra tecnici navali e gli lessi un documento, che trasmetto qui unito in copia, preparato secondo le istruzioni di V. E. (2), e

che gli lasciai con la premessa che esso doveva essere da lm considerato come comunicazione verbale. Lavai si fece portare promemoria di nove pagine rimesso il 18 ottobre all'Inghilterra, che mi lesse integralmente dicendomi di averne data comunicazione verbale a Ginevra anche ad Aloisi. Dovevamo comprendere come egli non ce ne potesse dar copia perchè quel documento era redatto in termini sovente molto duri contro l'Inghilterra, che aveva veramente esasperato il Governo francese con le sue pretese. Devo convenire che il documento è realmente una prova manifesta della tensione esistente fra Londra e Parigi. Lavai mi chiese se avessi rilevato una sola parola che permettesse di dubitare che gli impegni assunti dalla Francia uscissero dallo strettissimo quadro dell'applicazione del paragrafo 3° dell'articolo 16. Ad ogni modo egli avrebbe risposto ai quesiti da me formulati verbalmente. Teneva a dirmi subito ed in modo categorico che gli accordi circa assistenza non andavano al di là del periodo durante il quale sarebbero state applicate le sanzioni all'Italia. Essi non costituivano un'alleanza ed egli me lo diceva deplorandolo, perchè niente gli sarebbe più gradito che di poter concludere con l'Inghilterra un'alleanza la quale sarebbe stata la premessa necessaria di quella più vasta comprendente anche l'Italia, senza di che non vi sarebbe più stata pace nel Mediterraneo. Egli si preoccupava infatti moltissimo della situazione che ,avrebbf:> sussistito dopo il regolamento del conflitto itala-etiopico, perchè doveva ritornare la buona armonia fra l'Italia e l'Inghilterra a scanso di una situazione intollerabile per questi due Paesi ed anche per la Francia.

Ho chiesto a Lavai se e quali ulteriori negoziati si fossero svolti tra la Francia e l'Inghilterra il 25 e 26 ottobre. Lavai mi rispose che egli non era a conoscenza di simili negoziati i quali non avevano certamente avuto carattere politico. Non poteva escludere che in seguito agli accordi politici di cui noi avevamo avuto conoscenza a mezzo del promemoria rimessomi da Léger, gli organi tecnici avessero chiesto ed ottenuto maggiori chiarimenti. Questi non avrebbero potuto uscire dalle linee tracciate dagli accordi politici. Ad ogni modo egli avrebbe fatto indagini e risposto in proposito.

Ho creduto insistere sugli impegni del preambolo degli accordi del 7 gennaio che ci davano il diritto di essere tenuti al corrente di qualsiasi negoziato

o conversazione che ci riguardasse e di essere anzi interrogati previamente in modo che i nostri interessi non fossero lesi e l'amicizia italo-francese non ne sortisse menomata. Lavai osservò che già Aloisi gli aveva parlato in questo senso. Egli, a dire il vero, non aveva mai pensato che delle conversazioni così acide come quelle franco-inglesi avessero potuto essere da noi ritenute poco amichevoli per l'Italia. Che cosa volevamo? Che egli ci tenesse al corrente o ci presentisse se in avvenire venisse richiesto di includere una nuova merce nella lista di quelle che non si devono lasciare esportare in Italia? Gli risposi che anche comunicazioni di questo genere, qualora facessero parte di tutto un sistema di comunicazioni atte ad informarci esattamente di quello che ci riguardava, non sarebbero riuscite sgradite. Lavai osservò che noi esprimeremmo peraltro avviso contrario all'inclusione delle varie merci, ottenendo da me risposta af.fermativa e la conferma che preferivamo ad ogni modo saperlo.

Lavai menzionò allora la proroga delle sanzioni economiche al 18 novembre come un successo da lui riportato a Ginevra. Dissi che era troppo breve

il tempo che intercorreva tra il 14 e il 18. Allora Lavai mi parlò confidenzialmente, ma autorizzandomi ad informarne V. E., di un suo progetto che dovrebbe essere messo in moto precisamente tra il 14 e il 18 corrente. Pensava di proporre che cessassero le ostilità, fermandosi ciascuno sopra le proprie posizioni, per dar luogo agli uomini di Stato di prestare tutta la loro attenzione all'azione conciliatrice. In caso di accettazione di una simile proposta egli avrebbe procurato di ottenere pure che applicazione delle sanzioni economiche fosse sospesa. Se avevamo qualche suggerimento da dargli al riguardo, egli sarebbe stato grato di riceverlo. Doveva aggiungere che l'idea non era sua. Era di van Zeeland. Egli l'aveva respinta a Ginevra per renderei un servizio (evidentemente voleva accennare all'avanzata cominciata nei giorni scorsi) ma credeva che sarebbe stato utile tirarla fuori come cosa propria all'indomani delle elezioni inglesi. Mi ripetè congedandomi quanto mi aveva già detto più volte: «fatemi credito perché non avete migliore amico al mondo:. (1).

ALLEGATO

L'AMBASCIATA D'ITALIA A PARIGI

AL MINISTERO DEGLI ESTERI FRANCESE

NOTA VERBALE. Parigi, 6 novembre 1935.

Monsieur Léger a remis le 25 Octobre à Monsieur Cerruti un ex.tratt de la déclaration verbale que Monsieur Lava! a fait à l'Ambassadeur de S. M. Britannique en réponse à la question posée par le Gouvernement britanndque a.u Gouvernement f1.1ançais au sujet de l'obligation d'assistance mutuelle découla.nt de l'art. 16 du Bac.te de la Société des Nations.

Postérieurement à la date susdite de nombreuses nouvelles ont paru dans les presses de France et de Grande Bretagne, d'après lesquelles il résulterait:

-que le Gouvernement britannique, n'ayant pas considéré suffisantes les assu1.1ances reçues par le Gouvernement français auratt insisté, en date du 25 Octobre, pour obtenir des garanties ultérieures,

-que ces garanties concerneraient notamment: a) la faculté pour la marine britannique de se servir des bases navales françaises de Toulon et de Bizerte, b) l'assuramce que la flotte française preterai.t son concours inconditionnel à la flotte bni..tannique dans la Méditerranée si cette deriliÌ.ère serait attaquée par les forces navales italiennes, c) l'assurance que méme en ca.s de retraite de quelques nnités navales britanniques de la Méditerranée, les effectifs potentiels de la Société des Nations dans cette mer ne sera~ent pa.s réduits, -que le Gouvernement français aurait insisté sur le point que la solidarité des deux Nations devrait s'étendre à la coopéra.tion des forces de terre et de l'air,

-qu'il aurait été question, au cours des pourparlers, d'étendre l·a durée des accords d'assistance, de façon qu'ils restassent en vigueur méme au-delà de l'application des sanctions à l'Italie, en vertu de l'art. 16.

-que l'a.ssistance aurait formé l'objet de pourparlers non seulement à Pan:is, mais aussi à Londres, où se seraient rendus dans ce but des experts navals (l'Amiral Decouet le Capitaine de Vaisseau Deleuze) et un officier de l'armée française.

Les rapports de sincère amitié rec1proqt.e qui existent entre l'Italie et la France. conformément à la lettre et à l'esprit de la déclaration générale contenue dans le préambule des accords italo-français du 7 janvier 1935, paraissent donner au Gouvernement ~talien le droit d'adresser au Gouvernement français la prière de vouloir bien lui faixe connaitre les termes précis des engagements qu'il aurait assumés vis-à-vis de la Grande Bretagne au cours d'une négociation de laquelle l'Italie a été l'objet.

(l) -Vedi DD. 548 e 555. (2) -Vedi D. 551.

(l) Vedi D. 601. Il presente documento, vistato da Mussol!nl, non è stato incluso nella raccolta del telegrammi !n arrivo da Parigi.

572

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 2138 R. Roma, 6 novembre 1935.

Prego rimettere al Signor Lavai l'accluso Memorandum relativo agli impegni assunti dalla Francia verso l'Inghilterra in materia di collaborazione militare.

Nel consegnare tale documento al Presidente del Consiglio francese, V.E. vorrà fargli presente anzitutto che l'Italia non può considerare che gli impegni franco-inglesi abbiano un carattere puramente platonico come sembra pensare il Signor Laval.

È bensì vero che l'applicazione pratica dei suddetti impegni è esclusa dalle dichiarazioni verbali sia italiane che francesi ed inglesi sulle rispettive intenzioni di non andare oltre le attuali sanzioni economiche e finanziarie. Ma è tuttavia innegabile che, indipendentemente dalla sua applicazione, J'intesa anglo-francese costituisce di per sè stessa un fatto politico che pesa con tutta la sua importanza sulla presente situazione politica generale e sui rapporti tra i tre Paesi.

Infatti tale intesa, aggiungendosi alle sanzioni contro l'Italia, rischia non soltanto di rendere più difficile la soluzione del conflitto itala-etiopico, aumentando l'intransigenza della Gra:n Bretagna e del Negus, ma di aggravare la posizione dell'Italia in Europa anche come elemento della sicurezza collettiva.

Si può pensare che tra le considerazioni che hanno indotto il Signor Lavai ad acconsentire alla richiesta inglese, possa esservi anche quella di alleviare le preoccupazioni e le inquietudini britanniche nella speranza di aver così l'Inghilterra più conciliante nella soluzione finale della questione abissina, ma è certo intanto che di tal guisa come in genere con tutto il suo atteggiamento tn materia di sanzioni economicche, e nonostante ogni sua migliore possibile intenzione, il Signor Lavai ha reso possibile e ha contribuito alla creazione di una situazione il cui controllo può divenire ogni giorno più difficile per il Governo francese come per tutti gli altri Governi interessati alla questione.

MEMORANDUM

Il Governo italiano per il tramite del Regio Ambasciatore a Parigi ha ricevuto, in via ufficiosa, comunicazione di un estra.tto (l) della «parte essenziale» della dichiarazione verbale fatta dal Signor Lavai all'Ambasciatore della Gran Bretagna in

risposta al quesito posto dal Governo britannico a quello francese circa l'obbligo di mutua assisten21a derivante dall'articolo 16 del Patto della S.d.N.

Nel ringraziare di tale comurucaziOille, il Governo italdano nOill può a meno di osservare che, mentre l'azione della S.d.N. è rimasta finora limitata alla parte eoOillomioa e f,inanziaria dell'art. 16 del Patto, gli impegni assunti dalla Francta verso la Gran Bretagna si riferiscono alla parte militare dell'articolo stesso che nOill è stata finora discussa a Ginevra.

Gli impegni franco-inglesi si basano infatti sull'ipotesi dd. misure speciali che potrebbero essere prese dall'Italia cOilltro uno degli Stati membri della Società delle NaziOilli ed in particolare di un attacco dell'Italia contro l'Inghilterra in occasione della sua collaborazione all'azione internazionale della S.d.N.

Ora il Governo italiam.o ha sempre affermato la sua decisione di evitare qualsiasi atto aggressivo contro le forze inglesi, e, a vero dire, anche dJ. Governo b'litannico ha fatto ripetute dichiarazioni in senso analogo.

D'altra parte il Governo italiano ha avuto assicurazione dal Governo francese che sanzioni di carattere militare (blocco, visita alle navi, chiusura del Canale di Suez, etc.) non saranno applicate né dal Governo francese, né dal Governo britannico in base ad un'intesa intercorsa fra i due Governi.

Queste considerazioni, insieme al fatto che Ja Gran Bretagna ha giustificato la mobilitazione della sua flotta nel Mediterraneo (anteriore alle deliberazioni societariel cogli attacchi della stampa italiana escludendo cosi qualsiasi richiamo all'art. 16 del Patto, inducono il Governo italiano a pensare che gli impegni fl'anco-inglesi possano essere stati presi non soltanto con l'iferimento a detto articolo, ma in previsione di avvenimenti che sorgessero al di fuori della normale procedura societaria.

IJ Governo italiano ritiene perciò che avrebbe dovuto trovare applicazione in questo caso la dichiarazione generale degli Accord!l di Roma del 7 gennaio relativa alla collabol'azione ed alla consultazione fra i due Governi, tanto più che l'impegno del Governo francese contempla l'adozione di misure di carattere militare e politico.

D'altra parte, dopo la su menzionata dichiarazione del Signor Lavai, altre comunicazioni sono state scambiate tra il Governo britannico e quello francese (i giornali francesi parlano di una nota in data 26 ottobre), e sarebbero in corso trattative fra tecnici per dar seguito pratico all'intesa !raggiunta; mentre da varie fonti si assicura che le conversazioni tuttora in corso fra la Francia e la Gran Bretagna hanno una portata che oltrepassa l'art. 16, punto 3, del Patto della S.d.N. Ciò sarebbe confermato dal fatto che la dichiarazione suddetta del Signor Lava.!, comunicata al Regio Ambasciatore a Parigi, non solo già copriva esaurientemente !il disposto del detto art. 16, punto 3, ma per le considerazioni g,jà esposte andava anche al di là di esso, e quindi sarebbe stato inutile ogni ulteriore scambio di vedute .tra i due Governi.

In tali condizioni il Governo italiano ha l'onore dii rivolgersi al Governo francese per pregarlo, in base agii Accordi di Roma, di volergli fornire più dettagliatamente informazioni sulle conversazioni che hanno attualmente corso tra la Francia e l'Inghllterra.

Esso desidererebbe sapere in special modo per quale durata siano previsti gli impegni tra la Francia e l'Inghilterra e se le nuove conversazioni in corso importano un ulte11iore allargamento degli impegni franco-inglesi.

Il Governo italiano desidererebbe anche conoscere se il Governo francese sarebbe disposto a prendere col Governo italiano impegni sim!llari a quelli pl'esi col Governo inglese, e r~terrebbe utile di iniziare al più presto uno scambio di vedute col Governo francese per esaminare se ed in qual modo gli impegn!l pa;rllicoJari di carattere politico e militare .tra la Francia e l'Inghilterra siano conciliabili con gli Accordi di Roma e i conseguenti Accordi militari italo-francesi, nonché cogli Accordi di Locamo e le intese di Stresa.

(l) Vedi D. 571.

573

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 6 novembre 1935.

Il Signor Stein informa che giorni fa a Milano durante una dimostrazione sono state emesse sotto la sede del Consolato e della Delegazione Commerciale dell'U.R.S.S. grida ostili al suo paese. L'Ambasciatore mi dà questa notizia a titolo di informazione senza voler dare alla stessa un altro carattere, ma considera l'incidente molto increscioso. Ne ha informato naturalmente il suo Governo ma non ha lasciato dare la notizia dall'Agenzia Tass.

Il Console di Milano ha anche richiamato su questo incidente l'attenzione del Prefetto, il quale ignorava la cosa.

Rispondo all'Ambasciatore che non ho avuto fino ad ora notizia di questo fatto, che comunque é evidente che la dimostrazione contro l'U.R.S.S. rientra nel quadro generale delle manifestazioni anti-sanzioniste; con l'esacerbarsi degli animi in Italia per l'applicazione delle sanzioni, che sono considerate una ingiustizia, manifestazioni del genere sono spiegabili.

L'Ambasciatore dell'U.R.S.S. spera che tuttavia questo fatto rimanga isolato. Ad ogni modo egli osserva con certo compiacimento che ci sono degli altri Paesi in questo momento più invisi all'Italia dell'U.R.S.S. e cioè la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio, almeno a giudicare dal contegno della stampa italiana.

L'Ambasciatore fa molte domande insistenti sui colloquio Mussolini-Drummond a cui rispondo in modo vago. Mi chiede poi se ci risulta degli approcci tra la Gran Bretagna e la Germania e tra la Francia e la Germam.,..

Gli rispondo che abbiamo la convinzione che tra la Gran Bretagna e la Germania ci siano degli accordi concreti che vanno al di là del noto patto navale. Ciò è confermato in modo indiretto dall'atteggiamento della Germania. Sarebbe stato logico che la Germania, che non é legata dal Covenant, si fosse gettata dalla parte dell'Italia per accaparrarsi la sua amicizia, ciò anche in considerazione del fatto che c'é una analogia nella posizione dei due Paesi di fronte alla S.d.N. e c'é una solidarietà di difesa di due regimi di fronte all'azione scatenata da tutte le varie tendenze antifasciste.

(L'Ambasciatore m'interrompe per dirmi che secondo lui l'antifascismo non c'entra per nulla nella crisi attuale. Gli rispondo che é questione d'opinione).

La Germania invece si é attenuta alla stretta neutralità e non pare volere uscire da questa situazione.

Continuando gli dico che abbiamo l'impressione che anche la Francia approfittando di intese anglo-germaniche tenti un avvicinamento con la Germania essendo corrisposta dalla Germania stessa (discorso Goring).

L'Ambasciatore mi chiede se tutto ciò non sia diretto in fondo contro l'Italia.

Gli rispondo che non lo credo: l'obiettivo è diverso. Anzi non si può non riconoscere la buona volontà di Lava! di mantenere intatta l'amicizia fra~ncoitaliana.

L'Ambasciatore mi dice che allora si andrebbe al Patto a Quattro. Gli rispondo che non si tratto di questo. Ci sono degli approcci diretti due a due fra i paesi summenzionati (l).

574

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 6 novembre 1935.

Il Ministro dell'Iran è venuto a fare verbalmente la seguente comunicazione confidenziale:

Il Governo di Teheran, circa le sanzioni, ha impartito istruzioni alla Delegazione iraniana a Ginevra di limitarsi ad aderire alle proposte relative all'embargo sulle armi e munizioni e alle misure finanziarie, ma di fare le più espresse riserve per quanto riguarda le proposte relative al divieto di importazione di merd italiane.

Il Governo iraniano, ha soggiunto il Sig. Sepahbodi, ha interesse a non urtare la S.d.N. e quindi deve adempiere a un minimo di obblighi verso di essa. Ma il Governo iraniano tiene molto all'amicizia dell'Italia e alla collaborazione con essa. Avrebbe formulato pertanto la sua risposta nel senso di limitare praticamente la propria adesione a quelle sanzioni che non hanno portata pratica nei rapporti tra Italia e Iran. L'Iran non produce materiale bellico né sarebbe in grado di fare prestiti all'Italia. Ha dato quindi la sua adesione alle proposte n. l e n. 2.

Circa le importazioni dall'Italia egli era in grooo di informare che LI Governo di Teheran intende non solo mantenere le ordinazioni in corso in Italia, ma anche farne altre -proprio in questi giorni il Sig. Sepahbodi ha ricevuto istruzioni di trattare per l'ordinazione di alcuni battelli.

Il Ministro dell'Iran presso la Real Corte ha terminato reiterando le assicurazioni dei sentimenti di amicizia del suo Governo per l'Italia, nonché i propositi di continuare a sviluppare la collaborazione tra i due Paesi (1).

40 --Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

(l) Il presente documento reca il visto di Mussol!n!.

575

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 8138/840 R. Parigi, 7 novembre 1935, ore 13,55 (per. ore 18,20).

Uomini politici francesi e giornalisti amici fedeli all'Italia mi hanno intrattenuto negli ultimi giorni con vivo rincrescimento dell'atteggiamento antifrancese assunto da una parte della stampa italiana e delle voci correnti in Italia, secondo le quali si può già ritenere tramontata amicizia itala-francese. Suddetti nostri amici, contrari all'applicazione di sanzioni all'Italia, riconoscono peraltro che la situazione di Laval è difficile e che egli, pur essendo il migliore amico che l'Italia conti fra uomini di Stato francesi, non poteva agire diversamente.

Posizione di Laval è sempre molto ardua sopratutto per ragioni di politica estera. Mentre infatti gli stessi membri radicali del suo Gabinetto e tutti gli elementi di sinistra gli rinfacciano la sua eccessiva amicizia per l'Italia e di non aver quindi accettato sanzioni più efficaci di quelle finanziarie ed economiche, gli uomini di destra e la grande massa degli elementi benpensanti, ostili per tradizione all'Inghilterra, gli rinfacciano di non aver assunto atteggiamento decisamente ostile alle sanzioni. Gli uni e gli altri sono però fautori della S.d.N. e della fedeltà ai Patti e strenui sostenitori di una politica di pace ad oltranza. Basta enunciare i termini della situazione per rendersi conto in quali torbide acque debba navigare Laval. Se a ciò si aggiunge che egli, come del resto ogni altro parlamentare francese, non possiede in modo eccessivo energia né coraggio, si porge la spiegazione della linea di condotta da lui seguita; sbagliano, a mio avviso, coloro che vogliono giudicare le cose di Francia in base alla mentalità fascista. Siamo lontani le mille miglia a Parigi dal nostro modo di pensare.

Se si vuol mantenere l'amicizia itala-francese e farla prosperare bisogna, pertanto, farsi reciproche concessioni. Siamo tornati amici da soli dieci mesi. Noi italiani abbiamo ricevuto e riceviamo ogni giorno le maggiori testimonianze di simpatia dalla parte sana e quindi migliore della Francia. Ancora iersera alla Sorbona, durante cerimonia in onore di Luigi Lumière, alla quale assistevano Presidente della Repubblica e numerosi Ministri, la consegna da me fatta al festeggiato di un messaggio dell'Accademia dei Lincei provocò un applauso durato almeno tre minuti. Noi vogliamo buttare a mare amicizia francese, che non vedo con che cosa potremmo sostituire? Sensibilità politica francese è eccezionale.

Finora, nonostante una certa sorpresa, opinione pubblica ha compreso risentimento italiano, ma essa si rivolterebbe se nostra stampa continuasse a parlare di tradimento francese e di voler cercare appoggio in Germania. Tutto ciò è aggravato dalla circostanza che la stampa italiana non è considerata libera espressione di corrente politica incontrollabile.

Aggiungo che da varie notizie di cui dispongo, la Francia sembra prepararsi applicare sanzioni in modo molto blando e sta cercando contemperare suoi impegni societari con disposizioni che favoriscano lta;lia, in conformità anche a pressioni esercitate su Lavai dagli organi economici, industriali e commerciali francesi che si sentono minacciati.

576

IL DOTTOR DUBBIOSI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 8168-13264 (l) -8184/367-368-369 R. Sanaa, 7 novembre 1935, ore 15 (per. ore 7,15 dell'B),,

In riferimento telegramma di codesto Ministero n. 146 (2), ritengo opportuno segna:lare preventivamente, per l'uso che code,sto Ministero crederà farne, alcuni elementi in relazione al prossimo arrivo della missione per eventuale preparazione al riguardo.

l) Mentre dieci anni fa stato d'animo collettività non tendeva ad altro che ad aumentare potenza militare del paese, attualmente è orientato anche all'acquisizione tutti i portati della civiltà e della tecnica moderna. Non è escluso che questa tendenza è sempre più sollecitata dallo stesso movente essendosi constatato che il mantenere chiuso il paese alle manifestazioni civiltà precludeva o limitava conseguimento possibilità diventare paese forte per gareggiare con paesi vicini che si evolvono rapidamente, non potendo dare lo sfruttamento primitivo non organizzato delle risorse locali un rendimento maggiore di quello attualmente fornito (che è ben poco). Data tale tendenza, si è avuto necessariamente progressivo orientamento verso Aden, paese che, per posizione geografica e per attrezzatura, meglio si presta a sostenere tale tendenza. Yemen, se ha ceduto in qualche suo noto atteggiamento anglofilo, non è perchè sia diventato anglofilo ma per il fatale richiamo del Paese che è più favorevole alle sue necessità del momento. A tal uopo occorre innanzi tutto rivedere sostanzialmente nostra posizione commerciale nello Yemen ed apportarvi radicali modifiche a cominciare da quelle relative al servizio navigazione nel Mar Rosso che possano realmente servire gli interessi di questo commercio.

2) Questione della rappresentanza ufficiale a Sanaa. È necessario trattare tale questione e apportarvi quella soluzione che sarà ritenuta più rispondente. Notifico in proposito formalmente che dato l'estendersi del lavoro sanitario (il nuovo ospedale civile di duecento letti è in corso di costruzione), attività dei sanitari diventa insufficiente all'opera che loro si richiede. Occorre tener presente preventivamente (per non correre a ripari improvvisati) che, come già ne sono venuti, nuovi sanitari stranieri non tarderanno venire qui: fatto che impone una seria nostra organizzazione sanitaria tale da non prestarsi ad attacchi di concorrenti. Prima ancora di perdere la posizione sanitaria è necessario prendere adeguate misure lasciando cioè i medici al loro lavoro. Ma anche missione è propizia e quindi sarebbe bene che missione facesse venire al seguito

(-2) Vedi D. 442, nota l.

persona adatta da lasciare qui per rappresentanza con formula che sarà facile trovare. ~·.,..i

3) Aumento sanitari nello Yemen. Per varie ragioni si rende necessario aumentare numero sanitari nello Yemen oltre che per maggiore estensione presa dal servizio anche per utilità avere nucleo sanitari pratici Paese sia dal lato tecnico che ambientale. Sarebbe bene che, al seguito della missione, venisse un medico (oltre quello richiesto per sostituire sanitario Hodeida), per essere lasciato in Sanaa o presso Principe ereditario. Il chiedere direttamente, come per il passato ho fatto, alla Autorità locale non ha dato risultato soddisfacente mentre offerta diretta da missione avrebbe sicurezza riuscire.

Telegraferò altri argomenti che potranno formare oggetto trattative per missione.

(l) -Il telegramma è inserito nel registro P.R.
577

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8151/251 R. Bruxelles, 7 novembre 1935, ore 21,20 (per. ore 1,25 dell'B).

Telegramma di V. E. n. 196 (l).

Se io sondassi personalmente van Zeeland sulla portata della sua proposta conciliativa, egli mi risponderebbe senza dubbio in modo evasivo come ha fatto in passato e tanto più farebbe ora che, dopo il conferimento di un mandato societario a Francia e Inghilterra, gli sarebbe facile obbiettarmi un maggiore obbligo di riserbo da parte sua, mentre io, nel contempo, verrei a dargli prova di quell'interessamento che le istruzioni di V. E. mi vietano di dimostrare.

Ho preferito pertanto indagare presso varie fonti bene informate e sulla cui discrezione mi è lecito fare assegnamento. Dal risultato di tali indagini credo poter assicurare V. E. che, contrariamente a interpretazione in senso diverso, la mozione di van Zeeland a Ginevra ebbe reale scopo di rafforzare Laval e la sua azione in nostro favore. A ciò van Zeeland sarebbe stato spinto non solo dai motivi indicati nel mi:o telegramma n. 246 (2) ma anche e sopratutto dal timore che i giorni del Ministero di Lavai siano contati e che i suoi successori, rifiutando ogni accomodamento, scatenino in Mediterraneo e forse anche in Europa quel conflitto armato in cui il Belgio ha tutto da perdere. Mi consta che van Zeeland tiene moltissimo a cancellare la cattiva impressione fatta su noi dal suo zelo societario e che ha formalmente pregato questo Nunzio Apostolico di assicurare la Santa Sede della sua sincera intenzione di adoperarsi per una soluzione compatibile con nostre esigenze sempre, beninteso, entro il quadro della S:d.N. Spero conoscere al più pre,sto possibile con qualche precisione i particolari che sarebbero stati da lui suggeriti per la soluzione suddetta (3).

(l) -Vedi D. 533, nota 1 p. 510. (2) -Vedi D. 533. (3) -Vedi D. 593.
578

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 2151/c. R. (1). Roma, 7 novembre 1935, ore 24.

Delegazione italiana Ginevra comunica il 6 corrente quanto segue:

« Secondo informazioni datemi da Ministro Romania Antoniades Governo inglese svolgerebbe intensa azione a Washington per indurre Governo americano estendere sua neutralità imponendo embargo oltre che sulle armi anche sul petrolio. Intensa azione verrebbe svolta anche sulle compagnie Royal Dutch e Standard Oil.

Londra ha avuto cura di affidare proposta canadese a nazione americana appunto perché ciò avesse sua ripercussione a Washington. Inclusione alla proposta canadese del carbone del ferro e della ghisa sui quali non si potrà imporre effettivo controllo, è stato pretesto per far apparire meno direttamente vero scopo della manovra britannica che mira esclusivamente a raggiungere embargo sul petrolio.

Reazione di questo ambiente americano (Ministro Wilson e giornalisti) è stata vivace controproposta Coulondre intesa a controllare esportazione verso Paesi non partecipanti dato che, oltre odiosità misura, essa colpirebbe esportazione del caucciù e del nichel che Stati Uniti importano dal Canadà ».

Interessa conoscere se informazione esatta. In ogni caso Governo americano non dovrebbe più di quanto ha già fatto prestarsi al giuoco inglese di adoperare la S.d.N. pei suoi particolari interessi.

Telegrafi (2).

579

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 7 novembre 1935.

Do all'Ambasciatore Long, su sua richiesta, informazioni generiche sulla situazione.

Gli osservo che le ultime dichiarazioni del Presidente Roosevelt e del Segretario di Stato Hull non risultano del tutto chiare a favore del mantenimento della più stretta neutralità fino in fondo.

L'Ambasciatore mi esclude che da parte americana ci sia nessun fatto concreto in contrasto col principio della neutralità, e sono i fatti che contano. L'America è quasi nella totalità contraria all'azione italiana in Etiopia perché

i suoi concittadini tendono sempre a seguire un princ1p1o sentimentale nei loro atteggiamenti internazionali e, nel caso concreto, il conflitto itala-etiopico è descritto come l'aggressione del forte contro il debole.

L'Ambasciatore però deve aggiungere che questa stessa posizione sentimentale oggi comincia ad agire un po' anche a favore dell'Italia, in quanto l'Italia appare minacciata di sopraffazione da una vasta coalizione mondiale, a capo della quale sta la Gran Bretagna. È questo un elemento che non va trascurato (l).

(l) -Trasmesso per conoscenza alle Ambasciaw a Mosca, Londra, Parigi e Berlino. (2) -Vedi D. 615.
580

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 918/406. Tokio, 7 novembre 1935 (per. il 26 dicembre).

Allorché riferii a V. E. le dichiarazioni di Hirota, in rettifica a quelle di Sugimura (2), sul contegno del Giappone nel conflitto itala-etiopico, manifestai l'opinione che se questo Ministro per gli Affari Esteri avesse voluto parlare secondo il suo pensiero, e non secondo quello di qualche gruppo nazionalista più avanzato, non si sarebbe espresso in modo diverso dal proprio ambasciatore. E qualche settimana dopo aggiunsi avere l'impressione che, come nel caso del comunicato giapponese dell'anno scorso sulla politica in Cina, anche questa volta alla prima tempesta non ne sarebbero qui seguite altre e le acque si sarebbero pian piano calmate. Infatti le successive comunicazioni del Ministero per gli Affari Esteri ai giornalisti hanno provato che la linea di condotta segnata da questo dopo le dichiarazioni dell'ambasciatore del Giappone in Roma indicava il limite più avanzato e che un po' alla volta il governo andava indietreggiando fino a far quasi coincidere il proprio pensiero, se non le proprie parole, con quello del suo rappresentante. La forma delle dichiarazioni di Tokio è rimasta press'a poco la stessa: il Giappone essere amico di entrambi i contendenti e non volere quindi parteggiare né per l'uno né per l'altro, seguire gli avvenimenti con la massima attenzione, non paterne tuttavia prevedere lo svolgimento, non essere perciò in grado di decidersi e manifestare il proprio futuro contegno. Il mutamento della forma è consistito più nella soppressione o nel cambiamento di aggettivi e avverbi che non di verbi e sostantivi, più in quello che non è stato ridetto che non in quello che è stato detto, più ehe in espliciti riconoscimenti dei nostri diritti in una ripresa di meno freddi rapporti del Ministero degli Affari Esteri con l'Ambasciata e specialmente dei Ministeri della Guerra e della Marina con i nostri addetti militare e navale. Ma nella pittura giapponese le sfumature hanno più importanza dei colori: un mutamento sostanziale vi è stato indubbiamente.

Il sorgere dell'opposizione inglese :::i piani italiani aveva dato animo a quella parte della corrente estrema nazionalista che fino allora con dispetto ma in silenzio, sia pure non spontaneo, li aveva prima uditi affermare e poi visti preparare: si trattava secondo essi della lotta di un popolo bianco, sostenitore morale e materiale dell'opposizione della Cina alla supremazia del Giappone, a danno di un popolo di colore abitante un territorio in cui l'Impero aveva stabilito interessi economici relativamente non scarsi e nel quale sperava stabilirne di maggiori. Senonché l'aggravarsi del contrasto tra Italia e Inghilterra ha fatto un po' alla volta comprendere ai dirigenti militari e civili, che sino ad allora erano stati, anche quando non sostenitori, consenzienti nelle agitazioni contro l'Italia, come, quali che fossero i danni della nostra politica in Cina e del corrispondente linguaggio della nostra stampa verso l'Impero nonché quelli di una nostra conquista dell'Etiopia, l'interesse del Giappone non stava nel porsi dalla parte in cui si trovava l'Inghilterra anche se senza unirsi con questa. Quando pure si fosse voluto trascurare la considerazione che Londra sventolava la bandiera ginevrina e quindi un'insegna sotto la quale non poteva andare a porsi uno stato uscito e con rancore dalla Società delle Nazioni, restava il fatto che una guerra fra gli stati europei, o sia pure solo fra Italia e Inghilterra, poteva offrire al Giappone quell'occasione di estendere il proprio predominio oltre la Cina ch'esso attende e a cui si prepara, e che anche senza guerra la sola diminuzione del prestigio della Gran Bretagna nel mondo in genere e nell'Asia in specie sarebbe stato beneficio assai grande per i disegni politici di Tokio. Tuttavia il mutamento derivato da questi fatti e da queste considerazioni, quantunque sostanziale, come ho detto più sopra, è stato poco appariscente. Quella parte non piccola dell'opinione pubblica non dirigente che un po' alla volta è andata occupandosi della questione itala-etiopica, e della cui ignoranza e sentimentalismo ha saputo valersi la propaganda non disinteressata di alcune delle così dette associazioni patriottiche, ha continuato in genere a parteggiare per l'A:bissinia, vedendo nel confUtto non solo la lotta del bianco contro l'uomo di colore ma anche del forte contro il debole e della violenza contro il diritto. Lettere di simpatia per l'Italia firmate da sconosciuti me ne sono giunte, e una con modestissima offerta a favore dei nostri soldati e un'altra segnata con il sangue; ma qualche altra me n'è giunta anonima con insulti e minacce di morte. I giornali, che malgrado gli articoli ostili della nostra stampa non avevano abbondato in parole di inimicizia per noi, non hanno punto abbondato in parole amichevoli dopo i nostri favorevoli articoli, e sono sembrati preoccupati solo di non lodare la Lega nei riguardi dell'Italia né l'Italia in quelli dell'Etiopia. Benché qualcuno di loro, e tra i maggiori, riconoscesse in privato le nostre ragioni, nulla essi hanno fatto per illuminare le menti e correggere i giudici: temevano forse una diminuzione di vendita, e né il Ministero deg1i Esteri né quelli militari avevano certamente dato loro ordine di mutare linguaggio. Tale voluta inerzia dei dirigenti può spiegarsi in parte con il risentimento sia per la nostra politica in Cina sia per il passato contegno dei nostri giornali. Ma v'è indubbiamente un'altra causa, e questa si collega con la politica estera di Tokio.

Con la conquista della Manciuria e l'uscita da Ginevra il Giappone ha posto fine alla politica di collaborazione internazionale sostenuta dai suoi parlamentari, e iniziato quella imposta, almeno per ora, dai suoi militari, di «splendido isolamento». Il suo vasto programma panasiatico, che minaccia interessi territoriali e economici di potenze grandi e piccole, lo consiglia di evitare il più a lungo, finché duri il presente stato di cose, i pericoli e i danni di inimicizie troppo dure e di amicizie troppo tenere. È certo che il Giappone non è, nella sua azione, indipendente da quella degli altri stati, sicché sembra probabile che esso non prenderà iniziative. Ma è anche più probabile che, ove iniziative siano prese da altri e una guerra avvenga in Europa, il Giappone non mancherà di entrare pur esso nella lotta. Anche a causa appunto di tale dipendenza il Giappone lavora senza tregua a accrescere i propri armamenti presumendo che una guerra europea possa essere non lontana e sapendo che, giacché la scelta del momento dipenderà assai probabilmente da altri, gli occorre esser pronto per quando che sia. E anche a causa di tale dipendenza, o se preferiscasi malgrado essa, il Giappone non vuole compromettersi troppo con nessuno. Negai fede l'anno scorso alla voce d'un accordo segreto con la Germania, e l'ho negata la settimana scorsa a quella d'un accordo segreto con l'Inghilterra. È assai verosimile che quando avvenga una guerra europea il Giappone si unisca con l'uno o con l'altro dei belligeranti, e contro l'Inghilterra piuttosto che con essa, quali che ne possano essere le promesse e le concessioni.; ma è altrettanto verosimile che fino a allora, o a poco prima di allora, il Giappone voglia apparire come facente parte per sé senza speciali simpatie o antipatie verso nessuno. Se la macchina sarà poi mossa da altri, perché esserne fin da adesso ruota quando non si vedono per ora tutte, perché privarsi fin da adesso deHa possibilità di scegliere poi dove e quando ingranarsi? E allorché venisse il momento chi rifiuterebbe il suo concorso? A queste ragioni pratiche per non mostrare di parteggiare a favore di nessuno si aggiungono quelle teoriche dei nazionalisti avanzati, secondo i quali il Giappone dovrebbe non unirsi con alcuno stato occidentale e dettare la sua pace a tutti; si aggiungono infine quelle psicologiche del carattere nipponico. Credo quindi che anche per tutto ciò il Giappone abbia preferito non mostrare visibilmente, sia pur solo con la stampa, la intuibile verità ch'esso per i propri interessi avrebbe voluto sostenere l'Italia e combattere l'Inghilterra. Per quanto non abbia escluso, e abbia sperato, che una guerra avvenisse in Europa, è stato più propenso a credere in un regolamento pacifico. E non ha ·voluto che, se così poi fosse, i risentimenti di Londra si volgessero in seguito tutti contro di sé. Preferisce per ora non mettersi apertamente in lotta con l'Inghilterra: il giorno che ne vedesse l'utilità non gliene mancherebbero le occasioni. La condotta passiva di questi dirigenti di fronte alla stampa non solo non vuoi dire però indifferenza ma neanche inerzia. Le varie fasi del nostro contrasto con l'Inghilterra sono state e sono qui attentamente seguite affine di trame vantaggio per la propria politica. Allorché cominciò quel nostro contrasto corsero voci d'una nuova azione giapponese in Cina: quando il contrasto si aggravò sino a far supporre una guerra quelle voci cessarono perché certo si pensò qui a più lontane imprese; ln queste ultime settimane infine in cui è tornata la convinzione

che guerra non vi sarà le voci e i segni d'una ripresa di attività in Cina

sono riapparsi.

Da quanto ho esposto sul contegno di questo stato di fronte agli altri d'occidente non intendo dedurre che non vi sia qui per noi nulla da fare. Credo che la politica che per ora si potrebbe e dovrebbe seguire sarebbe quella di predisporre un terreno favorevole agli sviluppi di essa, ove in seguito vi si volesse tendere. Bisogna prepararne la possibilità per il giorno in cui abbia a apparire la convenienza. Il giapponese è tale che a chiedergli decisioni improvvise e immediate si rischia più facilmente un rifiuto. Per dissipare la sua diffidenza occorre lavorare in «tempo innocente» secondo la frase dei giuristi; per rimuovere i suoi dubbi, fargli comprendere che nel futuro sono racchiuse tutte le possibilità e porlo in uno stato d'animo favorevole all'esame di esse. Questo popolo, meritevole d'ammirazione sotto tanti aspetti, è nuovo arrivato e orientale cioè ripieno d'amor proprio e osservantissimo delle forme, e molto lo impressionano non solo lodi e biasimi ma anche cortesie e sgarbi; qualche atto gentile e disinteressato, qualche articolo in cui si riconoscano i suoi stupefacenti progressi e i suoi innegabili bisogni sarebbero accolti con piacere intimo anche se con apparente indifferenza. Qui l'opinione pubblica merita d'esser curata, perché se non è onnipotente non è neanche impotente; il governo può con la stampa modificar la, tanto più che quella ha poca esperienza di politica estera, ma se non ne avesse tempo non credo prenderebbe una grave decisione contro la volontà di essa. Un migliore regolamento degli scambi commerciali, qualche altra iniziativa oltre quella già tn corso per favorire i legami di cultura ·avrebbero pur essi favorevole effetto, e forse anche a altri progetti si potrebbe pensare in campi al di fuori della politica. Ma tutto questo a nulla varrebbe se non convincessimo il Giappone che la nostra attività in Cina ha scopi puramente economici e non si propone quindi rafforzare la resistenza di questa ai disegni di Tokio. Quando il Giappone ne sarà stato persuaso avremo rimosso gli ostacoli e preparato il terreno a eventuali futuri rapporti più intimi. Non manca qui qualche premessa a ·Ciò: vi ho già accennato in mie precedenti relazioni e aggiungo ora che l'opera di V. E. in questi ultimi mesi ha accresciuto l'ammirazione dei giapponesi verso l'E. V. I nostri rapporti sono già migliorati e credo che il miglioramento si accrescerà e rafforzerà alquanto, come conseguenza sia pure indiretta dell'attuale conflitto, che ci ha accomunato al Giappone in quanto è derivato dai nostri bisogni di espansione e ci ha posti contro l'Inghilterra. V'è quindi forse ora più di prima possibilità qui di lavorare e forse collaborare. Il Giappone merita di non essere da noi negletto. Tutto quello che senza danni presenti può assicurarci futuri vantaggi dev'essere perseguito, anche se l'esito sia incerto. La nostra esperienza del passato e del presente ci prova che in politica fin le più solide speranze sono spesso fallaci e le più antiche amicizie caduche. Se dunque anche quanto appare certo si prova in realtà incerto, nessuna possibilità dev'essere trascurata, pur nella convinzione di una qualche verità dell'antica immagine secondo cui l'avvenire è sulle ginocchia di Giove Cl).

{l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) -Il presente documento reca Il visto di Mussolini. (2) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 555, 5H9, 571 e 587.
581

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3837/2367. Vienna, 7 novembre 1935 (1).

Il Signor Schuller, nel colloquio che ho avuto stamani seco lui, mi ha rlpetuto, all'incirca, quanto aveva avuto a dirmi il Ministro Stockinger (mio telespresso n. 2344 del 4 corr.) (2) circa la maggior buona volontà con cui da parte austriaca si cercherà di venir incontro ai desideri ed agli interessi italiani in materia di acquisti e di vendite, sia su questo mercato, che in transito.

Venendo a dettagli più concreti, il Signor Schuller mi ha espresso le seguenti idee:

a) occorrerebbe evitare (da un Iato per non provocare rialzi sul mercato interno e dall'altro per non dar luogo a possibili e temibili misure, da parte dei paesi sanzionisti, contro l'Austria) acquisti disordinati, od effettuati da Case italiane improvvisate qui per l'occasione. Gli acquisti, cioè sia di prodotti austriaci che di prodotti provenienti da paesi terzi ma apparentemente venduti ad acquirenti austriaci dovrebbero effettuarsi fra i consueti acquirenti italiani e le case austriache già note e specializzate nei diversi rami;

b) altrettanto per la vendita di merci italiane in Austria o transitanti attraverso la Repubblica. Per le prime, le autorità austriache potrebbero esse stesse interessarsi onde favorire eventuali scambi vantaggiosi alle due economie (Schuller ha, ad esempio, accennato alla possibilità di scambiare juta austriaca contro canapa italiana); per le seconde, esse si presterebbero, nei limiti del possibile, a nazionalizzare merci italiane (non quelle tipiche, naturalmente), ed a riesportarle come austriache: ciò, mediante qualche manipolazione, o rifinitura, o simili; anche questo, però, purché non si improvvisino qui case commerciali la cui vera nazionalità sarebbe troppo facilmente individuabile, ma purché ci si serva delle case austriache più note per la loro serietà;

c) quanto ai pagamenti, SchiUler ha rilevato che si sta già notando un congelamento nei trasferimenti dall'Italia per merci da tempo acquistate. Ciò preoccupa talune industrie (ad esempio quella della cellulosa, che deve ridurre i propri stabilimenti) e può esercitare cattiva impressione sulla pubblica opinione. Egli stima, grosso modo, che questi congelamenti aumentino a circa 40 milioni di lire, la cui maggior parte per acquisti di cellulosa. Schiiller proporrebbe che questi crediti venissero scongelati al più presto, se pure per tappe, con denaro fresco. In compenso, da parte austriaca si sarebbe disposti a riscattare titoli del prestito austriaco in possesso di cittadini italiani, ponendo gli scellini ricavati a disposizione di ulteriori acquisti italiani sul mercato austriaco. Alla mia obiezione, se non sarebbe cioè preferibile invertire

'?.) Non rinvenuto.

l'operazione ed impiegare tali scellini allo scongelamento degli acquisti già

effettuati, Schuller mi ha opposto la necessità di procedere alla accennata

operazione bancaria poco a poco: egli ha poi aggiunto che i nuovi acquisti

potrebbero stipularsi con pagamento a tre mesi, onde lasciare il tempo

necessario all'acquisto dei detti titoli.

Il Signor Schuller non ha saputo sul momento precisarmi l'ammontare

di titoli austriaci in possesso di italiani: ma ha aggiunto sembrargli che n

pagamento dell'insieme degli interessi verso l'Italia ammonti a più di due

milioni di lire al mese.

(l) Manca l'indicazione della data di arrivo.

582

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PER CORRIERE 2141 R. Roma, 8 novembre 1935.

Questo Ministero ha avuto durante giorni scorsi modo di apprezzare, particolarmente attraverso segna:lazioni di V. E., valore atteggiamento tedesco nei nostri riguardi, che tuttavia non pare uscire dalla più stretta neutralità.

Determinati e complessi aspetti dell'attuale situazione inducono tuttavia a far considerare con la maggiore cautela eventuali progetti di approcci o di intese che tendano ad incidere più profondamente e sopratutto più pubblicamente nelle relazioni predette, e ciò in considerazione delle conseguenti inevitabili ripercussioni che tali 'intese avrebbero in altri settori della politica europea (l).

583

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 2153/155 R. Roma, 8 novembre 1935, ore 1,30.

Suoi telegrammi 340, 341, 347 (2).

Questo Ministero non dubita che V. S. avrà provveduto, in base stesse istruzioni contenute nei telegrammi 140 (3) e 146 (4), a smentire nel modo più reciso presunta intenzione R. Governo occupare zona Sceik Said. Notizia viene diffusa da agenti britannici per suscitare diffidenze di codesto Governo nei nostri confronti e per trovare pretesto intervenire Sceik Said e probabilmente per occupare quella zona. Consigli Imam diffidare e faccia pervenire stesso consiglio a Emiro Taiz a mezzo dr. Pultrone. Faccia anche rilevare che mentre Yemen da amicizia italiana ha sempre ottenuto vantaggi, danni derivati a Yemen in questi ultimi anni sono dovuti ad azione politica inglese che ha incoraggiato Saudia nella questione dello Assir e che ha costretto Imam a risolvere in modo sfavorevole per Yemen questione confini Aden.

(-4) Vedi D. 442, nota l.
(l) -Vedi D. 706. (2) -Telegrammi 7844/340 R. e 7838/341 R. del 29 ottobre 1935, ore 16, e 7861/347 R. del 30 ottobre 1935, are 16, con i quali Dubbiosi riferiva la preoccupazione yemeni,ta per la supposta intenzione italiana di occupare la zona di Bceik Said. (3) -Vedi D. 439.
584

IL CONSOLE GENERALE A OTTAWA, PETRUCCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8195/100 R. Ottawa, 8 novembre 1935, ore 17,47 (per. ore 2,10 del 9).

Iniziativa presa dal Delegato canadese Ginevra per inclusione petrolio, carbone, ferro nella proibizione esportare in Italia ha meravigliato questa opinione pubblica e, sebbene giornali si siano in generale astenuti dal commentarla, mi risulta che ha provocato proteste a questo Governo che ha informato privatamente trattarsi iniziativa presa dal Riddel senza sua autorizzazione espressa.

Vengo informato riservatamente che questo Dipartimento degli Esteri ha richiamato severamente all'ordine il predetto suo Delegato a Ginevra ingiungendogli di astenersi d'ora in poi dal prendere iniziative del genere e di cercare anzi di svincolarsi da quella già presa di cui sopra. Pare che il Riddel si sia scusato che egli ha agito come membro dell'Ufficio Internazionale del Lavoro e non come Delegato canadese. Si ritiene qui che egli abbia obbedito alle pressioni della Delegazione inglese, che ha ritenuto deliberazione includere sanzioni materie predette avrebbe potuto più facilmente essere accettata da

S.U.A. se proposta dal Canadà.

Sembra che il viaggio del Primo Ministro a Washington produrrà una stretta intesa fra i due Paesi il che avrebbe grande ripercussione anche fra il Dominion e la Gran Bretagna.

585

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8181/846 R. Parigi, 8 novembre 1935, ore 19 (per. ore 21,50).

Ho comunicato a Lavai conversazione fra il Duce e Drummond del 5

corrente (1).

Presidente del Consiglio mi ha pregato ringraziare Capo del Governo.

Egli ha preso atto con viva soddisfazione del proposito di Hoare di avanzare proposta che possa portare ad una détente effettiva nonché della dichiarazione del Duce che sarebbe utile prendere degli impegni preliminari nel Mediterraneo. Ha riscontrato con soddisfazione che i chiarimenti di Drummond circa nessuna intenzione dell'Inghilterra di fare la guerra all'Italia nonché circa sanzioni militari e bloceo a cui non era stato mai pensato confermavano quanto egli mi aveva costantemente detto.

Ho fatto rilevare a Lavai quanto giustamente il Duce avesse esposto a Drummond che il pericolo delle sanzioni consisteva nello scopo assurdo che con esse si voleva raggiungere che era quello di far cessare la guerra.

Senza esprimersi al riguardo, Lavai mi ha pregato di rileggergli questa parte del colloquio. Lavai mi ha detto infine che aveva inviato personalmente a Corbin istruzioni di fare, con la delicatezza che le circostanze comportavano, un passo presso Hoare per rinnovargli amichevole ma insistente consiglio di addivenire al più presto possibile ad un regolamento diretto con l'Italia del reciproco armamento nel Mediterraneo. Egli è infatti certo che, chiarito che fosse questo punto, diverrebbe molto più facile il negoziato circa la conciliazione.

(l) Vedi D. 562.

586

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8179-8180/850-851 R. Parigi, 8 novembre 1935, ore 20,25 (per. ore 23,40).

Ho interrogato Lavai circa visita a Parigi di von Ribbentrop di cui parla da due giorni, con ampi commenti, la stampa europea.

Lava! mi ha detto che né egli lo ha invitato, né fino a questo momento gli era pervenuta notizia che von Ribbentrop avesse intenzione di venire fra breve a Parigi. Se fosse peraltro giunto qui ed avesse espresso il desiderio di vederlo, egli lo avrebbe ricevuto.

Lavai ha aggiunto testualmente: «Avete letto quello che dicono i giornali. Attribuiscono ad Herriot intenzione di concludere alleanza con i sovieti contro la Germania e a me quella di intendermi con la Germania contro la Russia. Vi ho esposto due mesi fa il mio pensiero in proposito (vedasi mio telegramma per corriere n. 0109 del 23 agosto u.s.) (1).

Se von Ribbentrop venisse a vedermi e mi parlasse di politica, gli esporl'ei le condizioni alle quali io sarei disposto ad intendermi con la Germania. La principale di esse è che la Germania dia alla Francia assicurazioni formali di non avere alcuna intenzione di attaccare gli Stati che si trovano all'Est. Voi, che siete sta-to a lungo in Germania, immaginerete forse che Hitler non vorrà prendere un simile impegno. Io voglio far credito al suo pacifismo e ritenere che si accontenti di costituire uno Stato forte e concorde senza cercare di espandersi da alcuni lati. Desidero pensare così perchè conosco il popolo francese. Esso è profondamente pacifico. Non si batterà se non si tratterà di difendere il proprio territorio. Non voglio dire con ciò che non manterremmo gli impegni assunti qualora fossero attaccati gli Stati con i quali abbiamo Trattati che ci obbligano ad assumere responsabilità in caso di

aggressione. Ma, siccome il popolo francese non vuole correre il rischio di doversi battere per difendere altri popoli, io devo agire in modo da farmi dare assicurazioni che la Germania non nutre intenzioni aggressive ».

Ho risposto a Laval che io ero pieno di ammirazione per il pacifismo che animava la sua azione politica e comprendevo quindi profondamente che egli desiderasse di poter contare sopra le intenzioni analoghe del Cancelliere germanico. Era però utile per gli uomini di Stato rileggere spesso gli ultimi capitoli del libro di Hitler, dai quali traspariva, in modo chiarissimo, quale fosse la linea di condotta da lui p:ceconizzata: espansione verso Oriente per procurarsi le materie prime necessarie per poter svolgere con successo ulteriori piani in altra direzione. Scopo finale di Hitler è schiaccia;mento della Francia, nemica ereditaria del germanesimo. Se Lavai riusciva ad ottenere le garanzie enunciate ed a ottenere assicurazione che non si sarebbe trattato di un pezzo di carta, avrebbe indubbiamente fatto fare un grande passo avanti alla pacificazione dell'Europa; era pur bene tenere presenti recenti dichiarazioni fatte a Basilea dal dottor Schacht relative alle intenzioni espansionistiche tedesche verso l'Ukraina d'accordo con la Polonia.

Lavai mi ha detto che quanto gli avevo detto lo turbava, perché gli faceva vedere assai brutta situazione fra qualche anno. Evidentemente, fra le ipotesi di una alleanza con i Soviet ed una intesa con la Germania, opinava trovare piuttosto preferibile alleamza italo-francese.

Gli ho risposto che non esisteva dubbio a riguardo da parte mia, perché solo una stretta unione fra i due grandi popoli latini poteva costituire argine al dilagare del germanesimo.

Lavai ne convenne ma osservò che la divergenza fra il Duce e lui consisteva in ciò, che Mussolini, dovendo tenere giusto conto del bisogno di espansione del popolo italiano, non aborriva dalla guerra, mentre lui sapeva, come mi aveva detto dianzi, che il popolo francese, contento di quanto possiede, che basta ampiamente ai suoi bisogni, è pacifico ad oltranza e non vuole a nessun costo la guerra.

(l) Vedi serie ottava, vol. I. D. 797.

587

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 2171/503 R. Roma, 8 novembre 1935, ore 24.

Prego V.E. voler accertare nei modi che riterrà più opportuni quale punto di vista codesto Governo si proponga di sostenere alla prossima Conferenza Navale ed in genere quali previsioni si facciano costì sull'andamento della Conferenza stessa e sugli obiettivi che l'Ammiragliato britanntco si proponga (1).

(l) Per la risposta di Rosso vedi D. 633.

588

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8262/494 R. Ginevra, 8 novembre 1935 (per. il 12).

Professore e scrittore svizzero Burckhard è stato inviato in missione in Germania dalla Croce Rossa Internazionale per investtgare situazione nella quale si trovano colà nei campi di concentramento deportati politici.

È venuto perciò in contatto con la Wilhelmstrasse ma ancor più con i dirigenti della Gestapo. Mi ha riferito riservatamente che nei riguardi del conflitto anglo-i,taliano ha constatato due correnti; l'una che fa capo al Fiihrer e che tende a giuocare la carta inglese coerentemente a certe idee che si trovano espresse nel Mein Kampf e cioè: la salvezza dell'Europa può solo realizzarsi iJU una stretta unione fra le due razze nordiche. L'altra corrente, che fa capo a Goering e che include la Reichswehr, vede nell'azione della Società delle Nazioni contro l'Italia esclusivamente un attacco al fascismo, sicuro preludio d'un attacco al nazismo.

Il Generale von Seckt, alludendo al Fiihrer, ha detto al Professore Burckhard: «Ci è difficilissimo fargli comprendere che ciò che si verifica ora a Ginevra e in Europa non è che la prova generale d'una azione mondiale destinata ad abbattere il regime nazista ». Il Generale con Seckt ha aggiunto a Burckhard che se gli italiani riuscissero a convincere il Fiihrer che la lotta imperniata contro di loro non ha le sue origini solo in una difesa di posizioni e di prestigio da parte dell'Impero britannico, ma anzi e sopratutto in un'azione della Terza Internazionale e dell'antifascismo mondiale, essi finirebbero col guadagnarlo alla loro causa.

589

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8379/6 R. Roma, 8 novembre 1935 (per. il 14).

Ho fatto la mia prima visita ufficiale al Cardinale Segretario di Stato, domenica 3 corrente. Il Cardinale mi ha restituito immediatamente la visita all'Ambasciata.

I due colloqui sono stati cordiali, ma formali. Il Cardinale, ritornato da due giorni dal congedo di un mese trascorso nella Svizzera, non aveva evidentemente avuto la possibilità di mettersi al corrente degli affari. Ho portato il discorso sulla situazione politica, senza ottenere delle risposte precise. Il Cardinale mi disse che Lavai era in pericolo e che si profilava, come possibile, un Ministero Flandin-Herriot. La Segreteria di stato, come del resto lo stesso Pontefice, fanno gran conto di Lavai. e nutrono forti speranze sulla sua azione mediatrice. Osservai al Cardinale che le intenzioni di Lavai sono certamente

buone e rette, ma che egli presume forse un po' troppo di ,sé nel fare mostra di ottimismo ad ogni costo. Anche a distanza, ci si rende conto che Lavai rappresenta nel suo Ministero una tendenza che di giorno in giorno si affievolisce, mentre affermasi sempre più l'indirizzo opposto che fa capo al sig. Herrio t.

Ho visto stamane il Segretario di Stato. Egli mi ha detto che notizie pervenute alla Segreteria di Stato da fonte autorevole farebbero credere che il Governo britannico si mantenga intransigente su tutta la Unea. Il Cardinale ha soggiunto che l'Inghilterra sarebbe decisa « di andare a fondo fino ad avere causa vinta». Ho domandato a Sua Eminenza che interpretazione dava alle ultime parole di sapore sibillino. Non ha saputo o voluto dirmelo. Mi ha dichiarato che le informazioni non gli provenivano dall'Inghilterra e neppure dai Nunzi e ha finito per dirmi che venivano da Ginevra, accentuando che chi le aveva date era persona autorevole. Lo stesso informatore aggiungeva che all'Italia sarebbe offerta un'ancora di salvezza, une perche, e che in ogni caso era sommamente consigliabile che l'auspicato componimento si raggiungesse prima del 18 novembre.

Non ho nascosto al mio interlocutore la mia meraviglia per il linguaggio oscuro impiegato, mentre era più che mai di sommo interesse di parlare in modo intelligibile. Il Cardinale mi ha assicurato che non era in grado di dirmi di più. Gli ho domandato se aveva notizie analoghe da Parigi e se Monsignor Maglione lo avesse informato del lavoro di Lavai. Sua Eminenza mi ha interrotto per dirmi che l'esistenza del Gabinetto Lavai era seriamente compromessa e mi ha ripetuto che si prevedeva di prossima formazione un Gabinetto Flandin-La val.

Ho visto subito dopo Monsignor Pizzardo, il quale mi ha dato lettura dei punti principali dell'informazione alla quale si era riferito il Segretario di Stato. Dall'insieme delle cose dettemi e dagli accenni, ripetutamente fattimi dai due prelati, all'autorevolezza della fonte informativa, ho tratto l'impressione che la notizia comunicatami provenisse dal signor Avenol. È possibile infa,tti che il Segretario Generale della S.d.N. abbia creduto opportuno di influenzare la Santa Sede perchè a sua volta premesse su di noi per indurci ad assumere un atteggiamento remissivo. In questa convinzione ho detto al Cardinale prima e a Monsignor Pizzardo poi non risultarci che l'Inghilterra nutrisse verso di noi, in questo momento, i propositi estremi segnalati da Ginevra. Mi sono anche servito, con prudenza e in via confidenziale, delle notizie di cui al telegramma del R. Ambasciatore a Londra del 22 ottobre scorso comunicatomi col telespresso m1nisteriale n. 239566/C del 5 corrente (l) (atteggiamento del Principe di Galles nel conflitto etiopico). Ho voluto insomma che la Segreteria di Stato non si acconciasse all'irreparabile e piegasse di fronte ad una situazione di cose considerata ormai insanabile. Ho detto al Cardinale che

V. E. ha dimostrato con i fatti quale alto senso di responsabilità animi i suoi atti, e che non è certamente a noi che si deve predicare la moderazione.

Monsignor Pizzardo ha abbordato anche il tema dell'equilibrio del Mediterraneo, dando quasi a credere che quest'ultimo problema tenda ad assumere

un'importanza maggiore di quello etiopico. Mi propongo di approfondire questo punto. Gli alti Prelati della Segreteria di Stato parlano un linguaggio che è per me nuovo. È probabile perciò che, almeno per qualche tempo ancora, io debba accontentarmi di chiarire alcune questioni delicate in due tempi. L'accenno al problema mediterraneo per quanto vago è stato insistente.

Nei prossimi colloqui alla Segreteria di Stato procurerò di chiarire se per caso l'Inghilterra ricerchi, in questo momento, di vincolare non soltanto la politica francese, ma anche quella italiana nel Mediterraneo, allo scopo di togliersi ogni preoccupazione da quel lato.

(l) Non pubblicato.

590

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI NORVEGIA A ROMA, IRGENS

APPUNTO. Roma, 8 novembre 1935.

Il Ministro Irgens mi dice che il suo Governo sta facendo tutti gli sforzi per mantenere il commercio con l'Italia; la situazione del clearing però, ove lo scoperto ha superato i dieci milioni, comincia a preoccupare gli esportatori norvegesi.

Il Ministro mi lascia un appunto. Si richiama anche all'art. 2 dell'Accordo commerciale tra la Norvegia e l'Italia che prevede l'apertura di nuovi negoziati in un caso come quello che si sta verificando. Egli chiede se non si potrebbe pargare in contanti almeno ,la metà di tale scoperto per dare un po' di fiducia agli esportatori norvegesi.

Gli rispondo che la cosa mi pare difficile perchè costituirebbe un precedente; l'unica soluzione per risolvere il problema è quella di attivare le importazioni italiane in Norvegia.

Il Ministro mi assicura che il suo Paese fa tutto il possibile a tale riguardo e che per ciò a Ginevra ha fatto anche le più serie eccezioni per quanto riguarda i pagamenti del saldo del clearing. La questione non è stata ancora risolta (1).

591

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, WAGNIERE

APPUNTO. Roma, 8 novembre 1935.

Il Ministro Wagnière viene a comunicarmi che il Governo Federale ha accettato le sue dimissioni e chiede quindi il gradimento per il suo successore

41 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

che sarebbe il Consigliere di Legazione Paul Ruegger, di cui all'unito appunto (1).

Egli aveva presentato ed insistito nelle sue dimissioni dato che da tempo ha superato i limiti di età; di fronte alle ultime difficoltà però aveva manifestato il desiderio di rimanere al proprio posto; cosa ·che però non è stata possibile perché nel frattempo si era designato il successore.

Il Ministro è molto dispiacente di abbandonare questo posto ed il nostro paese ove si trovava da tanti anni e di cui ha seguito con affetto e simpatia le vicende.

Assicuro il Ministro che da parte italiana lo si apprezzava per la scrupolosità e l'obiettività con cui aveva saputo reggere questo Ufficio e che la sua partenza sarà appresa con un senso di vivo rammarico.

Il Ministro prega che tale notizia rimanga per ora riservata; non ne ha parlato neanche alla sua Legazione.

Venendo a parlare delle proposte di ripresa dei negoziati commerciali, comunico al Ministro che noi siamo disposti a trattare un clearing sulla base della completa compensazione, purché nel clearing entrino tanto le partite commerciali che quelle finanziarie. Le trattative dovrebbero svolgersi a Roma (2).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolin1.

592

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. s. 8221-8224/550-551 R. Washington, 9 novembre 1935, ore 19,05 (per. ore 5,35 del 10).

Mio telegramma n. 547 (3).

Dalle dichiarazioni fatte recentemente da questo Segretario di Stato, risulta evidente che il Governo degli S.U. si propone di esercitare pressioni sulla opinione pubblica e sul Congresso per far concedere al Presidente più ampi poteri discrezionali nell'applicazione della neutralità. Ove fosse concessa, simile estensione di poteri significherebbe più attiva collaborazione americana con

S.d.N. e forse anche diretta partecipazione americana al boicottaggio commerciale dell'Italia. Non è possibile dire oggi se o meno predetta ipotesi abbia grandi probabilità di verificarsi. Ciò dipenderà dal prevalere della corrente collaborazionista oppure di quella isolazionista al momento della riconvocazione del Congresso nei primi giorni gennaio p.v.

Intanto occorre tener presente che virtualmente già aperta campagna per elezioni presidenziali del 1936 e che problema della neutralità interessa uomini politici americani, specialmente nei suoi riflessi elettorali. Al rigual.'do importa anche rendersi conto che argomenti basati sul buon diritto italiano nel ·Conflitto etiopico hanno scarsa presa su questi ambienti politici, i quali

possono essere influenzati soltanto da aspetti americani del problema internazionale e dalle loro possibili reazioni sulla massa elettorale. In presenza di tale situazione io mi sto adoperando con necessarie cautele a valorizzare quanto possibile influenza del voto italiano. Senonché questo rappresenta un fattore di importanza molto relativa sia numericamente che politicamente.

Esistono però altri fattori che si prestano ad essere sfruttati in senso favorevole a noi e con portata più diretta come:

l) reazione degli ambienti cattolici contro propaganda anglofila delle chiese protestanti suindicate. Tale reazione è già in atto e naturalmente mi adopero ad incoraggiarla in tutti i modi;

2) possibilità di creare nel pubblico americano preoccupazioni per pericolo di una egemonia politica inglese, basata sul controllo che l'Inghilterra ha mostrato di esercitare specialmente sulla Lega delle Nazioni;

3) attitudine sospettosa degli ambienti della Marina contro la politica navale britannica.

È ovvio nostro interesse che tali aspetti del problema vengano sollevati e discussi dal pubblico e dalla collettività in modo da esercitare influenza sul Congresso.

Con questo obiettivo in mente, ho preso contatto con il signor Shearer, abilissimo agente giornalistico così come politico, che deve essere noto anche a R. Marina per la parte, non ufficiale, da lui presa nella Conferenza Navale tripartita di Ginevra del 1927, della quale provocò indirettamente fallimento secondo il desiderio della Marina americana. Il signor Shearer è esponente della corrente nazionalista ed anti-britannica. Credo agisca segretamente d'accordo con Stato Maggiore di questa Marina e, forse, nell'interesse delle grandi ditte di costruzioni navali. È persona abilissima, intelligentissima e scrupolosa.

Nei ,colloqui avuti con lui è emerso un piano di azione che dovrebbe apparire ispirato unicamente da interessi nazionali americani. Egli si propone partire quanto prima per l'Europa per visitare successivamente Germania, Italia, Ginevra e Londra onde raccogliere materiale di informazioni ed anche con [l'intento] di suscitare [la reazione] del pubblico americano. Tornando negli Stati alla vigilia della convocazione del Congresso, egli lancerebbe, per mezzo della stampa, campagna di propaganda contro reali scopi della politica inglese e fornirebbe agli uomini parlamentari materiale per combattere tendenze filobritanniche della Amministrazione Roosevelt facendo appello a spirito nazionale e patriottico americano.

Il signor Shearer sarebbe pronto a partire subito se gli venissero assicurate spese di viaggio e di soggiorno. Calcolo che spese potrebbero essere contenute nella somma di quattromila dollari. Dopo matura riflessione mi stimo giustificato di proporre e raccomandare contributo per ammontare sopra indicato perchè ritengo che, in ogni caso, attività dello Shearer possa esserci utile. Gradirò conoscere d'urgenza decisioni di V. E. (1).

(l) -Non rinvenuto. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Non pubblicato: riferiva sulle dichiarazioni fatte alla radio da Hull il 6 novembre.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini che vi aveva annotato: «Favorevole». Questa decisione fu comunicata a Rosso con T. 13874/535 P.R. del 27 novembre 1935.

593

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8217/254 R. Bruxelles, 9 novembre 1935, ore 20,35 (per. ore 24).

Mi riferisco al mio telegramma n. 251 (1).

Indagini continuate da più parti, e fra loro .controllate, confermano che e-ffettivamente Van Zeeland nei suoi colloqui con delegati francese e inglese a Ginevra espose il piano di conciliazione del conflitto italo-etiopico da lui anteriormente confidato a Lavai, ma che tenne a mantenerio su linee generiche, non osando suggerire troppi particolari alle due grandi Potenze maggiormente interessate. Comunque, avendo egli in seguito ai suddetti colloqui assunto incarico di proporre la delega di mediatrici alla Francia ed all'Inghilterra, ha creduto doversi astenere fin d'allora, per corretteza, da ogni ulteriore collaborazione nella preparazione delle basi dell'accordo. È pertanto ora più difficile ottenere sul suo piano primitivo dettagli più precisi di quelli indicati nel mio telegramma n. 246 (2).

Pare, .tuttavia, che in esso egli tenesse altresì conto della impossibilità dell'accettazione da parte nostra della concessione di un porto all'Etiopia in forma diversa da quella di una zona franca in territorio altrui, e che insistesse perché l'Inghilterra non chieda per l'Abissinia occidentale più di quanto l'Italia le ha garantito con gli atti del 1906 e del 1925.

Mi risulta che questo Nunzio Apostolico è stato incaricato dalla Segreteria di Stato di ringraziare Van Zeeland per avere con la sua mozione a Ginevra facilitato i negoziati di un accordo destinato a « salvare l'Europa dal pericolo comunista», intendendo con ciò la Santa Sede affermare che tale perkolo può essere scongiurato soltanto a condizione di un successo dei negoziati stessi, il quale procuri a Laval il prestigio necessario per restare al potere ed arrestare lo sviluppo di un confiitto, che indebolirebbe l'Italia fascista.

594

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. PER CORRIERE 2178 R. Roma, 9 novembre 1935.

Informo per Sua opportuna notizia che sono in corso presso il R. Ministero della Giustizia gli studi per la emanazione di un provvedimento di amnistia a favore dei noti condannati di Calimno.

Poiché la discussione dell'appello del provvedimento di prima istanza avrà luogo, salvo rinvio, verso la fine di novembre, è probabile che prima di tale data sia possibile pubblicare il decreto relativo.

Ad ogni modo la preparazione del provvedimento è mantenuta segreta in modo da riservarci completa libertà di azione secondo le contingenze del momento, tanto di natura internazionale nei confronti ellenici quanto e sopratutto di natura interna nei riguardi della situazione che si va determinando a Calimno.

È infatti da tener presente che il provvedimento in questione ha prevalentemente uno scopo interno di pacificazione e che vuole essere a questo fine uno strumento che dovrà essere opportunamente utilizzato e valorizzato da S. E. il Governatore sempre ai detti fini.

Ciò non toglie che contemporaneamente sia possibile e conveniente utilizzare l'amnistia ai fini dei rapporti italo-ellenici, in relazione agli affidamenti dati a Condylis (1). D'altra parte bisogna preoccuparsi e quindi conviene prevenire che sulla concessione dell'amnistia si innesti una sopravalutazione ellenica dell'intervento ellenico a favore dei dodecannesini, su materia che è stata sempre formalmente sottratta al sindacato e all'intervento del Governo di Atene.

Ad ogni modo, e con le riserve sopra espresse, non ho difficoltà a che Ella al momento opportuno e in relazione alla situazione interna ellenica e alla posizione personale del generale Condylis faccia qualche comunicazione costì del provvedimento che si andrà a prendere Rodi.

Mi riservo farle pervenire istruzioni al momento opportuno e per ora, in relazione a quanto Ella ha fatto presente nell'ultima parte del suo rapporto del 18 ottobre u.s. n. 10038 (2), Ella potrà al caso limitarsi a far sapere che l'accenno fatto a suo tempo al generale Condylis da S. E. il Capo del Governo non è dimenticato.

(l) -Vedi D. 577. (2) -Vedi D. 533.
595

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 8235/0216 R. Parigi, 9 novembre 1935 (per. 1'11).

Telegramma di V. E. per corriere n. 2138 del 6 corr. (3).

Ho rimesso stamane al sig. Léger, previa sua lettura, il memorandum trasmessomi dalla E. V. esprimendomi nel senso delle istruzioni impartitemi col telegramma per corriere sopra menzionato.

La conversazione che ne seguì durò oltre un'ora e si aggirò non soltanto sull'oggetto del promemoria ma anche sulla situazione generale e sui rapporti italo-francesi che in questi ultimi giorni avevano assunto un aspetto tutt'altro che soddisfacente.

Léger, pur conservando sempre forme perfette, fu molto duro nei riguardi della politica italiana. Deplorò infatti che noi ci fossimo indotti a presentare al Governo francese una ulteriore domanda di spiegazioni dopo quelle chieste verbalmente circa la portata della assistenza accordata dalla Francia all'Inghil

terra nel caso in cui l'Italia aggredisse la Gran Bretagna in connessione con le misure decise conformemente all'art. 16 del Patto della S.d.N. Il Governo francese ci aveva già lealmente risposto mettendoci al corrente degli impegni assunti. Posteriormente non ne era stato preso alcun altro, per la ragione semplicissima che la Francia era andata sino al limite massimo nell'accordare il proprio appoggio all'Inghilterra giusta l'art. 16, restando però sempre bene inteso che le sanzioni sarebbero rimaste limitate al campo economico e finanziario. Era naturale che degli organi tecnici avessero scambiato idee circa la eventuale applicazione pratica dell'assistenza. Il Governo francese continuava peraltro a ritenere che l'assistenza stessa si riferiva, teoricamente, ad una eventualità che non si sarebbe mai presentata, dato che l'Italia aveva dato assicurazioni formali di non avere l'intenzione di attaccare la flotta inglese e che l'Inghilterra, dal suo lato, aveva sempre assicurato che essa non aveva alcuna intenzione di attaccare l'Italia.

La nostra richiesta non poteva, secondo il sig. Léger, essere più imprudente, perché il memorandum poteva essere interpretato in modo tale da lasciar supporre che noi considerassimo che in nessun caso (Léger intendeva accen · nare ad eventualità future di un attacco a cui fosse esposta la Francia o uno Stato legato ad essa da vincoli di alleanza) le sanzioni potessero andare al di là di quelle finanziarie ed economiche. Ciò avrebbe potuto produrre una vera costernazione nei circoli politici interessati a queste questioni. Si poteva pure interpretare il memorandum in modo da credere che noi ci stupissimo quasi che non si fossero applicate anche le sanzioni militari, oltre che quelle finanziarie ed economiche. Ho risposto a Léger che non riuscivo a comprendere il suo modo di pensare ed ho rimesso le cose a posto. Egli ha però insistito meco che il fatto che noi mostravamo tanto sospetto per gli accordi di assistenza franco-inglesi -che erano una conseguenza logica dell'applicazione dell'art. 16 e la discriminazione che volevamo fare fra le sanzioni di carattere finanziario ed economico e quelle di carattere militare dichiarando di ritenere che gli accordi di assistenza avrebbero avuto ragione di essere soltanto qualora le sanzioni avessero assunto questo secondo carattere -poteva essere interpretato come un indizio che noi ritenevamo possibili anche le sanzioni militari. Gli ho ripetuto che non lo potevo seguire nel suo ragionamento cavilloso che era lungi le mille miglia da quello che era il nostro pensiero. Noi volevamo conoscere quali fossero esattamente gli impegni assunti dalla Francia per renderei conto e se essi concernessero soltanto un periodo che speravamo fosse breve -quello delle sanzioni -oppure se ci trovavamo in presenza di accordi di una più lunga durata aventi il carattere di una alleamza. In tal caso infatti avremmo dovuto preoccuparci di essi, inquantocché potevamo

domandarci se essi fossero compatibili con i trattati ed accordi che ci legano

alla Francia.

Léger mi ha assicurato che a tutto ciò sarà risposto in modo esauriente.

Mi ha ripetuto però che deplorava il nostro passo e che si domandava con

ansia l'impressione che esso avrebbe prodotto sulle Commissioni degli affari

esteri del Senato e della Camera dei Deputati quando esse ne fossero state

edotte. In Italia si scordava infatti sovente che il Ministro degli Affari Esteri

francese deve rendere conto alle Commissioni parlamentari di tutti gli atti

diplomatici importanti i quali erano quindi oggetto di commenti non solo da parte dei parlamentari, ma anche della stampa.

Dopo di che Léger attaccò il problema delle nostre relazioni in base alle notizie ricevute da Roma nei giorni scorsi. Mi lesse un telegramma del Conte de Chambrun il quale riferiva circa le aspre critiche della nostra stampa verso la politica della Francia. Léger aggiunse che erano state pronunciate parole molto gravi « tradimento », e «Francia paese da considerarsi come il nemico numero uno ». Se in Italia si fosse voluto muovere una campagna per far cadere Lavai non si avrebbe potuto agire in modo più efficace. Egli mi diceva francamente che aveva tratta l'impressione che in Italia non si conoscesse la situazione difficilissima in cui si trova quest'uomo di Stato che è il migliore nostro amico. Le accuse che gli vengono mosse sono, a seconda dei partiti, di non essere stato sufficientemente energico nell'applicazione delle sanzioni perché la sola minaccia di applicare quelle militari avrebbe fatto cedere l'Italia, di essersi lasciato trascinare troppo lontano dal desiderio di rimanere amico dell'Inghilterra e di avere aderito a sanzioni economiche che potrebbero nuocere non solo all'Italia ma anche alla Francia. Egli si è difeso sinora sostenendo che le sanzioni militari sarebbero state la guerra, che egli non vuole, e che le sanzioni economiche sono il meno che egli poteva accettare per mostrarsi fedele al Patto al quale la Francia tiene quanto l'Inghilterra. Egli spera ancora di poter impedire l'applicazione delle sanzioni economiche o per lo meno di riuscire, mediante la sua opera conciliativa, di trovare una soluzione del problema etiopico che consenta di porre termine al più presto all'attuale situazione assai critica. In una simile condizione la stampa italiana scrive che Lavai tradisce l'Italia e che non si deve prestargli fede. Questo è il trionfo dei suoi nemici i quali potranno dire con ragione che Lavai è un uomo inetto perché non è riuscito ad accontentare nessuno, nemmeno l'Italia che intendeva servire, secondo alcuni, al di là di quanto lo consentisse l'interesse della Francia.

Ho naturalmente ricordato a Léger le varie ragioni che noi avevamo di non essere soddisfatti dell'atteggiamento del Governo francese ed ho menzionato il fatto che esso è sempre il primo a prendere provvedimenti connessi con le sanzioni che vengono naturalmente imitati dagli altri Paesi. Léger obiettò che questi provvedimenti vengono dettati dagli uffici tecnici e costituiscono semplicemente le varie ruote dell'ingranaggio delle sanzioni, giusta l'art. 16.

Gli ho detto che secondo le nostre notizie il sig. Coulondre a Ginevra avrebbe sovente agito a nostro danno. Léger protestò vivacemente asserendo di avere dettato personalmente tutte le istruzioni inviate a quel funzionario. Siamo rimasti intesi che, sulla base della documentazione promessami da S. E. Suvich, avremmo esaminato i fatti e chiarito le cose, poiché ciò corrispondeva al reciproco interesse.

La stampa francese di questa mattina commenta con moderazione l'atteggiamento della stampa italiana, perché vi è nella opinione pubblica francese una certa comprensione per il nostro risentimento. Ma occorre assolutamente impartire istruzioni alla stampa italiana di distinguere fra quelli che possono sembrare e sono provvedimenti odiosi, ancorché logici, a nostro riguardo e quelli che sono i sentimenti della grandissima maggioranza della popolazione francese. Si dica che il popolo francese ha mostrato molta maggiore comprensione dei diritti italiani che il suo Governo, si muovano certe critiche a quest'ultimo per essersi lasciato troppo trascinare dall'Inghilterra nella scia societaria, ma si ponga sempre bene in rilievo che la parte migliore della Francia è per noi, simpatizzante anzi amica sincera. E si trovi pure il modo di rilevare che mentre Lavai, Presidente del Consiglio francese, dovette attenersi alla politica di fedeltà alla S.d.N., Lavai, amico dell'Italia e fautore di una sempre maggiore reciproca comprensione, ha lavorato e sta tuttora facendo sforzi non indifferenti per trovare una soluzione che gli consenta di conciliare i suoi obblighi di uomo di Stato con quelli di amico sincero dell'Italia.

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 525. (2) -Non pubblicato, ma vedi D. 607. (3) -Vedi D. 572.
596

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 9 novembre 1935.

Con l'accluso rapporto (l) il R. Ambasciatore a Parigi comunica di aver gia rivolto a Lavai le domande circa il vero contenuto e la reale portata degli accordi franco-inglesi per il Mediterraneo, che erano specificate nel Memorandum inviato l'altro ieri (2) da questo Ministero a Parigi.

Siccome però il Memorandum preparato da questo Ministero era più comprensivo e fra l'altro poneva la questione della « conciliabilità » degli accordi anglo-francesi con quelli itala-francesi con Locarno e con Stresa, sono state date istruzioni all'Ambasciatore Cerruti di presentare ugualmente a Lavai il Memorandum inviatogli da Roma a conferma e chiarimento della precedente conversazione.

V. E. rileverà pure dal rapporto accluso che La val ha parlato a Cerruti di un suo progetto che dovrebbe essere messo in moto fra il 14 e il 18 corrente: proporre cioè la cessazione delle ostilità e la sospensione delle sanzioni economiche per dar modo «agli uomini di Stato di portare tutta la loro attenzione all'azione conciliatrice».

Va rilevato in primo luogo che Lavai dovrà prima accertarsi che le disposizioni degli inglesi siena tali da promettere una proficua discussione sulle basi di un accordo senza metterei nella necessità di opporre un altro rifiuto.

L'idea di Lavai deve essere poi esaminata dal punto di vi:sta delle nostre necessità e possibilità militari.

Se condizioni logistiche o atmosferiche tanto sul fronte eritreo che sul fronte somalo fanno prevedere che saremo assolutamente costretti a fermarci sulle posizioni ora raggiunte, e che non avremo modo di riprendere l'avanzata prima di un paio di mesi, è evcidente la convenienza di incoraggiare Lavai nella sua idea e di fare così il bel gesto di aderire alla sua proposta che coinciderebbe con le nostre necessità.

Se invece le nostre autorità militari prevedono e ritengono possibile e necessaria una ulteriore rapida avanzata -sia pure dopo una breve sosta sulle attuali posizioni -occorrerà d'urgenza sconsigliare il Signor Lavai dal lanciare la sua idea per evitare di doverla respingere da parte nostra.

(l) -Vedi D. 571. (2) -Vedi D. 572.
597

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 9 novembre 1935.

È venuto l'Ambasciatore Cantilo per essere messo al corrente della situazione ed in particolare per sapere se la recente proposta del Presidente del Consiglio belga, Van Zeeland (1), di delegare la Francia e la Gran Bretagna a compiere, in nome degli Stati rappresentanti a Ginevra, un'azione di conciliazione nel conflitto italo-etiopico, non svuotava la nota iniziativa degli Stati sud'-americani (2).

Ho risposto che le due cose mi sembravano diverse dato che la proposta sud-americana si basava principalmente su di una sospensione delle sanzioni di cui non era invece fatto cenno nella proposta belga.

In ogni modo, conversando su la situazione generale, siamo rimasti d'accordo che per il momento non vi era alcuna possibilità di riuscita per la proposta sud-americana.

Il signor Cantilo ha tenuto però a confermarmi che qualora la situaz!one presentasse l'opportunità di dare un seguito pratico alla progettata proposta sud-americana, il Governo argentino era sempre pronto a collaborare a quella iniziativa.

Ho ringraziato l'Ambasciatore Cantilo e gli ho assicurato che avrei informato l'E. V. di quanto egli mi aveva comunicato.

598

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 9 novembre 1935.

È venuto a vedermi il Ministro del Portogallo per segnalarmi che da qualche giorno la stampa del suo paese si mostrava più corretta e più comprensiva nei riguardi dell'Italia, particolarmente per quanto concerneva le sanzioni ginevrine. Egli ha tenuto a dirmi che ciò era dovuto in massima parte all'azione da lui personalmente svolta sul Governo di Lisbona.

Circondando poi le sue parole di mistero, il signor d'Avila Lima mi ha inoltre detto che, per deferente amicizia a V. E., voleva comunicarmi alcune importanti informazioni a lui pervenute di prima mano e che poi, dopo molte reticenze, mi ha confessato essere tratte da una conversazione che l'Ambasciatore del Portogallo a Londra aveva avuto recentemente con Sir Samuel Hoare.

Secondo queste notizie risulterebbe:

l) che a Londra si è convinti sull'efficacia, alla lunga, delle sanzioni economiche e che il Governo britannico si sforzerà di impedire le esportazioni italiane nel mondo, ma non si preoccuperà eccessivamente di ostacolare le compere italiane all'estero, al fine di facilitare l'esaurimento finanziario della Nazione;

2) che il Governo americano ha promesso a quello britannico di evitare qualsiasi facilitazione di crediti degli Stati Uniti all'Italia;

3) che il Governo inglese, nell'opinione del signor Hoare, non crede che la Francia arriverà fino ad applicare la totalità delle sanzioni economiche ed in particolare non aderirà ad un eventuale blocco contro l'Italia;

4) che il signor Hoare è convinto che la resistenza italiana non oltrepasserà un anno. Egli fa assegnamento prima di quell'epoca sulla demoralizzazione del popolo italiano che obbligherà il Governo alla pace;

5) che infine il Ministro di Etiopia a Londra non ripone molta fiducia nell'abolizione dell'embargo sulle armi dirette a:l suo paese. Esso avrebbe dkhiarato che le armi acquistate ora dal suo Governo sulle piazze europee non porteranno che un minimo sollievo all'esercito abissino, rischiando tra l'altro le navi su cui sono imbarcate di essere fermate e le armi confiscate dalla Marina da Guerra italiana.

Hoare lo avrebbe in proposito rassicurato.

Ho vivamente ringraziato il signor d'Avila Lima per le interessanti notizie fornitemi e l'ho opportunamente invitato a continuare in questo atteggiamento amichevole.

(l) -Vedi DD. 533 e 577. (2) -Vedi DD. 381, 408 e 536.
599

L'AMMIRAGLIO RAINERI BISCIA AL MINISTERO DELLA MARINA (l)

R. Londra, 9 novembre 1935.

Ho l'onore di rimettere all'E. V., in allegato, il quadro nel quale sono, in forma schematlca, riassunti gli argomenti che i rappresentanti del Foreign Office e dell'Ammiragliato hanno esposto alla Delegazione italiana circa la prossima Conferenza Navale (2).

Nel quadro stesso sono indicate le riserve che ho creduto opportuno fare a nome del R. Governo sulle questioni messe sul tappeto, alcune delle quali non furono trattate durante le conversazioni bilaterali del 1934.

Come l'E. V. rileverà, ho ritenuto conveniente riservare alla Delegazione che verrà a Londra nel dicembre p. v., il diritto di esporre, su quasi tutti i punti, l'attitudine definitiva che assumerà il R. Governo.

Tale linea di condotta è stata conforme alle istruzioni impartitemi dall'E. V., all'avviso espresso da S. E. l'Ambasciatore, nonché all'importanza degli argomenti nuovi sottoposti all'esame della Delegazione.

Posso non di meno assicurare l'E. V. che le conversazioni sono state circoscritte strettamente al campo tecnico e che gli incontri hanno avuto un tenore di riservatezza cordiale.

Entrando in merito alle nuove risultanze scaturite dalle conversazioni sui problemi che formeranno oggetto della Conferenza Navale, mi onoro esporre a V. E. i seguenti rilievi:

1° -Il Giappone ha fatto conoscere che intende discutere la questione quantitativa e che poserà la questione non solo della limitazione degli armamenti navali, ma della loro riduzione che, per quanto riguarda l'Impero nipponico, deve essere concordata in una cifra di tonnellaggio facilmente accessibile alle finanze giapponesi.

Dagli incontri bilaterali avvenuti nel 1934 era risultata la convenienza di limitare alle questioni qualitative le basi di accordo per il trattato che dovrebbe sostituire quelli di Washington e di Londra.

L'attitudine presa ora dal Giappone, che conferma l'atteggiamento già in passato ventilato negli ambienti ufficiali di quel Paese, riporterà facilmente in discussione la questione della parità fra le Potenze navali oceaniche e occorrerà stare in guardia a che, a scopo politico, non si tenti di risuscitare, anche in via indiretta, la questione della parità franco-italiana.

Nel suo complesso, quindi, si può dire che, alla vigilia della riunione della Conferenza, l'attitudine del Giappone proietta su di essa una luce che fa dubitare in un successo sull'esito dei suoi lavori.

2° -Nel campo qualitativo sono sorte delle novità, di cui non può sfuggire la portata:

A) Grandi navi. Gli Stati Uniti scenderanno difficilmente al di sotto del tonnellaggio unitario di 35 mila. In ogni caso, chiederanno di poter costruire due 35 mila, armate almeno col 356 m/m. Se ciò non si potrà evitare, l'Inghilterra ed il Giappone domanderanno eguale diritto. Non si disgiunge, però, tale domanda, dalla proposta di fissare, in sede di conferenza, che le future navi da battaglia (ad eccezione di quelle ora segnalate) potrebbero avere un dislocamento inferiore. Ritengo che si arriverà, al massimo, a discendere attorno a 32 mila o 33 mila tonn.: cannoni da 356 m/m. Abbandono, quindi, della possibilità di discendere a tonnellaggi attorno alle 28 mila tonn., con armonica riduzione del calibro delle artiglierie.

Io credo di vedere in questa faccenda un'intesa preconcordata fra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna per tirar fuori, in forma di cui non sfugge la sottigliezza, il modo di bilanciare le unità da 35 mila impostate dall'Italia

e dalla Francia, unità che troveranno certo esemplari identici per tonnellaggio e per cannoni nella Marina tedesca.

La domanda, che si vuoi battezzare come americana, non viene ufficialmente messa in rapporto al diritto esercitato dalla Francia e dall'Italia, in base ai Trattati di Washington e di Londra prossimi ad estinguersi, di costruire due 35 mila.

Per dare a tali potenze una facilitazione ad accondiscendere a tale piano, le potenze oceaniche si impegnerebbero a mettere sulle nuove navi da 35 mila il cannone da 356 m/m, mentre le navi similari delle potenze continentali avrebbero a bordo il 381 m/m.

È stato detto che, se le potenze continentali domandassero di continuare a costruire 35 mila col 381 m;m, l'America farebbe i nuovi 35 mila col 406 m/m e cioè si ritornerebbe ai due massimi limiti (per tonnellaggio e per calibro) contemplati nel Trattato di Washington per le grandi navi.

Ciò è contrario agli interessi delle Potenze meno ricche e pertanto tale manovra conduce a serie riflessioni e porta alla deduzione che la grande nave del futuro difficilmente potrà concretarsi in un tonnellaggio inferiore alle 32 mila tonn., portante un calibro inferiore ai 356 m;m.

B) Incrociatori tipo a). L'attitudine americana di voler rimpiazzare (alla scadenza della loro vita) gli incrociatori armati col cannone da 203 m;m, mina la proposta fatta nel 1934 di tendere all'abolizione di tale tipo di incrociatore. Comunque, è risultato che, anche abolendo il calibro da 203 m;m, gli Stati Uniti intendono tenere elevato il tonnellaggio degli incrociatori armati col 155 m/m (è stato detto che insistono sulle 10 mila tonn. e che al massimo scenderebbero a 9 mila tonn.). In definitiva, il nuovo tipo sarebbe, in tonnellaggio, alquanto superiore ai tipi «Duca degli Abruzzi » e «Garibaldi ».

È stato per questa ragione, oltre che per scopo tattico, che ho riservato al R. Governo la sua adesione o meno a limitare il calibro al 155 m/m.

C) Se si rinuncerà al calibro da 203 m;m si verrebbe a definire ufficialmente che le caratteristiche massime dei nuovi incrociatori sarebbero 9-10 mila tonn. con armamento da 155 m;m.

È risultato che l'Ammiragliato ha tenuto una seduta il giorno 7 novembre per definire il tonnellaggio dei nuovi incrociatori che dovrebbero far parte dei nuovi programmi.

D) Naviglio leggero. L'adesione della Gran Bretagna a fondere in un'unica categoria gli incrociatori, gli esploratori, i conduttori di flottiglia, i cacciatorpediniere e le torpediniere, e la mancata fissazione di un incrociatore tipo b) di tonnellaggio medio, porta alla conseguenza che vi sarebbe l'amplitudine costruttiva a partire dal tonnellaggio della piccola torpediniera non esente, ad esempio 500 tonn., fino all'incrociatore da 9 o 10 mila tonn.

E) Proibizione di costruire navi di determinate caratteristiche. Come risulta dal rapporto sulle discussioni, l'Inghilterra si è occupata di impedire la costruzione di un tipo di nave più rapida e più armata degli incrociatori, come sarebbe ad esempio una nave da 15 mila tonn. armata col 254 o 280 m/m e che disponesse di velocità superiore a quella dei più grossi incrociatori, che così verrebbero, naturalmente, tutti svalutati.

La questione interessa tutte le marine maggiori. Perciò, è stato avanzato il concetto di ammettere dei « gaps » nella scala dei tonnellaggi o dei calibri entro i quali sia proibito costruire.

In caso si addivenisse a tale misura, scaturisce l'opportunità che non vengano ammesse eccezioni per le piccole marine (Jugoslavia, Grecia, Turchia, Spagna). Questo principio è stato esposto durante le attuali conversaziOIIli e ritenuto fondamentale dalla Delegazione inglese.

È stato accennato di proporre un «gap » anche nella scala del naviglio leggero, come ho avuto l'onore di far presente nel mio rapporto da Parigi, ma vi è diversità di vedute fra la Marina inglese e quella francese e probabilmente tale principio non verrà applicato al naviglio leggero.

F) Navi porta-aerei. Ritengo sarà difficile discendere al disotto del tonnellaggio di 22 mila e del calibro di 155 m/m giacché l'Inghilterra ha confessato che la sua nuova nave porta-aerei avrà tale tonnellaggio.

G) Sommergibili. Per i sommergibili nulla ho da riferire, essendosi proposto di confermare i limiti contemplati nel Trattato di Londra.

H) Navi esenti. L'Inghilterra ha proposto di abbassare a 100 tonn. il livello delle navi esenti. La proposta fu ventilata dall'Italia nel 1930 a Londra e rimane quindi aperta la discussione.

3° -Mi riprometto di riferire all'E. V. le impressioni riportate in due incontri avuti col Primo Lord del mare, Sir Ernle Chatfield e con altre personalità dell'Ammiragliato.

4° -Riferirò pure circa la composizione delle delegazioni, sulle quali raccolgo elementi.

5° -Salvo imprevisti, conto lasciare Londra domani, 10 novembre, in modo da trovarmi a Parigi lunedì, 11 novembre, per aderire all'invito fattomi dal Capo di Stato Maggiore della Marina francese, Ammiraglio Durand Viel.

Segnalerò telegraficamente all'E. V. la partenza daHa capitale francese e l'arrivo della delegazione a Roma.

(l) -In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare. (2) -Non pubblicato.
600

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A GEDDA, PERSICO

T. s. 2187/93 R. Roma, 10 novembre 1935, ore 2,40.

Suo telegramma (1).

Importanza riunione Riad nel momento attuale non sfuggirà a V.S.

Interessa che codesto Governo sappia che Italia confida che da eventuali accordi fra Saudia e Gran Bretagna nulla derivi che possa compromettere attuale equilibrio del Mar Rosso e della penisola araba, di cui è elemento essenziale mantenimento completa indipendenza e sovranità Regno saudito come dello Yemen. Italia, desiderosa che si rassodino rapporti amichevoli fra i due Regni arabi costa orientale Mar Rosso, rispettosa loro indipendenza e sovranità, ha solo interesse che attuale equilibrio non sia turbato, onde potere sviluppare con Regno saudito suoi attuali rapporti di fiduciosa amicizia e dare incremento reciproche relazioni economiche.

Pregola telegrafare esito suoi colloqui, ed ogni informazione che le riuscisse ottenere circa riunione Riad. Sono disposto agevolare sua azione mettendo sua disposizione mezzi finanziari. Indichi la cifra che le possa occorrere (1).

(l) Si riferisce al T. 8081/103 R. del 5 novembre 1935, ore 14,40, con il quale Persico informava che av,rebbe avuto luogo a Riad una riunione tra Ibn Saud, il sottosegretario agli esteri saudita e il ministro d'Inghilterra «per discutere questione pendente tra Saudia e Gran Bretagna».

601

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 2203/755 R. Roma, 10 novembre 1935, ore 24.

Proposta del signor Lavai di cui ultima parte Suo telegramma n. 0211 del 6 corrente (2).

Progetto del Signor Lavai non pare facilmente attuabile nelle presenti circostanze. Ad ogni modo noi non potremmo prenderlo in considerazione che quando avesse una base molto seria.

È perciò assolutamente indispensabile che Lavai, prima di agire nel senso indicato, si assicuri che le disposizioni degli inglesi siano tali da permettere una proficua discussione sulle basi di un accordo accettabile a noi, evitando così di metterei nella necessità di opporre un altro rifiuto che si risolverebbe contro di noi e contro gli scopi che persegue il Signor Lavai. Accoglienza fatta a Londra al progetto Saint-Quentin -Peterson è assolutamente scoraggiante e fa dubitare, se gli intendimenti inglesi non mutino, dell'utilità di qualsiasi proposta. Converrebbe ad ogni modo che Lavai concretasse prima con noi le basi di un possibile accordo da presentare poi a Londra come sua proposta o che almeno ci presentisse al riguardo.

(l) -Con T.u. 8309/109 R. del 12 novembre 1935, ore 14,10, Persico riferiva di essersi espresso con il sottosegretario agli estexi saudita come ord!natogli. Con T. 8463/112 R. del 15 novembre 1935, ore 19, precisava ancora: «Ho creduto opportuno chiarire di nuovo stamane a Fuad Hamza giunto a Gedda per vedermi, coincidenza interessi nostri generali con interessi saudiani; cosa di cui egli si è mostrato perfettamente convinto. Nel tempo stesso oltre opera persuasivafaccio !l possibile per ispirare serenità e fiducia verso di no! a queste autorità, profondamenteturbate e preoccupate per azione britannica e situazione internazionale». (2) -Vedi D. 571.
602

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE PRESSO GLI STATI SANZIONISTI (l)

T. 2204/c. R. Roma, 10 novembre 1935, ore 23.

Con riferimento nota telegrafatale in chiaro (2) V. E. (V. S.) vorrà accompagnare consegna con opportune considerazioni ed illustrazioni del punto di vista italiano conformandosi anche a quanto Le è stato precedentemente segnalato ed a quanto Le risulta circa particolare atteggiamento di codesto Governo in materia di sanzioni e misura delle responsabilità specifiche che ne derivano.

In relazione a tale situazione V.E. (V.S.) vorrà valersi di ogni argomento che riterrà conveniente per richiamare l'attenzione di codesto Governo sul punto fondamentale che esso -al pari di ciascun altro Governo di Stato membro della S.d.N. -è pienamente libero e quindi responsabile delle misure che si appresta ad adottare in confronto dell'Italia. Gioverà ricordare che il Comitato di coordinamento di Ginevra non è emanazione formale della S.d.N. ma una semplice conferenza pel coordinamento (non obbligatorio) delle misure che individualmente intendesse prendere (rileggere ed illustrare gli artt. 12 e 16 del Patto nonché testo del voto 10 ottobre 1935 dell'Assemblea) (3).

603

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8270/396 R. Shanghai, 11 novembre 1935, ore 11 (per. ore 22,30).

Sembra assicurata partecipazione Delegati Canton, che sino ad ora appariva dubbia, alla quinta assemblea del Partito Nazionale cinese che si terrà a Nanchino corrente mese novembre. Tale partecipazione non costituisce ancora una intesa tra Nanchino e Canton, ma certo offre possibilità discussione dei problemi che li dividono.

Problema massimo è quello verso Giappone che di riflesso investe politica cinese verso Russia e verso armate rosse nell'interno della Cina. Infatti in

filtrazione giapponese, di cui ho riferito già a V.E. (l) e che tende a girare posizioni di assistenza cinese nella valle dello Yang-Tze, cerca assumere ora forma ancora più insidiosa attraverso offerta del Giappone di cooperare con Nanchino contro comunisti il che significherebbe inserimento dello Stato Maggiore giapponese nell'Esercito cinese e nel partito avversario della Cina. Generalissimo sta manovrando in modo da dare sensazione di una rapida svalutazione del pericolo rosso rallentando operazioni e consentendo una specie di quieto vivere nei territori occupati da rossi da una parte e da regolari dall'altra. Ne risulterà accrescimento influenza sovietica nelle provincie di confine, ciò che, pur costituendo per n momento male meno grave, può scatenare tuttavia maggiore reazione Giappone tanto verso la Cina che verso Russia.

È noto infatti che Giappone considera pericolo comunista come il maggiore elemento di debolezza dell'Impero. Perciò, arresto delle operazioni di Chang Kai-Shek contro rossi, se dovesse continuare, potrebbe rappresentare fatto di importanza primaria nei rapporti cino-giapponesi, mettendo Giappone nella necessità parare allegato pericolo della flessione della barriera anticomunista creata da Chang Kai-Shek e della possibilità che avrebbe Generalissimo di impegnare nella difensiva dello Yang-Tze armate sino ad ora occupate lotta contro rossi.

(l) -Afghanistan, Africa del Sud, Australia, Belgio, Bulgaria, Canada, Cina, Cuba, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia. Haiti, Honduras, India, Irak, Irlanda, Le,ttonla. Liberia, Lituania, Lussemburgo, Messico, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Iran, Polonia, PortogaJlo, Romania, Siam, Russia, Svezia, Cecoslovacchia, Turchia, Jugoslavia. (2) -Il testo della nota, trasmessa «alle RR. rappresentanze presso i 51 Stati sanzionisti » con T. 2208/C. R. dell'll novembre 1935, ore 2, è ed. in Il conflitto italo-ettopico, Documenti, vol. II. Dal 3 ottobre 1935 al 15 luglio 1936, Milano, ISPI, 1936, pp. 195-197. L'invio della nota era stato da Mussolini preannunciato con T. 2196/C. R. del 10 novembre 1935 diretto alle stesse rappresentanze. (3) -Con T. 2197/C. R., pari data. ore 24, Suvich impa,:·tiva identiche istruzt!oni alle rappresentanze nei sedic,i Stati sanzionlsti con riserva (Buenos Aires, Santiago, Madrid, La Paz, Bogotà, San Domingo, Quito, GuatemaLa, Nicaragua, Panama, Lima, Salvador, Berna, Monteviueo, Caracas. Os!o) aggiungendo: «Nel comunicare detta nota V. E. (V. S.) vorrà fare pure presente che il Regio Governo non ha mancato di prendere atto delJe riserve fatte da codesto Governo in conformità delle proposte del Comitato di Gt!nevra ».
604

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8243/286 R. Madrid, 11 novembre 1935, ore 21,30 (per. ore 1,45 del 12).

Ho immediatamente consegnato a Ministro degli Affari Esteri la nota verbale di cui agli odierni telegrammi n. 2197 e 2208 (2). Ho commentato la nota cogli argomenti indicatimi nei detti telegrammi aggiungendo altre considerazioni intorno ai danni specifici che a Spagna deriveranno da applicazione sanzioni.

Ministro mi ha risposto che porterà subito la nota a cognizione dei colleghi del Ministero per darmi fra qualche giorno una risposta precisa (3), ma che intanto tenèva a ripetermi che Spagna ha accettato sanzioni a rimorchio e a malincuore e che, speciaimente nella attuazione pratica si adopererà perché loro applicazione sia il meno possibile dannosa agli scambi commerciali con l'Italia. Tali intenzioni mi sono state confermate anche da altri esponenti del Ministero del Commercio.

Continuano qui pressioni inglesi specialmente per mezzo trattative nuovi accordi commerciali.

(l) -Veò.i D. 498. (2) -Vedi D. 602, note 2 e 3. (3) -Vedi D. 700.
605

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8255/112 R. Berna, 11 novembre 1935, ore 22,05 (per. ore 0,15 del 12).

Telegramma di V.E. n. 2197/C. (1).

Ho consegnato oggi a Motta la Nota (2). Non ho avuto bisogno di accompagnarla di molte considerazioni poichè egli stesso, leggendola dinanzi a me, ne approvava con parole di commento le affermazioni di principio in essa contenute, esprimendo ripetutamente suo dispiacere che le cose fossero state tanto diverse a Ginevra. Ha nuovamente rilevato situazione critica Svizzera obbligata noto atteggiamento dai suoi impegni societari e dalla necessità non attirarsi inimicizia della Francia (sic) e dell'Inghilterra; chiede al R. Governo di aver comprensione per questa situazione presente.

Su mio invito, del quale si è mostrato dapprima sorpreso, mi ha detto incaricherà Legazione di Svizzera e Roma di comunicare a R. Governo decisione Consiglio Federale. Assicura che condotta di questo Governo sarà sempre ispirata dal desiderio di evitare che misure, a cui si sente costretto, turbino relazioni fra i due Paesi. Ho replicato esprimendogli speranza che i fatti corrispondano alle parole.

Motta mi ha anche assicurato che se trattative per il clearing non saranno compiute entro 18, Governo Federale non terrà atteggiamento rigido annunziato da Stucky di cui al telegramma n. 110 (3).

A mia richiesta mi ha riconfermato che il Governo Federale è deciso a non lasciar imporsi nessuna limitazione nel transito del Gottardo (4).

606

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8252/638 R. Cairo, 11 novembre 1935, ore 23 (per. ore 1,45 del 12).

Mio telegramma n. 637 (5).

Ho rimesso sabato 9 a Nassim Pascià copia nota protesta presentata Ministro degli Affari Esteri. Gli ho quindi parlato ancora una volta molto seriamente. Gli ho ripetuto che decisione Governo egiziano è completamente ingiu

42 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

stificata in fatto ed in diritto e che pertanto non potrà non lasciare traccia profonda nell'animo popolo italiano il quale ha sempre nutrito per popolo egiziano sentimenti viva e disinteressata amicizia e che, solo, ha trattato finora Egitto su livello parità e giustizia e non come parente povero o come minorato giuridico.

Ho esortato mio interlocutore a considerare gravità della cosa, diversità assoluta posizione Egitto da quella altri Paesi sanzionisti, gli ho spiegato pazientemente come nessun altro Stato, membro della Lega, abbia aderito principio sanzioni e come vari Stati membri, sopratutto quelli vicini Italia e ad essa maggiormente legati vincoli politici ed economici non abbiano aderito, gli ho ricordato come stessa opinione pubblica egiziana sia contraria decisioni Governo, gli ho fermamente detto che tale decisione, ove applicata, potrà portare conseguenze molto gravi per Egitto in avvenire poichè amicizia italiana è base essenziale per sviluppo e progresso egiziano sino ad ora. Gli ho infine ribadito ragioni giuridiche che rendono impossibile applicazione sanzioni da parte Egitto. Ho concluso dicendogli francamente che consideravo gravissimo errore da parte sua aver abbandonato quella neutralità completa per la quale durante tre mesi mi aveva trovato leale e comprensivo collaboratore.

Presidente del Consiglio mi ha a tale punto accennato a presenza truppe italiane in Libia ed a preoccupazioni e timori sollevati in questo Paese. Gli ho risposto che avevo più volte fornito ampie assicurazioni in proposito, che aumento dei nostri effettivi in Libia, d'altronte diminuiti recentemente, non aveva avuto mai nessun carattere che potesse comunque preoccupare Egitto, come egli ben sapeva, e che a tale proposi·to avrei potuto osservare che il Governo egiziano, ben diversamente dalla stampa e dagli esponenti politici, non aveva mai fatto la minima riserva circa recente straordinario incremento delle forze britanniche in questo Paese tuttora in corso.

A tal punto Nassim Pasdà uscendo dalla sua abituale e proverbiale prudenza, specie riguardo rapporti con Inghilterra, mi ha detto che il Governo non poteva opporsi aumento forze armate britanniche e che, data presenza inglese nel Paese, Egitto, nella deprecata possibilità conflitto italo-inglese ed eventualità divenire campo di battaglia, non aveva altra alternativa che seguire politica britannica. Gli ho naturalmente risposto che tale eventualità non esiste, che esiste solo la realtà di un inutile ed inamichevole gesto egiziano, molto più dannoso del resto, moralmente e materialmente, all'Egitto che non all'Italia. Restava ancora a Nassim Pascià un mezzo per non aggravare la situazione e seguire sentimenti grande maggioranza opinione pubblica egiziana, quello cioè di rendersi conto della necessità imposta tanto da opportunità politica quanto da vincolo solenne dei Trattati: impossibilità per Egitto applicare sanzioni.

Nassim ha ascoltato con massima attenzione mie ferme rimostranze e mie energiche spiegazioni e richieste ma, come V.E. ad ogni modo sa, non vi è da fare minimo affidamento su volontà e sopratutto su libertà d'azione del Governo egiziano.

(l) Vedi D. 602, nota 3.

(2) Ibid., nota 2.

(3) -Con il T.u. 8174/110 R. dell'8 novembre 1935, ore 20,45, Tam!llro aveva nterito quantocomunicatogll dal Ministro Stucky relativamente alle decisioni del Consigllo Federale che: «stimando g.ià troppo difficile e scossa sua situazione a Ginevra, non intende esporsi ad altri attacchi, dichiara che se il 18 corrente un accordo non sarà raggiunto per clearing proposto esso s·i trova nella necessità ili applic·are integralmente detto punto 3 delle sanzioni». ' (4) -Vedi D. 675. (5) -Vedi D. 570, nota 3.
607

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER cqRRIERE 8490/0125 R. Atene, 11 novembre 1935 (per. il 16).

Con rapporto, n. 10038/1551 del 18 ottobre scorso (l) prospettavo alla E.V. opportunità che nota concessione amnistia ai condannati per agitazione religiosa Calimno venisse possibilmente ritardata non avendo ravvisato nell'atteggiamento del generale Condylis, ma sopratutto nei suoi collaboratori del Governo ellenico, quella rispondenza di intenti con le direttive della politica italiana a cui il Generale disse di volersi inspirare quando Ministro della Guerra nel Gabinetto Tsaldaris rese visita a Roma alla E.V. (2).

Sempre per i motivi da me illustrati nel predetto rapporto e sostanzialmente perchè egli è controllato da una cricca locale che ha profonde aderenze presso la Corte ellenica, il Generale si sottrae adesso malabilmente ad ogni possibilità che gli viene da noi offerta di inquadrare la politica estera ellenica in una collaborazione amichevole con l'Italia, collaborazione che, del resto, è dettata dai reali interessi della Grecia. Per tali ragioni non potrei perciò che ripetere alla E.V. quanto a varie riprese ho comunicato circa necessità di procrastinare ancora attuazione noto provvedimento. Ma poichè non è lecito sperare su successivi segni di ravvedimento del Generale e poichè del resto lo spirito che informa applicazione provvedimento è volto a risolvere ed a comporre una situazione locale estremamente delicata, sarei di avviso che si potrebbe approfittare del nuovo aspetto che sarà destinata ad assumere la politica ellenica dopo il ritorno del Re Giorgio fissato per il 24 corrente per dar corso al provvedimento di amnistia, rappresentandolo qui ufficiosamente come un segno gratuito di benevolenza che V.E. desidera dimostrare verso nuovo regime che popolo greco ha voluto imporsi.

Nel darne notizia al Generale Condylis non mancherei di fargli rilevare come provvedimento sia stato effettuato ad onta delle tiepide disposizioni che egli ha dimostrato verso nostro paese e che esso è perciò diretto a dargli una prova della sincerità delle nostre intenzioni ed in attesa che Governo ellenico voglia ad esse fattivamente corrispondere.

In ogni caso sarei comunque vivamente tenuto alla E.V. se delle eventuali decisioni che credesse opportuno di adottare al riguardo, volesse darmi tempestiva notizia per mia norma di linguaggio e di condotta con questo Governo (3).

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 400, 525, 544, 551. (3) -Con -r. per corriere 2314 R. del 21 novembre 1935 Suvich comunicava: «In relazione considerazioni di cui al Suo telegramma sopracitato nelle quali concordo in massima a suo tempo parmi convenga che Ella dia comunicazoone del provvedimento in massima di clemenza adottato con il sempl'!ce commento che esso ha luogo in relazione alla promessa data da s. E. 11 Capo del Governo e nella intenzione di mostrare la lealtà e la sincerità delle nostre intenzioni nei riguardi ellenici ».
608

IL CONTE VERNAREGCI DI FOSSOMBRONE AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Roma, 11 novembre 1935.

Le riferisco sulla mia m1sswne a Berlino:

Ho dato comunicazione al Cancelliere del Reich sopra quanto autorizzatomi da S.E. il Capo del Governo nel colloquio del 16 ottobre u.s. (1). Più precisamente ho dichiarato che S.E. il Capo del Governo rispondendo alle premure rivoltemi dal Ministro del Reich Frank, considera con simpatia un movimento di solidarietà dei due Paesi di fronte ai comuni avversari ed è disposto ad esaminare con benevolenza la soluzione di ogni problema che riguardi la comune politica. In particolar modo, il problema dell'Austria, con che ne sia pienamente salvaguardata la indipendenza.

Hitler è vivamente grato a S.E. il Capo del Governo per queste disposizioni. Dichiara di aver sempre avuto per la grande figura di Uomo di Stato del Capo del Governo italiano la più sincera ammirazione. Non è dimentico di tutto ciò che l'Italia fascista ha fatto per l'Italia nazionalsocialista. Ha sempre rammaricato perciò che non sia stato possibile trovare prima d'ora una strada comune e si augura di cuore che ne sia giunto il momento.

Nell'intento di venire incontro senza indugio alle amichevoli disposizioni del Capo del Governo italiano, il Cancelliere, sulla suggestione di Frank, ha incaricato il suo fiduciario von Ribbentrop di mettersi in diretta comunicazione con me.

Ufficialmente. le mie conversazioni con Ribbentrop hanno il carattere di scambio di vedute strettamente privato e personale fra due Membri dell'accademia di diritto germanico, sotto gli auspici del Presidente dell'Accademia, Ministro del Reich Frank. A mano a mano che si raggiunga un accordo sopra i vari punti (e sempre che questo procedimento sia gradito dal Governo italiano) se ne sottoporrebbero i risultati, per l'approvazione, ai Capi dei due Governi.

Il Ministro Frank rimane incaricato di trattare con me l'esecuzione pratica di ogni attività scientifica ed artistica per il riavvicinamento spirituale fra i due popoli: necessità sulla quale Hitler si dichiara perfettamente d'accordo con il punto di vista del Capo del Governo italiano.

II

Le mie conversazioni con Ribbentrop sono state iniziate immediatamente.

Desidero anzitutto premetterle che durante la mia permanenza a Berlino si trovavano colà anche un fiduciario del Governo inglese ed un fiduciario del Governo francese. Da quanto mi consta, questi signori di pieno accordo, non soltanto hanno esercitato ogni pressione specie su Ribbentrop e su Schacht per attrarre il Governo di Berlino nell'orbita delle sanzioni, ma, visti alla fine

riuscir vani i loro tentativi in questo senso, avrebbero anche insistito per ricondurre la Germania all'idea del patto aereo con l'Inghilterra e ad una revisione della sua politica nei confronti della Francia: tutto ciò nel senso di quanto io già Le avevo accennato con le mie lettere del 6 luglio e del 12 agosto u.s. (1). Pare che le pressioni franco-inglesi in questo senso siano esercitate con ogni mezzo di persuasione, non esclusa la promessa del prestito desiderato da Schacht, quella di una futura miglior distribuzione coloniale, e, per quanto specialmente riguarda la Francia, persino di una revisione dell'atteggiamento francese nei confronti della Russia.

Venendo ora alle mie conversazioni con Ribbentrop, eccone finora i risultati: a) Sulla questione austriaca.

Abbiamo pel momento esaminato la questione in Unee molto generali, anche per la mancanza di elementi che permettessero una discussione più profonda. Tuttavia, secondo il concetto suggeritomi, ho impostato subito la discussione non solo sul principio della indipendenza dell'Austria, ma anche sull'idea che essa debba constituire fra i due Paesi, Italia e Germania, non più elemento di disunione, ma anzi di collegamento (aus einem Element der Trennung zu einem Element der Annoherung). È su tale base, che si sarebbe intesi di continuare le nostre conversazioni.

b) Sull'atteggiamento germanico per le sanzioni.

Sotto la pressione delle insistenze franco-inglesi, Schacht -che pure, in linea di principio, era contrario ad una partecipazione della Germania alle sanzioni -si era fatto esponente di una tendenza del Gabinetto in questo senso: la Germania, pur non applicando in pratica le sanzioni, avrebbe risposto alla Società delle Nazioni che intendeva mantenere la propria libertà di azione «riservandosi di esaminare caso per caso la possibilità di applicazione, da parte sua, delle sanzioni stesse ». Questa formula era dettata dal desiderio di non inasprire troppo i rapporti con l'Inghilterra, ed aveva incontrato un certo favore, confermandomi sì che, in pratica, non si sarebbe mai trovato il caso di applicabilità. Ho fatto notare però quale impressione disastrosa una risposta di tal genere avrebbe fatto sulla pubblica opinione in Italia, e come di conseguenza ne sarebbero state pregiudicate le intese che da oltre un anno si vanno svolgendo per il riavvicinamento e che or sembrano avviate ad una svolta felice. L'intervento energico di Frank -che in questa circostanza mi ha dimostrato tutta la sua sincera e concreta amicizia per noi -, e in un secondo tempo, anche l'appoggio cordiale di Ribbentrop, hanno fatto naufragare la proposta e condotto ad una decisione di neutralità assoluta con la esplicita formula «di non partecipazione alle sanzioni » secondo da me testualmente comunicatoLe per telefono a Berlino il 29 ottobre u.s.

c) Sulla questione degli approvvigionamenti.

Ho ripreso tale questione, che era stata già da me discussa con Frank, e di cui avevamo già fatto parola nel nostro rapporto del 29 settembre u.s. a S.E. il Capo del Governo (2): la possibilità cioè di rifornimenti da parte della Ger-.

mania all'Italia, pel caso di tentativi di isolamento economico da parte dell'Inghilterra e della Società delle Nazioni. Un comitato si è formato per coordinare gli approvvigionamenti delle merci necessarie all'Italia durante il regime di sanzioni, e di cui la Germania dispone. Una persona di fiducia dei circoli governativi è pronta a venire in Italia per i contatti ed accordi necessari sia con gli Enti pubblici che con le ditte private, secondo la via che Ella crederà di scegliere al riguardo. Si tratta del signor T. Klotz di Monaco di Baviera. Naturalmente, anche questa deve passare per una iniziativa strettamente privata, al di fuori di qualsiasi ingerenza o connessione governativa.

d) Sulla questione della stampa.

Ho fatto presente a Ribbentrop la necessità che siano definitivamente fatte tacere anche le ultime voci della stampa germanica meno amichevoli verso l'Italia. Ne ho ottenuto assicurazione. Ribbentrop mi ha pregato tuttavia di fargli tenere periodicamente un elenco degli articoli non favorevoli che ancora venissero segnalati (come l'elenco 15 settembre -15 ottobre consegnatomi e da me comunicato a Ribbentrop) e ciò allo scopo di facilitare le sua opera di controllo.

e) Rapporti scientifici, artistici, turistici ecc.

Anche Ribbentrop è personalmente fautore di questi rapporti per il riavvicinamento spirituale. Mi ha perciò pregato di voler suggerirgli idee e proposte concrete capaci di rapida attuazione, come egli pure farà da parte sua. Anche Frank è, per ciò che lo concerne, a nostra completa disposizione.

f) Questione Alto Adige.

Ribbentrop mi ha accennato anche alla necessità di creare una distensione nella questione dell'Alto Adige. Ho fatto comprendere che la cessazione della propaganda tedesca nell'Alto Adige potrebbe avere favorevoli ripercussioni anche nell'atteggiamento della nostra politica per quelle ragioni. Anche su tale problema ci ripromettiamo di ritornare con maggiori elementi di discussione.

g) Problemi di politica generale.

Ho avuto l'impressione che von Ribbentrop, personalmente, non sia alieno dal considerare la possibilità di un ritorno, in avvenire, ad un equilibrio europeo secondo i criteri fondamentali del Patto a quattro.

Certamente egli mi ha confermato che le trattative parziali della Germania con le altre Potenze, non escludono un posteriore collegamento fra queste Potenze, il criterio informatore germanico in tutte queste trattative, essendo quello di consentire appunto alla Germania rapporti amichevoli con tutti gli Stati il cui regime non miri (come la Russia) al sovvertimento del regime nazionalsocialista.

III

Mi permetto ancora di richiamare la Sua attenzione sul fatto -che appare incontestabile -del tentativo di riavvicinamento alla Germania compiuto proprio in questi giorni dalla Francia, e sotto gli auspici dell'Inghilterra, a mezzo delle relazioni personali inglesi di Ribbentrop. Ho avuto a Berlino la sensazione che la situazione sia, sotto questo aspetto, molto delicata, e che richiegga azione vigile e decisa

I miei rapporti con Ribbentrop sono già diventati cordialissimi, fatto dovuto questo in gran parte all'azione mediatrice di Frank che si trova con Ribbentrop in rapporti di grande amicizia. Desidero segnalarLe l'importanza di questi contatti diretti con Ribbentrop, poiché egli, oltre ad essere il fiduciario di Hitler, è il Ministro degli Esteri di fatto, poiché la politica estera germanica si può dire sia guidata esclusivamente da Lui.

Secondo quanto espostoLe, dovrei recarmi nei prossimi giorni a Berlino per il proseguimento delle conversazioni con Ribbentrop. Rimango perciò in attesa di quelle istruzioni ed autorizzazioni che Egli crederà di farmi pervenire (1).

(l) Il conte Fossombrone, accompagnato dal Sottosegretario Suv!ch, era stato ricevuto da Mussolini a Palazzo Venezia il 16 ottobre ,alle ore 11.

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 505 e 720. (2) -Vedi D. 204.
609

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

VERBALE (2). Roma, 12 novembre 1935, [ore 16].

L'Ambasciatore Drummond deve rettificare un'impressione rimasta dall'ultima convocazione (3) e cioè: le unità di battaglia del Mediterraneo non sono state rinforzate da alcun elemento della «Home fleet ».

Ci sono dodici grandi navi da battaglia in Inghilterra, di cui quattro nel Mediterraneo, quattro alla «Home fleet » e quattro di riserva o in riparazione. Le quattro navi tuttora nel Meditenaneo non sono aumentate, mentre le altrP quattro della « Home fleet » sono rimaste nelle acque britanniche. In più ci sono attualmente nel Mediterraneo i due incrociatori da battaglia di cui si discute ora il ritiro.

Il Capo del Governo afferma che in Mediterraneo ci sono attualmente cinque navi da battaglia e non quattro.

L'Ambasciatore deve riesaminare tale punto. Comunque, siano quattro

o cinque le navi di battaglia, egli può affermare in modo preciso che la flotta nel Mediterraneo non ha avuto nessun aumento nella categoria navi da battaglia. Pertanto da questa premessa, l'Ambasciatore prega il Capo del Governo di considerare la proposta inglese che era già stata accennata nelle conversazioni precedenti.

La Gran Bretagna sarebbe pronta a ritirare i due incrociatori da battaglia in un'epoca prossima, se entro un determinato periodo, che non dovrebbe essere troppo lontano, l'Italia fosse disposta a ritirare un'altra (non insiste su due) Divisione dalla Libia. Il Governo inglese si accontenterebbe anche di un gentlemen agreement se così fosse grad•ito al Governo italiano.

Deve menzionare ancora un punto sussidiario, e cioè che il Governo inglese si dovrebbe mantenere una certa libertà di aumentare le forze in Egitto se questo fosse richiesto dalla situazione locale.

L'Ambasciatore mette in rilievo che il Governo inglese, il quale tiene moltissimo a venire ad una détente nel Mediterraneo, ritiene che la stessa si possa ottenere per fasi successive. Dopo questa prima fase del ritiro dei due incrociatori e di una Divisione si vedrà se la situazione di spirito dei due Paesiin rapporto anche al contegno della stampa -permetterà di continuare con altre misure di smobilitazione il che, egli ripete, è nel desiderio del Governo inglese.

Il Capo del Governo ritiene che la proposta inglese possa essere accettata in quanto faccia parte di un piano più vasto di normalizzazione.

Ci sono gli elementi per una intesa di vasta portata tra la Gran Bretagna e l'Italia nel Mediterraneo. L'Italia ha bisogno del Mediterraneo perché ci vive; la Gran Bretagna ha bisogno del Mediterraneo perché rappresenta la via obbligatoria per i suoi possedimenti di oltre mare. Le due necessità sono conciliabili tra loro.

Potrebbero essere accettate fin d'ora le basi di un tale accordo, oppure, quando la Gran Bretagna non credesse di poter fissare fin d'ora tali basi, si potrebbe dichiarare che questo primo passo è destinato a portarci, attraverso ad accordi successivi, ad una soluzione che normalizzi in modo definitivo i rapporti tra le due Potenze. Sarebbe quindi il passo attuale una soluzione parziale che deve portare ad una soluzione integrale.

II Capo del Governo ritiene che questa soluzione definitiva sia nell'interesse della Gran Bretagna, la quale non può pensare a concentrare tutta la sua flotta nel Mediterraneo nè ad aumentarla in modo eccessivo con la conseguenza di fare aumentare anche quella tedesca, legata nel rapporto del 35%. La détente sarebbe dunque il mezzo per arrivare al fine che sarebbe l'accordo definitivo.

Bisognerà trovare anche il modo di fare apparire, di fronte ai terzi, che queste prime misure di smobilitazione nel Mediterraneo son destinate a ulteriori sviluppi fino a normalizzare definitivamente la situazione.

L'Ambasciatore Drummond si riserva di riferire al proprio Governo e di dare una risposta.

(1) -Il presente documento reca il visto di Mussolini ed è seguito nel fascicolo «Fossombrone» da questo appunto autografo d! Suvlch in data 13 novembre 1935: «Fossombrone non ha avuto l'incarico di trattare. Il Capo gli ha detto soltanto di mettere bene in rillevo la solidarietà di difesa del due Regimi di fronte alla levata di scudi massonico -II/III internazionale per creare un'atmosfera favorevole~. Un altro appunto autografo di Suvlch, non datato, dice: «Fermare Fossombrone a Roma. Non oc,corre che vada più a trattare a Berlino~-Vedi anche DD. 656 e 718. (2) -Al colloquio era presente Suvich, che ha redatto il verbale. (3) -Vedi D. 562.
610

IL MINISTRO AD HELSINKI, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8315/51 R. Helsinki, 12 novembre 1935, ore 17 (per. ore 19).

Ho personalmente rimesso e letto a questo Ministro Affari Esteri nota verbale circa sanzioni (1), ampliata e completata.

Il Ministro Affari Esteri mi ha ripetuto note ragioni per spiegare atteggiamento del Governo, dichiarando deplorare che, per ragioni di carattere strettamente giuridico, Finlandia siasi trovata nella necessità prendere misure a danno Italia in una questione che non la interessa e non la riguarda punto, aggiungendo che il Governo finlandese sarà lieto poter partecipare a un mutamento di atteggiamento, se le circostanze dovessero provocarlo, alla stregua degli argomenti contenuti nella nota stessa che egli considera pur molto importanti.

(l) Vedi D. 602, nota 2.

611

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8301/76 R. Lisbona, 12 novembre 1935, ore 20,20 (per. ore 22,50 ).

Telegramma di V.E. n. 2196/C. (1).

Ho consegnato oggi in assenza Ministro Affari Esteri ammalato a questo Segretario Generale nota verbale accompagnata da considerazioni in conformità delle istruzioni contenute telegramma n. 2204/C. (2). Egli mi ha detto che nota sarà oggetto al più presto esame Governo che nulla ancora deciso circa sanzioni economiche aggiungendo che egli prevede che questo pur deplorando di essere costretto non potrà esimerlo dall'uniformarsi decisioni Ginevra.

612

IL MINISTRO A TALLINN, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8343/54 R. Tallinn, 12 novembre 1935, ore 20,47 (per. ore 5,50).

Telegrammi di V. E. nn. 2204 (2) e 2208 (1).

Secondo il desiderio espressomi da Ministro Esteri ho rimesso nota verbale in data 11 novembre a Ministro aggiunto signor Laretei, che è Presidente Commissione Interministeriale Estonia per messa in opera sanzioni.

Il signor Laretei ha riservato risposta da parte del suo Governo (3) e mi ha pregato porre in rilievo fin da ora che, comunque, atteggiamento suo Governo in questione sanzioni doveva essere messo in correlazione necessità tener fede Patto ginevrino (unica ancora di salvezza in caso di aggressione Estonia da parte russa o tedesca) e non sentimenti verso noi che sono stati sempre viva amicizia simpatia.

Ho replicato che Governo e Popolo italiano non avrebbero potuto comprendere attitudine Stati che, mentre protestavano amicizia Italia, avrebbero partecipato misure miranti tentativo assedio economico nostro Paese.

Riferisco più dettagliatamente per corriere ( 4).

(l) -Vedi D. 602, nota 2. (2) -Vedi. D. 602. (3) -Vedi D. 740. (4) -Non pubblicato.
613

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8366/115 R. Stoccolma, 12 novembre 1935, ore 20,50 (per. ore 22,10).

Telegramma di V. E. n. 2196/C. (l).

Ho consegnato nota oggi al Ministro Sandler. L'ìllm:trazione con cui l'ho accompagnata non ha dato luogo da parte del Ministro ad alcuna risposta alle mie osservazioni. Egli si è limitato a promettere che la nota verrà attentamente esaminata dal Governo svedese anche in vista eventuale risposta e ad osservare che la Svezia ha la coscienza di seguire e di sentirsi obbligata a seguire direttive che emana Assemblea S.d.N. del consesso ginevrino. Non ha negato importanza della nuova situazione popolazioni liberate, ma ciò ha poco significato avendo il signor Sandler l'abitudine di evitare discussioni che evidentemente ritiene inutili, ascoltando i suoi interlocutori senza raccoglierne gli spunti.

614

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 8289/165 R. Sofia, 12 novembre 1935, ore 21 (per. ore 535 del 13).

Telegramma di V.E. n. 2196 (1).

Solo stamane sono stato ricevuto da Ministro Affari Esteri ed ho consegnato nota che gli avevo preannunziato per telefono ieri stesso. L'ha letta davanti a me: l'ha trovata giusta ed esplicita. Gli ho bene riba:dito nostro concetto circa la responsabilità individuale dei singoli Stati sanzionisti. Riferirò per corriere (2): ancora la Bulgaria non ha definito linea di condotta per applicazione sanzioni e Ministro Affari Esteri mi ha pregato ripetere a V.E. sentimenti di riluttanza suoi, Governo e popolo bulgaro.

Circa diffusione testo nota alla stampa, tenendo conto che censura non ha ancora lasciato pubblicare notizia adesione Bulgaria alle sanzioni, ho detto al Ministro Affari Esteri che era nostro desiderio che nota venisse pubblicata. Mi ha promesso che lo avrebbe fatto.

(l) -Vedi D. 602, nota 2. (2) -Vedi D. 654.
615

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8344/555 R. Washington, 12 novembre 1935, ore 21,16 (per. ore 8,30 del 13).

Telegrammi di V. E. nn. 2151 (1), 2176 e 2182 (2). Nella lunga conversazione che ho avuta col Sottosegretario di Stato (mio telegramma n. 553) (3), dopo aver illustrato testo della nota indirizzata dal

R. Governo ai Governi aderenti alle sanzioni, ho portato ancora una volta discussione sul punto capitale dell'odierna situazione internazionale cioè sull'attitudine del Governo inglese. Ho messo in rilievo enormi pressioni che l'Inghilterra ha esercitato per forzare adesioni alla coalizione anti-italiana di Paesi che non vi parteciperebbero se non dovessero subire coercizioni inglesi. Ho citato, fra gli altri, esempio dell'Egitto e manovra tentata per influenzare decisione del Governo tedesco. A proposito di quest'ultimo episodio ho accennato alla parte avutavi dal Ministro Wilson e non ho nascosto mia sgradita sorpresa per attitudine del rappresentante americano che si prestava a simili manovre. Ho infine accennato all'iniziativa presa dal canadese Riddell nella quale non si poteva non vedere tentativo inglese di esercitare indiretta pressione sul Governo degli S.U.A.

Concludendo, ho richiamato nuovamente l'attenzione del Sottosegretario di Stato sulle pericolose conseguenze dell'accanimento inglese e sulle gravi responsabilità che assumevano davanti alla Storia quei Governi che, coscienti od incoscienti, agivano come «pompieri incendiari :..

Come nelle precedenti occasioni, signor Phillips mi ha ascoltato, mostrandosi preoccupato della gravità della situazione che gli prospettavo, ma senza esprimere alcun giudizio o commento politica inglese. Egli si è limitato a dichiararmi che non era al corrente di quanto era successo a Ginevra in relazione alla comunicazione tedesca e che per il momento non poteva quindi manifestare alcuna opinione sul modo di agire del Ministro Wilson. Quanto alla proposta canadese per l'estensione dell'embargo al petrolio, carbone e ferro, disse che nessuna proposta o suggerimento era stato fatto a Washington al riguardo. Avendo chiesto se questione avesse formato oggetto di discussione nel recente incontro tra Presidente Roosevelt e Primo Ministro canadese, Sottosegretario di Stato ha risposto: «Non mi risulta argomento fosse stato trattato~.

Attitudine estremamente riservata del signor Phillips (il quale regge Dipartimento di Stato durante le frequenti assenze del signor Hull) mi ha confermato nella opinione che attuale politica estera americana è indirizzata verso collaborazione con l'Inghilterra.

Recenti avvenimenti in Estremo Oriente sembrano del resto destinati a rafforzare collaborazione anglo-americana suscettibile di possibili complicazioni con Giappone; ragione per cui ogni sforzo di persuasione da me fatto presso Dipartimento di Stato si infrange contro una pregludiziale a noi contraria.

Unico aspetto favorevole della situazione consiste nella limitazione che legge sulla neutralità ha imposta ai poteri del Presidente, nonché nella possibilità che pressioni inglesi finiscano per provocare reazioni opposte nell'opinione pubblica e nel Congresso.

Per quello che riguarda nostre possibilità d'azione, mi richiamo a quanto ho riferito con mio telegramma segreto n. 550 (1).

(l) -Vedi D. 578. (2) -Si tratta delle ritrasmiss~oni rispettivamente del T. 8145-8146/276-277 del 7 novembre 1935 da BerUno, relativo all'atteggiamento degli osservatori americ.11no e tedesco a Ginevra, e del D. 584. (3) -Con T. 8253/553 R. dell'll novembre 1935, ore 19,30, Rosso aveva comunicato di aver consegnato la nota italiana diretta ai governi sanzlonisti.
616

IL MINISTRO A KAUNAS, FRANSONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8331/118 R. Kaunas, 12 novembre 1935, ore 21,18 (per. ore 5,50 del 13).

Mio telegramma n. 117 (2).

Ho rimesso stamane nota verbale 11 novembre (3) a questo Ministro Affari Esteri illustrandola con speciale riguardo alla situazione e atteggiamento questo Governo.

Ministro Affari Esteri ha mostrato apprezzare pienamente argomentazione nota. Riservandosi ulteriore esame suo contenuto, signor Lozoraitis ha voluto in via preliminare far presente che:

a) Lituania ha inteso partecipare alle deliberazioni di Ginevra non all'infuori del Patto ma solo nel Patto;

b) dopo il voto del Consiglio S.d.N. e dell'Assemblea diveniva difficile e non poteva la Lituania, dal punto di vista pratico, separarsi dalla maggioranza degli Stati membri;

c) esistendo in Europa orientale una situazione precaria di sicurezza non può la Lituania trascurare che da un momento all'altro potrebbe essa stessa dovere ricorrere alla protezione della S.d.N.;

d) come già ha avuto occasione di fare intendere Governo lituano deplora esso stesso pratica ineluttabilità sua adesione alle deliberazioni di Ginevra.

Signor Lozoraitis ha rammentato poi pressione fatta da Inghilterra senza

alcun riguardo su piccoli Stati in questa circostanza.

Governo lituano che ha già aderito alle prime cinque proposte Comitato

di Coordinamento emanerà quanto prima relativi provvedimenti amministra

tivi interni.

(l) -Vedi D. 592. (2) -Con T. 8245/117 R. dell'H novembre 1935, ore 19,35, Fransonl aveva comunicato: << Rimetterò domami mattina a questo Ministero Affari Esteri nota verbale ora pervenutami tenendo presente istruzioni impartJite da V. E. ». (3) -Vedi D. 602, nota 2.
617

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8314/132 R. Belgrado, 12 novembre 1935, ore 21,19 (per. ore 0,40 del 13).

Telegramma di V. E. n. 2196 (l) e 2204 (2).

Consegnata stamane Stojadinovic nota verbale insistendo su carattere non organico Comitato coordinamento, sulla non obbligatorietà sue deliberazioni e su conseguente responsabilità individuale Stati aderenti tali deliberazioni.

Presidente del Consiglio mi ha dichiarato che: l) Nessuno impegno è stato preso, né sarà preso dal Governo jugoslavo nei riguardi transito;

2) Jugoslavia pronta fornire Italia tutte merci non sanzionate ed anche quelle sanzionate dopo che di comune accordo sia stato fissato congegno che copra tali consegne con pagamento contanti;

3) Jugoslavia disposta comperare Italia stesso congegno dal R. Governo parimenti con pagamenti contanti.

Avendomi poi annunziato necessità conformarsi decisione ginevrina circa clearing, ho ottenuto comunicazione ufficiale parlasse di « sospensione ~ e che essa fosse accompagnata da lettera confidenziale affermante volontà Governo jugoslavo trovare le basi per altra sistemazione. Ricevuto stasera documento che trasmetto per corriere.

Stojadinovic dichiarato infine attuale situazione deve considerarsi come una parentesi nei rapporti itala-jugoslavi tale da non turbare cammino verso quelle maggiori intese che è nella volontà comune di raggiungere. Ha insistito su atteggiamento amichevole Jugoslavia questione sanzioni che erano quanto consentitole da sua attuale situazione politica internazionale in resistenza alle pressioni inglesi ed anche francesi.

618

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8342/162 R. Varsavia, 12 novembre 1935, ore 23,55 (per. ore 5,35 del 13).

Telegramma di V. E. n. 2196/C. (1).

Ho presentata ed illustrata a Beck la nota verbale rimessami.

Nostra conversazione, protrattasi per oltre un'ora, non (dico non) offre motivo a particolari considerazioni. Beck è stato cordialissimo e mi ha detto essere stato molto penoso per Polonia aderire a sanzioni, ma il Covenant,

così come è, non offriva scappatoie dopo nostro rifiuto del suggerimento del Comitato dei Cinque, situazione giuridica non (dico non) consentiva altra via. Risposta polacca, nella quale egli ha voluto impiegare verbi al condizionale ed aggiungere riserva finale, deve essere considerata da noi come riconferma sincere ed amichevoli disposizioni di cui questo Governo ritiene potrà darci ancora altre prove. Mi ha confermato che Polonia non (dico non), fornirà armi ad Abissinia e che è stata rifiutata anche giorni fa qualche ordinazione.

Circa riserva espressa da Komarnicki alla proposta di van Zeeland, mi ha detto di aver voluto:

a) riconfermare ancora una volta principio che Polonia non può essere prima chiamata e poi eliminata, a comodo degli altri, in questioni di politica internazionale, specie quando la si era obbligata a prendere in nome della solidarietà collettiva un attegigamento che le dispiaceva;

b) afferma che Comitato di Coordinazione non (dico non) era un organo della Lega e non poteva pertanto affidare mandati politici a nessuno.

Polonia sarebbe per contro felice che da conversazioni in corso sorgesse accordo che desse all'Italia soddisfazione da lei desiderata. Mi ha infine ripetuto che il suo Paese avrà modo di provare ad Italia sua amicizia.

(l) -Vedi D. 602, ruJta 2. (2) -Vedi D. 602.
619

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 12 novembre 1935.

Chambrun è venuto .a comunicarmi che Lavai gli ha telefonato di chiedere una udienza a V. E. per informarLa della iniziativa che egli sl propone di prendere appena avvenute le elezioni inglesi.

Avendo egli insistito per conoscere la mia opinione, ho detto a Chambrun, a titolo strettamente personale, che l'iniziativa di Lavai (l) mi appariva molto pericolosa. Da quel poco che sapevo in proposito, ritenevo trattarsi in sostanza di un baratto che Lavai proponeva a noi ed all'Inghilterra; sospensione delle ostilità contro sospensione delle sanzioni. Carta alla mano, gli ho mostrato la promettente saldezza della nostra situazione militare per concludere che le successive conquiste rendevano di giorno in giorno inaccettabile quel che eventualmente si sarebbe potuto prendere in considerazione prima del loro verificarsi.

Dal punto di vista della opportunità politica, gli ho poi detto di non rendermi conto della ragione per cui Lavai non cominciava mai i suoi sondaggi da parte inglese per essere sicuro da quella parte prima di venire a presentare a noi le sue proposte (2).

(l) -Vedi D. 571. (2) -Il presente documento reca li visto di Mussolini.
620

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. U. 4167/1676. Berlino, 12 novembre 1935 (1).

J:t'unzionario pronto all'ubbidienza, ma che tuttavia ritiene suo dovere esprimere in piena coscienza ai suoi Capi le convinzioni proprie, chiedo di poter sottoporre all'E. V., in tutta libertà, alcune considerazioni sopra una questione che mi pesa e mi preoccupa fino all'assillo.

Il giorno 18, data dell'entrata in vigore delle sanzioni economiche contro l'Italia, si avvicina. Per far comprendere sino a qual punto il pensiero di queste sanzioni mi rivolti, mi permetterò ricordare che, durante la guerra io, che sedetti in tutti, dico tutti, i comitati economici e finanziari interalleati, ne schivai uno solo, quello del blocco. L'idea di combattere il nemico con l'asfissia e con la fame, mi ripugnava così intimamente e così profondamente da far tacere in me ogni altra considerazione. Orbene, il giorno 18 ha inizio una guerra analoga e altrettanto sorda quanto sordida, contro l'Italia.

Noi abbiamo, è vero, dichiarato di accettare le sanzioni economiche. Abbiamo però specificato che questa accettazione alle sanzioni significava sol-. tanto che non avremmo reagito con la guerra. Ma una reazione eccedente la semplice rappresaglia -del resto non sempre possibile e comunque essa stessa non priva di inconvenienti -è indispensabile. Senza di che, il mondo non comprenderà mai l'enormità commessa contro di noi. E questa reazione non potrebbe essere, a mio rimesso avviso, che l'uscita dalla S.d.N. o almeno una «formale rottura di relazioni » con Ginevra.

Rimanere a Ginevra dopo il 18 significa non solo accettare il castigo, ma riconoscerne la giustizia.

La nota (2) testé inviata alle Potenze sanzioniste singole non avrebbe il suo pieno valore se non segnasse anche una messa in mora agli effetti della nostra appartenenza alla S.d.N. Che anzi, ove noi, dopo aver qualificato nella nota l'inizio del blocco economico come un atto di ostilità, saremmo -ove non uscissimo da Ginevra -costretti a considerarci in lotta con la S.d.N., da cui pure deriviamo ogni nostra mortificazione, ma soltanto con i singoli componenti della medesima, ciò che, oltre a non essere conseguente, potrebbe portarci, in determinati casi, molto lontano e anche oltre la eventuale denuncia dei trattati di commercio.

La compatibilità dell'amicizia singola con la inimicizia della collettività è certo una sublime finzione, ma l'averla gli altri usata contro di noi dà a noi il diritto di usarla contro gli altri, e di giungere quindi, legittimamente, alla rottura di relazioni con l'insieme degli Stati sanzionisti, cioè la S.d.N.

Ma non è per questa ragione soltanto che io mi permetto ritenere indispensabile almeno virtualmente la nostra uscita da Ginevra. È vero che

l'Inghilterra non rifugge da un accordo con noi. Ma è vero anche, che essa

concepisce un accordo solo nel quadro e nei limiti del patto, e cioè in una

misura necessariamente insufficiente per noi. È fatale che così sia e il fatto

compiuto delle elezioni nulla potrà, sostanzialmente, cambiare a questa

situazione.

Non è sulla base del patto ed attorno al tavolo societario che l'Italia

possa trovare non dico la sua intera, ma la sua giusta soddisfazione. Gli

articoli del Covenant sono una rete, nella quale sarebbe stato preferibile

non cacciarci, nessuna virtuosità giuridica e nessuna -pur riconosciuta ed

apprezzata -abilità di delegati essendo sufficiente ad evitare che essa ci si

serri sempre più addosso fino a 10· ,ifocarci.

La nostra contesa è all'infur Li del patto, perché, attraverso l'ingiustizia di Versaglia, ha preceduto Io st~sso patto. Non è la S.d.N. che ha il dovere di pagare i conti che le antiche ~potenze alleate e associate » hanno lasciati ancora insoluti nei nostri riguardi. Non è a Ginevra che l'Abissinia, membro della S.d.N., possa accettare la mutilazione del proprio territorio e che gli altri soci possano incoraggiarvela.

Le negoziazioni tripartite che, prima, erano le sole logiche e consigliabili, rappresentano ora attraverso la delega societaria e la resa della Francia all'Inghilterra, uno strumento posto nelle mani della Gran Bretagna per stringere su di noi, col minimo di responsabilità sua, la vite delle proprie pressioni.

L'Italia ha una sola salvezza -che peraltro il valore delle sue truppe le assicurano -quella di una vittoria militare. Ma anche questa vittoria sarebbe vana se non potesse essere fatta valere direttamente ed immediatamente sull'Abissinia. Non è quindi il terreno societario che possa assicurare quel massimo di successo politico a cui ha diritto.

La nostra permanenza a Ginevra ha cessato di essere un atout nelle nostre mani dal momento che l'Inghilterra la interpreta come un segno di debolezza e di paura da parte nostra. Del resto, fa il giro di questi circoli diplomatici la seguente frase attribuita allo stesso Massigli: «Avant, on ne savai t pas comment vous (noi) retenir dans la S.d.N.; maintenant, on ne sai t pas comment vous en chasser ». (!) Vera o no, la frase è indicativa della impressione disastrosa che la nostra permanenza nella S.d.N. fa sui terzi.

La Francia, è vero, ha subordinato il suo appoggio alla nostra permanenza nella Lega. Ma tutto questo poteva valere fino alla dichiarazione dell'aggressore e al declanchement delle sanzioni. Dopo, la stessa Francia (che anch'essa si era illusa sul grado di resistenza dell'Inghilterra), non può a meno di onestamente riconoscere che la Lega diventa per noi un nodo scorsoio. Gli avvenimenti hanno quindi sorpassato ogni previsione ed ogni intesa. La Francia dovrebbe essere la prima, amichevolmente, a rendersene conto.

Certo, l'Inghilterra non, dico non, vorrebbe la nostra uscita dalla S.d.N., non fosse altro per la considerazione che le «Messe presente cadavere» che essa ci canta ogni giorno nel tempio !emano non fanno che sottolineare il suo trionfo e ridarle il già perduto prestigio di arbitra dei destini del mondo. Essa, mentre è sicura di tenerci solidamente agganciati a Ginevra ora attraverso la Francia, provvederà a saldare questo gancio per l'avvenire essa

stessa, stipulando, in quel qualunque accordo che a suo tempo sarà per

essere raggiunto, la nostra permanenza nella S.d.N. nello stesso modo nel

quale stipulerà la ripresa dei nostri acquisti di carbone di Cardiff...

Noi dobbiamo disingannare gli inglesi e disingannarli subito. Essi hanno bisogno di esser messi di fronte a visioni concrete: non hanno immaginativa.

Per raggiungere l'intento non vi sarebbe, a mio rimesso avviso, che la notifica, da dare a Ginevra, lo stesso giorno 18, se non del nostro allontanamento dalla S.d.N. almeno della rottura delle nostre relazioni con la medesima, il tutto proceduto, da una opportuna diffida alla Francia e all'Inghilterra.

Avremmo, poi, comunque innanzi a noi due anni di tempo per rendere definitiva la nostra uscita.

L'Italia non può, come un ragazzino discolo, accettare il castigo che i precettori leghisti credono di poterle impunemente infliggere, castigo tanto più intollerabile quanto più dichiarato «esemplare ».

Il mondo ha bisogno di essere messo subito e concretamente, di fronte alle conseguenze dell'atroce ingiustizia commessa nei nostri riguardi. È solamente con questa visione negli occhi che coloro fra i nostri amici ancora suscettibili di ravvedersi, si ravvederanno. Ed a noi sarà sempre più facile negoziare stando a cavallo della Lega, che dentro di essa.

Constatata l'amara relatività delle nostre amicizie, non ci rimane, ripeto, che fidare sul valore delle nostre armi. Ma non si può permettere che esso sia, anche minimamente, frustrato dalla etica farisaica della S.d.N. la quale -ce lo sentiremo ripetere dopo le elezioni inglesi come prima delle medesime -non permette di dare all'Italia violatrice del Patto, più di quello che le era stato offerto prima della violazione. Quanto al Fronte di Stresa -a parte le sue ripercussioni sopra altri settori della nostra politica estera esso era possibile e rappresentava una politica utile, ma con un'Italia e per un'Italia forte. Rappresenterebbe una debolezza ed una catena per un'Italia umiliata e minorata. Che del resto, la ricostituzione del Fronte di Stresa non potrebbe più rappresentare per noi quello che rappresentava nell'aprile, quando cioè non era ancora stato concluso un trattato franco-sovietico e non esisteva ancora un accordo navale anglo-tedesco. Tanto l'Inghilterra che la Francia hanno dimostrato coi fatti, -esse per prime -di voier estendere quel fronte. Perché rimanervici costretti soltanto noi?

È ovvio, d'altra parte, che una rivalutazione politica, dopo la crisi abissina, sarebbe per l'Italia tanto più possibile ed anzi tanto più facile, quando più essa avrà piena ed intera libertà d'azione nei confronti di tutti.

Domando venia all'E. V. di aver espresso con tanta libertà il mio pensiero. L'ho peraltro ritenuto, in un momento come questo, semplicemente doveroso. Dopo di che, peraltro, rimango, come sempre ed anzi più che mai, agli

ordini dell'E. V. (l).

43 ·-Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

(l) -Manca l'indicaz,ione della data di arrivo. (2) -Vedi D. 602, nota 2.

(l) Il presente documento reca Il visto di Mussol!n1.

621

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8329/259 R. Ankara, 13 novembre 1935, ore 0,30 (per. ore 5,50). Telegramma di V. E. n. 2204/C.

Testo chiaro nota verbale pervenutomi ieri sera mezzanotte.

Rimessa nota ad Aras oggi ore 19. L'ho illustrata e commentata ampiamente secondo le istruzioni tenuto conto che sanzioni non sono ancora qui appUcate.

Aras colpito da tono estremamente dignitoso. Riteneva che in Inghilterra sarebbe stato interpretato come vaga minaccia. Comprendeva interamente decisioni italiane e che nota fosse eguale per tutti Stati. Doveva tuttavia mettere in chiaro che Turchia non aveva perduto nessuna occasione per cercare componimento conflitto in conformità interessi italiani e richiamato tutte sue passate proposte. Richiamatosi nuovamente a sua azione personale provata da processi verbali e ha aggiunto che suo Governo non sarebbesi anche in avvenire lasciato sfuggire nessuna occasione per contribuire a soluzione della questione. Era pronto del resto anche a farsi iniziatore di proposte che fossero da noi desiderate. Si permetteva consigliare ogni maggiore nostra azione per portare argomenti e documenti su situazione abissina e su evidenti risultati nostra avanzata. Erano elementi nuovi che avrebbero permesso un riesame della situazione con possibilità di soluzioni assai migliori di quelle suggerite in passato dai Cinque. La nuova luce gettata su situazione abissina era fatto più saliente, sul quale l'Italia poteva basarsi per un soddisfacente regolamento del conflitto. Osservato in primo luogo che nostra tesi non gli sembrava fondata poiché decisioni S.d.N. relative all'art. 16 erano soltanto interpretative ed indicavano che Stati potevano sottrarsi in tutto o in parte ad impegni dell'art. 16 e del Comitato Diciotto solo se avessero potuto ottenere consenso S.d.N. stessa. Ciò non per diminuire responsabilità che Governo turco poteva assumere ma per esatta posizione di nostro modo di vedere. In ogni caso Turchia non aveVla ancora preso alcuna delle misure decise dalla

S.d.N. anche se alcune per essa del tutto eseguibili. Anzi aveva ritardato decisione fino all'ultimissimo momento per provare che promessa di non porre alcuno zelo era mantenuta e per turbare al minimo possibile rapporti con Italia ai quali Turchia teneva al massimo grado. Aveva spiegato largamente oggi al partito posizione turca. Domani terrebbe suo discorso all'Assemblea (mio telegramma n. 255) (2). Non prima del 17 verrebbe pubbUcato decreto 1n esecuzione degli obblighi inderogabili della Turchia verso S.d.N. ma ridotti al minimo possibile.

Abbiamo poi insieme esaminato decreti francesi ed egli ha convenuto su talune mie osservazioni dirette a mostrarne pericoli e promesso che i turchi sarebbero più generici, non conterrebbero nessuna pena per trasgressori, e per

metterebbero .ogni possibile eccezione consigliata da circostanze vedute mio telegramma n. 222 (1). Da parte mia [ho ripetuto se] la Turchia intendeva provare in situazione tanto difficile e contrastante quanto le stava a cuore amicizia con l'Italia.

(1). (l) -Vedi D. 602. (2) -T. u. 8212/255 R. del 9 novembre 1935, ore 15,25, non pubblicato.
622

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8346/287 R. Atene, 13 novembre 1935, ore 14,25 (per. ore 16).

Telegramma di V. E. n. 2204/C. (2} e 2196/C. (3) del 10 corrente.

Ho rimesso a questo Ministro degli Affari Esteri nota verbale telegrafatami da V.E. accompagnandola chiarimenti comunicatimi e riepilogando quanto, a varie riprese, ho fatto presente a questo Governo circa particolare posizione politica economica della Grecia di fronte all'Italia.

Conte Teotokis mi ha detto che considererà i termini della risposta ispirandosi allo spirito amichevole che anima i rapporti itala-greci, ma che necessariamente Grecia deve fedeltà al Covenant ed agli alleati balcanici.

Tutti i giornali greci pubblicano testo integrale nota stessa aggiungendo commenti che riproducono [la] risposta Teotokis. Ne trasmetto riassunti con Stefani speciale (4).

623

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

VERBALE (5). Roma, 13 novembre 1935, [ore 16].

L'Ambasciatore Chambrun deve premettere che il Governo francese non si rende ben conto delle ragioni dell'atteggiamento che ha assunto la stampa italiana a datare dalla metà di ottobre.

L'Ambasciatore Chambrun ha avuto a tale riguardo un telegramma e una telefonata da Lavai. Il Presidente del Consiglio francese fa rilevare: -che l'obbligo della Francia di mantenere gli impegni del Covenant era stato chiaramente e ripetutamente manifestato e che si aveva avuto l'impres

sione che l'Italia avesse dimostrato una perfetta comprensione di tale delicata situazione francese. -La Francia ha dimostrato la sua buona volontà in tutti i modi fino agli ultimi limiti dei suoi obblighi del Covenant. -La Francia ha fiancheggiato l'azione italiana evitando misure militari, il blocco, la chiusura del Canale di Suez.

-È per opera della Francia se l'azione di Ginevra si è mantenuta nei limiti di un'azione collettiva, il che per l'Italia rappresenta un'importante garanzia. -Nessuno sforzo è stato risparmiato da parte della Francia per ogni possibile ripresa di negoziati.

Le disposizioni amichevoli francesi sono ancora sempre vive ed operanti.

Ora il signor Laval vorrebbe fare un altro tenta,.tivo di conciliazione che potrebbe cadere nel periodo tra le elezioni e l'inizio delle sanzioni economiche. L'ambasciatore Chambrun vorrebbe sapere che cosa il Capo dei Governo pensi a riguardo di una tale possibilità. Il Capo del Governo osserva che da qualche giorno la stampa italiana non fa più polemiche contro la Francia.

L'Ambasciatore si permette di fare ancora una osservazione a proposito di giornali: oggi la stampa francese nella sua gran maggioranza è favorevole all'Italia, anzi, dato che l'Italia è parte in causa, è proprio la stampa francese che porta le ragioni dell'Italia in giro per il mondo.

L'Ambasciatore ha sentito che sarebbe intenzione del Governo italiano di proibire l'introduzione dei giornali stranieri, e anche dei francesi, dal momento dell'applicazione delle sanzioni economiche. Egli si permette di fare rilevare che ciò sarebbe un grave errore: I) perchè questi giornali, che si sentirebbero trattati ingiustamente, potrebbero anche cambiare atteggiamento; II) perché ciò porterebbe come conseguenza la proibizione della entrata dei giornali italiani in Francia, e ciò sarebbe un altro male anche con riguardo alla esistenza delle numerose collettività italiane che vivono in Francia.

Il Capo del Governo osserva tutte le ragioni addotte da parte francese sono state prese in considerazione da parte sua, ma egli non può nascondersi che la situazione che verrà a determinarsi il giorno in cui saranno applicate le sanzioni, cioè la chiusura della frontiera tra l'Italia e la Francia per ogni movimento commerciale, è di una gravità estrema.

C'è a tale riguardo un equivoco da chiarire: se il Capo del Governo ha parlato a proposito di sanzioni economiche della necessità «stringersi la cintola», ciò era un ammonimento diretto al popolo italiano; si chiede cioè al popolo italiano di disporsi a tutti i sacrifici i quali devono servire appunto per reagire contro l'imposizione delle sanzioni economiche.

Il Capo del Governo aggiunge che quello che egli ha detto di fronte all'estero è che egli risponderà alle sanzioni militari, « che sono un atto di guerra », con la guerra, mentre con altri mezzi avrebbe reagito alle sanzioni di carattere economico.

Tutto ciò evidentemente non giustifica il fatto di arrivare a delle misure di una tale gravità come sono quelle del blocco economico che si minaccia contro l'Italia.

La Francia ha aderito alle misure estreme decretate a Ginevra sulla base di una rigida applicazione del Covenant. È il caso di ricordare la massima del pretori romani: « summum Jus summa injuria ».

I legislatori e i giuristi romani avevano introdotto un elemento per temperare l'espressione della legge: l'« aequitas » che Ginevra ha ignorato.

Va detto subito che l'Italia è tranquilla per quanto riguarda la resistenza interna; per gli approvigionamenti alimentari siamo più che coperti e anche per quanto riguarda le materie prime per le industrie, è chiaro che noi in questo periodo non siamo rimasti con le mani in mano.

Tutto ciò spiega la esasperazione del popolo italiano contro i paesi sanzionisti. Ci sono alcuni che per un complesso di circostanze sono considerati dall'opinione pubblica italiana come maggiormente responsabili: tra questi il Belgio.

Il Capo del Governo si chiede se non sia il caso di denunciare il Trattato di Locarno per quanto riguarda il Belgio.

Venendo a parlare della iniziativa del Signor Lavai, il Capo del Governo dice che, al riguardo della stessa non bisogna farsi nessuna illusione. Il termine è troppo poco e la disposizione d'animo degli inglesi non è buona. Sir Samuel Hoare ha già dichiarato che dopo le elezioni l'atteggiamento inglese non cambierà. Quindi gli inglesi mantengono le loro pretese di una formula che accontenti l'Italia, l'Abissinia e la S.d.N. È troppo voler accontentare tre. D'altra parte è chiaro che il Negus fino a che si sentirà spalleggiato dalla Gran Bretagna si manterrà intransingente.

Il Capo del Governo prega quindi l'Ambasciatore di ringraziare il signor Lavai per il suo interessamento ma di esprimergli nello stesso tempo la sfiducia nella possibilità di una rapida soluzione conciliativa.

(l) -Vedi D. 392. (2) -Vedi D. 602. (3) -Vedi D. 602, nota 2. (4) -Non si pubblicano. (5) -Il verbale è stato redatto da Suvich, presente al colloquio.
624

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8425/344 R. Buenos Aires, 13 novembre 1935, ore 22,09 (per. ore 6,15 del 14).

Mi riferisco al mio telegramma n. 341 (1).

Ho avuto testè lungo colloquio con questo Ministro Affari Esteri in merito alla nota verbale 11 corrente concernente sanzioni, e gliene ho punto per punto chiarito portata, adottando argomenti all'atteggiamento locale che in complesso mi pare continui ad essere il più soddisfacent~ possibile, tenuto conto nota preoccupazione economica-finanziaria verso l'Inghilterra, nonchè degli impegni societari Argentina.

Il mio interlocutore, il quale si è molto attentamente interessato specialmente alla parte riguardante volontaria sottomissione di intere popolazioni all'Italia, debitamente salutata redentrice, e conseguente liberazione moltitudine

schiavi, nonché alle volenterose prove di ·collaborazione da noi date verso S.d.N. col non esserne fino ad ora usciti, mi ha dichiarato che il testo della nota è sotto accurato studio ma non (ripeto non) mi ha parlato di risposta scritta.

Né salvo ordini contrari dell'E.V. crederei il caso almeno per ora dl solIecitarla in tal senso, anche perché egli mi ha ripetutamente espresso riconoscenza verso V.E. «per aver saputo così giustamente vagliare favorevoli disposizioni pratiche Governo argentino verso -l'Italia pur conciliandole con delicata situazione quale firmataria patto:..

Verbalmente Saavedra Lamas mi ha intanto dichiarato quanto segue: l) conferma riserva fatta a Ginevra circa necessità approvazione Congresso per eventuali sanzioni economiche;

2) non (ripeto non) sarà convocato in sessione straordinaria Congresso per l'esame di tale questione (come è noto opporsi equivale per Io meno ad un rinvio ad aprile-maggio);

3) Governo argentino ha deciso di formulare delle controproposte scritte a quelle dei giorni scorsi presentate dalla Delegazione Commerciale presieduta da S. E. Asquini (la quale continua nel suo quotidiano assai attivo lavoro ufficiale con la Delegazione argentina, e nei suoi cordiali proficui contatti con dati finanziari economici locali).

Saavedra Lamas ha concluso riassumendo: «Da tutto questo precede si deduce chiaramente la effettiva portata pratica dell'atteggiamento Argentino nella questione delle sanzioni all'Italia :..

(l) Con T. 8251/341 R. dell'H novembre 1935, ore 22,05, Arlotta aveva comunicato di aver coThSegnato la nota itallana d! eu! al D. 602, nota 2.

625

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 8378/202 R. Mosca, 13 novembre 1935, ore 23,22 (per. ore 0,15 del 14).

Mio telegramma n. 201 (1).

Ho consegnato nota verbale a Litvinov. Gli ho illustrato nel modo più efficace gli argomenti in esso addotti. Litvinov mi ha ascoltato evitando di pronunciarsi. Gli ho fatto rilevare che alla nota si attende una risposta.

Mi ha assicurato che me l'avrebbe fatta avere al più presto dopo che avrebbe Ietto la nota nel testo russo. Evidentemente egli intende guadagnar tempo e aver possibilmente uno scambio d'idee con i principali Paesi sanzionisti. In merito alle sanzioni, egli mi ha detto, l'U.R.S.S. si è già pronunciata a Ginevra (non mi pareva che Litvinov desse il peso dovuto alle nostre obbiezloni sulla natura del Comitato di Coordinamento). Ha aggiunto che per sua iniziativa erano state fatte riserve per i contratti in corso, per esempio quelli tra la U.R.S.S. e i cantieri navali. Maggiore presa non pare abbiano fatto su Litvinov le nostre osservazioni sulla situazione delle popolazioni non scioane.

Il Commissario del Popolo per gli Affari Esteri mi ha dichiarato che sarebbe felice se un compromesso potesse esser trovato all'infuori di Ginevra dai Paesi interessati (ha evitato di menzionare l'Abissinia e la S.d.N.). A mia domanda ha poi precisato che essi sono: l'Italia ed i Paesi confinanti con l'Abissinia. Evidentemente, ha aggiunto, l'U.R.S.S. non avrebbe veste per ingerirsi nella faccenda.

Ritornando alle sanzioni, Litvinov non prevede che possano sorgere serie complicazioni; ha escluso, ad ogni modo, che ne possano sorgere nei rapporti con l'U.R.S.S. Gli ho ribattuto che ovunque se ne manifestassero, non avrebbero potuto !asciarlo indifferente.

Gli ho chiesto infine quale sarebbe stato l'atteggiamento sovietico nei riguardi del proposto embargo sul carbone, ferro, petrolio, ecc. Mi ha risposto che l'adesione data era stata condizionata alla partecipazione dei principali Paesi produttori, ma egli escludeva che tale eventualità potesse verificarsi ripetendo quanto ho già riferito col mio telegramma n. 200 (l).

(l) Con T. 8347/201 R., pari data, Arone preannunciava la consegna della nota verbale di cui al D. 602, nota 2.

626

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8491/045 R. Budapest, 13 novembre 1935 (per. il 17).

Mi sono compiaciuto stamane con questo Presidente del Consiglio per la riaffermazione della «fedeltà magiara agli amici » contenuta nel suo discorso di domenica (Stefani dell'll corrente) (2), fedeltà di cui vedevo conferma nell'aperto atteggiamento assunto dalla stampa ungherese in favore della nota italiana ai Governi sanzionisti (fonogrammi Stefani nn. 62, 63 e 64) (3), e nelle favorevoli disposizioni dimostrate dalla Delegazione ungherese alla nostra nel corso delle trattative economiche qui concluse la settimana scorsa. Le deviazioni anglofile di qualche personalità e di qualche settore di questa pubblica opinione (4) -ho aggiunto -che avevo dovuto rilevare giorni or sono, apparivano ora alquanto rettificate, confidavo che all'opera energicamente persuasiva del Governo non sarebbe riuscito difftcile portare finalmente anche costoro ad un'esatta valutazione delle posizioni internazionali e in particolare del carattere dell'attività della Gran Bretagna e dei suoi complici più o meno volontari, intenti ad organizzare il blocco dello statu quo europeo e coloniale nonostante ogni ipocrita dichiarazione in contrario. Il Presidente mi ha risposto condividere in tutto il nostro pensiero. Nelle commissioni parlamentari egli aveva già superato, del resto, Ie resistenze e i dubbi, manifestati nei confronti del netto atteggiamento assunto dal suo Governo a Ginevra, con la considerazione realistica e documentata che nessuna promessa britannica

avrebbe mai potuto sostituire per l'Ungheria l'appoggio militare ed economico dell'Italia. Del resto ha aggiunto, basta guardare la bilancia commerciale italiana per persuadersi che le sanzioni ginevrine difficilmente potranno essere qualcosa di più di una vergognosa commedia: molti si sono dichiarati favorevoli ad esse, pochi contrari; ma tutti, in pratica, si studieranno di eluderle: già da Praga vengono richieste a Budapest vagoni ferroviari per effettuare le forniture proibite all'Italia! Quanto all'atteggiamento del suo Governo, egli non aveva avuto bisogno di meditare per fissarlo. Così comandavano i sentimenti suoi e del popolo ungherese per il Duce; così comandava, parimenti, il sacro egoismo ungherese. I più recenti sviluppi della situazione -ha concluso -lo confermavano nella convinzione che il Duce avesse da molto tempo calcolato e tutto previsto, e confortavano la sua speranza che «l'Inghilterra avrebbe finito col rimetterei ».

2. In sede di conversazione generale questo Vice Ministro degli Esteri si è espresso, pure oggi, in termini meno ottimistLci sulla situazione internazionale. In sostanza il barone Apor mostra di ritenere che ove le sanzioni finiscano con l'apparire inefficaci, l'Inghilterra sia intenzionata di ricorrere contro l'Italia anche agli estremi mezzi di pressione. Informazioni qui giunte dal Ministro di Ungheria a Parigi farebbero d'altra parte prevedere che difficilmente Lavai potrà reggersi oltre al febbraio. Dal che il barone Apor sembra ricavare la deduzione che sarebbe meno difficile e più conveniente per noi giungere ad un accomodamento nei mesi immediatamente prossimi, piuttosto che dopo. Manifestato quindi l'avviso che il Governo germanico seguirà verosimilmente in materia di sanzioni un'attitudine identica a quella americana, e che il Governo austriaco non recederà dall'amichevole atteggiamento assunto in proposito, il barone Apor ha osservato che la stomachevole vigliaccheria manifestatasi a Ginevra e nel mondo di fronte alla quacchera prepotenza britannica, non è tale da scoraggiare l'Ungheria, come non l'hanno scoraggiata le pressioni esercitate su di essa. « Siamo rimasti dieci anni soli », ha concluso, « e non temiamo l'isolamento a Ginevra ».

(l) -Tale telegramma diceva: «Litvinov, che è venuto oggi Ambasciata, ml ha detto che non riteneva che il governo degli S.U.A. avrebbe concesso embargo su petrolio. A suo dire proposta sembrava destinata insuccesso». (2) -Non si pubbllca. (3) -Non si pubblicano. (4) -Vedi D. 501.
627

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 8497/0220 R. Parigi, 13 novembre 1935 (per. il 16).

Mi riferisco alle conversazioni telefoniche avute con S. E. Suvich nella mattinata e nel pomeriggio del 12 corrente.

Nella prima ho informato S. E. il Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri delle aperture confidenziali fattemi la sera del giorno 11 corrente dal signor Lavai, il quale mi informò della sua intenzione di proporre la cessazione delle ostilità nell'Africa Orientale subito dopo il 14 corrente, cioè ad elezioni inglesi finite, per poter al tempo stesso rimettere in moto un'azione di conciliazione. Egli si proponeva al tempo stesso sostenere che non era pos

sibile trattare per una conciliazione con la calma di spirito necessaria qualora fossero entrate in vigore le sanzioni economiche il 18 corrente e proporre al Comitato di Coordinamento di Ginevra di sospenderne l'applicazione fino a che fosse terminata l'azione di conciliazione. Avevo espresso a titolo personale i maggiori dubbi circa l'opportunità di una tale tattica politica nel momento presente, in considerazione soprattutto della situazione militare nell'Africa Orientale che si mostrava favorevolissima per le armi italiane permettendo di formulare i migliori auspici per il futuro. Ad ogni modo avevo assicurato il signor Lavai che avrei subito informato di quanto egli mi aveva detto V. E. e che gli avrei fatto conoscere al più presto la risposta ricevuta.

Giusta le istruzioni impartitemi da S. E. il Sottosegretario di Stato nel colloquio telefonico del pomeriggio di ieri ho comunicato stamane al signor Lavai che il R. Governo gli era molto riconoscente della nuova prova di amicizia dataci e dell'interessamento dLmostrato per trovare una soluzione soddisfacente del conflitto itala-etiopico. Ciò premesso V. E. non scorgeva peraltro quale giovamento avrebbe potuto trarre l'Italia da una cessazione delle ostilità nel momento presente. A parte infatti che la nostra situazione militare era ottima e che avevamo notizia di grande demoralizzazione nel campo avverso, dovevamo tenere presente che l'Inghilterra non aveva voluto considerare il minimo di richieste da noi fatte conoscere al signor Lavai (1), perché egli se ne servisse nel tentativo di conciliazione intrapreso due settimane fa. Noi sapevamo che lo stesso progetto de Saint-Quentin -Peterson, il quale non aveva tenuto conto di tutte le nostre richieste, non aveva incontrato l'approvazione di Londra. Ci domandavamo quindi se non avremmo agito in pura perdita accettando di sospendere le operazioni militari senza essere previamente sicuri che le nostre richieste sarebbero accettate ed avendo anzi ogni ragione di ritenere che queste sarebbero tuttora respinte dagli inglesi. Altro sarebbe stato il caso se il signor Lavai avesse potuto darci un affidamento molto serio dichiarandoci di avere potuto constatare, attraverso nuove indagini esperite, che gli umori di Londra erano mutati e che si poteva sperare di arrivare ad una conciliazione secondo le linee da noi tracciate.

Il signor Lavai comprese perfettamente il punto di vista di V. E.. Riconobbe che, contrariamente a quanto il suo amore di pace gli aveva fatto sperare, non era ancora giunto il momento di ricominciare un tentativo di conciliazione e si riservò di considerare, dopo le elezioni inglesi e sulla base delle informazioni che gli pervenissero a proposito degli umori di Londra, se e quanto fosse giunto il momento opportuno per riparlare con gli inglesi di una sistemazione in Etiopia e per rendersi conto se la loro intransigenza perdurasse tuttora. Ciò naturalmente gli avrebbe impedito di chiedere la sospensione della applicazione delle sanzioni commerciali, cosa che gli spiaceva sotto vari aspetti, innanzi tutto per le conseguenze in Italia e poi anche per la ripercussione in Francia, dove l'opposizione alle sanzioni era assai forte e gli veniva segnalata da ogni parte mettendolo in una situazione assai difficile.

Ho allora detto al signor Lavai che egli non poteva farsi una idea della disciplina con cui il popolo italiano si preparava a fare fronte alle sanzioni. La mancanza di psicologia britannica aveva permesso in un primo tempo al popolo italiano di mostrare la sua compattezza intorno al Duce ed in un secondo tempo avrebbe reso superflua la pubblicazione da parte del Governo di provvedimenti restrittivi concernenti l'alimentazione governativa adottando spontaneamente tutte le restrizioni che potevano aiutare il Duce a resistere all'iniqua imposizione decisa a Ginevra ai danni dell'Italia.

Il signor Lavai mi ha detto di avere già avuto sentore di questo mirabile comportamento del popolo italiano. Egli era ewdentemente stato già informato dall'Ambasciatore di Francia a Roma dello spirito pubblico del nostro paese.

Ancorché il signor Lavai abbia 'subito compreso come il momento attuale non sia il migliore per avanzare le proposte che egli covava dentro di sé, egli deve trovarsi in una situazione assai difficile perché aveva manifestato con moltissime persone, nei giorni scorsi, la fiducia, anzi la certezza, di escogitare fra il 14 ed il 18 novembre alcunché che permettesse di non applicare le sanzioni. Moltissimi vi avevano creduto tant'è vero che da un paio di giorni in qua vengo interrogato da rappresentanti diplomatici esteri, timorosi che le sanzioni votate dai loro rispettivi paesi nuocciano all'economia nazionale di ciascuno di essi, per sapere quale valore si debba attribuire al fiducioso ottimismo del Presidente del Consiglio.

Di fronte alle comunicazioni da me fattegli stamane, d'ordine di V. E., il signor Lavai potrà meditare sulle conseguenze di questo eccessivo suo ottimismo. E poiché è assilllato dai rappresentanti dei circoli commerciali ed industriali che temono gli effetti disastrosi dei provvedimenti che avranno inizio il 18 corrente, potrà anche pensare più e meglio di quanto non abbia fatto sinora all'opportunità di tenere a Londra un linguaggio energico, che oggi potrebbe essergli inspirato dalla necessità di tenere conto degli interessi dell'economia francese gravemente lesi dall'applicazione delle sanzioni.

Vi è sempre ancora una via aperta al signor Lavai; quella di indurre il Governo britannico ad accettare una soluzione sulla base delle condizioni italiane. Dal giorno in cui esse furono fatte conoscere al Presidente del Consiglio francese ad oggi la situazione nell'Africa Orientale si è mutata a tutto nostro vantaggio, tanto materialmente che moralmente provando quanto fossero fondati gli argomenti svolti a Ginevra dal Barone Aloisi e ripetuti in parte nella nostra nota verbale dell'll novembre (1). Il signor Lavai non potrà dunque pensare che noi gli abbiamo chiuso la porta sul viso; dovrà invece convenire che pur sventando una mossa che riteniamo sarebbe stata lesiva dei nostri interessi, abbiamo ripetuto il nostro proposito di accettare una soluzione conciliativa la quale tenga conto di quelle che riteniamo essere le nostre necessità assolute per garantire i possedimenti africani del Mar Rosso e dell'Oceano Indiano.

(l) Vedi D. 366.

(l) Vedi D. 602, nota 2.

628

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 13 novembre 1935.

Il signor von Hassell è ritornato da Monaco. Ha avuto alcuni importanti colloqui.

Chiede di essere ricevuto dal Capo del Governo.

Mi rimette l'unita nota (l) colla quale si esprime il desiderio da parte tedesca di iniziare conversazioni col Governo italiano, anche in rapporto ai nuovi divieti di esportazione.

L'Ambasciatore insiste sul fatto che questi divieti di esportazione non hanno nulla a che vedere colle sanzioni. La situazione tedesca è stata nettamente chiara in tale riguardo.

Su mia richiesta, escludo che il passo odierno del Console di Germania a Ginevra presso la S.d.N. possa rappresentare una deviazione dall'atteggiamento assunto dalla Germania che nel momento attuale è tutt'altro che sfavorevole all'Italia.

L'Ambasciatore aggiunge che non c'è stata da parte inglese la benché minima pressione sulla Germania perché aderisca alle sanzioni (2).

629

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 13 novembre 1935.

Il Barone Villani prega di appoggiare l'Ungheria presso la Santa Sede in rapporto al modus vivendi colla Cecoslovacchia, allo smembramento della diocesi pei confini cecoslovacchi e a1lo Status catholicus in Rumania. L'Ambasciatore Pignatti può avere tutti i dettagli dal Ministro di Ungheria presso la Santa Sede.

Egli sa che l'Ambasciatore di Francia è intervenuto più volte in Vaticano a sostegno dei Paesi della Piccola Intesa. L'atteggiamento del Vaticano è piuttosto contrario all'Ungheria. Crede necessario un nostro intervento per controbilanciare questa tendenza. Assicuro l'Ambasciatore che mi occuperò subito della cosa (3).

(l) -Non pubblicata. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (3) -Nel trasmettere a Pignatti, con telespr. 924 del 18 novembre 1935, le richieste di Villani, Suvich aggiungeva: «Prego V. E. di voler, ove nulla osti da parte Sua, agire presso la Segreteria di Stato di Sua Santità nel senso richiestoci dall'Ungheria, dopo essersi fatto dare, così come il barone Villani suggerisce, dal Suo Collega d'Ungheria presso la Santa Sede, ogni più opportuna precisione sulle singole questioni». Il presente documento reca il visto di Mussolini.
630

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 13 novembre 1935.

Gli ho dato, in linee generali gli schiarimenti sulla situazione che egli mi ha richiesti.

I punti sui quali, nel corso della conversazione, egli ha specialmente battuto sono stati i seguenti:

l) è vero -mi ha chiesto -che la Francia ha assunto verso l'Inghilterra impegni che vanno oltre quelli previsti dall'articolo 16 del Patto? Gli ho risposto di non avere su questo punto altri elementi di giudizio oltre le dichiarazioni del Governo francese che affermano essere gli impegni rimasti entro tali limiti;

2) quale significato ha esattamente la nota italiana (l) ai Governi san:zJionisti? Essa significa -gli ho chiarito -che l'Italia assume le sue responsabilità ed invita gli altri ad assumere le loro;

3) la massima insistenza l'ha dimostrata nel chiedere quale sia la nostra situazione di fronte alla Germania. Gli ho spiegato che in questo campo non v'è nulla di nuovo se non il fatto che le attuali circostanze hanno portato l'Italia a dovere attentamente esaminare gli atteggiamenti dei vari Paesi allo scopo di poter contare i suoi amici. V'è di fatto che la Germania, almeno pel momento, mostra seguire una linea di condotta molto differente da quella seguita dai Paesi sanzionisti, e specialmente da alcuni, e che l'Italia non può fare a meno di prendere atto di tale diversità.

Alla conversazione, svoltasi sempre in tono amichevole, ho cercato di dare un significato di preavviso a buon intenditore (2).

631

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 13 novembre 1935.

Ho chiamato il Ministro Pre:zJiosi per fargli presente l'impressione penosa che avevano fatto in Italia le dichiarazioni del Ministro Berger, relative al divieto di esportazione di armi «per conformarsi all'atteggiamento di Ginevra:. (3).

Il Ministro Preziosi mi ha detto che Berger aveva già fatto un comunicato per smentire le interpretazioni straniere date alle sue parole e specialmente il comunicato della Reuter.

Il Ministro Berger a propria giustificazione si era riferito ad un telegramma che aveva ricevuto da Vollgruber, nel quale gli si diceva che noi non volevamo fare difficoltà all'Austria per questa questione delle armi.

Chiarisco a Preziosi, perché lo dica a sua volta a Berger, che nel colloquio con Vollgruber {l) si era parlato soltanto delle armi di Hirtemberg e che si era detto a Vollgruber che se l'Austria non poteva fornirle, per quanto la cosa ci interessasse, noi non volevamo insistere per non mettere in maggiori imbarazzi l'Austria. Ciò era ben diverso però dalle dichiaraZiioni fatte da Berger, che possono dare l'impressione di una adesione dell'Austria al punto primo delle sanzioni.

Più tardi mi ha ritele,fonato il Ministro Preziosi per dirmi che Berger era molto dispiacente della interpretazione inesatta data alle sue paro'le e che farà un comunicato in cui dirà che di fronte a tale interpretazione inesatta, egli deve ricordare che l'Austria non può esportare delle armi per nessun Paese perché ciò le è vietato dai trattati.

Ho detto al Ministro che a mio modo di vedere tale comunicato poteva andare.

(l) -Vedi D. 602, nota 2. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussol1n1. (3) -Con il T. 8377/222 R. del 13 novembre 1935, ore 20,10, Preziosi riferiva i chiarimenti forniti da Berger circa le dichiarazioni dallo stesso rilasciate alla Commissione delle Finanze.
632

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'ALTO COMMISSARIO PER LE COLONIE DELL'AFRICA ORIENTALE, DE BONO (2)

T. PERSONALE 13181. Roma, 14 novembre 1935, ore 19.

Colla riconquista di Macallè considero ultimata tua missione nell'Africa Orientale, missione che tu hai svolto in circostanze estremamente difficili e con risultati che ti additano nel presente e nell'avvenire alla gratitudine della Nazione. I tuoi meriti incontestabili e ovunque riconosciuti saranno esplicitamente consacrati coi fatti. Ritengo che questo mio messaggio non ti arrecherà soverchia sorpresa poichè tu sai per esperienza che ogni ciclo di attività a un certo punto deve essere concluso, che un pò di riposo ci vuole e che non bisogna esigere troppo dalla fortuna quando sia stata per un certo tempo propizia. Ti comunico che quale tuo successore ho scelto il Maresciallo Badoglio. Nell'attesa di rivederti ti abbraccio con immutata codialità.

633

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8424/559 R. Washington, 14 novembre 1935, ore 19,17 (per. ore 7,45 del 15). Telegramma di V. E. n. 503 (3).

Sondaggi da me fatti al Dipartimento di Stato ed informazioni raccolte da addetto navale negli ambienti della Marina, hanno condotto alle seguenti contestazioni e previsioni:

l) Governo degli Stati Uniti non attende risultati positivi di notevole importanza dalla prossima Conferenza Navale. Delegazione degli Stati Uniti si recherà a Londra più che altro per compiere doverosa formalità derivante da disposizioni del Trattato di Washington.

2) Delegazione americana non avrà un programma di iniziative proprie ma solo direttive generali alle quali si ispirerà nel discutere eventuali proposte di altre Delegazioni. Non è escluso però che delegazione americana possa lanciare idea di una riduzione generale delle flotte (per esempio sulla base del 20% dell'attuale tonnellaggio limite delle singole categorie). Tale mossa avrebbe più che altro scopo di politica interna e cioè quella di dare soddisfazione a correnti pacifiche americane.

3) Si rende conto della impossibilità di rinnovare accordo sulle stesse basi

del Trattato di Washington ed è disposta in linea di massima ad esaminare

invece possibilità di accordo sulle future costruzioni.

4) Si provvede che l'Inghilterra farà valere propria necessità di aumentare

numero degli incrociatori. Stati Uniti non faranno opposizioni e si limiteran

no a riaffermare principio della «equivalenza~ (anziché della rigida «parità~ )

fra flotta americana e britannica, riservandosi diritto di costruire fino al

livello inglese.

5) Si prevede accordo su limite massimo di 35 mila tonnellate per navi da battaglia. Stati Uniti sono disposti a considerare favorevolmente possibili proposte inglesi per riduzione del calibro delle artiglierie da 16 a 14 pollici.

6) Nei riguardi esteriori Delegazione americana si comporterà in modo da dare impressione di cordiale collaborazione specialmente con Delegazione britannica. Mi riferisco al riguardo al mio telegramma n. 522 del 25 ottobre (1).

Mentre ritengo che punti che precedono rappresentano direttive concordate fra Dipartimento di Stato e Marina, continua ad esistere un certo contrasto di tendenze circa concezione generale della politica navale americana. Dipartimento di Stato favorisce indirizzo collaborazionista nel senso della riduzione e della limitazione e di possibili accordi con l'Inghilterra, mentre ambienti navali vogliono conservare intera indipendenza appoggiata da flotta pari a quella britannica.

Finora non è stato deciso se Capo della Delegazione sarà Norman Davis oppure Ambasciatore degli Stati Uniti a Londra.

(l) -Vedi D. 543. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (3) -Vedi D. 587.

(l) Con tale telegramma Rosso aveva comunicato: «Secondo informazioni ottenute da due diverse fonti non ufficiali Governi degli Stati Uniti ed inglese starebbero negoziandobase della possibile collaborazione alla prossima Conferenza Navale. Inghilterra appoggerebbedesiderata americani circa tonnellaggio mentre Stati Uniti aderirebbero ad alcune proposteInglesi circa limitazioni qual!tative. Miei informatori non escludono che collaborazione nel campo navale possa avere qualche ripercussione anche sulla attitudine americana d! fronte al problema della neutralità. Notdzie di cui sopra rispondono effettivamente alle tendenze odterne del Dipartimento di Stato mentre Marina è stata finora nettamente contraria alle limitazioni qualitative, specialmente per quel che riguarda dislocamento massimo delle navi da battaglia».

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IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8423/69 R. Montevideo, 14 novembre 1935, ore 19,51 (per. ore 1 del 15).

Telegramma di V.E. n. 2239/C. (1). Questo Governo non ha sino ad oggi preso altra deliberazione concreta dopo quella sull'embargo sul materiale di guerra.

Per sanzioni economiche finanziarie ha chiesto autorizzazione al Parlamento con un progetto di legge che sino ad oggi non è stato discusso. Secondo quanto mi risulta sono state rinnovate oggi istruzioni telegrafiche al delegato a Ginevra perchè ripeta riserve sulle somme congelate in Italia in conseguenza dell'accordo del clearing, nel senso che esse dovrebbero essere destinate alle importazioni di merci dall'Italia. Per quanto riguarda embargo su determinati articoli esportazione, Uruguay seguirà decisione Repubblica Argentina ed, in ogni modo, tende ad escludere dalle sanzioni i suoi prodotti basici e cioè carne congelata, lana, cuoi.

Nel caso che si dovesse addivenire ad applicazione rigida delle sanzioni si pensa fin da ora a mantenere corrente intercambi attraverso Brasile.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 13434/191 P.R. Roma, 14 novembre 1935, ore 24.

Signor Mandi direttore fabbrica armi Hirtemberg ha informato, per !ncarico principe Starhemberg, che Governo austriaco ha negoziato con Governo francese un prestito di 500 milioni di scellini che passerebbe fra Banca Seligman di Parigi e Credit Institut di Vienna. Tale prestito dovrebbe servire per organizzare frontiere austriache, per mettere esercito in condizioni di difesa e per dare impulso alla produzione industriale ed ai lavori destinati diminuire disoccupazione.

Poichè è stato riferito che Lavai prima di autorizzare operazione avrebbe desiderato esser certo che essa ci è gradita ho inviato istruzioni al R. Ambasciatore a Parigi (2) di comunicare a quel Presidente del Consiglio che Capo del Governo vede con molto favore la cosa. Prego V.S. voler comunicare subito quanto precede al principe Starhemberg.

(l) -Vedi D. 651, nota 3. (2) -T. r. 2248/746 R., pari data ed ora, non pubblicato.
636

L'INCARICATO D'AFFARI A TEHERAN, TELESIO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8436/113 R. Teheran, 14 novembre 1935 (per. ore 20) (1).

Non appena ricevuto il testo della nota verbale (2) (giuntami alle ore 23 dell'll novembre) ho provveduto a farla pervenire, il giorno 12 ma sotto la data dell'll, al Ministero Affari Esteri.

Soltanto stamane ho potuto avere un colloquio con S.E. Soheli, Sottosegretario di Stato Affari Esteri (il Ministro Affari Esteri si trova in viaggio nell'Afghanistan), dato che ieri era giorno festivo per l'Iran. Ho ampiamente svolte le considerazioni indicatemi da V. E. mettendo inoltre in rilievo l'importanza degli interessi reciproci che verrebbero a seriamente pregiudicarsi.

S.E. Soheli mi ha promesso di riunire il Consiglio dei Ministri affinché si rifletta sulla responsabilità che il Governo persiano sta per assumere e mi ha assicurato che la questione riceverà tutta la necessaria attenzione. L'atteggiamento dell'Iran -secondo il pensiero di S.E. Soheli -deve attribuirsi al profondo attaccamento alla S.d.N. nella quale l'Iran ravvisa la garanzia della propria sicurezza e della quale vuole contribuire a mantenere il prestigio e l'efficienza. Egli ha voluto farmi rilevare come la stampa locale si astenga dal pubblicare commenti a noi sfavorevoli nei riguardi del conflitto italoetiopico.

Posso infatti informare V.E. che i giornali hanno agito finora obbiettivamente, limitandosi a trascrivere ·comunicati e notizie dalle varie fonti e pubblicando interessanti fotografie delle due parti in contesa, senza mai criticare l'azione italiana. Ma ciò è dovuto al controllo governativo al quale tutta la stampa è sottoposta (3).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL CILE A ROMA, RIVAS-VICUNA

APPUNTO. Roma, 14 novembre 1935.

Il signor Vicufia si rammarica che H Capo del Governo belga abbia portato via all'Argentina ed al Cile l'iniziativa per una conciliazione affidata a Francia ed Inghilterra ( 4).

Gli rispondo che tanto per il momento non si parla di conciliazione. L'Ambasciatore pensa che i Paesi dell'America latina dovrebbero fare una risposta collettiva ma non crede che la cosa sia urgente.

Gli rispondo che noi desideriamo invece una risposta individuale ed urgente. Consideriamo che in questa risposta i Paesi dell'America latina potranno dare espressioni dei loro buoni propositi verso l'Italia (l).

(l) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (2) -Vedi D. 602, nota 2. (3) -Con T. 8953/123 R. del 26 novembre 1935, ore 14,21, Telesio comunicava: <<Questo Ministro Affari Este•ri ha risposto il 24 corrente alla nota verbale dell'll novembre notificando rincresc.imento del Governo pe.rsiano per avere dovuto uniformarsi alle decisioni prese a Ginevra dagli altri Stati membri della S.d.N. ed affermando di avere sempre avuto e di voler consolidare le sue relazioni di amicizia col Governo italiano». (4) -Vedi D. 597.
638

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 14 novembre 1935.

Il signor Wisocky è pieno d'ottimismo perché spera che prima del 18 ci sia una détente che permetta di rinviare le sanzioni.

Devo disilluder lo: non c'è nulla in atto che permetta di prevedere un rinvio delle sanzioni. Queste quindi entreranno in vigore il 18 e noi prenderemo le nostre contromisure.

L'Ambasciatore prevede che l'effetto delle sanzioni sarà che la Germania e gli Stati Uniti porteranno via il commercio italiano agli altri Paesi. Gli rispondo che ciò è probabile: sarà tuttavia colpa dei paesi sanzionisti (1).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI EGITTO A ROMA, MOURAD

APPUNTO. Roma, 14 novembre 1935.

Il Ministro d'Egitto ha comunicato agli Uffici 1a risposta del Governo egiziano relativa al sorvolo di aerei italiani sul territorio egiziano.

Il Ministro Mourad Sid Ahmed ci tiene a farmi sapere che egli questa risposta la dà indipendentemente da quella che sarà la risposta inglese; ieri l'Ambasciatore di Gran Bretagna ha mandato da lui suo consigliere per concordare la risposta. Sa anche che oggi l'Inghilterra farà un passo per conto suo.

Parlando degli attuali torbidi in Egitto, richiamo l'attenzione del Ministro sulla manovra tentata dall'Inghilterra di attribuire l'origine della sommossa alla propaganda italiana.

Il Ministro, che mi dice di essere nazionalista convinto e di avere capeggiato la sommossa contro la Gran Bretagna nel 1919, conferma che questa manovra britannica non ha nessun fondamento. La situazione era già tesa perché gli egiziani non vogliono più essere sfruttati dall'Inghilterra come nella grande guerra. Le dichiarazioni di Hoare sono parse una vera irrisione ed hanno avuto l'effetto di far traboccare il vaso.

44 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

II Ministro crede che il movimento attuale abbia una base profonda, pensa che ora succederà qualche cosa di analogo a quello che è successo nel 1919, che cioè non si troverà nessun governo egiziano che voglia accettare il potere fino a che l'Inghilterra non avrà fatto delle concessioni. Queste concessioni riguardano l'elargizione della Costituzione e l'abolizione delle Capitolazioni.

Osservo al Ministro che noi abbiamo un'assoluta comprensione dello stato d'animo della popolazione egiziana e che anche nella questione delle Capitolazioni siano più avanti di tutti gli altri. Siamo d'altra parte persuasi che una abolizione delle Capitolazioni al momento attuale vorrebbe dire dare l'Egitto, mani e piedi legati, alla Gran Bretagna.

Il Ministro è d'accordo. Conviene prima ottenere la libertà e poi trattare dell'abolizione delle Capitolazioni. II Ministro mi dichiara di avermi parlato non come Ministro d'Egitto, ma in forma del tutto confidenziale; perché se la Gran Bretagna conoscesse i suoi propositi, eg'li avrebbe certamente delle seccature.

A una mia protesta per l'applicazione delle sanzioni da parte dell'Egitto, il Ministro risponde che il Governo egiziano non è stato che uno strumento in mano della Residenza.

Si dice a nostra disposizione per ogni eventualità nell'interesse del suo e del nostro Paese (l).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 7362/2413. Parigi, 14 novembre 1935 (2).

II signor Léger mi ha rimesso questo pomeriggio, d'incarico del signor Lavai, il qui unito promemoria in risposta a quello da me rimessogli il 9 corrente (3), in conformità delle istruzioni da V. E. impartitemi.

II signor Léger ha aggiunto che nel promemoria stesso vi erano alcune linee sottolineate. Ciò non corrispondeva alla pratica diplomatica. Le righe erano però state fatte dal signor Lavai personalmente il quale lo aveva incaricato di dirmi che mi chiedeva di accettare il documento in questa forma perché aveva inteso, col sottolineare alcune frasi, di porre in rilievo quello che era il suo intendimento a nostro riguardo.

ALLEGATO IL MINISTERO DEGLI ESTERI FRANCESE ALL'AMBASCIATA D'ITALIA A PARIGI

PROMEMORIA. Parigi, 14 novembre 1935.

Par un aide-mémoire remis le 9 de ce mois, le Gouvernement Italien a appelé l'attention du Gouvernement Français sur la contradiction qui lui paraissait exister entre la réponse française aux questions du Gouvernement britannique visant l'art. 16 du Pacte de la S.d.N. et la déclaration générale franco-italienne du 7 janwer 1935.

Rappelant que le àouvernement italien et le àouvernement britannìque ont à. plusieurs reprises fait connaitre leur décision d'éviter tout acte d'agression contre leurs forces respectives, rappelant également que les Gouvernements français et britannique ont affirmé leur ,intention de ne pas recourir à des sanctions d'ordre militaire non plus qu'à des mesures de contrainte telles qu'un blocus naval ou que la fermeture du Canal de Suez, le Gouvernement Royal a cru pouvoir marquer sa surprise d'engagements qui auraient été pris par la France et qui se référaient à la partie non discutée à Genève de l'art. 16 relative à l'application de mesures mil.itaires.

Le Gouvernement français s'empresse de relever l'inexactitude de l'<interpréta!tion ainsi. donnée à sa réponse au Gouvernement britannique.

En fait, et ainsi qu'il était naturel au moment où, pour la première fois, l'art. 16 du Pacte de la S.d.N. allait entrer en a.pplication, le Gouvernement de Londres a tenu à s'assurer, en particulier auprès du Gouvernement de Paris, qu'aucun doute ne subsd.stait sur l'interprétation de cette importante disposition.

L'échange de vues auquel il a été procédé avait un caractère strictement théorique. Rien ne saurait l'établir de façon plus évidente que le fait méme des assurances, rappelées dans l'aide-mémoire italien au sujet des intentions respectives de la GrandeBretagne et de l'Italie.

Au surplus, il n'est nullement question, dans le cas présent, de l'alinéa 2 du Pacte de la S.d.N. qui vise les mesures militaires. Les seules mesures mises en application étant les mesures d'ordre économique et financier, la seule hypothèse envisagée où les membres de la S.d.N. aur!llient à se préter un mutuel appui est celle, visée à l'alinéa 3, où une mesure spéciale serait dirigée contre l'un d'eux en raison des mesures prises en conformité de l'alinéa Ier. Or les déclarations répétées du Gouvernement italien suffrisenrt à donner également un caractère nettement théorique à cette hypothèse.

n est à peine nécéssaire d'observer, à cette occasion, qu'il ne pouvait s'agir de limiter dans le temps des obligations qui ont un caractère permanent.

Le Gouvernement français ne saurait donc comprendre la surprise éprouvée par le Gouvernement italien du fait que procédant à un examen juridrique des obligations de l'art. 16 du Pacte, les Gouvernements de Londres et de Paris n'aient exclu aucune de ces obligations et que les autorités compétentes aient été, en consequence, amenées à en étudier tous les Mpects techniques.

Le principe de l'assistance mutuelle, inscrit dans le Pacte, et sa mise en oeuvre, précisée dans l'art. 16, sont à la base de la S.d.N. comme ils sont le fondement de toutes les garanties de sécurité et de paix qui eXJistent actuellement en Europe, du fait des actes internationaux qui les ont instituées, et notamment des Traités de Locarno. Le Gouvernement itaiien n'a pu envisager que le Gouvernement français, examinant l'ar. 16, pourrait faire abstraction, entre toutes obligations qu'il comporle, de celles qui lui donnent le plus de valeur.

Au surplus -et l'Ambassade d'Ialie a pu s'en rendre compte par maintes indications orales, aussi bien que par la communication, le 25 octobre, de la teneur de la réponse française aux questions du Gouvernement britannique -il ne s'agissait en aucune manière, pour la France, de contracter des engagements nouveaux, mais seulement de congrmer, à l'occasion d'une procédure en cours à Genève, la portée qu'elle a constamment reconnu à certa.ines obligations du Pacte de la S.d.N.

F~aut-il ajouter, pour répondre à la question posée à l'avant dernier alinéa de l'aide-mémoire de l'Ambassade d'Italie, qu'une telle confirmation des engagements généraux du Pacte, avec les assurances qu'elle comporle, pourrait étre donnée à tous les membres de la S.d.N. et notamment à l'Italie si, la méme procédure étant en cours dans d'autres crirconstances, elle se trouvait fondée à en exprimer le désir?

Le Gouvernement italien a Cl'U devoir, néanmoins, se référer à la déclaration

générale franco-italienne du 7 janvier 1935.

Aux termes de cette déclaration, Les deux Gouvernements ont affirmé leur intention «de collaborer dans un esprit de mutuelle confiance au maintien général de la paix et en vue de cette collaboration de procéder entre eux à toutes les consultations qu'exigeraient les circonstances ». Le Gouvernement français n'a V'Il aucune difficulté,

ainsi qu'en témoignent ses précédentes communications, à renseigner le Gouvernement italien sur les conversations intervenues entre Paris et Londres. Il doit cependant faire remarquer que ces conversations, qui avaient pour objet une constatation et non des engagements nouveaux, ne tendaient à introduire, et n'ont en fait introduit, dans la politique internationale aucun élément nouveau susceptible de justi:fier en rien la consultation prévue par la déclaration de Roma. A cet égard le Gouvenement français ne saura!it considérer qu'il ait eu moins que le Gouvernement italien le souci du maintien général de la paix et de la collaboration confiante qu'elle nécéssite.

Il est convaincu que les précisions qui viennent d'étre fournies, dans un sentiment d'entière franchise et d'amicale confiance, ne pourront laisser place à aucun malentendu entre lui et le Gouvernement italien.

(l) -Il presente documento reca il visto d! Mussolin1. (2) -Manca l'Indicazione della data di arrivo. (3) -Vedi D. 572.
641

IL CONSOLE GENERALE A OTIAWA, PETRUCCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8472/105 R. Ottawa, 15 novembre 1935, ore 5,28 (per. ore 5 del 16).

Ieri, poco prima prendere il treno per Washington, questo Primo Ministro, On. Mackenzie King, mi ha chiamato per dichiararmi che Governo canadese si trova nella necessità dover applicare sanzioni poiché l'appartenenza alla

S.d.N. è stata sempre il caposaldo della politica estera canadese ed il partito liberale, attualmente al potere, ha nel suo programma di favorire ogni sforzo per la sicurezza collettiva. Ha tenuta però dichiararmi che questo Governo applicando le sanzioni non intende in alcun modo fare un atto ostile all'Italia, per la quale tutto il popolo canadese ha profondi sentimenti amicizia e di ammirazione. Ha aggiunto che questo Governo non prenderà mai alcuna decisione od iniziativa che possa apparire od essere come atto ostile all'Italia. Primo Ministro mi ha a tale proposito detto in via confidenziale che

l'iniziativa del Delegato canadese a Ginevra (vedi miei telegrammi n. 100 (l)

e 103) (2) è stata presa a sua completa insaputa e che egli non l'ha appro

vata ed ha richiamato all'ordine Delegato stesso dandogli precise istruzioni

per l'avvenire.

Non ho mancato insistere presso Primo Ministro sulle considerazioni con

tenute nella nota verbale da me presentata 11 novembre.

In sostanza è mia impressione che il Governo canadese, pur intendendo

mostrarsi fedele alla lettera delle deliberazioni della Lega delle Nazioni, farà

il suo possibile per attenuare al massimo le sanzioni. Lo stesso tono estre

mamente cordiale della conversazione da me avuta con questo Primo Ministro

(la prima dopo il suo avvento al potere), il quale è spirito colto e sincero

ammiratore dell'Italia, lascia supporre che egli farà di tutto per attenuare

le imposizioni di Ginevra e per non sollevare opinione pubblica canadese.

Mi viene riferito a tale proposito da fonte bene informata che questo Governo intende conformarsi alla proibizione di importare dall'Italia valendosi

della facoltà concessagli dalla legge clocanale coll'aumentare il dumping duty sulle merci provenienti dall'Italia. Ciò permetterebbe a questo Governo di modificare poi, a suo piacere e senza rumore, detta tassa.

Mi permetto esprimere parere attendere attuazione pratica sanzioni da parte di questo Governo prima di prendere misure di rappresaglia. Opinione pubblica canadese seguita a mantenersi in parte ostile, in parte indifferente alle sanzioni.

(l) -Vedi D. 584. (2) -Con T. 8404/103 R. del 14 novembre 1935. ore 11,13, Petrucci aveva confermato le informazioni riferite con il D. 584.
642

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE A BUENOS AIRES, MADRID, SANTIAGO, SHANGHAI, VARSAVIA, E ALLE LEGAZIONI AD ASSUNZIONE, AVANA, BELGRADO, BOGOTA, BUCAREST, GUATEMALA, LA PAZ, LIMA, CITTA DEL MESSICO, PANAMA, PRAGA E QUITO

T. 2254/C. R. Roma, 15 novembre 1935, ore 10.

Mio telegramma 2204 (l).

La radio inglese segnala che passi sarebbero stati fatti presso tutti i Governi rappresentati nel Comitato di Coordinamento perché alla nota italiana sia data una risposta collettiva o comunque identica. Valendosi degli argomenti esposti nella nota trovi modo di far comprendere a codesto Governo nella forma che Le sembrerà più conveniente la inopportunità di una simile procedura e l'urgenza della risposta. Aggiungo per Sua norma che ci interesserebbe molto ricevere al più presto risposta individuale.

643

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 8450/196 R. Praga, 15 novembre 1935, ore 21 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 194 (2).

Benes mi ha detto di avere portato sua più seria attenzione su nota di protesta italiana. Mi ha informato che è in contatto con Parigi, Belgrado e Bucarest circa risposta che mi farà pervenire appena possibile (3).

Avendo io chiesto sue impressioni preliminari mi ha dichiarato che:

l) risposta circa mancato esame memoriale italiano non potrà essere che analoga a quella già data in proposito al Barone Aloisi a Ginevra;

2) nuova situazione, determinata da spontanee sottomissioni all'Italia di popolazioni etiopiche, costituisce argomento meritevole di seria considerazione;

3) minacciati propositi contro sanzioni potrebbero determinare non desiderabi:le inasprimento rapporti economici con l'Italia. Mi ha accennato Commissione Industriali avergli fatto rimostranze danni sanzioni;

4) compiacendosi permanenza Italia Ginevra ritiene eventuale sua uscita da S.d.N. contraria interessi italiani, rendendosi così più difficile raggiungere soluzione conciliante cui dovrebbe a suo parere mettere capo attuale conflitto.

(l) -Vedi D. 602. (2) -Con T. 8308/194 R. del 12 novembre 1935, ore 11,35, De Facendis aveva comunicato di ave,r consegnato a Benes la nota italiana di cui al D. 602, nota 2. (3) -Fu spedita a Roma con il T. 8941/204 R. del 26 novembre 1935, non pubbll!cato.
644

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 8466/565 R. Washington, 15 novembre 1935, ore 21,36 (per. ore 7 del 16).

Nuove dichiarazioni fatte da Segretario di Stato e riprodotte dal mio telegramma in chiaro 564 (l) confermano in modo netto indirizzo di questo Governo nei riguardi del conflitto itala-etiopico. È chiaro che esse sono ispirate in senso poco amichevole per l'Italia. Questo Governo cerca infatti di esercitare ogni possibile pressione morale sui commercianti americani per scoraggìarli dal vendere ai belligeranti (in pratica all'Italia) qualsiasi materiale di uso militare anche quando sua esportazione non è vietata dalla legge. È sintomatico che fra questo materiale Segretario di Stato ha citato autocarri e trattori di cui forte ordinazione è stata fatta recentemente per il tramite della R. Ambasciata.

In presenza di questa nuova manifestazione, che marca ulteriore passo nella direzione del boicottaggio commerciale, mi domando se non sia giunto momento di compiere passo formale per chiedere al Governo americano opportuni chiarimenti e far sentire nostra protesta contro ostacoli che vengono frapposti al libero esercizio del commercio garantito da Trattati in vigore (2).

Non posso farmi illusioni su probabilità che nostro intervento modifichi indirizzo della odierna politica del Dipartimento di Stato che certo è voluta dal Presidente. È anche da attendersi che tale intervento solleverebbe vivaci critiche di quella larga parte della stampa e della opinione pubblica che è ostile alla impresa africana dell'Italia. Ritengo, d'altra parte, che in seguito alle ulteriori dichiarazioni del Segretario di Stato nostro intervento sia giustificato ed opportuno per due ragioni:

l) far sentire che Governo Italiano giudica arbitraria interpretazione estensiva che si vuole dare alla legge sulla neutralità votata dal Congresso; 2) dare al pubblico sensazione che l'Italia reagisca contro politica non amichevo'le del Segretario di Stato.

Sottopongo questione a V. E. e ne attendo istruzioni.

(l) -Non pubbl!cato. (2) -In margine a questo capoverso MussoHn1 ha annotato: «SI». Vedi D. 667.
645

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 8470/12 R. Roma, 15 novembre 1935 (per. il 16).

In via strettamente confidenziale mi è stato detto in Segreteria di Stato che il Nunzio Apostolico in Bruxelles, Monsignor MLcara, ha espressamente assicurato che Van Zeeland, imbarazzato dall'atteggifrmento assunto verso l'Italia, non sarebbe alieno dal rivedere in certo modo le sue posizioni. Lo stesso Monsignor Micara, che gli avrebbe più volte parlato in favore delle tesi italiane, ritiene che, a parte le influenze di origine britannica e socialdemocratica esercitate su quell'uomo politico, vi sarebbero in lui personali risentimenti e incomprensioni non difficilmente superabili. In Segreteria di Stato mi è stato chiesto se ritenevo per mia parte opportuno che Monsignor Micara seguitasse nella sua opera di persuasione. Ho naturalmente risposto che ogni amichevole tentativo di chiarificazione in quel senso non poteva che essere ben gradito.

646

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, CHIARAMONTE BORDONARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8575/713/07 R. Lussemburgo, 15 novembre 1935 (per. il 18). S. A. R. Principe Felice Lussemburgo - intrattenendosi con me circa pre

sente situazione -mi ha dichiarato spontaneamente e con cruda franchezza essere egli interamente e « di tutto cuore » per l'Italia e con l'Italia nell'attuale conflitto. Ha aggiunto avere tentato indurre Ministro Stato esaminare opportunità di non seguire ciecamente dettami Ginevra facendo valere neutralità Lussemburgo. Ciò mi è stato confermato da Ministro Stato.

Intervento Principe Felice non ha però né può avere alcuna influenza su andamento politica granducato.

647

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8635/0130 R. Atene, 15 novembre 1935 (per. il19).

Mio telegramma per corriere n. 0119 del 5 corrente (1).

Il Generale Condylis, interrogato da un giornalista ateniese sul fondamento che aveva la notizia di accordi con l'Inghilterra di cui al mio telegramma sud

detto, ha risposto di «non saperne nulla». La smentita è stata dal giornale pubblicata in tale forma.

Prendendo Io spunto da essa, ho chiesto a questo Ministro degli Affari Esteri se non gli pareva che la formula usata da Condylis fosse destinata a lasciare dei dubbi nel pubblico. Senza contestare la mia osservazione, il conte Theotokis ha smentito anche lui l'esistenza degli accordi, soggiungendo che non aveva fatto alcuna smentita pubblica per timore che «con essa avrebbe finito per avvalorare la notizia stessa». Né le affermazioni di Theotokis né ~a sua speciosa teoria sulla portata di una sua eventuale smentita hanno dissipato i miei dubbi. Aggiungo che il linguaggio di Theotokis ha lasciato la stessa incertezza in un mio collega balcanico che Io ha interrogato sull'argomento.

Condylis poi avrebbe detto a questo stesso mio .collega che se «oggi non esisteva nessuna intesa del genere con l'Inghilterra, egli non escludeva che la cosa avrebbe potuto effettuarsi in avvenire ».

Da fonte egualmente degna di fede ho inoltre appreso che, secondo quanto avrebbe affermato il signor Maximos, Ministro degli Affari Este,ri ellenico fino al 10 ottobre u.s. , delle conversazioni sull'argomento avrebbero effettivamente avuto luogo nel settembre scorso. Si sarebbe trattato di cedere all'Inghilterra l'uso delle baie di Argostoli, Navarrino e Suda. L'Inghilterra avrP.hhp in cambio fatto balenare il miraggio di Cipro. Da altre notizie, confP.rmat.~> anche dai nostri Consoli, risulta che l'addetto militare inglese ed alcuni ,suoi agenti hanno visitato minutamente le località suddette ove hanno fatto scandagli ed inchieste tecniche. Infine questo Ministro d'Inghilterra avrebbe detto al collega francese che lo interrogava sul fondamento della notizia: « Credete che per servirsi delle basi predette l'Inghilterra ha bisogno di stipulare accordi scritti? ».

Da quando precede sono portato a concludere che se non esistono per ora accordi scritti, delle conversazioni ed intese generali al riguardo debbono effettivamente aver avuto luogo. Data anzi l'affermazione dell'ex Ministro degli Esteri Maximos, è probabile che tali conversazioni abbiano avuto luogo a Ginevra dove egli è rimasto fino ad alcuni giorni or sono.

Continuo indagini e se necessario ritornerò sull'argomento (1).

(l) Con T. r. per corriere 8090/0119 R. del 5 novembre 1935, Boscarelli riferiva dl aver wviato indagini per appurare la veridicità di notiz-ie g'iornalistlche circa richieste inglesi tendenti ad ottenere l'uso di basi navali greche.

648

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 15 novembre 1935.

Sir Eric Drummond mi porta l'unita nota verbale sul trasvolo di aeroplani civili sopra il territorio dell'Egitto, del Sudan e della Somalia 'inglese.

L'Ambasciatore sa che un'analoga comunicazione è già stata fatta dal Governo egiziano e fa un accenno da cui appare il suo disappunto perché la nota non si sia potuta concordare tra i due Governi.

Sir Eric Drummond mi dice poi che non ha ancora risposto da Londra riguardo alla détente nel Mediterraneo. L'Ambasciatore mi presenta poi l'unito estratto della Radio Bari. Mi riservo di esaminarlo.

Gli faccio rilevare che la Radio inglese in questi giorni è stata molto aggressiva contro l'Italia che ha accusato di aver fomentato i torbidi in Egitto. L'Ambasciatore giustifica ciò con la propaganda fatta dalla Radio Bari.

Gli osservo che la Radio Bari è a sua volta una reazione alla propaganda inglese antitaliana fatta nei paesi arabi. Chiedo all'Ambasciatore se ha saputo dell'andata di Peterson a Parigi. Non è informato.

Parlando delle proposte degli esperti (Peterson -Saint-Quentin) gli dico che le stesse non sono naturalmente accettabili per l'Italia. Però è la prima voltl1 che viene detta una parola ragionevole.

L'Ambasciatore mi dice che di parole ragionevoli ne saranno dette ancorn molte.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 394. Roma, 15 novembre 1935.

His Majesty's Embassy present their compliments to the Royal Ministcy of Foreign Affairs and, with reference to the question of the flight of civil a,ircraft h'l present ciroumstances over the Sudan, British Somaliland, and Egypt (in so far as Imperia! communications a,re concerned), have the honour, acting under instructions, to make to them the following communication.

2. -Civil aircraft will not be permitted to carry any Italian or Ethiopian personnel who are in uniform or armed, or who are travelling m any sort of formed body even if in plain C'lothes. Further, civ:i.l aircraft will not accept for transportation persons who are connected with the forces operating in East Africa (even if they are out of uniform and unarmed) in such numbers as md.ght indicate that the route was being used primarily for the carriage of such persons and not for ordinacy civil purposes. 3. -The ruling laid down in the preceding paragraph does not apply to personnel entitled to protection under the Geneva Red Cross Convention of 1929, even if thi.s personnel is in undform. 4. -In conveying the above to the Royllll ItaJian Government, His Majesty's Embassy are to point out that these measures are not to be considered as measures in the nature of a sanction, but as resulting from the application on a purely de facto basis of the rules of neutrality in regard to the fUght in present circumstances of civil aircraft over the territories in question.

(1) Con successivo T. 8556/290 R. del 17 novembre 1935, Boscarelli confermava le notizie contenute nel presente telegramma in risposta alla richiesta di informazioni sull'argomentodirettagll da Suvich con il T. 2265/196 R. del 16 novembre 1935.

649

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 15 novembre 1935.

La situazione determinatasi in Austria in seguito all'atteggiamento assunto dal Governo austriaco a Ginevra in materia di sanzioni è venuta prendenao un carattere di particolare delicatezza.

L'aggiornamento delle trattative che si erano iniziate a Londra con i creditori del «Credit Anstalt » silgnifica un evidente ammonimento inglese ed un diretto mezzo di pressione. Il fallimento di queste trattative potrebbe avere per l'Austria delle conseguenze gravi dal punto di vista economico e finanziario, potrebbe minacciare la stabilità dello scellino e rimettere in forse l'opera di ricostruzione interna che il Governo austriaco ha faticosamente e tenacemente perseguito in questi ultimi anni.

La manovra inglese offre agli oppositori interni dell'attuale Governo un'arma di crittca e di accusa per la politica favorevole all'Italia da esso Governo seguita.

E' inutile nascondersi che disgraziatamente molti elementi di fatto rendono per il Governo austriaco non facile una poli:tica filo-italina ed è quindi tanto più apprezzabile lo sforzo lealmente compiuto dal Cancelliere Schuschnigg e dal Cancelliere Starhemberg per rimanere fedele alla politica di amicizia verso l'Italia.

La coraggiosa attitudine tenuta a Ginevra non è una semplice platonica dichiarazione, ma invece tale da avere delle serie conseguenze per la stessa stabilità del Governo austriaco e della economia austriaca.

Le notizie che ci sono giunte ieri ed oggi da Vienna confermano la serietà della situazione, e l'evidente imbarazzo del Governo austriaco. Il signor Berger ha molto lealmente esposto insieme con il Principe Starhemberg al nostro Ministro come la manovra inglese sia grave, e come pur mantenendo ferma la sostanza dell'atteggiamento già assunto dall'Austria, occorrerà tuttavia trovare qualche formale attenuazione allo scopo di rendere gli inglesi meno intransigenti nella questione vi·tale del «Credit Anstalt ».

Purtroppo sull'insieme dei nostri rapporti con l'Austria sono venuti a gravare in questi ultimi tempi vari altri elementi che certamente non giovano a rafforzare la posizione del Governo di Schuschnigg per la sua politica filo italiana di fronte al Paese che tendenzialmente e sentimentalmente è piuttosto ostile all'Italia.

Sono da segnalare in particolare i seguenti fatti: a) soppressione in Alto Adige di vari giornali in lingua tedesca a carattere culturale e professionale quali per esempio: Der Schlern, Die Frau, der Kleine Postillon e Die Industrie un Handelszeitung. I provvedimenti presi dalla Prefettura di Bolzano sono motivati dalla necessità di economia di carta, ma naturalmente l'interpretazione che se ne dà in Austria è diversa; b) la stampa austriaca ha rilevato la proibizione di captare in locali pubblici in Alto Adige stazioni straniere e particolarmente tedesche; c) la presenza dell'Ambasciatore Attolico a Monaco alla cerimonia nazionalsocialista; d) l'organizzazione piuttosto lenta ed incompleta deH'insegnamento privato del tedesco in Alto Adige, malgrado gli affidamenti dati.

Sono tutti fatti che offrono pretesto all'opposizione per accusare di sterilità la politica del Cancelliere e senza neppure escludere un eventuale accordo diretto tra Italia e Germania.

In queste ·Circostanze sembrerebbe opportuno che da parte nostra interve

nisse qualche misura o gesto che servisse a rafforzare il Cancelliere e nell'in

sieme le correnti filo-italiane esistenti in Austria.

Potrebbe anche vedersi se non fosse per esempio il caso di anticipare la

già progettata visita del Principe Starhemberg i:n Italia (l).

650

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8494/874 R. Parigi, 16 novembre 1935, ore 13,45 (per. ore 16,40).

Mio telegramma per corriere n. 0220 (2).

Lavai mi ha affermato che Governo inglese ha accettato ripresa dell'esame delle nostre proposte e che un funzionario inglese giungerà a Parigi a tale scopo entro settimana prossima. Egli suppone che si trattasse di Peterson.

Clerk aveva chiesto vederlo nel pomeriggio. Pensava foss·e per confermare quanto sopra.

Sarebbe proposito di Lavai di iniziare nuovo esame sulla base della nostra occupazione effettiva del Tigré, cui annessione dovrebbe essere pertanto ammessa senza discussione.

651

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZl, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8492/297 R. Madrid, 16 novembre 1935, ore 16 (per. ore 20).

Telegramma di V. E. n. 2239/C (3).

In colloquio confidenziale con questo Ministro degli Affari Esteri, egli mi ha detto che Spagna pubblicherà provvedimento secondo schema-tipo inviato da Ginevra per applicazione sanzioni economiche. Mi ha però aggiunto che, contrariamente a quanto pubblicato dal decreto «la applicazione costituisce un'altra faccenda l). Per esempio, ha continuato il Ministro, Spagna non chiederà copia certificato di origine per merci ed è disposta ad agevolare la non esecuzione pratica del decreto purché non debba per questo infrangere pubblica solidarietà societaria.

Ministro degli Affari Esteri ha aggiunto essere desideroso stare personalmente in contatto con me per studiare ogni misura che possa servire a tenere vivi scambi con qualche abile formula.

Prego quindi farmi presente ogni idea in proposito o formula che, volta per volta, possa sembrare utile ai nostri interessi in materia (l).

(l) -Vedi D. 440, nota 3. (2) -Vedi D. 627. (3) -Con il T. uu. 2239/C. del 13 novembre 1935, ore 24, diretto a Madrid, Santiago, Oslo, Montevideo e Bogotà, Suvich aveva chiesto: «Prego V. E. (V.S.) di voler per quanto possibile appurare evitando ogni passo formale, quale attuazione "prattca" sarà per dare codesto Paese alle sanzioni 3 e 4 (divieto importazioni italiane e embargo su de.terminati prodotti verso l'Italia». Per le risposte di Silenzi, Mazzollni e Gazzera vedi rispettivamente DD. 674, 634 e 652. Con il T. 8506/168 R. del 16 novembre 1935, ore 17,35, Roddolo riferiva che la Norvegia aveva dato piena adesione alle proposte ginevrine.
652

IL MINISTRO A BOGOTA, GAZZERA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8534/84 R. Bogotà, 16 novembre 1935, ore 18,15 (per. ore 6,30 del 17).

Telegramma di V. E. n. 2239 (2).

È molto probabile, almeno in un primo tempo, sanzioni saranno adottate specialmente per quanto riguarda pagamenti, in seguito, pare Governo farà presente S.d.N. gravi inconvenienti che saranno sortiti.

Ambienti commerciali sono contrari sanzioni ed in questo senso incominciano esprimersi coll'inviare al Governo memoriale: vi sono specialmente due industrie (quella dei cappelli-campane di lana e del marmo) che dipendono esclusivamente dalle nostre esportazioni e che se sprovviste da materie prime dovrebbero licenziare numerosa maestranza.

Pure esportatori si lagnano perché se anche importazioni italiane potessero essere sostituite con altre di differenti provenienze rimane escluso che altrove possa essere piazzato quello che mercato italiano assorbiva.

Sto sfruttando con tutti i mezzi a mia disposizione queste condizioni di cose. Mi si dice alcuni commercianti stanno studiando possibilità provvedere ugualmente merci italiane via Germania oppure per Curaçao che è porto franco.

653

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8521/191 R. Bucarest, 16 novembre 1935, ore 20,20 (per. ore 21,45).

Questo Governo mi informa con nota verbale odierna che, in esecuzione della risoluzione di Ginevra in data 6 novembre, ha deciso di non accettare, a partire dal 18 novembre, pagamento in lire in conto clearing per merci romene esportate in Italia e che perciò, a partire da tale data, resterà sospesa « seulement dans la mesure du nécessaire » esecuzione dell'accordo in vigore fra Italia e Romania.

Spedisco per posta testo nota (3).

(l) -Con T. 2453/168 R. del lo dicembre 1935, ore 24, Suvich comunicava essere stata disposta l'applicazione alla Spagna delle misure da adot,tare contro il goverrni sanzionisti, ma che «qualora codesto Governo applicasse effettivamente in maniera amichevole nel nostri riguardi dispos,iz.ioni di Ginevra... provvedimenti attuali potrebbero subire revisione ». (2) -Vedi D. 651, nota 3. (3) -Non pubblicata.
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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8572/048 R. Sofia, 16 novembre 1935 (per. il 18).

Mio telegramma filo n. 165 del 12 novembre (1).

Nostra nota è stata pubblicata dai giornali del 14 corrente con la notizia che come gli altri Stati sanzionisti essa era stata consegnata al Governo bulgaro.

Stamane ho domandato al Segretario Generale del Ministero degli Esteri se era stato già concordato il tenore della risposta che ci è dovuta. Mi ha detto che il Ministro Kiosseivanoff era di avviso di aspettare ancora qualche giorno, ma che poteva dirmi fin da ora che il Governo bulgaro avrebbe cercato di profittare di questa occasione per mettere in evidenza la situazione penosa in cui si era trovato di dover seguire la politi.ca sanzionista di Ginevra dandoci le maggiori possibili soddisfazioni morali.

Ho creduto dovergli far rilevare che se queste erano effettivamente Te loro intenzioni era meglio che si affrettassero a porle in atto per evitare che ancora una volta le asserite loro buone intenzioni non venissero frustrate da coercizioni esteriori.

Ha riconosciuto la giustezza del mio ragionamento e mi ha promesso che ne avrebbe parlato nel dopopranzo al Ministro (stamani non è venuto al Ministero) e che avrebbe fatto il possibile per farmi avere una risposta lunedì o di far giungere istruzioni dirette al Ministro di Bulgaria a Roma.

Per quanto ormai la cosa abbia una importanza relativa debbo informare

v. E. che Kosseivanoff nel nostro colloquio del 12 corrente mi ha formalmente assicurato che l'adesione affrettata e incondizionata bulgara alle sanzioni era dovuta ad un fatale equivoco e all'inesperienza del Segretario di Momciloff il quale il 28 ottobre stretto da premure dal Segretariato della S.d.N. che gli diceva che solo la risposta bulgara mancava, invece di chiedere per telefono istruzioni a lui si era rivolto a Londra al Momciloff e che questi leggermente gli aveva detto di fare come gli altri. Lui Kiosseivanoff aveva subito destituito il Segretario ma Momciloff si era opposto dicendo che prendeva su di sé la responsabilità dell'accaduto. Un provvedimento immediato contro Momciloff non può essere preso perché ormai si ha bisogno di lui che è addentro all'ingranaggio ginevrino, ma non è detto che appena possibile avrà la punizione che si merita.

Mi sono limitato a rispondergli che era veramente deplorevole che il Governo bulgaro fosse così disgraziatamente servito dai propri rappresentanti a Ginevra, giacché è recente il ricordo dell'infortunio capitato al predecessore di Momciloff nel mese di aprile (vedi mio telespresso n. 1725/420 del 4 aprile del corrente anno) (2).

(l) -Vedi D. 614. (2) -Non pubblicato.
655

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4210/1689. Berlino, 16 novembre 1935 (per. il 19).

A Monaco ho incontrato von Papen, avendo con lui un colloquio abbastanza

lungo ed intimo.

In sostanza, egli non capisce perchè Italia e Germania non debbano, sulla questione dell'Austria, intendersi e ciò all'infuori di tutti i terzi e di tutti i patti più o meno danubiani.

Per parte mia ho detto che, per quanto l'Italia non fosse l'unica interessata al problema austriaco, il desiderio di una intesa non era certo meno vivo da parte italiana che da parte tedesca, ma che la difficoltà stava nel trovarne le basi. Quanto al metodo ed al quadro, ho aggiunto ritenere, personalmente, che, tanto più dopo il fiasco del patto orientale, anche il patto danubiano non presentava grandi probabilità di successo.

Ritenevo tuttavia che una qualunque intesa, collettiva o no, non sarebbe mai stata possibile se non dopo che la Germania avesse dato la sensazione, genuina e precisa, di volersi astenere e di astenersi in fatto da una qualunque propaganda.

Von Papen si è profuso al riguardo in assicurazioni di tutti i generi, tuttavia riconoscendo, quanto alla questione della Legione Austriaca, che essa non era ancora completamente risoluta. A sua volta, ha lamentato che l'Italia insistesse in forme di penetrazione indicanti il suo proposito di «controllo» sull'Austria (acquisto azioni Società Navigazione Danubio).

Von Papen è ancora a Berlino, dove del resto, si reca quasi periodicamente almeno una volta al mese. L'ho rivisto anche ieri sera. Si dimostra, almeno in apparenza, molto premuroso e cortese. Professa grande attaccamento a S. E. il Capo del Governo (1).

656

IL CONTE VERNARECCI DI FOSSOMBRONE AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. P. Roma, 16 novembre 1935.

In merito ai chiarimenti da Lei richiestimi circa miei contatti con Ribbentrop, mi faccio premura di precisarLe:

a) che Ribbentrop è stato messo in contatto con me per un atto di omaggio verso il Governo italiano, data la grande considerazione di cui gode, per la politica estera, presso il Cancelliere;

b) che però i miei contatti con Ribbentrop si svolgono nell'identico modo con cui si svolgono da oltre un anno quelli con Frank: cioè scambi di vedute strettamente personali fra persone autorizzate soltanto a mantenere un collegamento, senza la minima facoltà impegnativa né da una parte né dall'altra. Anche Ribbentrop fa parte, al pari di Frank ed al pari di me dell'Accademia di diritto germanico, e perciò le nostre conversazioni hanno il carattere di colloqui confidenziali fra membri di uno stesso Consesso scientifico.

Le istruzioni impartitemi da S. E. Suvich il 15 ottobre u.s. e confermatemi il susseguente 16 ottobre da S. E. il Capo del Governo (1), sono state, come Ella sa (a parte la dichiarazione sulla solidarietà contro il movimento antifascista e sull'Austria), quelle di mantenere i contatti, richiamare l'attenzione del Frank su qualche atteggiamento ancora non amichevole della stampa germanica, suggerire la necessità di un maggior ravvicinamento spirituale fra i due Paesi con opportuni scambi scientifici, turistici, artistici, ·ecc.

I contatti sono stati integrati con l'intervento di Ribbentrop, sebbene proseguiti nell'identica forma di quelli con Frank ed in pieno accordo con questi.

Circa la questione della Stampa e del riavvicinamento spirituale, mi sono attenuto rigorosamente alle istruzioni ricevute in proposito.

Circa la solidarietà e la questione austriaca, ho creduto doveroso, per senso di ossequio alla persona di S. E. il Capo del Governo, di temperare la formula della dichiarazione, e precisamente, invece di dichiarare che S. E. il Capo del Governo era disposto «ad aderire», ho dichiarato era disposto «ad esaminare benevolmente la possibilità di un'adesione», come ho riferito nel mio rapporto dell'll corr. Interrogato da Ribbentrop al riguardo, ho dichiarato di non aver elementi per approfondire la discussione, come già dettoLe nel mio rapporto succitato.

Ribbentrop mi ha poi interrogato sulla questione dell'Alto Adige. Anche qui ho risposto di non aver elementi per discutere, ma che personalmente ritenevo pregiudiziale a qualsiasi distensione in proposito la cessazione della propaganda tedesca in quelle regioni.

Sostanzialmente, ho tenuto anche nelle conversazioni con Ribbentrop lo stesso sistema da me tenuto in quelle con Frank: parlare poco ed ascoltare molto per poter riferire il più possibile circa il pensiero del Gabinetto del Reich.

In un solo caso mi sono creduto in dovere di intervenire attivamente, ed è stato quando, davanti alle pressioni franco-inglesi, il Reich, stava per prendere, a proposito delle sanzioni, una deliberazione che avrebbe potuto essere equivoca. A tale proposito mi permetto ancora di segnalare alla Sua attenzione il costante pericolo delle manovre franco-inglesi a Berlino e del tentativo di riavvicinamento franco-germanico che sta compiendosi sotto gli auspici inglesi.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

(l) Vedi D. 608.

657

IL MINISTRO A L'AVANA, MACARIO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8562/49 R. L'Avana, 17 novembre 1935, ore 1,49 (per. ore 22,50).

Telegramma di V. E. n. 1887/C O).

Mia attività anti-sanzionistica, di cui riferisco con mio rapporto, si è servita di ogni mezzo, ma credo che essa sia soltanto valsa a ritardare fino ad ora pubblicazione del decreto per le sanzioni economiche, oggi era già inviato alla firma del Presidente della Repubblica.

Miei suggerimenti, secondo i quali Governo cubano avrebbe dovuto eccepire suo carattere provvisorio o almeno, se ciò non fosse stato possibile, far sostanziali riserve, non sono stati seguiti. Inghilterra ha fatto continue pressioni, minacciando Governo cubano di non rinnovare Trattato di commercio e navigazione, sommamente favorevole per Cuba. Ha anche contribuito all'atteggiamento presso a poco ginevrino di Cuba, attuale situazione politica interna e quindi la preoccupazione dell'elemento negro, oggi rappresentante 40 per cento della massa elettorale.

Non ho nemmeno mancato di far rilevare a questo Governo oggi S.U.A., essendo fuori della S.d.N., avrebbero continuato a liberamente commerciare con l'Italia e che politica cubana avrebbe potuto, in un certo modo, ispirarsi a quella della sua grande vicina, ma, a tale proposito, questo Ministro degli Affari Esteri mi ha fatto osservare oggi, secondo riservate informazioni, Governo di Washington è più ben disposto verso l'Inghilterra che verso l'Italia.

658

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 12390/1666. Budapest, 18 novembre 1935 (per. il 2 dicembre).

Mio telegramma del 7 corrente (2).

Nel corso di una conversazione questo Presidente del Consiglio, riferendosi al recente exposé di Benès ed alla costituzione del Gabinetto Hodza, ha mostrato ritenere che nè quella manifestazione nè questo fatto avrebbero esercitato una influenza apprezzabile sui rapporti tra Ungheria e Cecoslovacchia. Se anche la situazione internazionale di quest'ultima era grave e com'egli constatava con compiacimento -sempre maggiormente pareva stringersi il cerchio degli avversari intorno ad essa, egli, Goemboes, non credeva d'altra parte che ciò fosse per predisporre il Governo di Praga a quella arren

devolezza concreta sulla quale -e sulla quale soltanto -sarebbe stato possibile stabilire nel bacino carpatico una reale e durevole collaborazione. Gli è che -ha concluso come al solito il Presidente -chiunque detenga

o sia per detenere il potere a Praga, e comunque ·esso parli, non potrà mai entrare nell'ordine di idee di una amputazione territoriale come quella che sarebbe invece indispensabile per un accordo definitivo: metà circa della Slovacchia, com'egli espose al Duce.

Il Generale Goemboes ha osservato infine come i rapporti tra Belgrado e Budapest continuassero ad essere corretti, « in analogia coi desideri di Roma e di Berlino~.

Di Bucarest questa volta non mi ha parlato (1).

(l) -Vedi D. 351. (2) -Si tratta del T. 8153/135 R. del 7 novembre 1935, ore 22,10, con il quale Colonna riferiva circa le ripercussioni nella stampa ungherese delle dichiarazioni di Benes e Titulescu.
659

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 3491/2421. Vienna, 18 novembre 1935 (2).

Faccio seguito al mio telespresso n. 2398 del 13 •corr. (3).

Mentre l'opposizione cristiano-sociale ha svelato il suo sentimento nei nostri riguardi con le già riferite dichiarazioni del signor Funder (il quale giusta quanto mi ha detto Berger -si sarebbe espresso circa l'Italia in modo così poco simpatico, che sarebbe stato necessario far grandi tagli al processo verbale della seduta), il movimento irredentista del Tirolo, che fa capo all'Andreas Hofer Bund, non si è lasciato sfuggire l'occasione per lanciare la «Dichiarazione~ che qui allego (3). Essa è stata rimessa direttamente al Cancelliere, il quale, in reazione, avrebbe però invitato il Presidente di ·essa Lega, il noto Mons. Kolb, a ritirarsi senz'altro -com'è difatti avvenuto -dalla carica predetta.

Come che sia, tutto ormai indica, come ho già avuto a segnalarlo, che le opposizioni, quali che siano le loro origini, convergono tutte in un attacco, solidale contro la sua italofilia.

Starhemberg, pur rendendosi conto di questa levata di scudi, è piuttosto incline -almeno parlandone con me -a non darle la portata d'un vero e proprio univoco «movimento~. pur dicendosi sicuro che dette opposizioni aumenteranno di arroganza se il Governo, anziché ricorrere ad atteggiamenti del tipo Berger, non riaffermi tutt'intera la sua responsabilità del primitivo gesto compiuto a Ginevra « anche se questo possa apparire oggi a taluno non essere stato del tutto rispondente alle complesse esigenze del paese ~.

Starhemberg mantiene così ferma l'opinione, già svolta in quel Consiglio dei Ministri, che decise di far ripartire immediatamente per costà il Sig. Voll

45 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

gruber, onde conoscere il consiglio di V. E. sulla linea di condotta che avrebbe dovuto serbare l'Austria in materia di sanzioni (mio telespresso n. 2387 dell'H corrente) (1). Ossia che l'Austria non avrebbe ormai a;lcuna scelta, le sorti del suo attuale regime essendo strettamente legate al modo con cui l'Italia sarà per risolvere l'attuale sua situazione: di tal che alcun espediente dialettico od alcun anfibio atteggiamento non potrebbe più rimuovere quella «comunità di destino », stabilitasi tra Italia ed Austria, e che è riconosciuta, giusta quanto asserisce Starhemberg, dallo stesso Cancelliere.

Naturalmente, come ho avuto già a riferire, questo modo di vedere dello Starhemberg, oltre ad essere combattuto dalle opposizioni, è tutt'altro che condiviso da buona parte della burocrazia, prevalentemente antifascista ed antitaliana desiderosa di colpire il movimento heimwehrista, pur nascondendo il proprio giuoco sotto la necessità che l'Austria non possa né debba menomamente alienarsi la S.d.N., l'Inghilterra, la Francia, e la stessa Piccola Intesa.

Ora, il discorso di Berger alla Commissione delle Finanze (2) è da ascriversi sia alla diretta inlluenza di qualche noto funzionario del Ballplatz che alla profonda impressione da lui ncevuta dal consenso delineatosi nella Commissione a favore della tesi del Funder: e ciò tanto più in quanto detta Commissione, come mi ha rilevato il Berger, è il solo organo cui la Cost1tuzione consenta la chscussione e la votazione di ogni singolo b1lancio, con la possiuintà quindi di ngetto.

Senonché io temo, da alcune sue stesse esitanti parole, che il Berger possa esse!·e trascinato dai suoi diretti consiglieri ancora più in là. Mi è stato inratti nfento cne si vorreboe adesso creare una questione nei riguardi dell'oouligo 1mposto dall·art. ~84 del 'l'rattato di San Germano, circa l'impegno deu Au::;tria a Iispettare la Hbertà del transito verso i paesi ex-alleati, nel senso cwe cne i rego1ament1 e le decisioni della S.d.N. vincono gli stessi dettcuul ue1 tntttati 01 pace. Devo però aggmngere ·che gli organi tecnici, spec1a1mente l::ì..:nuuer, sostengono che nessun dubblO potrebbe essere giustificatamente ewvato cunt1·u 1a cnmra U1Z10ne di tale articolo, pure esprimendo il desiderio che il trans1tu s1a effettuato in guisa tale da evitare di doversi ricorrere a parere di giuristi circa l'app1icab111tà o meno di detto articolo anche alle armi.

Mi corre tuttavia l'oboligo di aggiungere che Berger ha tenuto a riferirmi d aver dichiarato a questo Ministro d'Inghilterra che egli non potrebbe emanare un decreto di divieto per le armi, senza che prima l'Inghilterra non ottenga previamente la revisione degli articoli del Trattato che vietano all'Austria siffatto commercio, mentre che per i traffici in transito nessun divieto austriaco potrebbe ostacolarli, a meno che l'esercito britannico non vi si impegnasse con la totalità delle sue forze, giacché l'esercito austriaco non potrebbe certo impedire che le truppe dell'Italia e della Germania operassero una loro diretta congiunzione, in appoggio dei rispettivi loro traffici, sul breve percorso di 120 km., che divide la frontiera italiana da quella tedesca.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di MussoUni. (2) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (3) -Non rinvenuto.

(l) Non r~nvenuto.

(2) Vedi D. 631.

660

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 18 novembre 1935.

Si riparla in questi giorni con una certa frequenza del Patto a quattro e di Stresa. Una mia presunta intervista su questo argomento ha dato anche origine a commenti di varia natura.

Non è quindi fuori di luogo qualche precisazione su questo tema che investe un po' tutta la politica italiana degli ultimi anni. La politica italiana in questi anni è stata dominata dall'idea di trovare la garanzia della pace nella collaborazione di quelle Potenze che per la loro posizione stanno all'apice della gerarchia di responsabilità; quelle Potenze insomma dal cui accordo o disaccordo dipende la pace o la guerra.

Gerarchia quindi di responsabilità cioè di doveri; non costituzione di privilegi o monopoli, ma anzi creazione di un'atmosfera di serenità e di pace per una collaborazione tra tutti i Paesi su piede di perfetta uguaglianza e col rispetto dei reciproci diritti ed interessi.

Il Patto a quattro è perfettamente in questa linea.

Il numero di quattro non è naturalmente assoluto: conveniva partire dalle quattro Grandi Potenze occidentali che avevano già fissato in termini di trat~ tati -come Locarno -una base di equilibrio del loro sistema politico.

Stresa risponde allo stesso concetto. L'assenza della Germania da Stresa non dà per nulla all'azione delle altre tre Potenze un carattere anti-tedesco.

L'assenza della Germania da Stresa è un elemento accidentale. L'unione delle tre Potenze a Stresa senza la Germania si fa su una questione di metodo, non di sostanza. Anzi arrivo a dire -e non è un paradosso -che Stresa attraverso la diversità di metodo dimostra appunto il desiderio della collaborazione colla Germania.

L'Italia in questo non è sospetta: essa è stata la prima a dichiarare la necessità della Gleicheberechtigung, ma intendeva attraverso l'applicazione di questo principio, ottenere l'elemento di coesione per la politica solidale delle potenze dell'Europa occidentale.

La Germania invece era ricorsa ad un sistema che la escludeva da tale forma di collaborazione.

Anche la deliberazione di Ginevra, che ha seguito Stresa, a prescindere dagli elementi societari, non oltrepassa l'affermazione e la significazione di questo principio.

E poiché il ragionamento ci ha portato a ricordare quella deliberazione di Ginevra che rappresenta una censura dell'atteggiamento tedesco, viene naturale il confronto con l'atteggiamento di Ginevra nella vertenza itala-etiopica. La decisione di allora si è mantenuta nei limiti dei precedenti e delle passibilità dell'azione ginevrina; un richiamo allo Stato che agisce contro le disposizioni del Covenant.

Se così Ginevra avesse fatto anche nella presente occasione, il Governo italiano non si sarebbe per ciò !agnato; pur mantenendo il suo punto di vista che nelle circostanze particolari in cui si è svolto il dissidio itala-etiopico, le disposizioni del Covenant non sono applicabili, avrebbe tuttavia potuto ammettere anche l'interpretazione degli zelatori della lettera del Covenant.

Ma l'Italia non poteva non insorgere contro l'atteggiamento della S.d.N. e degli Stati convenuti a Ginevra, i quali dopo avere denegato giustizia all'Italia, si sono arbitrati di emettere sentenze e condanne di una tale gravità che turbano i rapporti -non solo materiali -fra l'Italia e gli altri Paesi e sconvolgono profondamente tutta l'economia mondiale.

Dopo questa disgressione ritorniamo all'argomento da cui eravamo partiti e poniamoci una domanda. È utopistico o per lo meno intempestivo parlare ora di collaborazione europea, di questo «bel sogno svanito», almeno per il momento?

Io direi di no. Anzi è molto opportuno un richiamo al senso della proporzione. Non c'è deformazione societaria che possa invertire la realtà delle cose, secondo la quale realtà la pace europea -che poi nel 90 % dei casi vuoi dire la pace mondiale -è una cosa e altra cosa è (anche a prescindere dalle ottime ragioni invocate dall'Italia) una impresa coloniale. Concetto questo riaffermato dagli inglesi nella riserva al Patto Kellogg.

Il quale senso di proporzione -assente evidentemente dalle deliberazioni di Ginevra -ci induce alla conclusione che il Covenant e la S.d.N. nella loro forma attuale rappresentano un pericolo per la pace mondiale.

Viene fatto ora di domandarci: è ancora possibile un ritorno ad un sistema di organizzazione della pace mondiale -solido, razionale, realistico -come quello perseguito dall'Italia o l'ideologia di Ginevra -antipolitica e antistorica -rimarrà padrona del campo?

In questo secondo caso le conseguenze saranno gravi: perché il giorno dell'immancabile crollo di questa ideologia che non reggerà alla prova delle azioni di forza, i popoli si troveranno completamente disorientati.

E quando, dopo la rovina, si tentasse di ricostruire l'edificio della pace basato sulla solidarietà delle Nazioni, bisognerà tener conto di un nuovo elemento: il rancore giusto e profondo del popolo italiano.

661

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 18 novembre 1935.

La legittima reazione del popolo italiano contro le sanzioni va prendendo un carattere sempre più di propaganda contro tutto quello che è straniero. D'altra parte è difficile in pratica distinguere tra Paesi sanzionisti e non

sanzionisti.

Alcuni Paesi non sanzionisti, come gli Stati Uniti d'America, cominciano

ad assumere un atteggiamento molto poco simpatico verso l'Italia.

D'altro canto ci sono molti Paesi che hanno aderito in principio alle sanzioni, perché non potevano sottrarvisi, ma che hanno tutta la buona intenzione di non applicarle praticamente.

La gamma poi delle responsabilità dei Paesi sanzionisti è molto varia.

I limiti entro i quali possiamo agire con sicurezza sono molto limitati: atteggiamento favorevole verso i Paesi che, pure essendo tenuti dal Covenant, si sono sottratti alle sanzioni e cioè: Austria, Ungheria, Albania; atteggiamento di decisa ostilità contro l'Inghilterra che ha messo su la baracca delle sanzioni; ostilità graduata poi contro altri Paesi partendo da i Dominions inglesi, Russia, Svezia, Danimarca ecc.

D'altra parte non è neanche possibile decretare il boicottaggio delle merci dei Paesi sanzionisti, perché anche i Paesi sanzionisti, avendo dato delle commesse all'industria italiana, hanno diritto di importare merce in Italia.

Quindi difficoltà di dare anche al pubblico delle precise istruzioni sul modo di contenersi. I pericoli di un'azione disordinata da parte del pubblico sono i seguenti:

-irrigidire la situazione di fronte a determinati Paesi in modo da far diventare sul serio sanzionisti dei Paesi che oggi fanno di tutto per sottrarsi a questo loro obbligo;

-interrompere le correnti turistiche dirette verso l'Italia che, portando delle divise, sono elemento importante per la resistenza italiana; -provocare i licenziamenti in massa di italiani all'estero, portando nel Paese un elemento di disagio.

La lotta contro le sanzioni deve essere fatta con tutta energia, ma nel modo e nei termini appropriati. Ciò non può farlo che il Governo.

Bisognerebbe perciò far sapere al pubblico che la prova di patriottismo data in occasione delle sanzioni è stata apprezzata; che però la lotta è presa in mano dal Governo e che il pubblico non avrà che da attenersi alle disposizioni che gli saranno date.

Per quanto in particolare riguarda l'acquisto di merci straniere va osservato che:

-o le stesse sono state importate prima delle sanzioni e quindi sono pagate con danaro italiano, di modo che il danneggiato dal boicottaggio non è lo straniero ma il cittadino italiano;

-o vengono importate ora e questo avviene col consenso del Governo per determinati vantaggi che il Governo stesso vuole assicurare come contropartita alla esportazione e alla industria italiana.

Se ci fosse del contrabbando, non c'è che il Governo che ha la possibilità e i mezzi per colpirlo. Quindi il boicottaggio da parte del pubblico non risolve il problema (1).

(l) Il pl'esente documento !'eca il visto di MussolinL

662

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8670/457 R. Rio de Janeiro, 19 novembre 1935, ore 13,35 (per. ore 18,45). Mio telegramma n. 456 {1).

Uomini affari inglesi, qui da molto tempo, hanno informato confidenzialmente Ministero Affari Esteri che malumore britannico verso Brasile, causa dichiarazione anti-sanzioni, sarebbe notevole. Foreign Office sforzasi ottenere da Vasconcellos invio di nuova lettera a questo Governo per domandare delucidazioni sulla risposta brasiliana. Manovra sarebbe diretta a provocare dichiarazione di questo Ministro Esteri atta avvicinare punto di vista brasiliano alle pretese della Lega delle Nazioni. Vasconcellos sarebbe disposto.

Medesimi uomini affari avrebbero riferito che contemporaneamente banche Rothschild hanno chiesto Vice-Presidente di questo Governo agire su questo Presidente della Repubblica per ottenere una modifica condotta pratica brasiliana circa sanzioni. Mi sembra questo Governo accogliere finora simile minaccia con sufficiente calma.

Indirettamente continuo sorveglianza assidua situazione attuale. Informo che Muniz nulla da Ginevra ha telegrafato in proposito. Sarò grato V. E. se Delegazione vorrà costantemente informarmi.

663

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8661/1263 R. Londra, 19 novembre 1935, ore 20,20 (per. ore 23,45).

In conformità delle istruzioni di V. E. (2) ho ripetuto al Foreign Office quanto S. E. l'Ambasciatore aveva avuto occasione di dire a Vansittart (3) e cioè che nell'impossibilità in cui il Governo ed il popolo egiziano si trovano di manifestare una volontà diversa da quella imposta dal Governo di Londra, l'Italia è costretta a fare risalire ad esso la responsabilità delle determinazioni egiziane e delle loro conseguenze.

Al Foreign Office mi è stato, come al solito, risposto negando che il Governo britannico abbia esercitato alcuna influenza sulle decisioni del Governo egiziano, spiegazione che naturalmente mi sono rifiutato di accettare.

Con riferimento poi alla questione delle capitolazioni, della quale S. E. l'Ambasciatore aveva già intrattenuto Foreign Office, mi è stato detto che Governo britannico ha espresso l'avviso che l'applicazione delle sanzioni da parte dell'Egitto deve avvenire in modo da non offendere i diritti capitolari dell'Italia.

(l) -Non pubblicato. (2) -Telespr. 240572/C. del 12 novembre 1935, non pubbl!cato. (3) -Vedi D. 534.
664

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8699/14 R. Roma, 19 novembre 1935 (per. il 20).

Ho avuto in questi giorni lunghe conversazioni in Segreteria di Stato. Confermo a V. E. che la Santa Sede lavora intensamente per la pace «secondo giustizia» con spiccato favore per le tesi italiane che essa rappresenta sotto un supremo aspetto di equità. I punti di vista italiani vengono pertanto illustrati non soltanto alle Nunziature, ma, quel che più conta, direttamente ai Vescovi, e alle personalità influenti degli ambienti cattolici di tutto il mondo. La Santa Sede rileva già un risultato apprezzabile di tale sua attività. Così ritiene di vedere un certo miglioramento nei nostri riguardi dell'opinione cattolica belga che si era dimostrata delle più ostili contro di noi. Mi sono poi state rammostrate lettere di Vescovi e di prelati nordamericani. Uniformemente riferiscono la generale mancanza di sufficiente diffusione delle tesi italiane, e per contro l'intensità e l'ampiezza della propaganda britannica che si fa largamente strada nel paese. La Segreteria di Stato giudica che se oltre a ciò si tiene conto della evidente preoccupazione degli Stati Uniti di tenersi lontani da ogni cosa che possa in qualche modo coinvolgerli in un conflitto, vi è da temere che una intensificazione della pressione britannica possa indurre la Repubblica Nordamericana a cedere a parecchie esigenze inglesi contro di noi. Conclude quindi con l'opportunità, a suo giudizio, di una intensa e intelligente propaganda italiana negli Stati Uniti, nei giornali, nelle università, nelle riviste, con mezzi e forme adatte alla mentalità nordamericana.

665

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI ARGENTINA A ROMA, CANTILO

APPUNTO. Roma, 19 novembre 1935.

Ho convocato l'Ambasciatore d'Argentina per fargli nota la penosa impressione che aveva prodotto in Italia la deliberazione del suo Governo di comprendere nella lista dei prodotti di cui è vietata l'esportazione verso l'Italia, anche il ferro, il carbone, il petrolio e loro derivati.

L'Italia vede in ciò un atto poco amichevole per una doppia ragione: l) una ragione di carattere morale in quanto l'Argentina va al di là delle deliberazioni di Ginevra; 2) una ragione di ordine pratico, e cioè che l'esempio dell'Argentina potrà essere seguito da altri paesi. Abbiamo già notizia che l'Uruguay avrebbe preso la stessa deliberazione.

Questa deliberazione argentina ci pare talmente strana, dopo le dichiarazioni di amicizia fatteci da quel Governo, che noi ci chiediamo se non si tratti per avventura di un equivoco.

Il signor Cantilo non è informato della cosa. È molto spiacente dell'impressione che se ne è avuta in Italia. Si informerà presso il suo Governo (1). Egli osserva ad ogni modo che i prodotti in questione non formano oggetto di esportazione dalla Argentina e quindi la deliberazione non ha nessuna portata pratica.

Gli ribatto che per le ragioni anzidette, nè questa circostanza, nè l'altra, che cioè il provvedimento non entra immediatamente in vigore, ha alcuna importanza.

L'Ambasciatore mi afferma poi che il suo paese è sempre pronto a qualunque intervento che possa essere desiderato dall'Italia per trovare una conciliazione della vertenza italo-etiopica.

La precedente iniziativa argentino-cilena non è riuscita, come è noto, per l'opposizione della Gran Bretagna (2).

666

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 19 novembre 1935.

Il Signor Chambrun spera molto dai colloqui tra gli esperti, che avranno luogo a Parigi. Riterrebbe molto utile la partecipazione anche di un esperto italiano.

Mi chiede la nostra opinione.

Gli rispondo che non abbiamo difficoltà a far partecipare un esperto italiano (3). Bisognerebbe però che il punto di partenza franco-i:nglese sia tale da costituire una base per noi accettabile; altrimenti il nostro esperto non potrebbe mantenersi che sulla più rigida negativa senza nessun vantaggio per lo sviluppo dei lavori.

L'Ambasciatore crede che se le conversazioni tra gli esperti, come egli spera, vanno bene, si potrà presto iniziare una trattativa diplomatica (4).

(-4) Il presente documento reca il visto di Mussolini.
(l) -Vedi D. 704. (2) -Il presente documento reca il visto di MussoUni. (3) -A questo proposito, però, suvich telegrafò a Cerruti il 23 novembre 1935 (T. 2350/783 R.): «Confermo che per ora non si invia esperto. Ad ogni buon fine avverto V. E. che Pilotti conosce bene questione».
667

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 2301/519 R. Roma, 20 novembre 1935, ore 14.

Sono d'accordo con l'E. V. (l) sull'opportunità, e secondo le considerazioni da Lei svolte, di un passo presso codesto Governo lasciando a Lei di scegliere la forma e gli argomenti più opportuni. Oltre informazioni già fornite sulla posizione da noi assunta nel conflitto itala-etiopico e sulle ragioni che la giustificano, indico le seguenti considerazioni:

l) È contrario al principio della neutralità ogni misura o atteggiamento che si risolva praticamente in una restrizione a danno di una sola delle parti. Le dichiarazioni ufficiose e ufficiali fatte ripetutamente costì e da ultimo dal Segretario di Stato tendono ad allargare e ad aggravare la portata dell'applicazione della legge sulla neutralità. Se formalmente tali dichiarazioni concernono anche l'Etiopia, in realtà esse tendono ad ostacolare la libertà di acquisti solo da parte dell'Italia. La riprova sta nel fatto che esse si riferiscono a merci da noi ordinate.

2) Le dichiarazioni del Segretario di Stato violano la lettera e lo spirito del Trattato di commercio tra l'Italia e gli Stati Uniti del 26 febbraio 1871, che nell'articolo I dichiarava: «vi sarà fra i territori delle due alte Parti contraenti reciproca libertà di commercio e di navigazione». Ogni limitazione di tale libertà, per quanto riguarda il commercio di prodotti che non sono unicamente destinati ad uso militare, non trova giustificazione in alcun atto internazionale che disciplini lo statuto dei neutri. Mi riferisco alla Convenzione dell'Aja del 1907. Si tratterebbe perciò di una vera e propria forma di sanzioni e come tale di una misura a noi ostile.

3) Non si potrebbe invocare, a sostegno di un atteggiamento di tal genere, il Patto Kellogg giacchè codesto Governo, col fatto stesso di promulgare la legge sulla neutralità, ha dimostrato che dal Patto predetto non gli veniva alcun obbligo di discostarsi dalla stretta neutralità. Questo nel caso in cui Le venisse opposto l'argomento di obblighi derivanti dal Patto Kellogg.

4) Gli Stati Uniti con le dichiarazioni Hull vengono ad appoggiare la politica sanzionista della S.d.N. -politica determinata in loro assenza -e a costituire un precedente che potrebbe in avvenire provocare difficoltà ·e rappresaglie contrariamente al principio della neutralità riaffermata dal Congresso.

5) Tutto questo a prescindere dalla questione generale che, per ora almeno, non intendiamo di sollevare, che cioè il conflitto itala-etiopico -giusta le dichiarazioni da noi fatte a Ginevra -non presenta gli ·elementi di un vero e proprio stato di guerra e non legittima quindi una dichiarazione di neutralità da parte di Stati terzi (2).

(l) -Vedi D. 644. (2) -Per la risposta di Rosso vedi D. 697.
668

L'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, TONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 8969/114 R. La Paz, 20 novembre 1935, ore 16,25 (per. ore 0,15 del 27).

Riferendomi al mio telegramma n. 108 (1).

Ieri l'altro questo Ministro Affari Esteri mi ha consegnato risposta alla nota verbale del R. Governo. Contenendo essa qualche allusione che poteva prestarsi ad errata interpretazione contro nostri interessi ed altra che poteva avvantaggiare moralmente Etiopia, ho domandato soppressione tali parti. Stamane la nota mi è stata restituita con le modificazioni apportate. Di contenuto cordiale, il testo di essa si addice essenzialmente alla Bolivia senza alcuna ispirazione di sapore collettivo. Nella parte saliente essa conferma dichiarazioni fatte dal delegato boliviano a Ginevra in data 31 ottobre circa l'impossibilità di applicare << misure tanto nei riguardi della esportazione che riesportazione di prodotti». A tale riguardo debbo segnalare agitazione questo Ministro Inglese iniziatasi mattinata giorno 15 corr. per ottenere che alla nota R. Governo venisse data identica risposta collettiva a mezzo della Lega delle Nazioni. Dopo lunghi abboccamenti con questo Ministro Esteri e con alti funzionari consulenti Ministero stesso egli chiese insistentemente udienza Presidente della Repubblica facendo forse eccessivo affidamento sulla circostanza che il Presidente fu educato in Inghilterra. Questi invece, per non subire pressioni, si dichiarò ammalato sino al giorno 25. Dato temperamento abitualmente calmo questo rappresentante Gran Bretagna, la cosa ha fatto impressione.

669

IL MINISTRO AD OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. s. 8734/174 R. Oslo, 20 novembre 1935, ore 20,45 (per. ore 0,30 del 21).

Mio telegramma odierno n. 173 (2). Progetto di risposta Koht alla nostra nota verbale 11 corrente tocca tre [punti]:

l) Norvegia non poteva non seguire raccomandazioni Ginevra date decisioni Consiglio confermate da Assemblea;

2) Norvegia contesta di avere commesso atto ostile contro Italia;

3) esprime speranza che sospensione traffico sia di brevissima durata.

Questo progetto non è ancora definitivo (3).

(l) -Con T. 8356/108 H. del 13 novembre 1935, ore 20,35, Toni aveva. comunicato di aver consegnato la nota italiana dell'H novembre. (2) -Con tale telegramma Roddolo rendeva noto il rifiuto di Koht di adottare il testo inglese di risposta alla nota verbale di cui al D. 602, nota 2. (3) -Con T. 8800/177 R. del 22 novembre 1935, ore 13,50, Roddolo inviava il testo della nota di risposta del Governo norvegese redatta secondo il presente progetto.
670

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. R. PER RADIO 13668/292 P. R. Roma, 20 novembre 1935, ore 24.

Rapporto di V. E. n. 295 (l).

Sono in massima favorevole criteri cui s1 1spirano proposte formulate pagine 18 e 19 del rapporto di V. E., vale a dire continuare la nostra politica simpatia e assistenza verso Governo Nanchino e nello stesso tempo spianare terreno espansione italiana nel Sud Cina.

Anche in relazione piega che potrebbero prendere avvenimenti del Nord, iniziare, come V. E. suggerisce, studio diretto possibilità penetrazione nel Sud appare interessante per preparare avvenire, pure essendo praticamente esclusa, nelle circostanze attuali, possibilità esportare capitali che accorressero.

Poiché Ministero Stampa e Propaganda non è in grado assumersi spesa viaggio Ros (mio telegramma 282) (1), questo Ministero esaminerà altra soluzione per attuare viaggio studio di un funzionario nel Kwangsi e Le telegraferà nuovamente in proposito; a seconda risultati progettato viaggio, chiederà poi Ministero competente prendere in considerazione altre proposte formulate da V. E.

671

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 8873/0116 R. Vienna, 20 novembre 1935 (per. il 25).

Mio telegramma n. 223 (2).

Berger mi ha detto che il discorso che si propone tenere in una seduta plenaria della Dieta, a chiarimento delle sue ultime dichiarazioni, subirà probabilmente qualche ritardo, stante la necessità di previamente riesaminare, nella Commissione finanziaria alcuni speciali bilanci.

II Ministro ha soggiunto che Starhembent desidera tuttavia che il suo discorso abbia luogo non oltre i primi di dicembre ed ha chiarito, in seguito a mie opportune osservazioni, che esso consisterà in una esposizione della politica estera nell'ultimo anno (nelle sedute plenarie della Dieta non sono consentite discussioni in merito), con l'esplicita riaffermazione della politica antisanzionista del Governo.

Berger ha quindi osservato che le sue recenti dichiarazioni alla Commissione di finanza (3) non avevano in realtà prodotto cattiva impressione in Italia. E nel prosieguo della conversazione ha tenuto a leggermi un odierno

telegramma di Vollgruber nel quale questi ha riferito che S. E. il Sottosegretario di Stato, pur accennandogli che i due noti punti di dette dichiarazioni potevano essere in qualche modo fraintesi, aveva tuttavia tagliato corto al suo tentativo di fornire ulteriori chiarimenti, e ciò con un gesto atto a significare che della cosa non restava traccia alcuna.

Ho risposto a Berger che S. E. il Sottosegretario di Stato, con tale contegno, aveva dato ancora una volta prova dello spirito di amichevole comprensione da cui è animato, ma che le personali osservazioni, che io sono andato facendogli, risultano confermate anche dai dubbi che sono stati manifestati in Austria, circa la reale linea di condotta del Governo, in fatto di sanzioni.

Il mio interlocutore si è affrettato a dirmi che tutto ciò aveva formato oggetto di lunghi suoi colloqui con Starhemberg, col quale era anzi rimasto d'accordo sulla necessità di un comune riesame del passaggio relativo alle sanzioni, nel suo prossimo discorso alla Dieta.

Difatti, come già ho riferito a V. E., l'atteggiamento e le manifestazioni del Ballplatz, circa la linea di condotta assunta dal Governo austriaco a Ginevra, oltre all'avere speciale importanza per noi, sia sotto il punto di vista economico che quello morale e politico, risultano forse più importanti ancora nei rispetti della situazione interna.

Gli è che, di fronte al concentrico attacco che le opposizioni vanno compiendo contro il Governo, apparentemente sulla base della sua politica antisanzionista, ma sostanzialmente contro la sua tendenza fascista ed italofila, in contrapposto al sanzionismo societario ed alla tendenza democratica dell'Inghilterra, della Francia e della Piccola Intesa, ogni esitazione o vacillazione del Gabinetto Schuschnigg non potrebbe che riuscire ad esso fatale.

E ne fa prova la fretta con cui Schuschnigg e Starhemberg hanno creduto, come l'ho accennato col mio telegramma n. 225 (l) e come ne riferisco più ampiamente con odierno rapporto riservatissimo (2), correre ai ripari nei riguardi del legittimismo, divenuto a po' a po' il ricettacolo dei più svariati elementi dell'opposizione sulla base che la Restaurazione significherebbe una Monarchia democratica, parlamentare e societaria.

Ditalchè, nell'attuale situazione, mentre Starhemberg dà prova di piena comprensione col sostenere che il Governo non ha che da mantenere ferma e diritta la linea prescelta a Ginevra, anche perchè le sorti del regime austriaco sono ormai strettamente unite all'Italia, Berger e buona parte del Ballplatz, in uno sterile sforzo di conciliare l'inconciliabile, mentre sminuiscono H valore morale della dichiarazione fatta a Ginevra, contrastano alla pugnace disposizione che il movimento heimweherista ha assunto nei riguardi del torbido convergere delle opposizioni contro l'antisanzionismo.

Donde appare l'opportunità della dichiarazione che Berger si propone di fare dinanzi alla Dieta, circa l'immutato atteggiamento antisanzionista del Governo.

(l) -Non pubblicato. (2) -Con T. rr. 8416/223 R. del 14 novembre 1935, ore 20, Preziosi aveva riferito circa un colloquio con Starhemberg sull'immutata politica austriaca verso l'Italia e il previsto discorso di Berger alla Di,eta. (3) -Vedi D. 631. (l) -Con T. s. 8658/225 R. del 19 novembre 1935, ora illeggibile, Preziosi informava che Starhemberg avrebbe partecipato ad una festa legittimista nel tentativo di attrarre quel movimento al Fronte Patriottico. (2) -Non rinvenuto.
672

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 20 novembre 1935.

Ho convocato l'Ambasciatore d'America per informarlo del malcontento che comincia a manifestarsi in Italia per l'atteggiamento del Governo americano. Le recenti dichiarazioni di Hull (l) paiono andare al di là di quella che è la proclamata neutralità del Governo americano.

Abbiamo anche notizia di tutte le di'fficottà di ordine pratico che il Governo americano .trova per i trasporti di petroli verso l'Italia. Questo atteggiamento crea una situazione della quale in Italia non si può non preoccuparsi, come ci si deve preoccupare in America.

L'Ambasciatore conosce la reazione dello spirito pubblico in Italia contro i Paesi sanzionisti. Bisogna evitare che l'America sia comunata con questi. Non sarebbe nell'interesse di nessuno. Ne soffrirebbero non solo i rapporti attuali tra i due Governi, ma anche i rapporti futuri, sia politici che economici. In quest'ultimo riguardo l'Italia, di fronte alle barriere che le si elevano da tutte le parti sta attrezzandosi per provvedere da sé ai propri bisogni, sia con l'intensificare la produzione già esistente, sia con la creazione di surrogati. Tutto ciò avrà i suoi effetti anche dopo superata l'attuale crisi.

L'Ambasciatore Long si rende conto delle reazioni che si manifestano in Italia. Ritiene però che in Italia non si riesca a comprendere la mentalità americana. Gli americani, nella questione del conflitto itala-etiopico, seguono due principi:

l) quello di non voler a nessun costo essere implicati in qualsiasi avventura guerresca; 2) quello di non tollerare che si crei una speculazione su questa guerra coi relativi profittatori. Quest'ultima questione si dibatte già da tempo e il conflitto italo-etìopico ha offerto l'occasione perché questi principi fossero tradotti in pratica.

Il Governo americano si comporterebbe nello stesso modo, in cui si contiene oggi, di fronte a qualsiasi altro conflitto e quindi esula qualunque idea di ostilità verso l'Italia, sebbene il popolo americano, come l'Ambasciatore ha avuto occasione di avvertirci più volte, non simpatizzi con l'Italia nell'attuale conflitto. D'altra parte, fino ad ora, il Governo americano non ha fatto che attenersi a quella legge di neutralità che è stata accolta con tanto favore anche in Italia.

Osservo all'Ambasciatore che noi dubitiamo appunto che le recenti manifestazioni siano nello spirito di quella neutralità assoluta che l'America vorrebbe mantenere. Tutti i provvedimenti presi dal Governo americano, sebbene apparentemente diretti contro i due belligeranti, in sostanza colpiscono soltanto l'Italia. La cosa sarebbe ben più grave se domani si andasse ad un embargo

contro alcuni prodotti importanti per l'Italia, come i petroli, il carbone, il ferro

e: gli acciai. L'Italia reagirebbe contro l'America, nello stesso modo come reagisce contro i Paesi sanzionisti.

L'Ambasciatore spera che ciò non avvenga. Ad ogni modo riferirà a Washingt.on lo stato d'animo italiano che io gli ho esposto (1).

(l) Vedi D. 644.

673

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 7538/2480. Parigi, 20 novembre 1935 (2).

Il Signor La val mi ha rimesso iersera la not.a francese di risposta alla nota protesta dell'll corrente (3) relativa all'applicazione delle sanzioni.

Accludo il testo originale del documento, che porta la data del 19 corrente.

La nota non comporta speciali commenti. Nel darmene lettura il Signor Laval ha premesso alcune dichiarazionl per ricordare la propria azione personale e il desiderio vivissimo che lo anima, anche nell'interesse dei rapporti italafrancesi, di servire con tutte le sue forze la causa di una equa soluzione del conflitto che dia soddisfazione all'Italia.

Giunto alla frase del penultimo capoverso, nel quale si afferma che le misure applicate non hanno « carattere di atti ostili » nei riguardi della Italia, Lavai si è bruscamente fermato e mi ha dichiarato che questa espressione non gli piaceva; nella affrettata lettura del progetto che gli era stato sottoposto poco prima, essa gli era sfuggita. Egli non desiderava che il termine di «ostile» figurasse in alcun modo sul documento che mi rimetteva, quasi per confermare, con la omissione stessa di questa espressione da noi usata, che un simile concetto non entrava minimamente nel pensiero del Governo francese e nello spirito con cui esso aveva dovuto adattarsi alla applicazione delle misure sanzioniste nei riguardi dell'Italia.

Chiamò subito presso di sé il Signor Leger e in mia presenza gli ripeté questi concetti, chiedendogli se non si potesse mutare questa parte del testo.

Il Signor Léger, pur condividendo e apprezzando la nuance del suo Capo si disse dolente di non essere più in tempo a farlo, dato che la nota era stata già comunicata telegraficamente al Governo di Londra e a quelli di tutti gli altri Paesi sanzionisti.

Con questa urgente comunicazione il Governo francese aveva anzi voluto tagliar corto ai suggerimenti che, specie da parte dell'Inghilterra, gli venivano fatti per dare alla risposta un tono più forte e per introdurre qualche elemento ed accenno polemico. In tal guisa il Quai d'Orsay aveva voluto, in certo modo, prevenire le altre redazioni delle cancellerie interessate e indicare anche, specie a taluni paesi che si accostano maggiormente alle linee della politica francese, una falsariga per le loro repliche.

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI F'RANCESE ALL'AMBASCIATA D'ITALIA A PARIGI (l)

NOTA VERBALE. Parigi, 19 novembre 1935.

Par une note verbale du 11 Novembre, le Gouvernement Royal d'ltalie, a cru devoir appeler l'attention du Gouvernement français sur les responsabilités qu'impliquerait et les consequences qu'entrainerait, selon lui l'application des mesures proposées par le Comité de Coordination siégeant à Genève. Il a, en conclusion, exprìmé le désir de connaitre la decision du Gouvernement françaJs concernant les proposìtions dant il s'agit.

En réponse aux observations générales formulées par le Gouvernement italien, le Gouvernement français pdoit faire remarquer qu'ayant pris part aux ùèlibérationes de Genève, il peut témoìgner du souci constant qu'a eu le Conseil de la S.d.N., pleinement conscient de la gravité de ses responsabilités, de faire oeuvre impartiale en tena:nt le plus large compte des }ntérèts lég1j,times de l'Italie.

Les sent1ments eprouves par tous les Membres du Conseil à l'égard d'une nation si intimement associee, par ailleurs, à toutes les enteprises de collaboration ìnternationale, étaient les plus surs garants de cet amica! souci. La F'rance, en particulier, uevait ~essentir d'autan~ plus lourdement le poids d'obliga1:!ions qu'elle souhaitait ardemment pouvoir concilier avec son attachement a;ux liens d'amitié franco-italienne.

Le Gouvernement de la République se bornera donc à rappeler que le 7 octobre dernier, les délégués de tous les Gouvernements représentés au Conseil -à l'exceptlOn du déléqué italien -confrontant des faits incontestés avec les dispositions impératives du Pacte, ont du constater que le Gouvernement italien avait recouru à la guerre en violation de l'article 12. De quelque sentiment d'amitié qu'il fù.t animé à l'égard de l'Ltalie, il n'était pas au pouvoir du Gouvernement français de se refuser a cette constatation. De la situation ainsi 0réée résultaient d'inéluctables conséquences. Manquer aux obligations du Pacte eù.t été compromettre gravement pour l'a,venir les possibilités d'applicaiion de dispositions qui constituent un élément essentiel de la séourité collective assurée aux membres de la Société.

Te1le est la raison impérieuse qui, malgré le souci qu'H a des relations francoitaliennes et des sentiments dont elles s'inspirent, et en dépi.t des atteintes qu'en éprouvera l'économie française, interdit au Gouvernement français de différer l'application à la date déjà fixée du 18 Novembre, des mesures auxquelles il a déclaré s'associer.

Le Gouvernement de la Republique n'en demeure pas moins d'accord avec les autres membres de la S.d.N. pour estimer que l'application des règles du Pacte qui, aux termes de l'article 16 comporte obligatoirement certa<ines mesures restrictives, leur fait par ailleurs moralement un devoir de rechercher auss·i rapidement que possible un règlement pacifique du conflit en cours. Le Gouvernement italien sait que le Gouve·rnement français n',a négligé aucun effort dans ce sens et que, fort de l'encouragement donné à son action et à Calle du Gouvernement britannique dans la dernière réunion du Comité de Coordination, il persévèrera dans cette recherche.

En attendant qu'un règlement du conflit mette fin aux mesures prescrites par le Pac,te, le Gouvernement français tient à affirmer qu'aucune d'elles n'a, à l'égard de l'Italie, le caractère d'acte hostile que le Gouvernement italien croit pouvoir lui attribuer. L'Italie, qui a joué dans la fondation de la S.d.N. le ròle éminent que rappelle le Gouvernement Italien, ne saurait méconnaitre cette vérité.

C'est le voeu que le Gouvernement de la République croiJt devoir formuler en mèrne temps qu'il renouvelle son espoir de voir hater l'heure où le conflit actuel prendra f:in, pour le grand avantage de la communauté des peuples et de la collabo· ration internationale.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (3) -V~di D. 602, nota 2.

(l) Ed., nella traduzione italiana, !n Il conflitto itala-etiopico. Documenti, vol. II, c!t., pp. 203-204.

674

L'INCARICATO D'AFFARI A SANTIAGO, SILENZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 8771/126 R. Santiago, 21 novembre 1935, ore 20,17 (per. ore 3,35 del 22). Telegramma circolare 2239

In seguito a mia indiretta azione questo Governo mi ha presentato oggi risposta a nota protesta R. Governo.

Nota, che trasmetto aereo, afferma il « costante impegno dedicato da Cile armonizzare fino ad estremo possibile suoi ineluttabili doveri, derivanti patto S.d.N., con quelli, mai perduti di vista, che impone tradizionale amicizia Italia ~. Questo Governo augurasi poi aver fatto onore in tali ardue circostanze ad entrambi doveri. Riconosce responsabilità sulle quali, con la nota italiana, si è richiamata attenzione e afferma che «precisamente, la coscienza di questa responsabilità fa restare il Cile in quella posizione i cui antecedenti e termini sono noti all'Italia e nella quale si trova per ineluttabili doveri dinanzi a circostanze fatti che non sono opera del Cile, il cui desiderio oggi, come sempre, è l'armonia internazionale».

Mi consta Perù ed Equatore hanno chiesto questa Cancelleria copia nota Cile per loro risposte singole.

(1).
675

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 8784/123 R. Berna, 21 novembre 1935, ore 20,30 (per. ore 21,20).

Con riferimento a mio telespresso n. 1587 odierno (2).

Nel consegnarmi nota verbale di risposta (3) Motta ha voluto ancora proferire dichiarazioni amicizia per l'Italia e di simpatia per la sua causa. Ho risposto che avrei trasmesso con gratitudine tali espressioni al R. Governo ma che egli stesso doveva riconoscere che nelle attuali condizioni amicizia aveva perduto per gli italiani ogni senso in ogni linguaggio salvo quello dei fatti e che non poteva non produrre penosa impressione l'automatica applicazione clearing unilaterale avvenuta 18 corrente e assenso senza difficoltà dato dalla Svizzera alla richiesta inglese per certificati d'oJigine.

Governo inglese aveva presentato una nota giorni or sono esprimendo desiderio che la Svizzera vi si attenesse nel rispondere [all'Italia] e mettesse in rilievo essa stessa che la questione sovranità cui si appella Italia è limitata dal

Patto S.d.N. Nota verbale svizzera era già stata compilata e approvata dal Consigliere Federale e nulla vi fu mutato. Essa vuole esprimere, dice Motta, rammarico e amicizia del Consiglio Federale che è unanimamente convinto che l'Italia difenda con diritto sua causa e deplora che una errata procedura l'abbia costretta alla posizione che ha creduto dover prendere.

Ho risposto non erano nostri quegli errori e che ne era colpevole procedura arbitraria sommariamente usata dalla S.d.N. Motta ha chiesto ancora volere credere amicizia suo Paese.

(l) -Vedi D. 651, nota 3. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 605.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. U. 2327/780 R. Roma, 21 novembre 1935, ore 24.

Secondo informazioni da Ginevra Segretario Generale aggiunto britannico Walters che da prima aveva escluso prossima convocazione del Comitato di Coordinamento per l'estensione dell'embargo al carbone, petrolio, ferro e acciaio, ha ora confermato che Vasconcellos ha intenzione di procedere convocazione Comitato dei Diciotto ad una data immediatamente successiva al 27 novembre per occuparsi della suddetta estensione.

È evidente che una tale convocazione e deliberazioni che ne risultassero non potrebbe che aggravare situazione moralmente e materialmente.

Non credo che ciò convenga neanche a codesto Governo.

Pregola intrattenerne Lavai in vista di un suo possibile intervento per impedire convocazione.

677

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. RR. 2328/522 R. (1). Roma, 21 novembre 1935, ore 24.

Davanti alle nuove proposte di embargo considero urgente mobilitare e portare al limite massimo di energia tutte le forze sulle quali possiamo contare negli Stati Uniti. Ogni scrupolo deve cadere di fronte alla pressione inglese. Bisogna opporsi ad ogni allargamento dell'embargo. Nella peggiore delle ipotesi ottenere una stabilizzazione sui quantitativi del 1934. La questione del petrolio è assolutamente essenziale. Bisogna battersi perché gli Stati Uniti non abbandonino l'attuale linea di condotta (2).

46 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta di Rosso vedi D. 710.
678

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 2329/140 R. Roma, 21 novembre 1935, ore 24.

Suo telegramma per corriere n. 047 del 29 ottobre (1).

Atteggiamento Aras Ginevra è stato improntato da un volenteroso e facile ottimismo molto spesso smentito nella realtà. Alle dichiarazioni cordialissime fatte ai nostri Delegati da Aras non hanno fatto riscontro risultati soddisfacenti nei Comitati di cui ha fatto parte.

Atteggiamento generale della Turchia nella S.d.N. è stato interamente sanzionista. In complesso molte belle parole e pochi fatti.

679

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

VERBALE (2). Roma, 21 novembre 1935.

Il Capo del Governo dà istruzioni al Ministro Viola di far sapere al Governo jugoslavo che Egli è disposto ad entrare in accordi con la Jugoslavia che vadano molto avanti. È necessario però che la Jugoslavia dia prova di amicizia all'Italia nel presente momento dell'applicazione delle sanzioni.

La risposta alla nota italiana può essere una buona occasione perché la Jugoslavia faccia delle riserve di carattere sostanziale che le permettano di mantenere, anche in epoca di sanzioni, il commercio itala-jugoslavo.

Per norma del Conte Viola, il Capo del Governo lo avverte che se domani si realizzassero le condizioni per un accordo di fondo con la Jugoslavia, potrebbe anche mutare la propria politica nel bacino danubiano. Naturalmente tutto ciò non potrà avvenire prima che sia chiarito l'atteggiamento jugoslavo nella questione delle sanzioni e sia liquidato il processo di Aix-en-Provence. In tale eventualità il Capo del Governo liquiderebbe anche definitivamente l'emigrazione croata.

680

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON IL RE DI GRECIA, GIORGIO II

APPUNTO. Roma, 21 novembre 1935.

In una lunga conversazione avuta ieri sera col Re di Grecia, Sua Maestà mi ha detto di essere rimasto commosso delle accoglienze ricevute in Italia e sopratutto della cordialità con cui V. E. lo ha intrattenuto (3).

Di specialmente interessante ho rilevato in quanto mi ha detto i seguenti punti: a) ha affermato che in questo suo ritorno al trono non si è avvantaggiato di alcun aiuto inglese;

b) mi ha ripetuto ciò che già mi disse altra volta, e cioè che egli non è un uomo politico e non ha nessun amore per il «mestiere ~ che è chiamato a esercitare. È molto preoccupato delle difficoltà a cui sa di andare incontro.

A mia volta gli ho detto che la visita di Condylis (1) aveva alquanto rischiarato l'atmosfera delle relazioni italo-greche, ma che il generale, di ritorno ad Atene, non aveva mantenute tutte le promesse fatte a Roma.

Ho poi attirato la sua attenzione sulla notizia, che ha suscitato in Italia penosa impressione, della cessione, che il Governo greco sembrerebbe disposto a fare, di basi navali all'Inghilterra (2). Il Re ha risposto di non avere ancora elementi precisi su tale argomento.

Al termine del colloquio mi ha detto di avere chiesto ad Hoare, al momento della partenza da Londra, se voleva affidargli qualche parola da far pervenire a V. E. Hoare lo ha ringraziato, pregandolo di far sapere a V. E. che il Governo inglese è per la pace ed è sempre disposto a cercare una soluzione amichevole del conflitto itala-etiopico (3).

(l) -Vedi D. 514. (2) -All'udienza era presente Suvich che ha redatto il presente verbale. (3) -Mussolini aveva ricevuto Giorgio II nel pomeriggio del 21.
681

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 21 novembre 1935.

L'Ambasciatore del Giappone mi ha detto confidenzialmente che il suo Governo ha deciso di ostacolare le sanzioni e che anzi è nei propositi di Tokio di aumentare i suoi acquisti in Italia.

A titolo personale mi sono compiaciuto con l'Ambasciatore Sugimura per quanto mi riferiva, che era in pieno accordo con le dichiarazioni da lui fatte arrivando ln Italia (4).

682

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. R.P. Vienna, 21 novembre 1935.

Posso confermarti -per quello che posso giudicare da vari colloqui e informazioni di fonti diverse -che, ad onta del discorso, in alcuni punti in

felice, di Berger-Waldenegg, il Governo di qui intende rimaner fedele alla sua politica non sanzionista, tenendo testa alle infinite pressioni di dentro e di fuori.

Non conviene però né attendersi né pretendere «eroismi~. Non sarebbero, a lungo andare, né utili né possibili, e non sono in realtà necessari, mentre sarebbero sicuramente pericolosi. Occorre, come s'è detto tra noi a Roma, facilitare, non complicare la parte non comoda che l'Austria si è assunta in questo momento. Ho detto «l'Austria~. ma sarebbe più esatto dire il Gabinetto Schuschnigg-Starhemberg, perché l'ambiente è in gran parte molto impressionato e preoccupato anche nei settori più vicini a noi..

Hai fatto, dunque, bene a dare a Vollgruber, secondo le direttive, generose e sicure insieme, del Capo, l'impressione che poteva considerarsi superato il disappunto suscitato da alcuni passi di quel discorso. Gli avrai dato certamente insieme anche la sensazione che, più delle parole, più o meno improvvisate e imbarazzate, valgono e varranno per noi i fatti. Perciò, è assolutamente preferibile che Berger non faccia altre dichiarazioni che susciterebbero in ogni caso -e specialmente se fossero espressamente favorevoli al nostro punto di vista -recriminazioni non desiderabili all'interno e reazioni dannose all'estero.

Badiamo al sodo e seguiamo, di giorno in giorno, di affare in affare, la pratica del Governo.

Neanche pensare a mutazioni in questo momento, come taluno ha voluto far supporre in questi giorni: darebbero luogo ad interpretazioni inesatte. Né si vede chi potrebbe con nostre utilità sostituire Berger. Non certo il Principe, che non ne ha la stoffa e ha oggi altri compiti più importanti all'interno, primo l'unificazione effettiva e generale delle Heimwehren e delle altre organizzazioni armate. Non Schuschnigg, troppo onerato di lavoro e che dovrebbe, per necessità, lasciar fare troppo Hornbostel. Non un cristiano-sociale od altro non heimwehrista, che presenterebbe sempre un'incognita, se non nella linea, almeno nei particolari.

Preziosi, che aveva ravvisato nel discorso di Berger un sintomo di mutato indirizzo del Governo e stava adoperandosi perché una nuova dichiarazione pubblica al Bundestag mettesse « a posto ~ le cose -forse incoraggiato anche da parole di Starhemberg, più o meno bene interpretate, -s'è trovato molto male ieri, quando, andato al Ballhaus con propositi energici, Berger gli ha fatto leggere il telegramma di Vollgruber sul colloquio del giorno innanzi con te (1). Anche chi creda, come anche io credo con te, che non si debba pretender qui l'impossibile e che tenendo conto degli interessi e delle pressioni inglesi, convenga non portar le cose agli estremi e dar più peso ad un fatto che a dieci parole, deve preoccuparsi che il nostro Ministro qui non si riveli completamente all'oscuro di ciò che si fa a Roma verso l'Austria. Egli si esautora così, con danno del servizio che pur sempre gli è affidato a Vienna.

Preziosi si lamenta che i suoi telegrammi e rapporti siano rimasti privi di risposta, onde si riteneva autorizzato a continuar a manifestarsi malcontento

di Berger e a pretendere pubbliche assicurazioni, anche interne, oltre ai comunicati da qui mandati ad uso esterno dopo il discorso. Egli oggi ti riferisce, credo, sulle comunicazioni fattegli da Berger circa il tuo colloquio con Vollgruber. Così ti è dato modo di controllarne l'esattezza. Forse potresti approfittare per mandare a Preziosi una parola precisa d'istruzione, raccomandandogli sopra tutto di seguire bensì con attenzione i singoli atti del Governo nel campo delle esportazioni e dei transiti ecc., ma di non insistere più su quel tale discorso, prendendo atto, sino a prova in contrario, delle assicurazioni date qui e a te da Berger. Conviene continuar ad avere fiducia nel Gabinetto attuale e specialmente in Schuschnigg e in Starhemberg, e non tormentarli inutilmente e non crear loro imbarazzi, non indispensabili, in cose non essenziali per noi.

Starhemberg vorrebbe -mi di,cono -venire a Roma, malgrado il contrario consiglio vostro. È opportuno in questo momento? Non lo credo assolutamente.

Se viene a Roma Schiiller, vedete di togliergli di dosso le preoccupazioni, forse eccessive, che qui gli si attribuiscono dopo il ritorno da Ginevra (1).

Non so quale ampiezza possano avere in questo momento esportazioni e transiti e altri affari via Austria e via Ungheria. Ma non mi pare che in questo momento un solo titolare che non è poi un'aquila né un dinamico, possa reggere ad un tempo gli uffici di Addetto commerciale a Vienna e a Budapest. In genere, una più efficiente e coordinata organizzazione tecnica di tutti questi affari a Vienna e a Budapest, sarebbe desiderabile secondo l'impressione di molte persone che si occupano qui di tali materie.

(l) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 400, 525, 544, 551. (2) -Vedi D. 647. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (4) -Leggendo questo appunto Mussolini inviò ad Auriti il seguente telegramma: « Controll1 se risponde al vero quanto ci ha detto Sugimura e cioè che suo "Governo ha deciso ostacolare sanzioni e che anzi vuole attivare le correnti degli affari !taio-giapponesi··. V. E. può aggiungere che tali sono anche le nostre intenzioni» (T. 2341/146 R. del 22 novembre 1935, ore 22).

(l) Vedi D. 671.

683

L'INCARICATO D'AFFARI A GUATEMALA, CORTESE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8819/67 R. Guatemala, 22 novembre 1935, ore 5,39 (per. ore 2,10 del 23).

Telegramma circolare n. 2254 (2).

Ufficio dipendente San Salvador mi scrive aver ricevuto risposta data 15 corrente alla sua nota verbale sanzioni, comunicata quel Governo in seguito alle istruzioni dirette R. Ministero. Come quella Nicaragua, nota è brevissima e non risponde direttamente domande italiane, limitandosi comunicare testo sanzioni telegrafate Ginevra ottobre. Non altera atteggiamento di fatto contrario alle sanzioni Salvador e termina «deplora circostanze che attraversa Italia, alla quale augura superarle presto e secondo giustizia».

(l) -Vedi D. 748. (2) -Vedi D. 642.
684

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8785-8798/528-529 R. Ginevra, 22 novembre 1935, ore 13,25 (per. ore 15,20).

Ho chiesto ad Avenol se era esatto che il signor de Vasconcellos si proponesse di convocare il Comitato dei Diciotto per riprendere in esame la proposta canadese di embargo sul petrolio, carbone, ferro, ghisa e acciaio. Mi ha confermato la notizia. Infatti stamane Segretariato comunica che Comitato dei Diciotto è convocato per il 29 novembre mentre per il 27 novembre è convocato il Comitato degli Esperti incaricato di esaminare le informazioni fornite dai Governi sull'applicazione delle misure proposte dal Comitato di Coordinamento.

Ho chiesto al Segretario Generale le ragioni per cui il signor Vasconcellos avrebbe preso una tale iniziativa. Egli mi ha detto che Vasconcellos obbediva a sollecitazioni e pressioni che gli erano state rivolte da varie parti sopratutto dopo le recenti dichiarazioni Cordell Hull che sono state interpretate come una specie di invito agli Stati sanzionisti a procedere all'embargo sul petrolio, o quanto meno al contingentamento di esso. Dato l'atteggiamento americano e le pressioni da parte di alcuni circoli sanzionistì orientate nel senso di una urgente convocazione Comitato dei Diciotto per l'esame del problema, Vasconcellos, secondo quanto mi ha detto Avenol, non ha potuto sottrarsi tale richiesta.

Ho detto ad Avenol che come Capo di una istituzione che ha il mandato specifico di salvaguardare la pace egli avrebbe dovuto, a mio avviso, far di tutto per sconsigliare Vasconcellos a prendere questa nuova iniziativa di convocazione del Comitato dei Diciotto che studi l'embargo sul petrolio, misura che è destinata a rendere sempre più grave il conflitto e ad esasperare giustamente sempre più l'opinione pubblica italiana.

Avenol mi ha dichiarato -ora che gli fa comodo -che la Conferenza

degli Stati è organo separato dalla S.d.N., per cui egli non poteva interferire

su iniziative che partivano dal Comitato di coordinazione. Ha aggiunto che

era l'Inghilterra che insisteva per l'embargo sul petrolio e la démarche che

essa aveva fatto a Washington aveva avuto pieno successo, come provavano le

recenti dichiarazioni di Cordell Hull e quelle del Segretario di Stato ameri

cano agli Interni.

Ho risposto che in ogni modo né egli, né Vasconcellos si. rendevano chia

ramente conto del gravissimo pericolo che rappresentava questo nuovo tenta

tivo di rendere sempre più pesante e odioso l'ingiusto assedio posto all'Italia.

Il popolo italiano avrebbe reagito con estremo vigore e tutto ciò non sa

rebbe servito che a complicare in modo da smuovere la situazione internazionale.

Parlandomi dell'inizio di conversazioni franco-inglesi a Parigi, Avenol mi

ha detto che esso era dovuto all'iniziativa di Lavai, iniziativa che egli giudica inopportuna perché, a suo avviso, in questo momento non vi è nessuna speranza di vedere riuscire un tentativo di conciliazione. Mentre tra uno o due mesi la situazione si sarà precisata e un accordo sarà più facile. Mi è parso capire che Avenol conta che tra uno o due mesi le sanzioni avranno sufficientemente operato per indurre l'Italia a più miti consigli.

Egli ha ripreso il vecchio tema dell'utilità che avrebbe avuto l'Italia a servirsi della S.d.N. invece di voler agire al di fuori di essa, affermando che, a suo avviso, non vi potrà essere soluzione pacifica al di fuori della S.d.N. Mi ha detto sperare che verrà il giorno in cui l'Italia sarà uno dei sostegni più attivi della Lega delle Nazioni. Gli ho risposto che quel giorno mi sembrava molto lontano e che l'abisso che separava Roma da Ginevra veniva scavato precisamente da Ginevra e dai suoi comitati, che agivano oggi in uno stato di autentica psicosi di guerra.

685

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 2340/204 R. (1). Roma, 22 novembre 1935, ore 24.

Belgio continua a dare prove della sua amicizia all'Italia fornendo armi all'Etiopia. Gli specialisti incaricati di collaudare armi e munizioni sono il signor Dupont e tale Barone Garcia (2).

686

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 2342/782 R. (1). Roma, 22 novembre 1935, ore 23.

Signor Vasconcellos ha convocato il Comitato dell'assedio per il 27 coll'obiettivo di allargare embargo per comprendervi petrolio. Popolo italiano attende che la Francia gli fornisca un'altra prova della sua tradizionale amicizia, consistente nell'approvare embargo e nell'applicarlo immediatamente. Dopodiché amicizia franco-italiana sarà divenuta completamente tradizionale. Si informi sulle intenzioni di codesto Governo (3).

(l) -Minuta autografa. (2) -Vannutelli rispose con T. 8868/267 R. del 24 novembre 1935, ore 13,49: «Continuo agire per tentare limitare esportazioni materiale di guerra Etiopia nel senso di cui all'ultimo capoverso del mio telegramma n. 237 [vedi D. 494] ». (3) -Per la risposta vedi D. 699.
687

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE

T. 2344/104 R. Roma, 22 novembre 1935, ore 20,30.

Codesto Governo, pur non avendo nessun interesse diretto nella questione abissina e avendo anzi un interesse generale a mantenere buoni rapporti con l'Italia, ha assunto nella questione dell'applicazione del Patto della S.d.N. un atteggiamento dei più intransigenti, giustificandolo con ragioni di principio, ecc.

L'azione giapponese in Cina intensificandosi ogni giorno di più, appare sempre più stridente il contrasto tra l'atteggiamento tenuto nei nostri riguardi e quello che almeno fin qui l'U.R.S.S. ha mantenuto nei riguardi del conflitto cino-giapponese, tanto più che in quest'ultimo sono implicati seri interessi russi.

V. E. potrà opportunamente accennare costi a questo importante aspetto della politica russa nei riguardi dell'Italia. L'assenza di ogni azione di Ginevra nel conflitto cino-giapponese fornisce (se pure ve ne sia bisogno) la riprova che così come si sono svolte le cose finora, il Covenant non ha servito e non serve altro che come strumento esclusivo della politica inglese che l'azione di codesto Governo sta pienamente assecondando (1).

688

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 8808-8809/897-898 R. Parigi, 22 novembre 1935, ore 20,30 (per. ore 2 del 23).

Telegramma di V. E. n. 780 (2).

Prima di vedere Lavai ebbi occasione di parlare con Léger ad una colazione. Egli mi domandò di quale argomento intendessi intrattenere Presidente del Consiglio, e, saputolo, aggiunse che Lavai lo prevedeva e gliene aveva parlato stamane.

Lavai si trovava in una situazione particolarmente imbarazzante perché, ancorché personalmente contrario alla estensione dell'embargo proposto sul petrolio, era d'altra parte in posizione difficile per assumere posizione contraria, non essendo menomamente interessato alla esportazione di quel prodotto. Si proponeva di agire dietro le quinte e avrebbe certamente appoggiato qualsiasi proposta contraria che fosse stata avanzata da uno degli Stati interessati. Credeva informarmi di quanto precede perché ne avessi norma nel parlare della questione in via confidenziale Lavai.

Presidente del Consiglio mi espresse sua deplorazione che questione del petrolio venisse discussa a così breve scadenza dalla entrata in vigore di altre

sanzioni. Francia non aveva per altro ancora ricevuto convocazione per seduta del Comitato di Coordinazione di cui parlava stampa. Egli aveva, ad ogni modo, inviato a Ginevra stamane istruzioni a Coulondre nel senso di agire ed esprimersi privatamente in senso contrario al provvedimento di cui si tratta. Non scorgeva per altro come avrebbe potuto impedire convocazione del Comitato di Coordinazione. Viceversa era disposto ad appoggiare qualunque proposta partente da uno degli Stati produttori di petrolio, avversa alla sua inclusione in una nuova lista di prodotti da non vendersi più all'Italia.

Premett~ndo che la mia situazione era difficile perché gli argomenti che avrei svolto potevano avere l'aria di un ricatto, mentre non erano che considerazioni che la Francia doveva conoscere e ponderare, svolsi a Lavai seguenti considerazioni: embargo sul petrolio era una vera e propria sanzione criminosa che avrebbe potuto provocare reazione fortissima in Italia e mettere a repentaglio pace del mondo; adozione di un simile provvedimento era ingiustificato perché non si poteva, a pochi giorni dall'entrata in vigore delle sanzioni, giudicare della loro efficacia o meno; egli Lavai ci aveva assicurato che avrebbe vegliato a che sanzioni non assumessero mai [forma] offensiva o lesiva degli interessi vitali dell'Italia. Riflettesse anche all'opinione pubblica del suo Paese, che era nella sua stragrande maggioranza ostile alle sanzioni in genere e che avrebbe condannato embargo sul petrolio e creato imbarazzi al Governo che non vi si fosse opposto.

Lavai mi assicurò che comprendeva perfettamente situazione ed avrebbe agito nella misura del possibile, ma ripetè che dovevamo trovare fra gli Stati produttori e membri della S.d.N. quello che fosse disposto ad opporvisi. Menzionò Romania.

Courrier des Petroles intanto pubblica oggi un secondo articolo sull'argomento mettendo in guardia il mondo contro embargo sostenendo che il petrolio non è necessario alla guerra, ma alla vita dei popoli.

(l) -Per la risposta vedi D. 767. (2) -Vedi D. 676.
689

IL MINISTRO A PANAMA, CAPANNI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 8823/95 R. Panama, 22 novembre 1935, ore 20,35 (per. ore 4,10 del 23).

Mi riferisco al telegramma dì V. E. n. 2196 (1).

Governo di questa Repubblica consegnami oggi nota verbale, data ieri, che risponde nota consegnata 10 corrente manifestando che «Repubblica del Panama ha accettato come ente indipendente e sovrano quanto ha deciso la maggioranza dei paesi che formano la Lega delle Nazioni e che il Governo studia la maniera di procedere, per ogni specifica via diplomatica, applicazione della decisione adottata».

Ministro degli Affari Esteri assicurami di nuovo personalmente che Panama non applicherà alcuna sanzione. Riservatamente comunica che sfuggirà cosi a continue pressioni che costantemente riceve da parte del Ministro di Inghilterra a Messico (1).

(l) Vedi D. 602, nota 2.

690

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8817/901 R. Parigi, 22 novembre 1935, ore 22,15 (per. ore 2 del 23).

Peterson è arrivato a Parigi (2) ed avrà domani mattina una conversazione con Saint-Quentin. Lavai ha telefonato in mia presenza a quest'ultimo di passare da lui prima del colloquio per ricevere sue istruzioni di natura politica.

Ho spiegato a Lavai ragioni per le quali a Roma era sembrato preferibile astenersi dall'inviare in questo momento a Parigi un esperto italiano. Ricordai che egli aveva detto di voler condurre negoziati con tutta la possibile discrezione, mentre invece stampa se ne occupò in lungo ed in largo.

Lavai ne rigettò la colpa su Londra. Disse di comprendere nostro riserbo e mi promise di tenermi al corrente dei lavori degli esperti.

Da fonte giornalistica bene informata verso la quale mi mostrai scettico nei riguardi di uno smistamento dell'atteggiamento inglese, mi fu detto che elementi in suo possesso facevano ritenere invece essere intervenuto a Londra un miglioramento sensibile e farvisi strada un certo desiderio di conciliazione.

691

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 8886/050 R. Sofia, 22 novembre 1935 (per. il 25).

Mio telegramma per corriere n. 3047 del 16 corrente (3).

Il Ministro degli Esteri che ho visto stamane mi ha detto che siamo alla vigilia di un cambiamento di Governo. Domani il signor Tochev, che è stato per qualche giorno indisposto, sarà ricevuto da Sua Maestà ed è inteso che presenterà le dimissioni sue e dell'intero Gabinetto, che lunedì scorso aveva già subito una leggera modificazione con l'assunzione interinale del Ministero delle Finanze da parte del Ministro dell'Economia Nazionale in seguito alle dimissioni del titolare signor Riaskov.

Kiosseivanoff mi ha confermato che egli avrà la successione di Tochev e che manterrà con la Presidenza del Consiglio il Ministero degli Esteri. Probabilmente, con una legge speciale, nominerà un Sottosegretario alla Presidenza.

In quanto alla composizione del nuovo Governo, da quanto Kiosseivanoff mi ha detto in questi ultimi giorni, si tratterà di un Gabinetto di pura amministrazione.

Sotto la sua spinta ed insistenza Sua Maestà avrebbe rinunziato alla idea che aveva in un primo momento di chiamare al potere personalità politiche di secondo piano dei differenti antichi partiti. Anche i militari verrebbero esclusi dalla nuova combinazione.

(l) -Per la risposLa di Mussolini vedi D. 708. (2) -Vedi D. 650. (3) -Non pubbl!cato.
692

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 22 novembre 1935.

Ho convocato l'Ambasciatore del Giappone per sentire se il suo paese, che dimostra tanta buona volontà di aumentare il traffico con l'Italia in questo momento, potrebbe rifornirei di petrolio.

Il signor Sugimura mi dice che il Giappone è importatore di petrolio; tuttavia egli pensa che alcune grandi ditte giapponesi che commerciano con tutti i paesi, potrebbero trovare modo di provvedere il petrolio necessario all'Italia. Il rappresentante di una di queste ditte, e precisamente della ditta Mitaui, si trova attualmente a Roma. Questo rappresentante gli ha detto di essere disposto, non solo a vendere qualunque prodotto all'Italia, ma anche ad acquistare prodotti italiani.

L'Ambasciatore crede che in questo momento i rapporti italo-giappones! vadano particolarmente curati.

Rispondo al signor Sugimura che la cosa mi pare interessante e metterò in rapporto il detto rappresentante giapponese con l'Istituto fascista degli scambi con l'estero (1).

Parlandomi della possibile soluzione del conflitto italo-etiopico, l'Ambasciatore mi espone ancora una volta il suo punto di vista favorevole alla tesi italiana. Egli consiglierebbe di usare la frase «territoires sous Ies autorités et la juridiction de l'Italie », per indicare la nostra forma di controllo sui territori non amhara, dato che questa frase è già accolta nella legislazione internazionale (2).

(l) -Vedi D. 766. (2) -II presente documento reca il vlst.o di Mussolln!.
693

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 22 novembre 1935.

Sir Eric Drummond viene a portarmi un altro estratto di radio-trasmissioni da Bari (l), che contiene esplicite minacce contro la Gran Bretagna.

Gli rispondo che sto facendo una inchiesta perché le sue indicazioni non rispondono per niente alle radio-trasmissioni che mi sono state comunicate dall'E.I.A.R.

Ora le ipotesi sono tre: --o il traduttore in arabo dell'E.I.A.R. amplifica le trasmissioni mettendoci qualche cosa del suo (e questa ipotesi, a quanto mi viene assicurato, pare esclusa);

-o c'è qualcuno che al Cairo, ove le radio-trasmissioni vengono captate, ha interesse a turbare i rapporti itala-inglesi;

-o c'è una stazione clandestina.

L'Ambasciatore potrebbe far fare delle ricerche anche per conto suo.

Espongo poi all'Ambasciatore le nostre lagnanze per le radio-trasmissioni delle stazioni inglesi, e mi riservo di fargli avere un estratto di quelle parti che contengono i più violenti attacchi contro l'Italia.

A proposito dei contatti tra esperti a Parigi, l'Ambasciatore non ha nessuna notizia. Ritiene che un punto difficile sia quello della nostra permanenza nel Tigrai.

Gli spiego le ragioni per cui non è possibile che noi non manteniamo questo territorio che abbiamo già avuto in possesso e amministrato col completo favore delle popolazioni, quaranta anni or sono.

L'Ambasciatore mi prega di fargli avere l'indicazione precisa della zona che noi occupavamo nel Tigrai fino al 1896. Mi riservo di fargli avere questi dati (2).

694

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL DIRETTORE DELLA FRANKFURTERZEITUNG, KIRCKER

APPUNTO. Roma, 22 novembre 1935.

Il signor Kircker, direttore della Frankjurterzeitung viene a trovarmi, inteso che si tratta di un colloquio assolutamente confidenziale. Gli chiedo l'impressione che ha avuto del nostro Paese in questo momento.

Mi risponde che l'unanimità, lo spirito di resistenza e lo slancio sono ammirevoli.

Mi domanda a sua volta se tutto ciò potrà durare.

Lo assicuro che la resistenza sarà molto più tenace e di molta maggior

durata di quello che chiunque possa pensare. Gli chiedo qual'è, secondo lui, la posizione presente e futura del suo paese nel conflitto itala-etiopico.

Il signor Kircker mi risponde che l'intenzione della Germania è di mantenere la neutralità fino in fondo. Non mi nasconde però, che ha già dovuto sostenere delle forti pressioni e non esclude che domani, di fronte a pressioni maggiori, la Germania possa modificare il proprio atteggiamento. La Germania sta cercando di ricostruire la propria economia e la ostilità delle Potenze sanzioniste può compromettere tutto. Anche l'America sta avvicinandosi alle Potenze sanzioniste. Se domani si volesse fare una pressione sulla Germania, basterebbe negarle il petrolio e la benzina come pare s'intenda fare con l'Italia.

Gli rispondo che tutto ciò mi pare poco probabile. Le potenze sanzioniste devono pensare anche ai fatti loro e non possono rinunciare a commerciare con mezzo mondo.

Il signor Kircker invece non esclude che proprio nell'interesse degli affari, per ottenere una rapida ripresa della normalità, si voglia fare uno sforzo notevole se anche al momento possa costare qualche sacrificio.

Parlandomi dei rapporti itala-tedeschi, il signor Kircker mi dice che il contegno tedesco verso l'Italia è molto amichevole se si tiene conto della recente violentissima campagna di stampa antigermanica: «cose che non si dimen

ticano~.

Gli rispondo che la campagna è stata reciproca e che non ha toccato che la superficie senza entrare in profondità.

Il signor Kircker mi ricorda anche l'invio delle due Divisioni al Brennero.

Gli rispondo che la mobilitazione era fatta per ogni minaccia che potesse venire dall'Austria o contro l'Austria. L'Italia non può non preoccuparsi di quello che avviene alla sua frontiera. D'altra parte la Germania, lo ha dichiarato esplicitamente, «non aveva nessuna intenzione aggressiva contro l'Austria~. quindi era fuori del giuoco.

Il signor Kircker mi chiede ancora se non sia possibile una intesa fra i nostri Paesi riguardo l'Austria.

Gli rispondo che da parte nostra vi siamo stati sempre disposti; il nostro punto di vista è chiaro e preciso: mantenere l'indipendenza e l'autonomia dell'Austria che è condizione della stabilità e della buona armonia in Europa.

Il signor Kircker mi chiede ancora perché noi ci opponiamo ad un plebiscito in Austria.

Gli rispondo che noi non ce ne occupiamo perchè si tratta di una questione

interna dello Stato austriaco. Io mi rendo conto però della difficoltà del Gover

no austriaco di ammettere una votazione fino a che la situazione non è del

tutto stabilita e normalizzata. Vorrebbe dire riaprire tutte le piaghe non ancora

rimarginate e portare l'Austria in uno stato di grandissimo turbamento.

Il signor Kircker chiede se riteniamo che nella situazione attuale l'indipendenza dell'Austria sia garantita. Gli rispondo che se nessuno la minaccia non c'è ragione per pensare che questa indipendenza non sia assicurata (l).

(l) -Vedi D. 648. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolin1.
695

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 7748/26. Roma, 22 novembre 1935 (per. il 3 dicembre).

Nell'attuale momento politico la sollecita determinazione del Papa di nominare venti nuovi Cardinali acquista un particolare significato e offre il destro a varie considerazioni.

Non vi è quasi precedente di una creazione tanto numerosa che riporta improvvisamente il Sacro Collegio ai limiti del "pieno~. cioè a sessantanove Cardinali sul massimo di settanta. Di essi trentasette sono ora gli italiani, contro trentadue stranieri; ciò che ridà agli italiani, oltre la maggioranza relativa, che già prima possedevano, altresì la maggioranza assoluta nella composizione del Sacro Collegio.

I nuovi eletti italiani sono tutti, meno il Padre Boetto della Compagnia di Gesù, funzionari della Santa Sede, altra manifestazione della italianità storica della Santa Sede stessa, contro tutte le induzioni, che pur negli scorsi anni hanno trovato qualche credito, circa la possibilità di un Papa straniero, come presunta conseguenza della Conciliazione.

La creazione dei nuovi Cardinali viene inoltre a porre termine alle ripetute voci di progetti di riforma del Conclave, che sarebbero stati in animo del Papa; progetti intesi, a quanto si era detto, ad allargare le basi elettorali del Pontificato, con l'estensione del diritto di voto, non si sà se pieno o graduale, ai Patriarchi e forse anche agli Arcivescovi, a simiglianza del voto dei Concili Ecumenici generali. Anzi l'insolita elevazione alla porpora del Patriarca dei Siri, starebbe ora appunto quasi a costituire una manifesta smentita all'eventualità di diritti elettorali da conferirsi al patriarcato come tale.

È, in questo momento, corrente in Vaticano di negare che il Pontefice abbia mai seriamente pensato all'eventualità di simili riforme: la cosa non sembra tanto sicura. Comunque, è certo che, dopo aver per molti anni indugiato a procedere alle nomine cardinalizie, che non fossero quelle strettissimamente indispensabili, lasciando dei vuoti sempre crescenti e preoccupanti nella compagine del Sacro Collegio, solo nell'attuale importante momento politico il Pontefice si è improvvisamente deciso a ricomporla nella sua quasi completa integralità, come ad opporre alla incertezza dei tempi il rafforzamento degli organi tradizionali e costituzionali della Chiesa.

In conclusione mi pare che due sono i principali effetti dell'attuale determinazione del Pontefice: riconferma del sistema costituzionale e dell'italianità del Papato.

Molto commentate sono altre due circostanze. L'elevazione alla porpora di Mons. Copello, argentino oriundo italiano, Arcivescovo di Buenos Aires, in quanto si tratta del primo Cardinale argentino. Questa nomina da molti anni era ambita dal Governo Bonaerense, a riconoscimento della posizione e del prestigio acquistatisi da quello Stato nel Continente americano: ritengo che le manifestazioni dell'ultimo Congresso Eucaristico di Buenos Aires non siano state estranee alla determinazione Pontificia.

È stata poi molto rilevata l'esclusione dall'attuale creazione dell'Arcivescovo di Westminster, Primate d'Inghilterra, Mons. Hinsley, a cui la dignità cardinalizia spetterebbe in certo modo di diritto. È legittimo di supporre che tale esclusione sia da mettersi in relazione con le posizioni assunte da quel Prelato nell'attuale momento politico, e culminante con la nota lettera aperta al Times circa la quale la Segreteria di Stato non mi nascose a suo tempo la propria deplorazione. È certo che fin da allora si disse apertamente in Vaticano che Mons. Hinsley «si era giocato il cappello».

Il «pieno» del Sacro Collegio dà poi adito ad un'altra considerazione, voglio dire alla supposizione che il nuovo titolare del Patriarcato di Venezia, sede cardinalizia tuttora vacante, possa essere designato fra uno dei nuovi cardinali italiani.

Infine il fatto che fra le nuove nomine non sia compreso Mons. Pizzardo, da tempo preconizzato alla porpora, dimostra come il Pontefice nelle attuali contingenze abbia inteso di non mutare la compagine della Segreteria di Stato: si afferma anzi che in questo senso egli si sia apertamente espresso con l'anzidetto Segretario agli Affari Ecclesiastici Straordinari, altamente elogiandone l'operato, e !asciandogli intendere come sia questa la sola remora che per il momento ritardi la sua certa futura elevazione alla porpora (l).

(l) 11 p~esente documento reca il visto di Mussolin1.

696

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 8833/211 R. Mosca, 23 novembre 1935, ore 4,03 (per. ore 6,45). Mio telegramma n. 202

Litvinov mi ha consegnato oggi risposta alla nostra nota verbale 11 novembre.

A mia richiesta mi ha detto che nota è stata redatta dopo un preliminare scambio di vedute con Governi francese ed inglese, ma che è stata redatta prima che a Mosca si conoscesse il testo inglese che era stato promesso e che ritar

dava ad essere comunicato. Inghilterra avrebbe in princ1p10 insistito per una risposta collettiva o per il tramite della S.d.N. ma vi avrebbe poi rinunziato, in vista della opposizione incontrata. Litvinov ha aggiunto che non si era reso ben conto dello scopo della nostra nota, che obbligava gli Stati sanzionisti a confermare le dichiarazioni di Ginevra.

Passando ad un altro ordine di idee non si rendeva nemmeno conto delle ostilità italiane nei riguardi dell'U.R.S.S. che, a suo dire, a Ginevra aveva cercato di limitare la portata stessa delle sanzioni. L'allargamento della lista delle merci oggetto di embargo era una iniziativa francese.

Gli ho domandato a questo punto se fosse esatto che l'U.R.S.S. avesse appoggiato a Washington i passi inglesi tendenti a ottenere l'adesione degli S.U.A. alla proposta Canadà. Mi ha risposto che era assolutamente falso e mi ha pregato di smentire se necessario a V. E. tale << assurdità » del resto un passo di tal genere sarebbe stato contrario agli stessi interessi economici dell'U.R.S.S.

Si preoccupava dello stato d'animo italiano nei riguardi dell'U.R.S.S. dovuto, a suo dire, più che ai fatti alla campagna del Journal de Genève portavoce del fuoruscitismo russo. Egli del resto aveva ben spiegato ad Aloisi il suo punto di vista (1).

Mi ha ripetuto che l'U.R.S.S. non ha alcun interesse nella questione abissina che spera vedere risolta al più presto.

Molto meglio avrebbe fatto l'Inghilterra a polarizzare la sua attenzione sull'Estremo Oriente i di cui avvenimenti odierni non giungono qui imprevisti.

Nota sarà pubblicata a Mosca 24 corrente. Trasmetto in chiaro testo (2).

(2). (l) -n presenw documento reca 11 visto di Musso11n1. (2) -Vedi D. 625.
697

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 8857-8859-8860-8862/588-589-590-591 R. Washington, 23 novembre 1935, ore 14,22 (per. ore 8 del 24). Telegramma di V. E. n. 519 (3).

Ho fatto oggi passo in conformità alle direttive impartitemi. Lunghissimo colloquio con Segretario di Stato ha toccato tutti gli aspetti della odierna situazione internazionale e del conflitto itala-etiopico, ma ha sviluppato in modo particolare argomenti della neutralità americana e delle sue più recenti manifestazioni. Non ho dato al mio passo carattere di protesta formale ed ho detto al sig. Hull che scopo precipuo della mia visita era quello di un amichevole chiarimento dei rispettivi atti e punti di vista.

Fatta questa premessa gli ho detto però che il R. Governo aveva constatato con sgradita sorpresa ultimi sviluppi della politica americana in senso contrario allo spirito di vera neutralità e che perciò si riteneva giustificato ad attirare

l'attenzione di questo Governo su quella che esso doveva considerare come violazione del principio della neutralità stessa. A questo punto gli ho sviluppati i concetti contenuti ai punti l e 2 del telegramma di V. E. ,rimettendo poi un appunto nel quale erano stati formulati concetti stessi, con fraseologia sostanzialmente identica a quella indicatami da V. E.

Ho concluso facendo appello allo spirito di equità del Governo americano perchè resistesse alle correnti che cercavano di spingerlo verso collaborazione con politica di sanzioni, contraria a qualsiasi principio di giustizia e di umanità e dominata da motivi prettamente egoistici, nonché da spirito aggressivo e prepotente.

Segretario di Stato mi ha risposto con una lunga esposizione del punto di vista americano ripetendo concetti già noti attraverso sue dichiarazioni pubbliche. Venendo agli argomenti da me sviluppati si è fermato in modo speciale sui due punti formulati anche per iscritto mostrandosi sorpreso pel fatto che fosse stato apertamente attribuito carattere di «sanzioni) e qualificato come «atto non amichevole) le restrizioni che il Governo degli Stati Uniti mostrava di voler imporre alla libertà di commercio garantita dal trattato del 1871. Argomenti fatti valere da Segretario di Stato possono essere condensati nei seguenti punti:

l) Politica del Governo americano non è ispirata da alcun sentimento ostile per l'Italia. Essa è sempre stata e continuerà ad essere indipendente da

S.d.N. o da qualsiasi altra influenza. 2) Politica americana è guidata unicamente da ideali e da interesse americani. Sentimento unanime della Nazione è animato da amore e desiderio di pace. Obiettivo dominante del Governo è di evitare pericolo che gli Stati Uniti vengano coinvolti in conflitti europei. 3) Legge della neutralità votata dal Congresso il 31 agosto scorso è inadeguata al fine predetto. Il Governo ne chiederà a suo tempo revisione che dia al Presidente necessari poteri discrezionali per adattare sua politica alle necessità delle circostanze. Governo degli Stati Uniti deve preoccuparsi non tanto del conflitto attuale fra Italia e Etiopia ma delle sue possibili pericolose complicazioni. 4) Restrizioni che il Governo cerca di porre alle anormali esportazioni di materiale di uso bellico verso Paesi belligeranti sono in armonia con spirito della legge in vigore. Esse sono anche reclamate da correnti fortissime di opinione pubblica, le quali esercitano continue pressioni su Governo. 5) Cercando di moderare tali eccessi di esportazioni il Governo mira ad evitare che alla sua prossima riconvocazione in gennaio Congresso sia talmente impressionato da opinione pubblica da venire spinto a prendere misure radicali nel senso di divieto assoluto di qualsiasi forma di commercio con belligeranti. Tale misura estrema, che il Governo desidera prevenire, sarebbe molto più grave per l'Italia che non attuali restrizioni parziali e sporadiche. Il Governo italiano dovrebbe rendersi conto del suo stesso interesse a non prote

stare contro politica americana odierna perchè sue proteste spingerebbero correnti più radicali a reclamare divieto assoluto del commercio.

47 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

6) Embargo sul materiale di guerra vero e proprio non ha nociuto all'Italia, mentre ha nociuto all'Etiopia che aveva fatto negli Stati Uniti ingenti ordinazioni specialmente di munizioni. Partita di 12 milioni cartucce già ordinata dal Governo etiopico è stata fermata. Recenti raccomandazioni del Governo per limitare anormali profitti di guerra hanno in pratica portata molto meno grave per l'Italia di quelle che embargo materiale di guerra ha avuto per l'[Etiopia].

7) Altri Paesi non membri della S.d.N., come Germania, hanno imposto di fatto restrizioni più severe di quelle americane.

8) Circa obiezione da me fatta sulla base del trattato commercio del 1871 Segretario di Stato, il quale si è mostrato quasi risentito della allusione ad una 4: violazione l) da parte americana, disse che si riservava di studiare questione dal punto di vista legale e di farmi conoscere suo pensiero in proposito. Ha osservato però che in linea generale non vedeva come un trattato di commercio potesse impedire ad un Paese di prendere misure necessarie per mantenersi estraneo ad un conflitto scoppiato in violazione dei patti internazionali. Ha citato Patto Kellogg dicendo che non intendeva con ciò insinuare responsabilità italiana ma semplicemente constatare che era stato da altri violato un Patto del quale Stati Uniti erano firmatari.

Alle argomentazioni del Segretario di Stato ho ribattuto con seguenti osservazioni:

l) Anche se non determinata da sentimenti ostili, politica americana diffidava [di] Italia e veniva sfruttata dai nostri avversari in quanto tendeva a coincidere con quella della Società delle Nazioni.

2) Popolo italiano amava pace altrettanto quanto quello americano. Etiopia è responsabile dell'attuale conflitto ed Italia ne ha fornito le prove, che però nessuno si è dato la pena di esaminare obbiettivamente.

3) Non vedevo qual pericolo corressero gli Stati Uniti di venire coinvolti nel conflitto per il fatto di lasciare libere operazioni commerciali, delle quali tutto il rischio veniva già oggi assunto dal compratore italiano.

4) Aumento di certe esportazioni americane era perfettamente naturale in presenza del boicottaggio commerciale organizzato dalla Lega delle Nazioni. Non vedevo su quale fondamento Governo degli S.U.A. poneva ostacoli alla esportazione dei materiali menzionati dal Segretario di Stato nel suo comunicato alla stampa del 15 novembre; per di più, essi servivano in larga misura per usi non militari. Ostacolandone esportazione, Governo americano danneggiava vita economica e civile della popolazione italiana.

5) Riconoscevo esistenza di correnti di opinione pubblica che reclamavano misure radicali per danneggiare Italia. Esse erano, però, influenzate da propaganda inglese ed incoraggiate da elementi demagogici. Esistevano però anche correnti decisamente favorevoli alla assoluta neutralità.

6) Restrizioni alla esportazione di materie non soggette ad embargo potevano nuocere all'Italia anche come incoraggiamento alla Lega delle Nazioni per aggravare sistema sanzioni già così ingiuste ed inumane.

7) Non conoscevo misure adottate da Germania. Risulta però dalla stampa che esse erano state prese con unico scopo di salvaguardare economia interna. Tale necessità non si presentava per Stati Uniti.

8) Principio della libertà di commercio e di navigazione, proclamata dal trattato 1871, poteva, senza difficoltà, venire applicato in armonia collo spirito della neutralità. Italia aveva coscienza di non aver violato né Patto Kellogg, né altri patti internazionali.

Nel mio lungo dibattito col Segretario di Stato non ho fatto alcuna allusione a possibili nostre rappresaglie commerciali; ritengo tale argomento non solo avrebbe scarsissimo effetto presso il Governo, ma potrebbe produrre reazioni contrarie, non potendo anzi escludersi che dichiarazioni pubblicamente fatte dal Segretario all'Interno circa i petroli e lettera dello Shipping Board agli armatori (telegramma stampa 759 e 762) abbiano voluto essere immediata risposta alle voci di rappresaglia che erano giunte Segretario. Perciò avevo creduto mio dovere, col mio telegramma n. 583 del 21 corr. (1), di segnalare al

R. Ministero della Stampa opportunità di mettere in rilievo malcontento italiano per misure americane, senza però parlare di rappresaglie.

Ho invece insistito sul concetto che vero pericolo per pace europea deriva da astio ed intransigenza politica britannica, per cui collaborazione (diretta o indiretta reale o apparente) che Washington offra a Londra non può fare a meno di accrescere tale pericolo, addossando agli Stati Uniti grande responsabilità di fronte alla storia.

Mio resoconto non sarebbe completo se omettessi di riferire che, nel corso della conversazione Segretario di Stato mi ha ricordato messaggio personale inviato da Pres1dente Roosevelt a S. E. il Capo del Governo (2) prima dell'inizio delle ostilità in Africa ed ha marcato che esso non aveva avuto nessun seguito (3).

Nell'atto di congedarmi, signor Hull mi disse nostra conversazione era stata utile.

Non credo per ora illudermi, nè voglio lasciar intendere che mio intervento sia destinato a cambiare sostanzialmente direttive americane, le quali sono determinate da motivi di politica internazionale ed interna che trascendono dalle odierne contingenze del conflitto itala-etiopico ed anche dal quadro dei rapporti itala-inglesi. Ritengo però che mio passo avrà per lo meno effetto di far maggiormente riflettere Segretario di Stato su due punti:

l) responsabilità americana di fronte al problema della conservazione della pace europea come effetto dell'incoraggiamento alla politica britannica; 2) possibili difficoltà nei riguardi del trattato 1871.

A questo proposito converrebbe esaminare fin d'ora opportunità di un eventuale ricorso alla commissione arbitrale mista itala-americana, esistente in forza del trattato 5 maggio 1914. Faccio presente intanto che ex Ambasciatore

Fletcher, che era membro nazionale di parte americana, ha dato. le sue dimissioni nel settembre scorso.

Dimissioni sono state sollecitate da... (l) del quale Fletcher è aperto avversario. Riterrei anche consigliabile procedere al più presto alla notifica del membro nazionale italiano come successore del defunto senatore Scialoja. Osservo infine che spiegazioni datemi da signor Hull, per giustificare ostacoli frapposti oggi all'eccesso dell'esportazione di materiale di uso bellico, potranno essere da noi usate in caso di bisogno per reclamare libertà di importazione, per lo meno nella misura normale degli anni precedenti. Per ragioni opportunità non ho creduto finora di fare alcun accenno a tale soluzione che prospetterò soltanto, previa specifica autorizzazione di V. E.

In conclusione, situazione qui è certo molto seria e difficile perché esistono forti correnti e sono in giuoco gravi interessi che agiscono in senso a noi contrarissimo; esiste però anche qualche fattore favorevole, che ho già segnalato (da ultimo coi miei telegrammi 550 e 551) (2) e che si può sfruttare nella speranza di impedire aggravamento della situazione odierna.

Su questi punti mi riservo di tornare quanto prima.

(l) -Vedi D. 177. (2) -Non si pubblica. (3) -Vedi D. 667.

(l) Non pubi)Jicato.

(2) -Vedi serie ottava, vol. I, D. 768. (3) -Vedi D. 853.
698

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 8852/293 R. Berlino, 23 novembre 1935, ore 15,47 (per. ore 18,30).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 285 odierno (3). Colloquio Hitler -François-Poncet si è aggirato sopra due punti più importanti:

l) le possibilità ottenere dalla Germania garanzie nei riguardi Est Europa e specialmente Russia, con rinnovata assicurazione che trattato francosovietico di imminente ratifica non è inteso contro Germania;

2) possibilità di iniziare conversazioni in materia disarmo specialmente nel campo aereo.

Sul primo punto, nonostante Poncet si sia tenuto sulle generali, esito è stato completamente negativo, Hitler anzi tratto occasione per una filippica contro la Russia. Nei limiti, quindi, in cui Francia subordini intesa francotedesca ad analoga intesa germano-sovietica, niente da fare.

Però Germania è sempre disposta intendersi con Francia direttamente. Su questo punto anzi corre [voce che] Cancelliere si sarebbe mostrato molto esplicito e quasi enfatico.

Quanto ad una intesa in materia di armamenti, Hitler ha dichiarato non essere questo il momento più opportuno per tentarla. Egli ne ha anzi tratto

occasione per diversione sul conflitto abissino e le sanzioni, contro le quali si è particolarmente, lungamente scagliato dicendo che esse finiranno con ammazzare un'Europa già, senza di esse, gravemente malata. Risultato in sostanza negativo sopra entrambi punti più importanti conversazione, la quale per altro, per atmosfera cordialità in cui si è svolta ed occasione fornita per reciproche riassicurazioni di amicizia, costituisce elemento psicologico per sé stante di distensione. Impossibile prevedere se conversazioni continueranno. Dipenderà da Lavai.

Invio rapporto per corriere {1).

(l) Nota dell'Ufficio Cifra: «Tre gruppi indecifrabili~.

(2) -Vedi D. 592. (3) -Si riferisce al T. 88521285 R., non pubblicato.
699

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 8851-8845/906-907 R. Parigi, 23 novembre 1935, ore 21,30 (per. ore 0,15 del 24). Telegramma di V. E. n. 782 (2).

Ho veduto subito Lavai ed ho avuto con lui una conversazione assai drammatica. Gli ho detto che era in giuoco amicizia tra Italia e Francia, che constatavo da parte del Duce e dell'intero popolo italiano una delusione profonda per mancanza di un gesto energico da parte del Governo francese che pur sarebbe giustificato in un momento in cui egli, Lavai, si sforza di raggiungere azione conciliativa. Ho ribadito concetto già svoltogli tanto che inclusione petrolio nell'embargo era vera e propria misura militare, che esasperazione di un popolo come quello italiano poteva aver conseguenze gravissime tanto più che in Italia è diffuso convincimento che guerra con Inghilterra si muterà in conflitto generale.

Lavai mi ha ripetuto che egli è contrario all'inclusione del petrolio ma che, non essendo Francia produttrice, non può opporvisi. Di natura diversa è sua condizione nei riguardi carbone ed acciaio, entrambi articoli esportati in Italia; avrebbe potuto dichiarare non voler aggravare condizioni già tristi degli esportatori francesi.

Ho allora fatto appello alla sua amicizia perché ottenesse per lo meno proroga della convocazione del Comitato dei Diciotto.

Lavai si lasciò convincere ad entrare in quest'ordine di idee e chiamò nel suo Gabinetto Coulondre per concordare con lui modalità di un passo in tale senso. Coulondre osservò che effettivamente la Francia non era stata interpellata previamente ed aveva ricevuto testé invito assistere 27 corr. ad una seduta S.d.N. senza importanza e 29 corr. a seduta per decidere circa inclusione petrolio, carbone ed acciaio. Lavai poteva dunque dichiarare per ragione di politica interna (convocazione del Parlamento per il 28), oltre altre

considerazioni, inopportunità riunione comitato Diciotto, mentre erano in corso negoziati per conciliazione a Parigi, che inducevano Governo francese chiedere proroga di otto giorni.

Rilevai che la proroga doveva essere più lunga e che sì. doveva aggiungere pure considerazione che era necessaro vedere effetto delle sanzioni economiche decise e che era pessima tattica quella di aumentarne elenco con articoli come petrolio carbone ed acciaio. Ricordai a Lavai che non si potevano dimenticare comuni interessi che noi avevamo da salvaguardare insieme in Europa e che ritenevano che l'Italia fosse agguerrita.

Lavai si mise in comunicazione telefonica con Léger al quale comunicò decisione presa di chiedere aggiornamento della riunione comitato dei Diciotto. Ne seguì una conversazione che io seguii solo parzialmente, ma dalla quale risultò ad ogni modo che Léger opponeva energica resistenza alle successive argomentazioni di Lavai. Ad un certo punto Lavai disse a Léger: «Io so che inclusione del petrolio metterebbe in poche settimane l'Italia in condizioni dì. piegarsi ai voleri della S.d.N., ma io mi sento in questo momento più amico dell'Italia che societario e vi ho del resto già detto e ripetuto che sono contrario all'inclusione del petrolio. Chiedendo di aggiornare riunione comitato agisco in modo coerente con atteggiamento assunto qualche settimana fa quando, di fronte alle pressioni perché aderissi all'inclusione dell'articolo ... nella lista, dichiarai che stavo per fare un tentativo di conciliazione e che non potevo in coscienza aggravare la situazione dell'Italia in quel momento perché essa avrebbe potuto irrigidirsi mentre occorreva che fosse arrendevole. Oggi non faccio che invocare stesse considerazioni di opportunità aggiungendovi quelle di politica interna~.

Risulta, da quanto precede, che l'Inghilterra aveva insistito già in precedenza per ottenere assenso francese circa petrolio, cosa che non mi era mai stata detta. Non riuscendovi Inghilterra aveva fatto agire Canadà e Argentina. Quanto ad atteggiamento ultra societario di Léger esso non è cosa nuova.

Ripresa conversazione a tre fra Lavai, Coulondre e me, Presidente del Consiglio parlò dell'azione conciliativa dicendo che non aveva riportato una cattiva impressione dal primo scambio di vedute avvenuto iersera fra Saint-Quentin e Peterson. Egli aveva impartito testé al proprio esperto istruzioni che consistevano ad ottenere il mandato o altra forma di amministrazione per l'Italia nella zona situata al sud dell'So parallelo e ad est del 37° meridiano, il possesso dell'Italia sul Tigré, la rettifica di frontiere in Dancalia e nell'Ogaden ed uno sbocco al mare per l'Etiopia a Zeila.

Mossi subito rimostranze per ultimo punto ricordando che, secondo quanto mi aveva detto egli stesso, anche Ministero delle Colonie francese moveva obiezioni a riguardo. Era preferibile ad ogni modo uno sbocco ad Assaò.

Lavai mi chiese se avremmo concesso tale sbocco sul mare Etiopia. Mi riservai riferire a V. E. e chiedere istruzioni.

Lavai disse che non credeva possibile che la S.d.N. e il Negus avrebbero accettato soluzione sopra basi suddette, perché noi pretendevamo troppo. Per il Tigré, per esempio, egli riconosceva validi argomenti da me addottati che non potevamo lasciare che la vendetta abissina colpisse popolazioni che erano passate dal nostro Iato. Per raggiungere simile scopo bastava per altro una forma di amministrazione senza che si parlasse di annessione vera e propria ai nostri possedimenti di dominio diretto.

Feci le più ampie riserve al riguardo ricordando nostre ragioni storiche sulla regione.

Allora Lavai mi domandò come potevamo giustificare richiesta dei territori coloniali al di sotto del parallelo 8°. Citai le parole stesse della relazione Comitato dei Cinque che riconobbe incapacità dell'Etiopia di introdurre civiltà in quelle regioni, necessità conseguente di essere assistita da Potenza civile e numerosi tentativi infruttuosi, nonostante che [ci] fosse promessa etiopica di far svolgere penetrazlone pacifica italiana in Abissinia.

Non potevo nascondere a Lavai mia meraviglia di sentirmi fare simili domande oggi quando tutti argomenti in proposito erano stati da me ripetutamente ed ampiamente svolti in precedenti nostri colloqui.

Lavai ribatté che noi altri in Italia avevamo il torto di non prestargli intera fede. Se avessimo accettato un suo arbitrato incondizionato, si sarebbe potuto uscire dall'attuale difficoltà. Osservai che era la prima volta che egli me ne parlava e gli domandai se dovevo considerare la sua proposta come formale e tale da dovere essere riferita a V. E.

Egli rispose che avrebbe dovuto interpellare anche l'Inghilterra ed il Negus e lasciò cadere la cosa.

Concludendo Lavai mi disse che avrebbe chiamato subito Ambasciatore d'Inghilterra e gli avrebbe fatto conoscere ragioni per le quali doveva chiedere aggiornamento della riunione del Comitato dei Diciotto. Avrebbe poi subito intrapreso passi necessari a Ginevra.

(l) -Vedi D. 706. (2) -Vedi D. 666.
700

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 8858/304 R. Madrid, 23 novembre 1935, ore 21,45 {per. ore 0,15 del 24).

Mio telegramma n. 297 (l).

Questo Ministro degli Affari Esteri mi ha oggi personalmente consegnato nota verbale di risposta circa applicazione sanzioni cui testo trasmetto per posta aerea.

Nota stessa, formulata in termini amichevoli pel nostro Paese, si limita in fondo a richiamarsi principio Patto e decisione societaria del 7 ottobre per affermare che atteggiamento Spagna non potrà essere che in armonia con essi. Contiene reiterata affermazione simpatia verso Italia e termina assicurando Governo spagnuolo porrà ogni impegno affinché si giunga quanto prima a soluzione che armonizzi interessi, parti e spirito Patto.

(l) T. 8492/297 R. del 16 novembre 1935, ore 16, non pubblicato.

701

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. 2358/295 R. (1). Roma, 23 novembre 1935, ore 24.

Adesione Cina alle sanzioni vuol dire un fiero colpo inferto alle relazioni itala-cinesi. Si rechi da Chang Kai-Shek e gli dica a mio nome che se Cina non modifica suo atteggiamento io sarò costretto a rettificare tutta la politica seguita sino ad oggi e in tutti i settori, ivi compreso quello della larga ospitalità concessa in Italia ad ufficiali e ingegneri cinesi. Un Paese sanzionato non può essere prodigo (2).

702

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 8887/051 R. Sofia, 23 novembre 1935 (per. il 25).

Ieri ho avuto un lungo colloquio col Ministro Kiosseivanoff. Lo avevo incontrato il giorno prima a colazione in una casa amica, e lui stesso mi aveva invitato ad andarlo a trovare, lamentandosi che in questi ultimi tempi io avessi rarefatto le mie visite e lui (infatti dal giorno dell'adesione della Bulgaria alle sanzioni non l'ho visitato che una volta per consegnargli la nostra nota di protesta (3), e ho intensificato i miei rapporti col Segretario Generale del Ministero e i differenti Capi servizio).

Ha cominciato col domandarmi se io avessi già avuto comunicazione del tenore della risposta francese e inglese alla nostra nota. Lui sapeva solo che tra i due testi vi era una notevole differenza e che a Londra si era scontenti dell'attitudine francese in questa occasione. Per lui questo era un sicuro sintomo che il fronte anglo-francese contro di noi cominciava a far cr·epe. Egli aspettava di conoscere il testo della risposta francese per uniformare ad essa quella bulgara (al mio collega d'Austria avrebbe solo detto che non aveva nessuna premura di rispondere e che aspettava di vedere lo sviluppo della divergenza di vedute anglo-francesi).

Passò quindi a fare generali considerazioni sulle ripercussioni attuali e future del conflitto itala-etiopico sulle relazioni politiche europee: secondo lui l'errore iniziale era stato quello di non prendere in considerazione a Ginevra la richiesta italiana di allontanare l'Abissinia dalla S.d.N. Una volta commesso questo errore bisognava far di tutto per far cessare al più presto il conflitto con nostra soddisfazione per evitare che la futura politica di un grande Paese

quale il nostro dovesse essere basata su sentimenti di rancore e di rivincita. Forse anzi il male era già fatto e chi doveva temerne più che altri le conseguenze era la Francia esposta a perdere l'amicizia del-l'Italia e a restare isolata. Egli aveva in questi ultimi giorni svolto questo suo punto di vista ai Ministri di Francia e di Inghilterra e sopratutto il francese se ne era mostrato rortemente 1mpress10nato.

Aggiunse poi che con piacere aveva letto le recenti dichiarazioni fatte da Viola alla Stampa di Belgrado, perché questo gli confermava le sue notizie e le impressioni che la tendenza e la reciproca volontà di giungere a un solido riavvicinamento dell'Italia e della Jugoslavia non veniva arrestata o infirmata dall'episodio sanzionistico. Per la Bulgaria il sapere che una nuova era di buon vicinato e di intesa è sempre realizzabile fra l'Italia e la Jugoslavia costituisce motivo di tranquillità e compiacimento. E a questo proposito volle ricordare che S. M. Re Boris nel corso della visita che Re Alessandro gli fece a Sofia, gli dette il consiglio, nell'interesse comune, di fare il possibile per arrivare a un'intesa e a un solido riavvicinamento con l'Italia. E andando avanti nel suo ragionare Kiosseivanoff arrivò a dire di essere sicuro che la Jugos'lavia, il giorno che l'intesa con l'Italia fosse realizzata, avrebbe abbandonato la Francia, e che secondo lui la prossima configurazione politica europea sarebbe stata basata su di un blocco comprendente l'Italia, la Jugoslavia, l'Ungheria, la Germania e la Polonia del quale anche la Bulgaria avrebbe indubbiamente fatto parte.

Fini col dirmi che teneva a ripetermi e che mi pregava di non tralasciare occasione di prospettarli a V. E. i sentimenti di amicizia e di sol:idarietà del popolo, del Governo e del Sovrano bulgaro per l'Italia; anche nei riguardi della Bulgaria l'attuale paradossale episodio politico non doveva costituire un sintomo di cambiamento di orientamento o lasciare tracce di dissapori e rancori.

Alla vigilia di cumulare la carica di Ministro degli Esteri con quella di Presidente del Consiglio mi rinnovò l'invito altre volte espresso di non tralasciare occasione per visitarlo e di trattare direttamente con lui per qualunque questione piuttosto che ricorrere a funzionari subalterni perché per me avrebbe avuto sempre tempo.

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta di LoJacono vedi D. 772. (3) -Vedi DD. 614 e 654.
703

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 9222/0335 R. Londra, 23 novembre 1935 (per. il 2 dicembre).

Ieri Hoare mi ha pregato di passare da lui per rimettermi la nota di risposta del Governo inglese (l) alla nota italiana dell'll corrente (2).

Secondo le istruzioni avute dal Duce, ho mantenuto nel mio incontro con Hoare un contegno riservato: Hoare mi ha domandato se avevo delle comunicazioni da fargli. Gli ho risposto che in questo momento non ne avevo. Hoare mi ha parlato delle dimostrazioni che hanno avuto luogo a Milano contro gli uffici della delegazione canadese. Ho risposto che non ne ero informato.

Hoare mi ha quindi espresso il suo disappunto per il contenuto della nostra comunicazione relativa all'applicazione delle sanzioni da parte dell'Egitto, come da mio telegramma n. 1263 del 19 corrente (1). Non ho risposto.

Il colloquio è stato breve e, nella forma, perfetto e cortese. Ambedue abbiamo alla fine espresso il reciproco desiderio di rivederci presto. Come il Duce mi ha ordinato, mi recherò al Foreign Office soltanto se chiamato.

Circa la situazione come essa appare alla fine di questa settimana, non credo di poter dire nulla di nuovo che il Duce già non conosca. Le elezioni generali che hanno avuto luogo giovedì 14, l'entrata in vigore lunedì scorso 18 corr. delle sanzioni contro l'Italia, la consegna avvenuta ieri della risposta inglese alla nota italiana, e il movimento ministeriale ufficialmente annunziato stamane costituiscono una serie di avvenimenti importanti i quali tuttavia non hanno introdotto -come taluni si erano illusi -alcun elemento nuovo nella situazione. Al contrario, tutto in questi giorni dimostra che l'attitudine britannica, una volta superate le inquietudini elettorali, si è vieppiù irrigidita nei riguardi dell'Italia e, se previsioni sono comunque possibili, tale irrigidimento ha tutto l'aspetto di prepararsi ad essere ancora più intransigente e più drastico nel prossimo futuro.

I mutamenti nel Gabinetto, come il Duce può rilevare dal mio telegramma n. 399 stampa di stamane, si riducono a pochi spostamenti di scarsa importanza e di nessun significato politico ad eccezione dell'entrata di DuffCooper nel Gabinetto quale nuovo Ministro della Guerra. La nomina di DuffCooper a Ministro della Guerra e la conferma di Eden quale Ministro per la

S.d.N. -sono ovunque interpretati come l'indice evidente di un irrigidimento, in senso a noi sfavorevole, delle posizioni già assunte dal Governo britannico verso di noi. A ciò si aggiunga l'esclusione di Churchill il quale, nonostante l'atteggiamento assunto nella campagna elettorale a proposito della questione etiopica è dopo tutto un realista e, una volta nel Gabinetto, avrebbe presumibilmente favorito un disincagliamento della questione abissina dai rigidi e formali schemi societari. Anche l'indebolimento di Ramsay MacDonald, caduto alle elezioni sotto il peso di una così schiacciante maggioranza avversa, favorisce la prevalenza politica degli imperialisti societari e antifascisti, i quali si sentono ora resi più forti da una vittoria elettorale che essi attribuiscono in gran parte all'azione di Eden a Ginevra, e alla rispondenza che ha nel paese la loro concezione di una politica estera che si appoggi da una parte sulla S.d.N. -e sul pacifismo, e dall'altra sopra un aumento degli armamenti inglesi e sull'esaltazione del prestigio britannico.

Con mio fonogramma Stefani speciale n. 392 ho segnalato a V. E. un articolo del Manchester Guardian nel quale si conteneva una esposizione delle

direttiv,e di politica estera del Gabinetto all'indomani delle elezioni. È un articolo che potrebbe essere stato scritto parola per parola dal Foreign Office, e che, ad ogni modo, riproduce crudemente quello che il Governo fa dire e vuole sia detto, e cioé che non vi è alcuna intenzione nel Governo inglese di alleggerire la pressione sull'Italia, anzi vi è, se mai l'intenzione di aggravarla.

La parola d'ordine che il nuovo Governo di Baldwin sta diffondendo nei circoli parlamentari e finanziari è la seguente: l'Inghilterra non deve far altro adesso se non aspettare e vigilare sugli stati sanzionisti perché essi applichino rigidamente le sanzioni -quelle già approvate a Ginevra e quelle che potranno essere approvate nelle prossime riunioni a Ginevra -promuovere da parte degli Stati Uniti e della Germania un'attitudine praticamente sanzionista, e attendere i risultati che le sanzioni avranno sull'economia italiana e sulla resistenza dell'Italia. Se poi nel frattempo, qui si dice, l'Italia vorrà provocare un conflitto armato nel Mediterraneo o in Europa, l'Inghilterra ne potrà profittare per liquidare una volta per sempre l'attuale posizione dell'Italia nel Mediterraneo. Durante questi quattro mesi l'Inghilterra dovrà fare dei sacrifici nel campo commerciale, ma le perdite che il commercio inglese subirà nei riguardi del mercato italiano saranno largamente compensate dai profitti che il commercio britannico realizzerà nei mercati dei paesi sanzionisti dove la concorrenza italiana non si eserciterà più ai danni del commercio britannico. C'è a questo riguardo durante questi giorni tutto un nuovo lavorio negli ambienti industriali, commerciali e finanziari della City per accaparrarsi i mercati perduti dal commercio italiano attraverso le sanzioni, e per accaparrarseli in modo permanente, oltre cioè il periodo di durata delle sanzioni, le quali, una volta scontato il danno apportato, cominciano ad essere considerate come un vantaggio per l'economia ed il commercio britannico. Le perdite nell'esportazione del carbone saranno largamente compensate, si dice, dai guadagni dell'aumentata esportazione nei tessili.

A coloro che nella City insistono presso il Governo per una attitudine conciliante della questione abissina, il Foreign Office fa invariabilmente rispondere che le sanzioni costituiscono il premio di assicurazione che gli inglesi pagheranno per dare un esempio a qualunque paese (vedi la Germania) che tentasse nell'avvenire di turbare la pace d'Europa e la sicurezza dell'Impero britannico. Forte del resto della sua vittoria elettorale, il Governo teme oggi assai meno il malumore della City.

Si è visto del resto proprio in questi giorni come il Governo britannico intenda mantenere rigidamente la linea di condotta finora tenuta nella questione abissina. Di fronte alla nuova azione che il Giappone si prepara a svolgere in Cina -azione che pure minaccia gravemente gli interessi inglesi il Foreign Office non ha avuto che una urgente preoccupazione: quella di evitare che l'opinione pubblica inglese fosse allarmata dagli avvenimenti in Cina e si delineasse nel paese un movimento per un intervento britannico in Estremo Oriente. I giornali ufficiosi, quando non hanno potuto nascondere gli avvenimenti di Cina, si sono affrettati a commentarli in maniera da attenuarne la portata e sono giunti fino a spiegare che, dopo tutto, è negli interessi dell'Inghilterra che in Cina sia ristabilito il commercio inglese. Quanto all'idea che l'azione del Giappone possa essere oggetto di discussione in seno alla S.d.N. questa è stata subito scartata, perché, si è detto, una tale discussione «complicherebbe la situazione», e cioè metterebbe l'Inghilterra, che vuole le sanzioni contro l'Italia ma non contro il Giappone, nella posizione più falsa e più difficile.

Oggi tutta la attività diplomatica inglese, come ho detto, è diretta a mantenere e rafforzare il fronte sanzionista contro di noi, e il Foreign Office distribuisce a destra e a sinistra promesse di appoggi e di favori, e si cerca finanche di affrettare la conclusione del prestito al Governo dei Sovieti, per finanziar,e il commercio anglo-russo, e compensare la U.R.S.S. dei danni che le verranno da un eventuale embargo sul petrolio. Nonostante le smentite del Foreign Office le trattative con Washington e con Berlino continuano attive.

In queste condizioni io non posso attribuire che una scarsa importanza alle conversazioni Laval-Clerk, e al viaggio di Peterson a Parigi. Questo viaggio è stato deciso sopratutto per non dare un rifiuto a Lavai che lo aveva insistentemente sollecitato, e perché è nella tattica usuale del Governo britannico di accompagnare la sua politica drastica con la dimostrazione che esso è pronto e disposto a degli accomodamenti. Vi sono sempre in Inghilterra molti elementi conservatori e notevoli correnti di opinione pubblica in favore di un compromesso sulla questione abissina e finora il Governo britannico ha avuto sempre cura di rispondere alle critiche che gli sono state mosse da questi elementi asserendo che esso ha fatto il possibile per cercare, d'accordo con la Francia, un compromesso e che questo compromesso è stato reso impossibile dalla intransigenza italiana. Nel viaggio di Peterson a Parigi vi è anche quindi l'intenzione di mascherare quelle che sono le vere direttive della politica inglese, e sopratutto di mascherare con pretesi tentativi di accomodamento la intransigenza cinica e ostile con la quale l'Inghilterra intende andare innanzi nella strada delle sanzioni.

Il Governo britannico ritiene che il tempo lavora a suo favore e contro di noi, e che l'applicazione delle sanzioni, indebolendo progressivamente la resistenza italiana, non potrà che mettere l'Inghilterra in condizione di sempre maggiore vantaggio per negoziare coll'Italia un regolamento della questione abissina. Esso è persuaso inoltre che la posizione di Lavai è così precaria che Lavai non avrà la forza di sostenere, anche se lo volesse, le rivendicazioni italiane, e, se Lavai cadrà, il nuovo Governo francese, che avrà ad affrontare la grave crisi finanziaria in cui si dibatte la Francia, sarà più arrendevole ai desideri di Londra.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI BRITANNICO, HOARE, ALL'AMBASCIATORE D'ITALIA A LONDRA, GRANDI

NOTA (1). Londra, 22 novembre 1935.

By the note which Your Excellency wa.s so good a.s to address to me under date the 11th November (2), the Italian Governement have thought fit to draw the atten

tion of His Majesty's Governement in the United Kingdom to the responsibility entailed by the putti:ng into force of the measures proposed by the CommUtee of Co-ordination now in session a.t Geneva, and to the conseguences which. in the judgment of the Italian Government, are likely to result from the application of these measures.

2. -In reply to the generai observations advanced by the Italian Government, His Majesty's Government feel bound to emphasise that, having themselves taken part in the discussions at Geneva, they are in a position to bear witness to the constant anxiety evidenced alike by the Council, the Assembly and by the other organs of the League of Nations, fully conscious as they have been of the gl'avity of their responsibi1ities, to carry out their duties in a spirit of impartiality and to concede the utmost possible weight to the legitimate interests of Italy. His Majesty•s Government are so convinced of .the accuracy of this estimate of the work already performed by the League of Nations in connextion with the Italo-Ethiopian dispute that they feel that no useful purpose would be served by reopening or recapitulating discussion of the quest.ions raiseà in the Italian note. 3. -Hls Majesty's Gov-ernment must therefore content .themselves by reca1l.ing tha.t, on the 7th Octoter last, the delegates of all the Governments represented on the Council -with the exception of the Italian delegate --confronted with the task of applying provisions of the Covenant which are mandatory in character to facts which were not in dispute, felt themselves obliged to affi.rm that the Italian Government had had recourse to war in violation of article 12. Strong as is the feeling of friendship towards Italy which inspires the Uniter Kingdom, His Majesty's Government felt themselves bound to assent to this decision, and to accept the conseguences which must ànev!itably ensue. 4. -His Majesty's Government do not conceal their anxiety to facilitate, so far as lies i:n their power as a Member State of the League of Nations, and at the eaxliest possible moment, a settlement of the regrettable conflict now in progress. But they are unable wholly to pass over the implication contained ·in the last paragraph of Your Excellency's note under reply which refers to the «free and soveTeign judgment » which His Majesty's Government are alleged to be at liberty to apply to the determination of their course of action. His Majesty's Government, in subscribi.ng to the Covenant, did not, indeed, abandon or renounce their own free and sovereign judgment but .undertook to exexcise it thenceforth in accordance with the obligations of that instrument. No other attitude is open to them, and they would naturally desire to see the Italian Government piace a similar construction on their own adhesion to the Covenant.
(l) -Cfr. Allegato. (2) -Vedi D. 602, nota 2.

(l) Vedi D. 663.

(l) -Questa nota fu trasmessa da Grandi con T. 8801/1270 R. del 22 novembre 1935, ore 13,30. Ed., in italiano, in Il conflitto ttalo-etiopico, Documenti, vol. II, cit., pp. 204-205. (2) -Vedi D. 602, nota 2.
704

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI ARGENTINA A ROMA, CANTILO

APPUNTO. Roma, 23 novembre 1935.

L'Ambasciatore Cantilo in relazione al colloquio precedente (1), viene a confermarmi che il Governo dell'Argentina ha incluso tra le sanzioni i prodotti della proposta canadese soltanto per compiere un atto formale nei riguardi della S.d.N., dato che l'Argentina non è esportatrice di nessuno di quei prodotti. Il Governo argentino intende continuare nell'atteggiamento favorevole all'Italia fin qui tenuto.

Rispondo all'Ambasciatore che sarebbe bene che il Governo argentino facesse una dichiarazione per dissipare l'impressione penosa che ha fatto l'inclusione dei sopradetti prodotti.

L'Ambasciatore telegraferà in questo senso a Buenos Ayres (1).

(l) Vedi D. 665.

705

L'AMMIRAGLIO RAINERI BISCIA AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (2)

APPUNTO. Roma, 23 novembre 1935.

DIRETTIVE CONFERENZA NAVALE DI LONDRA 1935

L'adesione data dal R. Governo a partecipare alla Conferenza navale indetta per il 6 dicembre 1935 a Londra, deriva da plurimi motivi:

l) S. E. il Capo del Governo ha ritenuto che, anche nell'attuale momento politico, la presenza dell'Italia alla conferenza sia conforme ai suoi interessi contingenti.

2) L'Italia, che ha ratificato il trattato di Washington e firmato quello di Londra ad eccezione della sola Parte III, non poteva, senza ragioni esplicite che riesce difficile integrare, astenersi dal partecipare alla conferenza.

3) La presenza attorno al tavolo delle discussioni fornirà delle possibilità più o meno importanti per cercare di raggiungere quei risultati che soddisfino i nostri bisogni o, per lo meno, che non siano in aperto contrasto con essi.

La conoscenza anticipata dei programmi costruttivi decisi dalle altre potenze navali, è elemento di un certo valore e questa può essere una delle conseguenze tangibili della conferenza convocata.

4) La partecipazione alla conferenza navale può fornire la possibilità di negoziare la nostra adesione a tesi molto care ad altre Potenze, facendone scaturire vantaggi per il nostro Paese.

Di massima, quindi, ogni risoluzione che sia particolarmente gradita ad altre potenze deve essere da noi valorizzata ai fini di aiutare la presente nostra situazione politica. Ciò naturalmente quando l'aderire alle soluzioni in discussione non rappresenti per noi sacrifici tangibili.

Se tali direttive saranno confermate, rimangono da precisare le attitudini tecnicamente consigliabili sui vari punti che saranno oggetto di discussione.

Le questioni che verrano messe sul tappeto saranno, da quanto è risultato dalle conversazioni bilaterali del 1934 e preliminari del 1935, quelle qui di sotto partitamente esaminate.

Prima di entrare in merito ad esse, si può affermare che risponde al criterio di far conseguire al 100 % i desiderata che, secondo il parere tecnico, tornano più utili alla R. Marina.

Ad laterem di queste soluzioni migliori, ve ne possono essere altre che chiameremo di compromesso, alle quali si potrebbe giungere in sede di discussione allo scopo di arrivare ad un accordo comune, accordo che non è possibile raggiungere, internazionalmente, se ci si mantiene rigidi sulle proprie posizioni.

Infine, occorre aggiungere che durante tutte le trattative sarà bene tener presente:

l) valorizzare al massimo tutto quanto può fornire oggetto di concessioni nei riguardi dell'Inghilterra, e ciò per evidente utilità nell'attuale momento politico;

2) che l'Inghilterra potrebbe approfittare della Conferenza per seminare zizzanie tra la Francia e l'Italia. A questo riguardo bisogna ricordare che, dopo gli accordi del gennaio 1935, l'Italia e la Francia si sono scambiate notizie sulla reciproca attitudine sugli argomenti che verranno in discussione, riscontrando la quasi completa armonia nei loro punti di vista.

Sulle tesi che nelle recenti conversazioni preliminari sono risultate impostate su nuove basi, si è convenuto di continuare lo scambio di idee prima dell'inizio della conferenza.

Per questi motivi non bisogna perdere di vista, che se la Delegazione dovesse battere una strada diversa, nella forma e nella sostanza, da quella sino ad ora seguita, ciò riuscirà sicuramente sgradito alla Francia (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare.
706

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. U. 4301/1721. Berlino, 23 novembre 1935 (2).

In merito al colloquio Hitler François-Poncet, di cui al mio telegramma odierno (3), sono in grado di fornire a V. E. i seguenti ulteriori particolari.

Fonti d'informazione: François-Poncet e Kopke (Biilow è malato e Neurath a caccia). In generale, salvo qualche spiegabile differenza di nuances, le informazioni delle due fonti coincidono.

Quadro programmatico da parte francese: quello esposto con mia nota 21 corrente n. 1705 (4), più un'intesa in materia di armamenti.

Dico quadro pragrammatico e non quadro della conversazione perchè, mentre effettivamente il programma Lavai mi risulta essere, per ammissione dello stesso Ambasciatore di Francia, quello più sopra indicato, d'altra parte FrançoisPoncet si è, nel suo colloquio col Cancelliere, tenuto assai più sulle generali, non entrando in precisioni, ma preferendo sondaggi suscettibili di accertare la direzione della reazione hitleriana.

Motivi immediati del passo, due:

l) Lavai ha paura di cadere. Prima di cadere, egli tiene a legare il suo nome ad una politica neobriandista di pace e di amore erga omnes. Ciò lo aiuterà a risorgere se cadrà; potrà costituire il punto di partenza di una sua azione ulteriore, se riuscirà a sopravvivere.

2) Lavai è ormai obbligato -pena la insurrezione delle sinistre -a ratificare il patto franco-sovietico. Egli non vuole farlo senza aver prima rinnovato un gesto di amicizia per la Germania. Senzadichè, il patto franco-sovietico potrebbe far cadere nel nulla tutto quello che Lavai ha già fatto. Col gesto ora compiuto egli invece assicura la sopravvivenza -anche dopo la ratifica della sua volontà di intesa con la Germania.

Dei due motivi, il secondo è stato, nel colloquio, opportunamente dichiarato.

Colloquio lungo un'ora e 45 minuti, occupato peraltro, quasi interamente. da lunghe discorse del Fi.ihrer, il quale ama i «quadri» e la «storia» delle diverse questioni.

La prima di queste discorse, il Flihrer l'ha fatta a proposito dell'U.R.S.S., delle sue attività e delle sue tendenze. E poi, perchè la Francia dovrebbe domandare garanzie di non aggressione tedesca contro l'U.R.S.S.? La Germania e l'Unione Sovietica non sono neanche confinanti e, del resto, i rapporti germano-sovietici sono ancora retti dal trattato di Rapallo, uno dei cui presupposti è la non aggressione. La Germania ha inoltre, per bocca del suo Cancelliere, già dichiarato solennemente, ripetutamente, di non voler aggredire nessuno... È tempo di smetterla con questo continuo voler rappresentare la Germania come l'aggressore sistematico ed il pericolo permanente dell'Europa...

Piuttosto, perchè non regolare i rapporti franco-tedeschi direttamente? Francia e Germania non hanno più alcuna questione territoriale che le divida etc. etc....

Concludendo le sue informazioni, lo stesso François-Poncet ammetteva di non esser, su questo primo punto, riuscito a «sfondare».

Nè miglior successo hanno avuto le dichiarazioni da lui fatte a proposito del patto franco-sovietico: ch'esso era puramente difensivo; che si riconnetteva a tutto un «insieme», a cui nessuno più della Francia desiderava assicurare la partecipazione della stessa Germania e così via.

Risposta di Hitler: difensivo o no, il trattato franco-sovietico è nettamente antitedesco e, da quella parte e su quella base, non vi è nulla da fare. Ancora una volta, unica soluzione possibile quella di una intesa diretta.

Su questo punto il Cancelliere si sarebbe mostrato molto enfatico, dando la sensazione netta di volere, sinceramente, una distensione, e anzi una intesa, franco-tedesca.

Secondo argomento toccato nel colloquio: perchè la Germania non si presterebbe, anche subito, a delle conversazioni sul disarmo, cominciando da quello aereo? Sempre di intesa, naturalmente, con l'Inghilterra?

Su questo punto, che ha, come dirò più appresso, incontrato anch'esso la negativa di Hitler, è assai interessante un particolare, fattomi notare da Kopke. François-Poncet ha non una, ma più volte fatto chiaro appello alla necessità di procedere sempre, in tutto questo, di pieno accordo con l'Inghilterra. Non ha mai menzionato l'Italia, anche quando il Cancelliere, in risposta, ha riconosciuto il carattere europeo della questione e quindi la necessità di procedere d'accordo con tutti gli interessati (salvo s'intende l'U.R.S.S.). Che, anzi, Kopke, su questo punto mi ha detto che il Cancelliere, pur non facendo egli stesso esplicita menzione né dell'Italia né del Patto a quattro, «ha parlato sempre nello spirito del Patto a quattro ».

Questo dettaglio mi sembra effettivamente degno di nota, non solo per la sua parte negativa -mancato accenno alla necessità di un analogo accordo con l'Italia (il Times pubblica pure che il Governo inglese era stato debitamente preavvertito del passo francese a Berlino e del suo contenuto) -quanto in quella positiva, della marcata preoccupazione della Francia, e dello stesso Lavai personalmente, di non far nulla con la Germania che possa comunque dispiacere all'Inghilterra.

Torno al fatto. Anche in materia di conversazioni per il disarmo, Hitler ha risposto di no. Egli sarebbe favorevole ad averne (e lo credo, anche perché, sotto la pressione di strettezze economiche e finanziarie, la Germania ha dovuto rallentare il ritmo del proprio riarmamento), sempreché potessero avere una qualche probabilità di successo. Ma così non potrebbe certo essere ora, mentre tuona il cannone ed è in pieno sviluppo un conflitto che potrebbe perché no! -dall'Africa estendersi ancora all'Europa. E qui, altra grande discorsa del Ftihrer, il quale ha dato l'impressione a François-Poncet di pensare al conflitto italo-abissino «giorno e notte».

Premesso che l'Italia, a suo parere, avrebbe fatto molto male ad ingaggiarsi nel conflitto senza prima essersi assicurata il consenso dell'Inghilterra, il Fiihrer avrebbe peraltro deplorato, vivamente e lungamente, le sanzionl, dichiarando che esse non avrebbero mancato -attraverso il forzamento ad una sempre crescente autarchia economica dei diversi paesi -di ammazzare una Europa che, anche prima delle sanzioni, era già gravemente malata.

Su questa parte, il resoconto della conversazione in possesso di Kopke non era molto dettagliata o per lo meno non lo era in proporzione al posto ch'essa sembra aver occupato nella conversazione stessa: particolari ulteriori potrò averne soltanto direttamente da Neurath dopo il suo ritorno. Il senso però ne è chiaro e, in entrambe le versioni (francese e tedesca), esattamente coin

cidente.

Per concludere sull'argomento principale del colloquio, si può dire che questa nuova avance francese non ha sortito a1cun effetto sostanziale ed ha anzi servito a confermare le linee generali della politica hitleriana. Ma ad essa è stata prudentemente, da François-Poncet, dato carattere preliminare e di sondaggio. Non ha chiuso, quindi, alcuna porta: che anzi, essa ha -ripor

48 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

tata e riallacciata alla conversazione taval di quattro mesi or sono -stabilito una certa continuità e dato carattere di maggiore ufficialità alla volontà di intesa francese nei riguardi tedeschi. Da questo punto di vista, essa è stata da Hitler -come da tutta la stampa del Reich -accolta benissimo e -in quanto ha servito a reiterate, enfatiche dichiarazioni di uguale volontà. di pace e di amicizia da parte tedesca -costituisce, anche indipendentemente dai suoi eventuali sviluppi, un elemento per sé stante -di valore soltanto psicologico se si vuole, ma non per questo trascurabile -di distensione nelle relazioni dei due paesi.

Ho domandato a entrambi i miei interlocutori se e in quanto questi approcci fossero ben visti e favoriti dall'Inghilterra. L'atteggiamento inglese in proposito -anche in funzione anti-italiana indubbiamente favorevole -sembra non aver finora avuto altra manifestazione -almeno per quanto riguarda Berlino -all'infuori di quella personale dell'Ambasciatore Phipps (anch'egli dall'Ambasciatore di Francia debitamente preavvisato -è sempre il Times che parla -della visita di François-Poncet). Forse, manifestazioni più concrete si avranno ora, in seguito alle più precise comunicazioni che delle avvenute conversazioni saranno state date a Londra, così da Parigi come da Berlino. Entrambi, peraltro, i miei interlocutori si sono trovati di accordo nel ritenere che l'Inghilterra non mancherà di incoraggiare un miglioramento delle relazioni franco-tedesche finché questo si mantenga nei limiti di una distensione, si raffredderà certamente quando, da una semplice détente, i due paesi volessero -se pur fosse possibile -passare ad una intesa.

(Questo punto io ho tenuto a sottolineare specie con François-Poncet, facendogli osservare che, dopo tutto, in questo momento l'Italia, nei confronti dell'Inghilterra, paga il fio non solo e forse non tanto della sua azione abissina, ma anche quello della sua intesa con la Francia, intesa che ha destato le preoccupazioni inglesi per quelle che potrebbero essere le conseguenze della medesima sulle posizioni mediterranee della Gran Bretagna, il giorno che da intesa si trasformasse in alleanza).

A parte il valore immediato dei fatti più sopra riferiti questi ne hanno,

nei nostri riguardi, anche uno mediato, ma non per questo meno importante.

Con telecorriere dell'8 novembre V. E. (l) ha osservato che «determinati

e complessi aspetti dell'attuale situazione inducono a far considerare con la

maggiore cautela eventuali progetti di approcci o di intese che tendano ad

incidere più profondamente, e sopratutto più pubblicamente, nelle relazioni

itala-tedesche, e ciò in considerazione delle conseguenti inevitabili ripercus

sioni che tali intese avrebbero in altri settori della politica europea».

Orbene, il nuovo passo François-Poncet, non meno del riavvicinamento

anglo-tedesco già in atto da cinque mesi, credo sia sufficiente a attenuare le

preoccupazioni che eventualmente avessimo ancora al riguardo. Come si vede,

non siamo noi, ma gli altri, a fare delle avances alla Germania.

Ciò, naturalmente, non può !asciarci indifferenti. Io stesso, peraltro, con

tinuo a non credere nella efficacia di approcci nè di progetti di « intese con

ia Germania», la cui base, comunque, andrebbe lungamente studiata e considerata. Il riavvicinamento, per quanto necessario, fra i due paesi, va, anziché agli artifici della diplomazia, lasciato, almeno in un primo tempo, all'azione di fattori naturali (mio rapporto 30 ottobre n. 1617) (1).

(l) -Non si pubblicano gli allegati relativi alle questioni tecniche. (2) -Manca l'indLcazione della data di arrivo. (3) -Vedi D. 698. (4) -In tale documento AttoUco aveva riferito: «Secondo fonte che devo ritenere attendibile, il programma che Lavai avrebbe in animo di esporre a Ribbentrop, ove questi si recasse a Parigi, potrebbe essere riassunto come appresso: l) garanzia da parte tedesca delle frontiere dell'Est (leggi Russia) giusta quanto ha già riferito s. E. Cerruti; 2) garanzia dello statu quo in Europa Centrale per almeno cinque anni. Contropartita da parte francese: l) riconoscimento formale del riarmo della Germania; 2) rinuncia francese al patto franco-sovietico, che risulterebbe assorbito dal patto generale previsto per le frontiere dell'Est».

(l) Vedi D. 582.

707

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. R. 2370/789 R. (2). Roma, 24 novembre 1935, ore 24.

Ricevo resoconto suoi colloqui con Lavai (3) e non li trovo soddisfacenti.

Ancora una volta la Francia si rifiuterà di dire finalmente no e si accontenterà di un rinvio. Léger è quel nemico acerrimo che ho sospettato. Tutto ciò non deve indebolire la pcessione di V. E. alla quale dico che resisteremo anche se petrolio verrà embargato.

708

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A PANAMA, CAPANNI

T. 2377/39 R. (2). Roma, 24 novembre 1935, ore 24.

Suo 95 (4).

Se Panama non applicherà le sanzioni come ha dichiarato codesto Ministro Esteri e se avrà coraggio pubblicamente dichiararlo rapporti amicizia fra due paesi saranno grandemente rafforzati.

709

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SANTIAGO, SILENZI

T. 2382/83 R. Roma, 24 novembre 1935, ore 24.

Secondo corrispondenza Gazzetta del Popolo da Santiago codesto Presidente della Repubblica stabilisce che rapporti scambi compensati fra Cile e Italia continueranno a svolgersi normalmente nonostante applicazione gine

vrina sanzioni sulla misura delle quali dovrà pronunciarsi Congresso sue prossime sedute. Grande maggioranza senatori è antisanzionista: si prevede che Senato cileno respingerà in blocco misure ginevrine contro Italia.

Prego telegrafare Suo parere su tale previsione ed ogni altro utile elemento giudizio atteggiamento Cile (1).

(l) -Vedi D. 525. Il presente documento re~a il visto di Mussolini. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 699. (4) -Vedi D. 689.
710

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 8926-8927-8928-8929/594-596-597-598 R.

Washington, 25 novembre 1935, ore 18,40 (per. ore 6,40 del 26).

Ho ricevuto il telegramma di V. E. n. 522 (2) e desidero assicurare V. E. che mi sono sempre adoperato e continuerò ad adoperarmi con ogni mia energia nel senso richiesto.

Sono però sempre in attesa ricevere risposta mio telegramma 551 del 5 corrente (3), col quale ho sottoposto a V. E. che azione, a mio avviso, merita per lo meno di essere tentata, tanto più che importerebbe spesa relativamente modesta. Rinnovo pertanto viva preghiera di farmi conoscere d'urgenza decisione di V. E. circa il signor Shearer (4).

Non nascondo a V. E. che situazione americana tende ad aggravarsi nei riguardi nostri come sviluppo naturale della politica adottata dalla Amministrazione Roosevelt fin dal giorno in cui è apparso evidente contrasto quasi insanabile fra Italia da una parte, Inghilterra e S.d.N. dall'altra.

Mi risulta che mio attuale passo presso Segretario di Stato (5) ha creato negli ambienti governativi una certa preoccupazione per possibili difficoltà; ciò varrà forse a consigliare maggiori cautele di forma nelle misure restrizionistiche a danno nostro. Non posso però illudermi che il Governo degli S.U.A. muterà rotta fino a quando Congresso non glielo imponga oppur,e Inghilterra e S.d.N. cessino di far sentire che sul Governo degli S.U.A. cadrebbe responsabilità per fallimento delle sanzioni ave esso favorisse «Paese aggressore».

È ormai evidente che Amministrazione Roosevelt è legata ad una politica di collaborazione con Inghilterra la quale continuerà a svilupparsi a meno che il Congresso non intervenga per arrestarla o moderarla. Senonché Congresso verrà riconvocato soltanto 3 gennaio 1936 e nel frattempo Governo continuerà ad interpretare legge della neutralità a modo proprio e ad usare potenti mezzi di pressione di cui dispone per scoraggiare esportazione verso Italia delle materie prime che giudica principalmente destinate uso bellico,

(-4) Vedi D. 592, nota l p. 571.

specialmente quando tali esportazioni si verifichino in misura che sorpassi grandemente livelli normali. Governo si rende conto che gli manca per ora potere legale di proibire dette esportazioni e che tale potere deve essergli dato dal Congresso. È però in grado usare mezzi indiretti, specialmente di carattere finanziario, per imporre almeno parzialmente sua politica. Di tali mezzi di pressione si è già servito nei riguardi degli armatori, che sono più o meno quasi tutti debitori dello Stato, ed ha già ottenuto in tale campo certi risultati. Infatti alcuni carichi di petrolio e rottami non hanno potuto partire, certamente perché armatori si sono arresi di fronte alla minaccia governativa. D'altra parte Governo ha imposto proprio intervento presso armatori in modo da avere giustificazione formale da opporre ai nostri giusti reclami.

Non è ancora possibile prevedere con sicurezza quale sarà la reazione delle grandi società petrolifere di fronte alla pressione esercitata recentemente dal Segretario dell'Interno nella sua [qualità] di « amministratore dei petroli ». Ho chiesto ad influente persona amica di sondare Standard Oil Company e ne attendo risposta che comunicherò.

Può darsi che pressione governativa abbia minore successo sulle compagnie petrolifere e in tal caso difficoltà di rifornimenti di petrolio riguarderebbero specialmente mezzi trasporto.

Non posso escludere che il Governo contempli azione analoga presso le banche ,e ferrovie, anche esse soggette ad influenze governative per ragioni finanziarie. Sto facendo indagini e mi riservo di riferire.

Mentre dobbiamo quindi prepararci a superare difficoltà materiali che azione governativa tende a crearci, importa tener presente che politica definitiva sarà dettata dal Congresso nel prossimo gennaio.

Sebbene vacanze parlamentari e conseguente assenza da Washington dei principali uomini politici non mi permettano di fare diretti sondaggi, ritengo che prossimo gennaio problema della neutralità verrà ripreso in esame; si delineeranno nel Congresso tre correnti principali:

l) corrente degli isolazionisti estremi, cui unica preoccupazione è di evitare che S.U.A. vengano trascinati in un conflitto europeo. Se in quel momento tensione italo-inglese perdurerà grave e sussisterà minaccia di blocco, questa corrente potrà arrivare fino a propugnare divieto qualsiasi commercio con belligeranti:

2) corrente favorevole alla collaborazione con l'Inghilterra e con l'Etiopia; essa sarà disposta a concedere al Presidente larghi poteri discrezionali nella interpretazione ed applicazione della neutralità, dei quali Governo si varrebbe certamente per proibire o comunque limitare esportazione ai belligeranti del materiale giudicato essenziale per scopi bellici;

3) corrente dei veri neutralisti che ritiene neutralità possa essere mantenuta limitando embargo al materiale di guerra vero e proprio e lasciando invece che altre esportazioni continuino liberamente, alla condizione che consegne vengano effettuate in America dietro pagamento in contanti.

Prima corrente è guidata da elementi di tendenza demagogica; seconda raggruppa sostenitori politici di Roosevelt con elementi anglofili di partito [democratico] ed è appoggiata da organi importanti della stampa dell'Est; terza potrà riunire forti gruppi della opposiztone repubblicana ed ottenere appoggi degli isolazionisti non estremi. Quantunque prima e seconda corrente partano da punti di vista opposti, loro obbiettivi potranno in pratica coincidere in un programma di restrizioni del commercio coi belligeranti. È ovvio quindi nostro interesse nel successo della terza corrente.

Nessuno potrebbe azzardarsi per ora a fare previsioni sugli umori che prevarranno al prossimo Congresso sul quale il Governo sta già ora facendo pressioni provocando manifestazioni di opinione pubblica. In vista di ciò da tempo io mi preoccupo di mobilitare tutte le forze che possano operare a nostro favore. Collettività italiane da due mesi sono attivissime per far sentire loro peso elettorale. L'Unione Italiana di New York ha funzioni efficaci come centro di propaganda, ma potrà continuare a funzionare soltanto se venissero forniti indispensabili mezzi finanziari (mio telegramma n. 584) (1). Il 4 novembre u.s. ha avuto luogo a New York imponente cerimonia itala-americana nella quale ho parlato esprimendo pubblico sentimento di amarezza degli italiani per politica non amichevole del Governo americano. Il 14 corr. avrà luogo pure a New York grandioso comizio popolare, dal quale mi asterrò unicamente per dare modo ad influenti personalità itala-americane di esprimere con forza e con massima libertà loro critiche al Presidente e all'Amministrazione Roosevelt. Sottoscrizioni pro-Erario e campagna per raccolta di oro hanno ottenuto ovunque successo superiore all'aspettativa quando si pensi che si tratta nella grandissima maggioranza di oriundi italiani naturalizzati americani oppure nati in questo paese. Oltre ai risultati materiali, queste iniziative hanno avuto importante valore morale e politico.

Dietro impulso dato dalla R. Ambasciat8", e validamente sostenuto dagli

Uffici Consolari, associazioni e stampa italiana, in tutti i principali centri

degli Stati Uniti organizzano riunioni pubbliche con appelli e proteste a Se

natori e Deputati; inviano lettere ai giornali ecc.

Nello stimolare tutte queste attività, io debbo usare debite cautele e ciò

non per scrupoli di correttezza, ma perché ho dovere di preoccuparmi del peri

colo che manifesta interferenza dell'Ambasciata provochi, anche negli ambienti

americani a noi favorevoli, delle reazioni contrarie che potrebbero distruggere

ognl efficacia del nostro lavoro. Occorre tenere presente anche cinque milioni

di razza italiana sparsi in questo enorme Paese rappresentano sempre piccola

minoranza in una Nazione di cento venti milioni.

Nel campo puramente americano mia azione, che in primo momento era

stata rivolta verso tentativo di amichevole persuasione del Dipartimento di

Stato, tende ora principalmente ad incoraggiare elementi contrari alla politica

estera della Amministrazione Roosevelt.

Mantengo stretti contatti con questa Delegazione Apostolica per seguire

da vicino attività degli ambienti cattolici, che sono in maggioranza irlandesi.

Così pure con questo Ministro di Irlanda, col quale sono in eccellenti rapporti

personali. Per il tramite del R. Console a Detroit sono in relazione con Padre

Coughlin. Vedo spesso Simond, il quale ancora ieri sera ha attaccato vigoro

samente in un discorso pubblico politica di pseudo-neutralità del Dipartimento di Stato. Sono in cordiali relazioni con signor Castle, già Sottosegretario di Stato nell'Amministrazione repubblicana, il quale recentemente ha preso pubblicamente difesa della politica italiana.

Beninteso mi preoccupo in modo particolare di mantenere contatti con stampa nonché con tutti gli altri ambienti nei quali può essere esercitata azione utile, per incoraggiare mantenimento di una vera neutralità.

Quanto al signor Fletcher (telegramma di V. E. n. 498) (1), trovo frequenti occasioni di incentrarlo e non manco di far valere presso di lui argomento elettorale che lo può interessare come Presidente del Comitato Nazionale del Partito repubblicano. Egli mi ha più volte espresso sue simpatie personali per causa italiana e mi ha promesso appoggio, pur lasciando comprendere che delicatezza della sua carica gli impone particolare riserva, in quanto che aperta sollecitazione del voto italiano, potrebbe avere ripercussione sfavorevole per il suo partito in altri ambienti. Ho creduto necessario dilungarmi nel prospettare quadro della situazione attuale per mettere in evidenza tutta la sua complessità e quindi necessità tattiche che comporta nostra battaglia sul fronte americano.

(l) -Vedi D. 713. (2) -Vedi D. 677. (3) -Vedi D. 592. (5) -Vedi D. 697.

(l) Non pubblicato.

711

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. U. 8908-8912/915-916 R. Parigi, 25 novembre 1935, ore 20,25 (per. ore 3,45 del 26).

Telegrammi di V. E. n. 782 (2) e 789 (3).

Ho riveduto stamane Lavai che mi ha informato essersi espresso sabato sera con Clerk in termini da !asciargli chiaramente intendere le sue preoccupazioni molto serie accordo per inclusione petrolio nell'embargo.

Gli aveva detto, fra l'altro, che, nelle mie conversazioni con lui, pur avendo marcato di non volere assimilare embargo del petrolio ad una vera e propria misura di guerra sopratutto per non avere l'aria di fare un ricatto, avevo però insistito sulla gravità di un provvedimento che ostacolerebbe non solo operazioni belliche, ma anche vita normale civile dell'Italia.

Egli non aveva potuto fare a meno di riconoscere buon fondamento della mia osservazione e rimanere impressionato pensando alle conseguenze funeste e forse tragiche che provvedimenti avrebbero potuto avere. Pertanto doveva richiamare anche l'attenzione del Governo britannico sulla situazione che si creerebbe includendo petrolio nella lista in modo intempestivo sia perchè non ci si è ancora potuti rendere conto delle conseguenze delle prime sanzioni

causa».

economiche, sia perchè si verrebbe ad ostacolare azione conciliatrice che Ginevra ha affidato a Francia e Inghilterra. Clerk parve rendersi conto dell'importanza delle sue osservazioni e promise di riferirle a Londra. Circostanza, che il Governo britannico accettò iersera, che sino al 29 non si discuta circa epoca della riconvocazione del Comitato dei Diciotto, gli sembrava favorevole. Egli aveva telefonato stamane personalmente a Vasconcellos informandolo che ragioni di politica interna gli impedivano di trovarsi 29 a Ginevra e che occorreva dunque discutere dopo quella data circa convocazione del Comitato dei Diciotto. Aveva aggiunto che argomento posto all'ordine del giorno era di una tale importanza da richiedere molta ponderazione da parte vari Governi. Lavai mi ha detto di aver avuto impressione che sue parole avessero fatto effetto di una doccia fredda sopra Vasconcellos.

Ho risposto che mi risultava che questi era un irrequieto e per di più una lancia spezzata dell'Inghilterra. Quanto egli aveva fatto, serviva a far guadagnare qualche giorno. Visto, però, che egli mi aveva ripetutamente dichiarato di essere personalmente contrario all'inclusione del petrolio nella nota lista, occorreva agire ora in modo che di tale inclusione non si parlasse più a causa dei pericoli che potrebbe ingenerare. Ci aspettavamo dunque che agisse con energia. Ciò avrebbe in fondo servito anche alla sua posizione politica. Già il solo annunzio che la Francia aveva chiesto ed ottenuto il rinvio della seduta del 29 a Ginevra era commentato assai favorevolmente.

Lavai mi interruppe per dirmi che il Governo britannico aveva consentito a discutere soltanto dopo il 29 circa riconvocazione del Comitato a condizione che egli consentisse ad assumere responsabilità del provvedimento. Egli aveva detto a Clerk di non avere difficoltà a che fosse pubblicato che la Francia aveva chiesto il rinvio. Sperava, però, che la stampa, specialmente la nostra, non rendesse soverchiamente difficile la sua posizione con allusioni alla sua avversione all'inclusione del petrolio.

Gli ho ripetuto che egli non pareva rendersi conto che il mondo attendeva con ansia un gesto di opposizione decisa alle inaudite imposizioni inglesi, gesto che anzi che nuocergli gli avrebbe giovato immensamente in Francia e fuori. Ed accennai alla necessità che egli compisse passo a Bucarest per indurre Romania a sollevare obbiezioni che egli avrebbe potuto avvalorare appoggiandole.

Lavai mi pregò di !asciargli il tempo di riflettere a riguardo. Fino al 29 sarebbe stato tutto preso dalla politica interna. Se fosse riuscito ad ottenere vittoria parlamentare mi prometteva che si sarebbe rimesso con lena alla soluzione del problema itala-etiopico ed avrebbe considerato anche la convenienza di agire sulla Romania. Non poteva fare previsioni circa esito dibattito parlamentare. Egli aveva ritenuto preferibile rivolgersi direttamente al Paese e perciò avrebbe parlato al popolo francese domani sera chiedendogli di dargli o negargli consensi, di concedergli poteri molto vasti che gli accorrevano.

Lavai mi diede quindi lettura della parte del suo messaggio relativa alla

politica estera. Essa non è molto estesa. Accenna alle difficoltà dell'anno che

sta per finire; dice che, nonostante risoluzione questione della Sarre e le

intese di Roma, Londra e Stresa il pericolo di complicazioni internazionali non

è scomparso e preoccupa Governo francese. Accenna conflitto itala-etiopico che, sorto tra due Paesi membri della Lega delle Nazioni, pone Francia in una situazione delicata dato che sua politica estera, dalla guerra in poi, si basò sul Patto; che amicizia per Inghilterra è un altro caposaldo di tale politica e che accordi di Roma consacrano amicizia con l'Italia. Mentre vuole rimanere fedele al Patto, desidera trovare il modo di conciliare belligeranti, giusta mandato che

S.d.N. affidò a Francia e Inghilterra. Confida in collaborazione del Governo inglese e, nel caso che opera di conciliazione progredisca e tenga conto di quel che sono legittime aspirazioni italiane, egli farà appello allo spirito arrendevolezza del Duce per poter compiere opera di pace.

Ho detto a Lavai che occorreva che aggiungesse qualche parola là dove parlava degli accordi di Roma dicendo che anche amicizia dell'Italia costituiva ormai uno dei capisaldi della politica francese.

Mi promise di farlo tanto più che stava tuttora correggendo e completando testo suo messaggio.

Non tralascerò inoltre di insistere presso Lavai sebbene ritenga che non sarà possibile avvicinarlo fino al 29 corrente. Intanto svolgo azione attiva presso stampa.

(l) Con T. 13033/496 P.R. del 6 novembre 1935, ore 24, Suvi>ch aveva segnalato la «convenienza accentuare costà contatti con s~gnor Fletcher, ex-Ambasciatore a Roma, il quale ha più volte cii:-nostrato di esserci amico ed ha certamente modo rendersi utile alla nostra

(2) -Vedi D. 686. (3) -Vedi D. 707.
712

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8883-8920/536-537 R. Ginevra, 25 novembre 1935, ore 20,45 (per. ore 21,50).

Lavai ha telefonato al Signor de Vasconcellos per dirgli che siccome gli era impossibile di trovarsi a Ginevra per il 29 novembre lo pregava di rinviare sine die la riunione del Comitato dei Diciotto già fissata per quel giorno. Vasconcellos ha aderito e si è convenuto che il 29 novembre, in base all'esame della situazione, sarà da lui fissata nuova data di riunione del Comitato incaricato di esaminare l'estensione dell'embargo al petrolio.

Nella conversazione telefonica con Vasconcellos, Lavai ha insistito molto per il rinvio del Comitato dei Diciotto, affermando, tra l'altro, che egli non era neppure sicuro per il 29 corrente d'essere più Ministro degli Affari Esteri francese e facendo quindi rilevare assoluta inopportunità convocazione nell'attuale momento politico. Lavai, per dare più forza alla sua preghiera, ha affermato che, se restava al potere, intendeva partecipare personalmente ai lavori del Comitato e che pel 29 gli era impossibile trovarsi a Ginevra.

Vasconcellos, dato che Laval gli ha assicurato di essere d'accordo con Londra, ha aderito proposta, tuttavia egli ha detto a mio confidente proprio stamane che all'embargo sul petrolio bisognerà, in ogni caso, arrivare durante il mese di dicembre per le ragioni seguenti:

l) perchè l'Inghilterra e altri Paesi sono convinti che l'embargo sul petrolio, malgrado il contrabbando e la possibile defezione, è il solo mezzo per mettere fine rapidamente alla guerra; secondo le previsiOni di molti esperti, una volta posto l'embargo sul petrolio, l'Italia non potrebbe continuare le ostilità che al massimo per un mese;

2) malgrado il tentativo di Lava!, nessuno crede, nè a Londra nè a Ginevra, alla possibilità di un accordo in questo momento; neppure quindi all'opportunità di soprassedere all'estensione dell'embargo per facilitare le trattative;

3) l'atteggiamento degli S.U.A. mostra che essi intendono cooperare in questo campo con la S.d.N. e se S.d.N. non raccogliesse invito di Washington, impressione in America sarebbe disast1·osa e ogni possibilità ulteriore di collaborazione da parte degli S.U.A. compromessa.

Queste sono le idee di Vasconcellos e naturalmente del Segretariato.

D'altra parte, a quanto consta qui, a Parigi l'Inghilterra mette in rilievo che suoi passi a Washington hanno avuto pieno successo e che oramai la solidarietà anglo-sassone per porre fine alla guerra è piena e cordiale.

I circoli francesi qui fanno presente che Coulondre fece una espressa riserva quando fu avanzata proposta del canadese Ridell, affermando che la Francia avrebbe potuto aderire all'embargo sul petrolio, carbone ecc. solamente quando si fosse avuto per queste misure adesione dei principali Paesi alleati. Dato ciò, i francesi si sentono legati all'impegno preso qualora America chieda di aderire all'estensione dell'embargo al petrolio e al carbone. Essi considerano quindi che l'Italia dovrebbe svolgere una energica azione a Washington per convincere quel Governo che l'embargo sul petrolio è una misura discriminatoria contraria al principio di neutralità in quanto essa è destinata a colpire soltanto l'Italia. In tal modo sarebbe favorita l'azione che svolge il Presidente Lavai che, per ora, non può essere intesa che semplicemente a procrastinare la convocazione del Comitato.

713

L'INCARICATO D'AFFARI A SANTIAGO, SILENZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8923/129 R. Santiago, 25 novembre 1935, ore 21,26 (per. ore 5,30 del 26). Suo telegramma n. 83 (l).

Provvedimenti legislativi e decreti su sanzioni fino ad ora non esistono, nè probabilmente esisteranno.

Pur confermando miei telegrammi 126 (2) e 128 (3), aggiungo che è forse ottenibile, in via amichevole, poter esportare prodotti cileni verso Italia presentando, durante sessanta giorni stabiliti riserve Cile Ginevra, polizze Cile di merci italiane già arrivate in dogana Cile o prossime arrivare per valore corrispondente ai prodotti cileni che si esporteranno.

Questo Ministero Affari Esteri, d'accordo con me, ha cercato sempre sottrarre pratica applicazione sanzioni. a decisioni Camere per ovvia ragione che tanto deputati che senatori sono decisi sanzionisti ed in ogni modo assumerebbero atteggiamento meno favorevole di quello assunto da Gabinetto. Cile farà inoltre quanto potrà per far restare salnitro fuori sanzioni e sembra ciò sia già fatto compiuto. Quanto a rame è molto importante per Cile atteggiamento che prenderanno S.U.A., dai quali questa industria dipende.

Insisto che, dato leale atteggiamento Cile, nostra azione qui debba continuare per mezzo contatto amichevole con Ministero degli Affari Esteri evitando soverchie pressioni e cercando fare evitare ingerenza due Camere.

(l) -Vedi D. 709. (2) -Vedi D. 674. (3) -Non pubblicato.
714

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 8915/918 R. Parigi, 25 novembre 1935, ore 22,25 (per. ore 1,15 del 26).

Mi sono informato da Lavai del lavoro degli esperti.

Dopo aver telefonato a Saint-Quentin, con sorpresa egli mi ha detto che Peterson aveva sollevato sempre molte obbiezioni circa Tigrai. Compresi che inglesi vorrebbero al massimo concederci parte orientale di esso, escludendo in ogni caso Axum. Osservato che questa era cosa inammissibile. Compresi pure che Lavai sta pensando alla possibilità di concedere indipendenza Tigrai, che dovrebbe però essere regione più estesa di quanto non vorrebbero inglesi e comprendere Axum.

Circa la regione meridionale, Lavai mi disse che meridiano 37°, da me indicatogli come limite ad occidente della zona sotto mandato o altra forma di amministrazione italiana, era stato dichiarato dagli Inglesi richiesta non fondata su alcuna ragione. Me ne mostrai stupito, perchè non esistevano interessi inglesi ad Est di quel meridiano.

Peterson deve avere altro colloquio con Saint-Quentin, domani.

Ho ricordato a Lavai che egli mi aveva chiesto se noi avessimo notizie delle disposizioni del Negus-Neghesti e gli ho domandato se lui avesse ricevuto qualche informazione in proposito.

Mi rispose negativamente, ma aggiunse che avrebbe telegrafato al proprio Ministro, che era diplomatico distinto, chiedendo di precisargli quali fossero intendimenti del Negus Neghesti. Mi avrebbe poi informato. Aveva sentito dire che Negus sarebbe stato disposto cedere ma che persone che gli stanno intorno, specialmente Hawariate, non permettevano che si mostrasse arrendevole.

Temeva che, sino giorno in cui Inghilterra non desse al Negus consigli di moderazione, egli si sarebbe mostrato intransigente.

715

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DI CINA A ROMA, LIOU VON TAO

APPUNTO. Roma, 25 novembre 1935.

Ho convocato l'Ambasciatore di Cina e dopo avergli ripetuto presso a poco gli stessi argomenti che all'incaricato d'affari di Romania (l) circa le nuove sanzioni progettate, ho attirato la sua attenzione sulla cordialità degli attuali rapporti italo-dnesi e sulla utilità per entrambi che essi si mantengano tali in avvenire. Perchè ciò si avveri è necessario che il Governo cinese in questa occasione faccia al più presto, e possibilmente prima del 1° dicembre, una dichiarazione per noi soddisfacente circa le sanzioni. La nostra amicizia per la Cina, comprovata dall'ospitalità che offriamo ai numerosi aviatori cinesi in Italia, potrebbe subire un grave colpo nel caso che la Cina si rifiutasse di corrisponderci con un gesto amichevole in questa circostanza.

L'Ambasciatore mi ha promesso di telegrafare immediatamente al suo Governo ed ha aggiunto che qualora la risposta non fosse favorevole, egli sarebbe disposto a recarsi in Cina per agire personalmente presso il suo Governo, dato che la situazione del suo Paese di fronte alle sanzioni è molto complicata. A tal riguardo egli mi ha ripetuto i soliti argomenti relativi al conflitto col Giappone, che pesa in modo pressochè esclusivo sull'atteggiamento cinese in qualunque settore politico, e quindi anche in quello delle sanzioni.

Ho risposto che proprio la preminenza della politica giapponese sull'atteggiamento cinese doveva decidere in questa circostanza il Governo cinese in nostro favore, dato che due anni or sono, in occasione della vertenza cinogiapponese, nessuno aveva pensato ad applicare sanzioni contro il Giappone dopo che esso era stato condannato a Ginevra. Tale precedente conferiva ora al Governo cinese una piena libertà nella politica delle sanzioni, tanto più se si tiene conto dell'amicizia disinteressata che in questi ultimi anni si è andata formando tra i nostri due Paesi.

Gli facevo del res,to notare che il Giappone, da parte sua, si è mantenuto perfettamente estraneo alla campagna sanzionista contro l'Italia, il che deve contribuire a rendere agevole la posizione attuale del Governo cinese (2).

716

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 25 novembre 1935.

Ho convocato l'Ambasciatore di Russia a cui ho fatto le stesse comunicazioni che all'Ambasciatore di Cina e all'Incaricato d'Affari di Romania (3).

Mi ha chiesto quale fosse l'esatta portata di queste comunicazioni e che cosa esattamente dovesse riferire a Litvinov.

Gli ho detto di sentire il dovere di attirare l'attenzione del Commissario per gli Affari Esteri sullo stato dell'opinione pubblica italiana, chiarendogli che una eventuale messa in azione di nuove sanzioni, potrebbe avere conseguenze di una estrema gravità. Anche a lui ho accennato la speciale situazione di Lavai e la convenienza, per la Russia, di presentire il governo francese.

(l) -Vedi D. 717. (2) -Trasmesso a Shanghai con T. 2475/304 R. del 28 novembre 1935, ore 24. (3) -Vedi DD. 715 e 717.
717

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI ROMANIA A ROMA, LECCA

APPUNTO. Roma, 25 novembre 1935.

Ho convocato l'Incaricato d'Affari di Romania dato che il Ministro è assente da Roma -e in conformità con le istruzioni di V. E. gli ho fatto la seguente comunicazione:

A solo pochi giorni dalla entrata in vigore delle sanzioni si è iniziata una manovra per aggravarle, estendendole anche al carbone, all'acciaio ed al petrolio. Questa manovra, che niente giustifica, ha sollevato in Italia vera indignazione in quanto essa rivela una intenzione di soffocamento, contro cui il popolo italiano insorgerà come un sol uomo. Credevo quindi mio dovere attirare in modo speciale l'attenzione di Titulescu sulla gravità della situazione, ricollegando la comunicazione odierna alle varie conversazioni avute sull'argomento a Ginevra con lui.

In particolare pregavo comunicare a Titulescu che i giudizi sulla opportunità di questa nuova misura sanzionista non sono affatto unanimi. Come probabilmente gli era noto, Lavai era, ad esempio, decisamente contrario e se non assumeva alcuna iniziativa in proposito, era solo perchè il suo paese non è produttore di petrolio. Era tuttavia da attendersi che qualora Titulescu, in nome degli interessi del suo paese, assumesse egli qualche iniziativa contro le misure progettate, troverebbe sicuramente in Lavai un sostenitore.

Avendomi il mio interlocutore chiesto quale fosse, secondo il mio parere personale, l'atteggiamento più opportuno per la Romania in questa circostanza, gli ho risposto di ritenere consigliabile che Titulescu si metta direttamente in comunicazione con Lavai e con i Governi della Piccola Intesa e della Unione Balcanica, facendosi iniziatore di una azione comune contro simili eccessi sanzionistici che tendono a provocare conseguenze forse gravissime per la pace mondiale.

718

IL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 25 novembre 1935.

Il Conte di Fossombrone ha ricevuto l'invito a partecipare ad una riunione della Deutsche Akademie per il 29 corrente. Egli chiede se possa recarsi

a Berlino dove si limiterebbe ad ascoltare quelle notizie che gli venissero eventualmente fornite in occasione di detta riunione di carattere giuridico. Il Conte di Fossombrone partecipa a queste riunioni della Deutsche Akademie da oltre dieci anni (l).

719

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2551/736. Lisbona, 25 novembre 1935 (per. il 3 dicembre).

Telespresso R. Ministero Affari Esteri n. 241150/C del 15 corr. (2).

Ringrazio V. E. di avermi inviato con il telespresso a cui mi riferisco copia del riassunto di un colloquio avuto da S. E. Suvich con cotesto Ministro del Portogallo. Le sue dichiarazioni circa un contegno più benevolo verso la tesi e l'azione italiana dalla stampa portoghese sono poco corrispondenti a verità: questa stampa nella sua grande maggioranza continua non solo ad essere favorevole alle sanzioni e alla politica di Ginevra ma spesso commenta con soddisrazwne ognt falsa notizia proveniente a traverso le agenzie da Addis Abeba. Sui due giornali che finora hanno mantenuto e continuano mantenere in Portogallo verso di noi un atteggiamento amichevole, il Comercio do Porto e la Voz (e questa anche a costo di incorrere quasi quotidianamente nei rigori della censura), non ha cert3 influito nè l'azione del signor Lobo d'Avila e nemmeno quella del governo di Lisbona.

720

L'INCARICATO D'AFFARI A LIMA, GAETANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8986/168 R. Lima, 26 novembre 1935, ore 13,48 (per. ore 21,55).

Mi riferisco al mio telegramma n. 160 (3). Decreto presidenziale contemplante embargo armi è stato promulgato retrodatato 29 ottobre u.s. Governo cura evitarne pubblicità.

Ministro Esteri mi ha detto che Governo si vede costretto prendere ulteriori provvedimenti in materia sanzioni, pure essendo deciso far sì che essi producano il meno possibile turbamento rapporti con Italia. Ho fatto presente al signor Conha che tale provvedimento sarebbe in contrasto con assicurazioni datemi ripetutamente. Mi ha comunicato che avrebbe riesaminato la questione con il Presidente della Repubblica.

Ho potuto comprendere che sull'evoluzione atteggiamento Governo locale ha influito pressione Governo inglese profittante attuale trattative anglo-peruviane per stipulare Trattato di Commercio.

(l) -Questo appunto reca la seguente annotazione: <<Si. M[ussolini] >>. (2) -Trasmetteva il sunto del colloquio Suvich-D'Avila Lima del 9 novembre, per il quale vedi D. 598. (3) -Il T. 8525/160 bis R. del 16 novembre 1935, ore 20,12, informava <iella firma del decreto.
721

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9026/298 R. Atene, 26 novembre 1935, ore 15,20 (per. ore 18,20).

Telegramma di V. E. n. 2208/C (1). Per via aerea trasmetto oggi stesso a V. E. risposta rimessami da questo Ministero degli Esteri a nota verbale protesta per applicazione sanzioni.

Governo ellenico, nell'affermare che, d'accordo con firmatari Patto balcanico, si è sforzato di trovare una soluzione equa al conflitto itala-etiopico, si dice animato sentimenti più amichevoli verso l'Italia e ardentemente desideroso di vedere posto fine a vertenza alla quale esso è estraneo. Conclude peraltro • che non può venire meno a impegni solenni sanciti dalla Lega delle Nazioni e all'adozione di misure derivanti dal Patto.

722

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO

T. 2402/141 R. (2). Roma, 26 novembre 1935, ore 20,30.

Chieda udienza a Re Boris e gli lasci questo mio messaggio.

«A. S. M. RE BoRIS. Mi permetta la Maestà Vostra di dirle che adesione data dalla Bulgaria alle inique sanzioni ginevrine ha suscitato la più penosa e amara impressione in tutta Italia. La Bulgaria aveva l'obbligo morale di seguire l'Austria, l'Ungheria, l'Albania o comunque di avanzare quelle riserve che sono state avanzate da sedici Stati fra i quali molti più deboli e piccoli della Bulgaria. Oggi che la Bulgaria ha un nuovo Ministero può compiere quel gesto che non ha osato compiere specie nel momento in cui si minacciano ulteriori inasprimenti sanzionistici. Sarà per me molto penoso far incidere il nome della Bulgaria fra quelli che hanno tentato di strangolare l'Italia. Accolga la Maestà Vostra l'espressione della mia devozione. MussOLINI ».

Dopo consegnato mi riferisca (3).

(l) -Vedi D. 602, nota 2. (2) -Minuta autografa. (3) -Sapuppo rispose con T. 9132/175 R. del 29 novembre 1935, ore 21,20: «Ho consegnato stasera a J:te horis messaggio. Sua Maestà si è riservato parlarne subLto a Prestdente del Consiglio Ministro degli Affari Esteri e mi ha incaricato trasmettere V. E. suoi sentimenti simpatia. Su colloquio avuto, riferirò col corriere di domani [vedi D. 762] ». Successivamente Sapuppo riferì che sarebbe stato dato incarico al Ministro di Bulgaria a Roma di chiedere udienza al Duce per consegnare la risposta di Re Boris, dall'esame dell'elenco delle udienze di Musso:ini non risulta tuttavia che tale colloquio abbia avuto luogo.
723

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8565/207 R. Bucarest, 26 novembre 1935, ore 20,50 (per. ore 23,15).

Telegramma di V. E. n. 2396/C (1).

Ho intrattenuto subito Titulescu su questione petrolio. Egli aveva ricevuto telegramma da Incaricato d'Affari a Roma che riferiva circa colloquio con Aloisì (2) facente appello sentimenti amicizia, ripetutamente manifestati da Titulescu, per interessarlo prendere in seno al Comitato dei Diciotto iniziativa avversa inclusione petrolio nella lista articoli vietati e pregarlo prendere contatti con Lavai per fargli presente difficoltà in cui Romania troverebbesi.

Titulescu ha già risposto a Incaricato d'Affari, ricordando che la Romania condiziona eventuale adesione all'embargo alla compartecipazione da parte di tutti i Paesi del mondo. Cosa impossibile, egli ha commentato.

Gli ho fatto rilevare che tale atteggiamento non era da noi considerato

• soddisfacente: Romania avrebbe dovuto dichiararsi nettamente ostile all'embargo, ciò che del resto corrispondeva anche a suoi interessi. Titulescu ha obiettato difficoltà in cui si trova: ha comunque escluso che ogni eventuale restrizione diventi esecutiva prima gennaio-febbraio e mi ha proposto moltiplicare nostri acquisti in Romania.

Abbiamo convenuto che ci saremmo incontrati venerdì prossimo insieme Ministro competente e col Governatore della Banca Nazionale per studiare questione pagamenti. Titulescu mi ha fatto intendere che spera convincere organi finanziari e non pretendere più pagamenti integrali in divisa forte e ad accontentarsi solo pagamento parziale. Sulla questione dei pagamenti gradirò istruzioni prima del termine suddetto.

724

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8992/145 R. Belgrado, 26 novembre 1935, ore 23,35 (per. ore 3 del 27).

A nome Presidente del Consiglio questo Direttore Generale Affari Politici è

venuto consegnarmi questo pomeriggio nota di risposta Governo jugoslavo

nostra nota 11 novembre (3).

Trasmetto testo corriere odierno (4).

Premesso ardente desiderio [per una] rapida equa soluzione conflitto italoetiopico, Governo jugoslavo dichiara che tale suo desiderio è dettato da sentimenti amicizia che nutre verso Italia e da quelli più sinceri conservare attuali relazioni amichevoli. Dichiara non essere direttamente interessato conflitto. Jugoslavia ha partecipato misure deliberate in comune soltanto a titolo di membro S.d.N. trovandosi legata impegni solenni applicare articoli Patto. Per tali circostanze generali [condotta] Governo jugoslavo, a dispetto suoi sentimenti amichevoli verso Italia, è stata non ripartirsi atteggiamento adottato dagli altri Stati membri. Nota termina dicendo che Governo jugoslavo mediante tali precisazioni crede avere esposto sincere linee direttrici suo contegno presenti circostanze. Nel consegnarmi nota Direttore Affari Politici espressomi scuse Governo jugoslavo per ritardo risposta dovuto necessità scambio di vedute con altri Governi Piccola Intesa e Intesa balcanica. Mi ha anche accennato, a titolo personale, a difficoltà dovute superare presso Titulescu e Benes per dare alla risposta jugoslava una intonazione più marcatamente amichevole (1).

(l) -Oon tale telegramma del 25 novembre 1935, ore 23, Rocco comunicava a Londra, Berlino. Mosca, Washington. Buc!l!rest e Ginevra le notizie di cui al D. 699. (2) -Vedi D. 717. (3) -Vedi D. 602, nota 2. (4) -Non pubblicato.
725

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA S.D.N., ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTER!, MUSSOLINI

T. 542. Ginevra, 26 novembre 1935 (2).

Avenol mi ha detto stamane che il Governo italiano deve guardare in faccia la realtà e non farsi alcuna illusione sulla possibilità che l'embargo sul petrolio venga ancora dilazionato.

Egli sapeva quali fossero gli intendimenti britannici e russi al riguardo. Quanto alla attitudine americana non gli sembrava vi potesse essere più dubbio. L'embargo sul petrolio sarà dunque posto entro il mese di dicembre.

Avenol considera questa misura come gravissima per l'Italia. Egli ignora quali scorte di petrolio e di carbone abbia il Governo, quali che possano essere sue forniture, gli sembra indubbio che l'estensione dell'embargo è destinato ad avere una ripercussione decisiva sull'esito della guerra. Egli ritiene che l'embargo sul petrolio porta non solo a pregiudicare le possibilità di una lunga campagna in Etiopia ma anche ad indebolire fortemente la situazione militare dell'Italia in Europa e quindi a togliere al governo fascista molte delle sue possibilità di manovra sul terreno diplomatico che esso conserva ancora oggi.

Di qui, secondo Avenol, la necessità pel Governo italiano di cercare e trovare una soluzione del conflitto al più presto, e, se possibile, nel corso del mese di dicembre. Avenol ritiene che più il tempo passa e più la situazione italiana diventerà difficile.

Mentre negoziando ora il Governo fascista non darà la sensazione di agire sotto la pressione delle sanzioni, tra qualche tempo la sua posizione sarà

49 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

indebolita, perchè fatalmente il blocco sul petrolio lo dovrà portare alla ricerca di una soluzione che, oltre a dovere essere escogitata con maggior fretta, darà all'Inghilterra una sempre maggiore intransigenza.

Avenol mi ha chiesto se era vero che Drummond avesse proposto al Capo del Governo di riprendere negoziati e anzi presentato delle proposte. Gli ho detto di ignorarlo. Egli ha aggiunto che si augurava che la notizia fosse vera.

Sperava anche che il Generale Badoglio potesse ottenere una grossa vittoria militare, il che avrebbe migliorato di molto posizione italiana, a condizione che la vittoria non irrigidisse la nostra intransigenza perché -riteneva suo dovere sottolinearlo -l'atteggiamento della Lega delle Nazioni non sarebbe cambiato e le sanzioni avrebbero operato in profondità man mano che il tempo passava.

Ormai -egli ha detto -l'alleato dell'Inghilterra è il tempo, l'alleato del Duce è la tempestività nel saper scegliere il momento buono per trattare. E tale momento buono gli sembra possa maturarsi nelle prime settimane di dicembre.

Ho risposto ad Avenol che la calma e la serenità di cui dava prova il

R. Governo erano chiara dimostrazione che esso provvedeva ad esaminare tutte le eventualità ed a prendere tutte le misure per fronteggiare tempestivamente gli sviluppi della situazione. Gli confermavo comunque quanto gli avevo già detto sulla gravità delle conseguenze che potranno derivare dal minacciato embargo.

Avenol si è mostrato infine pessimista sulla situazione di Laval, al quale rimproverava una politica di equilibrismo che non può avergli giovato, ma non ha escluso che Lavai, con abile manovra, possa anche salvarsi. Mi è parso comprendere comunque che egli non si augura affatto questa seconda eventualità.

(l) -II presente documento reca il visto eli Mussolini. (2) -II documento, non essendo stata rinvenuta la copia originale, risulta sprovvisto del numero di protocollo in arrivo e delle ore di partenza e di arrivo.
726

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. PER CORRIERE 0339. Londra, 26 novembre 1935.

Oggi nel pomeriggio ha avuto luogo al Foreign Office una riunione dei rappresentanti delle Potenze che prenderanno parte alla Conferenza Navale per discutere questioni di procedura e di organizzazione della Conferenza medesima.

Ho avuto quindi occasione di incontrarmi al Foreign Office con Sir Samuel Hoare e con lui di nuovo stasera durante una riunione presso l'Institut of Foreign Affairs, alla quale era presente il Principe di Galles.

Non ho potuto fare a meno di scambiare con Hoare qualche parola sulla situazione. Hoare mi ha domandato se avevo nulla di nuovo da dirgli. Gli ho risposto che non avevo nulla di nuovo. Gli ho accennato che il mio Governo mi aveva chiesto di illustrargli la nota britannica consegnatami venerdì scorso (l); giacché avevo l'occasione domandavo a lui, Hoare, come dovevo interpretare il paragrafo n. 4 della nota stessa e precisamente l'alinea: « His Majesty's Government do not conceal their anxiety to facilitate, so far as lies in their power as a Member State of the League of Nations, and at the earliest possible moment, a settlement of the regrettable conflict in progress ~.

Hoare mi ha risposto che appunto per questo e cioè per discutere la possibilità di un regolamento della questione abissina, egli aveva inviato Peterson a Parigi. Peterson sarà di ritorno fra qualche giorno. Hoare ha continuato domandandomi se potevo formulargli il mio pensiero in un modo più concreto.

Ho premesso a Hoare che io non avevo alcuna istruzione di discutere con lui la situazione, e pertanto egli doveva accogliere quanto io gli dicevo come espressione di un punto di vista puramente personale, che poteva benissimo non essere condiviso dal mio Governo «Durante quest'ultimo periodo, ho detto a Hoare, vi è stato un contatto interessante fra il Duce e l'Ambasciatore di Francia Chambrun (2), nel quale si è esaminato un possibile regolamento della questione abissina sopra delle basi eque e ragionevoli per tutte le parti. Perché non si riprende la discussione sulla base dell'esame fatto fra il Duce e Chambrun il 16 ottobre ? ~.

Hoare mi ha risposto: «È difficile per l'Inghilterra esaminare la so-luzione della questione etiopica sulle basi del contatto Mussolini-Chambrun. Questo significherebbe dare all'Italia praticamente l'intera Abissinia. Il Capo del Governo italiano insiste nel domandare «tutta~ l'Abissinia. Non è possibile trattare su queste basi ~.

Ho replicato a Hoare che il Governo britannico ha sempre rimproverato a quello italiano di avere respinto (il che non è esatto) le basi di discussioni che gli erano state man mano prospettate a Roma nel giugno, e a Parigi nell'agosto. n Governo britannico deve guardarsi dal commettere oggi proprio quel preteso errore che esso ha ingiustamente attribuito al Governo italiano.

Hoare ha riconosciuto che non poteva negare la giustezza di questa mia osservazione, e che da parte sua egli avrebbe fatto del suo meglio per mantenere il negoziato sempre aperto. «Si tratta soltanto di trovare una base possibile. Bisogna anche considerare -Hoare ha continuato -che la situazione peggiorerà perché molto difficilmente il Governo britannico potrà resistere alle pressioni che gli sono state fatte per l'applicazione dell'embargo sul petrolio e per l'adozione di ulteriori misure nel campo delle sanzioni economiche'>.

Ho risposto a Hoare che bisogna tener conto della nuova situazione che si è creata e che è stata descritta al Governo britannico nella Nota italiana dell'l! novembre. Ma innanzi tutto bisogna tener conto della prova meravigliosa di unità, di resistenza morale e di fedeltà fascista data dal popolo ita

liano. Vi erano e vi sono ancora taluni i quali ritengono che un prolunga

mento e un ulteriore « giro di vite » nel meccanismo delle sanzioni potrà piegare definitivamente la resistenza dell'Italia, provocare dissensi interni e costringerla ad accettare quella soluzione della questione abissina che le sarà imposta. Nulla di più errato. Il popolo italiano è un blocco granitico stretto intorno al suo Duce. Non solo venti anni di Rivoluzione fascista ma cinque secoli di storia d'Italia stanno a dimostrare che di fronte alla coscienza della ingiustizia sofferta da parte e per colpa dello straniero, la nostra razza ha sempre trovato delle possibilità e delle forze inesauribili di ribellione e di resistenza. Non bisogna portare la nazione italiana a quel punto in cui essa dovesse sentirsi costretta a scegliere fra un'umiliazione e un maggiore rischio. L'Italia intera non esiterebbe un istante a fare la sua scelta.

Hoare non ha risposto per un momento come riflettendo a quanto io molto calmamente gli andavo dicendo. Poscia la conversazione è ritornata al punto di partenza e cioè all'esame di una possibile soluzione della questione abissina.

«Una delle maggiori difficoltà, ha detto Hoare, è rappresentata dalla domanda italiana di sovranità sul Tigré che è una provincia amarica e che fa parte del nucleo storico dell'Etiopia».

Ho replicato a Hoare che se si considera la situazione nei suoi precedenti storici il Tigré è storicamente un territorio italiano poiché venne già attribuito all'Italia col Trattato di Uccialli. Ma quello che importa di più, ho aggiunto, è che il Tigré è una terra sacra per l'Italia così come la terra di Kartum è stata sacra per il popolo britannico dopo il sacrificio di Gordon. I battaglioni italiani che hanno marciato su Adigrat, su Adua, su Makalé e che stanno marciando su Amba Alagi hanno sulle loro bandiere lo stesso motto dei battaglioni inglesi che Kitchener ha guidato alla riconquista di Kartum: « Let us go and bury our deads ». Ma poi, ho aggiunto, da un punto di vista puramente « societario » è possibile che la S.d.N. consenta a riconsegnare nelle mani dei negrieri di Addis Abeba venti mila schiavi liberati dall'Italia nel Tigré ed alla vendetta del Negus le popolazioni del Tigré che sono sponta

.neamente venute incontro alle truppe italiane salutandole come i loro liberatori dall'oppressione del Negus?

Hoare mi ha risposto dicendo che non vi è dubbio che le mie argomentazioni avevano il loro peso, ma che tuttavia le difficoltà erano grandi. Egli tuttavia avrebbe riflettuto attentamente su quanto gli avevo detto, e, in una prossima occasione, avremmo di nuovo ripreso a discutere su questo punto.

Ho domandato a Hoare se poteva dirmi qualche cosa sui colloqui che hanno avuto luogo a Parigi in questi giorni fra Peterson e Saìnt-Quentin.

Hoare mi ha risposto che egli ritiene utili questi colloqui in quanto che essi potranno contribuire ad avvicinare sempre più fra loro il punto di vista francese e il punto di vista britannico, ma che non si attende gran che come risultato pratico di tali conversazioni.

Ho detto a Hoare se non gli sembrava giunto il momento in cui il canale indiretto Londra-Parigi, Parigi-Roma potesse essere utilmente integrato da un contatto diretto Londra-Roma allo scopo di esaminare in modo concreto, fra il Duce e Drummond, le basi per un possibile regolamento della questione etiopiea. L'opinione pubblica inglese ed europea attende questo come risulta chiaro dai commenti e dalle induzioni fatte in margine ai recenti contatti fra il Duce e l'Ambasciatore britannico a Roma, contatti ai quali è stata attribuita un'importanza assai maggiore di quello che in realtà essi abbiano avuto.

Hoare mi ha risposto dicendomi che questo mio personale suggerimento era buono, e che una volta che Peterson fosse rientrato da Parigi egli avrebbe esaminato l'opportunità di incaricare Drummond di avere col Duce un esame più appronfondito, in vista di un possibile regolamento della questione abissina.

La conversazione con Hoare è terminata qui. Non ho creduto, almeno per oggi, di andare più oltre, anche perché sapevo di muovermi oltre e fuori le istruzioni che il Duce mi ha impartito mercoledì scorso, prima della mia partenza da Roma, e cioè di tenermi estremamente riservato, di non andare al Foreign Office e di considerarmi come l'Ambasciatore di una nazione assediata. Mi sono anche per ciò limitato a toccare appena alcuni punti, e non ho insistito, mettendo sempre in chiaro che facevo ciò sotto la mia responsabilità personale.

Una persona che conosce addentro la situazione, e di cui riferirò il nome al Duce, in occasione della mia prossima venuta a Roma per il Gran Consiglio (i documenti dell'Ambasciata di Londra sono in genere letti da molta più gente di quello che pensavo), mi ha detto stasera che il Governo britannico arriverebbe, se la situazione non muta e se il regolamento sarà concretato in un tempo relativamente breve, prima cioè che le sanzioni divengano più drastiche, a concedere all'Italia sotto una forma od un'altra i territori abissini a sud dell'Bo parallelo (senza la limitazione del 41° meridiano), ed un regolamento provvisorio con un'occupazione italiana de facto sulla zona del Tigré salvo diventare tale regolamento definitivo più tardi. In quanto al problema della congiunzione fra le due colonie africane dell'Italia, e più specialmente all'Harrar, il Governo britannico non insiste per ora in quanto che è certo che le difficoltà ·e l'opposizione su questo punto saranno fatte dalla Francia. A questo scopo mirano anche le conversazioni che hanno luogo a Parigi tra Peterson e Saint-Quentin.

(l) Ed. in «Storia contemporanea», 1917, n. 4, pp. 767-769.

(l) -Vedi D. 703, Allegato. (2) -Vedi D. 357.
727

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 26 novembre 1935.

Colloquio con il Ministro di Svizzera.

Ha chiesto di vedermì per intrattenermi sui negoziati per il clearing italasvizzero.

Ne ho profittato per ripetere anche a lui quanto ho detto ieri agli Ambasciatori di Russia, Francia, Cina e all'Incaricato d'Affari di Romania sulle nuove sanzioni progettate e sulla situazione che ne deriverebbe.

Wagnière è rimasto impressionato e mi ha espressa l'intenzione di scriverne subito a Motta.

Dato che le comunicazioni fatte finora hanno dimostrato di avere grande efficacia, riterrei opportuno di continuare in tale opera persuasiva convocando poco per volta tutti gli altri Rappresentanti ·esteri presenti a Roma (1).

Mi onoro chiederne l'autorizzazione a V. E. (2).

728

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 26 novembre 1935.

Theodoli è venuto a riferirmi di aver avuto una lunga conversazione con Sir Eric Drummond i dettagli della quale non presentano tuttavia, nel loro complesso, alcuna novità né meritano di essere riportati con speciale urgenza.

Di questa conversazione soltanto i seguenti particolari meritano subito uno speciale rilievo.

l) Theodoli ha avuto l'impressione, durante il corso della conversazione, che Drummond fosse perfettamente al corrente di come si sarebbe svolta la discussione alla seconda seduta del Gran Consiglio fascista. Sintomo questo, se fondato, che dimostrerebbe chiaramente la perfetta organizzazione dell'« Intelligence Service » a Roma.

2) La preoccupazione manifestata da Drummond per quello che l'Italia

potrebbe fare contro l'Inghilterra nella eventualità di un generale embargo sul

petrolio.

3) L'invito dell'Ambasciatore britannico a Theodoli di ritornare tra cin

que o sei giorni e cioé circa un paio di giorni dopo la riunione del Consiglio

dei Ministri a Londra di lunedì. Theodoli mi ha in proposito rilevato che in

una simile occasione e cioè quando gli esperti stavano discutendo le basi di

una possibile conciliazione, il Consiglio dei Ministri fu riunito per approvare

la cessione di Zeila all'Abissinia. Tale invito, nel pensiero di Theodoli, messo

in relazione con la data indicata, potrebbe far pensare che a Londra si esamini

qualche concessione di più da offrire all'Italia.

4) Nel corso della conversazione, infine, Drummond avrebbe fatto capire

che a Londra non si farebbero difficoltà per il possesso del Gimma da parte

dell'Italia come anche delle vallate che dall'Ogaden vanno verso l'Harrar.

(l) -Annotazione a margine di Suvich: «Se capitano a Palazzo Ch1gi ma senza chla· marli apposta». (2) -Il presente documento .reca Il visto di Mussollni.
729

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

T. 2407/487 R. Roma, 27 novembre 1935, ore 2.

Drummond ha chiesto al Capo del Governo (2) se l'On. Ezio Garibaldi, che si propone di vedere Hoare e Vansittart nei prossimi giorni, abbia avuto qualche missione e di che natura.

Il Capo del Governo gli ha risposto che Garibaldi non ha nessuna missione ufficiale e che non ha avuto incarico di vedere né Hoare né Vansittart.

A domanda di Drummond il Capo ha aggiunto che le sue idee sono note a Garibaldi e che non dubitava che se questi avesse avuto qualche cosa da riferire, lo avrebbe fatto correttamente.

Sarà opportuno che Garibaldi si mantenga in una linea prudente e riservata.

730

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 9025/600 R. Washington, 27 novembre 1935, ore 13 (per. ore 10 del 28).

Mi sono recato oggi dal Segretario di Stato per rendermi conto degli effetti ed impressioni prodotte nel Dipartimento dalla notizia che Comitato delle sanzioni aveva rinviato esame concernente embargo sul petrolio, acciaio, carbone ecc. Ho potuto constatare che mancata azione di Ginevra ha fortemente imbarazzato Dipartimento di Stato, il quale viene oggi fatto oggetto di vivaci critiche da parte di buona parte della stampa per avere voluto anticipare decisione della Lega delle Nazioni (telegramma Stefani n. 767).

Come era da attendersi, signor Hull ha però dato anche a me risposta data ai giornalisti (telegramma Stefani n. 768) e cioè che azione del Governo Stati Uniti America è sempre stata ed intende rimanere autonoma da quella di Ginevra in quanto persegue finalità sue proprie che possono in parte coincidere ma rimangono indipendenti da quella della Lega delle Nazioni.

Nel corso della conversazione ho cercato di rendermi conto se politica restrittiva del commercio con belligeranti, che Governo degli Stati Uniti cerca di imporre agli esportatori, tenda alla cessazione assoluta della esportazione di certi prodotti, come petrolio, oppure soltanto a mantenerla entro i limiti normali.

Da quanto mi ha detto signor Hull è risultato che concetto, al quale Governo oggi si ispira, è quello di impedire gli « eccessi ~ di esportazione che

sono da ritenersi destinati ad uso bellico. Per provocare maggiori precisazioni gli ho detto che sua concezione sembrava contrastare con dichiarazione fatta pubblicamente dal Segretario dell'Interno il quale aveva diffidato compagnia petrolifera dal vendere all'Italia; ciò che poteva interpretarsi come ostacolo anche alla esportazione del quantitativo normale. Con gesto di impazienza, signor Hull ha osservato che Segretario dell'Interno « aveva parlato per proprio conto» e che forse giornalisti avevano esagerato portata delle di lui parole.

Come V. E. vede, non si è trattato di una assicurazione formale e precisa, che non ho creduto utile di sollecitare ritenendo sufficiente pel momento di essermi procurata una base per future discussioni specialmente nel caso in cui si dovesse trattare di una limitazione sulla base esportazione normale.

Ho già richiamato attenzione del Segretario di Stato su notizie di stampa secondo cui Segretaria del Lavoro, signorina Perkins, avrebbe espresso approvazione alle organizzazioni lavoratori del mare che decidono scioperare piuttosto che compiere operazioni per navi trasportanti materiale Italia. Signor Hull disse che non credeva Segretaria del Lavoro avesse fatto dichiarazioni del genere. Ammise però che suo collega nel Gabinetto apparteneva al gruppo «radicale)) dell'Amministrazione dal quale (uso le sue parole) «tutto era da attendersi».

Mostrandomi poi grandi titoli giornali circa nuovo stato autonomo in Cina, Segretario di Stato ha soggiunto: «Dovete tenere conto anche di questo avvenimento per spiegarvi nostra politica nella questione che vi interessa». Queste parole confermano opinione, da me ripetutamente espressa, nel senso che atteggiamento del Dipartimento di Stato sia fortemente influenzato dalle preoccupazioni per possibili complicazioni in Estremo Oriente e che misure restrittive, oggi applicate a noi, vogliono principalmente servire come precedente che gli S.U.A. potrebbero avere interesse a vedere applicate al Giappone.

(l) -Ed. in <<Storia contemporanea», 1977, n. 4. p. 75'1. (2) -In un colloquio del 23 novembre.
731

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9029/256 R. Tokio, 27 novembre 1935, ore 15 (per. ore 9,45 del 28).

R. Addetto Militare comunica quanto segue:

«Ho sensazione che umore ambienti militari nei riguardi nostri sia alquanto migliorato, anche come conseguenza irritazione contro l'Inghilterra per i recenti intrighi diretti a contrastare mire giapponesi in Cina. Al Ministero della Guerra mi è stato assicurato essere stata concessa autorizzazione per l'invio in Italia benzina e carbone notevole quantità. Vi sarebbero però divergenze tra i commercianti circa prezzo. Esisterebbero comunque buone disposizioni per ulteriore autorizzazione del genere.

D'altra parte, starebbe sorgendo movimento tendente a dimostrare al Paese necessità formazione blocco Giappone-Germania-Italia per abbattere predominio inglese e venire ad una nuova ripartizione risorse mondiali. Ufficiale Stato Maggiore mi ha confermato che elementi opinione pubblica lavorano tale intento, ma che organi responsabili Ministero degli Affari Esteri e Ministero della Guerra non hanno esaminato problema, aggiungendo che accordo Italia-Gappone presupporrebbe accordo Italia-Germania.

Mi risulta inoltre che certo Takano, ricco giapponese interessato movimento suddetto, ha fatto pubblicare 19 ottobre scorso sue spese lungo appello su giornale Nichi-Nichi incitando Paese appoggiare movimento a favore dell'Italia e distribuire vie Tokio 300 mila copie proprio appello, nonché manifesti proItalia scritti da altro simpatizzante. Rilevo che signor Takano lavora da tempo per avvicinamento tra Giappone e Germania e pare abbia contribuito a recente venuta missione commerciale tedesca, la quale avrebbe ottenuto impiego di tecnici tedeschi in Manciuria per sfruttamento risorse Paese).

Prego comunicare quanto precede R. Ministero della Guerra e Ministro Propaganda.

732

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9035/257 R. Tokio, 27 novembre 1935, ore 20,45 (per. ore 18,30 del 28).

Telegramma di V. E. n. 146 (1).

In colloquio odierno con il nostro Consigliere, Direttore Generali Affari Commerciali ha dapprima riaffermato che capisaldi atteggiamento Giappone sono neutralità e indipendenza dalla S.d.N.

L'intensificarsi delle relazioni itala-giapponesi non riguardano Governo ma bensì commercianti cui presentansi:

l) difficoltà trasporto, 2) sopratutto incertezza circa pagamenti finora fatti attraverso Londra. Comunque alcuni generi di cui abbisogna Italia non sono posseduti da Giappone.

Portato discorso su contegno opinione pubblica, Direttore Generale ha ammesso che mentre popolo ancora a noi non favorevole, classi dirigenti riconoscono ora esser interesse Giappone che Lega delle Nazioni non prevalga. Data questa dichiarazione, essendogli stato fatto presente miglior modo raggiungere tale scopo essere collaborazione, Direttore Generale ha informato Consigliere delle conversazioni avvenute tra S. E. Suvich e Sugimura (2) e dell'invio a Roma di rappresentanti case Mitsui e Mitsubishi, cui spetterà esaminare possibilità pratica di accordi commerciali.

Ripetendo dubbio, espresso anche da altri funzionari e ufficiali giapponesi a me ed a membri R. Ambasciata, Direttore Generale ha inoltre mostrato preoccuparsi che l'Italia non sia decisa andare fino in fondo. Timore di eventuale isolamento, in caso di nostri accordi con Inghilterra e Francia, è infatti una delle ragioni che trattengono Giappone dall'assumere un atteggiamento più favorevole a nostro riguardo.

(l) -Vedi D. 681, nota 4. (2) -Vedi D. 692.
733

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9013/142 R. Budapest, 27 novembre 1935, ore 21,30 (per. ore 0,30 del 28).

Presidente Gombos, accompagnato consorte, Ministro Kanya, direttore Affari Politici Bessenyey e suo Segretario particolare, si recherà pomeriggio domani Vienna ove tratterrassi probabilmente fino sabato.

Secondo mi si fa intendere in questo Ministero degli Affari Esteri, principale scopo visita -dovuta iniziativa personale Gombos, cordialmente accolta da Schuschnigg, --sarebbe quello riconfermare cooperazione e dare espressione all'immutata amicizia ungaro-austriaca dopo il recente viaggio GombOs a Berlino (1).

Mi riservo riferire al ritorno Presidente del Consiglio sui risultati incontro (2), il quale avviene in atmosfera preparata dalle manifestazioni pubblicistiche e culturali che, nelle ultime settimane, sono venute segnalate.

734

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO

T. PER CORRIERE 2421/c. R. Roma, 27 novembre 1935.

In relazione alla nota verbale 11 novembre (3) rimessa agli Stati sanzionisti, ritengo opportuno, per sua conoscenza e norma di linguaggio, precisare termini nei quali si riassume posizione giuridica dell'Italia nei riguardi della questione etiopica e in materia di sanzioni in confronto alla tesi sostenuta a Ginevra dagli Stati sanzionisti.

Al riguardo V. E. (V. S.) vorrà tenere presenti seguenti punti:

l) Secondo le conclusioni del Comitato dei Sei, la pretesa violazione del Patto imputata all'Italia consisterebbe nel non avere osservato il termine di tre mesi prescritto dall'art. 12 del Patto. Ora anche l'obbligo di osservare questo termine è stato sempre inteso nel senso che esso non si applica quando

ricorra il caso di legittima difesa. È noto del resto che la stessa riserva è implicita nel Patto Kellogg. Inoltre, anche secondo le recenti dichiarazioni fatte dal Ministro britannico Hoare a Ginevra, per aversi rottura del Patto, ai sensi degli art. 12 e 16, occorre che si tratti di aggressione non provocata. II Comitato dei Sei che ha redatto il rapporto nel quale si conclude che il Governo italiano ha ricorso alla guerra contro l'art. 12, non ha nemmeno preso in considerazione la tesi della legittima difesa e della provocazione, la cui prova era stata già data nel memoriale italiano.

2) A prescindere dalla considerazione precedente, v1 e una manifesta sproporzione tra la natura della pretesa violazione del Patto imputata all'Italia e la gravità delle sanzioni che si vogliono applicare in base all'art. 16. Questo articolo ha carattere generico e la sua applicazione deve farsi in modo che le sanzioni in esso previste siano graduate anzitutto secondo la gravità della violazione del Patto. È da rilevare, a questo riguardo, che il Ministro degli Esteri inglese, nella sua nota del 26 settembre 1935 al Governo francese (l) volendo precisare alla Francia il suo modo di intendere l'art. 16 del Patto ha tenuto a dichiarare che: «in the case of a resort to force it is cleare that there may be degrees of culpability and degrees of aggression, and that consequently, in cases where Article 16 applies, the action appropriate to be taken under it may vary according to the circumstances of each particular case ~-Urta contro un elementare criterio di giustizia di considerare agli effetti delle sanzioni, una violazione puramente formale (inosservanza del termine di tre mesi), supposto pure potesse imputarsi all'Italia, alla stessa stregua di un'aggressione non provocata.

3) Le conclusioni del rapporto del Comitato dei Sei non hanno formato oggetto di una decisione formale nè del Consiglio nè dell'Assemblea. Si è voluto evitare tale decisione perché non si avrebbe avuta l'unanimità necessaria per una deliberazione valida. Evitando una deliberazione formale, si è ricorso sia nel consiglio che nell'Assemblea al singolare sistema di registrare l'adesione individuale data dai Rappresentanti dei singoli Membri alle conclusioni del rapporto, stabilendo perfino che il semplice silenzio sarebbe stato considerato adesione. II rappresentante italiano fece le più ampie riserve sulla legalità di tale procedura. Sta ad ogni modo il fatto che non esiste una decisione della S.d.N. come tale, che abbia constatato per mezzo di una regolare deliberazione del Consiglio o dell'Assemblea, che l'Italia è incorsa in una violazione del Patto che renda applicabile l'art. 16. Vi sono stati soltanto degli apprezzamenti individuali di una parte degli Stati membri alcuni essendosi pronunciati in senso contrario. Ora, qualunque sia la ragione per la quale si è evitata la deliberazione formale del Consiglio e dell'Assemblea, la mancanza di essa ha un'importante conseguenza giuridica. Ciascun governo anche se ha a Ginevra dichiarato di approvare le conclusioni del Rapporto del Comitato dei Sei, non si trova vincolato da una deliberazione societaria. non modificabile che con altra deliberazione dell'organo competente della S.d.N., ma si

(!) Vedi D. 203, nota .,.

trova in presenza soltanto di un suo giudizio individuale, di cui ha tutta la responsabilità, e conserva il pieno diritto di modificarlo quando nuovi elementi di fatto lo convincano che esso non corrisponde ad una giusta valutazione di tutte le circostanze del caso. Gli avvenimenti posteriori all'inizio delle operazioni militari in Etiopia hanno messo in evidenza un insieme di ·elementi che ogni Governo ha il diritto ed il dovere di valutare agli effetti di mantenere o modificare il suo giudizio individuale circa l'esistenza della violazione del Patto. Come è giuridicamente possibile che un Membro che in un primo momento ha giudicato non esservi rottura del Patto modifichi la sua opinione cosi è giuridicamente possibile, anzi doveroso, che uno Stato, in seguito ad una più completa conoscenza della situazione, modifichi il giudizio precedentemente dato sulla sola base degli elementi formali coi quali il Comitato dei Sei ha preteso di giustificare le sue conclusioni.

4) L'art. 16 del Patto, come lascia a ciascun Membro di giudicare individualmente se sussista la violazione del Patto, così lascia a ciascun Membro largo potere discrezionale nell'adottare le misure economiche e finanziarie da applicarsi allo Stato che esso ritenesse avere violato il Patto. Sebbene l'art. 16 dica che i Membri della S.d.N. «s'engagent à rompre immédiatement toutes relations commerciales et financières etc. » con lo Stato trasgressore del Patto, è da tenere presente che la formulazione apparentemente imperativa di tale articolo non corrisponde alla portata che ad esso è stata riconosciuta dalla

S.d.N. specialmente con le risoluzioni del 1921, che salvaguardano una ragionevole libertà di decisione dei singoli membri contro un funzionamento automatico ed uniforme delle singole sanzioni. Ogni Stato ha il diritto di apprezzare sovranamente in quale misura ritiene di partecipare all'applicazione delle misure previste nell'art. 16 e di decidere quindi quali misure concrete esso intende applicare, sia tenendo conto dei suoi interessi, sia della sua situazione politica, economica, geografica, sia apprezzando liberamente il grado delle misure applicabili in relazione al caso concreto.

5) Non essendovi stata una deliberazione della S.d.N. sulla constatazione della pretesa violazione del Patto, il Comitato di coordinamento, che si è riunito a Ginevra, non è un organo della S.d.N. ma una semplice conferenza fra i governi che intendono assumere la responsabilità di partecipare all'applicazione di sanzioni contro l'Italia. Questa conferenza non ha alcun potere di obbligare i governi ad applicare determinate misure. Ogni governo vi partecipa liberamente in condizioni di eguaglianza con ogni altro e conserva il diritto di non accettare le raccomandazioni adottate dal Comitato.

6) La partecipazione all'applicazione delle sanzioni è un atto che ciascun Governo individualmente e liberamente decide e di cui assume la responsabilità. Ogni governo resta libero di riesaminare in ogni momento la sua linea di condotta, sia in relazione alla situazione dello Stato contro il quale le sanzioni sono applicate, sia in considerazione delle ripercussioni economiche e politicne della loro applicazione.

Prego comunicare agli Uffici dipendenti per norma di linguaggio e orientamento generale.

(l) -Con T. 9043/143 R. del 28 novembre 1935, ore 14,55, Colonna aggiungeva di aver appreso dal lmrone Apory che l'<< iniziaUva e particolare premura» austriaca per la visi,ta di Gombos e Kanya doveva ritenersi connessa con la progettata visita di Schuschnigg a Praga; tale telegramma veniva rltrasmesso con T. 14022 P.R. a Vienna (200) e Praga (125) il 29 novembre 1935, ore 24. Per la vis~ta dei min·istri ungheresi a Vienna vedi D. 756, per quella di Schuschnlgg a Praga i DD. 757 e 831. (2) -Vedi DD. 764 e 784. (3) -Vedi D. 602. nota 2.
735

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. 2439/131 R. Roma, 27 novembre 1935, ore 24.

Dal telegramma della S. V. n. 123 (l) appare che codesto Governo mentre insiste per costruzione raffineria in Albania intende escludere da attuali trattative concessione Patos che negli intendimenti A.I.P.A. avrebbe dovuto costituire un parziale compenso dei gravi oneri che comporterebbe impianto ed esercizio raffineria.

Per facilitare soluzione questioni pendenti Ella potrà dire che A.I.P.A. si Impegna formalmente costruzione raffineria limitata beninteso a fabbisogno interno Albania, a condizioni da determinarsi con successivi accordi. Se da parte albanese si insistesse per avere una materiale garanzia adempimento predetto impegno A.I.P.A. sarebbe pronta a riprova sua buona fede depositare presso Banca Nazionale Albania cauzione sino mezzo milione franchi oro che Governo albanese potrebbe incamerare suo profitto qualora per qualsiasi ragione non sia stato raggiunto accordo previsto entro un determinato periodo di tempo. Cauzione naturalmente dovrebbe essere versata solo atto firma accordi per sistemazione definitiva questioni petrolifere pendenti.

Tenga presente che per ragioni politiche generali interessa rapida conclusione accordi onde assicurare indisturbato trasporto Italia combustibile estratto.

Telegrafi (2).

736

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 2442/545 R. (3). Roma, 27 novembre 1935, ore 24.

Notizie che giungono dagli Stati Uniti fanno vedere una certa esitazione nel Governo di fronte al problema dell'embargo. Questo è ìl momento di intensificare l'azione secondo le direttive che ho già inviato a V. E. (4).

737

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. 13953/144 P. R. (3). Roma, 27 novembre 1935, ore 24.

Domandi quale attendibilità abbia la notizia secondo cui Principe Paolo avrebbe avuto a Londra vari colloqui con Membri del Gabinetto e dell'Ammi

ragliato durante i quali sarebbe stata esaminata eventualità collaborazione anglo-jugoslava in Adriatico. Jugoslavia, secondo tale notizia dovrebbe in caso di necessità mettere porto di Cattaro a disposizione flotta britannica Mediterraneo (1).

(l) -T. 13971/123 P.R. del 23 novembre 1935, ore 11,13, non pubblicato. (2) -Vedi D. 758. (3) -Minuta autografa. (4) -Vedi D. 677.
738

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 27 novembre 1935.

L'Ambasciatore Drummond mi riparla della Radio-Bari (2): gli attacchi contro l'Inghilterra sono continuati anche negli ultimi giorni.

Gli rispondo che la nostra inchiesta continua: abbiamo qualche indizio che il traduttore della Radio-Bari si prenda qualche libertà di carattere del tutto personale; ad ogni modo anche queste variazioni non avrebbero la portata di quelle segnalate dall'Ambasciatore inglese. Stiamo controllando le emissioni e potrò essere preciso all'Ambasciatore fra quelche giorno.

L'Ambasciatore ritorna poi sui fatti di Milano, riferendomi che i dimostranti avevano tentato di strappare lo stemma della Delegazione Canadese: non ci sono riusciti perché lo stesso era posto troppo in alto. Evidentemente se questo tentativo avesse avuto successo la questione avrebbe assunto un carattere più grave. Prega di prendere tutte le disposizioni perché si evitino incidenti del genere.

In terzo luogo l'Ambasciatore mi dà una Nota sull'articolo di Bottai comparso nel Messaggero del 16 corrente. L'Ambasciatore mi dice che il Capo del Governo gli aveva dichiarato di non voler far la guerra all'Inghilterra. Se però l'articolo di Bottai -che é un altissimo funzionario tuttora in carica rappresenta il pensiero del Governo, si dovrebbe ritenere il contrario.

Gli rispondo che Bottai non esprime che il pensiero proprio e che scrive dall'Africa in un'atmosfera quindi che spiega il tono acceso dell'articolo.

Consegno all'Ambasciatore, che me ne aveva fatto richiesta, la cartina indicante i territori che occupavamo nel '96 oltre il Mareb. Gli faccio osservare che oggi abbiamo riconquistato appena una parte del territorio predetto, dove noi eravamo da molti anni attesi da quelle popolazioni.

L'Ambasciatore, a mia richiesta, mi dice di non essere al corrente delle conversazioni di Parigi.

739

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 9042-9057-9050/926-927-928 R. Parigi, 28 novembre 1935, ore 19,45 (per. ore 2,15 del 29).

Lavai mi ha pregato di passare da lui e mi ha detto di avere avuto lunga conversazione con Clerk circa petrolio.

(21 Vedl DD. 648 e 693.

Gli aveva manifestato apprensioni per provvedimento, che considerava intempestivo e la cui entrata in vigore avrebbe compromesso la sua azione concillatlva, potendo originare da parte italiana reazione spiacevole e anzi pericolosa.

Clerk aveva risposto che Inghilterra non avrebbe fatto altro che seguire in questo caso come in passato decisioni di Ginevra.

Laval era preoccupato per un grosso titolo del Paris Midi, secondo cui l'Italia parla di reagire con violenza contro embargo petrolio. Disse che noi, perdendo la calma, rischiavamo compromettere la sua azione di conciliazione, che è già assai ardua dato che gli inglesi trovano eccessive le nostre richieste e parlano sempre della necessità di ottenere per qualsiasi accomodamento consenso dell'Italia, del Negus e della S.d.N.

Léger, presente alla conversazione, menzionò comunicato ufficioso pubblicato da tutta stampa francese di stamane, secondo cui si sarebbero decise in Italia misure eccezionali di carattere militare per parare ad ogni eventualità.

Segretario Generale osservò che questo comunicato avrebbe causato profonda emozione in tutto il mondo e disposto assai male i vari membri della

S.d.N. per una conciliazione. Ho ripetuto che a Parigi non si voleva capire pericoli dell'embargo del petrolio.

Lavai mi interruppe dicendomi che egli lo capiva perfettamente al punto di avere probabilmente indisposto nuovamente inglesi verso sua persona. Egli riconosceva che senza petrolio non si poteva fare la guerra, si fermava contemporaneamente sovranità, civiltà di tutto un Paese. Riconosceva giusta mia osservazione di 4 o 5 giorni fa (l) che embargo petrolio aveva carattere di sanzione militare e avevalo menzionato a Clerk fra gli argomenti che lo rendevano perplesso.

Léger si sforzò a sostenere che erano assai pm forti ed avevano carattere decisamente militare sanzioni, contro le quali Italia non aveva protestato, relative divieto d'importazione di armi e munizioni.

Ribattei che potevamo produrre in Italia materiale bellico, mentre non possedevamo petrolio e pregai Lavai di interrogare proprio Stato Maggiore al riguardo per sentire se esso non trovasse giustificate apprensioni italiane.

Lavai mi diede ragione assoluta e cercò inutilmente di convincere Léger della necessità trovare modo di opporsi a che si discuta embargo sul petrolio a Ginevra.

Quest'ultimo sostenne che ciò non era possibile. Disse ritenere d'altronde, in base alle sue informazioni, che produttori americani non sembrano essere disposti cessare loro fornitura all'Italia in base ad un semplice invito del loro Governo. Chiedono che sia votata al riguardo una legge, il che importava per lo meno un mese, cosicché in pratica Italia non sarebbe stata priva di petrolio sino gennaio p.v.

Crede che ragione dell'adozione delle sanzioni era stata quella di ottenere dall'Italia cessazione delle ostilità, così che era naturale che si perseverasse su questa via, tanto più che resistenza della popolazione aveva mostrato insufficienza delle prime sanzioni adottate.

Lavai mi sostenne del suo consenso quando risposi energicamente a Léger.

Lavai insistette su quanto aveva detto nel suo messaggio di avantieri, che cioè sanzioni non erano il solo mezzo per porre fine alle ostilità e mostrò di avere molto maggiore fiducia nella conciliazione.

Chiesi allora a che punto fossero lavori degli esperti, attenendone conferma che Peterson non ricevette fino ad ora autorizzazione a continuare studio questione.

Lavai disse che le nostre richieste non potevano essere, cosi come sono formulate, accettate dagli inglesi. Egli avrebbe desiderato che noi le riducessimo in modo da permettergli di dire a Londra che l'Italia aveva mostrato moderazione.

Lo assicurai che avrei trasmessi sua richiesta a V. E.

Osservai che risposta sarebbe stata probabilmente di domandare a lui quelle proposte che ritenesse tali da salvaguardare nostri interessi e che potessero essere accettate dagli inglesi.

Era inutile mettersi in un giro vizioso, che era conseguenza di una irriducibilità del punto di vista inglese. Perché non cercava invece di vincere la incomprensione inglese?

Lavai disse che il Tigrai costituiva sempre un grave ostacolo e che perciò egli stava vedendo se non era possibile dividerlo in due zone, di cui una piccola da annettersi all'Italia ed un'altra costituente uno Stato indipendente, autonomo.

Osservai che Africa non era Europa, dove si erano costituite simili zone in base ai precedenti storici della regione, come pure fatto che Inghilterra nulla aveva obiettato quando 40 anni or sono nostri avevano posseduto Tigrai, perché quella regione non interessava per nulla Inghilterra.

Laval menzionò notizie stampa che attribuivano all'Italia intenzioni di dirigere azione militare verso Lago Tana e se ne mostrò preoccupato. E chiese pure che cosa vi fosse di vero in notizia abissina di nostra ritirata da Macallé e dalla zona occupata nell'Ogaden.

Accennai alla smentita italiana e mi riservai assumere informazioni circa primo punto.

Lavai osservò poi che tutto quanto mi aveva detto lo rendeva titubante a riproporre tregua sul fronte africano contemporaneamente a tregua nell'applicazione di nuove sanzioni per permettergli di svolgere azione conciliatrice. Credeva infatti che momento non fosse propizio. Quando però noi giudicassimo momento venuto, non avevamo che da dirglielo ed egli si sarebbe posto al lavoro con ogni premura.

Léger parlò quindi dei commenti della stampa del mondo intero circa colloquio di Drummond col Duce (l) e della cattiva impressione da esso prodotta in Francia.

Mentre infatti Lavai si dava una pena infinita per aiutarci e comprometteva gravemente propria situazione parlamentare, apparivano improvvisamente notizie secondo cui l'Inghilterra avrebbe cercato di saltare di pié pari la Francia e di iniziare conversazioni dirette con l'Italia.

Lava:l, sebbene blandamente, raccolse osservazioni di Léger e mi disse che effettivamente egli si veniva a trovare in una situazione sempre più diffi.cile. Non aspirava affatto ad apparire mediatore, ma non poteva neanche desiderare che non si tenesse conto degli sforzi che egli aveva fatto.

Ho subito messo le cose a posto in base alle informazioni fornitemi ieri da S. E. Suvich ed ho rilevato che i commenti della stampa mi sembravano frutto di un intrigo di cui non scorgevo ancora gli autori.

Ho infine chiesto a Lavai se fosse esatto che ieri si fosse convenuto fra lui e Clerk che il Comitato dei 18 sarebbe stato convocato il 5 o 6 dicembre.

Laval smentì che si fosse anche solo parlato di questo argomento.

Presidente del Consiglio si rivolse a Léger per chiedergli se e che cosa si potesse fare a Bucarest per indurre Romania ad assumere essa contegno di resistenza circa embargo petrolio.

Léger svolse serie di argomenti societari per dimostrare impossibilità del passo proposto da Lavai, così che ebbi nuova prova della tenacia ed astiosa ostilità che il Presidente del Consiglio incontra da parte del Quai d'Orsay ogni volta che ci vuole mostrare le sue disposizioni amichevoli.

(l) Per la risposta di Viola vedi D. 71!1.

(l) Vedi n. 699.

(l) Vedi D. 609.

740

IL MINISTRO A TALLINN, CWCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9116/59 R. Tallinn, 28 novembre 1935, ore 21,19

(per. ore 0,30 del 29).

Mio telegramma n. 58 (1).

Nel rimettermi risposta nota 11 novembre Ministro Affari Esteri ha tenuto assicurarmi che stampa sarebbe stata costantemente ispirata ad attitudine cordiale nei nostri riguardi. Ha messo in rilievo sentimenti simpatia verso l'Italia popolazione estone. Ha ricordato sue recenti pubbliche dichiarazioni in occasione discorso su politica estera suo Governo (telespresso 521 in data del 19 corrente) (2). Ha ricordato ancora espressioni cordialità per nostro Paese avute da Presidente della Repubblica in conversazione successiva presentazioni credenziali (telespresso n. 481 in data del 25 ottobre u. s.) (2). Signor Seljama ha dichiarato infine che sarebbe felice se fosse possibile trovare evitare sospensione scambio commerciale tra i due Paesi.

so -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

(l) -Con il T. 9058/58 R., pari data, Cicconardl comunicava dl aver ricevuto dal Ministro degli Affari Esteri la risposta estone alla nota italiana dell'Il novembre. (2) -Non rinvenuto.
741

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9098/234 R. Vienna, 28 novembre 1935, ore 21,30 (per. ore 3,30 del 29).

Mi riferisco al mio telegramma n. 222 (1).

Berger-Waldenegg ha pronunciato stamane davanti alla Dieta il preannunziato discorso.

Per quanto riguarda l'Italia, egli ha ripetuto, sviluppandoli, medesimi concetti contenuti nel discorso del Barone Pfltigl a Ginevra (2). Ha particolargamente rievocato benemerenze politiche Italia verso Austria nonché ha lungamente illustrato vitale importanza che l'Italia ha per l'Austria sul terreno economico. Primo punto è stato applaudito dall'intera Assemblea.

Berger-Waldenegg ha tenuto anche a precisare che Austria si attiene, per quanto riguarda esportazione armi, a quanto stabilito dai Trattati di Pace.

Da parte sua Cancelliere Federale si propone concedere una intervista in conseguenza per dichiarare sua intera solidarietà con odierna dichiarazione Berger-Waldnegg, smentendo voci relative allontanamento di quest'ultimo dal Governo.

742

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9134/374 R. Buenos Aires, 28 novembre 1935, ore 21,45 (per. ore 3,30 del 29).

Mio telegramma n. 373 (3).

Premesso che ho avuto cura riservare in proposito ogni libertà giudizio, !imitandomi a dichiarare che avrei trasmesso all'E.V. testo integrale risposta Argentina, riassumo commenti verbali fattimi da Ministro degli Affari Esteri.

a) Apposito studio di intonare redazione risposta stessa, tra l'altro, dimostra sentimenti più cordiali deferenza verso Italia.

b) Imprescindibili necessità, per note ragioni internazionali, nonché congruenza con tesi precedentemente sostenuta Parlamento Argentina nei riguardi principi pacifisti ginevrini, dimostra osservanza degli obblighi societari.

c) Particolare rilievo dal quinto alinea a tutto il primo periodo pubblicato, se pure non accogliendo la nostra richiesta di revisione, giustifica tale atteggiamento con motivi d'ordine giuridico-procedurale tanto più impegnativi per l'Argentina in quanto le toccò (e lo stesso Ministro degli Affari

Esteri non si stanca dal deprecare tale fortuita circostanza) presiedere il Consiglio della S.d.N. D'altronde, la prima parte dello stesso periodo pone in luce essersi Governo argentino debitamente immedesimato delle ragioni da noi adottate circa modo applicazione patto, nonché situazione sopravvenuta dopo riunione del Consiglio e Assemblea.

d) Richiamo insistente al terzo periodo del medesimo alinea in quanto, con la dichiarazione del proposito di valersi (in ovvia correlazione con le osservazioni formulate dall'Italia) della esperienza derivante dalla presente applicazione delle disposizioni del Patto per proporne la modifica secondo concetti lvi esposti, si riconosce non solo che tale applicazione non corrisponde praticamente agli scopi ideali cui il Patto proclama ispirarsi; ma si considera altresì che il sistema applicato attualmente significa la pratica costrizione della grande massa degli Stati agli intenti di una sola potenza. (Ha detto confidenzialmente: «dell'Inghilterra»).

e) In merito all'alinea sesto (ossia l'ultimo del testo comunicato d'urgenza con il mio odierno telegramma n. 372 (1), Ministro degli AUari Esteri mi ha lasciato vagamente intendere di ritenere che l'E. V. forse considerasse opportuna l'idea ivi ventilata di ricondurre eventualmente a Ginevra ricerca d1 un procedimento conciliatore, attualmente deferito a Gran Bretagna e Francia. Non (ripeto non) ho in alcun modo rilevato l'accenno mancando d'altronde ogni elemento di giudizio.

Ad ogni buon fine avverto che suddetti commenti mi sono stati fatti sotto forma di considerazioni esplicative e non già di dichiarazioni ufficiali da essere rese eventualmente di pubblica ragione come provenienti da fronte governativa argentina (2).

(l) -Vedi D. 631, nota 3. (2) -Vedi DD. 286 e 307. (3) -Con T. 9044/373 R. del 28 novembre 1935. ore l, Arlotta aveva dato notizia della risposta argentina alla nota italiana dell'll novembre.
743

L'INCARICATO D'AFFARI A GUATEMALA, CORTESE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9077/72 R. Guatemala, 28 novembre 1935, ore 22,17 (per. ore 7 del 29).

Mio telegramma n. 65 (3).

Questo Governo mi ha scritto lunga nota tono molto amichevole. Dopo avere preso atto nostri argomenti, risponde domanda circa suo atteggiamento spiegando avere dovuto, in conformità Patto, rispettare deliberazioni Assemblea S.d.N., ma che a suo modo di vedere nell'esecuzione delle misure decise devonsi tenere presente condizioni particolari di ogni stato. Infatti Guatemala non avrebbe mancato farlo constatare esplicitamente, rispondendo Lega delle Nazioni. Nota verbale termina formulando voti per la pace e riafferma bilaterale amicizia e simpatia popolo e Governo di Guatemala per nazione Governo italiano.

(l) -Non pubblicato. (2) -Per la risposta di Mussolini vedi D. 759. (3) -Con T. 8647/65 R. del 19 novembre 1935, ore 7,12, Cortese rispondendo al D. 642 aveva comunicato di essere in attesa della risposta alla nota italiana dell'H novembre.
744

IL CONSOLE GENERALE A OTTAWA, PETRUCCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 9148/109 R. Ottawa, 28 novembre 1935, ore 23,30 (per. ore 17,45 del 29).

Ieri sera nel consegnarmi nota di risposta a quella dell'H novembre, oggetto del mio telegramma stampa odierno (1), signor Lapointe, funzionante come primo Ministro durante assenza signor Mackenzie King tuttora negli Stati Uniti, mi ha ripetuto in via confindenziale stesse dichiarazioni fatte da Primo Ministro (mio telegramma n. 105) (2) circa proposta Riddel a Ginevra mostrandosi molto annoiato per il fatto che propaganda inglese anche in Canadà fa stampare trattarsi propaganda canadese e che Inghilterra si limita appoggiarla. Difatti molti giornali franco-canadesi protestano contro iniziativa presa da Riddel mettendo Governo nell'imbarazzo.

Ho cercato spingere Lapointe a rendere pubblico che il Governo canadese non è affatto l'autore della proposta, ma egli mi ha fatto presente estrema delicatezza della posizione del Canadà di fronte Gran Bretagna e mi ha ripetuto che il Canadà ha applicato sanzioni per fare onore al Covenant ma che esso non solo non farebbe nulla che possa suonare ostilità all'Italia, ma che anzi ha fatto già sapere a chi di dovere che canadesi rifiuteranno in modo assoluto di prendere parte a qualsiasi forma di sanzioni militari nel caso S.d.N. arrivasse a questo.

Ho approfittato della circostanza per far presente al mio interlocutore fatto che Canadà, che occupa posizione primo piano nell'Impero britannico, possa fare sentire la sua voce a Londra per indurre Governo inglese a non andare troppo oltre nella sua ostilità verso l'Italia. Poichè Lapointe è il capo di tre milioni di cattolici canadesi che, avendo votato quasi all'unanimità per il partito liberale oggi al potere hanno un peso decisivo su questo Governo, ho insistito sul fatto che la lotta contro l'Italia è mossa dal protestantesimo e dalla massoneria, coalizzati non soltanto ai danni dell'Italia ma anche dal cattolicismo. Gli ho dimostrato quale opera di perturbamento stia facendo la propaganda inglese nel Nord America. Gli ho detto che i franco-canadesi, che rappresentano nel continente Nord-Americano la tradizione latina e cattolica, non potevano rimanere assenti e insensibili di fronte a questo tentativo di soffocare l'Italia e indirettamente la Chiesa cattolica. Infine affermato che i quarantaquattro milioni di italiani nel Regno e i dieci milioni all'estero sono compatti dietro V. E., e non si lasceranno sopprimere senza combattere sino agli estremi. A prova di tale solidarietà ho citato l'episodio di Toronto in occasione annuale visita domenica scorsa quando centinaia di donne italiane piangendo e gridando viva l'Italia hanno offerto tutti 1 loro gioielli, creando nella stessa comunità anglo-sassone di Toronto un senso di sgomento e emozione e in parte di reazione all'accanita propàganda di menzogne di quella stampa contro l'Italia.

(l} Non pubblicato.

Lapointe è rimasto impressionato e mi ha detto che non era alieno dal raccogliere l'idea di fare sentire la voce del Canadà a Londra nel senso moderatore e che si proponeva di parlarne al Primo Ministro appena possibile.

È bene tenere presente che attuale Primo Ministro, fautore di una completa indipendenza dall'Inghilterra, con la firma del Trattato commercio con gli Stati Uniti (che hanno quasi annullato i benefici delle tariffe preferenziali Trattato del 1932) ha compiuto un atto che dimostra come intenda mantenere libertà di azione nei riguardi imperiali.

Qualora questa eventuale azione moderatrice del Canadà su Londra rientrasse nelle direttive di V. E., sarei grato a V. E. se volesse telegrafarmi, ottenendo possibilmente in pari tempo che la Santa Sede intervenga in qualche modo per influenzare in senso analogo gli uomini di Governo canadesi cattolici (1).

(2) Vedi D. 641.

745

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 2477/808 R. Roma, 28 novembre 1935, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 918 (2).

Osservazione fatta da Peterson secondo cui assegnazione all'Italia dei territori sud-ovest etiopico sarebbe « ingiustificata ~ non (dico non) tiene alcun conto dei vigenti accordi internazionali e della stessa situazione politico-etnica di quei territori. Come noto tutta Etiopia sud-occidentale, sino ai confini sudanesi, non (dico non) è amarica ma abitata da popolazioni allogene. Inoltre protocolli itala-inglesi del 1891 confermati dal tripartito segnano limite orientale zone influenza inglese in Etiopia al 35° (ripeto 35°) meridiano. Infine scambio lettere itala-inglesi del 1925 riconosce esclusività influenza italiana in tutto l'ovest etiopico. Ritengo opportuno che v. E. chiarisca quanto precede al Signor La val.

746

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9072/20 R. Roma, 28 novembre 1935 (per. il 29).

A telegramma per corriere di V. E. 27 corr. n. 2420 (3). Circa le proposte di arbitrato incondizionato di Lavai riferite dal R. Ambasciatore in Parigi, informo V. E. che, non più tardi di ieri, in una conversazione

(-3) Si tratta della rltrasmissione a Londra ed alla Santa Sede del D. 699.

confidenziale in Segreteria di Stato, mi sono stati fatti accenni non altrimenti precisati a una possibile soluzione arbitrale, come ad una eventualità contemplata dal Cardinal Segretario. Poichè tali accenni sembravano essere la replica di possibilità e prospettive già altre volte considerate in simile private conversazioni, non vi ho dato alcun rilievo. D'altra parte riconsiderando ora tali accenni alla luce della conversazione con Lavai riferita dal R. Ambasciatore in Parigi mi sembra che essi acquistino una certa maggiore precisione, se non altro come probabile riprova di un progetto ben definito del Presidente del Consiglio francese, che questi si sarebbe affrettato a comunicare in Santa Sede, ove alle possibilità e ai progetti di Lavai si crede ancora.

(l) -Per la risposta di suvich vedi D. 787, nota 2. (2) -Vedi D. 714.
747

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 28 novembre 1935.

L'Ambasciatore von Hassell ritorna sulla questione del boicottaggio contro le merci straniere (1). In moltissimi casi non si fa la dovuta distinzione tra paesi sanzionisti e non sanzionisti; qualche volta si arriva a dire che bisogna boicottare tutte le merci straniere e specialmente quelle dei Paesi sanzionisti. Mi lascia gli uniti documenti a dimostrazione delle sue affermazioni (2). Egli deve pregare vivamente il Governo d'intervenire contro questa campagna che colpisce ingiustamente i prodotti tedeschi. Le ripercussioni di questo atteggiamento si risentono sopra tutto nel boicottaggio dei prodotti farmaceutici.

Assicuro l'Ambasciatore di essere già intervenuto dopo il nostro primo collo

quio; me ne interesserò ancora. Proprio a proposito dei prodotti farmaceutici

posso dirgli di aver dato istruzioni all'On. Morelli di non boicottare i prodotti

tedeschi.

L'Ambasciatore mi lascia per nostra edificazione la nota del D. N. B. da

Mosca che contiene alcuni apprezzamenti di giornali sovietici sull'Italia e sul

Fascismo.

Riguardo il colloquio Hitler -François-Poncet mi dà la versione già nota (3).

Il colloquio è stato tenuto in termini cordialissimi. Hitler però si è rifiutato di

arrivare a Parigi passando oltre Mosca. A proposito delle sanzioni il Ftihrer ha

detto che ritiene che sia il più grave errore che si possa fare nei campo economico,

perchè svilupperanno ancora più le economie dei singoli Paesi, il che vuol dire

agire contro il benessere generale. I francesi hanno parlato anche di possibile

limitazione degli armamenti anche nel campo aereo. Il Ftihrer ha detto di essere

ben disposto a discutere questi problemi ed anche a venire a degli accordi pluri

laterali, ma che il momento non gli pareva opportuno.

(l) -Vedi D. 628. (2) -Non si pubblicano. (3) -Vedi DD. 698 e 706.
748

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL DIRETTORE DEGLI AFFARI POLITICI AUSTRIACO, SCHILLER

APPUNTO. Roma, 28 novembre 1935.

II Ministro Schuller porta i saluti del Cancelliere. Afferma che l'Austria rimane decisa nel suo atteggiamento antisanzionista. Gli rispondo che apprezziamo moltissimo il contegno dell'Austria e che non vogliano crearle delle difficoltà superflue.

II Ministro Schuller mi dice di essere qui per occuparsi del modo di continuare il commercio itala-austriaco senza esportazione di valuta da parte italiana. Se ci saranno degli eccessi di acquisti da parte dell'Italia, questi potranno essere coperti con la cessione di una parte del prestito per il valore di circa 50 milioni

II Ministro Schuller non crede che l'Austria avrà difficoltà da parte della Gran Bretagna; bisognerà però fare le cose con una certa prudenza ed eliminare gli speculatori (Schieber) che sono quelli che guastano sempre tutto. L'unica cosa seria è quella delle armi, ma per ciò si è già provveduto.

La situazione politica ed economica in Austria è buona; la pressione inglese è meno forte di quello che generalmente si dice e si esagera anche sullo spionaggio da parte dell'« Intelligence Service ).

Quanto hanno pubblicato in questi giorni i giornali sulle Alpine non ha nessun fondamento. II contratto con le Alpine è in corso il che dimostra che tutte le obiezioni dei siderurgici italiani erano infondate. Egli crede anzi che gli industriali italiani della siderurgia abbiano fatto un ottimo affare comprando il ferro dall'Austria a prezzo molto basso. Si potrebbe fare molto di più ed egli è sempre dell'idea di fare una combinazione con l'Italia per le Alpine estromettendo i germanici.

Invito il Ministro Schuller a continuare le trattative qui a Roma con gli organi tecnici facendomi sapere se ci saranno delle difficoltà che cercheremo di superare (l).

749

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9066/1280 R. Londra, 29 novembre 1935, ore 0,15 (per. ore 7).

Ho comunicato a Garibaldi contenuto telegramma n. 487 (2), ma Garibaldi aveva già chiesto di vedere Hoare e Vansittart e udienza aveva già avuto luogo.

Garibaldi mi ha riferito che egli a Roma ha ricevuto istruzioni personalmente dal Duce (3) di prospettare a Hoare e a Vansittart condizioni alle quali il Duce è disposto ad accettare pace nell'Africa Orientale e mi ha comunicato un appunto portato da Roma che egli ha Ietto a Hoare ed a Vansittart.

Garibaldi mi ha riferito che Hoare e Vansittart hanno ascoltato le proposte di pace che egli ha presentato e si sono riservati una risposta. Garibaldi intende ora restare a Londra per sollecitare un'altra udienza e iniziare così un negoziato al quale dichiara di essere autorizzato.

Quanto Garibaldi mi ha detto è quindi in contrasto con il contenuto del telegramma n. 487 di ieri e con le istruzioni che il Duce ha dato al sottoscritto nel colloquio del 20 scorso a Palazzo Venezia.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussol!n1. (2) -Vedi D. 729. (3) -Garibaldi era stato ricevuto da Mussol!ni il lo novembre alle ore 18.
750

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 9078/216 R. Mosca, 29 novembre 1935, ore 4,05 (per. ore 7).

Mi riferisco al mio telegramma n. 215 (1).

Avendo domandato a Litvinov se l'articolo editoriale del Journal de Moscou del l o novembre esprimesse pensiero del Commissariato del Popolo per gli Affari Esteri circa l'inopportunità dell'estensione delle sanzioni a danno dell'Italia, egli mi ha confermato che l'articolo stesso rispondeva perfettamente al suo pensiero. Ho allora rilevato che la proposta canadese, tenendo all'estensione delle sanzioni, era ora logico aspettarsi che l'U.R.S.S. non l'avrebbe assecondata. Egli mi ha ripetuto che l'U.R.S.S. vi aveva già aderito con la nota riserva (mio telegramma n. 202) (2) ma che si sarebbe astenuta, dal prendere a Ginevra alcuna iniziativa in merito. Nessuna azione comune con l'Inghilterra aveva svolto né intendeva svolgere l'U.R.S.S. su tale questione. Gli ho detto che prendevo atto di quanto mi dichiarava. Sue affermazioni mi inducevano oltre tutto a dedurre che l'U.R.S.S. non si sarebbe accontentata dell'ambigua attuale attitudine degli

S.U.A. per reputarsi sciolta dalla riserva formulata a Ginevra.

Litvinov allora mi ha detto che, a suo avviso, la deduzione gli sembrava esatta; ma che, ad ogni modo, la questione non era stata nemmeno prospettata, nè il Governo dell'U.R.S.S. l'aveva ancora esaminata. Che gli sembrava invece oggi possibile che qualche proposta venisse fatta al Congresso americano, ciò che avrebbe rinviato la trattazione della questione al gennaio p.v. Infine Litvinov mi ha detto che il Barone Aloisi aveva fatto a Stein, come del resto ad altri Capi missione (3) in Roma, alcune dichiarazioni a proposito dell'embargo sul petrolio che potevano essere interpretate come una larvata minaccia e che era sua opinione che questa non avrebbe giovato alla nostra causa.

Gli ho replicato che evidentemente non si trattava di minacce ma della realistica visione di una situazione pericolosa che l'embargo sul petrolio non avrebbe certamente mancato di creare. Gli ho detto che non più tardi di stamane i giornali di Mosca avevano riprodotto notizia da Roma su preparativi inglesi per eventuale repressione del contrabbando del petrolio. Litvinov mi ha interrotto dicendo che questo significherebbe il blocco e che gli sembrava di doverlo escludere a priori.

no

(1) -T. 14129/215 P.R. del 27 novembre 1935, ore 14,55, non pubblicato. (2) -Vedi D. 625. (3) -Vedi D. 716.
751

IL CONSOLE A OTTAWA, PETRUCCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 9140/111 R. Ottawa, 29 novembre 1935, ore 17,35 (per. ore 3,20 del 30).

Faccio seguito al mio telegramma n. 109 (1).

Da fonte attendibile ho saputo che il Signor Riddel ha avuto istruzioni da questo Governo di evitare assolutamente di prendere parte alla riunione del Comitato di Ginevra del 5 dicembre prossimo, anzi, nel caso si volesse continuare a fare passare la proposta sull'embargo sul petrolio, carbone ecc. come «canadese » egli dovrà dichiarare che tale proposta è stata fatta di sua iniziativa personale e non per conto del Governo canadese, che non l'ha autorizzato a farla. In questa maniera, il Governo canadese pensa di declinare ogni responsabilità nei riguardi della proposta stessa senza ricorrere ad una pubblica sconfessione del suo delegato se non nel caso che le circostanze ve lo obblighino.

752

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9127/565 R. Ginevra, 29 novembre 1935, ore 21,32 (per. ore 24).

Ho avuto una lunga conversazione con questo delegato polacco Komarnicki e gli ho spiegato che la riunione del Comitato dei Diciotto per il 12 dicembre avrebbe potuto avere delle conseguenze gravissime data la legittima esasperazione che le misure, che il comitato si proponeva di prendere, non avrebbero mancato di suscitare in Italia.

Komarnicki mi ha detto che conveniva con me su questo punto: che non aveva mancato di farlo presente anche a Vasconcellos. Gli ho detto che ciò non mi sembrava sufficiente e che noi contavamo su una sua presa di posizione in seno al Comitato dei Diciotto. Occorreva che una voce coraggiosa si levasse in una riunione di gente vile e rassegnata a subire la volontà di uno o due Governi interessati. Komarnicki mi ha detto allora che egli avrebbe proposto a Beck di prendere posizione contro questa estensione delle sanzioni. Gli sembrava peraltro opportuno che Delegato italiano provocasse da Beck precise istruzioni per lui. Komarnicki non si illude in nessun modo che sua azione possa essere decisiva ma ritiene che, se Lavai potrà essere a Ginevra e si opporrà alla nuova misura, egli potrà fiancheggiarlo efficacemente, sempre a condizioni di avere istruzioni in tal senso dal suo Governo. Naturalmente se Lava! non sarà più Ministro degli

Esteri francese, Komarnicki non si fa illusione sulla portata di un suo atteggiamento negativo dato che inglesi e russi sono fermamente decisi a porre l'embargo sul petrolio. Nulla vi sarebbe da aspettarsi dalle altre Delegazioni, compresa la romena, che seguirà supina la volontà inglese.

Ho incoraggiato Komarnicki a prendere un deciso atteggiamento sulla questione e mi è parso deciso a farlo. Riterrei pertanto opportuno che R. Ambasciatore a Varsavia insistesse in tal senso presso Beck (1).

(l) Vedi D. 744.

753

L'INCARICATO D'AFFARI A GUATEMALA, CORTESE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9144/73 R. Guatemala, 29 novembre 1935, ore 22,25 (per. ore 3,50 del 30).

Telegramma circolare 2254 (2).

Ho ricevuto risposta Honduras datata 22 corrente, molto cortese nella forma. Nota spiega che, malgrado sentimenti solida amicizia per l'Italia, Honduras ha creduto dover approvare sanzioni in omaggio impegni internazionali fissati artt. 12 e 16 Patto. Data posizione Stati membri della S.d.N., Honduras si ritiene incapacitata trattare isolatamente questione e comunica volere astenersi per ora da considerazioni relative protesta italiana. Risposta termina affermando non impedire ciò che, in qualunque momento, Honduras sarebbe lieta cooperare componimento conflitto.

754

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 9124/935 R. Parigi, 29 novembre 1935, ore 22,30 (per. ore 1,45 del 30).

Telegramma di V. E. n. 808 (3).

Ad ogni buon .fine osservo che nel mio telegramma n. 918 (4) non ho parlato di osservazioni di Peterson secondo cui assegnazione all'Italia dei territori SudOvest Etiopia sarebbe « ingiustificatamente lesiva~.

Ho detto esperto inglese aveva trovato nostre pretese su quella regione «non fondate su alcuna ragione~Chiarirò domani con Lavai questo punto giusta istruzioni impartitemi.

(l) -Ritrasmesso con T. 2464/C. del 10 dicembre 1935, ore 16, a Varsavia, Mosca, Parigi, Washington, Bucarest e, per corriere, a Londra. Per la risposta di BastianLn1 vedi D. 780. (2) -Vedi D. 642. (3) -Vedi D. 745. (4) -Vedi D. 714.
755

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. S. PER CORRIERE 0344. Londra, 29 novembre 1935.

Ieri Vansittart mi ha fatto sapere che desiderava di parlarmi e mi ha invitato a pranzo a casa sua. Abbiamo avuto una lunga conversazione che è durata dalle 22 all'una di notte e tutti gli aspetti della situazione sono stati esaminati. La cordialità dei nostri rapporti personali mi ha permesso di essere con Vansittart anche questa volta estremamente crudo e preciso. Non mi faccio illusioni ma ho l'impressione che un passo in avanti sia stato fatto nelle conversazioni di ieri sera come del resto in quella che ho avuto martedì con Hoare e che ho riferito con telegramma per corriere n. 0339 del 26 corrente (2).

Vansittart mi ha anzitutto parlato di Garibaldi (3) dicendomi francamente che tanto egli quanto Hoare erano imbarazzati e non sapevano come regolarsi. Essi si erano rivolti a Roma, ma il telegramma ricevuto da Drummond era tutt'altro che chiaro circa la natura della missione del Garibaldi a Londra. «D'altra parte il Garibaldi si è presentato a me ed a Hoare dichiarandosi incaricato dal Duce di un negoziato di pace col Governo inglese ed appoggiando questa sua missione di fiducia su un documento che risponde esattamente a quello a noi trasmesso da Lavai a metà ottobre e che Garibaldi afferma essergli stato dettato dal Duce personalmente. Hoare ha atteso una diecina di giorni prima di concedere al Garibaldi l'udienza. Ma ora, come dobbiamo regolarci? È Garibaldi o no un amico intimo di Musso lini? Noi abbiamo capito che egli è stato incaricato dal Duce di un negoziato vero e proprio. Le offerte esposte dal Garibaldi non contengono nulla di nuovo, però da quanto egli ci ha detto noi abbiamo rilevato con soddisfazione che il Duce mostra finalmente di voler modificare il suo atteggiamento. Quello tuttavia che noi non riusciamo ancora a capire è perché il Duce abbia voluto servirsi di Garibaldi per tutto questo».

Mi sono limitato a rispondere che non sapevo quello che Garibaldi aveva detto ad Hoare, e mi era quindi difficile entrare nell'argomento. Siamo quindi passati ad esaminare la situazione. Riassumo i punti essenziali della conversazione.

Vansittart mi ha domandato le mie impressioni.

Ho premesso che non avevo alcuna istruzione di entrare a discutere sul merito di un possibile regolamento della questione abissina. Ciò doveva essere anzitutto ben chiaro fra noi due. Premesso questo non avevo difficoltà ad esprimergli il mio giudizio personale sulla situazione. Questa è estremamente grave. Il Governo inglese non deve farsi alcuna illusione. Vi è un blocco navale e terrestre in atto contro l'Italia. Questo blocco è un vero e proprio atto di guerra guerreggiata. Esso è stato organizzato dall'Inghilterra e drasticamente applicato

allo scopo d'infliggere all'Italia una sconfitta militare. La nazione italiana è perfettamente conscia di questo fatto e si prepara a reagire nel solo modo con cui un esercito assediato può reagire ad un assedio: la sortita ed il contrattacco. Il popolo italiano ha perfettamente realizzato che ormai non solo l'esistenza ma l'onore della nazione sono in giuoco. Piuttosto che rischiare di morire di fame l'Italia preferisce rischiare di morire in combattimento. Questo è perfettamente naturale e questa è la scelta che ormai i 43 milioni di italiani, stretti attorno al Duce, hanno fatto. L'Inghilterra ha portato la situazione a questo punto. L'Europa avrà la sua guerra e sarà quel che sarà.

Vansittart ha ripreso dicendomi confidenzialmente che, malgrado altri qui pensino diversamente, egli era personalmente convinto che avevo ragione. «Io condivido il vostro giudizio sulla situazione. Se non si trova una via d'uscita molto presto, per non dire subito, l'Europa, che è già sull'orlo, precipiterà nell'abisso. Purtroppo vi sono molti qui che non la pensano così. Durante una conversazione avuta con voi circa sei mesi or sono voi mi avete prospettato l'ipotesi di una guerra fra l'Italia e la Gran Bretagna ed avete aggiunto che una guerra fra i nostri due Paesi rassomiglia ad una lotta mortale fra un leopardo ed un leone. Il leone alla fine riuscirà ad uccidere il leopardo. Ma il leopardo prima di morire per lo meno accecherà il leone. Credo che abbiate ragione».

Grandi: «Facciamo pure l'ipotesi accarezzata dagli antifascisti inglesi. Supponiamo per un istante un'Italia sconfitta, « polverizzata », come qui si di,ce. Ciò significa necessariamente un'Italia comunista alla completa mercè della Germania. L'Inghilterra militarmente indebolita, la Francia nella guerra civile, gli Stati del Centro Est europeo in ginocchio davanti a Berlino. La Germania padrona dell'Europa. Ecco il solo risultato della politica britannica «delle sanzioni '> che l'Inghilterra pretende giustifare come un esperimento preliminare e necessario per un'azione collettiva contro la Germania in un prossimo futuro! ».

Vansittart mi ha risposto dicendo che purtroppo avevo ragione. «Ma come rimediare? Credete sia ancora possibile che il fronte di Stresa possa esser salvato e possa ristabilirsi la politica comune delle Tre Potenze? Non è ormai troppo tardi per questo?».

Ho risposto :«No. Non è troppo tardi, ma siamo giunti all'ultimo quarto d'ora. Fra un quarto d'ora sarà troppo tardi. Bisogna che il Governo inglese si persuada una volta per sempre che la questione abissina è diventata il cancro dell'Europa. L'Italia ha fatto di tutto per localizzare il conflitto in Africa. L'Inghilterra ha fatto di tutto per estendere, attraverso «le sanzioni», il conflitto in Europa. Il conflitto è già europeo. Peggio per coloro che hanno trascinato l'Europa a questa situazione».

Vansittart: «Ma allora che cosa occorrerebbe fare?».

Grandi: «Occorre che una buona volta l'Inghilterra e l'Italia si guardino

negli occhi e parlino e trattino fra loro. Occorre che i contatti fra Londra e

Parigi, fra Parigi e Roma siano integrati da contatti diretti fra Londra e Roma.

Occorre entrare una buona volta nella carne delle cose».

Vansittart: «Sono d'accordo. È quello che avete già detto martedì scorso a

Hoare. Hoare è anche d'accordo. Ma voi avete delle istruzioni specifiche per un

negoziato concreto?».

Grandi: «No. Non ho istruzioni».

Vansittart: «Bisogna che il Duce si renda conto che, giunte le cose al punto in cui sono giunte, occorre ricercare le basi di un regolamento che tenga in considerazione molte difficoltà in una volta. Esso dev'essere accettato non solo da noi e dalla Francia, bensì da Ginevra e da Addis Abeba:..

Grandi: «Queste difficoltà non vanno sopravvalutate. Ho avuto già occasione di dire più volte a voi ed a Hoare: se le tre Potenze si mettono d'accordo, la Lega delle Nazioni ed il Negus accetteranno l'accordo. Per quanto riguarda Ginevra, una volta che le Tre Potenze fossero d'accordo, vi sono cento pretesti o motivi giuridici per riaprire la questione etiopica davanti al Consiglio della

S.d.N. prendendo in considerazione i «fatti nuovi» emersi dalle operazioni militari dell'Italia in Etiopia e giustificando così un legittimo riesame del Memorandum italiano del settembre u.s. (1), così come proponeva del resto la Nota italiana dell'H novembre» (2).

Vansittart: «Vi è un altro punto. Il regolamento deve essere giustificato formalmente come uno " scambio " di territori fra l'Italia e l'Etiopia. Questa è una finzione ma non possiamo farne a meno per facilitare la soluzione. La proposta di un Mandato all'Italia sulle provincie non amariche non ritengo sia praticamente attuabile. Credo meno difficile l'attribuzione in sovranità all'Italia di una porzione da determinarsi del territorio abissino. Voi conoscete senza dubbio il progetto Peterson -Saint-Quentin ».

Grandi. «Si lo conosco. Cessione all'Italia dei territori abissini al sud del1'80 parallelo... ».

Vansittart: « ...Limitato dal 41° meridiano».

Grandi: «Questo significa l'Ogaden e nulla più. È ridicolo. Il Duce ha detto che egli non è uncollezionista di deserti. L'Ogaden e la Dancalia ce l'ha sempre offerta il Negus in cambio dello sbocco di Assab. Credete che con un esercito di 300 mila uomini che avanza vittorioso in Abissinia si possa concepire un regolamento su queste basi?».

Vansittart: «Si tratta di studiare il modo per dare praticamente all'Italia una grossa porzione dell'Abissinia che sia fertile e che abbia delle effettive risorse economiche creando una specie di regime provvisorio, un regime "di fatto" che possa venire accettato da Ginevra in questo momento ma che consenta in seguito all'Italia di stabilizzare questo regime secondo i suoi desiderata ·e le sue domande. Applicando una formula di questo genere, si potrebbe considerare, credo, anche i territori ad Ovest del 41 o meridiano ».

Ho risposto a Vansittart che tutto ciò mi appare piuttosto vago e confuso, ma che ero ad ogni modo curioso di avere da lui qualche maggiore dettaglio su questa «formula» che non sarebbe Mandato, che non sarebbe sovranità assoluta, ma, a quel che sembra, un po' e niente di tutte e due.

Vansittart: «La studieremo insieme, se voi lo volete». Ho evitato di rispondere e ho detto invece che almeno speravo non vi fossero « formule » per il Tigré, terra sacra per l'Italia. Ho ripetuto a Vansittart,

dilungandomi assai, gli argomenti già esposti nel colloquio con Hoare di martedì scorso circa i diritti storici dell'Italia sul Tigré.

Vansittart: «Spero che voi non vorrete "tutto" i'l Tigré, la fisionomia storica e geografica del quale è del resto assai imprecisa. Quale è esattamente per l'Italia la "nozione" geografica del Tigré? Aloisi a Ginevra ha accennato a Hoare la possibilità d'una creazione nel Tigré di uno Stato indipendente (1). Si può discutere su questa base?~.

Grandi: «Non credo. La terra di Adua, di Adigrat, di Makalé, di Amba Ala:gi è una terra sacra per l'Italia. Non vi sono possibili "formule" per il Tigré. Ma poi vi è il problema della congiunzione delle due colonie attraverso l'Harrar. Che idee avete su questo punto d'importanza capitale per la sicurezza dei nostri possedimenti africani?~.

Vansittart si è stretto nelle spalle. « Di questo è meglio che il vostro Ambasciatore a Parigi ne parli al Signor Laval. Noi aspettiamo su questo punto le proposte della Francia. Ma adesso che ho parlato io, voi che cosa avete da dirmi? Quali sono i vostri suggerimenti? Voi vi rammaricate che non vi sia un contatto diretto fra Londra e Roma: ma dovete darmi atto che più volte, durante questi mesi, nelle nostre frequenti, cordiali, sebbene spesso crude, conversazioni con voi, vi abbiamo fornito occasione di discutere tutte queste questioni. Voi indubbiamente in seguito ad istruzioni avute, avete sempre evitato di raccogliere i nostri assaggi in proposito~.

Grandi: «Potremo, se credete, riprendere la conversazione fra qualche giorno. Credo che ne valga la pena. Ma voi dovete rendervi conto che è assai difficile, autorizzato o no, di procedere a conversazioni di carattere importante e concreto con voi, quando la S.d.N. si prepara all'applicazione dell'embargo sul petrolio contro l'Italia. Questo è un vero e proprio atto dì guerra destinato a precipitare irrimediabilmente gli avvenimenti~.

Vansittart: «Credo che se un serio negoziato per la ricerca di un regolamento definitivo della questione abissina sarà iniziato si potrebbe forse ottenere di rimandare la discussione a Ginevra di questo problema ~.

Abbiamo deciso di rivederci martedì prossimo alle ore 16 (2).

Questo è il succo della mia discussione con Vansittart. Come il Duce vedrà, mi sono mantenuto sulle generali. Ma credo che in una prossima conversazione io potrei andare più a fondo se il Duce mi darà facoltà di farlo. Vorrei in questo caso pregare di tener conto che se si vuole che una discussione porti a qualche frutto concreto, bisogna che sia una discussione. Chi discute non può limitarsi a stare ad ascoltare e a riferire. Occorre quindi siano indicati dei punti massimi e dei punti minimi per permettere al negoziatore d'avere l'indispensabile terreno tattico di movimento. Credo che Vansittart è disposto a discutere con noi. Ritengo che noi non dobbiamo perdere questa occasione. Darà i frutti che darà, ma vale la pena di tentarla. A metà ottobre mi sono permesso di scrivere che dopo le elezioni inglesi ci saremmo trovati di fronte aUa possibilità di un negoziato o alla probabilità di una guerra. Credo che siamo vicini all'una cosa e all'altra. Sono convinto che, per uscire vittoriosi da una prova

come questa, noi dobbiamo dare l'impressione netta della nostra fredda determinata fermezza, ma di questa impressione della nostra fermezza noi dobbiamo tempestivamente servirei per spingere avanti i negoziati ed assicurare così ad essi un successo.

Se il Duce crederà d'inviarmi istruzioni, prego farlo per corriere e non per telegrafo (1).

(l) -Ed. 1n «Storia contemporanea», 1977, n. 4, pp. 770-773. (2) -Vedi D. 726. (3) -Vedi DD. 729 e 749. (l) -Vedi D. 67, nota 2. (2) -Vedi D. 602, nota 2. (l) -Vedi D. 554. (2) -Vedi D. 781.
756

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 9200/0117 R. Vienna, 29 novembre 1935 (per. il 2 dicembre).

La visita di Gi:imbos e Kanya, annunziata qui pubblicamente soltanto ieri mattina, cioè nel giorno stesso dell'arrivo dei due Ministri, ha subito dato esca, nei circoli diplomatici, ad ogni genere di congetture. Quella che ha avuto maggior corso, e che ha allarmato il mio collega di Francia, è la seguente: che Gombos sarebbe cioè venuto a Vienna, con una ambasceria della Germania, sovratutto ai fini della formazione del noto blocco Italia-Germania-AustriaUngheria-Polonia.

Ma, come ho telegrafato testé a V. E. (2), la visita ha avuto esclusivamente, come Starhemberg mi ha confidato, e come poscia ho potuto trarne conferma da accenni di Berger, «scopi meramente dimostrativi~; ossia che Gombos abbia voluto effettuarla nel desiderio: l) di neutralizzare l'impressione sollevata in Austria dalla sua recente visita a Berlino; 2) di provocare preoccupazioni in Cecoslovacchia e 3) di propiziarsi il Governo di Berlino col dargli la sensazione di non avere egli mancato di mettere al corrente Vienna dei progetti imbastiti nella sua visita in Germania.

In succinto, nei colloqui intercorsi ieri sera e stamani, Gombos avrebbe agitato i seguenti problemi:

l) in caso di conflitto europeo, e di un conseguente smembramento della Cecoslovacchia, quale sarebbe l'atteggiamento dell'Austria? Non sarebbe il caso di prendere opportuni impegni di natura militare e politica? Schuschnigg e Berger hanno categoricamente risposto che l'Austria non ha alcun programma revisionista né mire irredentiste, e che pertanto essa non può né vuole partecipare a piani preventivi di spartizione, ed ancora meno procedere ad accordi od impegni militari. Tuttavia, all'osservazione di Gombos che l'Austria verrebbe così a rinunziare a Bri.inn, Berger avrebbe risposto che per lui non corre dubbio che «allorquando veri e provati amici si assidessero ad un banchetto, non mancherebbero di invitarvi pure l'altro rimasto in disparte». Berger avrebbe voluto a questo modo, a quanto egli stesso mi ha detto, riservarsi di decidere, senza rinunzie definitive, solo davanti ad una situazione di fatto. Starhemberg è invece intervenuto con maggiore determinazione, sostenendo che il quesito stes

so posto dal Gtimbtis confermava il suo dubbio che l'Ungheria avesse concluso veri e propri accordi con la Germania e con la Polonia per il caso in questione. Gtimbos non avrebbe posto un netto diniego, ma neanche precisato alcunché: donde Starhemberg ha insistito m eco sulla sua antica e già riferita persuasione che l'Ungheria abbia concluso accordi concreti, tanto con Berlino quanto con Varsavia, nel caso di un attacco della Germania contro la Cecoslovacchia, e susseguente smembramento di quest'ultima.

2) Gombos ha quindi fatto l'ipotesi che l'Italia, a seguito di un suo conflitto con l'Inghilterra e con la stessa Francia, non potesse prestare alcun aiuto all'Austria ed alcuna attenzione ai casi dell'Europa centrale ed ha fatto l'ipotesi non tanto di un attacco della Germania contro l'Austria e la Cecoslovacchia, quanto di un attacco della Piccola Intesa contro l'Ungheria. Berger ha risposto che, in tale eventualità, l'Austria e l'Ungheria nulla potrebbero fare da sole, e che quindi occorreva lasciare la questione per il tempo in cui si avverasse l'inverosimile ipotesi: inverosimile sia nei rispetti dell'accennato attacco tedesco -almeno per il momento -contro l'Austria o la Cecoslovacchia, che nei rispetti del prospettato attacco della Piccola Intesa, giacché questa, in realtà, pon potrebbe mai pretendere di spartirsi un paese di compatta popolazione magiara.

3) Gombos ha allora portato il discorso sull'atteggiamento dell'Austria nei riguardi di un eventuale blocco italo-tedesco-austro-ungarico-polacco. Starhemberg ha risposto che l'Austria non avrebbe nulla da opporre, qualora in Germania venisse un regime diverso dal nazionalsocialismo, il quale, avendo precipuamente un programma di espansione di razza, metterebbe in non cale quel qualsiasi accordo, trattato, od impegno che l'attuale Governo di Berlino concludesse eventualmente con Vienna, sulla base dell'assoluta indipendenza dell'Austria. Analoghe idee avrebbe esposto Schuschnigg. Gombos avrebbe condiviso le suddette preoccupazioni, ed ammesso anche i pericoli che deriverebbero all'Ungheria dall'Anschluss. Starhemberg ha allora fatto presente che se il nazismo è attualmente in Austria non particolarmente efficiente, esso rappresenta tuttavia per il paese un pericolo permanente e temibilissimo. Ha poi dichiarato che una risposta all'indagine di Gombos avrebbe potuto darsi solo dopo matura ponderazione, la questione di una adeguata garanzia dell'indipendenza austriaca contro l'espansionismo nazista essendo di difficilissima, se non di impossibile soluzione.

4) Circa l'Italia, Gombos ha dichiarato che egli intende restare, specie nell'attuale situazione, pienamente solidale con S.E. il Capo del Governo, e che quindi, in fatto di sanzioni, desidera marciare d'accordo con l'Austria ed in piena intesa con Roma. Schuschnigg avrebbe svolto con fermezza la stessa tesi, interamente appoggiato da Starhemberg. Kanya non sarebbe intervenuto in alcun modo in tale questione. E Berger si è affrettato a spiegarmi tale silenzio nel senso che « se i Capi di Governo dànno le linee principali, ai Ministri competenti resta il non facile compito dell'applicazione, e quindi tutti quei temperamenti che possono essere suggeriti dalla sola preoccupazione di non creare situazioni tese od estremiste, che metterebbero in pericolo tutti quegli· utili ser

vizi che le Nazioni non sanzioniste, quali l'Austria e l'Ungheria, non ambiscono che rendere all'amica Italia».

5) Gombos si è poi intrattenuto su questioni strettamente militari, mostrando una vera e propria infatuazione, che mi è stata anzi definita di puerile: il tutto a servizio della «idea fissa» dello smembramento della Cecoslovacchia.

6) Gtimbtis ha inoltre chiesto precise notizie sul movimento legittimista austriaco. Starhemberg ha risposto esponendo alla lettera quanto ho già riferito a V. E. al riguardo col mio teleposta riservatissimo n. 2444 del 19 corrente (1).

7) Gtimbos infine sarebbe tornato a parlare della Germania e della sua recente visita colà, insistendo sul punto che Berlino non ha problemi interni tali da richiedere la diversione di problemi esteri, quale potrebbe essere quello dell'Anschluss. Ma Starhemberg ha ribattuto, appoggiato da Schuschnigg, con gli stessi argomenti dinanzi esposti, circa il permanente pericolo insito nelle teorie naziste.

Da tutto quanto precede risulta che Gtimbtis, pur non formulando proposte precise a nome o per conto della Germania, ha voluto tuttavia prospettare a questo Governo possibilità d'intesa con la Germania; basandole sia sull'eventuale contropartita d'ingrandimenti territoriali in favore dell'Austria, nel caso di smembramento della Cecoslovacchia: e ciò all'evidente e principale scopo di distogliere il più possibile il Governo di Vienna da indesiderate intese economiche o politiche con Praga e sia sui pericoli che potrebbero provenire all'Austria -nei confronti della Germania e dell'Europa centrale -nel caso in cui l'Italia non potesse prestarle alcun aiuto, pel fatto di trovarsi interamente assorbita in altri campi.

Appare anche come Schuschnigg, in pieno accordo con Starhemberg, desideri rimanere sulle vecchie posizioni, così come del resto ne fa prova il discorso di ieri (2), alla Dieta, del Barone Berger: discorso in cui sono specialmente da rilevarsi l'amichevole e cordiale accenno alla Cecoslovacchia e la speciale menzione «degli indefessi sforzi svolti da Parigi specialmente in vista di una favorevole evoluzione economica dell'Europa danubiana».

Per ultimo, circa l'iniziativa della visita dei due Ministri ungheresi, desidero segnalare che Berger, il quale me l'ha annunziata più che una settimana fa (mio telegramma n. 226) (3), tenne a prospettarla come l'improvvisa manifestazione di un desiderio di Gombtis. Da parte sua Starhemberg si è limitato a dirmi che Gtimbtis doveva venire qui per una partita di caccia al camoscio, ma che poi, volendo evitare di recarsi in alta montagna nell'attuale stagione, aveva finito per preferire una visita ufficiale a Vienna, tanto più che questa avrebbe meglio risposto « agli effetti ottici » verso la Cecoslovacchia e la Germania, da lui segretamente desiderati. Ho l'impressione che quest'ultima versione sia la più esatta.

51 --Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

(l) -Vedi D. 781. (2) -T. 9139/235 R., pari data, ore 21,30, non pubbllcato. (l) -Non rinvenuto. (2) -Vedi D. 741. (3) -Con T. 8830/226 R. del 22 novembre 1935, ore 20, Preziosi riferiva le perplessità manifestategli da Berger circa la richiesta inglese dei certificati d'origine di merci esportate da paesi neutrali ed aggiungeva di aver appreso, nel corso dello stesso colloquio, della progettata visita dei ministri ungheresi.
757

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 9201/0118 R. Vienna, 29 novembre 1935 (per. il 2 dicembre).

Starhemberg mi ha detto in tutta confidenza che Schuschnigg si proporrebbe accettare un invito rivoltogli da una associazione economica di Cecoslovacchia per recarsi colà, per una conferenza.

A titolo del tutto personale ho risposto ch'io non potevo non mettere detta notizia in relazione con diverse altre relative ad un progressivo avviamento non solo dei dissidenti cristiano sociali di parte democratica, ma anche di funzionari ed elementi del Fronte Patriottico, verso una vera e propria intesa con la Cecoslovacchia, sotto gli auspici francesi.

Starhemberg non mi ha negato affatto, come già altra volta, gli scopi antifascisti delle predette correnti, che ha tuttavia spiegate con la preoccupazione dell'Austria di trovare appoggi ed aiuti contro un attacco della Germania, nel caso in cui l'Italia non potesse adeguatamente soccorrerla per suoi impegni altrove. Ha quindi accennato che Schuschnigg non mancherebbe infatti, nella sua visita in Cecoslovacchia, d'informarsi sull'attività del partito di Heinlein e sulle misure di precauzione prese dal Governo di Praga. E poiché Starhemberg mi ha comunicato ciò subito dopo avermi riferito i risultati della visita di Goemboes, non posso non riscontrare nelle surriferite parole del Vice Cancelliere un'indiretta conferma dell'atteggiamento assolutamente negativo preso dai Ministri austriaci nei riguardi degli allettamenti di Goemboes per indurii ad una politica nettamente anticecoslovacca. Al riguardo mi riferisco all'odierno telegramma per corriere (1), circa appunto la visita di Goemboes.

Devo aggiungere che le rinate simpatie austriache verso la Cecoslovacchia sono non soltanto in relazione con le preoccupazioni accennate dallo Starhemberg e coi noti ed antichi legami intercedenti fra i democratici ed i socialisti austriaci e Praga, ma anche in relazione ai postulati del legittimismo austriaco ed ungherese, sulla base che una restaurazione asburgica in Austria ed in Ungheria potrebbe facilmente estendersi alla stessa Cecoslovacchia.

Come che sia, le azioni della Cecoslovacchia sono in evidente rialzo al

Ballplatz, sovratutto pel fatto dei noti funzionari francofili ed antifascisti: ma

anche Berger, sia per l'influenza esercitata su di lui dai predetti elementi, sia

per il proprio profondo sentimento legittimista, sia per le medesime preoccu

pazioni accennate da Starhemberg, sia per il desiderio di calmare in certa

guisa i democratici, corrispondendo così agli incitamenti della Francia e del

l'Inghilterra, è da tempo sulla stessa via. Ne fanno prova tutti i rapporti da

lui imbastiti nei mesi scorsi con Benes, all'ombra dei protocolli di Roma; e

gli accenni stessi ispirati a cordialità, rivolti alla Cecoslovacchia nel suo di

scorso di avant'ieri alla Dieta (2).

Evidentemente, nella speciosa preoccupazione che l'Italia non possa prestare all'Austria, all'occorrenza, il necessario aiuto, tutti i zelatori della teoria che la garanzia dell'indipendenza austriaca debbano riposare sulla S.d.N., sulle Grandi Potenze democratiche e sulla Piccola Intesa, trovano un terreno particolarmente ben disposto per forzare il cammino delle proprie idee e simpatie. Al riguardo segnalo l'odierno articolo della Reichspost, il quale, analizzando con ironia l'ottimismo dimostrato da Berger nel discorso di ieri, illustra i concetti anzidetti, mettendo in particolare valore il miglioramento sopravvenuto nelle relazioni austro-cecoslovacche (l).

(l) -Vedi D. 756. (2) -Vedi D. 74l.
758

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9182/127 R. Tirana, 30 novembre 1935, ore 15,05 {per. ore 21,35).

Telegramma di V. E. n. 131 (2).

Governo albanese tiene essenzialmente questione raffinerie per ragioni politica interna. Sua tesi è che vi aveva rinunziato unicamente in connessione con concessione prestito decennale gratuito, ma che dopo la questione fu risuscitata, ottenendo affidamenti in occasione primi negoziati per sistemazione questioni pendenti. Contro-partita sarebbe già assicurata oltre tutto con nuova concessione Berat. Ciò stante soluzione ora proposta da A.I.P.A. non potrebbe soddisfarlo, giacché impegno costruzione «a condizioni da determinarsi ulteriormente~ fa sospettare che voglia tacitarlo col mezzo milione della cauzione. Sta in fatto che qui si sa ormai che da parte nostra si desidera disporre petrolio albanese a data fissa ed imminente e si vuole approfittare occasione. In queste condizioni apporto concessioni altri accordi paralleli non possono avere il loro pieno giuoco nel negoziato. Naturalmente appesantiscono situazioni pressioni inglesi e timori albanesi. Continuo tuttavia trattare per ricercare possibile compromessu.

Per agevolare rapidità occorrerebbe che Gr. Uff. Jacobini o persona da lui munita di pieni poteri si recasse qui nei prossimi giorni (3).

759

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 14097/232 P. R. (4). Roma, 30 novembre 1935, ore 24.

Considero nota argentina (5) come una delle meno amichevoli fra quante Italia ha ricevuto sin qui. Vedo che i figli degli italiani organizzano grande settimana italianità. Dia massimo impulso a tale manifestazione e provveda a che abbia considerevole ripercussione nella stampa italiana e mondiale (6).

(l) -Vedi DD. 801, 831 e 931. (2) -Vedi D. 735. (3) -Vedi D. 776. (4) -Minuta autografa. (5) -Vedi D. 742. (6) -Con T. 14437/381 P.R. del 2 dicembre 1935, ore 19, Arlotta assicurava di aver eseguito le presenti istruzioni. Vedi anche D. 807.
760

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FONOGRA~A 9137/566 R. Ginevra, 30 novembre 1935 (1).

Questo Ministro di Turchia mi ha assicurato ieri sera che Governo americano inviterebbe compagnie interessate ad applicare embargo sul petrolio prima ancora delle decisioni che saranno prese dal Comitato dei Diciotto e ciò perché Presidente Roosevelt non vuole dare l'impressione che suo Go~ verna attende le decisioni della S.d.N. Circoli isolazionisti americani così com~ circoli favorevoli alla collaborazione S.d.N. sarebbero perfettamente d'accordo col Presidente Roosevelt per adozione delle misure in questione.

Intanto qui si afferma che escluso il carbone, il ferro e l'acciaio dall'esame del Comitato dei Diciotto, quest'ultimo si dedicherà ad esaminare la estensione dell'embargo del petrolio e dei suoi derivati, del cotone e del rame. Riservo di confermare.

761

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9216/061 R. Belgrado, 30 novembre 1935 (per. il 2 dicembre).

Telegramma di v. E. n. 144 (2).

Questo Presidente Consiglio da me interpellato il giorno 12 corrente (in occasione mia consegna nostra nota protesta sanzioni) circa consistenza voci qui circolanti in una richiesta inglese di collaborazione navale anglo-jugoslava in Adriatico e di eventuale utilizzazione inglese di basi navali jugoslave,

mi ha assicurato che nessuna richiesta in tal senso era stata fatta dal Go

verno di Londra, nè a Belgrado, nè (senza che io gli avessi accennato a que

sta circostanza) al Principe Paolo in occasione del suo soggiorno a Londra.

Questo corrispondente Stefani da me autorizzato ha opportunamente segnalato lo stesso giorno tale smentita.

Al prossimo mio incontro con Stojadinovic tornerò apertamente sull'argomento per il caso che nel frattempo siasi verificata qualche iniziativa inglese del genere (3).

(ll Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

(2) -Vedi D. 737. (3) -Vedi D. 782.
762

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. S. PER CORRIERE 9221/054 R. Sofia, 30 novembre 1935

(per. il 2 dicembre).

Mio telegramma filo n. 175 (1).

Riassumo brevemente contenuto e impressioni da me riportate dal colloquio di ieri con Sua Maestà Re Boris. Sua Maestà fu visibilmente fortemente impressionato dalla lettura del messaggio. Dopo momento riflessione mi disse che per prima cosa vedeva in esso un gesto di simpatia da parte dell'E. V. per la Sua persona, perché V. E. tentava di evitare se possibile che Bulgaria subisse conseguenze sua adesione sanzioni: di questo Le era profondamente grato. Non poteva darmi immediatamente una risposta perché doveva consultarsi col Presidente del Consiglio-Ministro degli Affari Esteri. La frase che ripeté a diverse riprese durante il lunghissimo colloquio era «mi trovo tra Scilla e Cariddi, tra l'amicizia per l'Italia e l'attitudine corretta che debbo tenere di fronte alla S.d.N. e alle altre Potenze per gli impegni presi». E naturalmente ripeté gli argomenti già mille volte ripetuti da Kiosseivanoff (i pericoli che incombono sulla Bulgaria, il suo isolamento, la gratitudine verso la

S.d.N. che aveva evitato nel 1925 l'aggressione greca, ecc.) e avvalorò con esplicite dichiarazioni conformi a quelle fattemi dal Kiosseivanoff l'errore della Delegazione bulgara a Ginevra di avere presentato una risposta di adesione affrettatamente e senza averla previamente concordata. (Debbo a questo punto dire che è ora mia convinzione che solo il punto della non voluta affrettata consegna della risposta è attendibile, ma che le istruzioni per una risposta di adesione pura e semplice erano venute da Sofia).

A diverse riprese Sua Maestà ebbe a dirmi che se V. E. potesse essere completamente al corrente di tutte le difficoltà e dei pericoli interni ed esterni che Egli ed il Suo Governo hanno dovuto affrontare proprio quando a Ginevra si discuteva delle sanzioni e che ancora sussistono, sarebbe di certo meno severo nel giudicare l'opera Sua e quella del Governo bulgaro.

Siccome nel corso del colloquio Sua Maestà mostrò di cercare la mia opinione ed il mio consiglio sull'interpretazione da dare al messaggio e sul da fare, partendo però dalla premessa che avendo aderito alle sanzioni non aveva più maniera di ritrattarsi completamente, credetti opportuno di ricordargli che la Bulgaria non aveva ancora risposto alla nostra nota di protesta, che noi aspettavamo quella risposta e che il tono e la sostanza di essa poteva già costituire un primo passo verso una chiarificazione della situazione; che in secondo luogo il giorno in cui a Ginevra fosse venuta in discussione l'estensione delle sanzioni ai carburanti, al carbone e al ferro, la Bulgaria avrebbe potuto benissimo votare contro. Non so se il mio ragionare e la mia rispettosa insistenza in questo senso abbiano potuto far breccia. Purtroppo il primo a «non avere osato e a non osare di compiere il gesto» è proprio Sua

Maestà e il voler evitare di prendere risoluzioni gravi e precise, il cercare di conciliare l'inconciliabile, il credere che la miglior partita sia quella di dar tempo al tempo e di aspettare in un atteggiamento ambiguo, risponde al Suo carattere.

Mi riservo di visitare lunedì venturo il Presidente del Consiglio (l).

(l) Vedi D. 722, nota 3.

763

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 9228/0255 R. Parigi, 30 novembre 1935

(per. il 2 dicembre).

Lavai è stato informato da Vasconcellos della sua intenzione di convocare Comitato dei Diciotto per il 5 dicembre. Gli dichiarò che impegni politici gli impedivano di trovarsi a Ginevra a tale epoca, che era del resto troppo vicina. Vasconcellos insistette ed allora Lavai si rivolse a Londra ottenendo subito proroga. Vasconcellos voleva dopo di ciò riunire il Comitato il 9 dicembre, ma premure di Lavai a Londra riuscirono a fare spostare la riunione al 12.

Lavai conta dedicarsi dal 6 in poi, da quando cioè i suoi impegni parlamentari lo lasceranno più libero, all'azione di conciliazione che inizierà del resto anche prima di tale data. Mi ha promesso formalmente che agirà in modo che sanzione circa petrolio non sia applicata fino a che dureranno i suoi tentatìvi di conciliazione. Si ripromette di poter ottenere che l'Inghilterra sia meno ostica parlando con Sir Samuel Hoare il quale, secondo notizie private in suo possesso, dovrebbe passare per Parigi nei giorni prossimi recandosi a riposare nel sud.

Ho detto chiaramente a Lavai che nutrivo maggiori timori che sue buone intenzioni fossero frustrate dall'atteggiamento del Quai d'Orsay che continuava a mostrare poca o nessuna comprensione per nostro punto di vista. Mi ha risposto di non preoccuparsene soverchiamente perchè contava vincere le resistenze che egli stesso non poteva negare.

Ho pure parlato a Lavai nel senso che i suoi buoni propositi per la conciliazione rimanevano sterili di fronte all'ostruzionismo britannico. Cercò scusare inglesi dicendo che nostre richieste erano eccessive e non potevano essere accettate da Londra. Gli esposi allora punto per punto nostre richieste dimostrandogli come la nostra avanzata ci dava già il possesso del Tigré e la rettifica nella Dankalia e nell'Ogaden da noi desiderata. La questione dell'amministrazione all'Italia della regione sud-occidentale non amarica dell'Abissinia avrebbe potuto con un poco di buona volontà essere ricollegata, come noi avevamo del resto consigliato, con le conclusioni del rapporto del Comitato dei Cinque.

Lavai osservò che noi avevamo commesso due volte un grave errore tattico, a Parigi il 16 agosto e a Ginevra quando il Comitato di Cinque pubblicò il suo rapporto. Invece di respingere sdegnosamente proposte fatteci, avremmo dovuto tirare le cose in lungo, chiedere delle spiegazioni, rispondere con ragioni che ritenevamo militassero a nostro favore. Ciò avrebbe bene disposto gli inglesi e la S.d.N. a nostro favore. Oggi era inutile recriminare ma bisognava trovare una via di uscita onorevole. Egli infatti non accetterebbe mai di comunicarci proposta di soluzione che potesse ledere nostro onore. Di fronte peraltro alla situazione gravissima che potrebbe sorgere qualora fosse deciso embargo sul petrolio, egli si augurava che noi fossimo disposti ad accontentarci di una parte di quanto avevamo chiesto, fidando nel tempo e nella nostra abilità politica per ottenere il tutto. Mi scongiurò di spiegare chiaramente il suo concetto a V. E. e mi chiese anzi se non sarei stato disposto, dopo che egli avesse veduto Sir Samuel Hoare e che mi avesse riferito circa suo colloquio, di fare una corsa a Roma per conferire personalmente con S. E. il Capo del Governo e rendermi presso di lui interprete delle sue ansie e delle sue speranze.

Ho replicato a Lavai che mi rendevo perfettamente conto delle sue apprensioni tanto più che dubitavo assai che, ove la Francia fosse stata costretta ad accordare il suo appoggio navale, militare ed aereo all'Inghilterra, questo Paese avrebbe marciato contro l'Italia. Lavai mi rispose che i miei dubbi erano pienamente giustificati, ma appunto per ciò egli doveva a qualunque costo trovare una soluzione per non trovarsi in una situazione impossibile.

Questo stato di cose deve da noi essere tenuto costantemente presente perché può ad un dato momento avere gran peso ed indurre Lavai a vincere le resistenze opposte dal Quai d'Orsay e a tenere finalmente a Londra un linguaggio fermo dettatogli dalla necessità di non gettare la Francia in una guerra civile.

(l) Con T. 9246/176 R. del 2 dicembre 1935, ore 21,40, Sapuppo riferiva eU aver appreso da K!osseivanoff che la risposta al messa~>glo del Duce sarebbe stata data dal Ministro d! Bulgaria a Roma (vedi D. 722, nota 3) e che, subito dopo, !l Governo bulgaro avrebbe fatto pervenire la risposta alla nota italiana dell'H novembre (vedi D. 847).

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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9289/048 R. Budapest, 30 novembre 1935 (per. il 4 dicembre).

Mio telegramma odierno n. 146 (1).

Con riserva di segnalare a v. E. le impressioni che potrò quanto prima raccogliere presso il Presidente Goemboes ed il Ministro Kanya, onoromi qui appresso riassumere quanto altro riferito stamani da questo Direttore degli Affari Politici circa l'incontro in oggetto.

Il barone Bessenyei ha confermato avere giorni fa il Presidente Goemboes fatto sapere al Cancelliere Schuschnigg che egli si proponeva di recarsi con la consorte a Vienna e che in tale occasione si sarebbe recato a visitarlo. Schuschnigg aveva risposto che desiderava offrirgli un pranzo. Cammin facendo l'iniziativa, di comune accordo, si era trasformata in incontro ufficiale.

Questo del resto rappresenta realmente -ha insistito il barone Bessenyei un nuovo anello nella catena delle normali e fruttuose consultazioni periodiche previste dal Patto di Roma. « Secondo ha osservato giustamente Hornbostel '>, se ai rappresentanti della Piccola Intesa è lecito incontrarsi sovente, non vi è motivo perché i rappresentanti dell'Austria e dell'Ungheria non facciano altrettanto.

Sanzioni. Oltre quanto già telegrafato il barone Bessenyei ha rilevato che, per quanto concerne l'embargo sulle armi, gli austriaci, come Berger-Waldenegg ha dichiarato pure in un pubblico discorso «con infelice richiamo ai trattati di pace», si attengono alle disposizioni sancite nei trattati stessi. Gli austriaci hanno d'altra parte informato confidenzialmente gli ungheresi che non si cureranno mediante controlli l'esecuzione del provvedimento recentemente emanato in conformità con delle disposizioni: chi non lo rispetterà, agirà, però, a suo rischio e pericolo. «Analoga è anche la situazione della Ungheria'> la quale peraltro -si affretta a precisare -« si è astenuta da ogni provvedimento e dichiarazione ». Circa la nota richiesta inglese di certificati di origine gli austriaci attendono di vedere l'esito dei negoziati anglo-germanici e non hanno riscontrato la nota. In pratica però -anche se non hanno diramato alcun comunicato in proposito -hanno già iniziato il rilascio dei certificati domandati da Londra.

Rapporti con la Francia e l'Inghilterra. Gli austriaci hanno detto agli ungheresi di aver ricevuto recente conferma da parte francese e britannica che l'appoggio di Parigi e Londra alla indipendenza dell'Austria non sarebbe mutato quale che fosse per essere la situazione e l'attitudine dell'Italia. Il Ministro d'Ungheria a Parigi ha qui confermato d'altra parte la impressione che il popolo francese non sarebbe disposto ad affrontare una guerra con la Germania, nè per amore di Vienna nè per amore di Praga, se la Francia non fosse direttamente attaccata. Per quanto la situazione in Austria sia oggi soddisfacente, il Ballplatz non ignora che questa tranquillità è dovuta sopratutto all'attuale «sdegnoso disinteresse» del Reich per la questione e che basterebbe fosse devoluto qualche milione ad una ripresa dell'attivismo nazionalsocialista perchè le cose tornassero all'incirca al punto di prima.

Rapporti austro-cecoslovacchi. Schuschnigg ha confermato di esser stato invitato a Praga da un'associazione economica per tenervi una conferenza tra un paio di settimane; ha aggiunto che «assai probabilmente» avrebbe accettato l'invito e fatto visita, in tale occasione, alle personalità di quel Governo. La data non è ancora fissata in quanto ignorasi ancora quando precisamente si procederà all'annunziata sostituzione di Masaryk, e Schuschnigg non può evidentemente capitare a Praga durante i mutamenti. Però Schuschnigg ha confermato pure che se, per ragioni economiche e per la ragione politica di valersi della Cecoslovacchia ai fini dell'indipendenza austriaca, il Governo di Vienna deve intrattenere con quello di Praga amichevoli relazioni, non intende d'altra parte menomamente procedere con quest'ultimo ad intese od accordi di portata più vasta. Kanya ne è rimasto convinto e rassicurato.

Legittimismo. Gli austriaci hanno ripetuto agli ungheresi di considerare tuttora «non attuale» la questione della restaurazione. Essi hanno ritenuto stabilire un contatto con gli elementi più moderati e responsabili del movimento legittimista austriaco, in particolare con il Duca di Hohenberg, per controllarli e per il vantaggio che la collaborazione di costoro può recare al fronte patriottico. Affermano a tale proposito che anche in ambienti nei quali non lo si sarebbe pensato, come in quello operaio, il movimento legittimista starebbe prendendo piede. Ma in tal guisa -hanno dichiarato -il Governo influenza i legittimisti e non questi quello. Sebbene siano note le personali tendenze ideologiche di Schuschnigg nella direzione di un «heiligen rtimischen Reichs deutscher Nation » (il cosiddetto Anschluss alla rovescia, vagheggiato dal defunto Monsignor Seipel), gli ungheresi anche su questo punto sarebbero ora rassicurati.

Questioni economiche. Non può naturalmente prevedersi ancora quale sarà l'esatta portata pratica degli accordi austro-ungheresi conclusi giorni fa a Budapest per la normalizzazione e l'incremento degli scambi commerciali tra i due paesi mediante l'introduzione di un'indennità di cambio (mio telespresso

n. 12700/1710 del 2 corr.) (l). I circoli economici interessati, in Ungheria ed in Austria, si sono rivolti ai capi dei due Governi perché appoggiassero le rispettive richieste: si è parlato così ora a Vienna del previsto aumento delle importazioni in Austria di vini, suini ingrassati e grasso dall'Ungheria, del grano e di altre questioni minori. Nuovi accordi a Vienna non sono stati conclusi. Le conversazioni colà svolte varranno tuttavia -ha concluso Bessenyei -a facilitare i negoziati ripresi attualmente a Budapest tra una delegazione austriaca ed i tecnici ungheresi.

(l) Con H T. 9183/146 R., pari data, o.re 20,58, Colonna anticipava in sintesi le notizie contenute nel presente telegramma.

765

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 30 novembre 1935.

L'Ambasciatore de Chambrun viene a parlarmi dei tentativi di conciliazione in corso: è all'oscuro di quanto succede a Parigi. L'Ambasciatore però ha l'impressione che convenga attivare le iniziative in corso, dato che il tempo stringe.

Egli pensa -è una idea assolutamente sua personale -che se egli potesse comunicare a Parigi delle sue impressioni su quello che sarebbe il nostro definitivo atteggiamento, la questione potrebbe essere sollecitata.

L'Ambasciatore accenna ad una nostra eventuale possibilità di limitare le nostre richieste al Tigrai e alla zona al disotto dell'8° parallelo. Non vuole però una risposta e non vuole essere lui a prendere delle iniziative di questo genere. C'è anche un'altra considerazione: quella che se si avesse l'impressione che ci sono delle serie trattative in corso, anche la questione dei petroli potrebbe essere rinviata.

Avverte ancora che gli inglesi sostengono che la nostra intransigenza è irriducibile e che noi non vogliamo trattare.

Rispondo all'Ambasciatore: -che questa affermazione inglese risponde ad una loro manovra di tirare le cose per le lunghe nella speranza (ed in ciò si ingannano) di fiaccare la resistenza italiana; -che noi siamo sempre disposti a trattare quando ci siano delle proposte ragionevoli; -che il migliore mezzo per sollecitare le trattative è quello di farci avere una risposta da Parigi; -che noi confidiamo che il signor Lavai si opporrà all'embargo sul petrolio altrimenti la situazione che ne risulterebbe sarebbe gravissima. Abbiamo assicurazione da parte di altri Paesi che si opporranno all'embargo sul petrolio se la Francia prenderà posizione contro.

L'Ambasciatore si riserva di riflettere e di ritornare con me sull'argomento.

(l) Non rinvenuto.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 30 novembre 1935.

L'Ambasciatore del Giappone si richiama alla sua lettera del 29 novembre

(allegata) (l).

Ha messo in rapporto, come da nostra indicazione (2), i rappresentanti delle due società commerciali Mitsubishi e Mitsui col signor Dall'Olio e l'Istituto fascista per gli Scambi con l'Estero. C'è però una questione preventiva da risolvere: quella del pagamento degli arretrati che del resto si aggirano alla modesta cifra di un milione di lire. Perciò egli chiede che i detti rappresentanti giapponesi possano essere messi a contatto col Sovraintendente delle Valute.

Risolta tale questione è stata esaminata la possibilità di continuare il commercio con l'Italia, sopratutto per quanto riguarda il petrolio. Il Governo giapponese, interpellato in merito, non ha sollevato obiezioni; ha soltanto fatto presente che la cosa deve essere fatta con molta prudenza perchè i gruppi nazionalisti più accesi in Giappone sono contrari all'Italia facendo la questione della difesa delle razze di colore. D'altra parte tutto il commercio fra l'Italia e il Giappone passa attraverso Londra e quindi altro motivo di prudenza. Si potrà vedere di avere dei rapporti diretti.

Per quanto in particolare riguarda il petrolio, il Giappone è importatore•e

quindi deve farlo venire dall'America, dal Venezuela e da altre fonti per poterlo

esportare in Italia.

L'Ambasciatore ritiene preferibile che le trattative si facciano a Tokio fra

i nostri incaricati e le centrali delle ditte.

(l) -Non pubblicata. (2) -Vedi D. 692.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9177/219 R. Mosca, to dicembre 1935, ore 6,50 (per. ore 8,50).

Telegramma di V. E. n. 104 (1).

Avevo già chiesto a Litvinov quali reazioni avrebbe avuto da parte U.R.S.S. un'eventuale dichiarazione d'indipendenza delle provincie del nord della Cina. Egli, evidentemente imbarazzato, si era limitato a rispondere che l'U.R.S.S. non era fra le nove Potenze garanti dell'integrità cinese.

Sono ora ritornato con lui sull'argomento e gli ho chiesto se U.R.S.S., che si era tanto adoperata per il rafforzamento della S.d.N., intendesse nelle attuali contingenze avvalersi di tale mezzo. Litvinov mi ha risposto che, dato l'espediente escogitato dal Giappone per fare apparire la dichiarazione indipendenza come spontanea, era molto difficile di mettere in movimento la macchina societaria che forse non avrebbe potuto riconoscere uno stato di aggressione. D'altronde un ricorso alla S.d.N. sarebbe, se mai, spettato al Governo cinese.

Gli ho chiesto allora se egli fosse a conoscenza che la Cina era stata dissuasa in passato dall'Inghilterra dal ricorrere all'art. 16. Litvinov ne era informato.

Gli ho domandato ancora se gli avvenimenti nel nord della Cina non preoccupassero l'U.R.S.S. Mi ha detto che certamente la preoccupavano e che erano seguiti con la massima attenzione.

D'altra parte in un colloquio avuto con l'Ambasciatore di Cina Yen, questi mi diceva che non era da ritenere probabile che la Cina adisse la S.d.N. ma che se tale eventualità si dovesse verificare l'U.R.S.S., a suo avviso, sarebbe stata ben soddisfatta di mettere in imbarazzo il Giappone con l'applicazione di sanzioni.

A me sembra che nel momento presente U.R.S.S. preferisca che l'Inghilterra assuma un'attitudine di attesa diffidente preferendo di agire d'accordo con l'Inghilterra senza esporsi eccessivamente. Ad ogni modo sembra che fra i due mali qui si preferisca che il Giappone trovi sfogo in Cina piuttosto che attacchi U.R.S.S. A tale proposito è sintomatico un articolo della Pravda di oggi, che, nel commentare discorso del Ministro delle Finanze giapponese, quasi si compiace dell'attitudine dei «gruppi giapponesi moderati» (e cui Takahasi apparterrebbe) i quali non nascondono « tutte le difficoltà di una guerra contro l'U.R.S.S.» e ritengono che il colpo dovrebbe essere portato contro la Cina che «non può opporre resistenza,,

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINl

T. 9186/275 R. Bruxelles, 1° dicembre 1935, ore 17,25 (per. ore 21,40).

Mi riferisco al mio telegramma n. 271 (2).

Ho avuto ieri una lunga conversazione con questo Nunzlo Apostolico, il quale mi ha pienamente confermato di sua iniziativa quanto io avevo risaputo e riferito da un mese a questa parte con i miei telegrammi nn. 246, 251, 254 (1), 257 (2) e 271, nonché quanto V. E. mi ha comunicato col telespresso del 21 novembre (3), circa l'azione che va spiegando van Zeeland per favorire un rapido componimeno del conflitto ita.lo-etiopico sulla base della mediazione franco-inglese.

Lo stesso Primo Ministro aveva già di nuovo accennato con me giorni fa a questa sua nuova azione, evidentemente perché io riferissi sulla sua buona volontà di redimersi presso di noi della deplorevole impressione prodotta dal suo atteggiamento nella questione delle sanzioni, ma sempre schermendosi dall'entrare in particolari per non compromettersi di fronte al rappresentante di una delle parti in causa.

Monsignor Micara è stato inoltre ricevuto avantieri dal Re Leopoldo al quale ha comunicato la vivissima raccomandazione del Pontefice perché il Belgio cooperi attivamente al suddetto componimento; raccomandazione che avrà certo il suo effetto, sia perché il Sovrano è sempre stato decisamente disposto in nostro favore, sia perchè la reciproca simpatia personale fra Lui e il suo Primo Ministro accresce la sua influenza su quest'ultimo. Il Nunzio Apostolico mi ha espresso tuttavia il dubbio che la interessata intransigenza inglese sia divenuta talmente implacabile che anche l'intervento di una persona gratissima come van Zeeland abbia ormai a Londra limitata probabilità di successo, ciò che sarebbe confermato dal fatto che in questi ultimi giorni la di lui azione ha subito (come risulta a me pure da altre buone fonti d'informazione) una fase d'arresto.

C'è inoltre il pericolo che gli interventi di questo Primo Ministro presso il Governo britannico siano indirettamente sabotati dai colleghi antifascisti, i quali mirano a fare fallire ogni accordo nella illusione che l'inasprimento delle sanzioni e di un eventuale nostro conflitto con l'Inghilterra indeboliscano in Italia il Regime? Comunque, poiché Monsignor Micara è uscito spontaneamente e cordialmente dal suo riserbo, mi propongo di fiancheggiarlo e, occorrendo, spronarlo, senza escludere che lo stesso van Zeeland si risolva ad uscire dal suo [riserbo] nel qual caso il mio compito potrebbe diventare più fattivo.

(l) -Vedi D. 687. (2) -Con T. 8977/271 R. del 26 novembre 1935, Vannutell! aveva riferito circa l'attività svolta da van Zeeland presso il Governo britannico per patrocinare 11 punto di vista francese.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 1° dicembre 1935.

L'Ambasciatore Stein mi ha detto già due volte che l'U.R.S.S. non ha nessuno interesse a esportare petrolio in Italia, perché la richiesta nell'U.R.S.S. stesso è grandissima e copra tutta la produzione (4).

(l) -Vedi DD. 533, 577 e 593. (2) -Non pubblicato. (3) -Non rinvenuto. (4) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

T. PERSONALE 2518/506 R. Roma, 2 dicembre 1935, ore 20.

Conversazioni di V. E. con Hoare e Vansittart (2) sembrano indicare disposizioni inglesi trattare ora direttamente. Anch'io penso che ciò sia utile. La autorizzo perciò a continuare conversazioni iniziate ed invio a V. E. elementi per corriere (3).

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO (4)

T. 2521/c. R. Roma, 2 dicembre 1935, ore 1.

(Per tutti) -A V.E. (V.S.) non è certo sfuggita importanza capitale eventuale estensione embargo al petrolio.

Tale misura per conseguenze che avrebbe anche sulla vita popolazione civile avrebbe innegabile portata atto ostile diretto vera e volontaria soffocazione Paese. Conseguenze alimenterebbero inevitabili gravissimi pericoli che sono largamente presentiti e discussi dalla opinione pubblica tutti i Paesi.

Rinvio riunione Comitato Diciotto indetta pel 29 novembre chiesto dal Presidente del Consiglio francese appunto in vista portata eccessiva e pericoli inerenti progettata misura, ha infatti prodotto senso sollievo nei paesi e circoli più sinceramente desiderosi una soddisfacente e rapida soluzione conflitto e contrari a rigidi crescenti sviluppi sanzioni capaci condurre catastrofico allargamento conflitto stesso.

Qualche esitazione è stata notata anche negli Stati Uniti d'America che, sotto pressione britannica, oscillano verso politica sanzionista specialmente pel petrolio.

Irritazione e rinnovata propaganda sanzionista manifestasi invece da parte inglese (salvo persistenti riserve oppositori in materia).

In queste condizioni è necessario che V. E. (V. S.) si adoperi sollecitamente nel modo che riterrà più opportuno e secondo circostanze locali presso codesto Governo per cercare ottenere invio istruzioni ai propri Rappresentanti Comitato Diciotto che rluniscesi a Ginevra 12 dicembre nel senso promuovere o appogiare tendenza contraria ad embargo sul petrolio.

v. E. (V. S.) può valersi seguenti argomenti:

l) estensione embargo al petrolio quale atto ostile come sopra prospettato è in flagrante contraddizione con propositi conciliazione manifestati da parte

le rappresentanze all'estero: «Nell'imminenza del tentativo di imporre l'embargo sul petrolioè necessario mobilitare tutte le forze contrarie alle sanzioni».

francese e inglese giusta unanime raccomandazione stesso Comitato coordinamento su proposta belga;

2) anticipazione così grave misura, che praticamente non potrebbe applicarsi prima che congresso Stati Uniti non abbia esaminato nella sessione prossimo gennaio possibilità modificare sua legge neutralità, irrigidisce ed inasprisce prematuramente situazione allontanando possibilità pacifico componimento conflitto italo-etiopico ed aggravando pericoli complicazioni e allargamento;

3) considerati benefici effetti morali prodotti rinvio chiesto da Laval è certo che azione S.d.N. possa essere ricondotta verso indirizzo più ragionevole e meno pericoloso, per poco che tendenza attendere risultati tentativi conciliazione prima di inasprire ulteriormente sanzioni trovi consensi ed appoggi nel Comitato dei Diciotto;

4) legittime resistenze e riserve paesi produttori materie da sottoporre nuovo embargo daranno certamente occasione manifestarsi quegli intendimenti realmente pacifici degli Stati desiderosi cooperare nell'interesse generale a trovare via di uscita dal pericoloso vicolo cieco in cui sanzionismo ad oltranza sta cacciando S.d.N. e Stati membri;

5) questa è occasione per ciascun Governo dimostrare coi fatti propositi amichevoli e desiderio componimento pacifico espressi nelle rispettive risposte nostra nota 11 novembre nonché mostrare reale desiderio fare nella S.d.N. politica pace e non politica guerra;

6) per sua riservatissima norma avverto V. E. (V. S.) che desiderio reciproca collaborazione ed appoggio a Ginevra nel senso predetto registra già concrete adesioni Francia, Polonia e Turchia, mentre può contarsi su altre che seguiranno movimento.

Cerchi ottenere esplicita assicurazione codesto Governo che Suo Rappresentante svolgerà azione contraria adozione embargo petrolio assecondando iniziative che si manifesteranno tal senso.

Riferisca telegraficamente.

(l) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, cit., p. 130. (2) -Vedi DD. 726 e 755. (3) -Vedi D. 788. (4) -Con questo te'legramma Suvich dava contenuto concreto alla direttiva generale indicata dal seguente telegramma autografo di Mussolini 2468/C.R., pari data, diretto a tutte
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L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9279/446 R. Shanghai, 2 dicembre 1935, ore 17 (per. ore 7,35 del 3).

Telegramma di V. E. n. 295 (l).

Non essendo riuscito vedere Chang Kai-Shek, che trovasi fuori di Nanchino per dirigere movimento truppe che, sotto il pretesto di manovre, si vanno svolgendo in relazione avvenimenti del Janzen, ho deciso fare a Kung, Presidente dell'Juan esecutivo, comunicazione prescrittami.

Gli ho consegnato pro-memoria contenente breve traccia delle parole di V. E. affinché egli potesse pesarne importanza e fra le ragioni della penosa impressione di V. E. per atteggiamento cinese ho detto essere stato nostro convincimento che Cina, oppressa da un vicino prepotente, meglio di ogni altro comprenderebbe situazione dell'Italia di fronte oppressione britannica nel Mediterraneo.

Spiegazioni datemi da Kung sono state intonate sempre all'idea fondamentale della necessità della Cina di aggrapparsi alla tavola di salvezza della Lega delle Nazioni di fronte alle minacce giapponesi sempre più gravi di giorno in giorno. Egli si è mostrato estremamente accorato della comunicazione da me fattagli e mi ha ripetuto che non sapeva come fare a dimostrare che Cina, se fosse libera da minaccia sulla sua stessa esistenza, sarebbe moralmente a fianco dell'Italia.

Ho creduto di servire agli intendimenti di V. E. lasciando che colloquio potesse ugualmente prestarsi o come pressione per migliorare situazione italo-cinese o come una svolta penosa qualora fosse ritenuto utile per disimpegnare nostro Paesè dalla politica sino ad ora seguita in Cina.

Alla prima soluzione potrebbero avviarci le ragioni di cui al telegramma di

V. E. n. 268 (l) circa opportunità di superare gli svantaggi delle sanzioni cinesi, in confronto al maggiore peso che avrebbe un atteggiamento di fiducia della Cina verso la Lega delle Nazioni.

Seconda soluzione potrebbe avere invece per base seguenti fatti: l) necessità di sospendere nostri sforzi verso la Cina che sono destinati rimanere sterili in questo momento e che ci impongono esodo capitale valute e prodotti fabbricati con materie difficilmente rimpiazzabili in Italia;

2) opportunità di una politica di avvicinamento al Giappone, come unica forza al mondo capace di aiutarci a deviare pressione britannica nel Mediterraneo; 3) considerando azione giapponese in Cina dovesse essere oggetto di deliberazione internazionale, impossibilità morale per l'Italia di associarsi ad una qualsiasi misura, sia pure platonica, che assomigli alle iniquità che oggi si escogitano a nostro danno e quindi necessità di non essere legati in

questo senso da una politica filo-cinese.

V. E., nella [Sua superiore] visione delle cose, vorrà farmi giungere istruzioni per ulteriori direttive (2).

(l) Vedi D. 701.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9252/214 R. Bucarest, 2 dicembre 1935, ore 17,45 (per. ore 19).

Mio telegramma n. 207 (3). Ho di nuovo intrattenuto Titulescu sull'attegiamento Romania circa eventuale embargo petrolio. Egli mi è parso più esplicito di tre giorni or sono.

{l) Vedi D. 549.

{3) Vedi D. 723.

Ha riconfermato principio che partecipazione Romania sarà condizionata a quella «dell'intero pianeta».

Ho cercato sondare quale sarebbe suo contegno se Inghilterra presentasse come partecipazione «di fatto» all'embargo eventuale restrizione volontaria da parte Stati Uniti. Titulescu ha risposto limite massimo cui Romania potrebbe giungere in tal caso sarebbe una limitazione corrispondente.

Mi sono limitato a spingerlo a prendere una posizione decisa, avversa ogni restrizione od embargo. Gli ho fatto intendere che Francia vedrebbe con favore un atteggiamento «fermo» da parte Romania. Titulescu mi ha detto è disposto consultarsi con Lavai e che perciò prima della riunione di Ginevra si recherà appositamente Parigi. Questo incontro potrebbe fare superare prime questioni della «iniziativa» e faccio quindi presente se non sarebbe opportuno Parigi incoraggiasse Titulescu a recarsi prima Ginevra. Ho comunque impressione che solo a Parigi Titulescu deciderà in via definitiva atteggiamento Romania.

Inghilterra sta qui facendo le più forti pressioni: da una parte, per allettare Titulescu, fa balenare possibilità di un invito della Corte inglese a Re Carol, visita vivissimamente desiderata dal Re e che Corte britannica ha più volte reclinato, e dall'altro fa sentire che l'atteggiamento «disciplinato» della Romania le assicura simpatia ufficiale del Governo britannico compromettendo popolarità finora goduta in Inghilterra dall'Ungheria.

Titulescu tiene naturalmente anche presente interessi economici Romania. Ma a Parigi egli sonderà sopratutto quale affidamento Francia continua anche oggi a fare sull'Italia nel problema dell'Europa centrale. Nel caso che Quai d'Orsay si mostrasse scettico sull'apporto italiano, Titulescu potrebbe essere tentato arrendersi all'iniziativa britannica, mentre qui cominciava farsi sentire vivace reazione degli elementi italofili contro politica sanzioni, si era levata voce autorevole in tal senso. Indice significativo imponenza della corrente creata dall'atteggiamento di Jorga. Titulescu, che è sensibile ai movimenti di folla, ne era stato impressionato. Ma, per quanto possa trattarsi dettaglio di poco rilievo, è mio dovere tuttavia far conoscere che disgraziatamente episoàio mutamento nome Viale Romania in Viale AustroUngarico (mio telegramma n. 211) (l) ha profondamente colpito questa opinione pubblica ed ha paralizzato azione correnti italofile. Ciò ha fatto giuoco Titulescu, che in questo momento resta arbitro unico dell'atteggiamento della Romania verso l'Italia.

(2) Vedi D. 917.

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IL MINISTRO A BOGOTA', GAZZERA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9255/91 R. Bogotà, 2 dicembre 1935, ore 19,12 (per. ore 3 del 3).

Mio 89 (2).

Caracas mi prega comunicare sanzioni, dettate con decreto 14 novembre, come si prevedeva, hanno carattere puramente formale. Infatti, tutte le banche fanno operazioni in lire italiane come per il passato. Il controllo è formalità, perché a chicchessia basta dichiarare che richiesta valuta è destinata coprire forniture merci per essere pagate. Il controllo, pertanto, viserebbe soltanto prestiti di carattere internazionale. Pecchio conferma Venezuela non ha vietato importazione esportazione da e per l'Italia. Egli riterrebbe tuttavia opportuno che non si desse, almeno per ora, pubblicità a questo insuccesso della Società delle Nazioni per evitare che ulteriori pressioni dell'Inghilterra e di Ginevra possano indurre Governo venezuelano ad un atteggiamento più rigido verso l'Italia.

(l) -T. 9171/211 R. del 30 novembre 1935, ore 23,15, non pubblicato. (2) -Con T. 8880/89 R. del 23 novembre 1935, ore 22,50, Oazzera aveva reso noti 1 provvedimenti presi dal Governo venezuelano relativamente ai prestiti internazionali.
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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 14397/290 P. R. Ankara, 2 dicembre 1935, ore 21,10 (per. ore 23,30). Telegramma di V. E. n. 148 (1).

Posizione Turchia di fronte embargo carbone non è mutata da dopo mia conversazione con Numan del 28 novembre (mio telegramma n. 285) (2). Cioè Turchia non ha ancora risposto alla S.d.N., né ha intenzione per ora di rispondere. Ciò Numan mi ha confermato poco fa.

Quanto all'embargo su petrolio e carburanti ho avuto conversazione con Aras e Numan. Ho esposto calorosamente tutti gli aspetti questione, concludendo necessità di non aumentare tensione per permettere quella soluzione che potrà meglio essere giudicata da V. E. ma in una atmosfera che non sia di minaccioso strozzamento.

Aras, dopo avere rivendicata a sé prima decisione sospensiva su embargo carbone e petrolio e riconfermato con insistenza (a mia richiesta di dettagli) sua azione conciliativa in tutto dibattito sanzioni, ha concluso che era impossibile opporsi a decisioni di massima se l'America decideva embargo. Sola cosa pratica era tentare rimandare data applicazione al più lontano termine possibile. Nel frattempo Italia potrebbe rifornirsi al massimo e potrebbe intervenire nuova situazione utile per soddisfacente soluzione conflitto. Per dilazione data egli garantiva si adopererebbe nel frattempo sua buona volontà, sicuro interpretare del resto la volontà amichevole del Governo turco. Accennato che Romania non poteva avere in tal materia che una politica balcanica, che balcanici non volevano inasprire conflitto ma facilitarne• soluzione nell'interesse dell'Italia, che se la Romania per petrolio agisse

(!) Con telegtamma autografo (14095/148 P.R. del 30 novembre 1935, we 24), Mussollni aveva chiesto: «Giornali annunciano che Turchia si opporrebbe in ogni caso all'embargo carbone. Informi ».

{2) T. 9069/285 R. del 28 novembre 1935, ore 15,40, non pubblicato.

52 -Documenti Dtplomattct -Serle VIII -Vol. Il

diversamente marcerebbe in via diversa da balcanici e lo farebbe su sua responsabilità (ma egli escludeva tale ipotesi), ha concluso che egli avrebbe preso contatti con Bucarest, Belgrado e Atene per ottenere accordo per dilazionare applicazione nuove lievi minaccie. Questo era tutto quanto egli poteva fare, ma in nessun caso dare voto negativo a embargo su carbone e petrolio, se i maggiori interessati lo decidessero. Rivedrò Aras prima della sua partenza per Ginevra. Anche Numan espressosi oggi stesso senso.

Giudichi V. E. se l'azione analoga a quella da me svolta su Aras potesse essere utile anche nelle altre capitali balcaniche.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI. SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLl

T. R. 2526/134 R. Roma, 2 dicembre 1935, ore 24.

D'accordo con Ministero Comunicazioni (l) autorizzo V. S. confermare esplicita promessa che A.I.P.A. eseguirà impianto raffineria Albania sufficiente bisogni Paese. Condizioni da stabilirsi saranno proposte con grande spirito equitativo del quale R. Governo rendesi garante. Proposta cauzione non era affatto concessa per stabilire massimo garanzia ma per dare altra prova nostra precisa intenzione. Attuale impegno Governo elimina ogni dubbio interpretazione. Occorre inoltre ottenere in conformità articolo 5 convenzione permesso provvisorio spedizione a partire 10 dicembre 50 mila tonnellate petrolio da ripartirsi entro primo semestre 1936. Non credesi né utile né opportuno offrire per questa esportazione provvisoria nessuna somma garanzia percentuale petrolio spettanza Albania, diritti Governo albanese essendo largamente cautelati da tutti altri rapporti pendenti. Eventuale controllo da parte albanese sopra spedizioni petrolio potrà essere facilmente concordato tra Autorità albanesi e ingegnere Castelletti. Prego rispondere urgenza (2).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 2 dicembre 1935.

L'Ambasciatore Chambrun mi dice che gli inglesi considerano che da parte italiana c'è un irrigidimento che è contrario allo spirito di conciliazione che si vorrebbe far prevalere in questo momento. Tale irrigidimento è determinato dalle voci di una più intensa campagna in Abissinia, dalle misure

militari che si preannunciano, dalla sospensione dei ·congedi e sopratutto dalla voce che corre dell'invio di una divisione motorizzata in Libia.

L'Ambasciatore ritiene che noi dovremmo fare in questo momento uno sforzo di buona volontà presentando le nostre richieste in forma più moderata. Eglì vedrebbe, per esempio, la possibilità che noi dichiarassimo che il nostro programma minimo è il Tigrai e i territori a sud dell'So parallelo. È certo che gli inglesi insisteranno per lo sbocco al mare, ed allora noi avremo la possibllità di corrispondere a tale richiesta aumentando però le nostre pretese.

Rispondo all'Ambasciatore che;

l) il programma da lui indicato non può da noi essere accettato;

2) ammesso anche che noi l'accettassimo, gli inglesi Io considerebbero il nostro programma massimo e ci farebbero delle contro-proposte assolutamente irrisorie.

Meglio perciò seguire la via già iniziata. Abbiamo presentato il nostro programma di rivendicazione; l'abbiamo spiegato, giustificato, documentato; sulla base di tal programma sono avvenuti gli scambi di idee tra esperti francesi e inglesi; sentiamo la reazione di Londra. D'altra parte c'è qualche sintomo (l) che ci fa ritenere -niente di preciso per ora -che Londra sia disposta a trattare.

II Signor Chambrun ritiene indispensabile che in una forma qualsiasi siano iniziate delle trattative per evitare l'embargo sul petrolio.

Gli rispondo che noi confidiamo che il Signor Lava! si opporrà all'embargo in linea assoluta e non soltanto come una conseguenza delle trattative in corso. Questa ultima ipotesi sarebbe molto pericolosa, perché si potrebbe sospendere l'embargo per qualche settimana per dar modo alle trattative di svilupparsi, dopo di che, in mancanza di un accordo, l'embargo entrerebbe in vigore automaticamente. Se il Signor Lavai vorrà prendere posizione precisa contro l'embargo sul petrolio, troverà certamente molti altri paesi disposti ad appoggiarlo (2).

(l) -Risponde al D. 758. (2) -VedJ. D. 800.
778

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 2 dicembre 1935.

Si ha la sensazione da qualche giorno che gli inglesi vogliano trattare, preoccupati probabilmente della gravità che assumerà la situazione dopo l'embargo sul petrolio.

Questi sintomi sono: accoglienza fatta a Garibaldi (3) che si supponeva a Londra incaricato di una missione personale da parte del Duce; aperture

di Hoare e Vansittart con Grandi (l); dichiarazioni di Drummond che gli italiani non vogliono trattare, fatta probabilmente per spingerei ad assumere l'atteggiamento inverso; i noti accenni di Mosley che deve avere avuto anche sentore di questo desiderio nei circoli ufficiali.

D'altra parte si era previsto che il momento opportuno per iniziare delle trattative sarebbe stato il mese di dicembre, cioè qualche tempo dopo le elezioni inglesi.

Un inizio di trattative serie in questo momento, come da accenni a me fatti da Chambrun (2) e a Grandi da Vansittart, potrebbe giovare a sospendere l'embargo sul petrolio.

Questa apertura inglese comunque non dovrebbe essere lasciata cadere in quanto essa può rappresentare un principio di soluzione del conflitto i taio-etiopico.

Tutto ciò va detto senza farsi eccessive illusioni sulla buona disposizione degli inglesi che, ad onta di tutto, non hanno progredito molto dal loro modo di vedere le cose all'epoca della proposta Eden (3).

Tuttavia l'ultimo colloquio Vansittart-Grandi lascia vedere qualche flessibilità dei punti inglesi che forse con una grande pressione è possibile allargare a nostro vantaggio.

Se quindi si vuole rispondere -come a me pare necessario -all'apertura inglese, si pongono i seguenti quesiti:

-Da chi e dove si devono fare le trattative? In primo luogo pare che ormai le trattative debbano essere fatte dai Rappresentanti ufficiali, eliminando quindi tutti gli irregolari della diplomazia, che hanno potuto servire in un primo momento per smuovere le acque stagnanti, che potranno magari servire domani per nuove evenienze che sopravvenissero, ma che oggi non farebbero che della confusione. Le trattative per ora, dato il tono degli incontri Grandi-Vansittart-Hoare, e dato invece il mutismo di Drummond che non ha nessuna istruzione, dovrebbero essere condotte a Londra salvo in un secondo tempo, portarle a Roma.

-Atteggiamento di fronte alla Francia. Lavai è molto sospettoso ogni qual volta si tratti di voci di colloqui diretti itala-inglesi. È anche legittimo il suo desiderio di non essere tagliato fuori ed anzi di potere apparire il conciliatore della vertenza itala-anglo-abissina. Lavai può renderei ancora dei grandissimi servizi e può al momento opportuno far pesare nelle trattative la bilancia dalla parte dell'Italia. Conviene tener conto di questa sua suscettibilità. Io ritengo che bisognerà avvertire Parigi di questi contatti diretti itala-inglesi senza necessità che il Governo francese sia tenuto al corrente delle singole fasi dei negoziati. D'altra parte ci interessa avere notizie precise e sincere -e queste ce le diranno più facilmente i francesi che gli inglesi

dello svolgimento delle conversazioni degli esperti a Parigi (l). A questo proposito bisognerà fare un questionario per Parigi sui singoli punti. Per noi, ad esempio, è della massima importanza sapere se è stata effettivamente fatta dagli esperti (io ho i miei dubbi) la proposta di cedere all'Italia in mandato tutto il territorio a sud dell'8° parallelo.

-Oggetto delle negoziazioni. Dobbiamo partire dalle nostre richieste che si presentano discretamente bene, anche da un punto di vista societario, specialmente per le circostanze che hanno accompagnato la nostra avanzata nel Tigrai. I punti di partenza sarebbero quindi i seguenti:

l) Nostra occupazione del Tigrai. Una cosa è precisa: che noi il Tigrai non possiamo abbandonarlo. Il programma massimo è quello di una annessione pura e semplice alla nostra colonia. Si potrebbe forse in un secondo momento discutere su una nostra occupazione «di fatto , del Tigrai che però sia destinata a diventare definitiva. Gli argomenti per far valere i nostri diritti sul Tigral sono noti ed abbondanti (ragioni storiche, nostra occupazione precedente, territoires récouvrés, posizione dell'Alsazia Lorena nel Trattato di Versailles, sottomissione volontaria dei Capi e delle popolazioni, adesione alla nostra occupazione da parte delle autorità religiose e dei conventi, liberazione degli schiavi, ecc.) Quali i limiti della nostra occupazione del Tigrai? Si potrebbero richiedere i limiti della nostra occupazione del '96, come da carta unita (2): si fa presente che rimarrebbero fuori i territori oltre il Setit (Uolkait, ecc.).

2) Amministrazione (mandato, protettorato, assistenza) dei territori non amhara. La questione va presentata dal punto di vista societario. I Cinque hanno commesso un errore di superficialità. Se hanno proposto un determinato regime per i territori amhara non potevano stabilire lo stesso regime per i territori non amhara che sono quelli conquistati negli ultimi cinquant'anni, soggiogati ed asserviti. Bisognava avere letto con attenzione il memoriale italiano o a vere interrogato qualcuno dei numerosi conoscitori delle condizioni etiopiche per rendersi conto che questi Paesi richiedono un regime del tutto particolare. A questi territori si attagliano perfettamente le disposizioni dei punti 5° e 6° dell'art. 22 del Covenant, che dovrebbero essere applicate per analogia. Una volta che si fa questione di incivilire l'Etiopia, bisogna essere conseguenti ed andare fino in fondo secondo lo spirito del Covenant. Il diritto dell'Italia d'essere lei ad avere l'amministrazione di questi Paesi, deriva da tutti i precedenti storico-diplomatici (Trattato di Uccialli, Trattato Tripartito, Accordi itala-franco-inglesi ecc.). Sarà questione di negoziazione poi stabilire la estensione di tali territori non amhara. Converrà ad ogni modo battere, se non altro come materia di negoziazione, sul nostro diritto previsto dal Tripartito, di una congiunzione territoriale tra le due Colonie.

3) Fissazione dei confini della Dankalia e dell'Ogaden. È logico che nella circostanza della regolazione dei rapporti tra Italia ed Etiopia, si debba

venire alla determinazione di questi confini che non sono mai stati fissati ed è legittima la nostra richiesta di averli arrotondati per esigenze di sicurezza delle colonie (in Dancalia bisogna allargare la striscia marginale, in Ogaden bisogna avere i corsi superiori dei fiumi da cui dipende la prosperità della colonia).

4) Disarmo dell'Abissinia. È una esigenza di sicurezza generale, non solo nostra; è ad ogni modo la premessa perché noi possiamo smobilitare in Africa Orientale.

5) Assistenza ai Paesi amhara. Per il caso che rimanesse in piedi per questa parte il progetto dei Cinque (noi non ci teniamo, anzi preferiremmo che non fosse applicato), sarà questione di chiedere in via di modifica del progetto stesso, una adeguata partecipazione dell'Italia.

Naturalmente questi nostri punti, per quanto giustificati e documentati, urtano contro il concetto inglese che parte dal presupposto che non si debba dare alcun premio all'aggressore e che quindi gli eventuali nostri vantaggi in Africa Orientale debbano passare sotto la finzione della compensazione. Per aiutare questa finzione noi saremmo disposti a concedere lo sbocco al mare all'Etiopia con la concessione in affitto del porto di Assab e con la concessione in sovranità o in uso per lunghissimo tempo, di un corridoio di accesso al porto stesso. Gli inglesi osserveranno che ciò non è sufficiente per giustificare le altre concessioni da noi richieste. Questo punto, come è detto, sarà materia di negoziato.

Per facilitare l'accettazione da parte dell'Inghilterra, si potrebbe concordare un processo di revisione della dichiarazione di aggressore. La cosa potrebbe svolgersi nel modo seguente.

Noi presentiamo una domanda documentata perché sia riesaminata la nostra posizione come aggressore, domanda che sarebbe presa in considerazione dalla S.d.N. Contemporaneamente sospendiamo le ostilità (sarà da negoziare se saranno o no da sospendere le sanzioni). Nello stesso tempo anche si iniziano ufficialmente le trattative per un accordo.

Tutto ciò naturalmente quando si sia preventivamente d'accordo su tutto lo svolgimento della procedura e su tutte le condizioni dell'accordo.

Altre questioni. Rimane da discutere:

l) La sospensione dell'embargo sul petrolio. Dobbiamo farne condizione assoluta.

2) L'uscita dell'Italia dalla S.d.N. Per ora non se ne parlerebbe, salvo a prendere una decisione al momento opportuno.

3) Se si entra in trattative serie con la Gran Bretagna, converrà esaminare di modificare il contegno della nostra stampa e di sospendere l'invio di nuove forze in Libia (1).

(l) -Vedi D. 778. (2) -Il presente documento reca Il visto di Mussolin!. (3) -Vedi D. 749. (l) -Vedi DD. 726 e 755. (2) -Vedi D. 765. (3) -Vedi serie ottava, vol. I, DD. 431 e 433.

(l) Vedi DD. 714 e 739.

(2) Non rinvenuta.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolinl.

779

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 9256-9257/617-618 R. Washington, 3 dicembre 1935, ore 12,21 (per. ore 22).

Stamane, appena decifrato il telegramma di V. E. n. 551 (1), ho chiesto di vedere Segretario di Stato, il quale mi ha ricevuto questo pomeriggio.

Ho anzitutto ricordato al signor Hull le ripetute dichiarazioni da lui fatte nel senso politica americana della neutralità era sempre stata e continuerebbe a rimanere assolutamente indipendente dall'azione della S.d.N. Ho aggiunto che, purtroppo, né Inghilterra, né ambienti della S.d.N. sembrano essere dello stesso parere perché a Ginevra prevaleva opinione opposta e cioè che S.d.N. poteva contare sulla piena cooperazione (americana). Ho citato a questo proposito, e senza fare nomi, osservazione molto significativa fatta rappresentare inglese a Vasconcellos (telegr. di V. E. n. 2505) (2) e notizie fornite a S. E. Pilotti da Avenol, osservando come, nonostante formali dichiarazioni di autonomia fatte' a Washington, alcuni paesi sanzionisti sfruttavano attitudine degli S.U.A. come pretesto per rendere anche più rigida applicazione delle sanzioni. Non mettevo in dubbio sincerità del Governo degli Stati Uniti, ma dovevo richiamare sua attenzione sulla situazione di fatto creata dalla sua politica a tutto danno dell'Italia.

Segretario di Stato si profuse in dichiarazioni enfatiche di assoluta indipendenza smentendo di avere mai fatto sapere alla S.d.N. quanto Stati Uniti contano di fare o anche di conoscere quanto la S.d.N. faceva. A prova di ciò egli osservava che era del suo stesso interesse personale di evitare legami con Ginevra, perché qualsiasi parvenza di cooperazione avrebbe provocato violenti attacchi degli isolazionisti del Senato.

Ho detto allora che notizie pervenute al Governo italiano da Ginevra potevano spiegarsi soltanto in due modi: o alcuni Governi stranieri si davano diritto di parlare a nome degli Stati Uniti, falsificando verità, oppure alcuni osservatori americani presso S.d.N. parlavano ed agivano contrariamente alle direttive del loro Governo come aveva fatto delegato canadese Riddel, recentemente sconfessato da Ottawa.

Davanti a questo mio dilemma, Segretario di Stato ha preferito addossare responsabilità Governi esteri che egli sospettava di essere troppo propensi ad «interpretare » intenzioni americane a seconda delle circostanze dei propri interessi.

A questo punto gli ho chiesto se non credeva necessario smentire pubblicamente tali false interpretazioni. Hull ha dichiarato che lo faceva continuament~ nelle sue giornaliere conferenze colla stampa americana.

Gli obiettai che non era più questione di notizie di stampa, ma di fatti precisi, che erano venuti a conoscenza del R. Governo da parte autorevole e che avevano creato a Ginevra situazione molto seria che importava chiarimenti.

Segretario di Stato mi promise allora che avrebbe inviato un telegramma alle Rappresentanze diplomatiche americane nei Paesi maggiormente interessati con istruzioni di chiarire ancora una volta posizione del Governo di Washington. Avrebbe anche parlato della cosa con Ambasciatore di Inghilterra, che doveva vedere questo pomeriggio stesso. Con ciò però, egli ha aggiunto, Governo Stati Uniti non intendeva sconfessare in nulla direttive finora seguite nell'applicazione della politica della neutralità.

Non ho creduto di poter insistere maggiormente nelle mie rimostranze in assenza di istruzioni esplicite di V. E. Parlando della situazione generale ho però voluto mettere in rilievo ancora una volta gravità della situazione creata dalla politica di Ginevra e insistere sulla responsabilità che Stati Uniti si assumono incoraggiandola direttamente o indirettamente.

Per mia norma gradirei, possibilmente, conoscere se ed in quali termini verranno fatte a Londra e a Parigi comunicazioni annunziate dal signor Hull.

Scopo del mio passo odierno è stato quello di forzare Segretario di Stato ad uscire dall'equivoco. Egli si è difeso scaricando su Londra e Ginevra responsabilità di una interpretazione della politica americana che Governo non ha [osato] di prendere apertamente di fronte al Paese, in maggioranza ostile alla S.d.N.

Mi chi~do se non sarebbe utile che nostra stampa e possibilmente anche simultaneamente giornali francesi dessero pubblicità alle contraddizioni della politica americana a Washington e a Ginevra ponendo quesito « se siano gli Stati Uniti oppure l'Inghilterra a travisare ». Simile dibattito, pubblicamente ripreso dalla stampa americana, potrebbe costituire argomento efficace nelle mani della opposizione.

Nel corso della conversazione con Segretario di Stato gli ho chiesto

ex abrupto, se fosse esatta notizia che circolava a Ginevra nel senso che il

Presidente Roosevelt si disponeva ad agire presso Compagnia petrolifera per

arresto esportazione di petrolio in Italia, anche prima di una decisione della

Lega delle Nazioni.

Segretario di Stato in un primo tempo ha risposto evasivamente. Dietro

le mie insistenze mi ha dichiarato che per il momento non vi era nulla di

nuovo. Poteva dirmi soltanto che il Dipartimento di Stato stava studiando

[un] piano per regolare esportazione dei cinque articoli da lui menzionati

nella sua dichiarazione 15 novembre (mio telegramma n. 564) (l) entro suoi

«limiti normali».

Gli ho osservato che quel che possono apparire limiti normali quando

forniture vengono fatte su diversi mercati, diventano inferiori al normale

quando esiste un solo mercato.

Ulteriori indagini riservate fatte compiere a New York circa intenzioni delle Compagnie Petrolifere mi hanno rivelato che ditte principali, come Standard Oil Company, si arrenderebbero di fronte a pressioni personali che Presidente Roosevelt facesse direttamente presso dirigenti. Continueranno invece a rifornire Italia fino a quando si tratterà soltanto di dichiarazioni pubbliche del genere di quelle fatte finora da Segretario di Stato e dal Segretario dell'Interno.

(1) -Si tratta della ritrasmissione del T. 9141 del 28 novembre 1935 da Ginevra, non pubblicato. (2) -Si tratta della ritrasmlssione di un telegramma da Ginevra del 28 novembre 1935 con Il quale veniva segnalata l'intenzione del Governo americano di applicare l'embargo sul petrolio prima ancora delle decisioni di Ginevra.

(l) Non pubblicato, ma vedi D. 644.

780

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 9284/183 R. Varsavia, 3 dicembre 1935, ore 21,15 (per. ore 24).

Telegramma V. E. 2464/C. (l); 149 (2) e 152 (3).

Beck stamane mi ha smentito voci corse a Ginevra che Polonia avrebbe già aderito allargamento sanzioni, mi ha inoltre smentito che esistano conversazioni fra Polonia e Germania per embargo carbone (telegramma

V. E. 152).

Avendo chiesto se, nel caso venisse presa a Ginevra decisione estendere sanzioni al carbone, Polonia considererebbe contratto navi carbone ancora eseguibile, Beck mi ha risposto affermativamente dichiarando che, nel caso in cui Ginevra facesse opposizione, egli ripresenterebbe la questione chiedendo riconferma eccezione (telegramma V. E. n. 149).

Ho parlato per oltre un'ora CQn lui della situazione riferendomi a quanto comunicato con telegramma n. 2464/C e facendogli considerare opportunità che Polonia prendesse un atteggiamento contrario alla estensione delle sanzioni, dando cosi attivo appoggio all'azione con cui Laval tenta allontanare dall'Europa più gra vi pericoli.

Beck mi ha assicurato che riprenderà subito contatti con Lavai per concertarsi con lui, facendomi intendere che egli non sarebbe alieno prendere a Ginevra posizione contraria all'embargo sul petrolio, prodotto che mai Polonia ha venduto all'Italia, ma che opinione di Lavai gli era indispensabile per orientarsi nel suo atteggiamento.

Permettomi far presente necessità che Lavai in qualche modo incoraggi le favorevoli disposizioni di Beck, da questo stamane ripetutemi e gli dia al tempo stesso assicurazione che eventuale presa di posizione della Polonia: contro estensione sanzioni non le sarebbe fatta scontare con diminuzione posizione di questo paese a Ginevra. Questa preoccupazione mi è stata infatti chiaramente espressa da Beck stamane. Laval, che trovò in Beck un sincero alleato nei suoi sforzi a Ginevra, potrà abilmente e utilmente giovarsi di lui per porre alfine Inghilterra dinnanzi qualche resistenza e rendere cosi più agevole suo lavoro conciliativo.

(l) -Vedi D. 752, nota l p. 722. (2) -T. 2474/149 R. del 29 nove1ubre 1~35, ore 2, relativo alla questione della fornitunt italiana di una nave alla Polonia dietro cessione di carbone. (3) -T. 2495/152 R. del 30 novembre 1935, ore 24, relativo alla presunta adesione della Polonia alla proposta di embargo su petrolio, carbone, ferro e accaiaio.
781

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. PER CORRIERE 0353. Londra, 3 dicembre 1935.

Vansittart ed io ci siamo, secondo gli accordi presi venerdì sera (2), riveduti oggi per continuare la nostra conversazione, ed esaminare insieme una concreta possibilità di regolamento della questione etiopica. Siamo rimasti d'accordo di considerare la nostra conversazione come avente un carattere preliminare ed esplorativo e di natura personale, senza impegno cioè per i nostri due Governi.

Ho domandato anzitutto a Vansittart che cosa egli poteva dirmi sulle decisioni adottate dal Gabinetto nella sua riunione di stamane circa la questione dell'embargo sul petrolio. Vansìttart mi ha risposto che il Gabinetto aveva deciso che la Delegazione britannica a Ginevra avrebbe appoggiato qualsiasi iniziativa che fosse stata presentata da altri Stati per l'applicazione dell'embargo sul petrolio. Egli mi ha spiegato a lungo l'impossibilità per la Gran Bretagna di assumere un diverso atteggiamento specialmente dopo che la Russia, la Rumania e anche gli Stati Uniti si erano manifestati favorevoli ad adottare una misura del genere.

Ho replicato a Vansittart dicendogli che l'applicazione dell'embargo sul petrolio era una vera e propria sanzione di carattere militare contro l'Italia, e che sarebbe stato molto difficile per noi di considerarla altrimenti. Inoltre una misura di questo genere sarebbe stata immediatamente considerata ad Addis Abeba come un indebolimento delle nostre possibilità militari ed avrebbe quindi reso il Negus intransigente di fronte a quelle eventuali proposte che potessero essere fatte dal Governo inglese e francese per risolvere la questione abissina. Anche sotto questo riguardo l'embargo sul petrolio non avrebbe mancato di complicare senza fine la situazione.

Vansittart mi ha risposto che egli non poteva fare a meno di riconoscere questa osservazione come fondata. Egli ha aggiunto che, malgrado le difficoltà, egli riteneva possibile che la Commissione dei Diciotto nella sua prossima seduta del 12 dicembre non giungesse ad una decisione definitiva e qualche formula potesse escogitarsi per rimandare a più tardi la decisione. «Ciò sarà sopratutto possibile se io potrò davanti al Gabinetto giustificare l'opportunità di assumere questa attitudine temporeggiatrice in considerazione del fatto che vi sono negoziati in corso, con qualche speranza di successo, fra i nostri due Governi».

Ho domandato se potevo comunicare ciò ufficialmente al mio Governo.

vansittart mi ha risposto di si. Siamo quindi passati ad esaminare la que

stione principale.

Vansittart mi ha detto che egli aveva molto riflettuto su quanto io gli

avevo dichiarato venerdì sera sulle inevitabili ed irreparabili conseguenze del

perdurare dell'attuale conflitto fra l'Italia e la S.d.N. « Sono convivnto -Vansittart ha continuato -di quello che voi mi avete detto e sono qui a collaborare con voi per trovare una via di uscita. Questa non è facile, voi ve ne rendete conto, ma vale la pena di tentarla nell'interesse di tutti. Sono d'accordo con voi che non bisogna perdere il nostro tempo in recriminazioni sul passato. Voi sostenete che il torto è dell'Inghilterra, noi sosteniamo che il torto è dell'Italia. Ma è perfettamente inutile, come voi dite, attardarci in questo momento sopra una discussione del genere. Vediamo dunque, tra me e voi, di ricercare un terreno concreto di intesa).

Ho detto a Vansittart che ero d'accordo e gli ho domandato a che punto era giunto il lavoro di Peterson -Saint-Quentin a Parigi. Vansittart mi ha risposto che Peterson aveva ricevuto istruzioni per ora di battere il tempo in attesa delle nostre conversazioni di Londra.

Ho sottoposto a Vansittart, a questo punto, una mia idea personale: «Se le nostre trattative raggiungeranno un punto che faccia presumere come possibile un regolamento della questione, perché voi non vi rechereste in Italia a conferire col Duce per l'intesa definitiva? Il Duce ha stima e considerazione per voi e sono certo che, una volta fissate tra di noi le grandi linee di un possibile accordo, un incontro privato e personale tra il Duce e voi potrebbe avere dei risultati preziosi per la futura politica dei nostri due Pa·esi ~.

Vansittart ha riflettuto un poco e poi mi ha risposto: «Accetto senz'altro questa idea. Lascio voi giudice del come e del quando essa potrà venire attuata. Ma vi sarei grato sin d'ora di fare sapere al Duce da parte mia quanto segue: Da sei anni, ossia dal momento che io sono stato nominato a questo Ufficio, non ho avuto in mente se non due cose: 1°) il riarmo dell'Inghilterra. Questo scopo l'ho raggiunto. Il Governo conservatore testè eletto ha avuto dalla stragrande maggioranza del Paese il mandato, vorrei dire la consegna, di procedere rapidamente a una politica di intensificazione di armamenti che metta l'Inghilterra in una posizione di assoluta sicurezza nel mare, nel cielo e in terra. 2°) Nel campo internazionale, durante sei anni. la mia azione non ha avuto se non uno scopo: la cooperazione dell'Inghilterra con i due Paesi latini, Francia e Italia. Mi sono adoperato sempre per promuovere un accordo tra la Francia e l'Italia. Quando il Duce ha deciso di fare la guerra in Africa io ho visto tutto il mio lavoro compromesso e infatti l'immediato risultato della nuova situazione è stato un grave turbamento dei nostri rapporti coll'Italia e un peggioramento dei nostri rapporti colla Francia. Molta gente qui ha detto che la mia politica era fallita. Nonostante tutto io non credo che ho fallito perché Baldwin e Hoare mi hanno conservato la loro piena fiducia». Vansittart ha continuato:

«In spite of ·everything we would, and are, ready to go back to the policy of cooperation with the two Latin countries. You told me in the course of our last conversation that you think it is stili possible to restare the Stresa front. I have been very glad indeed to hear that. I am ready to help the Duce, but the Duce must help me too. I have not changed my policy. It is quite obvious, as you have said to me, that a policy of cooperation between

our three Countries, the Stresa Powers, can only work in conjunction with a strong Mussolini and a prosperous Italy. I quite agree with you: if Italy is ruined my policy is also ruined. If the present situation goes on, Italy will be ruined, and France will be greatly weakened. If the Abyssinian affair will go on, three Countries will equally suffer. First, Italy. Secondly, France. Thirdly, Great Britain. At the beginning Great Britain will suffer less than the other two, but in the long run we will be those who will suffer the most. If there should be a war between Italy and Engla;nd, that would mean a war between Italy and the 50 Nations of Geneva. If France will not join us, she will be isolated in Europe. In the end Italy will be ruined, France wHl be probably in the throes of civil war, but, as you say, England will be weakened, and Germany victorious upon us all. The moment has really come to try to make an effort in order to restore the Stresa front. We must get out of this mess. I want to help Mussolini to close this episode honourably. When I say .. honourably" I do not think that He can withdraw 200.000 men from Africa without attaining sufficient satisfaction. I quite understand this. You must have a good part of what you asked for. The Fascist Regime must come out more than honourably. But you know how great the present difficulties are. I nave to persuade a great number of people here who do not think at all as I do. There is here great opposition, as you well know, so that the key of a possible arrangement must be "moderation" in your demands. I will help Italy. But if you are "greedy ", if you ask too much. it will be quite impossible for me to work. We must find something which will be substantial for Italy and that will be at the same time formally in accordance with the principles of the League, which we have got to preserve and to defend. We must find something which can meet your need, in the substance, and be acceptable both to the League and to the Negus himself ».

Ho lasciato che Vansittart parlasse fino in fondo e mi esponesse fino in fondo il suo pensiero. Per mostrargli tutta l'importanza che davo a queste sue dichiarazioni, ho preso degli appunti man mano che egli parlava. Alla fine gli ho detto che avrei trasmesso al Duce le sue parole con esattezza scrupolosa e nella stessa sua lingua. Ho aggiunto che, pur avendo molte cose da dire e da osservare su quanto egli era andato dicendo, mi riservavo di farlo in seguito. Per ora consideravo queste sue parole come la cornice di un quadro. Il quadro era per me un regolamento soddisfacente della questione abissina. Prima di scegliere la cornice adatta bisognava vedere che cosa il quadro consistesse. Questo per me rappresentava la sostanza.

Vansittart mi ha risposto che la mia osservazione era giusta, ma che

prima di discutere quelle che, secondo lui, sono le possibilità concrete per una

soluzione della questione abissina, egli aveva tenuto a farmi queste dichiara

zioni di carattere generale.

A questo punto Vansittart ha aperto una grande carta geografica del

l'Africa Orientale e ha continuato: «Voi vi rendete conto, spero, che le pro

poste del 16 ottobre Mussolini-Chambrun (l) non potrebbero mai essere

accettate né dalla S.d.N. né dal Negus. Esse significano praticamente il possesso da parte dell'Italia di quattro quinti dell'Abissinia ed il controllo sul rimanente. Anche se per assurdo la S.d.N. acconsentisse ad una soluzione del genere, il Negus preferirebbe evidentemente tutti i rischi di una guerra lunga ed estenuante ad una capitolazione. Bisogna quindi cercare un'altra base che permetta all'Italia di raggiungere le sue aspirazioni, in parte subito, ed il resto nel futuro. Bisogna congegnare le cose in modo che vengano formalmente rispettati i principi della S.d.N. Altrimenti io non riuscirò mai a convincere il Gabinetto britannico di procedere sulla strada di una soluzione che dia, nella sostanza, delle concrete soddisfazioni all'Italia. Bisogna anzitutto scartare la formula del Mandato, che non può essere accettata da Ginevra, e adottare invece quella dello scambio di territori. Vi ho già detto tutto questo nella nostra precedente conversazione. La soluzione, secondo me, è la seguente:

l) Scambi territoriali.

L'abissinia cede in sovranità all'Italia:

a) la conca di Adua (esclusa Aksum) e i territori attorno ad Adigrat secondo una linea approssimativa Tsada Medri, Addarò, Adua, Abbagarima, Adagamus.

b) I territori della Dankalia secondo una linea che, partendo dalla congiunzione tra il 40° meridiano e il 14° parallelo, giunge al confine della Somalia francese approssimativamente all'altezza del Lago Gum.

c) I territori compresi tra l'attuale Somalia italiana e una linea che, partendo da Dolo, raggiunge l'intersecazione del 44° meridiano e il 9° parallelo.

L'Italia cede da parte sua all'Abissinia un corridoio che possa assicurare all'Etiopia lo sbocco al mare con modalità e condizioni da determinarsi.

2) Territori che l'Etiopia cede all'Italia in regime di monopolio economico.

L'Etiopia cede all'Italia in regime di monopolio economico i territori etiopici limitati a Sud dal Kenia e dalla Somalia italiana, a Nord dal1'8° parallelo, a Ovest da una linea da determinarsi. La sovranità formale su questi territori dovrebbe essere conservata al Negus. L'Italia vi eserciterebbe un esclusivo monopolio economico mediante la costituzione di un « Chartered Company » con speciali salvaguardie e diritti nell'amministrazione di questi territori.

3) Regime d'assistenza internazionale su tutta l'Etiopia.

Il resto dell'Etiopia sarebbe sottoposto, secondo le proposte della Commissione dei Cinque, a un regime d'assistenza internazionale da determinarsi. In questo regime d'assistenza sarebbe riconosciuta di diritto e di fatto la preponderanza italiana.

Ho risposto a Vansittart che questo piano era inaccettabile e che io non potevo assolutamente prospettarlo al mio Governo, neppure come un punto di partenza per una trattativa formale. Come poteva egli, Vansittart, immaginare dopo tutto quello che mi aveva dichiarato in precedenza, che il Duce potrebbe presentare al popolo italiano una soluzione di questo genere? Mi domandavo sinceramente se valeva veramente la pena dl continuare una trattativa, sia pure a titolo personale.

Il Tigré anzitutto. Ho ripetuto a Vansittart le ragioni per cui era impossibile per l'Italia di abbandonare le popolazioni del Tigré alla mercè della vendetta del Negus. Ciò era in netto contrasto coi principi stessi della S.d.N. Le popolazioni tigrine hanno manifestato chiaramente la loro volontà di passare sotto il Governo dell'Italia. Non vi possono essere discussioni su questo punto. Ho esposto lungamente a Vansìttart ancora una volta, sulla scorta dei documenti inviatimi da V. E., tutte le ragioni storiche, politiche, geografiche in base alle quali l'Italia non può rinunciare al Tigré, che è una terra sacra ormai. Ho rilevato a questo riguardo che il tracciato indicante i confini del Tigré sulla carta geografica che stavamo consultando non corrispondeva alla nozione storica e geografica che io avevo del Tigré. Secondo il tracciato inglese i confini del Tigré sarebbero infatti determinati dal corso del Takazé, dal corso del Gheva e da una linea Makalé-Dessa. La mia nozione geografica del Tigré era assai diversa: corso del Takazé sino all'altezza di Mukerà e una linea fino a Sud di Amba Alagi.

Vansittart ha risposto che egli non poteva discutere né sul suo né sul mio confine. Era una questione da vedersi. Alle mie obiezioni di carattere storico, geografico e politico, Vansittart ha ribattuto dicendomi che era impossibile considerare l'annessione pura e semplice di tutto il Tigré e mi ha ripetuto, illustrandole ancora una volta, le solite ragioni che il Duce conosce. Io ho replicato e alla fine Vansittart ha concluso dicendo che si potrebbe forse esaminare un'altra soluzione per il Tigré e cioè un Tigré come Stato indipendente, dopo aver tuttavia domandato alle popolazioni tigrine di esprimere la loro volontà su quello che fosse il loro destino: ritornare sotto il regime di Addis Abeba o erigersi a Stato indipendente. In questo caso l'Italia doveva però rinunciare all'annessione di Adua e Adigrat e accettare di considerare una soluzione di questo genere per tutta indistintamente quella parw del Tigré occupato dalle truppe italiane.

Ho risposto a Vansittart che neppure questa soluzione mi sembrava accettabile. Rilevavo soltanto che se il Governo inglese e la S.d.N. intendevano di giunger,e fino all'assurdo e fino al grottesco di far decidere alle popolazioni tigrine il loro destino, la scelta che doveva essere loro data non doveva consistere solamente tra il ritorno sotto il regime del Negus o l'indipendenza, ma tra il ritorno sotto il regime del Negus e l'annessione all'Italia. «Anche una parte dell'Eritrea, ho continuato, è territorio tigrino e le popolazioni tigrine dell'Eritrea, in questi cinquanta anni, sono stati dei sudditi fedeli e riconoscenti all'Italia. Mi rifiuto ad ogni modo di pensare che la S.d.N. possa sul serio considerare di porre nuovamente anche una sola parte del Tigré sotto il controllo di Addis Abeba. L'unica soluzione possibile per il Tigré è l'annessione pura e semplice all'Italia~. Ho concluso dicendo che prendevo atto di quello che Vansittart mi aveva detto, e gli ho domandato di tenere per ora sospesa la discussione sul Tigré.

Circa la cessione all'Italia dei territori Dankali e dell'Ogaden (Valle del Tafan), ho detto a Vansittart che non vi era proporzione fra l'importanza di uno sbocco al mare all'Etiopia e l'acquisto praticamente di due deserti, il deserto del sale al nord, il deserto delle pietre a sud. Il Negus nel 1928 ci dava presso a poco lo stesso. Si tratta dunque d'una rettifica di confini e nulla più. Non è possibile discutere uno scambio di territori sulle basi da Vansittart proposte. Qualsiasi regolamento che possa utilmente discutersi deve risolvere, almeno in buona parte, i due problemi fondamentali per i quali il Duce si era trovato nella necessità improrogabile di affrontare la questione etiopica. Il problema della nostra sicurezza militare e il problema della nostra espansione in Africa Orientale. Il problema della sicurezza poteva essere risolto con l'annessione del Tigré e con la cessione all'Italia sotto forma di mandato dei territori non amarici invasi e assorbiti in questi ultimi quaranta anni. La proposta di Vansittart di una « Chartered Company ~ che desse all'Italia il monopolio economico e in certo qual senso l'amministrazione dei territori al Sud dell'8° parallelo (senza neppure l'indicazione per ora del limite Ovest), ma non la sovranità diretta o indiretta su tali territori, non poteva esser presa in considerazione.

Ho spiegato a Vansittart alcune fra le ragioni che mi inducevano a respingere senz'altro quest'offerta. «Un qualsiasi regolamento sulla questione abissina deve costituire uno statuto chiaro e preciso dei diritti e degli obblighi di ciascuno. Una proposta come la vostra determinerebbe in breve un nuovo conflitto tra l'Italia e l'Etiopia. Noi conosciamo troppo bene che cosa significa avere in Abissinia delle concessioni economiche, e che cosa il Governo di Addis Abeba intenda per sfruttamento economico da parte degli stranieri. Anche l'Inghilterra ha Q.el resto la sua esperienza in materia».

Vansittart mi ha replicato dicendo che si possono trovare delle formule e dei mezzi per garantire all'Italia l'esercizio pacifico dei suoi diritti economici in questa zona. Si trattava di mettersi a tavolo e di studiare quali potessero essere le proposte in tal senso da sottoporsi alla S.d.N.

Ho risposto a Vansittart che tutto ciò è per ora confuso e che in queste condizioni è molto difficile per me, anche a titolo personale, continuare nelle trattative con lui.

Vansittart mi ha chiesto se avrei riferito a Roma di questo colloquio.

Ho risposto che non avrei riferito nulla e che questo era la miglior prova di buona volontà da parte mia. Se avessi riferito il risultato non sarebbe stato che uno solo: istruzioni d'interrompere qualsiasi trattativa.

Vansittart mi ha detto che io non mi rendevo conto della difficoltà per la Gran Bretagna di uscire da questa situazione. Io ho ribattuto dicendo che egli non si rendeva conto di quello che era la situazione italiana. Così siamo rimasti. Abbiamo deciso di rivederci domani nel pomeriggio per continuare la nostra conversazione (l).

(l) -Ed. in « Storia cuntempoHmea », 1977, n. 4, pp. 773-77B. (2) -Vedi D. 755.

(l) Vedi D. 357.

(l) Vedi D. 794. Il presente documento, vistato da Mussolinl. non è stato incluso nella raccolta dei telegrammi in arrivo da Londra.

782

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9327/062 R. Belgrado, 3 dicembre 1935 (per. il 5).

Telegramma di V. E. n. 144 e mio telegramma per corriere n. 061 (1).

Stojadinovic, che ho apertamente interpellato oggi al riguardo, mi ha nuovamente smentito nel modo più categorico che vi sia stata mai questione di una eventuale collaborazione anglo-jugoslava in Adriatico, né di mettere basi navali jugoslave a disposizione dell'Inghilterra. Richieste o proposte inglesi in tal senso non sono state fatte al Principe Paolo nei contatti da lui avuti a Londra.

Stojadinovic è al corrente che notizie di tal genere sono state diffuse all'estero ed hanno circolato anche in Jugoslavia; recentemente, è stato persino detto che la Jugoslavia avrebbe concesso l'uso delle Bocche di Cattaro all'Inghilterra contro un prestito di due miliardi di dinari. Appunto in questi giorni egli ha dovuto attirare l'attenzione di questo Ministro di Germania, signor von Heeren sopra una notizia di tal genere pubblicata dal Volkischer Beobachter pregandolo di interessarsi per una smentita. Tutte queste voci -ha detto Stojadinovic -devono considerarsi non solo fantastiche, ma altresì offensive per la Jugoslavia. Occorre essere convinti che i legami di parentela del Reggente colla Corte inglese non hanno presa su di lui, come si tenderebbe a credere, nè hanno alcun peso sulle determinazioni del Governo jugoslavo preoccupato solamente dei reali interessi e dell'avvenire del Paese, i quali richiedono siano conservati e coltivati i rapporti di buon vicinato in Adriatico.

Egli si propone di dare una pubblica smentita a queste voci, ma vuole trovare la forma e l'occasione opportune, perché egli pensa che spesso le smentite sono destinate a creare l'impressione che un fondo di verità sussiste; appunto pel timore che una smentita potesse riuscire contro operante, egli si è astenuto dal farla sino ad ora.

Ho preso atto, ringraziandolo, delle sue dichiarazioni, e gli ho detto che, per quanto ci riguarda, sarebbe stato probabilmente più opportuno, e sufficiente, che egli avesse trasmesso a V. E., pel tramite di codesto Ministro di Jugoslavia, una assicurazione in proposito, sia pure a titolo confidenziale.

Pregherei V. E. volermi informare se Ducic sarà incaricato di fare questo passo.

(l) Vedi DD. 737 e 761.

783

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9329/065 R. Belgrado, 3 dicembre 1935 (per. il 5).

Nel corso di una conversazione avuta con lui stamani, il Presidente Stojadinovic:

l) ha tenuto a ripetermi che il tono amichevole della nota di risposta della Piccola Intesa alla nostra nota dell'H novembre era dovuto al personale suo intervento ed alla non facile opera di persuasione da lui svolta sopratutto per superare l'opposizione di Titulescu che era completamente nel c campo inglese:.;

2) ha espresso la speranza che V. E. abbia rilevato il rinvio di un mese frapposto al divieto di esportazione in Italia di determinati prodotti sanzionati, e che sia stata mantenuta l'ammissione in Jugoslavia di tutta la produzione letteraria, artistica italiana: tale gesto, pur di scarsa efficienza pratica, doveva essere interpretato nel suo significato morale;

3) ha ricordato le disposizioni adottate perchè il traffico vicinale FiumeBussa e fra Zara e retroterra continui come prima. Mi ha chiesto al riguardo se il R. Governo da parte sua continuerà a non opporsi a tale particolare situazione, che egli riterrebbe utilissimo mantenere perchè suscettibile di consentire più ampio sviluppo di scambi.

Ho colto l'occasione di tale conversazione per intrattener·e Stojadinovic sulla questione dell'embargo al petrolio. Mi ha dichiarato che, in tale questione, come in quella generale delle sanzioni, l'atteggiamento della Piccola Intesa e quindi della Jugoslavia prende norma dall'atteggiamento francese. Nessuna linea di condotta è stata finoggi adottata in proposito e si attendono i risultati dei nuovi sforzi di Lavai intesi ad ottenere una ulteriore proroga della data della riunione del Comitato dei Diciotto, nella speranza che intanto possa giungersi ad un componimento del conflitto. Tuttavia, a mia richiesta, mi ha assicurato che nell'ev·entualità che fosse deciso l'embargo sul petrolio, qualora noi riuscissimo ad intenderei con la Romania per la fornitura di tale prodotto, il Governo jugoslavo sarebbe pienamente disposto a consentirne il transito attraverso il suo territorio, sia per la ferrovia Serbia del Sud alla frontiera albanese, sia fino al porto di Spalato.

Dal colloquio avuto ho tratto l'impressione, che mi permetto di esporre subordinatamente a V. E., che la Jugoslavia si indurrebbe a dichiararsi contraria alla estensione dell'embargo del petrolio (anche per mancanza di interesse proprio) se fosse sicura di avere la Romania a suo fianco in tale atteggiamento, e che questo abbia incontrato la preventiva approvazione (o meglio la spinta) del Governo francese (1}.

S.l -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

(l) Con T. 9547/149 R. del 12 dicembre 1935, ore 13,10, Viola rtreriva che Stojadinovic gli aveva dichia.rato di ritenere che la questione dell'embargo del petrolio non sarebbe stata posta e che comunque il Governo jugoslavo avrebbe sostenuto il rinvio sia delia decisione che dell'applicazione.

784

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9604/049 R. Budapest, 3 dicembre 1935 (per. il 7).

In merito all'incontro in oggetto questo Ministro degli Affari Esteri, che

indisposto prima ed assente poi -ho potuto vedere soltanto stasera, mi ha ripetuto punto per punto quanto già esposto da questo Direttore degli Affari Politici e da me riferito a V. E. (telegrammi n. 146 e n. 048) {1).

Il signor de Kanya ha sottolineato inoltre -a giustificazione del sommario preavviso datacene alla vigilia della partenza (mio telegramma 142 del 27 nov.) (2) -che la decisione era stata presa repentinamente c in seguito alle insistenze di Vienna (mio telegramma n. 143 del 28 nov.) (3).

Ha aggiunto quindi che le ultime conversazioni lo avevano confortato nella fiducia, del resto sempre da lui riposta, nella lealtà e nella sincerità di Schuschnigg e di Berger, e che un'ottima impressione aveva riportato anche, questa volta, della capacità di Starhemberg, il quale evidentemente c si era fatto~ ormai come uomo di Stato e mostrava di essere pienamente padrone di ogni questione importante.

Circa i rapporti austro-germanici il signor de Kanya mi ha detto infine, e questo è sorprendente in bocca sua, che non riteneva Papen all'altezza del compito affidatogli {4). Gli austriaci avevano informato gli ungheresi che alle trattative «ufficiose~ condotte finora senza successo, dovrebbero succedere attualmente trattative «ufficiali~-Egli, Kanya, riteneva tuttavia assai difficile che, quale ne fosse la forma, potessero sortire esito favorevole, convinto come era che Hitler non rinunzierà mai all'idea dell'Anschluss e non sarà quindi disposto a fare cosa alcuna che possa portare pregiudizio a tale idea.

Gli elementi di giudizio finora in mio possesso inducono a ritenere che principali scopi dell'incontro potessero essere nell'intenzione dei visitatori: effettuare una nuova e solenne manifestazione di solidarietà austro-ungherese, atta a disarmare buona parte degli oppositori interni e a rafforzare J.a posizione dell'Ungheria di fronte alla Piccola Intesa, controbilanciare gli effetti del recente viaggio di Goemboes a Berlino (5), esaminare le possibilità di ripresa della solita opera per il riavvicinamento austro-germanico, sincerarsi sulle presenti intenzioni del Governo austriaco sia nei riguardi dei rapporti con la Cecoslovacchia sia nei riguardi del movimento legittimista, ma sopratutto mettere a punto con l'attuale situazione europea il comune atteggiamento di fronte a Ginevra e alle grandi Potenze sanzioniste. Quanto ci è stato detto e quanto probabilmente taciuto a Budapest darebbe l'impres

(-4) Vedi DD. 231, 283, 303, 319 e 451.

slone che i risultati dell'incontro abbiano, in complesso, corrisposto a tali scopi. Per quanto concerne in particolare l'ultimo, appare verosimile che n denominatore comune sia stato trovato sulla linea dell'estrema prudenza compatibile con l'atteggiamento assunto a suo tempo dai due Governi in nostro favore. Mi riservo comunque di tornare sull'argomento (1).

(l) -Vedi D. 764. (2) -Vedi D. 733. (3) -Vedi D. 733, nota l. (5) -Vedi DD. 139, 194, 220, 222, 226 e 229.
785

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 3 dicembre 1935.

Ho convocato l'Ambasciatore di Polonia in relazione alla questione dell'embargo sul petrolio.

Gli ho detto che noi consideriamo che i Paesi che hanno fatto ripetute dichiarazioni di amicizia per l'Italia -come è il caso della Polonia -vorranno opporsi decisamente a questa gravissima misura che porterebbe ad una corrispondente reazione da parte italiana.

L'Ambasciatore può far presente al signor Beck che sono parecchi i rappresentanti nel Consiglio dei Diciotto disposti ad opporsi a tale misura. Non è facile però trovare chi prenda l'iniziativa. Io ritengo, ad esempio, che la Francia, la Polonia, la Svizzera, la Romania, qualche Stato dell'America del Sud, potrebbero benissimo con molta facilità mettersi d'accordo per evitare questa misura che dalla maggioranza è deprecata.

II signor Wysocki ritiene che la via di questo accordo preventivo tra un gruppo di rappresentanti sia pratica ed intende farne cenno al signor Beck (2).

786

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 3 dicembre 1935.

L'Ambasciatore dell'U.R.S.S. viene a domandarmi, dietro richiesta del signor Litvìnov, se la comunicazione che gli feci or è qualche giorno (3) circa lo stato dell'opinione pubblica italiana nei riguardi delle progettate sanzioni sul petrolio era diretta soltanto alla Russia.

Gli ho risposto che, data l'urgenza, si era deciso di cominciare a fare la comunicazione ai rappresentanti dei Paesi europei fornitori di petrolio. Successivamente, essendo venuta meno l'urgenza per il rinvio della convocazione del Comitato per le sanzioni, si era deciso di fare ugualmente la comunicazione anche ai rappresentanti degli altri Paesi, ma solo man mano che se ne fosse presentata l'occasione (2).

(l) -Non sono state rinvenute altre comunicazioni al riguardo. (2) -n presente documento reca il visto di Mussol!ni. (3) -Vedi D. 716.
787

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 2540 R. Roma, 4 dicembre 1935.

In relazione alla notizia della sconfessione da parte del Governo canadese dell'iniziativa del suo Delegato Riddel per l'embargo sul petrolio (l) prego V. E. voler confidenzialmente rappresentare alla Segreteria di Stato tutta l'opportunità di valorizzare la decisione predetta nonché di impedire eventuali agitazioni· e manovre ad essa contrarie mobilitando in nostro favore, nell'attuale decisivo momento, le forze e le organizzazioni cattoliche del Canadà.

Prego di volermi riferire con cortese urgenza sul risultato dell'azione svolta in tal senso dall'E. V. (2).

788

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE RR. PER CORRIERE 2546 R. Roma, 4 ·dicembre 1935, ore 19,40.

Importerebbe che le conversazioni che Ella avrà con Hoare e Vansittart giusta il dispaccio di istruzioni odierno (3), possano continuare anche oltre il 12 corrente.

Dato che le proposte che Ella è autorizzata a presentare incontreranno probabilmente gravi obiezioni da parte britannica, giudicherà l'E. V. se non convenga incominciare coll'esporre forti argomenti sui cui poggiano mie proposte a Chambrun, cercando di provocare una qualche reazione da parte inglese che ci permetta di meglio conoscere il pensiero di codesto Governo e possibilmente attenerne eventuali controproposte per prolungare trattative e riesaminare eventualmente situazione.

789

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9299/594 R. Ginevra, 4 dicembre 1935, ore 20,48 (per. ore 22).

Questo Ministro di Romania Antoniade mi ha detto che le delegazioni ispirate a maggior moderazione consideravano come data possibile per l'inizio dell'embargo sul petrolio quella del 30 dicembre.

Dai contatti che ho avuto mi sembra poter affermare a V. E. che, se una tale iniziativa decisamente ostile all'estensione dell'embargo in seno al Comitato dei Diciotto sarà molto difficile, potrà, per contro, trovare terreno favorevole una iniziativa intesa a procrastinare la data d'inizio della misura anche sine die. Molto dipenderà, naturalmente, dagli sviluppi di eventuali negoziati politici tra Roma, Londra e Parigi.

Si afferma intanto qui stasera che sir Samuel Hoare, durante suo prossimo colloquio con Lavai, indurrà quest'ultimo ad esercitare tutta la sua influenza a Roma perché, data minaccia embargo petrolio, Governo italiano si decida a negoziare sulla base delle proposte che sarebbero concordate tra Parigi e Londra ed i cui termini non sono qui noti. Qualora Governo itallano non intendesse trattare con Inghilterra, si proporrebbe fare accelerare 1 tempi per l'applicazione dell'embargo sul petrolio.

(l) -Vedi D. 744. (2) -In base alla risposta di Pignatti (T. 9330/23 R. del 3 dicembre 1935) Suvich telegrafò a Petrucci (T.s. 2600/74 R. del 6 dkembre 1935): <<R. Ambasciatore presso la Santa Sede, interessato adoperarsi nel senso suggerito ultima parte Suo telegramma n. 109 [vedi D. 744],riferisce confidenzialmente avere avuto da S. Sede assicurazione che opportune istruzioni saranno prontamente impartite a codesto Delegato Apostolico. V. S. potrà tenersi in contatto, nel modo più prudente, col suddetto prelato>>. (3) -Vedi D. 795.
790

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9306/137 R. Berna, 4 dicembre 1935, ore 20,50 (per. ore 0,15 del 5).

Telegramma di V. E. n. 2521 C./R. (1).

Ho veduto stamane Motta, che difficilmente potrà intervenire seduta del 12 a Ginevra perchè stesso giorno avranno luogo rielezione e giuramento Consiglio Federale. Ho parlato con lui nel senso prescritto soggiungendo che la Svizzera poteva considerare due eventualità: che per possibili danni sua posizione di neutrale e sue tradizioni [politiche] prenda l'iniziativa voto contrario sanzioni petrolio oppure limitarsi votare contro.

Motta, come sempre, accetta nostre ragioni, è contrario ogni aggravamento delle sanzioni temendo fare cosa sgradita Italia, ma non ha coraggio di agire per paura restare isolato e sollevare recriminazioni inglesi nonché opposizione ambienti democratici locali ancora troppo societari. Egli propendeva perciò prendere atteggiamento passivo, ma dopo mi è sembrato entrare più nelle nostre viste quando ho detto che, ammessa graduatoria sanzioni, essendo sicura inefficacia del secondo grado ai fini cessare guerra in Etiopia, si dovrebbe arrivare al terzo grado cioè alla guerra in Europa; e che per il petrolio, specialmente se Stati Uniti d'America lo inscrivessero nena npta lista con munizioni e materiale da guerra, Svizzera, in omaggio sua neutralità, non può non rifiutare adesione a una proposta tendente a fornirne un belligerante a danno dell'altro.

Motta ha accettato pienamente tale tesi della neutralità e, per Svizzera, paventa pericolo di essere trascinata in un conflitto; riconosce altresì che aggravamento sanzioni rende impossibile trattative di pace.

Avendogli comunicato infine via strettamente confidenziale che sua eventuale iniziativa, secondo mi risulta, potrebbe trovare adesione presso Francia, Polonia e Turchia, mi ha detto che avrebbe studiato la cosa e che la discuterà col Consiglio Federale lunedì prossimo. Ho risposto non dubitare che Consiglio dei Ministri vorrà dimostrare con gli atti amicizia affermata in dichiarazioni fatte per iscritto.

(l) Vedi D. 771.

791

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 2547/512 R. Roma, 4 dicembre 1935, ore 24.

Nelle indicazioni che seguono V. E. potrà trovare dati per discorso seduta inaugurale Conferenza Navale in relazione anche discorsi altre Delegazioni, dando alle sue dichiarazioni carattere generico.

l) Il Governo italiano, firmatario del Trattato di Washington del 1922 e delle Parti I, Il, IV e V di quello di Londra del 1930, interviene alla Conferenza in ottemperanza agli impegni contenuti in detti trattati di partecipare ad una nuova Conferenza entro il presente anno.

2) Data l'evoluzione particolarmente rapida, nelle attuali circostanze, delle necessità tecniche che le costruzioni navali devono tener presenti, sarebbe difficile fissare soluzioni rigide per lunghi periodi di tempo. Conviene al contrario proc·edere gradatamente allo studio di soluzioni costantemente adeguate ai nuovi problemi e tali da permettere delle limitazioni navali che possono essere accolte da tutti evitando contemporaneamente una corsa agli armamenti.

3) Il Gov·erno fascista è d'accordo nel ritenere che la scadenza dei trattati che hanno fino ad oggi precisato gli impegni reciproci delle principali Potenze navali non può giustificare la ripresa di un regime di assoluta indipendenza che non mancherebbe di generare sfiducia e sospetto fra le Nazioni del mondo.

4) Dei trattati che finiscono si possono rinnovare quelle prescnz10ni e quelle clausole che si sono dimostrate di reciproca utilità nella loro applicazione.

5) La Delegazione italiana terrà presenti i criteri esposti nella nota britannica del 6 agosto 1935 per quanto riguarda i problemi che saranno oggetto di studio e s'ispirerà alle direttive di massima formulate nella sua nota di risposta.

6) l'Italia ha dimostrato coi fatti la sua volontà di mantenere gli armamenti navali nei limiti più moderati, in particolar modo con l'astenersi dall'esaurire la quota di armamenti concessale dal Trattato di Washington. :a: del Governo italiano il Memoriale del gennaio 1934 (1), nel quale erano

tracciate le linee di una equa e positiva soluzione del problema generale del

disarmo.

A parte gli elementi predetti converrà poi, nella forma che apparirà più conveniente, che l'E. V. accenni alla particolare situazione creata nei riguardi dell'Italia dalla situazione fattale dalla maggioranza degli Stati che appartengono alla S.d.N. in occasione della sua azione coloniale in Abissinia, situazione che finché dura impone al Governo italiano una linea di necessario riserbo.

(l) Vedi serle settima. vol. XIV, D. 525, Allegato I.

792

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. l!R. 2556/559 R. Roma, 4 dicembre 1935, ore 24.

Decisioni Comitato Coordinamento Ginevra per quanto riguarda embargo petrolio sono di fatto subordinate ad atteggiamento che in materia assumerà codesto Governo. Una decisione di codesto Governo nel senso di autorizzare esportazione petrolio verso Italia sia pure nei limiti normali potrebbe paralizzare di fatto azione predetto Comitato o impedire adozione divieto assoluto.

V. E. voglia tener presente che per limiti normali dovrebbe intendersi quantitativo introdotto in Italia da Società americane sia direttamente da Stati Uniti sia da terzi Paesi cui produzione è controllata da Società americane che operano in Italia, cioè anche questi ultimi quantitativi dovrebbero considerarsi come provenienti dagli Stati Uniti trattandosi di petrolio di proprietà di Società americane, le quali lo hanno inviato in Italia da detti Paesi anziché dagli Stati Uniti solo per ragioni di dislocazione e di maggiore convenienza economica.

V. E. pertanto vorrà adoperarsi nella maniera più efficace perché decisioni codesto Governo siano almeno conformi desideri Compagnie americane quali sopra specificati e riassunti in mio telegramma n. 557 (l). tenendo presente importanza che risultati sua azione potrebbero avere per favorevole soluzione questione (2).

793

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. PER RADIO 2557/310 R. Roma, 4 dicembre 1935, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 442 (3).

R. Ministero Marina, interpellato sul piano esecutivo elaborato da V. E., ha risposto che progettata estensione concessione italiana Tien-Tsin, compor

tando invio sul luogo di personale militare e di materiale bellico per provvedere disposizioni difensive e sicurezza, esso Ministero Marina non ravvisa nell'attuale momento dal punto di vista militare né opportunità né possibilità attuazione piano stesso. Analogamente può osservarsi per quanto riguarda il lato più particolarmente politico della cosa. Estensione concessione italiana Tien-Tsin dovrà quindi per il momento rinviarsi.

(l) -Non pubblicato. (2) -Per la risposta eli Rosso vedi D. 806. (3) -Con T. 9173/442 R. del 30 novembre 1935, Lojacono aveva sollecitato una risposta al progetto della concessione eli Tien-Tsin esposto nel suo rapporto n. 338 del 3 settembre 1935, e chiesto conferma delle istruzioni contenute nel telegramma ministeriale n. 204, per 11 quale vedi serie ottava, vol. I, D. 702.
794

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. PER CORRIERE 0355. Londra, 4 dicembre 1935.

Ho avuto oggi al Foreign Office un terzo colloquio con Vansittart, dalle 16 alle 18,30.

Vansittart mi ha domandato se avevo riflettuto sulle sue proposte di ieri (2). Ho risposto che non ne avevo avuto bisogno: non avevo a confermargli purtroppo se non che tali proposte erano cosi lontane da una base di accordo realizzabile per cui mi domandavo di nuovo se valeva veramente la pena di discuterle.

Vansittart ha insistito nel dirmi che sarebbe tempo perduto di accarezzare soluzioni che nella pratica poi rischiasse,ro di non venire accettate né a Ginevra nè ad Addis Abeba. Bisognava quindi rimanere sul terreno del realizzabile e del fattibile, se si voleva raggiungere una soluzione soddisfacente per tutti.

Ho ripetuto il concetto che una volta raggiunto l'accordo fra le Tre Potenze firmatarie dell'Accordo Tripartito, non credo che l'Accordo susciterebbe serie opposizioni a Ginevra. In quanto al Negus bisognava pur partire dal concetto che esso non è un creditore, bensì un debitore verso la S.d.N. Finora la S.d.N. ha agito esclusivamente contro l'Italia con una serie di provvedimenti sulla cui legittimità io non voglio in questo momento discutere. Non bisogna dimenticare quelle che sono le stesse risultanze del Comitato dei Cinque nei riguardi dell'Abissinia. Occorrerà ad un certo momento che la S.d.N. domandi all'Abissinia. in un modo perentorio, di accettare quelle che saranno le risultanze dell'accordo delle Tre Potenze approvato da tutti o in parte i membri della S.d.N. Certo che se la S.d.N. dà al Negus l'impressione che egli è libero di accettare

o respingere un accordo o di negoziarlo colla S.d.N. tutto questo lavoro di approccio delle Tre Potenze per trovare un concreto terreno di intesa sarà tempo perduto. Dovrà venire un momento in cui la S.d.N. dovrà assumere nei riguardi dell'Abissinia un'attitudine precisa.

Vansittart ha osservato che condivideva queste mie osservazioni, ma che purtroppo noi avremmo trovato a Ginev,ra delle forti difficoltà in quanto molti

Stati considerano quella che sarà la soluzione nei riguardi del problema abissino come un precedente estremamente pericoloso e suscettibile di venire applicato nel futuro quando sorgerà una questione che li riguardasse direttamente.

Ho ribattuto che avremo sempre probabilmente la Russia contraria, ma non per le ragioni che egli diceva. La Russia farà di tutto per separare tra loro, ancor più di quello che non lo siano, le Potenze occidentali.

Vansittart ha replicato dicendo che egli non si riferiva alla Russia, ma sopratutto alle Potenze della Piccola Intesa, sulle quali la Francia esercita una influenza, nel caso presente, minore di quella che noi possiamo credere. Siamo tornati quindi all'esame del punto centrale della questione.

Vansittart mi ha pregato di spiegargli ancora una volta le ragioni che mi inducevano a ritenere la sua proposta di ieri come inaccettabile e insoddisfacente.

Ho ripetuto a Vansittart le mie obbiezioni generali di ieri. «Occorre trovare, ho continuato, una soluzione che risolva, almeno in buona parte, i due problemi della sicurezza e dell'espansione italiana. Altrimenti non vedo come un accordo potrebbe essere accettato dal Duce. Meglio per l'Italia affrontare tutti i rischi inevitabili dell'attuale situazione che accettare un accordo sopra delle basi come quelle prospettate. La sicurezza dei possedimenti africani può essere salvaguardata soltanto dalla congiunzione territoriale delle nostre due Colonie. Gli accordi italo-inglesi del 1891, confermati dal Patto Tripartito e dagli accordi Mussolini-Graham del 1925, accordi questi ultimi conclusi fra l'Italia e l'Inghilterra, viva e funzionante la S.d.N., attribuiscono all'Italia, tra l'altro, tutto l'Ovest etiopico, contemplando a ovest di Addis Abeba la possibilità della congiunzione territoriale fra le nostre due Colonie. Dopo gli accordi italo-francesi del gennaio u.s., tale congiunzione è resa possibile non solo a ovest ma anche a est di Addis Abeba. Bisogna considerare praticamente una o l'altra di queste soluzioni. Nell'Harrar trovansi le sorgenti di tutti i fiumi che convogliano le acque verso la Somalia italiana. L'Harrar ha per noi la stessa importanza che ha il Lago Tsana per il Sudan. L'Barrar è l'unica regione con clima favorevole all'acclimatazione di popolazioni bianche abitata da popolazioni non amara, di religione musulmana, e, fino alla conquista etiopica nel 1887, ha costi,tuito un sultanato indipendente. Anche le zone del Sud-ovest etiopico sono abitate da popolazione non amara. In queste zone, e precisamente nel Uollega e Sciangul, l'Italia ha importanti concessioni, Società Prasso, che noi dobbiamo difendere. Per quanto riguarda il problema dell'espansione, qualsiasi soluzione sarebbe fittizia se non accompagnata da una cessione di territorio vera e propria.

La politica delle sanzioni ginevrine contro l'Italia, aumentando le nostre difficoltlà economiche, ci obbligherebbe a distribuire il nostro sforzo di colonizzazione attraverso molti anni. Ciò implica la necessità di una sicurezza territoriale assoluta e questa sicurezza può essere data soltanto da un diritto di sovranità vero e proprio. La vostra proposta di attribuire all'Italia, mediante la costituzione di una compagnia (Chartered Company), il monopolio economico nei territori a sud dell'8° parallelo mi ha anche impressionato sfavorevolmente perchè rappresenta un passo indietro su quello che Lavai ha comunicato al Duce

essere stati i risultati delle conversazioni Peterson -Saint-QuenUn. Nelle conver

sazioni Peterson -Saint-Quentin, a fine ottobre, le risultanze a cui sarebbero

giunti i due esperti sarebbero state le seguenti: «Si potrebbe considerare il

mandato all'Italia di tutto il territorio etiopico al disotto dell'So parallelo :..

Lavai ha in seguito comunicato che tale proposta era stata respinta dal Governo

britannico, il quale riteneva invece possibile annettere all'Italia territori che

comprendano le regioni di Baie e Boran, limitati però ad ovest dal 400 meri

diano. « Voi stesso -ho aggiunto -nella nostra conversazione di venerdì avete

parlato della cessione all'Italia di territori compresi fra l'S0 parallelo e il 41°

meridiano:..

Vansittart mi ha interrotto dicendosi sorpreso di quanto gli dicevo. Vi era un equivoco che bisognava assolutamente chiarire. Nelle conversazioni di ottobre fra Peterson e Saint-Quentin mai si era parlato della possibilità concreta di attribuire un mandato all'Italia sul territorio etiopico al disotto dell'So parallelo. Queste informazioni inviate a Roma non sono esatte. Siamo davanti ad un grosso equivoco. L'Inghilterra mai ha accettato l'tdea di un mandato e tanto meno Peterson ha accettato l'idea di questo ipotetico mandato sui territori a sud dell'So parallelo. Tutto ciò è pura fantasia. È bensì vero che il Governo inglese ha considerato invece la possibilità di annessione all'Italia di una zona approssimativamente rappresentata dalle regioni Bale e Boran con limitazione a nord dell'S0 parallelo e a ovest del 40° meridiano. A questo egli si era riferito nella mia conversazione di venerdì sera, nella quale tuttavia egli mi ha parlato non del 40°, bensì del 41° meridiano. Proponendomi ieri una cessione territoriale che partendo da Dolo raggiunga l'intersecazione del 44° meridiano e del 9° parallelo, egli aveva inteso di andare molto oltre a quelli che erano stati i risultati delle conversazioni di Parigi in quanto che questa soluzione importava la cessione in sovranità all'Italia dei territori dell'Ogaden a nord dell'So parallelo, con inclusione di Sassabaneh e della Valle del Tafan che risulta fertile e di possibile colonizzazione, ed inoltre l'amministrazione di una notevole parte d~i territori ad est del 41° meridiano. Ma se invece della regione del Tafan l'Italia preferisse avere in cessione un'altra regione approssimativamente rappresentata dal Bale e Boran con limitazione ad ovest circa al 40° meridiano egli non aveva difficoltà. In questo caso tuttavia non si doveva parlare della vallata del Tafan, di Sassabaneh e dell'Ogaden.

Ho risposto a Vansittart che la nostra sovranità sull'Ogaden era una necessità di natura complementare, ma pur sempre una necessità. Non si sarebbe potuto comunque pensare che potessero rimanere aperte alla minaccia proveniente dal Nord le regioni dell'Uebi Scebeli. II possesso di Baie e Boran

senza la Valle del Tafan e senza l'Harrar avrebbe indebolito, anziché rafforzare, la sicurezza militare della Somalia italiana. Circa la sua proposta di un regime di monopolio economico da attribuirsi all'Italia a sud dell'S0 parallelo con limite ad ovest da determinarsi, rilevavo, a parte le obiezioni fondamentali, che l'indeterminatezza del limite ovest rendeva la sua proposta ancor più vaga e confusa. Vansittart mi ha interrotto dicendo che ove noi accettassimo il principio della «Chartered Company :P, il Governo britannico non avrebbe fatto diffi

coltà ad estendere ragionevolmente il limite ovest per venire incontro ai nostri desideri.

Ho osservato a questo punto che noi non potevamo fare a meno di considerare come indispensabile il confine col Sudan fino al 33° meridiano. Era nello stesso interesse dell'Inghilterra di permetterei l'accesso al Lago Rodolfo. Ciò avrebbe potuto attivare correnti di scambio tra i nostri possedimenti e il Kenia britannico con vantaggio reciproco.

Vansittart, senza tuttavia impegnarsi, ha mostrato che forse ci si potrebbe intendere su questo punto sempre che il principio del monopolio economi-co all'Italia (« Chartered Company , ) col rispetto puramente formale della sovranità del Negus fosse da noi accettato.

Ho ribattuto che bisognava considerare la cessione in sovranità pura e semplice all'Italia di tutti i territori a sud dell'So parallelo. Prendendo la relazione del Comitato dei Cinque, in esso era chiaramente contemplata la necessità di un re-adjustment territoriale dell'Etiopia. « Riaggiustamento , è qualche cosa di ben diverso e ben maggiore che una rettifica di confine come quella proposta dall'Inghilterra.

Vansittart: «La vane del Tafan vi porta sotto Harrar. Questa non è

una rettifica di confine,.

Grandi: «Ma uno sbocco al mare, anche se di pura natura commerciale, è una contropartita di valore assolutamente sproporzionato alla modestia dei territori Dankali e Somali che sarebbero ceduti all'Italia ». Ho continuato illustrando l'importanza per l'Abissinia di un acces5o al mare, accesso che mi ostinavo a credere come una concessione assai imprudente che le Tre Potenze firmatarie dell'Accordo Tripartito accettavano di concedere all'A~nia. Sono certo che l'Italia, la Francia e l'Inghilterra se ne pentiranno in seguito. Tutta la pirateria del Mar Rosso avrà d'ora in avanti la bandiera abissina. Con uno sbocco al mare ·l'Abissinia sarebbe venuta in diretto contatto colla costa arabica, non so fino a qual punto nell'interesse dei possedimenti britannici in Arabia.

Vansittart mi ha interrotto dicendo che io esageravo l'importanza di questo accesso al mare in quanto che era stabilito che le Tre Potenze avrebbero preso d'accordo tutte le misure necessarie per controllare tale accesso e le attività non di natura commerciale che attraverso di esso l'Etiopia avesse potuto esercitare.

Vansittart ha a questo punto preso in mano i processi verbali di Ginevra contenenti le proposte del Comitato dei Cinque. « Si potrebbe considerare, egli ha continuato, di concedere all'Italia tutte quelle salvaguardie di carattere concreto che garantiscano da qualsiasi minaccia o pericolo l'esercizio del suo monopolio economico sul territorio che ho indicato a sud dell'So parallelo. Nello stesso rapporto il Comitato dei Cinque parla di misure di sicurezza e di protezione per le zone di sfruttamento economico da parte di europei. Esso parla di corti miste e dell'organizzazione delle forze di polizia. Nulla impedisce che queste forze di polizia siano composte esclusivamente di sudditi italiani e organizzati e diretti dall'Italia».

Grandi: «Ma allora perché non parlare di un mandato vero e proprio?:).

Vansittart: «Si tratta di trovare il modo di mascherare questa parola mandato con qualche cosa che ad essa corrisponda. Se vogliamo trovare una soluzione del problema dobbiamo sacrificare la forma alla sostanza».

Grandi: «Non credo possibile altra soluzione su questo punto diversa dalla cessione in sovranità all'Italia di tutti i territori abissini a sud dell'Bo parallelo. Rimangono naturalmente impregiudicati gli altri punti di cui vi ho fatto cenno più sopra».

Vansittart ha concluso che non era possibile e mi ha pregato di riflettere ancora Timandando il seguito della nostra conversazione a domani, alle ore 16.

Questa, la fotografia del mio colloquio di oggi con Vansittart. Colloqui preliminari, esplorativi, in attesa delle istruzioni che mi sono state annuciate da Roma. Come il Duce vedrà, io non mi sono mosso dalle posizioni delle proposte Mussolini-Chambrun del 16 ottobre (1). Anzi ho domandato addirittura, invece del mandato, la sovranità assoluta su tutti i territori a sud dell'Bo parallelo. In queste tre conversazioni di venerdì di ieri e di oggi (2) io ho cercato sopratutto di portaTe adagio adagio a una concezione più elastica di quello che dev'essere un negoziato con noi, e di staccarlo il più possibile dal suo punto di partenza rappresentato dalle proposte formulate ieri. Continuerò a procedere su questa strada nel colloquio di domani, mantenendo una linea di assoluta intransigenza onde accertarmi fin dove può giungere lo sforzo inglese in vista di una soluzione concreta della questione abissina. Il Duce non creda che io mi faccio soverchie illusioni. Sebbene nella conversazione di ieri e di oggi un passo notevole in avanti sia stato fatto, le difficoltà per un accordo rapido e conclusivo sono molte. Vansittart personalmente è animato da buona volontà, ma è chiaro che egli ha dietro di sé almeno una grossa parte del Gabinetto britannico che non condivide le sue idee e di quella dovrà vincere a fatica l'intransigenza.

Sul Tigré, come il Duce potrà rilevare da questi resoconti, Vansittart è passato dall'idea di una meschina rettifica di frontiera all'idea che la questione del Tigré potrebbe essere risolta in base al principio dell'auto-decisione della popolazione tigrina. In seguito a un voto delle popolazioni, il Tigré potrebbe esse'r distaccato definitivamente dall'Etiopia e dichiarare o la sua annessione all'Italia, o la sua indipendenza, nel quale caso, io penso, nulla impedirebbe al Governo tigrino di stringere poi con l'Italia un Trattato di Protettorato. Una volta che Vansittart ha ammesso che il Tigré possa esser staccato dall'Etiopia, io ho cercato d'accantonare la questione del Tigré considerandola come una questione separata da riservare a ulteriori discussioni, e d'andare invece innanzi sull'argomento delle annessioni all'Italia concentrando per ora i nostri sforzi all'acquisto di quanto più è possibile dei territori non amari:ci.

Per quanto riguarda i territori al sud dell'Bo parallelo, i Tisultati di queste mie discussioni preliminari con Vansittart sono i seguenti: una serie di tali territori viene ceduta in piena sovranità all'Italia. Vansittart ci dà la scelta tra una porzione del Boran e Bale, oppure i terri

tori dell'Ogaden e l'alta Valle Tafan con Sassabaneh incluso. Credo di poter nel corso dei negoziati portare Vansittart ad accettare la cessione in sovranità all'Italia di tutto il territorio abissino a sud dell'S0 parallelo limitato a ovest dal 41° e forse del 40° meridiano. V!!!nsittart insiste molto sul fatto che mai il Governo britannico ha considerato la possibilità di una cessione all'Italia di entità territoriale maggiore di una porzione del Baie e Boran. Per il resto dei territori abissini limitati a est dal 40-41° meridiano fino forse al 36° meridiano, il Governo britannico aggiunge d'essere oggi disposto a ricercare una forma di velata cessione territoriale che possa esser accettata dall'Abissinia e dalla Società delle Nazioni. Come il Duce ha visto, io ho proceduto molto guardingo su questa strada, e ho insistito e insisterò per la cessione in sovranità pura e semplice all'Italia di tutti i territori a sud dell'So parallelo. Ma è certo che, anche se non riuscissimo a ottenere, il che sarà piuttosto difficile, la sovranità su questi territori a ovest del 40-41° meridiano, credo che noi potremmo giungere a ottenere uno Statuto equivalente al mandato, sul modello della antica Compagnia delle Indie, con l'organizzazione in nostre mani della Giustizia, della Polizia, dell'Amministrazione e dello sfruttamento economico. Un mandato vero e proprio mascherato da una delle tante forme che gli inglesi hanno escogitato nel passato, dalle «Chartered Companies » ai « Leases », i quali sempre hanno rappresentato una fase di passaggio dalla giurisdizione esclusiva alla annessione vera e propria. Questo è il punto a cui siamo arrivati quest'oggi (l).

(l) -Ed. in «Storia contemporanea», 1977, n. 4, pp. 779-783. (2) -Vedi D. 781. (l) -Vedi D. 357. (2) -Vedi DD. 755 e 781.
795

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

D. 10160. Roma, 4 dicembre 1935.

Le conversazioni da V. E. recentemente avute con Hoare e Vansittart (2) dimostrano per la prima volta da parte inglese un certo interesse a trattare con noi la questione etiopica su basi più realistiche. Se tali disposizioni del Governo inglese siano determinate dal desiderio di non lasciare completamente al Signor Lavai l'iniziativa o il compimento di un tentativo di conciliazione, oppure se esse siano state determinate dalla gravità della situazione che verrebbe a determinarsi dall'applicazione dell'embargo sul petrolio, oppure infine -nella peggiore ipotesi -se col far mostra di tali disposizioni il Governo inglese abbia voluto illuderci sulla possibilità dì una seria trattativa e farci intanto accettare senza eccessiva reazione l'aggravamento delle sanzioni economiche, è difficile dire con precisione.

Certo è che in ogni caso non abbiamo interesse a rifiutarci ormai ad esporre direttamente a Londra le nostre richieste per una eventuale soluzione. Le conversazioni che potranno iniziarsi costì non mancheranno però di essere conosciute a Parigi e quindi potranno suscitare qualche falsa impressione nel Signor Laval. Lascio perciò considerare a V. E. se sia il caso di esporre questa nostra preoccupazione ed esaminare col Signor Hoare e col Signor Vansittart quale sarebbe il miglior modo per non urtare le suscettibilità del Signor Lavai.

Desidero avere su questo punto una pronta risposta per le comunicazioni che eventualmente fossero da farsi a Parigi da parte nostra.

Ciò premesso, comunico a V. E. alcune direttive generali per giungere a delle soluzioni della questione etiopica che, tenendo presenti le circostanze attuali, possano considerarsi adeguate ai sacrifici compiuti dal nostro Paese.

1°) L'attribuzione in piena sovranità all'Italia di tutto il Tigrai e dell'Uolkait in modo da tracciare una nuova frontiera fra l'Eritrea e l'Abissinia che, partendo dalla frontiera del Sudan, vada a raggiungere il passo di Quoran. Questa soluzione ci darebbe una sicura linea difensiva della colonia Eritrea. Le ragioni di carattere politico che giustificano l'attribuzione di questi territori all'Italia sono note a V. E. Anzitutto la già avvenuta occupazione militare di una gran parte di essi, poi la precedente nostra occupazione ed amministrazione sino al 1896, infine l'abolizione della schiavitù e la sottomissione spontanea dei capi di dette regioni, nonché l'impossibilità di far ritornare quelle popolazioni sotto la dominazione etiopica, per ragioni di carattere umanitario comprensibili anche dal punto di vista societario.

2°) Per quanto riguarda il distacco dallo stato etiopico dei territori non amhara, il nostro programma massimo sarebbe stato, per norma di V. E., la cessione in sovranità di tutti questi territori, lasciando però in piedi uno stato etiopico centrale che comprenderebbe grosso modo le regioni abitate prevalentemente da popolazioni amhara. La cessione dei territori non amhara all'Italia avrebbe permesso l'attuazione dell'Accordo Tripartito che prevede la congiunzione territoriale tra l'Eritrea e la Somalia ad ovest di Addis Abeba, mentre gli interessi inglesi nei riguardi del Lago Tana sarebbero stati tutelati per il fatto che tutta tale regione sarebbe rimasta compresa nello stato etiopico.

Nella conversazione da me avuta il 16 ottobre scorso con l'Ambasciatore di Francia a Roma (l) io ritenni però di non insistere sul concetto di assoluta sovranità italiana sui paesi non amharici e proposi una forma di mandato o di altra amministrazione italiana su detti Paesi, ciò che avrebbe permesso la sussistenza di una sovranità puramente nominale dell'Imperatore di Etiopia. Questa già costituisce una notevole riduzione del nostro programma massimo, e perciò non è esatto quanto ha detto recentemente il Stgnor Hoare a V. E. che cioè non era possibile iniziare delle conversazioni sulla base degli

scambi di idee avvenuti fra me e l'Ambasciatore di Francia perché le richieste da me avanzate l'ji risolvevano praticamente in una presa di possesso totale dell'Abissinia da parte dell'Italia.

V. E. vorrà trovare il modo e l'occasione di fare osservare al Signor Hoare che il distacco dell'Abissinia dai Paesi non amharici nella forma da me proposta non solo implicherebbe la sussistenza dello Stato abissino nei suoi confini storici ma perfino la sussistenza della sovranità nominale etiopica sui Paesi distaccati.

3°) Con le proposte da me fatte al Signor Chambrun il nostro programma massimo è già dunque stato attenuato. Sono pronto però a considerare qualche altra soluzione subordinata, di cui Le indico di seguito gli elementi, dei quali Ella potrà valersi opportunamente ove dalle Sue conversazioni coi responsabili della politica britannica risulti confermato il proposito di codesto Governo di volere effettivamente un accordo. Fin qui esso non è invece uscito dalle sue posizioni iniziali.

Soluzione subordinata. I paesi non amhara passerebbero all'Italia; ma noi non richiederemmo più la congiunzione territoriale fra le due colonie ad ovest del residuo Stato etiopico. In tale soluzione lo Stato etiopico continuerebbe dunque a confinare ad ovest col Sudan, ma la sua frontiera meridionale verso l'ovest dovrebbe lasciare nella zona italiana quei territori dell'ovest etiopico che sono particolarmente promettenti dal punto di vista minerario come l'Uollega e i Beni Sciangul. La necessità di disporre di materie prime è uno degli obbiettivi fondamentali della nostra azione.

Nel caso che dovessimo abbandonare la congiunzione territoriale fra le due Colonie ad ovest di Addis Abeba, occorrerebbe fosse ben chiaro che resta in vigore l'Accordo Tripartito, il quale, come è noto, ci dà il diritto a tale congiunzione territoriale. Non sarebbe per questo necessario di procedere ad una speciale intesa col Governo britannico: basterebbe che, non soltanto non fosse fatta alcuna dichiarazione di decadenza del Tripartito, ma questo venisse incidentalmente richiamato nel nuovo accordo, onde confermarne il vigore. Su questo punto è utile che io chiarisca a V. E., per Sua personale

norma di condotta, che noi abbiamo interesse a lasciare non compromessa quella parte della questione stessa che dovrà essere rimandata ad un prossimo avvenire, per predisporre per quanto possibile una soluzione in nostro favore.

4°) Le varie proposte indicate sopra prevedono l'attribuzione all'Italia dei territori non amhara. Quanto alla forma di tale attribuzione, sarebbe evidentemente preferibile avere tali territori in piena sovranità. Non ci rifiuteremmo però ad averne in sovranità soltanto alcuni, e cioè quelli quali il Kaffa ed il Gimma, specialmente atti alla colonizzazione agricola, e costituire gli altri in protettorati o altra forma di amministrazione da determinarsi. Naturalmente in tal caso dovrebbero essere opportunamente spostate le frontiere delle nostre colonie in modo da ottenere in diretto dominio la Dankalia e l'Ogaden, territori di scarso o nessun valore economico.

Deve in ogni caso osservarsi che la questione della cessione dei territori non amhara può essere giustificata anche da un punto di vista societario. I Cinque hanno commesso un errore di superficialità. Se hanno proposto un determinato regime per i territori amhara, non potevano stabilire lo stesso regime per i territori non amhara che sono quelli conquistati nell'ultimo cinquantennio, soggiogati ed asserviti. Bastava aver letto con attenzione il Memoriale italiano, od avere interrogato qualcuno dei numerosi conoscitori delle condizioni dell'Etiopia, per rendersi conto che questi paesi richiedono un regime del tutto particolare. A questi territori si attagliano perfettamente le disposizioni dei punti V e VI dell'art. 22 del Patto, che dovrebbero essere applicati per analogia. Una volta che si fa questione di incivillre l'Etiopia, bisogna essere conseguenti ed andare fino in fondo secondo lo spirito del Patto. Il diritto dell'Italia ad avere l'amministrazione di questi Paesi deriva da tutti i precedenti storici e diplomatici (Trattato di Uccialli, Trattato Tripartito, Accordi itala-franco-inglesi, ecc.).

5°) Il Governo italiano deve insistere sulla questione del disarmo dello Stato etiopico che è per noi la premessa indispensabile della nostra smobilitazione in A. O. Tale questione non è soltanto di interesse italiano, ma rappresenta anche un evidente interesse di tutte le Potenze confinanti con l'Etiopia. L'Accordo per l'importazione delle armi del 1930 può fornire un'utile base per l'attuazione anche graduale ma radicale del disarmo etiopico.

6°) Ove si riuscisse a fissare questi capisaldi delle trattative col Governo inglese, noi siamo disposti ad esaminare di comune accordo con Londra il modo pratico con cui le nostre intese ootrebbero essere presentate nel quadro societario, e su questo argomento V. E. è autorizzata a scambiare idee col Governo britannico, tenendo presenti anche gli articoli 19 e 22 del Patto e riferendomi circa le proposte che Le venissero fatte al riguardo.

Potrebbe concordarsi col Governo inglese una procedura da svolgersi a Ginevra basata anche sui «fatti nuovi» verificatisi in Etiopia e diretti a rivedere le conclusioni a cui è giunto il Consiglio della S.d.N.

7°) Nel corso delle Sue conversazioni ,col Governo britannico V. E. potrà accennare, quando e come Le sembrerà più opportuno, che il Governo italiano pensa ancora che, se sarà possibile raggiungere in breve tempo un risultato soddisfacente di tali trattative, ciò faciliterà la ripresa il più possibile rapida di normali rapporti fra i due paesi. Ciò invece si renderà ogni giorno più difficile se le conversazioni ora iniziate si conducessero da parte inglese con scarso senso della realtà e con inadeguata buona volontà, perché la progressiva applicazione delle sanzioni mette in realtà l'Italia in una situazione di isolamento politico che da un lato la costringe ad una resistenza ad oltranza, e dall'altro allontana sempre di più ogni possibilità di accordo. Perciò V. E. vorrà far comprendere come la possibilità della continuazione di queste conversazioni e di un loro favorevole risultato dipenderebbe dalla rinuncia alla misura dell'embargo sul petrolio.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollni. (2) -Vedi DD. 726 e 755.

(l) Vedi D. 357.

796

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4478/980. L'Aia, 4 dicembre 1935 (per. il 9).

Mio telespresso n. 4452/972 del 3 corrente (1).

L'atteggiamento assunto dal Governo dei Paesi Bassi di fronte al conflitto itala-etiopico in seguito alle pressioni continue del Governo di Londra e alla spinta di una opinione pubblica da un secolo ormai imbevuta di pacifismo, ha segnato per sempre la fine della neutralità olandese che nel settore nordeuropeo era una tradizione e una forza.

Aggiungo che, calcolando i riflessi dell'azione concomitante del Giappone in Cina, si può piuttosto parlare della fine della indipendenza olandese, se per indipendenza si intende la possibilità di liberamente disporre di se stessi.

Si arriva all'assurdo che, nel momento in cui la Lega delle Nazioni dimostra per la prima volta la sua efficenza e la sua intransigenza, i Paesi Bassi decidono di armarsi seguendo senza indugio il programma britannico di aumento delle forze di aria di terra e dl mare.

La spiegazione è una sola. La Gran Bretagna ritiene sia venuto il momento propizio per dar forma alle enunciazioni del suo Primo Ministro che le frontiere britanniche ormai sono al Reno. Fanno sorridere oggi le parole rassicuranti e amichevoli largite a suo tempo da Baldwin al Ministro d'Olanda a Londra. Oggi è forse opportuno ricordare che Baldwin, oratore nato, non disse, ma lesse, sottolineandone ogni parola, la frase tanto discussa.

L'indipendenza dei Paesi Bassi è finita in quanto -volente o nolente il Governo dell'Aja -l'Olanda Settentrionale è destinata a divenire quando se ne manifestasse la necessità la base aerea dell'Inghilterra e forse il campo di battaglia della guerra futura.

E' il bisogno urgente di premunirsi contro la Germania di domani che spinge lo Stato maggiore britannico a iniziare in questo momento, per esso propizio, la realizzazione del suo piano. Sia perché considera il riarmo tedesco di enorme potenza, sia perché si ritiene sicuro della intenzione segreta di Hitler di realizzare le mire di Bismarck sull'Olanda, di arrivare cioè a controllarla militarmente ed economicamente, dopo aver fatto di essa, quando verrà la grande occasione, il terreno di manovra contro la Francia e contro la Gran Bretagna. Questi disegni hitleriani sui Paesi Bassi mi sono stati pienamente confermati da alte personalità tedesche in grado di sapere.

I Paesi Bassi per la nuova situazione creata dai mezzi aerei si trovano fatalmente presi tra Gran Bretagna e Germania. L'odio per il nazionalsocialismo tedesco e per la sua forza d'espansione, ma assai di più la fiducia nella potenza britannica, spingono l'Olanda a schierarsi dalla parte dell'Inghilterra. La spinta decisiva è venuta dalla situazione da un pezzo disegnatasi e che si sta realizzando in Estremo Oriente. La mossa giapponese in Cina è seguita

54 -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

da questo Governo con la massima attenzione e con una preoccupazione che lo stesso Ministro degli Esteri non si è dato con me la pena di nascondere. Il correre e il ricorrere qui di voci circa concessioni al Giappone nei terreni petroliferi di Borneo e della Nuova Guinea impressionano questa opinione pubblica, la tengono in continua ansietà per le sue belle colonie e per gli enormi capitali che vi ha investito.

I Paesi Bassi nel momento attuale si trovano dinanzi al pericolo giapponese nel Pacifico e a quello tedesco in Europa. Sono persuasi che, se domani le Indie Olandesi non potessero più fare assegnamento sulla collaborazione navale britannica, cadrebbero inevitabilmente sotto il dominio del Giappone. Sono convinti che, nella torbida situazione presente, rimanendo disarmati e isolati in Europa diverrebbero prima o poi vittima delle mire strategiche e imperialistiche del Nuovo Reich.

Rinunziando a un passato di equilibrata neutralità l'Olanda pertanto si accinge a munire la sua frontiera e si rassegna silenziosamente alla tutela britannica. Della quale non ignora i danni, ma che le appare oggi come il solo mezzo di durare nel benessere attuale.

È un atteggiamento questo che è tuttavia seguito a malincuore. Se ne scontano già le conseguenze nei rapporti con il grande vicino dal quale i Paesi Bassi dipendono commercialmente. Si prevedono già i pericoli ch'esso porta seco. E nasce un sordo rancore contro la Lega delle Nazioni nella sua organizzazione attuale. Sordo rancore che come ho già riferito è condiviso anche da questo Presidente del Consiglio che vede nell'organismo di Ginevra quale esso è oggi non una salvaguardia bensì un pericolo per la pace (1).

(l) Con tak comunicazione Taliani riferiva circa la decisione del Governo olandese di rafforzare l'esercito e la flotta.

797

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. R. 9304-9305/947-948 R. Parigi, 5 dicembre 1935, ore 0,35 (per. ore 5).

Ho veduto Lavai, ancorché sia di nuovo preso dai dibattiti parlamentari. Mi ha detto che non c'è nulla di nuovo, che Saint-Quentin e Peterson continuano ad esaminare questione da un punto di vista tecnico, ma che egli potrà rendersi conto soltanto dopo conversazioni che avrà con Hoare sabato prossimo se inglesi siano disposti [al compromesso]. Non mi ha nascosto le sue preoccupazioni che, non essendo in grado di far conoscere a quest'ultimo che l'Italia ha proposito di ridurre le sue aspirazi0ni, egli possa rispondere che anche l'Inghilterra rimane nelle sue posizioni. Lavai giudica che in tal caso la sua azione di mediatore volenteroso sarebbe gravemente compromessa.

Mi ha chiesto se conoscevamo attuali disposizioni del Negus. Ho risposto che non avevamo più alcuno ad Addis Abeba. Ha pure chiesto se fosse esatto

che Vinci era rimasto come capitano di artiglieria con le nostre truppe in

Somalia ed alla mia conferma espresse opinione che ciò non avrebbe dovuto

essergli consentito perché è atto di natura da irritare il Negus. Ho obiettato,

che mi sembrava che egli desse peso eccessivo alla sensibilità degli abissini.

Ho cercato di sapere da Lavai quali notizie avesse ricevuto da Londra circa petrolio ed ho sostenuto che, di fronte alla smentita data da Governo canadese a Riddel, riunione del 12 corrente a Ginevra non avrebbe più ragione di essere perché non esiste più una proposta speciale di includere petrolio nella lista delle merci sotto embargo. Lavai mi ha risposto che non era il caso sollevare simile questione. Embargo del petrolio sarebbe stato approvato. A lui non risulta del resto in modo esplicito che Governo canadese avesse smentito suo delegato. Chi del resto insisteva sopratutto per questione petrolio era Governo degli Stati Uniti. Da impressioni personali, più che da informazioni precise, riteneva che Inghilterra, dopo approvazione dell'embargo sul petrolio, non sarebbe stata aliena prorogare applicazione l o gennaio per dare modo all'azione conciliatrice di svolgersi entro mese di dicembre. Mi ripeté però che, se noi non gli davamo il modo di djmostrare agli inglesi che abbiamo fatto un passo verso una formula conciliatrice, essi non ne farebbero probabilmente alcuna da parte loro. In tal caso 31 dicembre troverebbe situazione immutata ed applicazione embargo petrolio esporrebbe tutto il mondo ai più seri pericoli.

Ho detto a Lavai che egli si era costantemente espresso meco nel senso che non avrebbe consentito di umiliare ed offendere l'Italia. Doveva quindi rendersi conto che non si poteva pretendere che noi abbandonassimo impresa iniziata alla quale ci eravamo impegnati con oltre 250 mila uomini. Se avesse trovato formula che tenesse conto del nostro diritto ad avere quel posto al sole che ci era del resto stato riconosciuto teoricamente da tutti, noi avremmo potuto esaminarla e discuterla.

Lavai non escluse che si possa discorrere di conciliazione a Ginevra. Aggiunse però che colà conciliazione avrebbe dovuto rimanere in un quadro perfettamente societario. Intendeva dire con ciò che s:uebbe, ad esempio, stato impossibile a Ginevra di parlare di annessione all'Italia di territorio appartenente all'Etiopia, stato societario. Conciliazione, per riuscire, doveva avere carattere di formula accettabile dall'Italia e dall'Etiopia e sottoposta, per approvazione, alla Società delle Nazioni. Lavai mi chiese se Aloisi si sarebbe trovato a Ginevra 12 corrente.

Fui molto riservato al riguardo osservando che colà noi non siamo interrogati e che si eseguono esperimenti sopra nostro corpo come se fossimo dei soggetti di laboratorio. Ciò non poteva disporci conciliazione.

Lavai mi disse che ad ogni modo egli avrebbe giudicato dopo il colloquio con Hoare se fosse il caso di insistere perché a Ginevra si trovasse qualcuno da parte nostra che potesse essere tramite di comunicazione con Roma. Ricordò che presenza di Aloisi a Ginevra ultima volta gli aveva dato modo di metterlo in contatto con inglesi, il che aveva avuto utile risultato.

Ho informato Lavai che Polonia, Turchia e Canadà si sono mostrate disposte appoggiare qualsiasi sua proposta contraria all'estensione embargo petrolio. Ne ha preso atto ma mi ha ripetuto che non bisogna farsi illusioni al riguardo perché embargo verrà approvato.

Ho lasciato cadere una frase nel senso che, evidentemente, uomini di Stato molto legati all'Inghilterra, che fanno parte del Gabinetto, influivano nel senso di seguire in tutto e per tutto questo Paese.

Lavai mi disse che sapeva quanto volevo dire, non essere esatto che Herriot avesse esercitato pressioni su di lui in tal senso, essere invece sacrosanta verità che la Francia, data sua posizione geografica e politica, non può assumere atteggiamento contrario all'Inghilterra.

(l) Il presente documento reca il v!.sto di Mussolini.

798

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9340/185 R. Varsavia, 5 dicembre 1935, ore 12,55 (per. ore 16,30).

Beck iersera mi ha confermato di avere fatto sapere a Lavai che. segue con la più viva simpatia sua attività conciliatrice e che si tiene a sua disposizione per secondario nel modo che da lui fosse ritenuto più opportuno.

Mi ha inoltre detto di avere dato ordine a Delegato polacco a Ginevra di astenersi dal prendere posizione in materia allargamento sanzioni, di aspettare sue precise istruzioni. Tali istruzioni egli invierà dopo di essersi accordato con Lavai.

Comunicato anche alla R. Ambasciata Parigi.

799

IL MINISTRO A CITTA' DEL MESSICO, MARCHETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9354/86 R. Città del Messico, 5 dicembre 1935, ore 18,36 (per. ore 6,15 del 6).

Telegramma di V. E. n. 2521/C. (1).

Ho avuto lungo colloquio con nuovo Ministro degli Affari Esteri, circa il quale ho riferito per rapporto. Il signor Hay è stato cinque anni Ministro in Italia e professa per il nostro Paese vivissima simpatia. Ne ho approfittato per insistere perché ne dia prova. Ho svolto tutti gli argomenti indicati da V. E.

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto che non può di colpo mutare politica di questo Governo ma che farà di tutto perché istruzioni, che saranno inviate a Ginevra, siano le più concilianti possibili. Ma la decisione spetta al Presidente della Repubblica, che egli vedrà solo martedì prossimo. Ministro degli Affari Esteri ha finito reiterandomi promessa che farà del suo meglio nell'interesse delle relazioni fra i due Paesi e di quelle più generali della pace (2).

(l) -Vedi D. 771. (2) -Per la risposta di Suvich vedi D. 810.
800

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 9347/130 R. Tirana, 5 dicembre 1935, ore 19 (per. ore 23,30).

Telegramma di V. E. n. 134 (1).

Impegno per impianto raffineria sufficiente bisogni Paese è stato comunicato a Governo albanese e confermato con lettera diretta da Ing. Castelletti a questo Ministro Economia Nazionale. Governo albanese, dal canto suo, ha consentito per iscritto esportazione immediata primo contingente 5 mila (dico cinquemila) tonnellate ed ha dato assicurazione verbale che permetterà contingenti ulteriori richiesti. Questione aliquota non è stata sollevata e sono già state prese intese circa controllo albanese spedizioni petrolio.

801

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. PER CORRIERE 2567 R. Roma, 5 dicembre 1935.

Telegramma di V. S. n. 0118 (2). Convegno con V. S. nei rilievi fatti circa attuale politica austriaca verso Cecoslovacchia.

Se si presenta occasione opportuna V. S. potrà attirare attenzione di Schuschnigg sul fatto che sua progettata visita a Praga nel presente momento può dare impressione che Austria vada tentando di stringere nuovi legami in conseguenza del fatto che Italia trovasi impegnata in Abissinia.

802

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (3)

T. PER CORRIERE 0357. Londra, 5 dicembre 1935.

Ho avuto oggi un quarto colloquio con Vansittart che qui riassumo.

Era pure presente Scrivener che regge, in assenza di Peterson, l'ufficio che tratta in questo momento la questione abissina.

Vansittart ha cominciato col dirmi che prima di procedere oltre nei nostri scambi di vedute bisognava chiarire una volta per tutte quanto era stato fatto a Parigi tra Peterson e Saint-Quentin, e, in genere, il limite a cui il Governo britannico era giunto nelle conversazioni col Governo francese. Peterson non ha mai, neppure a titolo personale, considerato la possibilità di un mandato all'Italia sui territori a sud dell'Bo parallelo. Il Governo britannico non ha mai considerato la possibilità di cessione in sovranità all'Italia dei territori a sud dell'Bo parallelo eccezione fatta per una porzione del Baie e del Boran limitata però ad ovest dal 41° meridiano. Egli, Vansittart, aveva creduto più conveniente per l'Italia sostituire a questa piccola porzione del Bale e del Boran l'acquisto dei territori di tutto l'Ogaden fino a raggiungere il 9° parallelo. «Con questa concessione io ho inteso andare molto oltre a quelli che sono stati i pourparlers di Parigi, e infatti con l'acquisto della Valle del Tafan fino al 9° parallelo l'Italia si spinge sotto Harrar a poca distanza da Gigiga e dalla strada Gigiga-Berbera ».

Ho obiettato a Vansittart che la soluzione da lui proposta non poteva essere accettata e gli ho illustrato ancora una volta tutte le ragioni che mi inducevano a questo convincimento. Egli doveva rendersi conto che per quanto riguarda i territori del Sud-est, del Sud e del Sud-ovest etiopico non vi è se non una soluzione possibile e cioè la cessione totale di tali territori in sovranltà assoluta all'Italia. La stessa indeterminatezza del confine ovest, su cui Vansittart si era pronunciato un po' troppo vagamente, e l'indeterminatezza delle garanzie che avrebbero dovuto accompagnare il regime di monopolio economico proposto per questi territori del Sud e del Sud-ovest etiopico, mi inducevano a considerare tanto più irrealizzabile la soluzione da lui prospettata.

Vansittart ha insistito sui vantaggi, io sugli svantaggi, del progetto presentatomi martedì 3 corrente (1). Vansittart mi ha detto spesso che egli non si rendeva conto come mai io rifiutassi una proposta che dava in sostanza all'Italia il possesso e il controllo di quasi tutti i territori etiopici a sud dell'Bo parallelo. «Quello che voi domandate è lo smembramento puro e semplice dell'Etiopia. Non è possibile che la Società delle Nazioni accetti una soluzione che si presenta come uno smembramento dell'Etiopia. Voi potete raggiungere lo stesso obiettivo accettando il principio della "Chartered Company" che sarà meno difficile fare ingoiare sia alla Società delle Nazioni quanto al Negus ».

Io ho spiegato le necessità per noi e la utilità per la Gran Bretagna di dare all'Italia l'accesso al Lago Rodolfo e il confine col Sudan. I nostri reciproci traffici ne sarebbero stati avvantaggiati.

Vansittart ha finito col considerare possibile l'ar.cesso al Lago Rodolfo e non ha escluso neppure il resto dei territori del Sud-ovest confinanti col Sudan al disotto dell'Bo parallelo. Circa il regime del monopolio economico vansittart è giunto a considerare possibile una giurisdizione vera e propria

dell'Italia col diritto cioè di amministrazione, di giustizia, di polizia in mani esclusive dell'Italia.

Da me richiesto se io potevo interpretare questo regime colle parole: «sovranità velata» dell'Italia, egli ha accettato questa definizione ed ha ripetuto: «Certo sovranità velata dell'Italia».

Ho insistito con Vansittart che non era possibile limitare a una p\ccola porzione del Baie e del Boran come alternativa dei territori dell'Alto Ogaden gli acquisti territoriali dell'Italia. Tra l'altro le regi0ni del Baie e del Boran rappresentano delle entità geografiche ed economiche ben definite. Dimezzarle sarebbe rendere praticamente difficile la colonizzazione. Per quanto riguarda i territori dell'Alto Ogaden fino al go parallelo essi facevano parte di un più grosso problema, quello della sicurezza militare della Somalia italiana, e su questi territori non vi poteva essere questione.

Vansittart ha obiettato dicendomi che la continuità economica di tutti i territori a sud dell'So parallelo ci era comunque assicurata mediante l'applicazione dei due principi della «sovranità assoluta » e della « sovranità velata».

Abbiamo discusso ancora. Alla fine Vansittart non ha più insistito sull'alternativa proposta, e mi ha detto che egli riteneva possibile la seguente soluzione: «L'Etiopia cede in sovranità all'Italia i territori del Sud e del Sud-est etiopico secondo una linea che, partendo dall'intersecazione del go parallelo e 44o meridiano, procede verso ovest lungo il go parallelo fino al 43° meridiano, scende in direzione sud fino all'So parallelo, si dirige verso ovest lungo rso parallelo fino a includere tutta la regione del Bale a sud dell'SO parallelo, con una punta fino al Lago Aussa (3S-3go meridiano), scendendo poscia verso il sud o sud-est secondo una linea da determinarsi che includa una buona parte del Boran. In sostanza più di due terzi di questi territori sarebbero ceduti in sovranità all'Italia. I rimanenti territori del Sud-ovest verrebbero ceduti in giurisdizione e l'Italia vi eserciterebbe praticamente un pacifico

possesso.

Io ho risposto a Vansittart insistendo ancora sulla sovranità pura e semplice su tutti i territori a sud dell'So parallelo, e a questo punto ho portato la discussione sul problema della congiunzione territoriale fra le nostre due colonie. Ho illustrato a Vansittart che la congiunzione fra l'Eritrea e la Somalia italiana ci era assolutamente necessaria per risolvere il problema della sicurezza militare dei nostri possedimenti nell'Afric~. Orientale. Ho ricordato a Vansittart, citandogli espressamente i passaggi dt;>ll'accordo itala-britannico del 1S91, confermati dall'Accordo Tripartito del 1go6 e dall'Accordo MussoliniGraham del 1925, che l'Inghilterra ci aveva riconosciuto il diritto a questa congiunzione territoriale a ovest di Addis Abeba.

Vansittart ha obiettato facendo le sue riserve I.'U questo nostro preteso diritto di carattere territoriale, e aggiungendo che ad ogni modo tale congiunzione era praticamente impossibile realizzarla data la natura difficile e montagnosa di quelle regioni.

Ho replicato che gli Italiani sono abituati a vincere ogni genere di difficoltà nella costruzione di strade o ferrovie. Noi dobbiamo insistere perché ci sia data questa congiunzione a ovest di Addis Abeba «a meno che, ho continuato, l'Inghilterra non ritenga che tale congiunzione territoriale sia più facilmente realizzabHe a est di Addis Abeba mediante la concessione territoriale all'Italia dei territori non amarici dell'Barrar e della Aussa. Questi territori non hanno ormai per l'Italia, dal punto di vista economico, se non un valore relativo in quanto che gli Accordi itala-francesi del 7 gennaio attribuiscono alla Francia una serie di diritti economiri assai considerevoli. Si tratta quindi per l'Italia di un acquisto basato su una necessità di sicurezza '>.

Vansittart mi ha risposto dicendomi che la Francia non consentirebbe mai che fossero cedute all'Italia le regioni dell'Barrar e dell'Aussa le quali rappresentano l'hinterland fertile e ricco della Somalia francese.

Ho replicato dicendo a Vansittart che, in seguito agli Accordi del 7 gennaio, il Governo francese era impegnato giuridicamente e moralmente a riconoscere come legittimo l'acquisto territoriale da parte dell'Italia delle regioni dell'Barrar e dell'Aussa, sulle quali noi avevamo in contraccambio riconosciuto, in base ai sopradetti Accordi, una certa preponderanza degli interessi economici francesi.

A questo punto Vansittart si è rivolto di nuovo all'esperto Scrivener e, dopo essersi consultato con lui, mi ha detto che egli avrebbe riflettuto su questa mia proposta, non escludendo la possibilità di risolvere su queste basi il problema della congiunzione territoriale tra Eritrea e la Somalia italiana, sempre, bene inteso, che i Francesi non si oppongano. Egli mi ha domandato di indicare approssimativamente la linea secondo la quale io ritenevo dovesse effettuarsi tale congiunzione.

Ho risposto che io intendevo riferirmi a tutti i territori non amarici ad est di Addis Abeba e precisamente all'intera regione dell'Barrar e dell'Aussa limitati ad ovest dal 40° meridiano.

Vansittart mi ha detto che era troppo, e quindi ha voluto mettere bene in chiaro che una soluzione del problema della congiunzione territoriale fra l'Eritrea e la Somalia italiana ad est di Addis Abeba, secondo le linee da me esposte, doveva significare che l'Italia rinunciava a domandare la sovranità assoluta sui territori del Sud-ovest etiopico ad ovest del 39-40° meridiano.

Ho risposto dicendo che, data la preponderanza degli interessi economici francesi riconosciuti alla Francia dall'Italia cogli Accordi del 7 gennaio, le regioni dell'Barrar e dell'Aussa presentavano limitate possibilità di sfruttamento, e quindi era per l'Italia difficile rinunciare alla sovranità sui territori del Sud-ovest etiopico (regione dei grandi Laghi) che erano necessari all'Italia per risolvere il problema della sua espansione economica.

Vansittart ha risposto che su tali territori l'Italia poteva avere comunque la giurisdizione ed il possesso e quindi mantenere intatte tutte le possibilità di sfruttamento economico.

Ho ribattuto che era difficile per l'Italia rinunciare alla sovranità assoluta su tali territori.

Vansittart ha concluso dicendomi che avrebbe riflettuto e discusso con Hoare e con Baldwin le diverse soluzioni, e tutto quanto era stato oggetto dei nostri scambi di idee di questi giorni.

Vansittart ha quindi cercato di riprendere la discussione sul Tigré.

Io gli ho risposto che su ciò avremmo riparlato in seguito e che era meglio per ora tenere la questione del Tigré separata dalle altre questioni, e risolverla per ultima. Gli ho detto invece che in un prossimo colloquio era bene affrontare il punto relativo al regime di assistenza internazionale da darsi ai rimanenti territori deH'Etiopia con preponderanza dell'Italia.

Vansittart mi ha risposto che egli non riteneva che questo punto potesse sollevare delle difficoltà avendo il Comitato dei Cinque a Ginevra espresso chiaramente quello che la S.d.N. pensava in materia.

Ho detto a Vansittart che mi sembrava più opportuno, invece che riferirsi alla relazione del Comitato dèi Cinque, di riferirsi alle proposte franco-inglesi avanzate durante le conversazioni tripartite nell'agosto a Parigi. In tali proposte era indicato chiaramente, al paragrafo 3, che «l'assistenza collettiva potrebbe essere data quale apporto delle Tre Potenze in collaborazione tra loro ». Ho continuato dicendo a Vansittart che doveva essere tenuto presente questo passaggio delle proposte franco-inglesi, limitando cioè alle tre Potenze firmatarie dell'Accordo Tripartito il compito dell'assistenza internazionale che sarebbe decisa nei riguardi dell'Etiopia, salvo a discuterne più tardi le modalità e la sostanza.

Vansittart non ha sgradito questo mio riferimento alle proposte anglofrancesi del mese di agosto e mi ha detto che da parte sua egli riteneva certamente più conveniente di adottare questo principio.

Vansittart partirà domani per accompagnare Hoare a Parigi e sarà di ritorno martedì prossimo. Circa le conversazioni che avranno luogo tra Hoare, lui e Lavai, Vansittart mi ha detto che naturalmente il regolamento della questione abissina formerà di esse oggetto principale. Egli, Vansittart, seguirà a Parigi, così mi ha dP.tto. lP linee e le idee che sono risultate dai nostri scambi di idee di questi giorni.

Vansittart ha aggiunto che tali scambi di idee devono essere considerati naturalmente di natura personale tra me e lui, ma che egli tuttavia si impegnava con me di appoggiarle presso Hoare, Baldwin, Eden e gli altri membri del Gabinetto.

Vansittart mi ha da ultimo dato confidenziale lettura dei passaggi del discorso che Hoare pronuncierà nel pomeriggio di oggi ai Comuni, dicendomi che egli sperava vivamente che le dichiarazioni di Hoare avrebbero avuto in Italia un'accoglienza favorevole in quanto che esse rappresentavano i sentimenti e il pensiero defia maggioranza del Gabinetto.

Concludendo, i risultati di questa prima fase di trattative con Vansittart. sono i seguenti:

l) Tigré. Vansittart è passato dalla proposta di cedere all'Italia una meschina porzione della regione del Tigré (zona di Adua, Adigrat con esclusione di Aksum), includendo questa striscia tra i territori oggetti di scambio con l'Etiopia, all'idea di considerare la questione del Tigré come questione separata, e l'intera regione del Tigré suscettibile di passaggio sotto la dominazione dell'Italia mediante l'applicazione della formula della autodecisione delle popolazioni tigrine.

2) Cessioni territoriali all'Italia. Vansittart è passato dalla proposta di cessione all'Italia (in cambio di un accesso per l'Abissinia al mare in territorio italiano) della regione dankala (fino all'altezza del Lago Gum), della regione dell'Ogaden, e del monopolio economico esclusivo dei restanti territori, a sud dell'So parallelo, limitati dal 37° meridiano all'incirca, ad accettare praticamente la cessione all'Italia, oltre la Dankalia, di tutti indistintamente i territori a sud dell'So parallelo, più la regione a nord di Sassabaneh fino al go parallelo. Di questi territori due terzi (l'Ogaden, colla regione a nord di Sassabaneh fino al go parallelo, tutta la regione del Baie a sud dell'So parallelo con una punta al Lago Aussa 3S-3go meridiano, una grossa parte della regione del Boran da determinarsi, approssimativamente con limite ad ovest sul 3go meridiano) sono ceduti in sovranità assoluta dell'Italia. Il terzo rimanente, con estensione fino ai confini del Kenia e del Sudan, Lago Rodolfo incluso, passa sotto la giurisdizione, ossia sotto la « sovranità velata », dell'Italia.

3) Congiunzione territoriale tra l'Eritrea e la Somalia italiana. Vansittart si è dichiarato disposto ad esaminare la possibilità di risolvere questo problema, se la Francia non si oppone, mediante cessione all'Italia delle regioni dell'Harrar e dell'Aussa.

4) Regime di assistenza internazionale all'Etiopia. Vansittart si è dichiarato in massima favorevole al principio che tale assistenza venga limitata alle tre Potenze firmatarie dell'Accordo Tripartito.

Adesso rimane a vedere, prima di procedere oltre nel negoziato, se il punto al quale Vansittart è già giunto e quello al quale egli si è dichiarato disposto di giungere, corrisponde al punto in cui vuole giungere il Gabinetto britannico e il Governo francese (1).

(l) -Ve<ll D. 776. (2) -Vedi D. 757. (3) -Ed. in «Storia contemporanea.», n. 4, pp. 784-788.

(l) Vedi D. 781.

803

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 256S R. (2). Roma, 5 dicembre 1935.

Suoi telegrammi nn. g47 e g4s (3).

Non ho mai pensato che Lavai avrebbe avuto finalmente il coraggio di dire no all'embargo del petrolio. Ma dopo il voto sarà impossibile salvare quello che resta dell'amicit~ia franco-italiana. Lo faccia sapere a Lavai.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnì. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 797.
804

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 5 dicembre 1935.

L'Ambasciatore Chambrun ha ricevuto una lettera personale da SaintQuentin. La lettera è riservatissima, ma egli tuttavia vuole comunicare le sue impressioni sul modo come si svolgono i negoziati.

Saint-Quentin trova che da qualche giorno gli inglesi sono meno intransigenti.

Secondo le impressioni di Chambrun, gli inglesi nella parte nord comincerebbero con l'ammettere qualche rettifica di confine che comprenderebbe Adua e forse anche Adigrat. Per la parte sud, si manterrebbero ancora sulla linea dell'8° parallelo e 40° meridiano, ma Saint-Quentin li porta, secondo Chambrun con abilità, a discutere su una zona più larga da dare all'Italia in amministrazione, almeno fino al 37° meridiano, ma forse anche più in là.

L'argomento adoperato da Saint-Quentin è sopratutto quello che gli italiani hanno bisogno di territori ricchi per la loro espansione demografica, esigenza riconosciuta dagli inglesi stessi.

L'Ambasciatore fa un accenno sulla posizione delicata dei funzionari che incontrano la nostra diffidenza mentre si occupano con interesse e con abilità per far prevalere il punto di vista italiano. Egli ha anche l'impressione che Saint-Quentin rappresenti oggi le idee di Lavai più che non Léger.

Ringrazio l'Ambasciatore per la sua comunicazione.

Si ritorna a parlare dell'opportunità che ci siano dei negoziati in corso per superare lo scoglio dell'embargo sul petrolio. Insisto però sulla necessità che il signor Lavai assuma posizione contro l'embargo sul petrolio senza legare la cosa troppo strettamente alle negoziazioni in corso e sopratutto senza mettere un termine per i negoziati stessi. Se si vuole mettere in relazione la questione del petrolio coi negoziati, bisogna dire che la riunione dei Diciotto è prematura in quanto ci sono dei negoziati in corso e quindi rinviarla sine die. Sarebbe pericoloso mettere un termine per dar modo ai negoziati di svilupparsi, dopo di che l'embargo entrerebbe in azione automaticamente. D'altra parte non si può richiedere che noi negoziamo con un coltello alla gola.

Ha fatto una impressione molto penosa un rapporto di Cerruti su una conversazione con Lavai (1). Bisogna che l'Ambasciatore faccia ancora una volta conoscere al signor Lavai la gravissima reazione che provocherebbe in Italia, nei riguardi dei rapporti itala-francesi, il voto francese a favore dell'embargo sul petrolio. Ne facciamo una questione morale più che una questione materiale. L'embargo sul petrolio porterà nuovi sacrifizi per la popolazione civile, ma non arresterà la guerra.

L'Ambasciatore intende richiamare ancora l'attenzione del Ministro su questo problema.

Ad un mio accenno relativo a migliori disposizioni di Londra a trattare, l'Ambasciatore mi dice che se noi potessimo metterei d'accordo direttamente con l'Inghilterra, la Francia non ne sarebbe certamente gelosa (1).

(l) Vedi D. 797.

805

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 9368/222 R. Mosca, 6 dicembre 1935, ore 1,40 (per. ore 10,15).

Telegramma di V. E. n. 2521/C. (2). Ho avuto oggi una lunga conversazione con Litvinov. Mi sono largamente avvalso degli argomenti fornitimi da V. E. col telegramma su citato. Ecco le istruzioni che Litvinov invia a Potemkine: l) astenersi dal prendere qualsiasi iniziativa; 2) l'U.R.S.S. applicherà l'embargo sul petrolio solo nel caso che tutti gli Stati produttori facciano altrettanto;

3) l'azione del Governo U.R.S.S. non potrà essere considerata come adesione all'embargo se non si potrà dimostrare chiaramente che essa raggiunga lo scopo di intralciare totalmente l'esportazione petrolio americano per l'Italia. Nel caso che tale dimostrazione fosse data, Potemkine dovrà riferire a Mosca per chiedere istruzioni.

Litvinov rilevava poi che molto difficilmente gli Stati Uniti dell'America del Nord si sarebbero decisi ad impedire seriamente l'esportazione del petrolio. Secondo lui si notava già qualche indizio di una attitudine meno rigida di quella dei giorni passati.

806

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 9597-9599/632-633 R. Washington, 6 dicembre 1935, ore 6,3/i (per. ore 5,30 del 7).

Istruzioni contenute nel telegramma di V. E. 559 (3) sembrano partire dal presupposto che questo Governo possa e debba prendere quanto prima una decisione circa capacità del petrolio americano in Italia.

Tale presupposto non ha fondamento. Come ho fatto presente ripetutamente ed in particolar modo con mio telegramma n. 567 del 16 novembre (4) queste autorità esecutive sono obbligate ad agire entro i limiti della vigente

legge della neutralità. Disposizioni della legge che riguardano divieto di esportazione e che avra~no vigore fino al 29 febbraio 1936, contemplano soltanto embargo di armi e munizioni e strumenti di guerra.

Nonostante che pare desideri di allargare lista di prodotti soggetti ad embargo, Dipartimento di Stato si è reso conto della impossibilità di dare alla legge interpretazione estensiva fino ad includervi materie prime di uso bellico come petrolio, rame, ecc. È appunto per tale impossibilità che potere esecutivo ha cercato di limitare esportazione di materie prime esercitando pressioni dirette su esportatori americani (dichiarazioni dei Segretari di Stato dell'Interno e del Lavoro) e servendosi di mezzi amministrativi per ostacolare esportazioni (casi della cisterna « Ulisse » e del piroscafo « San Diego »). Simili mezzi indiretti non sono però risultati molto efficaci perché esportatori si sono, nella grande maggioranza, rifiutati di rinunziare a vendere all'Italia prodotti, la cui esportazione è per ora perfettamente legale.

Inoltre in seguito al mio intervento è stata ottenuta l'autorizzazione della partenza del piroscafo «San Diego» (mio telegramma n. 2.68) (1), Segretari dell'Interno e del Lavoro hanno sconfessato precedente dichiarazione (miei telegrammi 622 e 629) (2), mentre Segretario di Stato ha modificato sua attitudine temperandola col criterio delle « esportazioni normali» (mio telegramma

n. 618) (3). Vi è anche qualche probabilità di ottenere nulla osta per partenza della nave-cisterna « Ulisse ».

Ciò premesso, ripeto che situazione attuale non potrà essere sostanzialmente modificata, se non per opera del Congresso che sarà convocato 3 gennaio prossimo. Circa prevedibile azione del Congresso confermo quanto riferito col mio telegramma n. [618]. È ovvio che Dipartimento di Stato si servirà dei detti ottantasei parlamentari amici dell'Amministrazione per fare presentare progetto di ispirazione governativa mirante ad estendere lista dell'embargo e attribuire al Presidente poteri discrezionali nell'applicazione della neutralità. È probabile che Dipartimento di Stato suggerirà adozione del criterio delle « esportazioni normali » ma -ripeto -decisione circa le domande al riguardo non potrà essere presa che dal Congresso dopo il 3 gennaio e forse soltanto in febbraio.

Quanto esposto non esclude, beninteso, possibilità di far valere presso Dipartimento di Stato e negli ambienti politici in genere, tutti i mezzi che servono ad incoraggiare interpretazioni più largamente possibili del criterio della « normalità » delle esportazioni. Ciò vado, del resto, facendo già da qualche tempo parlando come per mia iniziativa personale e quasi a titolo accademico, giacchè nell'attuale stato delle cose non mi sembra opportuno mostrare che l'Italia rinunzi senz'altro al diritto di piena libertà di commercio (mio telegramma n. 591) (4).

Più che argomento della produzione controllata all'estero da compagnia americana, ho fatto valere finora argomento base sui normali bisogni italiani, cercando di persuadere il Dipartimento di Stato a prendere, come base di un

eventuale contingente, quantitativi della normale importazione italiana di petrolio da tutti i mercati, anziché quantitativi della normale esportazione americana in Italia. Questo criterio, come pure quello della «relatività » (mio telegramma n. 626) (1), sono stati da me illustrati ancora ieri in una conversazione con assistente Segretario di Stato signor Morw il quale si occupa di tutti i problemi della neutralità. Egli si è mostrato interessato alla mia tesi e mi ha detto che questione sarebbe stata esaminata anche sotto angolo prospettatogli.

È ovvio che adozione del criterio da me suggerito avrebbe portata per noi favorevole; non mancherò però di usare al momento opportuno anche argomenti indicati nel telegramma di V. E. n. 559 che, del resto, compagnie americane avranno diretti interessi di fare valere attraverso loro influenze politiche.

(l) -Il presente ùocutuento reca Il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 771. (3) -Vedi D. 792. (4) -Non pubblicato. (l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicati. (3) -Vedi D. 779. (4) -Vedi D. 697.
807

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9393-9600/383-384 R. Buenos Aires, 6 dicembre 1935, ore 19,20 (per. ore 5,30 del 7).

Telegramma di V. E. n. 2521/C. (2) e precedente scambio corrispondenza telegrafica circa sanzioni.

Ho avuto due lunghi colloqui con questo Ministro Affari Esteri.

Per quanto concerne risposta argentina alla nostra nota dell'll novembre, Ministro Affari Esteri, al quale non ho mancato rappresentare impressioni prodotte, ha riconfermato le più ampie affermazioni di cordialità di sentimento verso l'Italia ed ha con il maggior calore tenuto ad escludere ogni intenzionalità a noi avversa. Ha nuovamente insistito sulla specialissima condizione nella quale si trova Argentina di fronte Inghilterra e, dopo essere ritornato sulle particolareggiate condizioni già riferite all'E. V. (mio telegramma n. 374) (3), mi ha pregato vivamente di porre possibilmente in rilievo presso V. E. come, coll'effettuato rinvio ufficiale all'esame del Parlamento delle sanzioni economiche richieste dalla S.d.N., Argentina abbia, nella pratica, consacrato la sua importante riserva di incostituzionalità formulata a Ginevra, ciò che, d'altronde, egli ha osservato essere stato già recentissimamente evidenziato dalla stampa romana.

Gli ho quindi con l'argomentazione del caso parlato nettamente della questione petrolio, svolgendo dettagliatamente tutte le considerazioni esposte nel citato telegramma di V. E. n. 2521/C. Essendomi reso nuovamente conto che una posizione di aperto contrasto all'Inghilterra non sarebbe possibile attenerla, ho particolarmente battuto sulla primordiale necessità di determinare atmosfera di serenità indispensabile a qualsiasi forma di eventuale conciliazione auspicata

del resto dalla stessa ricordata risposta Argentina alla nostra nota. Ho anche calorosamente fatto appello ai concetti ispiratori del patto antibellico dello stesso Saavedra Lamas nobilmente pacifista sì, ma sanzionista, ed ho potuto in conclusione condurre il mio interlocutore a riconoscere tutta la gravità delle ripercussioni che deriverebbero dalla eventuale adozione dell'embargo del petrolio.

Saavedra Lamas non (ripeto non) mi ha dichiarato che Argentina darà senz'altro suo voto contrario: ma ha reiteratamente riconosciuto che sarebbe certo ben desiderabile ottenere in Ginevra per lo meno la postergazione di una decisione.

Gli ho, in forma opportuna, insinuato la corrente favorevole a noi di qualche altro Stato ed ho la fondata impressione che, salvo il caso di trovarsi di fronte ad un blocco anglo-francese che fosse di comune accordo irremovibile, Argentina aderirebbe ben volentieri ad iniziativa intesa prorogare.

Saavedra Lamas ha concluso affermando che avrebbe intanto subito telegrafato ai propri Ambasciatori in Europa, nonché Delegazione in Ginevra, per essere tenuto al corrente di ogni possibilità in tal senso.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 771. (3) -Vedi D. 742.
808

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9390/225 R. Mosca, 6 dicembre 1935, ore 21,38 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 222 (1).

Nel colloquio di ieri ho detto fra l'altro a Litvinov che era probabile che nella riunione 12 prossimo si sarebbe manifestata a Ginevra una corrente contraria all'embargo del petrolio e che sarebbe stato opportuno che il delegato sovietico vi si associasse per dimostrare chiaramente che le intenzioni dell'U.R.S.S. di mantenere rapporti cordiali con l'Italia non erano vane parole.

Litvinov ha esitato a rispondermi ed ha poi osservato che le istruzioni a Potemkine erano sostanzialmente a noi favorevoli. L'U.R.S.S., oltre tutto, si sarebbe trovata imbarazzata ad assumere una posizione contraria all'embargo volendo evitare di mettersi in condizioni che la sua condotta le potesse venire rinfacciata in un'eventuale situazione analoga nella quale l'U.R.S.S. fosse direttamente interessata e che non sembrava a Litvinov di poter escludere. Egli poi ha insistito per conoscere quali paesi noi prevedevamo che a Ginevra ci sarebbero stati favorevoli. Ho risposto di . non essere in grado soddisfare alla sua richiesta ma che mi sembrava di poter rilevare, dalle notizie anche qui pubblicate, che la Francia non avesse alcun interesse a spingere le cose agli estremi e che molto probabilmente alla sua azione si sarebbero associati tutti quegli altri paesi i quali sono stati trascinati all'iniquità delle sanzioni senza alcun

entusiasmo.

(l) Vedi D. 805.

809

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. RR. 9374/139 R. Berna, 6 dicembre 1935, ore 22,15 (per. ore 1,30 del 7).

Nunzio Apostolico Monsignor Bernardini, con il quale sono stato in stretto contatto in questi giorni, è intervenuto stamane presso Presidente Motta per incitarlo a prendere l'iniziativa contro aggravamento sanzioni nella prossima adunata Ginevra. Nunzio Apostolico afferma di avere acquistato Ginevra convinzione che se qualcuno prendesse tale iniziativa potrebbero almeno ottenere rinvio nuove sanzioni sino a dopo eventuale decisione americana. Egli ha trovato Presidente Motta non contrario ma ancora esitante perché egli teme rappresaglie dirette o indirettamente da Inghilterra e specialmente restare isolato.

Permettomi chiedere se non è possibile R. Governo ottenga da Lavai che faccia presente direttamente a Presidente Motta che Governo francese appoggerebbe e farebbe appoggiare sua eventuale azione. Nunzio Apostolico mi ha promesso che se constasse avere avuto Presidente Motta tale affidamento da Parigi, interverrebbe di nuovo facendosi autorizzare da Sua Santità a dare carattere ufficiale ad intervento che, data obbedienza Presidente Motta verso Santa Sede, potrebbe essere decisivo.

Bisognerebbe agire entro domenica perchè Consiglio Federale discuterà suo atteggiamento lunedì (1).

810

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A CITTÀ DEL MESSICO, MARCHETTI

T. 2601/50 R. Roma, 6 dicembre 1935, ore 24.

Suo telegramma n. 86 (2).

Voglia continuare azione presso nuovo Ministro Affari Esteri tenendo presente che Messico è tra pochi Stati dell'America Latina che hanno mostrato a Ginevra atteggiamento interamente ligio alle direttive britanniche e contrario all'Italia mentre maggioranza Stati latino-americani hanno dato prova maggior senso di indipendenza ed obiettività con dignitose ma sostanziali riserve circa sanzioni.

È forse per questo motivo che Messico è stato incluso nel Comitato dei Diciotto. Tuttavia come grande paese petrolifero esso può oggi prendere parte

importante nel problema dell'embargo del petrolio che, per sua gravità ed ingiustizia, suscita crescenti preoccupazioni e resistenze tra Stati rappresentati in detto Comitato (cui riunione è fissata per 12 corrente) e presso larghi strati dell'opinione pubblica mondiale (l).

(l) -Ritrasmesso a Parigi ed alla Santa Sede con T. 2623/836 R. del 7 dicembre 1935, ore 23. Non sono stati rinvpnuti ulteriori telegrammi sull'argomento. (2) -Vedi D. 799.
811

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

.APPUNTO. Roma, 6 dicembre 1935.

Espongo all'Ambasciatore Wysocki l'azione che la Polonia può svolgere in questo momento per opporsi all'embargo sul petrolio, dando prova di quella amicizia tante volte proclamata.

L'Ambasciatore dimostra di essere persuaso per conto proprio della possibilità di questa azione, ma è molto riservato per quanto riguarda la possibile opera del suo Governo (2).

812

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

.APPUNTO. Roma, 6 dicembre 1935.

L'Ambasciatore Long si è dichiarato spiacente che non si sia data una soluzione all'incidente di Venezia da lui segnalatomi e di cui all'unito appunto (3). Si tratta di un fatto abbastanza grave perché (a prescindere dal torto del provocatore, che del resto era in istato di ubriachezza) un Ufficiale della Milizia in divisa ha strappato la bandiera americana e la ha calpestata.

Assicuro l'Ambasciatore che disporrò un completamento di inchiesta e che ritornerò tra breve sulla questione.

Parlandomi poi della neutralità americana insiste sul fatto che le manifestazioni del Governo americano per quanto riguarda l'esportazione verso l'Italia sono state male interpretate non soltanto in Italia, ma anche negli altri Paesi. A suo modo di vedere il fatto di limitare le esportazioni a quelle normali è in favore dell'Italia in quanto se invece tali esportazioni aumentassero eccessivamente sorgerebbe una forte reazione che potrebbe portare direttamente all'embargo (2).

55 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

(l) -Per la risposta di Marchetti vedi D. 819. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Manca.
813

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU

APPUNTO. Roma, 6 dicembre 1935.

Il Ministro Lugosianu ritorna dopo una permanenza di quindici giorni a Bucarest. Ha parlato ripetutamente col Ministro Titulescu che ha trovato sempre ben disposto verso l'Italia.

Durante la sua assenza, il Barone Aloisi aveva convocato l'Incaricato d'Affari di Rumenia (l) chiedendogli di far sapere a Titulescu che sarebbe il momento di dare la prova di quella amicizia che egli afferma di nutrire per l'Italia.

In risposta Titulescu fa sapere che egli vedrà di incontrarsi con il signor Lavai per aiutarlo nella sua azione conciliatrice diretta a dare una giusta soddisfazione all'Italia.

Osservo al Ministro di Rumenia che l'azione rumena può essere particolarmente utile in occasione della riunione del 12 corrente a Ginevra. La Rumenia ha dichiarato che non metterà l'embargo sul petrolio se lo stesso non sarà adottato da tutti gli Stati produttori ed esportatori. Siccome oramai è preciso che allo stato attuale l'America non può adottare l'embargo, è chiaro che non si verifica quel caso che la Rumenia aveva messo come condizione per la propria adesione all'embargo stesso.

Il Ministro mi risponde che egli effettivamente giudica la questione allo stesso modo; egli teme però che l'Inghilterra faccia delle pressioni individuali sui singoli Paesi produttori per stabilire un embargo limitato a questi Paesi soltanto.

Gli rispondo che anche in tale caso la situazione non cambia. Se non si verifica la sopradetta condizione, la Rumenia -a meno di cambiare la propria politica -deve votare contro (2).

814

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

VERBALE (3). Roma, 7 dicembre 1935, [ore 10].

L'Ambasciatore Drummond richiama l'attenzione del Capo del Governo sul [recente] discorso di Hoare (4), di cui wnsegna un estratto, e di cui fa rilevare lo spirito conciliativo. Poiché gli risulterebbe che oggi il Capo del

Governo deve parlare alla Camera, egli è incaricato di chiedere che l'appello rivolto da Hoare non sia lasciato cadere e che da parte del Capo ci sia qualche parola di risposta dettata dallo stesso spirito. Ciò faciliterebbe enormemente i tentativi di conciliazione in corso.

Il Capo del Governo assicura che si risponderà all'appello del signor Hoare.

(l) -Vedi D. 717. (2) -Il presente documento reca il vist<> d1 Mussolin1. (3) -Il verbale è stato redatto da Suvich, presente al oolloquio. (4) -Si riferisce al discorso alla Camera dei Comun! del 5 dicembre, ,per il quale cfr. Il conflitto italo-etiopico, Documenti, vol. II, c!t., pp. 213-215.
815

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

VERBALE (l) . Roma, 7 dicembre 1935, [ore 11].

L'Ambasciatore di Francia chiede al Capo del Governo se può far sapere a Lavai, in previsione delle sue conversazioni con Hoare, che le nostre condizioni per un accomodamento non devono considerarsi intangibili.

Il Capo del Governo risponde che non può aderire alla richiesta dell'Ambasciatore perché la dichiarazione che le nostre proposte non sono intangiblli, indurrebbe gli inglesi a presentare delle offerte minime che noi dovremmo rifiutare.

L'Ambasciatore si rende conto del fondamento di tali obiezioni e chiede, spiegando meglio il proprio pensiero, se può dire a Parigi che il Capo è disposto a negoziare.

Il Capo del Governo risponde affermativamente.

816

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 4530/1816. Berlino, 7 dicembre 1935 (per. tl 9).

Come V. E. avrà visto dalle notizie comunicate a mezzo Stefani, la stampa tedesca, ad eccezione del Berliner Tageblatt -che se ne è preoccupato solo agli effetti del cosidetto fronte di Stresa -non ha affatto commentato le recenti dichiarazioni Hoare. Ciò, peraltro, non significa che quelle dichiarazioni siano passate inavvertite e non siano state, cosi nei circoli diplomatici come in quelli politici, adeguatamente valutate.

Le opinioni correnti in proposito nei circoli diplomatici sono naturalmente divise. Il gruppo sanzionista propriamente detto vede nel discorso Hoare soltanto una correzione tattica di talune posizioni erroneamente assunte dall'Inghilterra (distinzione fra popolo italiano e il suo Duce) e, al più, qualche concessione di puro valore psicologico (aistinzione fatta da Chamberlain fra

l'Italia e Abissinia), ma nessun cambiamento nella attitudine del Governo britannico per quanto riguarda fondo e sostanza. Che anzi, la correzione delle posizioni più sopra accennate è generalmente interpretata come permettente al Governo inglese di perseguire più liberamente gli scopi essenziali della sua azione, quello di rincrudire le sanzioni e togliere ogni ostacolo psicologico all'embargo sul petrolio.

Quanto alle dichiarazioni Hoare che !"Inghilterra non intende umiliare l'Italia ecc. ecc., esse sono dagli stessi sanzionisti accolte con riserva, non tanto dal punto di vista della loro intenzionaiità, quanto da quello della loro pratica conciliabilità con le possibilità concrete. Il Ministro del Sud Africa ad esempio (che ora va a Ginevra), arrivava ieri a definire con me come «tragica » l'antitesi fra la bontà -da lui ritenuta genuina -delle intenzioni di Hoare e la impossibilità di tradurle in atto in maniera soddisfacente per l'Italia..

Quanto al gruppo dei sanzionisti «obbligati» -rappresentato in massima parte dai sud americani -esso vede naturalmente nel discorso di Hoare una quantità di cose che non vi sono, compresa ogni sorta di più o meno immediate possibilità di accordo ecc. ecc. Si tratta peraltro di una corrente d'opinione altrettanto diffusa quanto sterile ed inconcludente.

Accanto a questa corrente v'è quella tedesca, e cioè di un paese i cui sentimenti si vanno, sotto la spinta degli avvenimenti e la progressiva rivelazione di una comunanza di pericolo, sempre più orientando a favore dell'Italia.

Ho già detto a V. E. come il Fiihrer abbia dato a François-Poncet l'impressione di pensare al conflitto abissino «giorno e notte» (1). Identica impressione ha dato a persone che lo hanno accostato nell'intimità ancora più recentemente. Egli è tormentato dall'idea che l'impresa abissina possa non finir bene per noi. Vorrebbe poter dare dei «consigli», senza per questo sapere egli stesso quali questi consigli potrebbero essere.

Hitler è piuttosto pessimista perché persuaso che l'Inghilterra non concederebbe mai all'Italia un vero e proprio «mandato» in Abissinia e che quindi, in queste condizioni, l'Italia potrà difficilmente ottenere quelle larghe concessioni economiche che dovrebbero formare l'obbiettivo principale della sua azione.

Ma, non ostante il suo pessimismo, il Fiihrer è per la resistenza e la resistenza a oltranza. Ogni giorno di più che passa è un passo in avanti che l'Italia compie nella estimazione sua e della intera Germania.

Questo è ormai un sentimento che si generalizza e si rafforza sempre più in tutti gli strati della popolazione tedesca. Una resistenza implacabile ci innalzerebbe agli occhi di questa gente le mille spanne. E non credo che, nell'attuale momento, vi sia un paese più sincero della Germania nel suo augurio di resistenza.

Questo sentimento non è menomato neanche dalla coscienza della forza e della potenza inglese nè dalla pur sentita necessità di tenersi buona l'In

ghilterra. Che anzi, quanto più si stima forte l'Inghilterra, tanto più si pa.. ventano i pericoli di una facile vittoria inglese.

Proprio avantieri, il Dottor Schacht, premesso che l'Italia -secondo lui -aveva fatto male ad affrontare il problema coloniale da sola e indipendentemente e anzi quasi in opposizione della Germania, aggiungeva: «comunque, ora che la cosa è fatta, bisogna riconoscere che una vittoria della

S.d.N. e cioè dell'Inghilterra rappresenterebbe per l'Europa, e forse per n· mondo, l'inizio di una era di vera e propria soggezione».

I pericoli di una possibile azione inglese non sono del resto qui affatto esagerati. È opinione generale che essa sia riuscita a trionfare solo perché non ha trovato seria opposizione da parte di alcuno (leggi Francia). Ma qui si è convinti che l'Inghilterra si è ormai chiusa essa stessa nella rete delle azioni collettive e, mentre aizza gli altri ad un massimo di sanzioni, non si lascerà mai andare essa stessa ad azioni isolate. Anche l'Inghilterra -si ritiene -non vuole una guerra, e la teme quanto altri mai: essa spinge quindi le cose fino al limite della guerra, ma si guarda bene dall'oltrepassarlo. Essa sembra peraltro aver acquistato il convincimento di poter procedere ancora più oltre sulla via delle pressioni e delle sanzioni, senza per questo rischiare la guerra. Questo è il male; ché, se si convincesse di rischiarla, essa si arresterebbe.

Come conseguenza di questo stato d'animo, V. E. avrà notato come la stampa tedesca -specialmente quella di partito -mentre da una ·parte esalta continuamente il magnifico contegno del popolo italiano di fronte alle sanzioni, dall'altra mostra piena fiducia nei poteri di resistenza dell'Italia, valutandoli come obbiettivamente capaci di superare la prova.

Tutto ciò è sintomatico e interessante: sintomatico dei nuovi sentimenti in formazione nei nostri riguardi, interessante perché proveniente da un paese che, non partecipando in alcun modo alla lotta, è in grado di serbare della situazione la visione forse più chiara e più vera.

P. S. Goering mi dice di avere lungamente, ma invano, cercato -in compagnia dello stesso Hitler -di udire per radio il discorso di V. E. alla seduta odierna della Camera (1).

(l) Il verbale è stato redatto da Suvich, presente al colloquio.

(l) Vedi D. 706.

817

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 4344/1318. Londra, 7 dicembre 1935.

Ho ricevuto stamane il dispaccio del 4 dicembre n. 10160 (2) contenente le istruzioni di V. E., nonché il susseguente telegramma n. 2546 R. (3) sotto la

stessa data. Dai miei rapporti sulle conversazioni che ho avute con Vansittart (1), il Duce avrà intanto potuto rilevare quale sia la base di partenza del Governo britannico nell'esame di possibile soluzione della questione etiopica, e quanto tale base di partenza sia diversa e lontana da quelle proposte che V. E. ha esposto il 16 ottobre al Conte di Chambrun (2) (proposte che chiamerò d'ora in avanti Basi d'Accordo del 16 ottobre), alle quali nelle mie conversazioni con Vansittart io mi sono strettamente attenuto.

Queste conversazioni hanno avuto, come ho già avuto occasione di mettere in chiaro, un carattere del tutto generale ed esplorativo. e da parte mia hanno avuto sopratutto lo scopo di portare Vansittart il più vicino possibile alle Basi d'Accordo del 16 ottobre, in vista di negoziati veri e propri tra i due Governi.

Nel nostro colloquio di martedì 3 corrente Vansittart mi ha esposto su quali basi il Governo britannico è disposto a trattare, e cioè: l) rettifica di frontiera dell'Eritrea con l'annessione di Adua e di Adigrat (escluso Aksum); 2) annessione all'Italia della Dankalia e dell'Ogaden; 3) concessione all'Italia in monopolio economico di alcuni territori a est del 3B0 meridiano e a sud dell'Bo parallelo; 4) regime d'assistenza internazionale all'Etiopia con prepondera;nza italiana; 5) concessione all'Etiopia in territorio italiano di uno sbocco al mare e di un congiungimento territoriale tra questo sbocco al mare e l'Etiopia.

Queste le Basi esposte da Vansittart. Nell'esporle, Vansittart è più volte tornato sul concetto che il Governo britannico considera come inaccettabili le Basi d'Accordo indicate dal Duce al Conte di Chambrun nel loro colloquio del 16 ottobre.

V. E. avrà rilevato come a poco a poco nel corso delle conversazioni avute con lui, Vansittart sia andato allargando le sue idee: da una meschina rettifica di confine nella regione di Adua e di Adigrat, egli è passato all'idea di un distacco dall'Etiopia delle regioni tigrine che noi attualmente occupiamo, e all'annessione di tali regioni all'Italia mediante l'applicazione del principio dell'autodecisione; dalla concessione in sovranità all'Italia dell'Ogaden, e in regime di monopolio economico di qualche territorio ad est del 3B0 meridiano, egli è passato a considerare la possibilità di un distacco dall'Etiopia di tutti i territori a sud dell'Bo parallelo, accettando l'idea che a ovest del 39° meridiano i territori passino sotto la giurisdizione dell'Italia, e i territori a est del 39° meridiano sotto la sovranità piena italiana. Infine egli si è indotto ad accettare di discutere il congiungimento territoriale dell'Eritrea e della Somalia attraverso l'Harrar e l'Aussa, senza escludere, come aveva fatto sino ad ora, che il Governo britannico possa consentire a risolvere tale problema per noi essenziale.

In conclusione, dopo essere partito dalla dichiarazione che il Governo britannico considerava senz'altro come inaccettabili ai fini di ogni e qualunque negoziato le idee esposte dal Duce a Chambrun il 16 ottobre, Vansittart è andato tuttavia facendo una dopo l'altra se non delle concessioni, almeno àelle ammissioni preziose, che nel loro insieme costituiscono un sensibile avvicinamento alle Basi d'Accordo del Duce del 16 ottobre.

A ottenere da Vansittart una sensibile modifica del suo atteggiamento, io sono giunto, come il Duce avrà certo notato, per mezzo di una discussione separata dei singoli problemi, uno dopo l'altro: prima il Tigré, poi l'Ogaden e il Sud etiopico quindi il Sud-Ovest etiopico, da ultimo la congiunzione territoriale tra l'Eritrea e la Somalia. La partenza di Vansittart per Parigi ha interrotto a questo punto le nostre conversazioni che io mi proponevo di spingere -a scopo esplorativo --verso il problema dei paesi non amarici a nord dell'So parallelo e verso il problema della preponderanza italiana su quello che resterà dello Stato abissino.

Ho accuratamente evitato di presentare a Vansittart di colpo un progetto generale, e questo non solo perché non avevo istruzioni che mi permettessero di farlo, ma perché messo di fronte a un progetto generale del genere ad esempio di quello che V. E. mi ha trasmesso col dispaccio n. 10160, Vansittart avrebbe risposto senz'altro negativamente, e rigettando senz'altro in blocco quello che io in blocco gli proponevo. Un esame successivo dei vari problemi che il regolamento etiopico presenta può dare invece assai meglio un'idea chiara del punto fino al quale il Governo britannico può essere indotto a giungere, in un eventuale negoziato.

Intanto poiché nel dispaccio del 4 dicembre si espone una soluzione del problema etiopico alternativa a quella delineata il 16 ottobre nel colloquio di V. E. con Chambrun, e tale soluzione viene indicata come una soluzione di carattere subordinato a quella originaria o massima, contenuta nelle Basi d'Accordo del Duce in data 16 ottobre, esprimo senz'altro l'avviso che fra le due è meno difficile trovare una linea d'accordo con gli inglesi prendendo come punto di partenza la «soluzione massima», ossia le Basi d'Accordo del Duce del 16 ottobre, anziché quella che è presentata come « soluzione subordinata» nel dispaccio n. 10160 del 4 dicembre.

Come ho detto più sopra, nei miei scambi di idee con Vansittart ho seguito il metodo di prendere in esame una questione separatamente dall'altra accantonandole man mano quando sentivo d'aver toccato il punto della massima resistenza, per poi riprendere la discussione più tardi dal punto precedentemente raggiunto.

Ho cercato anzitutto di separare dalle altre la questione del Tigré, che Vansittart intendeva, nel suo progetto di martedì 3 dicembre, di conglobare nel novero dei territori oggetti di scambio tra l'Italia e l'Etiopia. Da una meschina rettifica di frontiera Vansittart è infatti a poco a poco passato all'idea che la questione del Tigré possa essere risolta in base al principio della auto-decisione. In seguito ad un voto delle popolazioni tigrine, il Tigré potrebbe, secondo Vansittart, essere distaccato definitivamente dall'Etiopia, e dichiarare la sua indipendenza o anche la sua annessione all'Italia. Vansittart ha detto che questa seconda soluzione, qualora accettata dall'Italia, assorbirebbe naturalmente la prima consistente nell'annessione pura e semplice di Adua e di Adigrat.

Come V. E. avrà visto dal resoconto dei miei colloqui, Vansittart è stato portato poco a poco verso l'idea che una volta ammesso il principio dell'autodecisione, è giusto che sia data alle popolazioni tigrine la facoltà di optare non soltanto fra il ritorno sotto la sovranità del Negus e l'indipendenza, ma anche per il passaggio diretto sotto la sovranità dell'Italia. Una volta che Vansittart ha riconosciuto che in base al principio dell'auto-decisione doveva essere possibile alle popolazioni tigrine di optare per il passaggio puro e semplice sotto la sovranità dell'Italia, sono tornato al punto di partenza della nostra discussione. Ho dichiarato cioè che l'idea di risolvere la questione del Tigré attraverso il principio dell'auto-decisione era inaccettabile, che l'Italia esigeva l'annessione pura e semplice, e ho domandato che la questione del Tigré fosse per il momento accantonata per affrontare le altre questioni.

Seguendo lo stesso metodo, ho insistito con Vansittart per la sovranità diretta dell'Italia sui territori del Sud-Est, del Sud, e del Sud-Ovest etiopico, sovranità che ammessa da principio esclusivamente sull'Ogaden, Vansittart ha alla fine riconosciuto possibile di estendere in direzione ovest fino ad includere il Baie e il Boran approssimativamente al 38° e 39° meridiano. Ho naturalmente insistito nel domandare la sovranità assoluta su tutti i territori a sud dell'8° parallelo fino ai confini del Kenia e del Sudan, cercando nello stesso tempo di approfondire a nostro vantaggio la formula del « monopolio economico » prospettato da Vansittart nel suo progetto del 3 dicembre, e di svilupparla in qualche cosa di più sostanziale e di più preciso. Siamo così arrivati al concetto di «giurisdizione» cioè di «possesso», con diritti di amministrazione, giustizia, polizia etc., una «sovranità velata » insomma. Si è parlato anche dell'affitto di territori (lease) per novantanove anni. Il lease, come la chartered company (se accompagnata beneinteso da diritto di giurisdizione) è una cessione sostanziale di territori, se pure mascherata dal permanere della sovranità nominale e fittizia èlel Negus. Si tratterebbe insomma dell'applicazione di una delle formule esistenti nel diritto privato di questo Paese e escogitata apposta dalla morale quacchera britannica per mascherare un vero e proprio diritto di proprietà. Tutto ciò è molto importante perché alla fine è su questo terreno su cui, io ritengo, noi troveremo il punto d'accordo, e raggiungeremo una soluzione per noi vantaggiosa. Tanto meno estesi saranno i territori a sovranità diretta, tanto più estesi saranno i territori a sovranità indiretta, che noi sostanzialmente acquisteremo e che una volta acquistati, l'Italia avrà naturalmente acquistato per sempre. Una soluzione di tale natura si presta ad essere meno difficilmente ostacolata dal formalistico puritanesimo anglo-sassone e ginevrino. Tutto ciò è stato perfettamente visto dal Duce quando nelle Sue Basi d'Accordo del 16 ottobre Egli ha parlato di «Mandato o altra forma d'amministrazione sui Paesi non ama

rici, e frontiera nella Dankalia e nell'Ogaden in modo favorevole all'Italia ». Esso trova inoltre conferma nel dispaccio n. 10160 del 4 dicembre.

Ma per acquistare quanto più è possibile di territori non amanc1 m nostro effettivo se pur larvato dominio, ho ritenuto utile, in questa fase prelimin::tre delle trattative, d,i insistere il più possibile nel domandare la sovranità assoluta o formale sui territori non amarici, salvo in seguito a negoziare, almeno in parte, questa nostra richiesta per ottenere la più vasta zona possibile di territori amarici in nostro sostanziale dominio. È sopratutto in considerazione di questa necessità tattica, che ho insistito con Vansittar~ per la sovranità assoluta sui territori del Sud-Ovest etiopico (la regione dei Laghi) sapendo benissimo che questa regione, confinante col Kenia e col Sudan, costituisce un interesse inglese, al quale il Governo inglese potrà essere indotto meno difficilmente a rinunciare se noi gli consentiremo di presentare all'opinione pubblica inglese questa rinuncia in una forma meno cruda che non la cessione in sovranità assoluta. Io ho insistito comunque nella mia domanda di sovranità assoluta su queste regioni («coll'annessione dell'Harrar e dell'Aussa, ho detto, l'Italia può risolvere il problema della sicurezza, coll'annessione dei territori del Sud e del Sud-Ovest il problema dell'espansione~). e ciò mi ha permesso di porre nettamente a Vansittart il problema della congiunzione territoriale fra le nostre Colonie a est di Addis Abeba, ossia della cessione all'Italia dell'Aussa e dell'Harrar, problema che Vansittart non ha escluso affatto di poter risolvere, e ciò non perché egli sia stato colpito dalla mia dimostrazione del nostro diritto alla congiunzione territoriale a ovest di Addis Abeba, in base all'Accordo Tripartito, ma perché Vansittart ha subito afferrato la convenienza per l'Inghilterra d'orientare le concrete aspirazioni italiane verso una nostra sovranità assoluta sull'Harrar piuttosto che verso una nostra sovranità assoluta sul Sud-Ovest etiopico. Vansittart ha peraltro riconosciuto che anche pel caso noi acquistassimo le regioni dell'Aussa e dell'Harrar, l'Italia potrebbe comunque ottenere in giurisdizione i territori del Sud-Ovest etiopico (1).

I francesi, da parte loro, hanno interesse d'escluderci dalla regione dell'Harrar, e ciò non mancherà di influire sullo svolgimento di una prossima eventuale trattativa.

A proposito di quest'ultima occorre evidentemente attendere, prima di concretare da parte nostra una qualsiasi linea d'azione, i risultati dell'incontro di Parigi tra Hoare, vansittart e Lavai. Questo incontro costituisce il fatto nuovo di questi giorni.

Io mi terrò quindi per ora nelle istruzioni del telegramma n. 2546 di V. E., e cioè non presenterò alcuna proposta al Governo britannico, ma, in attesa di decisioni del Duce, continuerò a svolgere la mia azione secondo le linee e nei limiti in cui l'ho svolta sin'ora.

Circa il momento e il luogo (se Roma, Parigi o Londra) per un'eventuale trattativa, il Duce solo può esserne giudice. Egli soltanto conosce, e può va

lutare nel loro insieme, tutti i fattori e le circostanze. Questi sono complessi e diversi. Un fattore d'importanza essenziale è rappresentato dal corso delle nostre operazioni militari. Un secondo fattore, non meno importante, dal grado di efficacia delle sanzioni. Altro fattore è rappresentato dall'attitudine definitiva verso il nostro Paese degli Stati Membri e non Membri della S.d.N. e in primo luogo dall'attitudine della Francia. Infine dall'attitudine dell'Inghilterra.

Per quanto riguarda quest'ultimo punto credo di essere nel vero affermando che l'attuale momento si presenta relativamente come il più favorevole fra quanti si siano presentati finora per un effettivo tentativo di conciliazione. Nel dispaccio n. 10160, V. E. avanza molte ipotesi su quella che appare essere in questo momento l'attitudine del Governo britannico. Anzitutto piuttosto che di vere e proprie <<disposizioni» favorevoli da parte del Governo britannico, si tratta piuttosto di un «clima» più favorevole a un tentativo di conciliazione. Le dichiarazioni fattemi man mano da Hoare e da Vansittart durante queste due ultime settimane ne sono l'indice, e ancora più l'ambiente in cui si è svolta la discussione giovedì 5 corrente, alla Camera dei Comuni, e il favore con cui la maggioranza del Parlamento ha accolto non solo i passaggi del discorso di Hoare concernenti l'Italia, ma sopratutto gli importanti discorsi di A. Chamberlain e E. Grigg. (Mi si assicura che il discorso di A. Chamberlain è stato fatto previa un'intesa personale con Hoare e Vansittart}. Le cause? Esse sono, a mio avviso, diverse e complesse. Anzitutto la generale constatazione che le sanzioni, invece di indebolire, come qui si sperava, hanno al contrario raddoppiato la forza del Regime e la resistenza morale dell'Italia. Tutti sono ormai qui persuasi che l'Italia fascista, se costretta dagli eventi, è pronta ad affrontare quella che qui è definita la sua « rovina economica e finanziaria», e molti ritengono che l'Italia sia pronta, se costretta, ad affrontare quello che qui è definito il « gesto disperato di una Nazione assediata». Lo spettacolo meraviglioso che offre il Popolo italiano fa seriamente riflettere gli inglesi. Il convincimento che l'Italia fascista non esiterebbe di fronte a nulla per difendere l'onore della Nazione, pone gli inglesi davanti ad una serie di interrogativi circa le ripercussioni gravi che tutto ciò potrebbe determinare nella già inquieta situazione europea. A questo aggiungasi la naturale stanchezza della pubblica opinione in seguito a dieci mesi di polemica a base di Etiopia, ed inoltre il calcolo, nel Partito conservatore, dopo essere riuscito vittorioso nelle recenti elezioni, che la posizione polemica dell'Inghilterra ha ormai dato tutti i frutti possibili che da essa si potevano ricavare nel campo della politica interna e nel campo della politica imperiale. La sensazione da ultimo che l'Inghilterra ha interesse a chiudere questo episodio per dedicarsi a problemi di capitale importanza come quello dell'Estremo Oriente e il problema della Germania. Detto tutto questo ritengo

sarebbe tuttavia un errore di credere che l'Inghilterra è pronta ad accettare una qualsiasi soluzione della questione abissina. Non bisogna neppure eredere che l'Inghilterra sia eccessivamente preoccupata dalle conseguenze che deriverebbero dall'applicazione dell'embargo sul petrolio. L'Inghilterra valuta, non c'è dubbio, la gravità della situazione, ma essa è presa nel cerchio degli avvenimenti che· essa stessa ha provocato. L'Inghilterra ha sin qui giocato grosso nella questione abissina, e continuerà a giocare grosso se riterrà di non paterne fare a meno. Il Governo britannico ha ormai messo come posta nella bilancia il prestigio della Gran Bretagna di fronte ai popoli dell'Impero. Tuttavia il Governo britannico avendo già realizzato dalla questione abissina molto di quanto voleva ottenere nel campo della sua politica interna, imperiale ed estera, si mostra in questo momento disposta a ricercare un accordo « honourable », come qui si dice, per l'Italia, per la Lega delle Nazioni e per l'Abissinia (leggi soltanto per l'Italia e per l'Inghilterra). Questo accordo sarà, ho detto più sopra, tanto più sostanzialmente favorevole all'Italia quanto più esso potrà venir formulato secondo le esigenze formalistiche del puritanesimo anglo-sassone, e presentato alla pubblica opinione anglo-sassone come una soluzione societaria: la Lega delle Nazioni è diventata -non bisogna dimenticarlo -lo strumento della politica britannica non solo nei confronti delle altre Nazioni, ma sopratutto nei confronti dei Dominions, o meglio, delle « Nazioni che fanno parte della Commonwealth britannica ».

Giudicando la situazione da questo settore importante del nostro fronte, che è il fronte inglese, io ritengo ci convenga, non foss'altro sul terreno tattico, di non respingere in questo momento quelle che appaiono essere dello concrete intenzioni del Governo britannico per un effettivo tentativo di conciliazione. Durante il corso delle trattative potremo ad ogni modo vedere quello che ci converrà meglio di fare, se cioè sospenderle, rallentarle, prose~ guirle. Se respingessimo in questo momento un'offerta di trattare, certo da~ remmo ai nostri avversari antifascisti, capeggiati da Eden in seno allo stesso Gabinetto nuovo incentivo alla loro azione decisamente drastica e intransigente contro di noi. Per convincersene basta tener presente la reazione astiosa delle correnti liberali, laburiste e societarie alle voci corse in questi giorni di un possibile negoziato coll'Italia.

Circa il quesito postomi da V. E. sull'opportunità di tenere o no informato il Governo francese di tutto quello che potrà essere oggetto di un eventuale negoziato diretto italo-britannico, rispondo senz'altro che dobbiamo tener informato il Governo francese, oserei dire, giorno per giorno, nè credo che dobbiamo per questo domandare l'avviso al Governo britannico. Qualsiasi negoziato formale che il Duce ritenesse opportuno di iniziare credo che dovrebbe sempre assumere, nella forma e nella sostanza, i caratteri di un negoziato italo-franco-britannico, e cioè fra le Potenze firmatarie dell'Accordo del 1906 (l).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 795. (3) -Vedi D. 788. (l) -Vedi DD. 755, 781, 794 e 802. (2) -Vedi D. 357.

(l) Nota del document<J: «Alla fine della nostra ultima conversazione di giovedi 5, Vans!ttart m! ha richiesto d! tracciare sulla carta geografica, grosso modo, 1 !!m!ti dei terr!t<Jri da me richiesti in sovranità assoluta del'l'ltal!a. Ho tracciato in lapis blu una linea lungo 11 400 meridiano della frontiera dell'Eritrea sino all'intersecazione dell'SO parallelo, procedendo in d!reziO'Ile ovest lungo l'So parallelo fino a raggiungere la frontiera del Sudan. Ho indicato cosi per noi tutti i territori etiopici ad est del 400 meridiano e a sud de11'8° parallelo».

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

818

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI STATI MEMBRI DEL COMITATO DEI DICIOTTO (l) E ALLE AMBASCIATE A LONDRA E A PARIGI

T. PER CORRIERE 2631/C. R. Roma, 8 dicembre 1935.

(Per Parigi e Londra): Ho telegrafato alle RR. Rappresentanze presso i sedici Paesi che partecipano, con Francia e Inghilterra, al Comitato dei Diciotto quanto segue:

(Per tutti): Aumenta opposizione da parte della pubblica opinione di molti Paesi e perplessità dei Governi di adottare misure per embargo petrolio. Vi è una buona probabilità che embargo non sia ora deciso in relazione anche con i tentativi di conciliazione in corso (conversazioni di Parigi).

Bisogna quindi intensificare la campagna contro l'embargo per approfittare del momento favorevole. È chiaro che è nostro interesse che sia evitata decisione e non soltanto applicazione embargo.

Bisognerebbe cercare persuadere codesto Governo che sarebbe anche opportuno non fissare alcun ulteriore termine per discutere la questione embargo, ma lasciare la cosa completamente in sospeso: così si creerebbe atmosfera più favorevole allo sviluppo quei tentativi conciliazione alla cui riuscita tutti Paesi dicono essere vivamente interessati.

Naturalmente tenuto conto particolare atteggiamento di codesto Governo.

819

IL MINISTRO A CITTA DEL MESSICO, MARCHETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9476/87 R. Città del Messico, 9 dicembre 1935, ore 17,50 (per. ore 7,30 del 10).

Telegrammi di V. E. nn. 50 e 2631 (2).

Ho avuto altri colloqui con questo Ministro. Ho vivamente insistito su nostri punti di vista. Egli mi ha detto di aver inviato istruzioni al rappresentante messicano a Ginevra nel senso di non prendere iniziative, ma non (ripeto non) mi ha voluto dire se istruzioni sono nel senso di associarsi a voto contrario o dilatorio embavgo petrolio.

In questi primi giorni di Ministero, Hay si mostra eccessivamente guardingo e circospetto. Come già ho detto temo gli sia difficile mutare sostanzialmente politica seguita finora a Ginevra. Spero almeno che istruzioni inviate a Marte Gomez valgano a farlo recedere da atteggiamento gratuita e ingiusta intransigenza nei nostri riguardi. Assicuro V. E. che non perdo occasione per cercare di fare prevalere nostra tesi.

(l) -Argentina, Belgio, Canada, Grecia, Jugoslavia, Messico, Paesi ·Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Sud Africa. Svezia, Svizzera, Turchia e URSS. (2) -Vedi rispettivamente DD. 810 e 818.
820

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 14731/294 P. R. Ankara, 9 dicembre 1935, ore 20,45

(per. ore 3,30 del 10).

Mio telegramma n. 290 (l).

Veduto soltanto oggi Aras che era Stambul. Rinunzia andare Ginevra nella persuasione che riunione del 12 deciderà rinvio ogni decisione su embargo petrolio dato che Compagnie americane non sarebberonsi ancora accordate per sospendere vendita carbone Italia. A decisione neutralità Congresso non sarà [pronto] che in gennaio. Peraltro Delegato turco a Ginevra telefonatogU stamane che sussisteva ancora una qualche possibilità accordo fra le compagnie americane in tal senso prima del 12. Ma egli non vi credeva: comunque stimava non a.ncora del tutto maturo momento discussione Ginevra per effettivo componimento conflitto. Se però compagnie americane si accordassero per sospensione vendite, e Francia e Inghilterra fossero d'accordo per decisione embargo, impossibile evitarlo da parte Comitato Diciotto.

Delegato turco aveva istruzioni chiedere subito nella riunione quali fossero informazioni da S.U.A., e, se portassero non accordo compagnie, domandare rinvio della riunione richiamandosi alla sospensiva già chiesta da Aras nella prima discussione di tali sanzioni.

Aras rendesi conto gravità irritante questa nuova sanzione e difficoltà maggiori di un componimento in tal atmosfera, ma (malgrado ogni mio possibile insistente argomento e tenuto presente anche telegramma odierno

n. 2631/C. (2) stimo attualmente impossibile per Turchia con altri Balcanici opporsi a decisione se dovessero [verificarsi] circostanze di cui al primo capoverso presente telegramma. In tal caso sforzi saranno diretti al più lungo possibile rinvio. Su questo punto tutti i Balcani sarebbero d'accordo agire con ogni decisione. Egli ritiene fermamente che anche Romania non si distaccherà da linea adottata da Balcani la quale è, se possibile, far più della Francia ma non mai meno. Secondo Aras, Titulescu, che sarà a Ginevra, agirà nel modo migliore per impedire ogni decisione se ne vedrà anche una vaga possibilità, o per rinviarla al massimo. Ed avrà appoggio di tutti i Balcanici in questa sua azione.

Da questa conclusione di Aras confermo che nostri sforzi per quanto riguarda Balcanici dovrebbero concentrarsi su Titulescu.

(l) -Vedi D. 775. (2) -Vedi D. 818.
821

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9456/95 R. Lisbona, 9 dicembre 1935, ore 20,55 (per. ore 23,50).

Telegramma di V. E. n. 2196 (1).

Questo Segretario Generale Ministero degli Affari Esteri mi ha consegnato stasera risposta nostra nota (2) che trasmetto per posta. Essa sviluppa punto di vista societario rassomigliando risposta Governo britannico con qualche maggiore accenno amicizia fra i due Paesi.

Ho colto l'occasione per fargli presente Governo italiano attende conferma tale spirito amichevole nell'atteggiamento delegato Portogallo questione dell'embargo petrolio, considerato da noi misura inimichevole. Egli, nel prospettarmi difficile posizione Portogallo, mi ha promesso che si adopererà affinché Vasconcellos riceva istruzioni non prendere alcuna iniziativa circa embargo petrolio di cui, da quanto pare, si starebbe esaminando convenienza iniziarlo l o gennaio p. v.

822

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9478/286 R. Bruxelles, 9 dicembre 1935, ore 21,25 (per. ore 23,50).

Mi riferisco al mio telegramma n. 285 (3).

Ho conferito lungamente oggi con il Primo Ministro e gli ho ripetuto ed illustrato tutti gli argomenti esposti nel telegramma di V. E. 2521/C. (4) per indurlo a darmi degli affidamenti nel senso indicato nel telegramma

n. 2631/C. (5).

Come prevedevo, egli si dibatte tra il desiderio (diventato quasi una necessità in seguito alla campagna antisanzionista) di compiere un gesto in favore dell'Italia e l'obbligo di non mettersi in urto con l'Inghilterra e con la massima parte di coloro che, purtroppo, rappresentano tuttora il Paese legalmente. Egli mi ha detto ritenere indispensabile ed augura vivamente, da parte di V. E., una accettazione, almeno di massima, delle controproposte franco-inglesi di ieri entro il 12 corrente, ma io gli ho ribattuto che l'insi

(-4) Vedi D. 771.

stenza sulla perentorietà del termine é sulla minaccia delle nuove sanzioni rischiano di far fallire il piano delle trattative di pace.

Comunque, sono riuscito ad ottenere da lui l'assicurazione che, alla delegazione belga a Ginevra sarà data l'istruzione di tenere un contegno «passivo ~. giustificandolo col fatto che questo Paese non ha alcun notevole interesse nella produzione e nel commercio del petrolio e di associarsi all'atteggiamento del Delegato inglese soltanto dopo che fosse seguito da quello francese e degli altri Paesi che si trovano in posizione analoga al Belgio.

(l) -Vedi D. 602, nota 2. (2) -Vedi D. 611. (3) -Con T. 9622/285 R. del 7 dicembre 1935, ore 21,20, VannutelU aveva riferito di non essere stato ancora in grado di parlare con van Zeeland e a-ggiungeva: «Da mia informazione datami con!Ldenzialmente ed intenzionalmente da parte Cor,te mi risulta che Re Leopoldo ha energicamente significato al Primo Ministro il suo desiderio che il Belgio si disinteressi delle sanzioni sul pe,trolio. Ne1lo stesso senso si adopera attivamente questo Nunzio Apostolico, con cui mantengo quotidianamente contatto e che domani, domenica, vorrebbe conferire con van Zeeland anche lui. La lotta continua serrata». (5) -Vedi D. 818.
823

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9471/223 R. Bucarest, 9 dicembre 1935, ore 21,25 (per. ore 4,30 del 10).

Tutti gli sforzi finora fatti per indurre questo Governo ad assumere atteggiamento contrario, o semplicemente dilatorio circa questione embargo sul petrolio, hanno dato finora solamente il seguente risultato:

l) Titulescu e il Re, sui quali è stata spiegata strenua azione, promettono che la Romania si associerà a qualsiasi proposta negativa o sospensiva che venisse da altri. In nessun caso Romania potrà essere la prima. Ciò, il Re ha confermato oggi all'ex Presidente Jorga;

2) Titulescu osservato che tale iniziativa spetta a Lavai, e contesta che Francia abbia il diritto di dire che essa non è Paese produttore perchè la Francia è una delle Nazioni che ha più forti interessi nell'industria petrolifera mondiale e quindi deve essere considerata anch'essa Paese produttore;

3) anche nel caso di mancata iniziativa francese, sia il Re che Titulescu contano {pregherei quindi V. E. informarmi) su atteggiamento negativo o almeno dilatorio del Venezuela a cui la Romania si accoderebbe;

4) sia il Re che Titulescu, ad attenuazione della loro resistenza a fare prendere alla Romania una iniziativa circa embargo, assicurano che finché un barile di petrolio entrerà in Italia da altre parti, la Romania continuerà a venderei. Titulescu mi ha detto enfaticamente che la Romania farà ufficialmente contrabbando attraverso Austria e Ungheria;

5) a correttivo di quanto precede al punto 4), è mio dovere far presente che circoli inglesi fanno qui intendere che l'embargo sarebbe esteso, sotto forma di limitazione, anche ai Paesi membri della Lega delle Nazioni che non applicano le sanzioni.

Non posso considerare come soddisfacente il risultato qui raggiunto: continuo quindi la mia azione in seno a varie parti nelle attuali condizioni, ma non celo che difficilmente si potrà ottenere qualche cosa di più, sono anzi piuttosto scettico anche circa la reale portata delle promesse fattemi.

824

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. RR. 9466/953 R. Parigi, 9 dicembre 1935, ore 22,30 (per. ore 1,30 del 10).

Non conosco ancora ufficialmente proposte conciliazione che furono decise da Francia e Inghilterra e so soltanto quanto mi disse iersera per telefono Lavai e quanto mi fu oggi confermato in conversazione confidenziale e segreta avuta con Vansittart. Entrambi mi assicurano che si giunse molto più in là di quanto si sarebbe ritenuto possibile ancora qualche giorno fa.

Lavai mi disse che non credeva esagerare assicurandomi che noi avevamo trovato in lui un difensore dei nostri interessi veramente strenuo, difensore che aveva tenuto conto di tutte le considerazioni che avevamo creduto di portare a sua conoscenza.

Vansittart dal suo lato mi parlò di Lavai come di persona che non omise nessuno sforzo per far prevalere durante i negoziati tutto quanto poteva giovare all'Italia. Tenne ad aggiungere che Lavai trovò molta comprensione e grande condiscendenza da parte di Sir Samuel Hoare e sua personale di Vansittart, che entrambi sono profondamente e sinceramente italofili ancorchè in Italia si pensi forse il contrario, dato che si fece confusione tra la strenua difesa del Patto societario ed una italofobia che non esiste in Inghilterra ed è totalmente estranea nei due uomini che dirigono il Foreign Office. Essi sono infatti consci che il pericolo per l'Inghilterra e per la pace del mondo non può provenire dall'Italia ma da una Potenza a fronteggiare la quale occorre poter contare sopra Italia forte ed amica della Francia e dell'Inghilterra.

Vansittart ha tenuto a dirmi che si aveva avuto torto di credere in Italia che l'Inghilterra avesse temuto per la sicurezza della via delle Indie, dato che la forza dell'Impero britannico è tale da permetterle di difendere ovunque i propri interessi. Gli ho risposto che, non entrando nel merito di quanto aveva affermato, mi permettevo ricordargli che l'Inghilterra non avrebbe potuto sostituire nel Mediterraneo con nessuna altra base navale quelle che, in caso di emergenza, le sarebbero nuovamente offerte da un'Italia amica ed alleata cosi come era avvenuto durante la guerra mondiale.

Vansittart tenne ancora a dire che durante gli scorsi mesi egli aveva sentito accennare con vero senso di sgomento, da parte italiana, alle eventualità le più gravi. Desiderava assicurarmi che in Inghilterra nessuno pensò mai alla possibilità di una guerra che getterebbe mondo intero nella rovina. Prova ne era che esame diligente del problema relativo all'embargo del petrolio aveva fatto rilevare che carattere parzialmente militare del provvedimento avrebbe potuto ingenerare qualche pericolo del genere sopra menzionato e che pertanto si era fatta strada una ideologia più propensa ad una rapida conciliazione. Era poi anche prevalso a Londra convincimento che conflitto itala-etiopico non doveva essere considerato alla stregua di un eventuale conflitto europeo e se Gran Bretagna aveva dato proprio consenso ad una formula conciliativa, che

non avrebbe certamente soddisfatto maggior parte dei membri della S.d.N., ciò era avvenuto in considerazione necessità di discriminazioni tra uno Stato di alta civiltà, ancorché aggressore, ed uno Stato semi-barbaro, e di tener presente necessità di espansione del popolo italiano.

Vansittart mi disse a questo proposito che i terreni che saranno riconosciuti all'Italia al sud dell'Etiopia sono ottimi per salubrità e fertilità; egli espresse opinione che coloro i quali tra un secolo studieranno attuale grave crisi politica concluderanno che tutti quanti sono stati pazzi. Questo giudizio errato dipenderà da fatto che tra un secolo probabilmente non ci si renderà più conto dello stato psicologico lasciato dietro di sé dalla guerra.

Vansittart spezzò una lancia in favore della S.d.N. sostenendo che, se essa dovesse scomparire o indebolirsi, Gran Bretagna e con essa Francia e gran parte del mondo perderebbero fiducia nella possibilità garantire pace, ciò che avrebbe le conseguenze più gravi. Vansittart, accennando ad un'eventuale futura riforma della S.d.N., mi disse che Italia ne aveva parlato tre anni fa a Londra, ma che alla richiesta di Londra di ottenere precisioni non era stato mai risposto da parte nostra. La cosa non è attuale, ma la riferisco ad ogni buon fine.

Vansittart tenne durante conversazione a farmi ripetutamente rilevare perfetto accordo riscontratosi tra Francia e Inghilterra e a dirmi che esso è la maggiore garanzia per la pace del mondo, sopratutto se si potesse contare anche sulla Italia e fare nuovamente funzionare il fronte di Stresa.

In via indiretta da fonte sicura ho saputo che Vansittart è irritatissimo con Lavai per non aver questi saputo impedire le numerose e continue escandescenze anti-inglesi dei circoli politici ed intellettuali francesi. Ho saputo pure che attribuisce ad Eden aspra campagna per allontanarlo da Foreign Office, ove questi vorrebbe far prevalere politica diametralmente opposta a quella di Vansittart culminata negli accordi di Stresa.

È unanime nei circoli politici e giornalistici di Parigi il coro di elogi per l'azione svolta da Lavai negli ultimi due giorni. Si rileva che egli seppe perfino tenere testa alla nota coalizione societaria non favorevole all'Italia che esiste al Qual d'Orsay. Non si può pretendere da lui la forza che forse non possiede di natura e che ad ogni modo non gli è concessa dalla situazione politica. È però doveroso per me, che gli sono stato costantemente vicino, riconoscere che egli mostrò personalmente sempre comprensione amichevole per i nostri interessi e postulati e che fiducia di raggiungere soluzione soddisfacente ed onorevole per l'Italia non Io abbandonò mai. Occorre tenerlo presente quale che sia per essere il corso degli avvenimenti.

825

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9474/310 R. Atene, 9 dicembre 1935, ore 22,40 (per. ore 4,30 del 10).

Mio telegramma n. 306 (l).

56 -~ Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

Questo Presidente del Consiglio mi ha detto di avere dato istruzioni a Politis, il quale dovrebbe rappresentare Governo ellenico alla riunione di Ginevra del 12 corrente, perchè assecondi nostro punto di vista nella questione dell'embargo sul petrolio, evitando comunque di prendere qualsiasi iniziativa suscettibile compromettere Grecia di fronte S.d.N.

A mia richiesta Demertzis ha aggiunto che avrebbe dato oggi stesso istruzioni a Politis perchè si associ anche a qualsiasi proposta che possa determinare aggiornamento sine die discussione embargo.

Come appare, disposizioni attuali Governo verso di noi sono più amichevoli di quelle della reggenza Condylis-Teotokis. Quantunque però Demertzis mi abbia espressamente autorizzato a telegrafare quanto precede a V. E., data composizione Gabinetto e suo carattere di «Ministero di Servizi», come ha voluto chiamarlo Re Giorgio, tali disposizioni possono essere compromesse:

l) da azione personale Politis, dal quale istruzioni Demertzis potrebbero essere facilmente interpretate alla stregua della situazione contingente che si determinerà a Ginevra e della eventuale pressione inglese;

2) dalle decisioni degli altri Stati dell'Intesa balcanica a cui la Grecia non può fare a meno di attenersi.

Ripeto quindi che, mentre non c'è da aspettarsi nessuna «iniziativa » favorevole da Delegato greco, esso è peraltro indubbiamente [consapevole] che suo Governo, senza voler essere compromesso a Ginevra, è favorevole ai nostri desiderata.

(l) Con T. 9371/306 R. del 6 dicembre 1935, ore 13,40, Boscarelli aveva comunicato di aver rimesso a Re Giorgio ed a Demertzis un appunto relativo all'embargo sul petrollo.

826

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. RR. 9487/956 R. Parigi, 10 dcembre 1935, ore 13,35 (per. ore 16).

Apprendo da fonte autorevole che, come contropartita della condiscendenza britannica alla tesi conciliante sostenuta da Laval, quest'ultimo, premuto anche da taluni membri del suo Gabinetto, dovette consentire a svolgere in avvenire politica estera in strettissimo contatto con Inghilterra.

827

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9491/287 R. Bruxelles, 10 dicembre 1935, ore 13,45 (per. ore 15,50).

Nella conversazione avuta ieri con me, e di cui al mio telegramma n. 286 (1), questo primo M.inistro accennò ripetutamente alla sua azione fiancheggiatrice

per favorire offerte di pace accettabili da parte Italia. Egli anzi specificò che tuttora si adopera in tal senso per più di una via, trincerandosi però come di consueto dietro il rigoroso riserbo sui dettagli in conformità alla tattica segnalata nell'ultimo capoverso del mio telegramma n. 276 (1).

D'altra parte questo Nunzio Apostolico (che vide ieri stesso van Zeeland dopo di me) mentre si è premurosamente affrettato a comunicarmi sua impressione che contegno della Delegazione belga circa sanzioni petroli sarà inspirato a massimo possibile riguardo verso Italia, si è mantenuto viceversa anche lui riservato di fronte ai miei sondaggi circa eventuali interventi di van Zeeland per la pace, come pure circa risultato della visita di Re Leopoldo a Londra, sui quali due argomenti egli a quest'ora deve certamente sapere alcun che di positivo.

Tutto ciò (congiunto alla circostanza che Monsignor Micara mi ha annunziato doversi assentare qualche giorno motivando tale assenza con la necessità di far visita ai suoi colleghi di Parigi e dell'Aja) mi lascia supporre che qualche nuova iniziativa belga sia in corso, e questa volta non più attraverso Parigi e Londra, ma per il tramite della Santa Sede.

Sarei grato a v. E. qualora volesse significarmi se, dopo eventuali controlli, tale mia ipotesi (di cui credo doverle far parte ad ogni buon fine) risultasse infondata.

(l) Vedi D. 822.

828

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 9499/188 R. Varsavia, 10 dicembre 1935, ore 20 (per. ore 2 dell'11).

Telespresso di V. E. n. 2631/C (2). Beck mi ha detto stamane di avere espresso a Lavai seguente suo punto di vista.

Riunione del 12 corrente del Comitato dei Diciotto dovrebbe evitare qualunque decisione con motivo nuovi sviluppi situazione, in vista regolamento pacifico auspicato da tutti i membri della Lega delle Nazioni, autorizzando un certo ottimismo consigliano, anziché deliberare nuove sanzioni, facilitare accordo tra le parti; Comitato Diciotto essendo solo un organo tecnico sanzioni ritiene pertanto utile non intralciare azione che Consiglio della S.d.N. dovrà svolgere per raggiungere risultato ristabilire pace e astiensi ogni ulteriore deliberazione rivolgendo invece caldo appello ai belligeranti accomodamento.

Deferimento a Consiglio della S.d.N. gli sembra necessario per non (dico non) suscitare ostilità in quei paesi che, pur non essendo contrari all'Italia per ragioni preconcette, sono tuttavia gelosi prestigio S.d.N. e anche per facilire a opinione pubblica inglese accettazione omissione sanzione.

Beck ritiene che tale modus vivendi possa trovare consensi perchè salva anche procedura ginevrina ed ha dato istruzioni a Komarnicki di fare passi opportuni presso differenti delegazioni a Ginevra. Questo Ambasciatore di Francia è partito stamane per conferire con Lavai a tale proposito.

(l) -Si tratta del 9188,1276 R. del l" dicembre 1935, ore 23,50, con il quale Vannutelli, nell'ultimo capoverso, comunicava: «Da un mese a questa parte non sarà infatti sfuggita a V. E. la cura che mette Van Zeeland nell'evitare (sia a Ginevra, sia a Roma, sia qui) di tenere il Governo italiano al col"rente in proposito, per non correre il min~mo rischio di venire accusato dall'Inghilterra, o peggio ancora da Vande.rvelde, di intervenire a nostro vantaggio per poter sempre d!chia."are che agisce esclusivamente in nome f~nalità supreme della S.d.N. >>. (2) -Vedi D. 818.
829

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9492/616 R. Ginevra, 10 dicembre 1935, ore 21,18 (per. ore 22,30).

Impressione generale di questi ambienti è francamente di sorpresa e, per alcuni, direi anche di costernazione per concessioni che progetto franco-inglese (l) fa alle esigenze italiane. Avenol mi ha detto esplicitamente, parlando di Hoare, «cette fois Lavai l'a eu». Naturalmente negli ambienti societari e antifascisti si spera che V. E. rifiuti per questo le proposte. La possibilità di un componimento fa tremare tutti coloro che contano qui sull'effetto delle sanzioni per la lotta contro il regime in Italia.

Delegazioni greca e jugoslava mi hanno espresso loro soddisfazione per le concessioni che verrebbero fatte all'Italia, segnalandomi vivissima indignazione di certi ambienti antifascisti e di certe delegazioni nordiche che non riescono a spiegarsi estrema debolezza mostrata da Hoare davanti alle richieste di Lavai. Progetto, così come pubblicato dai giornali, viene considerato come vera e propria capitolazione per la Società delle Nazioni.

830

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9633/0119 R. Vienna, 10 dicembre 1935 (per. il 15).

Il mutamento che qui si riscontra nell'atteggiamento inglese verso il conflitto itala-abissino, ha già avuto benefiche ripercussioni sugli umori del Ballplatz e della stessa opposizione cristiano sociale. Difatti, mentre da una parte Berger è visibilmente meno timoroso, dall'altra mi consta che il dott. Funder, che ebbe solo due settimane fa a criticare l'antisanzionismo governativo, desidera adesso pronunciare alla Dieta un discorso in piena armonia con la politica estera di Berger cui ha anzi insistentemente chiesto un colloquio per opportune intese.

Relativamente alle cause del mutamento britannico nei nostri riguardi, l'impressione di questi circoli politici e dello stesso Berger è che Londra, allarmata dall'informazione di segrete costruzioni navali tedesche (sottomarini di speciale tipo e due grosse navi portaerei) in aperta deroga alla stipulazione del noto accordo navale, ed altresì nel timore che la Germania potesse continuare sulla stessa via avvalendosi dell'attuale situazione internazionale, abbia voluto prontamente aprire la via ad una composizione del conflitto itala-abissino, e ciò per avere quanto prima la possibilità di fronteggiare apertamente e direttamente la Germania nelle sue ambizioni militari e navali.

Quale che sia il fondamento di tale impressione austriaca, è comunque sintomatico che von Papen, proprio in questa ultima settimana, abbandonando le tergiversazioni finora frapposte alla presentazione delle note sue proposte di détente con l'Austria, si è dichiarato d'un tratto pronto ad iniziare le relative conversazioni a titolo del tutto ufficiale (l).

Nell'informarmene, Berger ha tenuto subito ad aggiungere ch'egli cerca invece tuttora di temporeggiare e ciò sempre nella speranza che l'evolversi della situazione internazionale possa rapidamente mettere l'Austria in una situazione più vantaggiosa.

Ciò si passava ieri. Stamane ha avuto luogo il consueto ricevimento diplomatico al quale ho incontrato il mio collega di Francia e quello di Germania. Il primo si è affrettato a mettermi al corrente della ripresa attività del von Papen aggiungendo subito: «fortunatamente Berger tiene duro sempre, rinviando il più possibile». Il secondo invece, dopo avermi rumorosamente felicitato (tanto che io gli ho chiesto donde tenesse le sue informazioni) per « l'imminente pace» nel conflitto itala-abissino, è tornato a lagnarsi un po' di tutto.

In succinto ha detto: l) Berger aveva dimostrato, nel suo ultimo discorso alla Dieta, tutta la sua disposizione ostile alla Germania, e ciò con l'accennare di nuovo al ristabilimento del Fronte di Stresa; 2) la politica austriaca non tendeva ad altro che a fare un « vacuum » intorno alla Germania; ogni manifestazione favorevole al Reich continuava ad essere severamente colpita, ogni amico della Germania punito, ogni sua personale iniziativa sabotata; 3) il Patto danubiano, benchè anch'esso diretto contro Berlino, poteva pur finire col ricevere l'adesione della Germania, ma questa non avrebbe potuto accedervi che sol quando fosse stato previamente raggiunto un diretto accordo austro-tedesco; senonchè era proprio contro questo vitale accordo che il Governo austriaco continuava ad opporre resistenze compiacendo così anche altrui esigenze

Ho avuto cura di rettificare, nel modo più opportuno e cordiale i diversi accenni del mio collega tedesco; e così fra l'altro, gli ho detto che mentre non potevasi riscontrare nel Patto danubiano alcuna intenzione ostile alla Germania, come ne era prova la cura con cui il Governo di Roma aveva sempre tenuto al corrente Berlino d'ogni trattativa, d'altra parte non riuscivo a comprendere -tanto diversa mi appariva la reale situazione -le sue allusioni alle resistenze che qui verrebbero frapposte alle sue volonterose iniziative.

Von Papen si è allora dilungato sulla sua buona volontà e sulla sincerità dei suoi sforzi, esprimendomi infine il desiderio d'intrattenersi meco, alla prima occasione in una lunga e confidenziale conversazione su tutto il problema dei rapporti austro-tedeschi.

Ho rilevato come von Papen non abbia questa volta meco accennato in alcuna guisa all'idea, sempre da lui favorita nel passato d'una diretta intesa itala-tedesca relativamente alla questione austriaca. Anzi come ho riferito egli ha voluto piuttosto sottolineare il punto che la conclusione d'un diretto accordo austro-tedesco costituirebbe la condizione primordiale per una adesione della Germania ad un eventuale Patto danubiano.

E di ciò ho avuto subito una conferma in quanto Berger mi ha riferito sulla conversazione da lui avuta poco innanzi col von Papen: e cioè che questi aveva talmente insistito sull'urgente necessità di un accordo diretto tra Berlino e Vienna, che egli Berger, aveva finito per dirgli apertamente che un siffatto accordo, stante la sproporzione intercedente fra le due parti avrebbe fatto dell'Austria una vera e propria vassalla di Berlino.

Berger mi ha detto pure che von Papen, relativamente alle proposte anglofrancesi pel conflitto itala-abissino, gli aveva dichiarato con vivacità che dette proposte non avevano alcun valore, l'Inghilterra volendo in realtà protrarre il conflitto fino alla stagione delle pioggie allorquando avrebbe facilmente ridotto l'Italia a patti! Occorre appena rilevare la stridente contraddizione fra questo giudizio e le parole dettemi dal von Papen, benchè a pochi minuti di distanza sullo stesso argomento.

(l) Per il testo del progetto cfr. Il contzttto itala-etiopico, Documenti, vol. II, c!t., pp. 238-240.

(l) Vedi da ultimo D. 451.

831

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2193/1483. Praga, 10 dicembre 1935 (per. il 16).

Mio telegramma n. 206 del 26 novembre u.s. <1).

Informai fin dal 26 novembre u.s. V. E. della progettata venuta a Praga del Cancelliere Schuschnigg per tenervi, dietro invito di questa Associazione degli Industriali, una conferenza di carattere economico. La conferenza dal titolo «Mezzi e finalità della ricostruzione economica nell'Europa Centrale » avrà, infatti, luogo, come preannunziai, il 16 corrente.

Mi fu detto, secondo il solito e per incominciare, che la visita avrebbe

avuto carattere privato; di giorno in giorno la si va colorendo di sfumature

politiche fino a preconizzare patti di amicizia e di mutua assistenza, nuove

tendenze e orientamenti politici, prese di posizioni e atteggiamenti dimo

strativi ecc.

Niente, suppongo, di tutto questo. La visita non sarà esclusivamente privata

né esclusivamente politica, e cioè presa a pretesto una conferenza privata si

parlerà di cose politiche. Che cosa a questo proposito venga a dire a Praga il

signor Schuschnigg non si sa con prec1s1one, ma poiché la visita si effettua dopo parecchi anni da un'altra analoga di Monsignor Seipel, e proprio quando la situazione europea è dominata dal conflitto itala-etiopico, è naturale che si vada in cerca di più o meno fantasiose connessioni fra quella e questo.

In questa stampa non si manca di accennare che l'Austria non sentendosi, come pel passato, abbastanza sicura col solo appoggio dell'Italia impegnata in Africa, cercherebbe ora di valorizzare amicizie ritenute finora non indispensabili. Probabilmente a Vienna vi sarà chi pensa che la Cecoslovacchia, profittando di una pretesa attenuata difesa della indipendenza austriaca da parte dell'Italia, cerchi di emancipare per quanto possibile l'Austria dall'Italia. Farmi che illazioni del genere non meritino troppo credito.

Ho chiesto oggi informazioni a Krofta. Il vice-Ministro degli Esteri mi ha detto che il Cancelliere s'incontrerà con Benes, col Presidente l:'iel Consiglio Hodza e vedrà fors'anche il Presidente della Repubblica; che tale visita farebbe in certo senso da «contrappeso» a quella di Gombos e Kanya a Vienna; che, facendo seguito all'incontro Benes-Berger Waldenegg nel maggio scorso a Tabor, avrebbe più che altro lo scopo di una dimostrazione di migliorati rapporti fra Vienna e Praga per una più intima considerazione dei problemi di comune interesse; che non vi è nessuno speciale accordo in vista, a parte le trattative di natura commerciale che si prolungano da tempo senza risultato.

Ho ragione di credere che Krofta non mi abbia nascosto piani reconditi, anche se non sia da escludere la preoccupazione di questo governo -che pur dichiara necessario un accordo centro-europeo d'intesa con l'Italia e con la Germania -di opporre alle mene germaniche ed ungheresi più stretti e diretti rapporti fra paesi analogamente interessati visto che, in presenza del conflitto itala-etiopico, di patto danubiano propugnato dall'Italia e desiderato dalla Cecoslovacchia per ora si parla poco o niente, mentre la Germania, incubo perenne, tace ed arma, mentre si ignora quali potranno essere gli orientamenti dell'Italia, indignata, a conflitto risolto, e mentre la vagheggiata promessa di assistenza russa disegnata da Benes e imbastita da Titulescu rimane tuttora .•uera mcompiuta.

(l) Non pubbHcato.

832

L'AMMIRAGLIO PINI AL MINISTERO DELLA MARINA (1)

TELESPR. 14 M/3. Londra, 10 dicembre 1935.

La conferenza navale si è inaugurata ieri mattina, 9 dicembre, secondo la procedura precedentemente fissata. Rimetto a V. E. in plico a parte le dichiarazioni dei delegati delle Potenze intervenute alla seduta di apertura.

Per riferire nel modo più chiaro possibile le impressioni ricevute in questo ambiente, nel quale convergono oggi tanti interessi mondiali e specialmente navali, ma sul quale sovrasta il conflitto in atto che tanto sta a cuore all'Italia, ritengo necessario brevemente elencare gli avvenimenti che si sono svolti mentre la Delegazione viaggiava da Roma a Londra.

Giovedì, 5 dicembre, giorno nel quale la Delegazione lasciò la capitale per raggiungere l'Inghilterra, il Ministro degli Esteri Sir Samuel Hoare faceva alla Camera dei Comuni il suo primo discorso politico susseguente alle recenti elezioni. In tale discorso egli affermava che l'embargo sul petrolio sarebbe stato imposto se prima non si fossero accettate condizioni scaturenti principalmente dal meccanismo ginevrino nel quale, come è noto, la salvaguardia degli interessi inglesi gioca la parte prevalente.

Nella breve sosta a Parigi fatta il mattino di venerdì. 6 dicembre, a S. E. l'Ambasciatore Cerruti espresse il suo convincimento che la Francia avrebbe aderito all'embargo sul petrolio costrettavi dall'attitudine adottata dalla Repubblica di non voler rompere i rapporti più che cordiali con l'Inghilterra.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, il Signor Lavai riportava alla Camera un voto di fiducia di inattesa estensione. Tale avvenimento rinforzava la posizione del Primo Ministro francese e fu pensato che la sua autorità di mediatore sarebbe aumentata a nostro vantaggio.

L'arrivo della Delegazione a Londra avvenne in un'atmosfera che posso designare come molto cordiale.

Si è avuta l'impressione che le personalità britanniche che hanno avuto contatti con noi fossero alleviate da preoccupazioni difficilmente dissimulabili in precedenti incontri, come diretto riflesso del discorso di Sir Samuel Hoare ai Comuni ed altresì per la imminente di lui partenza per Parigi, ove doveva formulare col Sig. Lavai una soluzione di conciliazione.

Nella capitale francese l'aumentata figura di Lavai trovava però di fronte alla persona del Ministro inglese fiancheggiato dal Segretario Permanente Sir Robert Vansittart e dall'incontro non poteva non sortirne che un rafforzamento del fronte franco-britannico.

Nel pomeriggio di sabato, 7 dicembre, giungevano a Londra le prime notizie circa l'incontro dei due Ministri al Quai d'Orsay, ma quasi contemporaneamente i giornali della sera riproducevano nel testo integrale le dichiarazioni fatte alla Camera da S. E. il Capo del Governo, che non hanno mancato di produrre profonda sensazione per la chiarezza e la forza con la quale la posizione dell'Italia è stata lumeggiata in questo fatidico momento della nostra storia nazionale.

Domenica, 8 dicembre, la stampa ha riportato integralmente il discorso del

Capo del Governo. I giornali a noi favorevoli ne hanno segnalata la sua im

portanza; quelli usualmente contrari, col silenzioso riserbo hanno riconosciuto

inutile ogni critica o reazione.

Nel pomeriggio dello stesso giorno la Delegazione veniva ricevuta all'Am

miragliato dal Primo Lord civile, Lord Monsell, e dal Primo Lord del Mare,

Ammiraglio Sir Chatfield, con la presenza del rappresentante del Foreign Of

fice Signor Craigie.

Ho riferito a V. E. sulla conversazione tecnica che si è svolta (l). Devo qui aggiungere l'impressione di un'accoglienza non solo cortese, ma deferente verso i rappresentanti di una Potenza che nelle attuali difficoltà emerge serena e fiera del suo diritto e la cui voce è attentamente valutata e considerata.

Si deve ritenere che nel retroscena di questi avvenimenti agisca sensibilmente e principalmente la graduale impassibile penetrazione giapponese in Cina che deve aver finito per dare l'allarme ai più ottusi.

Alle osservazioni fatte in proposito dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra il Giappone risponde che si tratta di affari interni della Cina e tale irritante risposta deve per forza di cose essere subita mentre poi con la proposta di un tonnellaggio globale unico la Delegazione giapponese alla conferenza sostiene il programma della parità con gli Stati Uniti e con l'Inghilterra.

Tale tesi, in aperto contrasto con quella che sosterranno gli Stati Uniti, fa prevedere che la discussione sul problema quantitativo (come la seduta di oggi -10 dicembre -ha fatto chiaramente intravedere) prenderà un carattere piuttosto acre.

Nei discorsi di apertura e nei contatti preliminari il Giappone ha riaffermato le tesi già rese pubbliche dal porta-voce del Ministero degli Esteri di Tokio; l'Inghilterra ha affermato l'enorme interesse che pone nelle limitazioni qualitative; gli Stati Uniti a conseguire una limitazione sul totale delle flotte esistenti, mantenendo però le «ratios, fissate nei precedenti trattati; l'Italia e la Francia hanno fatto comprendere che non è più il caso di parlare di graduazione fra le grandi Potenze, e che per corrispondere agli interessi politico-tecnici in continua evoluzione gli Stati debbono limitare i loro impegni per un periodo di tempo assai breve.

Concludendo, si delinea quindi un forte contrasto nippo-americano sulla questione delle proporzioni ed un contrasto delle quattro potenze bianche contro il Giappone per indurlo a discutere limiti qualitativi al di fuori di un accordo previamente raggiunto sui limiti quantitativi. In ultimo verranno le discussioni circa i tonnellaggi unitari dei vari tipi di navi, nel qual problema le tendenze di partenza fra Stati Uniti e Inghilterra sono decisamente lontane.

La conferenza navale inizia, dunque, i suoi lavori in un'atmosfera nella quale le divergenze tecniche sono fiancheggiate da divergenze politiche di estrema sensibilità ed importanza.

(l) In Achivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare.

833

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 9507/1310 R. Londra, 11 dicembre 1935, ore 3 (per. ore 9,15).

Progetto Hoare-Laval è stato approvato dal Gabinetto britannico nella seduta di ieri e approvazione è stata comunicata a Parigi.

Stamane, ad iniziativa di Eden, si è riunito di nuovo il Gabinetto..Si è discusso a lungo circa possibilità introdurre sostanziali mutamenti al progetto Hoare-Laval.

Seduta di oggi alla Camera dei Comuni è stata piuttosto movimentata. La stessa Assemblea, che ha applaudito giovedì 5 corrente discorso di Austin Chamberlain in favore di un accordo italo-inglese sulla questione etiopica, ha accolto stasera con applausi Eden, manifestando Assemblea disapprovazione per il progetto Hoare-Laval.

Parlatosi con insistenza di dimissioni di Eden, che però non sono state date e quasi certamente non lo saranno.

Nei circoli governativi si diceva stasera apertamente che eventuale rifiuto dell'Italia di negoziare sul progetto Hoare-Laval sarebbe accolto con sollievo perché toglierebbe Gabinetto dalla posizione di imbarazzo in cui tale progetto lo ha messo.

Eden parte domani per Ginevra.

(l) Non pubbl!cato.

834

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. PER RADIO 2664/319 R. Roma, 11 dicembre 1935, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 458 (l).

Annuncio conferimento Scaroni funzioni e poteri in tutto e per tutto identici quelli esercitati da suo predecessore fa bene augurare continuazione e sviluppo opera Missione aeronautica italiana e collaborazione italo-cinese nell'importante campo dell'Aeronautica.

Prego V. E. esprimere mio compiacimento a Chang Kai-Shek.

835

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. PER RADIO 2668/320 R. Roma, 11 dicembre 1935, ore 24.

Corre voce che Cina si rivolgerebbe alla S.d.N. Accerti notizia e agisca ad ogni modo nel senso di ottenere tale ricorso.

Per riservata informazione di V. E. aggiungo che Ambasciatore di Cina ha detto confidenzialmente a questo Ministero avere telegrafato personalmente a Chang Kai-Shek consigliando appello Cina alla Lega.

Incoraggi inoltre ulteriore svolgimento passi che sarebbero stati fatti da Rappresentanti cinesi presso Governo britannico e altri Governi firmatari trattato Washington Nove Potenze (telegramma di questo Ministero n. 2612) (1).

Sarebbe utile chiarire presso quali Governi passi anzidetti siano stati effettivamente fatti e perché analogo passo non sia stato finora fatto a Roma (2).

(l) Con T. 9434/458 R. dell'8 dicembre 1935 Lojacono aveva fatto l'annuncio di cui si tratta.

836

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FONOGRAMMA 9519/624 R. Ginevra, 11 dicembre 1935 (3).

Molta impressione e in alcuni ambienti molta soddisfazione produce notizia che Negus rifiuterebbe di discutere progetto franco-inglese e che Legazione etiopica a Parigi ha già pubblicato stasera un comunicato al riguardo.

837

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO R. Roma, 11 dicembre 1935.

Ho ricevuto stamane il signor Shearer sul quale, come V. E. vorrà ricordare, ha di recente diffusamente riferito il R. Ambasciatore in Washtngton (4).

Il signor Shearer -che l'Ambasciatore Rosso ha definito «intelligentissimo e scrupoloso esponente della tendenza nord-americana, nazionalista e antibritannco ~ -mi è apparso come una persona molto abile e profonda conoscitrice della politica interna del suo Paese in cui lo Shearer ha più volte preso parte attiva.

Lo Shearer, che già V. E. si degnò ricevere quando nel 1927 egli accompagnò a Roma l'allora Sindaco di New York, John Walker, mi ha chiesto subito l'onore di ottenere udienza da V. E.

In previsione che questa sia prossimamente fissata (5) come da appunto di questo Gabinetto in data 3 corrente, approvato dall'E. V., ritengo doveroso riferire quanto lo Shearer mi ha esposto nel corso della conversazione al fine di fornire tempestivamente all'E. V. opportuni elementi di giudizio.

Dal colloquio è emerso, quanto già aveva segnalato l'Ambasciatore Rosso e cioè che lo Shearer, data l'attuale coincidenza degli interessi per cui egli se

gretamente agisce (tendenza nazionalista anti-britannica, Stato Maggiore della Marina, grandi ditte costruttrici navali) con gli interessi italiani anti-sanzionisti, avrebbe un piano di azione da svolgere in favore di una benevola neutralità della Repubblica stellata in favore dell'Italia, che dovrebbe apparire ispirata unicamente da interessi nazionali americani.

Egli si proporrebbe infatti di trasportare, con i mezzi di persuasione e di propaganda che sono a sua disposizione, sotto tutt'altra veste, la questione internazionale delle sanzioni sul terreno della politica interna nord-americana.

Riporto qui di seguito quanto lo Shearer mi ha detto circa questo suo piano di azione che egli intende sottoporre all'E. V.

Secondo lo Shearer è facilmente dimostrabile che il movimento sanzionista anche in America è favorito dai nemici della Chiesa di Roma e ha assunto anche in quel Paese un aspetto di lotta contro il cattolicesimo. (Egli mi ha accennato in proposito alla lotta anti-cattolica e anti-italiana fomentata dal «Federai Council of Churches of Christ » d'America, Consiglio che è diretto da due oriundi inglesi Bishop Manning e Doctor S. Parks Cadman, ed è finanziariamente appoggiato sulla Fondazione Carnegie britannica. Come pure alla violentissima propaganda anti-cattolica e ben s'intenda anti-italiana fatta ora in America dalla British High Church, diretta da elementi inglesi).

Questa azione degli elementi britannici, oriundi inglesi ed in genere protestanti, opportunamente presentata ai venticinque milioni di cattolici americani non potrebbe, secondo lo Shearer, non commuovere profondamente questa massa cattolica, il cui consenso è indispensabile al Presidente Roosevelt nell'imminenza delle elezioni del 1936.

I cattolici americani organizzati nella difesa della loro fede in una, elettoralmente pericolosa, reazione all'inframmettenza britannica nella politica nordamericana, non potrebbero che logicamente far deflettere Roosevelt dalla sua politica filo-inglese e larvatamente sanzionista.

Personalità importantissime del Partito democratico, quali: A. Smith, (già candidato alla Presidenza); O. M. Curley, Governatore del Massachusset; il Senatore Walsh, Farley Post Master Generai e Chairman del Partito democratico; Mullen, «Manager» elettorale di Roosevelt; Roscob, altro Chairman del Partito democratico e comproprietario della grande ditta Du Pont de Memours, e molti altri, tutti cattolici, sarebbero sensibiìissimi per ragioni di fede e per interessi elettorali a questo movimento di reazione cattolica, anti-britannico e quindi antisanzionista.

Shearer mi ha detto che bisogna pure tener presente che i due candidati repubblicani per la Presidenza, Senatore Borah e Senatore Dikenson, come anche il Chairman del Partito repubblicano Fletcher, già Ambasciatore a Roma, sono nettamente antisanzionisti.

Roosevelt potrebbe quindi vedere seriamente minacciata la probabilità dl una sua rielezione (ricordando che ha avuto pochissimi milioni di maggioranza nelle ultime elezioni), se la mossa degli elettori cattolici, in relazione a questo suo atteggiamento filo-britannico e indirettamente anti-cattolico, abbandonasse il suo tradizionale appoggio al Partito democratico e votasse, opportunamente incitata dagli anti-sanzionisti repubblicani, per il grande partito opposto.

Per concludere, ho l'onore di segnalare alla particolare attenzione dell'E. V. questo progetto dello Shearer, il quale mi sembra, per le segnalazioni dell'Am~ basciatore Rosso e per le conoscenze che egli ha nel campo politico e religioso (tra l'altro è grande amico del noto Padre Coughlin) persona capace di avere numerose probabilità di attuare questo piano che, tenendo presente le caratteristiche politiche dello Shearer, mi sembra chiaramente coincidere con un altro suo piano segreto -e per cui ho l'impressione debba avere avuto speciali altri incarichi -di favorire un voto repubblicano delle masse elettorali cattoliche americane.

(l) -Non pubblicato. (2) -Per la risposta di Lojacono vedi D. 889. (3) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (4) -Vedi DD. 592 e 710. (5) -Vedi D. 892.
838

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4574/1829. Berlino, 11 dicembre 1935 (per. il 13).

Vari giornali hanno pubblicato che, nel recente incontro Hoare-Laval, i due Ministri si sarebbero messi di accordo per esercitare prossimamente un'azione comune sulla Germania per indurla ad una intesa in materia di limitazione degli armamenti.

Ho domandato a Neurath cosa gli constasse in proposito. Egli mi ha risposto di nulla sapere e anzi di non credere nelle voci di cui sopra. Non esclude, peraltro, che un tentativo nel senso indicato vi possa essere e forse abbastanza presto. « Me lo aspetto -egli ha detto -da un momento all'altro ».

Neurath ha proseguito dicendo che tutto questo fa parte del consueto gioco diplomatico franco-inglese, il quale tende a far apparire la Germania come l'ostacolo permanente ad ogni limitazione degli armamenti. Tutto ciò non è esatto e la Germania -dice Neurath -ha la risposta pronta. Fin dalla fine di maggio il Governo tedesco ha inviato al Foreign Office un progetto, non definitivo naturalmente ma tuttavia abbastanza circostanziato, di accordo aereo (1). Cosa ne hanno fatto gli anglo-francesi? Nulla. Sta ad essi, quindi e non ai tedeschi, di venir fuori con proposte ulteriori.

Ho domandato a Neurath se la situazione non fosse alquanto mutata in seguito alla conversazione Hitler-François-Poncet. Egli mi ha risposto di no, dicendo che, dopo tutto, Hitler aveva fatto bensì delle riserve sulla opportunità del momento, ma non cambiato la sua posizione di massima, favorevole ad un accordo.

Ho pure chiesto se il progetto tedesco fosse stato comunicato ad altri Governi all'infuori di quello inglese. Neurath mi ha detto che, per quanto riguarda Parigi, Simon si era impegnato a farlo egli stesso. Per quanto riguarda Roma, egli credeva ricordare di aver dato comunicazione del progetto a von Hassel che certamente ne avrà informato l'E. V.

V. E. -aggiungo io -ha già a suo tempo ricevuto ampie informazioni in proposito dall'Ambasciatore Cerruti (telecorriere 1° giugno e seguenti) (1). Pregherei, comunque, accertare se effettivamente von Hassel abbia fatto a Roma una qualche comunicazione, informandomene per norma.

Per quanto riguarda, peraltro, il merito del negoziato devo aggiungere che, -a prescindere dalla opportunità del momento -è molto probabile che una discussione concreta in materia di disarmo aereo possa riportare alla ribalta la questione degli armamenti sovietici (mio telespresso del 3 corrente n. 1813 pag. 3) (2).

(l) Con T. 2866/160 R. del 28 maggio 1935, ore 19,32, Cerruti aveva comunicato che il progetto tedesco sarebbe stato presentato in tale data al Governo inglese resosi «punto di raccolta dei desiderata di vari Governi».

839

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 8202/2726. Parigi, 11 dicembre 1935. (per. il 13).

A seguito della comunicazione telefonica odierna, ho l'onore di trasmettere, qui unito, copia del promemoria rimessomi questa mattina dal signor Lavai, concernente le proposte elaborate dai Governi francese e britannico per servire di base ad un regolamento amichevole del conflitto itala-etiopico (3).

BASES D'UN REGLEMENT AMIABLE DU CONFLIT ITALO-ETHIOPIEN

l" -Echanges territoriaux:

Le Gouvernement du Royaume-Uni et le Gouvernement français sont d'accord pour recommander au Gouvernement éthiopien de consentir aux échanges territoriaux suivants avec l'Italie;

A) Tigré-Cession à l'Ital.ie du Tigré Orienta! limité approximativement au Sud par la rivière Gheva et à l'ouest par une ligne Nord-Sud passant entre Axoum (à l'Ethiopie) et Adoua (à l'Italie).

B) Rectif.ication de frontières entre le pays des Danakils et l'Erythrée, laissant au Sud l'Aoussa et l'étendue de ten-itoire érythréen nécessairè pour donner à l'Ethiopie un accès à la mer tel qu'il sera défini plus loin.

C) Rectification de frontières entre l'Ogaden et la Somalie italienne, partant du point de trijonction entre les frontières de l'Ethiopie, du Kenya et de la Somalie 1talienne, la nouvelle frontière italo-éthiopienne se dirigerait suivant une ligne générale Nord-Est, couperait l'Oued Schebe1i à Iddidolé, laisseraàt Gorrahey à l'Est, Ouarandao à l'Ouest et rejoindrait la frontière de la Somalie britannique à son intersection avec le 45ème méridien.

Les droits appartenant aux tribus de la Somalie britannique pour l'usage des pàturages et des points d'eau situés dans !es territoires reconnus à l'Italie par cette délimttation devraient étre sauvegardés.

D> L'Ethiopie recevra en toute propriété un débouché sur la mer. Ce débouché parait devoir etre constitué de préférence par la cession qui consentirait l'Italie du port d'Assab et d'une bande de .territoire donnant accès à ce port en longeant la frontière Nord de la Còte française des Somalis.

Le Gouvernement du Royaume Uni et le Gouvernement françaàs se préoccuperont d'obtenir du Gouvernement éthiopien des garanties concernant l'exécution dans las territoires acquis par lui des obligations qui lui incombent en matière d'exclavage et de commerce des armes.

2° -Zone d'expansion economique et de peuplement.

Le Gouvernement du Royaume-Un\ et le Gouvernement français useront de leuc influence à Addis-Abéba et à Genève pour faire accepter par Sa Majesté l'Empereur et consacrer par la Société des Nations, la constitution dans l'Ethiopie méridionale d'une :wne d'expansion économique et de peuplement réservée à l'Italie.

Les limites de cette zòne seraient: à l'est la frontière rectifiée entre l'Ethiopie et la Somalie italienne au Nord le Bème parallèle, à l'Ouest le 35 méi'idien, au Sud la frontière entre l'Ethiopie et le Kenya.

A l'intérieur de cette zòne formant partie intégrante de l'Etbiopie, l'Italie jouira1t de droits économiques exclusifs qui pourraient étre administrés pax une compagnie privilég:ee ou tout autre organisme similaire à qui seraient reconnus, sous réserve des aroits acquis par les indigènes ou les étrangers, le droit de propriété sur les terres inoccupées, le manopole d'exploitation des mines et des forèts, etc. Cet organ.isme aurait l'obLigation de contribuer à l'équipement économique du pays et d'.affecter une part1e de ses revenus à des dépenses d'intérèt social en faveur de la popuiation indigène.

Le contròle de l'administration éthiopienne dans Ia zòne serait exercé sous la souveraineté de l'Empereur par les services du plan d',assistance élaboré par la Société des Nations. L'Italie prendrait une part prépondérante, mais non exclusive, à des services qui relèveraient directement d'un des conseillers principaux instiitué auprès du Gouvernement Centrai. Ledit Conseiller principal, qui pourrait etre de nationalité italienne, serait l'adjoint pour les affaires en question du Conseiller en Chef, délégué de la Société des Nations auprès de l'Empereur. Ce dernier ne serait pas ressortissant d'une des Puissances limitrophes de l'Ethiopie.

Les services du p1an d'assistance, dans la capitale aussi bien que dans la zònP

réservée considéreraient comme un de leurs devoirs essentiels d'assurer la sécurité des

ressortissants italiens et le libre dèveioppement de leurs entrepr.ises.

Le Gouvernement du Royaume-Uni et le Gouvernement Français s'emploieront volontiers pour que cette organisation dont le détail doit etre éléboré par la SÒC.iété des Nations sauvegarde plei:nement les intérèts de l'Italie dans cette région.

(l) -Con il T. 2995/0163 R. del ]o giugno 1935, Cerruti aveva fornito dettagli sul progetto tedesco: testo brevissimo dello stesso, mancanza dti indicazione di cifre, intenzione di fissare un maximum identico per le quattro Potenze interessate e conferma tedesca del rispetto degli obblighi derivanti dal Patto di governo anche non facendo più parte della S.d.N. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Il documento era stato formalmente presentato a Mussolini dagli ambasciatori di FranciC~ e Gran Bretagna nel pomeriggio dell'l! dicembre.
840

IL MINISTRO A KABUL, SABETTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9559/56 R. Kabul, 12 dicembre 1935, ore 16 (per. ore 19,40).

Comunicale il testo della risposta di questo Governo alla nota verbale dell'll novembre (l):

« Ministro degli Affari Esteri si onora di far conoscere che il Governo dell'Afghanistan, quale membro pacifico della S.d.N. e date le sue cordiali relazioni amichevoli con l'Italia, augurava sinceramente che il conflitto itala-etiopico si sarebbe risolto con riconciliazione e pace. Ma poichè, contrariamente ai sinceri voti per la pace del Governo afghano ed alle raccomandazioni della

S.d.N. si è decisa la guerra; dato che la S.d.N. ha preso le proprie responsabilità ed ha deciso una linea di condotta collettiva, anche l'Afghanistan, quale membro della S.d.N. ed in conformità promesse rispettare impegni presi, è costretto rispettare decisioni della S.d.N. ».

Sta di fatto che questo Governo a tutt'oggi non ha applicata nessuna sanzione nè finanziaria, né economica contro l'Italia, essendosi limitato, con la suddetta nota di risposta, ad una platonica, dichiarazione di principio.

Segue rapporto (1).

(l) Vedi D. 602, nota 2.

841

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 0269 (2). Parigi, 12 dicembre 1935.

Mi risulta da confidenze fattemi che nel Consiglio dei Ministri del 10 corrente Lavai deplorò aspramente le indiscrezioni che avevano permesso a Pertinax nell'Echo de Paris e alla Signora Tabouis nell'Oeuvre di fare rivelazioni circa il contenuto della proposta di conciliazione franco inglese.

Siccome tanto l'uno che l'altra sono avversari accaniti di Lavai ed amici di Herriot, quest'ultimo, sentendosi toccato personalmente, assicurò sulla parola d'onore di non avere rivelato nulla.

Poichè le indiscrezioni ci sono state, rimane nei circoli politici e diplomatici la sensazione che esse siano partite dallo stesso Quai d'Orsay ed anche la stampa si è già fatta eco di tale rimprovero (3).

842

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 12 dicembre 1935.

Avverto il Signor Chambrun che noi non daremo una risposta fino al 19 perché la questione deve passare in Gran Consiglio.

L'Ambasciatore ritiene che il Signor Lavai rimarrà molto colpito da questa notizia perché egli calcolava su una risposta italiana più sollecita; chiede se non si possa anticipare il Gran Consiglio; fa presente che tanto in Francia che

in Inghilterra si sono convocati immediatamente i rispettivi Consigli dei Ministri per discutere la cosa.

Gli rispondo che noi dobbiamo ponderare bene le condizioni, perché una cosa è rispondere in proprio e altra cosa è fare i mediatori. È quindi meglio che egli faccia sapere senz'altro al Sig. Lavai che la risposta non potrà venire prima della data indicatagli.

Il Signor Chambrun insiste perchè si mandi a Ginevra il Barone Aloisi o, se non si ritiene giustificata la presenza del Primo delegato a Ginevra in questo momento, il Ministro Rocco per poter avere dei contatti col Signor Lavai.

Gli rispondo che ciò non è possibile appunto perchè in questo momento non sarebbe giustificata la presenza a Ginevra nè del Delegato italiano, nè del suo sostituto.

L'Ambasciatore mi dice che il Signor Lavai è rimasto molto deluso nell'apprendere che non si voleva inviare nessuno a Ginevra.

Osservo al Signor Chambrun che ad ogni modo, poichè il Consiglio è convocato per il 18 non si vede che cosa andrebbe a fare ora il nostro Rappresentante a Ginevra.

L'Ambasciatore considera che quindi per il 18 ci sarà il nostro Rappresentante.

Gli rispondo che ciò non è sicuro; la cosa è appena da esaminare.

Accenno all'Ambasciatore, senza volergli dare dei suggerimenti che la cosa migliore sarebbe che il 18 il Consiglio desse mandato a Francia e Gran Bretagna di continuare l'esame della questione tenendosi in rapporto con le parti interessate.

L'Ambasciatore mi chiede poi le impressioni sul Piano (1).

Gli rispondo che il Capo del Governo quanto più l'esamina tanto più si persuade che questo Piano è di poca soddisfazione per noi. C'è una parte che riguarda uno scambio di territori dalla quale il Negus esce fuori forse meglio dell'Italia. C'è la parte della zona riservata che è stata combinata in modo che noi non abbiamo nè la sicurezza per le nostre colonie, nè la libertà necessaria per svolgere un'opera proficua al fine di mettere in valore il paese.

L'Ambasciatore ha l'impressione che queste nostre vedute siano ristrette ad una parte piuttosto formalistica. La verità è che nella zona riservata saremmo i padroni noi e che la stessa per il Negus è perduta. Certi miglioramenti bisognerà attenerli in via di negoziato.

Il Signor Chambrun ritiene che se respingeremo le proposte perderemo una occasione che forse non si ripeterà più e nessuno al mondo capirà le ragioni di tale politica. Egli non vede una rapida decisione dal lato militare perchè gli abissini non accetteranno battaglia e d'altra parte noi non possiamo avanzare rapidamente.

Mi chiede se le osservazioni fatte devono essere considerate come un preludio per una ripulsa. Gli rispondo che non c'è nulla che lo autorizzi a questa conclusione; stiamo appena esaminando il progetto e non abbiamo nessun partito preso.

(!) Vedi D. 839.

'iì ---Documenti Diplon,ati~i -Serle VIII -Vul. II

L'Ambasciatore mi dice che toccherà solo leggermente col Signor Lavai la questione delle nostre critiche perchè il Signor Lavai è già molto amareggiato in quanto ha l'impressione che in Italia non si apprezzino gli sforzi che sta facendo nell'interesse italiano (l).

(l) -Non rinvenuto. (2) -Manca il numero di protocollo di arrivo perché il telegramma non è stato registrato. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
843

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma. 12 dicembre 1935.

Colloquio con l'Ambasciatore di Francia.

Con molta premura mi ha chiesto quali fossero le prime impressioni sul progetto franco-inglese (2), aggiungendo che Lavai gli ha telefonato di usare tutti i mezzi per affrettare una risposta del R. Governo.

Gli ho replicato che il documento è sotto esame e che difficilmente potrà esser data una risposta prima di un certo tempo. Quanto alle impressioni, ho preferito tacere.

Ho aggiunto che la circostanza che già da un mese V. E. ha convocato il Gran Consiglio per il 18 rendeva poco spiegabile la pretesa a tanta urgenza.

Da quanto ho capito, anche Lavai si era immaginato che ci saremmo precipitati per far pervenire la risposta prima del 12, in modo da scongiurare le deprecate sanzioni sul petrolio.

Ho pienamente disilluso Chambrun su queste malfondate speranze. Indipendentemente dalla convocazione dei comitati ginevrini, V. E. risponderà quando e come crederà opportuno (1).

844

COLLOQUIO DEL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, CON L'AMBASCIATORE DELL'UNIONE SOVIETICA A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 12 dicembre 1935.

Con tono eccitato ha tenuto a chiarire un recente malinteso fra i nostri Governi. L'Ambasciatore barone di Valentino ha protestato presso Litvinov per la parte avuta dalla Delegazione sovietica a Ginevra nel promuovere l'allargamento delle sanzioni.

In base a schiarimenti, che Litvinov ha telegraficamente richiesto a Potiemkine, il Governo sovietico ha potuto rispondere al nostro Ambasciatore che nella seduta in cui era stato discusso l'argomento in questione il rappresentante dell'U.R.S.S. era assente, per cui era escluso che avesse potuto espletare una qualsiasi azione nel senso da noi indicato.

Dopo tale spiegazione Stein spera che il malinteso sia dissipato e chiede se sia possibile conoscere da quale fonte il R. Ambasciatore sia venuto a conoscenza della pretesa azione svolta dalla Delegazione sovietica.

Infine Stein mi ha pregato di attirare l'attenzione di V. E. su di un articolo ostilissimo all'U.R.S.S. pubblicato dal Popolo di Roma di ieri (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 839.
845

L'AMMIRAGLIO PINI ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

TELESPR. 20. Londra, 12 dicembre 1935.

Informo V. E. di quanto segue:

l) Prima della partenza da Roma, fui ricevuto, insieme all'Ammiraglio Raineri Biscia, da S. E. il Capo del Governo che aveva già preso visione della tabella riassuntiva delle questioni tecniche qualitative, già rimessa a V. E. unitamente al fascicolo contenente l'estensione dei criteri illustrati dalla tabella suddetta.

2) S. E. il Capo del Governo aveva già espresso la sua approvazione generica ai punti di vista indicati nella tabella stessa.

3) Fu fatto rilevare a S. E. il Capo del Governo che in quei giorni però, la questione quantitativa, in conseguenza del fermo atteggiamento giapponese in merito, appariva essere divenuta questione di primaria importanza. Su questo argomento S. E. il Capo del Governo, dopo averlo accuratamente considerato, espresse la sua adesione al criterio della limitazione quantitativa basata sul concetto giapponese del «common upper limit»: rendendosi però poi conto delle difficoltà, che inevitabilmente tale criterio avrebbe trovato in sede di conferenza, anche nei riguardi della discussione che avrebbero potuto rinascere tra noi e la Francia in tema di parità navale, S. E. il Capo del Governo passò ad analizzare i criteri che ispirano la formula italiana di limitazione quantitativa consistente nell'annuncio dei programmi annuali di costruzioni, convincendosi che tale formula non solo salverebbe integralmente il criterio della parità navale, pur permettendo di non parlarne in modo esplicito, ma farebbe addirittura progredire la posizione dell'Italia che dal criterio dl uguaglianza di diritto con le nazioni continentali passerebbe a quello di uguaglianza di diritto con tutte le marine del mondo: concluse su questo argomento, prescrivendo di non accennare mai esplicitamente alla questione della parità navale con la Francia e di sostenere la tesi della limitazione quantitativa basata sull'annuncio dei programmi annuali.

4) Il criterio teorico fondamentale della tesi italiana è sostanzialmente lo stesso di quello della proposta inglese dell'annuncio dei programmi sessennali,

ma se ne discosta pei·ò nell'attuazione pratica. Ambedue i sistemi non possono essere considerati come efficaci misure verso una effettiva limitazione degli armamenti navali, ma solo come formule tendenti a rendere impossibile improvvisi distanziamenti fra il livello di una flotta e quello di altra flotta che si vuole praticamente eguagliare e tenere a distanza prestabilita. La proposta inglese però presuppone anche necessariamente, che prima di dichiarare il programma sessennale di costruzioni, o meglio i tonnellaggi massimi di costruzioni navali nelle singole categorie che ogni Governo si impegnerebbe di non oltrepassare nel sessennio, vi sia un'intesa fra i vari Gaverni per concordare le cifre di tali programmi: è ovvio infatti che nessuna marina potrebbe iniziare la dichiarazione di un programma vincolante per sei anni se non avesse prima avuto esatta notizia delle intenzioni delle altre. Ne derivano due sostanziali inconvenienti. Necessità di un accordo generale tra le varie marine, ogni sessennio, sui propri programmi navali, accordo che ovviamente sarebbe sempre difficile realizzare e che presumibilmente farebbe rinascere ad ogni sessennio discussioni sulla parità itala-francese; vincolo nelle costruzioni per un periodo di tempo pari all'incirca ad un terzo -un quarto della vita delle navi.

L'applicazione della proposta italiana invece, è molto più elastica e semplice, perché l'annuncio del solo programma annuale costituisce un vincolo molto breve, non richiede il preventivo accordo sui programmi da annunciare e dà facoltà a ciascuna marina di provvedere rapidamente ad eventuali anche forti modifiche nello sviluppo delle proprie costruzioni navali, qualora tali modifiche fossero rese necessarie da situazioni politiche mutate o da ingiustificati programmi navali altrui.

5) In merito alle questioni qualitative, S. E. il Capo del Governo non ebbe nulla da aggiungere all'approvazione generica ricordata al comma 2° del presente foglio da Lui già data ai punti di vista indicati nella tabella riassuntiva e si soffermò solo sulla questione dei « gaps » affermando che quest'argomento doveva essere tenuto aperto come terreno di manovra e di contrattazione di una certa importanza.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare.
846

IL SEGRETARIO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., MASCIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9554/636 R. Ginevra, 13 dicembre 1935, ore 0,30 (per. ore 0,45).

Il Comitato dei Diciotto si è riunito oggi alle 16,30.

Il discorso Laval è stato molto misurato. Il signor Rochat ha tenuto a comunicarci alla fine della seduta che il Presidente Laval ha cercato in ogni modo di non dare l'impressione, sopratutto a Roma, che si intendesse esercitare una qualsiasi pressione attraverso il Comitato del Diciotto. Egli si è limitato a dichiarare che apparteneva ora alla S.d.N. di « decidere quello che doveva essere fatto ». Il discorso Eden ha invece tutt'altro tono ed ha creato nei circoli francesi penosa impressione. Non si esita infatti a dichiarare che il discorso ha sopratutto scopi di politica interna e viene qualificato come una manovra contro Hoare. È stata molto notata l'enfasi con cui Eden ha tenuto a dichiarare, in contrasto con la riserva tenuta da Lavai, che le proposte di Parigi non dovevano essere considerate come intangibili e che, qualora S.d.N. non le approvasse, i due Governi sarebbero stati felici di ricevere qualsiasi suggerimento che potesse migliorarle.

Negli ambienti della S.d.N. si fa rilevare che gli sforzi fatti da Lavai per investire della questione il Comitato dei Cinque non hanno avuto successo per l'opposizione manifestatasi sino da stamane da parte turca e polacca. Il tentativo, inoltre, da lui fatto di fare anticipare a sabato la riunione del Consiglio, per evitare che in questo giorno l'intrigo societario contro le proposte di Parigi possa prendere piede, si è urtato contro opposizione inglese.

Questa sera si annunzia che la riunione del Consiglio è rinviata al 18 dicembre sempre con lo stesso ordine del giorno; è stata però fatta l'aggiunta che in quella occasione Consiglio riceverà delle comunicazioni circa conflitto italaetiopico. In certi ambienti si dichiara che tale rinvio darà possibilità a Litvinov di giungere a Ginevra e di rafforzare l'opposizione ginevrina alle proposte di Parigi.

Lavai parte domani mattina per Parigi.

847

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 9593/179 R. Sofia, 13 dicembre 1935, ore 11 (per. ore 22,30).

Questa sera mi è stata consegnata la risposta del Governo bulgaro alla nota dell'll novembre (l) che invierò col corriere di domani (2).

Formalmente nota bulgara è redatta in termini generali estremamente amichevoli: sostanzialmente vi si ripete che Bulgaria, contrariamente ai suoi sentimenti, ha dovuto «per più ragioni>> osservare l'interpretazione data al Patto dall'Istituto ginevrino e applicarne le misure.

Termina con l'affermazione che Governo bulgaro vuole mantenere con l'Italia relazioni improntate a massima fiducia.

848

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9597/189 R. Varsavia, 13 dicembre 1935, ore 22,55 (per. ore 3 del 14).

Beck, col quale ho parlato adesso, mi ha annunziato che, a seguito manifestazione stampa e opinione pubblica inglesi contro soluzione per noi onorevole

del conflitto italo-etiopico, egli si reca a Ginevra allo scopo di seguire più da vicino gli sviluppi procedurali che avranno la discussione e intervenire contro eventuali manovre e opposizioni al raggiungimento della soluzione. Ministro mi incarica di fare sapere a V. E. che Delegato polacco a Ginevra ha preso ieri netta e definitiva posizione contro qualunque allargamento delle sanzioni e che domani questa stampa metterà in particolare rilievo questo atteggiamento della Polonia.

Visto le attuali disposizioni di Beck ritengo necessario che a Ginevra vengano stabiliti e mantenuti con lui i più stretti contatti facendogli anche sapere quanto sia da parte nostra [apprezzato] suo atteggiamento e suoi propositi (1).

Attiro l'attenzione di V. E. su mio rapporto n. 1015 del 12 corrente (2) trasmesso per corriere in partenza questa sera.

(l) -Vedi D. 602, nota 2. (2) -Non pubblica.to.
849

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9984/0381 R. Londra, 13 dicembre 1935 (per. il 27).

Ammiraglio Pini mi ha comunicato istruzioni (3) ricevute prima della sua partenza Roma circa questioni tecniche esaminarsi nella Conferenza navale, e circa condotta che delegazione deve assumere nel corso delle discussioni. Nulla naturalmente da obiettare circa questioni tecniche che soltanto Ministro Marina ha competenza di fissare, e che Delegazione italiana cercherà di risolvere nel senso indicato dalle istruzioni che Ammiraglio Pini ha portato con sé.

Circa condotta Delegazione alla conferenza, e circa fini da raggiungersi nel campo più generale della nostra politica navale, Ammiraglio Pini mi comunica avere avuto precise istruzioni verbali di non pronunciare né il motto «parità» né di fare comunque nulla fuori dei limiti delle soluzioni tecniche che possa ris~hiare un contrasto della delegazione francese.

Io mi rendo perfettamente conto della utilità, in questo momento, di una azione comune franco-italiana alla Conferenza Navale di Londra, ma è chiaro che ciò non deve significare la nostra rinuncia a quello che è stata sinora, nei confronti non solo della Francia, ma bensì di tutte le Potenze, la base fondamentale della nostra politica navale, e alle posizioni che abbiamo difeso nel campo della gerarchia fra le grandi Potenze navali, alla Conferenza Navale di Londra nel 1939. Tali espulsioni si riassumono nella formula: parità navale colla Potenza continentale più armata. Sicuro di interpretare il pensiero del Duce mi

regolerò quindi, durante il corso delle discussioni, secondo la direttiva seguente: azione il più possibile concordata colla delegazione francese, senza tuttavia rinunciare, anzi al contrario, riaffermando ogni qualvolta sia utile di farlo, i principi fondamentali che il Duce ha posto alla politica navale dell'Italia.

Ritengo inoltre ci convenga di utilizzare al massimo (e ciò proprio allo scopo di raggiungere quelle soluzioni di carattere tecnico che giustamente premono alla R. Marina) la riserva di carattere generale fatta a nome del Governo fascista nelle nostre dichiarazioni alla seduta di apertura della conferenza lunedì 9 corr. circa l'attuale situazione determinatasi per l'Italia in seguito all'applicazione delle sanzioni da parte della maggioranza degli Stati membri della Lega delle Nazioni.

Sempre secondo le istruzioni verbali date a Roma all'Ammiraglio Pini, risulterebbe che il R. Ministero della Marina si sente in certo qual modo moralmente obbligato a seguire la linea concordata nelle conversazioni preliminari all'attuale conferenza i nostri esperti e gli esperti vuoi francesi vuoi inglesi.

L'applicazione delle «sanzioni» contro l'Italia in data 18 novembre u.s. costituisce un « fatto nuovo » che l'Italia deve valutare in tutta la sua gravità ed importanza, agli effetti di un accordo qualsiasi sugli armamenti navali. Esso ha determinato una « situazione nuova » che ci scioglie automaticamente da qualsiasi accordo ufficioso e preliminare fra esperti che sia intervenuto vuoi con i Francesi vuoi con gli inglesi prima del 18 novembre.

Occorre inoltre, a mio avviso, tener presente la nessuna convenienza da parte nostra di assumere un'attitudine intransigente nei riguardi delle richieste giapponesi, attitudine alla quale tanto l'Inghilterra quanto gli Stati Uniti d'America cercheranno direttamente e indirettamente di portare tanto la Francia quanto l'Italia.

Queste sono le linee generali che, salvo istruzioni contrarie del Duce, seguirò e darò alla nostra delegazione istruzioni di seguire (1).

(l) -Al riguardo Mussolini, con T. 14606/156 P.R. del 15 dicembre 1935, ore 24, rispondeva: «Prego V. E. esprimere a Beck il mio apprezzamento per azione svolta da delegato polacco a Ginevra nel Comitato dei Diciotto nell'ultima fase questione embargo petrolio». (2) -Non rinvenuto. (3) -Vedi D. 845.
850

L'AMMIRAGLIO PINI AL MINISTERO DELLA MARINA (2)

TELESPR. 25 M/6. Londra, 13 dicembre 1935.

l) Faccio seguito al foglio n. 13 M/2 del 10 c.m. col quale ho rimesso a V. E. i verbali provvisori della seduta inaugurale della conferenza.

2) Lunedì, 10 c.m., hanno avuto inizio le sedute del Comitato.

3) Come era stato già previsto sin dalla partenza della Delegazione da Roma, è stata subito messa sul tappeto la questione della limitazione quantitativa per la quale il Giappone ha presentato la proposta di un livello massimo comune di tonnellaggio (common upper limit) dopo che la Delegazione ame

{2) In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare.

ricana aveva già riaffermato che essa nulla chiedeva alla conferenza ma solo proponeva pel bene comune di ridurre le maggiori flotte (Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone) del 20 -10 od anche 5% mantenendo poi in vigore il sistema delle proporzioni tra le flotte, che per quanto non fosse apparso neanche agli Stati Uniti come pienamente soddisfacente, pure aveva dato a tutte le nazioni, per molti anni, un completo senso di sicurezza ed aveva consentito di diminuire sensibilmente le spese per gli armamenti navali.

4) Gli argomenti coi quali la Delegazione giapponese ha sostenuto la convenienza della tesi da essa presentata appaiono dai resoconti stenografici provvisori della l a seduta del Comitato che rimetto con foglio a parte. Essi sono in effetto poco convincenti ed in massima ne appare difficile la pratica attuazione.

5) Su iniziativa della Delegazione degli Stati Uniti sono stati allora posti da diverse Delegazioni, a quella giapponese, alcuni quesiti tendenti a chiarire i criteri informatori e l'esatta portata della loro proposta. La 1a seduta si è sciolta con l'invito del Presidente a tutte le Delegazioni di inviare in giornata eventuali altri quesiti da sottoporre alla Delegazione giapponese.

In conformità delle direttive espresse da S. E. l'Ambasciatore, di non sollevare difficoltà al Giappone altro che se necessario per la tutela dei nostri interessi, e poichè la proposta giapponese così come era stata formulata includeva il principio «generale » della parità dì diritto, tesi che è quella fondamentale della nostra attuale dottrina, la Delegazione italiana si è astenuta dal porre quesiti.

6) Il mattino dell'll c.m. perveniva alla Delegazione l'elenco definitivo dei quesiti posti alla Delegazione giapponese (vedi documento inviato con foglio a parte). L'esame di questo elenco poneva subito in evidenza che di tutti quesiti, poteva riuscire particolarmente interessante per l'Italia il 3°, che è stato formulato dalla Delegazione degli Stati Uniti:

«A quali Potenze marittime dovrebbe essere applicato il limite comune

massimo di tonnellaggio? ,

Nei contatti avuti il giorno 10 c.m. con la Delegazione giapponese (vedi

documento allegato n. 3) (l) si era avuta l'impressione che nel rispondere ai

r~uesiti la Delegazione giapponese avrebbe fatto allusione eventualmente alle tre

potenze oceaniche ma non era affatto stato inteso che la risposta giapponese

al quesito suddetto sarebbe stata che il limite massimo comune doveva essere

concordato tra le sole tre potenze oceaniche mentre le altre avrebbero dovuto

concordare tra loro e con l'Inghilterra, ed eventualmente gli Stati Uniti, quale

posto assumere entro tale « limite massimo ».

7) Nella seduta di mercoledì, 11 c.m. invece, la Delegazione giapponese

iniziava le sue risposte ai quesiti, partendo appunto da quello n. 3 al quale

rispondeva, in succinto, nei termini suddetti. <Vedi resoconto provvisorio della

2• seduta del Comitato, inviato con foglio a parte).

Le risposte giapponesi ai quesiti sul livello massimo comune, risposte che

hanno portato ben pochi lumi sulla pratica applicazione di questo criterio di

limitazione quantitativa, hanno occupato tutta la seduta del giorno 11 che sl

è chiusa con brevi dichiarazioni della Delegazione del Regno Unito tendenti a mettere già in rilievo l'impraticità della proposta giapponese e le difficoltà che avrebbe fatto sorgere nei riguardi delle due potenze marittime che essa, in pratica, escludeva dal negoziato.

8) Nella seduta di giovedì 12 c.m. venne ripresa la discussione sulla proposta giapponese, (Vedi resoconto provvisorio della 3" seduta inviato con foglio a parte), e le singole Delegazioni sono state invitate ad esprimere il loro punto di vista sulla questione dopo le delucidazioni presentate dal Giappone.

In tale occasione la Delegazione italiana ha dovuto prendere una posizione netta contro la proposta giapponese nella seconda forma che essa aveva assunto, sostenendo che in tale forma tale proposta non poteva da essa essere neanche discussa poiché qualsiasi negoziato doveva essere svolto nell'ambito di tutte e cinque le potenze navali e non solo di una parte di esse.

La Delegazione francese ha espresso analoghe considerazioni prendendo netta posizione, nell'occasione, anche contro la proposta americana delle proporzioni.

Le altre Delegazioni hanno tutte fatto ampie riserve sull'applicabilità, ancora oscura, della proposta giapponese.

Ha fatto seguito una dichiarazione giapponese di non aver scoperto, nelle critiche mosse dalle varie Delegazioni alla proposta del common upper limit, la necessità di modificare comunque la posizione giapponese. Ciononostante la Delegazione giapponese si riservava di rispondere alle critiche suddette: un punto in ogni caso occorreva fosse chiaro e cioè che sarebbe stato impossibile per il Giappone di accettare un accordo che potesse condurre ad una situazione per cui una nazione fosse autorizzata a possedere una forza navale superiore a quella di un'altra.

Ha chiuso la seduta una esposizione fatta dal Primo Lord del Mare, del punto di vista inglese sul common upper limit, punto di vista che naturalmente è nettamente contrario.

9) Nella seduta di oggi il Delegato giapponese ha chiarito che se la Delegazione giapponese aveva proposto di limitare inizialmente la discussione del comrnon upper lirnit a tre potenze aveva fatto ciò ritenendo che potesse rappresentare una via per semplificare i negoziati: ma dopo aver sentito le osservazioni in merito il Giappone riteneva di poter affermare che non aveva nulla in contrario a che la discussione sull'argomento fosse generale o addirittura che essa fosse iniziata dalle potenze continentali.

È poi continuata la critica delle altre Delegazioni al progetto giapponese, critica che non ha portato in luce elementi di particolare interesse o novità. La seduta è stata poi tolta rimandandola a lunedì pomeriggio nell'intesa che a tale data dovranno riunirsi solo i capi delle Delegazioni assistiti da uno

o due esperti in modo da cercare di rendere più rapida la procedura su questo argomento difficile.

10) Allego un diario e tre resoconti dei contratti avuti con le Delegazioni francese, americana e giapponese (1).

(l) Per la risposta vedi serie ottava, vol. III, D. 32.

(l) Non pubblicato

(l) Non pubblicati

851

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTEH!, MUSSOLINI

T. 14897/315 P. R. Atene, 14 dicembre 1935, ore 13,40 (per. ore 15).

Suo telegramma n. 213 (l) e precedenti.

Ringrazio l'E. V. comunicazione circa amnistia fatti Calimno. Se E. V. vorrà comunicarmi appena possibile data pubblicazione relativa decreto, mi proporrei darne notizia in maniera discreta ed opportuna a S. M. il Re.

Credo che tale gesto, se fatto tempestivamente, sarebbe molto apprezzato e potrebbe riuscirei utile cattivandoci simpatie Sovrano.

Da quanto mi risulta è personalmente intervenuto presso il Presidente Demertzis per istruzioni delegato greco Ginevra (miei telegrammi n. 306 e 310) (2).

Quanto al Generale Condylis, dato ambiguo ed inefficace contegno da lui tenuto nostro riguardo, non riterrei necessario fargliene cenno. Gradirei istruzioni telegrafiche (3).

852

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 2685 R. Roma, 14 dicembre 1935.

Suo telegramma n. 956 (4).

Conviene che V. E. trovi occasione chiarire reale portata impegni che Lavai avrebbe assunto verso Gran Bretagna e specialmente se essi si riferiscano soltanto alla questione etiopica ed alla condotta delle trattative attuali in relazione anche possibili sviluppi applicazione art. 16 del Patto, oppure se trattasi vera e propria impegnativa di carattere generale.

Se necessario, V. E. potrà nel modo più opportuno provocare dallo stesso Lavai esplicite dichiarazioni in proposito, richiamandosi alle domande di chiarimenti già da noi rivoltegli tempo fa circa le ripercussioni che le intese franco-inglesi possono avere sugli accordi italo-francesi (5).

(l) -T. 14547/213 P.R. del 13 dicembre 1935, ore 23, relat.ivo all'approvazione del decreto di amnistia da parte del Consiglio dei Ministri. (2) -Vedi D. 825. (3) -Con T. 14759,215 P.R. del 20 dicembre 1935, ore 23, Suvich comunicava la data prevista della pubblicazione del decreto di amnistia aggiungendo: «V.S. potrà accennare Re Giorgio amnistia senso prospettato suo telegramma 315, dando cosi sue parole carattere discreto ed evitando pertanto ogni impressione che nostro gesto possa costituire precedente o comunque interpretarsi come possibi!ità ammissione ingerenza, anche indiret.ta, Grecia negli affari interni Governo Isole Egee». (4) -Vedi D. 826. (5) -Per la risposta vedi D. 867.
853

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. RR. PER CORRIERE 2692 R. Roma, 14 dicembre 1935.

Comunico a V. E. uno schema di messaggio al Presidente Roosevelt che era stato preparato al momento della più vivace polemica circa eventuale accessione degli Stati Uniti a sanzioni petrolio. Dato rapido svolgersi situazione, lascio V. E. giudice di valersene anche modificandolo se e quando lo credesse opportuno anche per chiudere in certo modo la questione del messaggio dell'agosto scorso (l).

Testo schema messaggio:

« In questo momento in cui tanto si discute su molteplici gravi problemi dell'ora è mio desiderio farvi giungere nello stesso spirito amichevole confidenza che ebbi piacere ravvisare nel vostro messaggio 18 agosto seguenti considerazioni:

Governo italiano si è sforzato mediante lungo perseguimento pacifiche procedure nella sua vertenza con Etiopia di giungere ad un regolamento che garantisse sicurezza sue Colonie Africa Orientale e salvaguardia suoi interessi imprescindibili. Minaccia abissina aggravatasi questi ultimi anni ha seguito incursioni uccisioni e razzi e tutte pienamente documentate e da ultimo con mobilitazione generale ha messo Italia nella necessità adottare adeguate misure militari atte fronteggiare pericolo invano segnalato a Società delle Nazioni che presidii sue Colonie in Africa Orientale potessero essere sopraffatti da forze etiopiche immensamente soverchianti in numero.

Accoglienza popolazioni che si sono schierate accanto all'Italia e hanno offerto ausilio loro armati testimonia quanto fosse viva attesa della liberazione e desiderio che loro paese fosse redento da attuali forme oppressione e miseria verso livello vita più civile ed umano. Primo gesto Governo italiano è stato dare libertà a 16 mila schiavi, aprire strade, fondare scuole ospedali dispensarii ed iniziare una vasta opera elevazione e assistenza.

Non va dimenticato che Etiopia non è paese omogeneo: attorno nucleo amhara vivono estesissime razze del tutto diverse che abissini hanno violentemente sottomesse e sulle quali loro dominio si è manifestato unicamente sotto forma sfruttamento oppressione e sterminio.

Governo italiano apprezza altamente profondo attaccamento del Governo e popolo americano a politica della pace e soluzione pacifica conflitti internazionali che ha ispirato conclusione Patto Kellogg al quale Italia ha dato fra primi sua adesione. Governo italiano deve però ricordare che questo Patto, come Governo americano stesso ha chiaramente spiegato nel corso sua negoziazione, non ha in alcun modo pregiudicato diritto fondamentale di ogni Stato assicurare propria difesa.

Governo italiano, pur nella imperiosa necessità cui si è trovato dover provvedere coi suoi mezzi a sicurezza proprie Colonie e tutela suoi diritti, con

scio degli interessi generali relazioni internazionali non solo ha dimostrato volere evitare qualsiasi atto che possa dar luogo complicazioni suscettibili allargare conflitto ma non ha cessato prestarsi ogni ulteriore tentativo componimento conflitto purché esso sia accettabile da popolo italiano come è stato più ampiamente prospettato nella Nota 11 novembre (l) della quale ho avuto onore darvi personale conoscenza.

Governo italiano esprime fiducia che ragioni ivi esposte come calma serena e spirito sacrificio coi quali popolo italiano sopporta sanzioni che gli sono state applicate nonostante profonda convinzione loro ingiustizia troveranno nello spirito comprensione e equità del Governo e popolo americano apprezzamento adeguato che sarà potente contributo allontanarE' pericolo più gravi complicazioni e facilitare rapida equa soluzione conflitto italo-etiopico » (2).

(l) Vedi serie ottava, vol. I, D. 768.

354

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 9306/33 R. Roma, 14 dicembre 1935 (per. il 20).

Sono stato ricevuto, iersera. dal Cardinale Segretario di Stato e gli ho parlato secondo le istruzioni impartitemi dall'E. V .. Ho toccato i punti seguenti: Tigrai e Axum, deserto dancalino, Assab, Somalia, zona di espansione economica e di popolamento, disarmo e limitazione degli armamenti dell'Abissinia.

Il Cardinale è rimasto sorpreso. Mi ha dichiarato di avere avuto l'impressione che l'offerta fosse passabile come base di negoziato. L'ho disilluso, entrando in particolari che trovo superfluo precisare. Ho ripetuto al Segretario di Stato uno per uno gli argomenti che V. E. mi ha esposti.

Nel corso della conversazione il Cardinale mi ha domandato testualmente:

« S. E. il Capo del Governo sa che, quella fatta, è l'ultima offerta? Se non darà luogo a trattative, le sanzioni saranno rese più severe fino in fondo». Ho risposto che V. E. non mi aveva detto quello che intendeva di fare. Il mio mandato era di illuminare il Cardinale su delle proposte irrisorie, perché la Santa Sede ne traesse norma per astenersi da atti intempestivi e, per questo, controproducenti. Ho citato al riguardo. con molto garbo, i ringraziamenti che il Nunzio Mons. Maglione avrebbe recati al signor Lavai d'ordine del Pontefice, la visita a Ginevra di Mons. Bernardini, Nunzio a Berna, e le precedenti numerose visite di Monsignor Laghi, uditore della Nunziatura di Berna, al Segretario della S.D.N. Ho attirato infine l'attenzione del Porporato sull'Articolo dell'Os~ervatore romano dell'Il c.m., intitolato <<Fiduciosa attesa ecc. ». Ho osservato che tutto questo armeggio per accelerare gli eventi ci danneggia e produce l'effetto opposto a quello desiderato.

Il Cardinale Pacelli ha balbettato -come usa quando si confonde -alcu'1e spiegazioni che non mi hanno convinto. Ha avuto l'aria di non essere al

corrente dei ringraziamenti di Mons. Maglione; per i M o ns. Bernardini e Laghi mi ha detto che si tengono in contatto con Ginevra per avere notizie; quanto all'articolo dell'Osservatore Romano che gli ho presentato, mi ha assicurato che provvederà.

Ho parlato, infine, del discorso che il Papa pronunzierà in Concistoro nel quale proporrebbe la cessazione e la sospensione delle ostilità. Il Cardinale mi ha dichi.arato subito che infatti il Pontefice aveva avuto l'intenzione di domandare una tregua. Però, prima di dare corso al Suo proposito, aveva incaricato persona di Sua fiducia di chiedere a V. E. se il Suo appello sarebbe stato gradito e se Egli avrebbe potuto dire qualcosa d'altro che fosse utile. Ho replicato che V. E. avrebbe apprezzato l'intenzione del Pontefice, ma che un invito del Papa a una tregua o qualcosa di analogo, in questo momento, avrebbe più che indebolito la posizione dell'Italia, e sarebbe stato considerato dal Governo fascista e dal Paese un atto inamichevole. Il Segretario di Stato si è perfettamente reso conto della gravità della cosa e mi ha detto: <<Allora non se ne farà nulla >>.

Dopo il Cardinale Pacelli, ho visto Mons. Pizzardo. Ho ripetuto a Lui quello che avevo detto al Suo superiore. Il Segretario per gli Affari Straordinari ha compreso bene il fondamento del nostro intervento, dimostrando, come il Cardinale, la preoccupazione che non si respingano in blocco le proposte e si consenta di trattare. Ho risposto che è malagevole condurre trattative con le sanzioni addosso e sotto la minaccia di incrudimento delle medesime.

A proposito dell'atteggiamento della Santa Sede, Mons. Pizzardo ha riconosciuto che la Segreteria di Stato deve andare cauta. Ha soggiunto di aver sempre sostenuto che la Segreteria non deve mescolarsi troppo direttamente all'andamento della vertenza con l'Etiopia per non rischiare che l'Italia accusi un giorno la Santa Sede di averle guastato le uova nel paniere per zelo eccessivo e fuori posto.

Ho l'impressione che la Segreteria di Stato verserà acqua nel suo vino pacifista. Resta da vedere che cosa deciderà il Pontefice, dopo che sarà stato messo al corrente della situazione creata dal mio passo. Mi terrò in giornaliero contatto con gli organi del Vaticano.

(l) -Vedi D. 602, nota 2. (2) -Il me;saggio non risulta consegnato.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 14 dicembre 1935.

L'Ambasciatore Chambrun è un po' preoccupato per il contegno della stampa italiana; egli ritiene che in questo momento converrebbe che la detta stampa se la prendesse col Negus e coi suoi consiglieri ma non coi Governi francese e inglese che per aver presentato un piano a favore dell'Italia devono oggi sostenere gli attacchi che vengono loro mossi da tutte le parti.

Rispondo all'Ambasciatore che, a parte la valutazione che noi facciamo del piano, renderemo un cattivo servizio alla Francia e all'Inghilterra se dessimo l'impressione di essere soddisfatti del progetto e tributassimo le lodi agli autori. L'Ambasciatore Chambrun è perfettamente di questo avviso.

L'Ambasciatore, sempre ottimista, ritiene che in via di negoziazione potremmo ottenere gli emendamenti necessari per rendere il progetto perfettamente accettabile da parte italiana. Gli rispondo eh non condivido il suo ottimismo; il progetto nel popolo italiano non ha fatto buona impressione. L'Ambasciatore osserva che ciò dipende dalla stampa che ha cercato di non metterne in valore i lati buoni (l).

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IL SOTIOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

APPUNTO. Roma, 14 dicembre 1935.

CRITICA DEL PROGETTO PRESENTATO DA FRANCIA E GRAN BRETAGNA

Il progetto non tocca tre dei problemi che sono considerati da noi tra punti principali da risolvere: -la congiunzione territoriale fra le due Colonie; -il disarmo dell'Abissinia; -lo sfruttamento delle ricchezze minerarie nelle zone non sottoposte al controllo italiano.

Il problema della congiunzione territoriale fra le due colonie potrebbe anche essere rinviato ad un secondo tempo. Tuttavia esso dovrà essere mantenuto aperto. Bisognerà discutere se e come sollevarlo e se, senza pregiudicare la questione nel suo più ampio aspetto territoriale, sia da chiedere fin da ora la congiunzione ferroviaria.

Il problema del disarmo invece dovrà essere affrontato subito, sia pure in via di emendamento al Progetto dei Cinque per il regime di assistenza all'Abissinia.

Il problema dello sfruttamento minerario delle altre regioni potrebbe anche essere risolto in margine alla negoziazione con qualche accordo preciso con Francia e Gran Bretagna, che dovrebbe ottenere l'assenso del Negus.

I -Scambi territoriali.

Per quanto riguarda i punti toccati dal progetto si osserva:

a) Tigré. Si deve chiedere di avere tutto il Tigré come era da noi occupato nel 1896; in via subordinata tutta la regione da noi occupata oggi; possiamo senza inconvenienti garantire un regime speciale per Aksum con determinate garanzie per il culto copto; è una concessione che costando poco a noi può darci dei vantaggi in contropartita data la esagerata importanza che si vuole annettere a questa questione di Aksum.

b) Dankalia. Non è chiaro quale è il territorio a noi riservato; bisognerebbe ottenere una linea che dal sud di Macallé vada a raggiungere il Lago Gum nella Somalia francese, lasciando in nostro territorio il Biru e il Teru. Non è escluso che questa nostra richiesta possa trovare giustificazione nella dizione del progetto franco-inglese che parla di far confinare al sud la Dankalia italiana coll'Aussa. Per l'Aussa poi, che dimostra buone intenzioni di sottomettersi, bisognerebbe chiedere l'indipendenza. Il progetto franco-inglese parla di rettifica di frontiera mentre bisogna parlare di fissazione di frontiera.

c) Frontiera fra la Somalia e l'Ogaden. Anche qui bisogna parlare di fissazione e non di rettifica di frontiera. Si potrà chiedere in proprietà tutto il Bacino dei fiumi che defluiscono verso la Somalia italiana. La richiesta per quanto possa parere giustificata non ha molta probabilità di essere accolta. Servirà tuttavia a negoziare.

d) Accesso al mare per l'Etiopia. È chiaro che su questa contropartita si basa tutto il sistema del progetto. Per quanto la concessione sia grave e ostica non pare se ne possa chiedere la soppressione. Se da una parte la cessione di un porto e di una striscia di terreno -in assoluta proprietà -può apparire più opportuna quando sia fatta in territorio italiano perché meglio controllabile e domani più facilmente può essere soppressa, d'altra parte una tale concessione rende più evidente il sistema della compensazione. Per altri motivi è molto cattiva la soluzione di un porto e corridoio in territorio inglese. Si creerebbe probabilmente una solidarietà di interessi anglo-etiopica che ci disturberebbe molto per la nostra futura espansione in Abissinia. Il meno peggio potrebbe essere la soluzione del problema su territorio francese, con la cessione all'Abissinia di una parte del porto di Gibuti di altro porto vicino e con qualche forma di cessione o di neutralizzazione del territorio sul quale corre la ferrovia. Si potrebbe anche pensare a una neutralizzazione della ferrovia in tutto il suo percorso, dato che la stessa è la via naturale per arrivare ai territori che ci sarebbero riservati nel sud etiopico. A tale proposito va messo ancora in rilievo l'interesse che avremmo ad aumentare la nostra partecipazione alla ferrovia. Se ci si dovesse orientare verso la soluzione su territorio italiano, bisognerà cercare di non dare la città di Assab ma una parte della baia con corridoio che corra completamente in territorio italiano. Si potranno chiedere opportune misure per la comunicazione fra le due parti della nostra colonia e con ciò si verrebbe a svalutare la cessione fatta. Si potrà, almeno come negoziato, proporre la cessione a lungo affitto del corridoio e del porto. Ad ogni modo il porto dovrebbe essere neutralizzato e ci dovrebbe essere il divieto per l'Abissinia di costituirvi una marina da guerra.

II -Zona di espansione economica e di popolamento.

Per quanto riguarda la estensione della zona bisogna riconoscere che la superficie è notevole: si tratta di qualche cosa come 400 mila chilometri quadrati comprendenti in notevole parte territori ricchi e fertili. Si potrà chiedere tuttavia qualche rettifica per adattarci meglio alle condizioni geografiche e comprendere interamente nella zona regioni come il Caffa e il Gimma. È da

esaminare se estendere la richiesta anche al territorio dello Jambo, dello Uollega e al Beni Sciangul.

Il punto del piano che invece non va è l'organizzazione della zona. Le disposizioni relative non sono chiare, tuttavia l'interpretazione pare essere la seguente: rimane per tutta l'Abissinia il Piano dei Cinque, quindi un consigliere principale presso l'Imperatore al quale sono sottoposti alcuni altri Consiglieri per i rami più importanti dell'Amministrazione (Economia, Finanza, Lavori Pubblici ecc.). Questi si occupano di tutta l'Abissinia secondo una divisione per competenza materiale.

Per la zona riservata invece viene creata una organizzazione speciale, che fa capo ad un Consigliere che potrà essere italiano, che riassumerà i vari servizi secondo un criterio di competenza locale. Pare tuttavia che i servizi di sicurezza non debbano essere affidati all'organizzazione speciale per la zona che fa capo al Consigliere italiano, ma debbano essere quelli della organizzazione generale per tutta l'Abissinia. Sono chiari gli inconvenienti che derivano da questo sistema. Il Consigliere principale (che secondo il Progetto francoinglese non sarà nè italiano, nè francese, nè inglese) nominato dal Negus e dalla S.d.N. si investirà probabilmente della sua parte di difensore dei diritti e di riformatore dell'Abissinia e sarà in continua opposizione alla nostra tendenza a prendere piede definitivo nella zona riservata e ad estendere la nostra espansione anche nelle altre zone.

Il Consigliere aggiunto italiano (che del resto dovrà essere nominato dalla S.d.N. c approvato dal Negus) sarà comandato e controllato dal Consigliere principale. I servizi poi dipendenti saranno prevalentemente, ma non esclusivamente italiani, e quindi la minoranza non italiana, specialmente se sostenuta dal Consigliere principale, sarà a sua volta un controllo e un impedimento per il libero svolgimento della nostra attività.

Perché il piano possa essere preso in considerazione bisogna che in una qualsiasi forma noi si abbia mano libera nella organizzazione della zona riservata. Ciò si potrebbe ottenere sia affidando alla Chartered tutti i servizi compresi quello della sicurezza (sempre sotto la sovranità dell'Imperatore e magari in forma di delegazione da parte dell'organizzazione di assistenza della S.d.N.) sia dando alla organizzazione dei servizi della zona tutti i poteri, compreso quello di pubblica sicurezza da esercitarsi sotto la sovranità del Negus con obbligo di riferire direttamente alla Società delle Nazioni senza nessuna dipendenza dal Consigliere principale.

Si possono studiare anche altre forme. Anche eliminata una ingerenza diretta della S.d.N. nella zona riservata, il progetto ha sempre il gravissimo difetto di dare il complesso dell'Abissinia in mano alla S.d.N. che sarà la migliore salvaguardia dell'Abissinia stessa contro una nostra azione di espansione e contro una nostra eventuale futura azione militare. Ma nella fase attuale non pare possibile ottenere che il progetto prescinda da tale ingerenza societaria. ESAME DEL PROGETTO IN RAPPORTO ALLA SITUAZIONE GENERALE Il progetto come presentato non è buono e non potrebbe essere accettato; introdotte alcune delle riforme sopra prospettate non diverrebbe per questo

buono ma potrebbe tuttavia essere preso in considerazione quando si decidesse di chiudere per ora la questione etiopica sia pure con una soluzione di carattere non totalitario.

La decisione evidentemente rientra nella valutazione di quelle che sono le nostre possibilità militari, la prospettiva di una disintegrazione dell'Abissinia e la resistenza economica e finanziaria del paese.

Una ripulsa ci porterebbe probabilmente all'embargo sul petrolio e alla nostra uscita dalla S.d.N. e quindi alla difficoltà di ulteriori trattative sul terreno collettivo. La nostra questione, in altre parole, sarebbe rimessa completamente al successo dell'azione militare.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Ed. in R. DE FELICE, Mussoltnt il duce, vol. l, cit., pp. 920-923.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. U. 4637/1850. Berlino, 14 dicembre 1935 (per. il 19).

Seguito ai miei telegrammi odierni n. 319 e 320 (1).

Come mi aveva già fatto presentire Neurath (mio rapporto 11 dicembre) (2), l'Auswartiges Amt si attendeva un nuovo passo anglo-francese in materia di disarmo «da un momento all'altro ». Esso ha infatti avuto luogo, da parte dell'Ambasciatore di Inghilterra, ieri 13. Come già la Francia aveva tenuto -vedi passo François-Poncet (3) -a non lasciare l'iniziativa in materia alla sola Inghilterra, così adesso questa faceva seguire alla démarche francese una démarche propria onde riprendere -e ciò è stato dichiarato da Phipps quasi apertamente -l'iniziativa stessa nelle sue mani. Anche il passo inglese era compiuto con solennità uguale a quello francese e cioè presso Hitler, presente Neurath.

Premesse e quadro della démarche: la dichiarazione di Londra del febbraio e le conversazioni Simon-Hitler del marzo e quindi il consenso generico già espresso dal Fiihrer sia per un accordo aereo fra le potenze di Locarno, sia per un accordo in materia di limitazione di armamenti.

Nell'intento appunto di compiere un ulteriore passo sulla via della concretizzazione di un patto aereo, l'Ambasciatore d'Inghilterra -lungi da un nuovo approccio generico alla questione quale Neurath si attendeva (vedasi rapporto citato) -proponeva o faceva intravedere una soluzione concreta e poneva un quesito specifico.

Nelle conversazioni del marzo, e ancora più in quelle di Londra del febbraio, si era riconosciuto che sarebbe stato possibile ed opportuno integrare il patto di Locarno con un accordo di assistenza aerea sia fra l'insieme delle potenze locarniste, sia, più, specialmente, fra le coppie di potenze singole fra

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loro più prossime e quindi maggiormente interessate. E' noto anche il tentativo allora compiuto da Simon e successivamente, almeno in apparenza, abbandonato, di sdoppiare la nuova Locarno aera in due coppie di patti, di cui una coprisse la parte Nord e l'altra la parte Sud del quadrilatero di Locarno.

Orbene, riannodandosi a tutto questo, Sir Eric Phipps ha ieri ulteriormente discusso la questione con il Fiihrer, prospettandogli la soluzione seguente. Il funzionamento di una Locarno aerea non potrebbe -ovviamente essere identico in tutti i casi.

l) Caso aggressione francese contro la Germania. L'Inghilterra potrebbe venire in aiuto della Germania attaccando la Francia. Questa essendo a sole poche miglia dall'Inghilterra, l'assistenza sarebbe immediata e diretta.

2) Non così, invece, nel caso inverso, quando cioè l'aggressore fosse la Germania. Data, in questo secondo caso, la grande distanza che separa l'Inghilterra dalla Germania, una assistenza inglese alla Francia sotto forme di attacco alla Germania non potrebbe riuscire efficace senza punti di appoggio precostituiti e cioè senza «basi aeree » così in Francia come in Belgio.

Cosa penserebbe la Germania di una tale soluzione? Questo il quesito sostanzialmente posto ieri da Phipps a Hitler.

La reazione del Cancelliere -secondo quanto mi ha oggi informato il Segretario di Stato per gli Affari Esteri del Reich von Biilow -sarebbe stata completamente negativa. Il Fiihrer ne avrebbe anzi tratto occasione per riprendere le sue vecchie tesi, già accennate fin dalle conversazioni del marzo e riferite alla E. V. da Magistrati (l) prima e da S. E. Cerruti dopo (2).

Riportandosi quindi alla risposta già data a François-Poncet alcune settimane or sono a proposito del Trattato franco-sovietico, il Fiihrer ha nuovamente dichiarato la sua avversione ad innestare, su trattati generali aventi finalità proprie e determinate, trattati speciali suscettibili di alterarne e falsarne il carattere. Cosi, egli, che pur aveva accettato l'idea di un patto orientale «generale », era irriducibilmente contrario al patto speciale franco-sovietico. Analogamente, favorevole a una Locarno aerea generale, egli era invece contrario a patti singoli fatalmente degeneranti in alleanze etc. etc.

Nel riferirmi -riservatamente -tutto questo, Biilow avvertiva che, naturalmente, nessuno dei due interlocutori aveva parlato così apertamente, ma che tuttavia ciascuno dei due aveva chiaramente fatto intendere -e del resto in maniera da parte a parte molto amichevole -il suo pensiero.

Il progetto di basi aeree inglesi in Francia ed in Belgio, veniva così, almeno per quanto riguarda Hitler, fatto senz'altro cadere. Esso, come osservava Biilow, era tanto più assurdo, in quanto assolutamente non necessario, potendo benissimo, al caso, gli inglesi servirsi delle basi francesi e belghe, rispettivamente.

Dopo il primo, Phipps sarebbe passato ad un secondo quesito. Sempre nel quadro di una possibile limitazione generale di armamenti, cosa avrebbe detto

la Germania di un disarmo, per il momento, aereo, e limitato alle sole potenze

di Locarno?

Anche qui, la risposta del Ftihrer -con quella consistenza che tutti gli riconoscono -è stata quale tutti i precedenti, noti, potevano far prevedere. Limitazione degli armamenti sì -anche a prescindere dalla più o meno grande opportunità del momento e magari soltanto nel campo aereo -ma mai un accordo limitato alle sole potenze di Locarno. Altrimenti, in quali condizioni si troverebbe la Germania di fronte all'U.R.S.S.?

E qui Hitler ha snocciolato una nuova filippica contro i Soviet, denunciando il pericolo della crescente potenza militare sovietica, sviluppantesi, manco a farlo apposta, sempre più e proprio nel campo aviatorio. La filippica sarebbe stata piuttosto lunga e alquanto « calorosa :..

Fin qui la cronaca del fatto riferitami, ripeto in linea riservatissima, da Btilow, il quale mi ha aggiunto pure che Phipps non ha, contrariamente a quanto tutto faceva ritenere che avrebbe fatto, parlato di S.d.N. se non in linea assolutamente incidentale, come tale. non specialmente rilevata dal Ftihrer.

Ho ringraziato Btilow della comunicazione (fattami spontaneamente e prima ancora che la notizia del colloquio di Phipps fosse resa pubblica), !imitandomi per parte mia a far osservare al mio interlocutore che l'idea inglese di costituirsi delle basi aeree proprie in Francia ed in Belgio costituiva evidentemente un primo frutto del marchandage franco-britannico concluso -a spese della Germania -in occasione del conflitto itala-abissino. Btilow ha accusato, con un sorriso, la puntata, dichiarando anzi di non escludere che io avessi ragione.

A parte questa, quali sono le altre considerazioni che il passo inglese può suggerire? Intanto, non sembra curioso, per non dire altro, questo vicendevole rincorrersi, sulla via di Berlino, di ben due dei tre sostenitori del Fronte di Stresa?

Poi, come mai l'Inghilterra -a parte il desiderio, quasi confessato da Phipps, di riprendere nelle proprie mani l'iniziativa dell'azione in materia di disarmo -si è indotta ad un passo che l'ancor recente insuccesso di FrançoisPoncet faceva prevedere come sostanzialmente destinato anch'esso al fallimento?

Ha il passo inglese relazione alcuna con il momento attuale e cioè con gli sviluppi del tentativo di conciliazione franco-inglese nei riguardi del conflitto nostro?

Le connessioni -se ve ne sono -potrebbero esser due: l) l'Inghilterra, sopratutto in presenza della reazione della propria «opinione pubblica» alla proposta Laval-Hoare potrebbe voler riportare alla ribalta il problema generale del disarmo, additandolo come quello necessariamente destinato a dominare ed assorbire tutto il resto, e di fronte al quale anche il conflitto italo-abissino può diventare un «incidente», tanto più data la impossibilità di compiere una qualunque riduzione degli armamenti senza il concorso, volenteroso ed attivo, dell'Italia; 2) oppure l'Inghilterra -in presenza degli inattesi sviluppi della proposta Lava! -si prepara una via di ritirata e quindi, onde assicurarsi l'arrendevolezza della Francia a possibili evaporazioni «societarie » della proposta, arricchisce -di fronte a Parigi -il proprio gioco di una nuova carta e cioè della

possibilità di perseguire, o meno, nelle sue pressioni sulla Germania a seconda che la Francia si mostri ora, o no, solidale con l'Inghilterra in una eventuale fase « riversiva » del tentativo di conciliazione italo-abissina.

Mentre la seconda ipotesi può peccare per pessimismo, la prima mi sembra peccare in senso opposto. Contro di essa parla il fatto -di cui comunque ci dovremmo preoccupare come firmatari di Locarno -che il tentativo compiuto ieri da Phipps ripete quello originale di Simon inteso a praticamente escludere l'Italia dal gioco della Locarno generale.

Altre ipotesi sono naturalmente possibili. François-Poncet, che ho visto oggi stesso -ma che si è ben guardato dal parlarmi di « basi» -tende a svalutare il passo, riducendolo ad una semplice manovra tattica, resa necessaria dal passo francese di qualche settimana fa, e che era stato, a sua volta, compiuto anche un po' per embeter les Anglais. Le vacanze di Natale, che qui durano oltre tre settimane, essendo imminenti, Phipps avrebbe comunque potuto essere indotto, anche soltanto da questo, ad affrettare il passo.

Oppure ancora -e questa è una ipotesi per noi altrettanto interessante l'Inghilterra che, per assicurarsi l'appoggio francese contro di noi, aveva a suo tempo dovuto promettere il proprio appoggio alla Francia contro la Germania, adesso potrebbe cercare, all'inglese, cioè subdolamente, di svincolarsi.

Si tratta, come è naturale, di semplici supposizioni che io affrettatamente offro alla considerazione di V. E. ma che mi riservo di approfondire e vagliare, riferendone ulteriormente, appena possibile (1).

(l) -Con tali comunicazioni Attol!co anticipava le notizie relative al passo compiuto da Phipps presso Hitler. (2) -Vedi D. 838. (3) -Vedi DD. 698 e 706. (l) -T. 1588/99 R. del 26 marzo 1935, ore 22,20 e T. 1590/100 R. del 27 marzo 1935, ore 0,05, non pubblicati. (2) -T. per corriere 1724/094 R. del 29 marzo 1935, non pubblicato. Vedi serie settima, vol. XVI, D. 817.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9627-9639/1330-1331 R. Londra, 15 dicembre 1935, ore 1,07 (per. ore 5,30).

Baldwin ha pregato Hoare di tornare a Londra per prender parte alla discussione di giovedì sulla questione etiopica alla Camera dei Comuni.

Baldwin spera che da qui a giovedì agitazione contro il progetto di massima anglo-francese si vada un poco calmando e che discussione parlamentare possa avvenire in un ambiente meno sfavorevole ed eccitato.

Camera dei Comuni sospenderà alla fine settimana prossima suoi lavori, il che significa che il Governo conta avere breve periodo durante il quale potrà lavorare con più calma per condurre opinione pubblica verso atteggiamento meno ostile al regolamento della questione etiopica sulle linee del progetto anglo-francese. Attualmente certo situazione è tutt'altro che chiara e discussione di giovedì si presenta per il Governo piuttosto difficile. Opposizione al progetto anglo-francese si è infatti andata allargando dal campo laburista e liberale a quello conservatore e Governo britannico deve prepararsi a rispondere

anche alle critiche di una frazione della maggioranza che accusa Governo di essere venuto meno, poche settimane dopo elezioni, al suo programma elettorale di politica estera. Per favorire manovra di questi conservatori, che hanno preso posizione contro il Governo, pare che laburisti e liberali siano disposti rinunziare al loro ordine del giorno di censura, che non sarebbe mai votato da nessun Deputato della maggioranza e cercherebbero concordare ordine del giorno di disapprovazione del progetto di massima anglo-francese sul quale potrebbero cosi votare insieme conservatori, liberali e laburisti in senso opposto.

Il Governo sta organizzando la resistenza a questa manovra ed ha fatto presentare due ordini del giorno di approvazione alla sua politica, uno dalla Duchessa di Atholl, l'altro da Sir Alfredo Knox. I due ordini del giorno hanno raccolto numerose firme, ma nessuno dei leaders del partito conservatore si è ancora pronunciato. Il solo che si sia mosso -Austen Chamberlain -pare intenda schierarsi fra i critici del Governo e ieri egli ha capeggiato con Cecil una delegazione della Unione della S.d.N., che si è recata da Baldwin per protestare contro il progetto anglo-francese.

Per lunedì mattina Baldwin ha convocato una riunione dei Ministri, i quali dovranno riesaminare la situazione. Una frazione del Gabinetto, che è solidale con Eden, cerca di trarre occasione dalle critiche che il progetto anglo-francese ha suscitato nell'opinione pubblica per obbligare Baldwin e Hoare a ritornare sulle proprie decisioni. Essi sostengono che il Governo deve presentare alla Camera dei Comuni il progetto di Parigi come semplice tentativo di regolamento della questione abissina, che il Governo britannico sarebbe tuttavia pronto a modificare o anche abbandonare, secondo quelli che saranno i desideri e gli intendimenti della S.d.N. In questo senso si è ieri espresso il Ministro della Guerra nel discorso che ho trasmesso con mio telegramma n. 1323 (1). Si vuole insomma giungere, se non al rigetto vero e proprio delle basi Hoare-Laval, almeno alla loro graduale corrosione.

È superfluo che io assicuri il Duce che mi sto attivamente adoperando presso gli esponenti più autorevoli del partito conservatore, tanto alla Camera dei Comuni quanto alla Camera dei Lords, e nel mondo giornalistico e nella City insistendo che non vi è altra possibile soluzione della questione abissina se non quella di dare piena, integrale soddisfazione alle necessità della nostra sicurezza ed espansione in Africa Orientale.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

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IL SEGRETARIO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., PIETROMARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9645/648 R. Ginevra, 15 dicembre 1935, ore 13,20 (per. ore 14,50).

Il Ministro di Romania Antoniade mi ha confidato che Lavai, nello spiegare ai rappresentanti della Piccola intesa a Ginevra i motivi che avevano

spinto lui e Hoare a presentare la proposta di conciliazione, avrebbe dichiarato che l'Abissinia non è in condizione di continuare la guerra per più di un mese (1).

Lavai avrebbe aggiunto che Hoare aveva manifestato a Parigi le vive preoccupazioni dell'Inghilterra che l'Italia, messa alle strette dall'embargo sul petrolio, avesse potuto reagire con atti di guerra contro flotta inglese; desiderava avere la conferma che, in tal caso, l'Inghilterra avrebbe potuto contare sull'alleanza francese. Lavai gli avrebbe risposto che in Francia tutta l'opinione pubblica era contraria alle sanzioni e che perciò era venuto il momento di fare uno sforzo di conciliare e formulare delle proposte accettabili per l'Italia.

L'intenzione di Lavai era che tali proposte, prima di essere comunicate al Negus, fossero portate a conoscenza del Governo italiano per sapere se esso le considerava come una base di discussioni accettabile. Ma le indiscrezioni di Pertinax e della Tabouis avrebbero creato una ambigua situazione spingendo quel Governo ad insistere perché le proposte fossero comunicate contemporaneamente alle due Parti.

Antoniade avrebbe domandato a Lavai che cosa sarebbe avvenuto se proposte fossero state accettate dall'Italia e respinte dal Negus. Lavai avrebbe dichiarato che in tal caso egli si sarebbe opposto a ogni aggravamento delle sanzioni e che avrebbe sostenuto la necessità di togliere quelle già applicate.

1!: meritevole di menzione il rilievo di Antoniade che la risposta etiopica, venuta da Parigi, è cronologicamente anteriore alla conoscenza che il Governo di Addis Abeba ha avuto delle proposte, e che la redazione della risposta tradisce la fraseologia di maitre Jéze.

(l) T. 9599/1323 R. del 13 dicembre 1935, ore 17,20, non pubblicato.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, CERRUTI (2)

T. R. 2698/528 (Londra) 851 (Parigi) R. Roma, 15 dicembre 1935, ore 17,30.

Dal comunicato stampa V. E. avrà rilevato che a questi Ambasciatori di Francia e d'Inghilterra ho espresso il mio apprezzamento per lo sforzo di collaborazione fatto dai loro Governi, e che mi sono però riservato di dare una risposta dopo di avere esaminato le proposte fattemi. A parte ogni altra considerazione, la complessità e l'importanza dei problemi da risolvere sono tali che era impossibile dare una risposta diversa. In linea di massima sono disposto a discutere possibili soluzioni del problema etiopico, ma prima di decidere della possibilità

-o meno di prendere il progetto presentatomi come base di discussione, mi è

necessario rendermi conto della reale portata delle singole proposte e fino a qual punto esse siano suscettibili di modifiche e di miglioramenti, secondo gli stessi proponimenti. Pertanto, mentre si procede da parte nostra allo studio delle proposte, sarebbe utile che Ella sondasse in via del tutto riservata (Vansittart;Laval) circa i seguenti punti al fine di conoscerne il fondo del pensiero.

Tali punti sono i seguenti: a) Tigrai. Se i Governi francese e inglese dopo tante tergiversazioni hanno finito per accettare che una buona parte dei territori da noi occupati ci siano ceduti in sovranità debbono essere entrati in giuoco gli argomenti da noi fatti valere, tra i quali principalissimi, le sottomissioni dei Capi e delle popolazioni, e l'impossibilità per evidenti ragioni di far ritornare i territori sotto la dominazione etiopica. Non vedo pertanto perchè il confine ad ovest del Tigrai debba essere limitato ad una linea tra Adua ed Axum, e non invece essere determinato dalla linea effettiva della nostra occupazione che si estende a tutto l'Adiabo e giunge a sud fino a Tecazzè. Oltre le ragioni sopra indicate, tale linea di confine rappresenterebbe l'unica che può dare all'Eritrea una sicurezza di difesa strategica, principio questo che è stato sempre da noi invocato a Ginevra come movente della nostra azione, tanto più quando questa linea corrisponde con quelli che sono i confini naturali della regione. Occorre del resto chiarire che Axum non è una città santa, ma contiene soltanto alcuni santuari, la cui importanza è stata continuamente svalutata dopo l'avvento della dinastia Scioana giacchè essi avevano ed hanno valore storico soltanto per le popolazioni tigrine, e che il clero di Axum, in corpore, fece atto solenne di sottomissione all'Italia. b) Frontiera tra la Dancalia e l'Eritrea. Non è chiaro quale sarebbe la nuova linea di confine proposta ad ovest. Per il confine sud in ogni caso, ed anche prescindendo da ogni questione di scambi territoriali, occorrerà considerare la questione della situazione da creare al Sultanato dell'Aussa essendo note le perduranti condizioni di ostilità fra quel Sultanato e l'Impero Etiopico, condizioni che hanno anche gravi ripercussioni sulle finitime Colonie francesi ed italiane, e tener conto pure del fatto che parte importante delle popolazioni in questa regione ha spontaneamente fatto atto di sottomissione all'Italia. c) Frontiera tra l'Ogaden e la Somalia italiana. Trattandosi di regioni desertiche, ciò che ha valore nella discussione di attribuzioni di territori più

o meno vasti all'Italia sono soltanto le tribù. Logicamente il confine sarebbe costituito dalla linea di separazione tra Somali e Galla, mentre d'altra parte anche in questa zona occorrerebbe tener conto del principio delle sottomissioni delle popolazioni, le quali nell'Ogaden si sono tutte sottomesse all'Italia. Non risulta infine che nella fissazione di una frontiera si sia tenuto conto della influenza che sulla vita economica della Somalia hanno i corsi dei grandi fiumi.

d) Zona di espansione economica e di popolamento. A parte ogni discussione circa l'estensione della zona che dovrebbe essere delimitata più che in base a coordinate geografiche, tenendo conto di considerazioni etniche, storiche, economiche e di alcuni interessi italiani precostituiti, il punto fondamentale da chiarire è quello della amministrazione e del controllo di detta zona. Accettato il principio che questa zona deve servire esclusivamente all'espansione economica ed al popolamento italiano, bisogna anche riconoscere che tali attività sono impossibili se l'amministrazione intera delle regioni non è in mani italiane, sopratutto per quanto riguarda le funzioni di polizia. Non è possibile che in un paese barbaro (in una condizione di civiltà inferiore di assai a quella di paesi sottoposti a mandato) gli italiani possano tranquillamente stabilirsi e svolgere liberamente la loro attività se non sentano di essere pienamente protetti da una propria amministrazione e da una propria polizia, pur lasciando la sovranità nominale al Negus. Le proposte inglesi e francesi per la zona di espansione economica e di popolamento terminano con l'assicurazione che i Governi inglese e francese si adopereranno subito volentieri perchè «questa organizzazione, di cui debbono essere elaborati i dettagli dalla S.d.N., salvaguardi pienamente gli interessi dell'Italia in questa regione. I Governi inglese e francese, converranno, credo, sull'opportunità che sia questi dettagli, sia la salvaguardia che essi debbono assicurare vengano previamente discussi e possibilmente concordati nell'interesse stesso dello scopo che si tratta di raggiungere.

e) Risorse minerarie. È da osservare poi che, mentre in tutte le precedenti conversazioni si era parlato dello sfruttamento economico da parte dell'Italia di tutto il territorio etiopico, le proposte franco-inglesi ammettono ciò solo nella zona riservata, dove non esiste alcuna risorsa mineraria. Occorre quindi esaminare anche questo punto per vedere le rispettive soddisfazioni che l'Italia potrebbe ottenere in Etiopia dal punto di vista minerario.

f) Disarmo e controllo armamenti abissini. Tale questione che è all'origine del conflitto e riveste fondamentale importanza per la sicurezza e stabilità delle finitime colonie italiane non risulta chiaramente trattata nelle proposte franco-inglesi. Occorrerà prevedere adeguate disposizioni al riguardo, data la mole degli armamenti abissini.

V. E. vorrà precisare che non si tratta di nostre controproposte (le quali sarebbero naturalmente avanzate ove si giungesse ad una discussione generale) ma soltanto -come già detto -di una sondaggio riservato.

C'è ancora un altro punto su cui converrà che Ella si intrattenga pure in via riservata Vansittart/Laval ed è quello che riguarda lo sbocco al mare all'Etiopia. La questione è particolarmente delicata. Al riguardo si potrebbe pensare ad una sistemazione che si presentasse di più facile e semplice conseguimento di quella franco inglese, eliminandosi le difficoltà connesse con i delicati problemi di ordine territoriale cui darebbe luogo la cessione in sovranità di Assab al Negus. Il congiungimento dell'Etiopia al mare per le necessità del suo sviluppo economico potrebbe infatti attenersi assicurando all'Etiopia il libero accesso al mare colle più ampie garanzie per tutto quanto riguarda libertà di trasporti, privilegi doganali, libertà di imbarco e di sbarco, magazzini generali ecc. ecc. come e più di quello che avviene, ad esempio, in Europa nei riguardi

di Paesi a condizioni economiche estremamente progredite con piena soddisfazione delle esigenze della loro economia. Per quanto riguarda infine il nucleo centrale abissino aggiungo, per esclusiva conoscenza e norma personale di V. E., che noi preferiremmo ora, come

abbiamo sempre preferito, che non si parlasse di piani di assistenza internazionale, giacchè abbiamo interesse a lasciare non compromessa quella parte della questione etiopica che dovrebbe essere rimandata ad un prossimo avvenire. Tale dovrebbe essere anche sotto certi punti di vista l'interesse della Francia e dell'Inghilterra, in relazione anche agli scopi dell'Accordo Tripartito del 1906. Oltretutto, il progetto anglo-francese non contempla la congiunzione territoriale tra le due Colonie, accordateci dal Tripartito, e questa è una ragione di più perchè il detto Trattato non venga vulnerato dai progetti attuali. Converrà quindi che V. E. tenga presente tale questione; pur non (ripeto non) essendo il caso di sollevarla nella presente fase delle nostre conversazioni con la Francia e con l'Inghilterra (1).

(l) -Annotazione di Mussol!ni: «Segnalare a Badoglio"· (2) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, cit., pp. 131-134.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9678-9683/969-970 R. Parigi, 16 dicembre 1935, ore 21,40 (per. ore 3,30 del 17). Telegramma di V. E. n. 851 (2).

Mi sono espresso con Lavai giusta istruzioni impartitemi rimettendo promemoria confidenziale con 'indicazione «Per il Presidente Lavai » in cui avevo esposto i vari punti circa i quali V. E. desiderava conoscere, in via del tutto riservata, fondo del pensiero del Presidente del· Consiglio francese.

Prima ancora che iniziasi lettura del promemoria, Lavai mi ha detto che egli non aveva qualità per discutere perchè, come mi aveva del resto già dichiarato, il compito suo e di Hoare doveva considerarsi esaurito dal momento in cui aveva comunicato a Roma e Addis Abeba basi per una possibile conciliazione. Se Italia aveva delle osservazioni da fare, dei chiarimenti da chiedere, delle pretese da avanzare, il foro appropriato era unicamente quello della S.d.N. Lavai ha aggiunto che egli non aveva più difficoltà a prendere visione delle osservazioni italiane a titolo personale considerando la mia comunicazione come un atto di cortesia ed un riconoscimento degli sforzi fatti per aiutarci ad uscire da una situazione difficile. Non avrebbe, per altro, potuto trasmettere il nostro punto di vista alla S.d.N. ed uguale cosa avrebbe probabilmente dichiarato Hoare al R. Ambasciatore a Londra. Contava anzi chiamare Clerk ed informarlo dell'atteggiamento assunto perchè egli lo comunicasse a Hoare. Lavai mi ha detto inoltre, sempre prima di prenedere conoscenza del promemoria, che se Italia si voleva mettere sulla buona strada, che nella presente fase non può essere che quella societaria, doveva comunicare a Ginevra di accettare il principio contenuto nella formula sottopostagli, dichiarando di dover fare riserve e chiedere spiegazioni sopra vari punti che sarebbero stati formulati

non appena fosse stato aperto il negoziato e di tenersi pertanto a disposizione della S.d.N. per discutere.

Iniziata dopo di ciò la lettura del promemoria, Lavai osservò che sarebbe stato opportuno, anzi necessario, che, nel formulare le nostre osservazioni a Ginevra, ci astenessimo da tutto quanto potesse suonare offesa per i principi sanciti dal Patto della S.d.N. Gli fece, ad esempio, cattiva impressione l'espressione «sovranità nominale » del Negus, che si riferisce ai territori sud-etiopici.

Egli osservò che l'aggettivo « nominale » è inutile, anzi dannoso perchè farà insorgere tutti i piccoli Stati che vedono, in quanto sta succedendo, una grave minaccia per la loro situazione in caso di aggressione da parte di uno Stato potente. Circa Axum, Lavai mi ripete che, sino dal primo momento, gli inglesi erano stati irrevomibili al riguardo, dichiarando sempre che non si potevano toccare i luoghi sacri. Quanto frontiere con Dancalia e con l'Ogaden, Lavai disse che egli non era in grado di esprimersi anche solo a titolo personale sopra punti che erano di natura tecnica. Le nostre osservazioni circa la zona economica e di popolamento gli sembravano degne di considerazione e non dubitava che non sarebbe stato difficile di concordare con la S.d.N. un sistema di amministrazione il quale, pur salvaguardando il principio della dipendenza da Ginevra, sarebbe di fatto stato italiano. Tale sistema avrebbe dovuto naturalmente tenere conto della sicurezza dei coloni italiani. Non diversamente si espresse circa il punto concernente le risorse minerarie, il disarmo e il controllo dell'Etiopia. Circa parere sbocco al mare, ricordò che, se noi non lo volevamo accordare, vi era l'alternativa di concedere tale sbocco all'Etiopia a Zeila.

Senza che me lo dicesse esplicitamente, compresi che il pensiero di Lavai era che, poichè questo è uno dei punti sui quali l'Inghilterra è decisa a non transigere, egli preferirebbe di molto e troverebbe anche dal punto di vista politico italiano assai più conveniente che lo sbocco fosse in territorio oggi italiano perchè vi sarà maggiore possibilità per noi di controllo che se fossero in territorio britannico. Inoltre Zeila, essendo troppo vicina a Gibuti, pregiudicherebbe gli interessi francesi.

Lavai, durante tutta la conversazione è stato straordinariamente amichevole, anzi premuroso nell'esporre quell'i che definì consigli da amico sincero dati con intento di indurci a percorrere d'ora in poi una via diversa da quella seguita fin ora che aveva causato i più gravi grattacapi all'Italia, ma anche a lui personalmente. Menzionò l'accoglienza che lui e Hoare avevano ricevuto dagli Stati minori, particolarmente da quelli scandinavi e dall'Olanda; disse che aveva visto prima di me il Ministro portoghese andato ad esporgli le ansie del suo Governo che vedeva in pericolo le proprie colonie. Accennò alla situazione minacciosa esistente a Londra ed anche a Parigi nei due Parlamenti e mi disse che da parte sua avrebbe fatto domani mattina alla Camera dei Deputati delle dichiarazioni di politica estera non ancora completate, delle quali il Presidente mi diede lettura.

Comincia dicendo che, di fronte alle accuse di avere messo in causa esistenza della S.d.N., risponde affermando che egli l'ha invece difesa con i fatti e non con le parole. Fa poi la storia del conflitto, accenna all'obbligo non solo di applicare una formula conciliativa e del mandato affidato a tale scopo a Francia e Inghilterra e da esse adottato tenendo presente anteriori delibera

zioni di Ginevra. Menziona petrolio come sanzione pericolosa per la pace europea.

Lavai spera di riuscire a controbattere azione intrapresa contro di lui da Herriot e di rendere in pari tempo un servizio a Sir Samuel Hoare, di cui elogiò nuovamente largo spirito conciliativo.

Terminando colloquio, Lavai mi ha pregato insistentemente di fare presente a V. E. la situazione che si è venuta a creare in tutto il mondo in questi ultimi giorni e di ricordare che, fortunatamente, gli uomini di Stato inglesi avevano saputo abbandonare il pericoloso punto psicologico di intrasigenza. mantenuto per lungo tempo. Egli sperava che anche il Governo italiano, di fronte all'azione conciliativa svolta dalla Francia e dall'Inghilterra per mandato ottenuto dalla S.d.N. « azione che non poteva andare oltre i punti noti », si sarebbe reso conto che era necessario fare dal suo lato un passo innanzi, quello cioè che doveva condurlo a trattare d'ora in poi il problema etiopico esclusivamente a Ginevra con metodi societari, che erano i soli i quali potevano essere adottati da chi è membro della S.d.N. Lavai insisté pure sulla considerazione che i problemi coloniali non vengono risolti allo stesso modo di quelli europei nel senso che le deliberazioni di oggi possano essere sfruttate con abilità per ottenere in futuro molto di più, così come la Francia fece al Marocco dove Atto di Algeciras le aveva concesso nemmeno la metà dei vantaggi che erano stati offerti all'Italia a Parigi nell'agosto scorso.

(l) -Per le risposte di Grandi e Cerruti vedi DD. 885 e 861. (2) -Vedi D. 860.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. R. 2724/856 R. Roma, 16 dicembre 1935, ore 23.

Viene trasmesso a parte a V. E. un telegramma da Berlino sulle conversazioni dell'Ambasciatore Phipps con Hitler (1).

Le due comunicazioni -quella fatta a V. E. dal Ministro Denain (2) e l'altra fatta dall'Ambasciatore di Gran Bretagna a Berlino -fanno supporre che in questi giorni si sia negoziato tra Francia e Inghilterra un patto aereo che va oltre l'applicazione dell'art. 16 del Covenant. Sarebbe interessante se

V. E. potesse avere qualche ulteriore informazione riguardo della portata di tale accordo.

Si presenterà poi forse la necessità di avere chiarimenti dal Governo francese sulla compatibilità di tale accordo franco-inglese con gli accordi di Roma del 7 gennaio e con gli accordi Denain-Valle.

Per eventuali passi in questo senso V. E. vorrà in ogni modo attendere ulteriori istruzioni.

(l) -Vedi D. 857 (2) -Vedi D. 867, nota 2.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, CERRUTI (l)

T. R. 2725/531 (Londra) 857 (Parigi) R. Roma, 16 dicembre 1935, ore 22,30.

La nostra risposta alle proposte franco-inglesi non potrà essere data che dopo il Gran Consiglio che si terrà la sera del 18 corrente. Nel frattempo non è mia intenzione di fare partecipare il Delegato italiano alle sedute del Consiglio, che originariamente era stato indetto soltanto per una riunione privata circa l'affare dello stabilimento degli Assiri.

Poichè d'altra parte giovedì 19 avrà luogo la discussione alla Camera dei Comuni sulla politica estera, discussione che può influenzare le decisioni del Consiglio della S.d.N., si presenterebbe forse 'l'opportunità di rinviare la riunione del Consiglio stesso. Pur non volendo io prendere nessuna iniziativa del genere, prego V. E., nel comunicare quanto precede, di sentire quali sono al riguardo le idee di codesto Governo (2).

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A CITTA' DEL MESSICO, MARCHE'ITI

T. 2726/51 R. Roma, 16 dicembre 1935, ore 23,30.

In relazione alle recenti conversazioni che V. S. ha avuto con nuovo governo messicano (3) attiro sua attenzione sulle dichiarazioni del delegato del Messico a Ginevra che, unico fra rappresentanti stati America, si è espresso nella seduta del 13 corr. in senso contrario al rinvio delle decisioni ulteriori del Comitato dei Diciotto.

Signor Gomez dopo aver ricordato che sanzioni sono state applicate per impedire che grande potenza continui a violare patto ha aggiunto che «Messico era pronto votare inclusione petrolio nella lista prodotti soggetti embargo. Egli si sarebbe inchinato all'opinione colleghi di dare al Consiglio tempo pronunciarsi; ma suo Paese non conosce proposte conciliazione, queste devono essere eque per vittima aggressione; una soluzione che non fosse liberamente accettata dall'Etiopia sarebbe incompatibile con spirito Patto. Messico non si ispirerà che al rispetto del patto~ (4).

(l) -Ed. in B. MUSSOLINI, Opera omnia, VOl. XLII, cit., pp. 134-135. (2) -Per la risposta di Grandi vedi D. 870. La ,risposta di Cerrut1 non è stata rinvenuta. (3) -Vedi DD. 799 e 819. (4) -Per la risposta vedi D. 871.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9685/1339 R. Londra, 16 dicembre 1935, ore 24 (per. ore 7 del 17).

Sono stato stamane da Vansittart e mi sono espresso in conformità delle istruzioni di V. E. (1).

Ho trovato Vansittart preoccupato. V. E. avrà visto dai miei fonostampa che giornali laburisti lo attaccano ormai direttamente attribuendo alla sua influenza personale progetto di Parigi.

Vansittart mi ha detto col più sincero rammarico che, nella situazione attuale, egli non era in grado di assumere responsabilità di un esame di una precisazione delle proposte anglo-francesi, neppure a titolo personale. Mi ha fatto presente che Gabinetto non ha preso ancora una decisione circa atteggiamento che adotterà giovedì davanti Camera dei Comuni, dove piano di Parigi sarà oggetto di discussione estremamente difficile, sui cui risultati era impossibile fare oggi delle previsioni. Progetto aveva infatti incontrato in Inghilterra opposizione più vasta e più profonda di quanto Governo britannico aveva supposto. Vansittart mi ha pregato di rendermi conto della sua difficile posizione e ha aggiunto che, solo dopo avere conferito con Hoare, egli sarà in grado di farsi una idea più esatta delle istruzioni del Segretario di Stato.

Ho quindi esposto e dettagliatamente illustrati vari punti del telegramma di V. E. n. 528.

Vansittart mi ha attentamente ascoltato prendendo appunti che sottoporrà a Hoare domani mattina al suo ritorno a Londra, dopo di che io avrò una nuova conversazione con Vansittart o con lo stesso Hoare (2).

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 16 dicembre 1935.

Il Signor Chambrun chiede se per uso personale di Lavai -per non metterlo in imbarazzo ed esporlo inutilmente si potrebbe fargli qualche anticipo su quella che sarà la nostra risposta. L'Ambasciatore naturalmente si augura che la nostra risposta sia affermativa, sia pure con qualche riserva.

Il Signor Chambrun ha sentito, che la divisione motorizzata «Trento» va in Cirenaica. Egli non ne ha parlato con Drummond per non eccitarlo inutil

mente, ma pensa che in questo momento la cosa farà molta impressione, anche perchè si potrà pensare che le eventuali affermazioni conciliative dell'Italia non siano sincere. Mi 'Prega di fargli avere qualche informazione in merito per poter presentare la cosa a Parigi.

Mi riservo di dargli una risposta.

Nota. Nel pomeriggio faccio sapere all'Ambasciatore che si tratta di qualche reparto motorizzato che va a disimpegnare dei reparti di truppe molto più numerosi. È un provvedimento interno, per cui è meglio parlarne meno possibile (1).

(l) -Vedi D. 860. (2) -Vedi D. 870.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 14968/972 P.R. Parigi, 17 dicembre 1935, ore 0,35 (per. ore 3,30).

Mio telegramma n. 966 (2) e telegramma di V. E. per corriere n. 2685 (3).

Appena accennai a Laval alla comunicazione fattami fare dal Ministro dell'Aria francese (4), egli mi disse di avere personalmente incaricato Generale Denain tenermi al corrente di quanto sarebbe stato concluso con l'Inghilterra, perchè intendeva non nascondere nulla all'Italia.

Gli chiesi di dirmi se l'accordo aereo, come quelli precedentemente conclusi fra Ministeri della Marina e della Guerra di Francia e Inghilterra, avesse una portata generale illimitata in estensione oppure temporaneo e limitato al conflitto italo-etiopico.

Lavai mi dichiarò che l'accordo aereo concluso nei giorni scorsi a Parigi altro non era che applicazione tecnica per l'aria dell'obbligo di assistenza che la Francia aveva assunto di fronte all'Inghilterra per il caso in cui, in relazione all'applicazione delle sanzioni, flotta inglese fosse stata oggetto di un'aggressione da parte dell'Italia.

Erano stati conclusi precedentemente accordi tecnici analoghi terrestri e marittimi e quello aereo non aveva fatto che completare i primi. Teneva a marcare che non si trattava di una alleanza militare, ma di accordi circostanziati e circoscritti (5).

ALLEGATò

L'ADDETTO AERONAUTICO A PARIGI, ERCOLE, AL SOTTOSEGRETARIO ALL'AERONAUTICA, VALLE (l)

L. P. Parigi, 18 dicembre 1935.

Con telegramma 1370 del 16 c.m. ho dato comunicazione che era intervenuto un accordo aereo tra Francia ed Inghilterra. Tale comunicazione è stata fatta personalmente dal Generale Denain a titolo di amicizia verso di noi.

« Desidero, egli ha detto, che sappiate direttamente da me, prima che gli altri ve ne informino, che recentemente è stato concluso tra il Mindstro dell'Aria francese e quello inglese un patto aereo di mutua assistenza». Ha aggiunto che non potev.< comunicare dettagli tecnici, ma che ad ogni modo detto patto doveva considerarsi un't applicazione dell'articolo 16 del Covenant della S.d.N.

Tale comunicazione è stata portata a conoscenza di S. E. l'Ambasciatore, il quale in un colloquio con il sig. Lavai il giorno 15 ha avuto da questi confermata la conelusione del patto aereo, [!la notizia] che a titolo di amicizia e di lealtà verso il nostro Paese aveva incaricato il Generale Denain di darne comunicazione all'addetto aeronautico del Governo italiano.

Lo scrivente ha riferito a S. E. Cerruti che nel maggio scorso erano stati conclusi tra V. E. ed il Generale Denain degli accordi aerei, accordi che, a parere dello scrivente, potevano diminuire di efficacia con l'entrata in vigore delle nuove trattative.

S. E. Cerruti mi ha riferito che, a quanto gli ha affermato dl sig. Lavai, gli accordi presi con l'Inghilterra non sono altro che un'estensione degli accordi navali, in base al prescritto dell'articolo 16 del Covenant, limit!liti e circoscrittd al contenuto di esso. In tale interpretazione H sig. Lavai è stato prec.iso e categorico, affermando altresì che gli accordi decadono automaticamente con la cessazione del conflitto ttalo-ebiopico.

Nessun accordo invece è stato concluso su quanto riguarda la mutua assistenza delle forze terrestri.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Con T.uu.rr. 1907/966 P.R. del 14 dicembre 1935, ore 20,25, Cerrut! aveva r!!erlto avere Dena.in comunicato al regio addetto aeronautico la conclusione di accordi aerei francoinglesi, avvenuta il 13 dicembre.

(3) Vedi D. 852.

(4) -Vedi Allegato. (5) -Con successivo T.uu.rr. 1009/975 P.R. del 17 dìcembre 1935, ore 20,15, Cerrut! correggeva: «Rettifico che accordi s.lno ad ora conclusi tra Francl.a. e Inghilterra per applicazione Patto di assistenza tn caso <H aggressione italiana ad Inghilterra riguardano, a quanto mi consta, soltanrto marina ed aviazione. Non mi risulta sia stato ancora concluso accordo militare, anco;rché Lavai abbia tenuto a dichiararmi ripetutamente che Patto di assistenza avrebbe dovuto estendersi alle forze di mare terra ed ada».
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 9693-9709/324-325 R. Berlino, 17 dicembre 1935, ore 15,52 (per. ore 20,301.

Attenzione circoli diplomatici e politici Berlino continua essere concentrata su questione itala-abissina e proposte Laval-Hoare.

Maggiore eccitamento riscontrasi negli ambienti Piccola Intesa. Al Ministro di Romania che sbraitava con me contro l'Inghilterra, non ho mancato rilevare che tutte le proteste possibili andrebbero bene purché non si risolvessero in un'ulteriore opposizione agli interessi dell'Italia.

I più sinceramente contenti della nuova situazione creatasi sono american! del Sud, la cui azione sembra ora apparire come suscettibile di essere indirizzata in un senso definitivamente contrario al mantenimento delle sanzioni. Ministro d'Argentina suggerisce in proposito un'azione italiana di «coordinamento e di direzione».

Quanto ai circoli politici tedeschi, essi apprezzano capovolgimento situazione avvenuto a nostro favore. Goring e Schacht, che ho veduto ieri, me lo hanno entrambi confermato, rallegrandosene vivamente. Goring particolarmente mi felicitò, in pari tempo grande abilità dimostrata nel riprendere in mano situazione. Egli attribuisce questo risultato alla risolutezza mostrata dall'E. V. nell'opporsi applicazione embargo sul petrolio, risolutezza che ha determinato le prime esitazioni e quindi le prime crepe nel fronte avversario. Ha aggiunto tuttavia sperare che nuovo accordo Francia, Inghilterra, Italia, non significhi un ritorno « alla politica antitedesca del fronte di Stresa ~.

Ho creduto poterlo rassicurare. Preoccupazioni nello stesso senso mi sono state fatte presenti anche da un funzionario ufficio stampa di questo Ministero degli Affari Esteri, il quale mi ha affermato risultargli come necessità ricostruzione fronte di Stresa sia stata ampiamente discussa fra Lavai e Hoare ed abbia costituito uno degli argomenti principali usati dal primo per premere sul secondo. Detto mi ha pure avvertito che un giornalista francese, arrivato ora da Parigi, farebbe circolare voci (originalmente dovute alla famosa Tabouis) che l'Inghilterra si prepari a finanziare con un prestito costituenda società per colonizzazione italiana per sfruttamento Abissinia.

Ho smentito subito per conto mio. Vedrà V. E. se sia il caso smentire a mezzo della stampa.

Goring ha pure alluso, meravigliandosi, alla nostra permanenza nella S.d.N. Gli ho risposto che avvenimenti questi ultimi giorni potevano invece dimostrare saggezza nostra condotta, ma che comunque questione S.d.N. rimaneva virtualmente per noi sempre aperta. Convinto invece della utilità, almeno per il momento, della nostra permanenza a Ginevra si è mostrato Schacht. Comunque tutti concordano nel ritenere S.d.N. come seriamente arenata.

(l) In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Aeronautica.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 9703/326 R. Berlino, 17 dicembre 1935, ore 19,35 (per. ore 21,15).

Mio telegramma odierno n. 325 O).

Goring mi ha telefonato personalmente segnalandomi pubblicazione Lavoro Fascista (riportata in corrispondenza romana della Borsen Zeitung) secondo cui: «Necessità attuali rendono desiderabile ricostituzione equilibrio cui furono poste basi a Stresa ~.

Alla luce conversazione avuta con Goring ieri, devo interpretare suo appello come in fatto diretto a V. E.. Mi sembrerebbe opportuno evitare malintesi, escludere in modo inequivocabile Italia miri a formazione e sistemazione di equilibrio europeo senza o contro la Germania.

Sarò grato a V. E. essere posto in grado di rispondere Goring (2).

(l) -Vedi D. 868. (2) -Vedi D. 893. Il presente documento reca il v!Bto di Mussollni.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 9705/1341 R. Londra, 17 dicembre 1935, ore 20,50 (per. ore 0,40 del 18).

Vansittart mi ha pregato oggi di passare da lui e mi ha detto che Hoare, essendo tuttora ammalato, lo aveva incaricato di darmi a suo nome la risposta al sondaggio riservato fatto da me ieri in conformità delle istruzioni di V. E.

n. 528 (1).

vansittart mi ha detto che egli aveva dettagliatamente messo al corrente Hoare della nostra conversazione. Richiamandosi alle comunicazioni fatte a V. E. da codesto Ambasciatore d'Inghilterra, Hoare desiderava far presente che progetto franco-inglese del 10 dicembre era stato portato ormai davanti al Consiglio della S.d.N. e che il Governo britannico si trova quindi nell'Impossibilità prendere in esame alcuna questione, mentre il Consiglio della S.d.N. non ha ancora dato il suo giudizio. Governo britannico si rimetterà alle decisioni del Consiglio della S.d.N. che è quindi anche competente a dare quei chiarimenti che il Governo italiano credesse necessari. Vansittart mi ha aggiunto che tanto egli che Hoare erano personalmente molto dolenti di non poter dare una risposta ai punti sollevati da V. E.

Ho preso occasione per comunicare a Vansittart il contenuto del telegramma di V. E. n. 531 (2) e chiedere quali sarebbero state le idee del Governo britannico circa l'opportunità rinviare la riunione del Consiglio fissata per domani.

vansittart mi ha risposto che egli non vedeva alcuna possibilità da parte Governo britannico di prendere iniziativa di un rinvio. Egli mi ha aggiunto che, fra l'altro, Eden era già in viaggio per Ginevra.

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IL MINISTRO A CITTA' DEL MESSICO, MARCHETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9735/88 R. Città del Messico, 17 dicembre 1935, ore 22,30 (per. ore 11,50 del18).

Telegramma di V.E. n. 51 (3).

Ho incontrato ancora ieri sera Ministro degli Affari Esteri ed ho evitato di parlargli perchè avrei dovuto rinfacciargli di avermi detto il contrario della verità. A persone che gli sono vicino ho espresso solo in parte i miei sentimenti. Lo stesso Ministro ha, in dichiarazioni alla stampa, pienamente approvato atteggiamento del delegato messicano a Ginevra. Debbo purtroppo concludere, con la maggior parte dei miei colleghi esteri, che questi governanti non meritano alcuna fede. Debbo altresì riconfermare mio convincimento (miei rapporti 368

59 -Doc11menti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

e 307) (1) che questo Governo ci è irreducibilmente contrario anche e specialmente per ragioni di politica interna che lo portano sempre più verso sinistra, particolarmente in questo momento in cui impensato improvviso ritorno del Generale Calles ha indotto Presidente della Repubblica a cercare più che mai l'appoggio della piazza.

(l) -Vedi D. 860. (2) -Vedi D. 863. (3) -Vedi D. 864.
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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9769/068 R. Belgrado, 17 dicembre 1935 (per. il 19).

Oltre alle notizie riferite all'E. V. con mio odierno telegramma-filo n. 153 (2)

circa linea di condotta concertata fra Stati Piccola Intesa e Intesa balcanica

di fronte progetto anglo-francese regolamento conflitto itala-etiopico, ho avuto

da questo Ministro Aggiunto Affari Esteri altre seguenti notizie circa punti esa

minati e fissati di comune accordo fra Stojadinovic e Aras nel loro recente

incontro:

l) Embargo petrolio. Si ritiene che la questione non venga più posta.

Dalle ultime notizie in possesso, si rileva che la Francia vi è contraria e che

l'Inghilterra tende a recedere dal proposito di applicarlo, risultando sempre mi

nori le possibilità che questa sanzione sia resa effettiva dal concorso degli Stati

Uniti. Se mai -ove il conflitto non fosse prima avviato ad una soluzione la questione dell'embargo del petrolio non potrebbe risorgere che nel gennaio prossimo, dopo che il Congresso americano siasi pronunciato circa modificazioni ·del «Neutrality Act ». Aras e Stojadinovic, in ogni modo, hanno convenuto dì sostenere «fino al possibile » la tesi del rinvio della decisione, e subordinata

mente, quella del rinvio dell'applicazione. Tale linea dì condotta sarebbe stata

adottata dopo presentita la Romania.

2) Atteggiamento tedesco. Si è constatata dalle due parti l'identità delle

informazioni secondo le quali: la Germania manterrà un atteggiamento di asso

luta neutralità; essa non è oggi preparata per una guerra offensiva; lo sarebbe,

però, per una guerra difensiva; viene segnalata come specialmente forte la sua

preparazione aerea, sopratutto in ragione qualitativa del materiale.

3) Atteggiamento dell'U.R.S.S. Si sono constatati i sintomi di un riavvì

cinamento anglo-sovietico. Si pensa che esso dovrebbe avere la funzione di

preparare e favorire il reìngresso della Germania nella S.d.N. verso determinate

concessioni da farle per il suo ritorno nel sistema della sicurezza collettiva.

4) Romania. Si è rilevato io scarso apporto della Romania in fatto di efficienza bellica; si è invece considerata importante la situazione politica e il credito di cui essa gode nell'ambiente internazionale.

5) Grecia. Le stesse considerazioni sono state fatte per la Grecia. Si è espressa la fiducia che con la restaurazione del regime monarchico essa giunga al più presto al consolidamento interno e a un adeguato grado di prestigio come Stato mediterraneo.

6) Aras ha enunciato e sostenuto il concetto che gli Stati piccoli e medi (vedi Jugoslavia) devono affidarsi al principio della sicurezza collettiva e stringere patti regionali, ma non devono legarsi con alleanze bilaterali e Potenze di primo ordine. Lo stesso Aras si è poi espresso in termini di amicizia per l'Italia e ha sostenuto la necessità di cooperare alla più rapida sistemazione dell'attuale conflitto, affinchè l'Italia possa riprendere la sua parte come fattore principalissimo della ricostruzione europea.

(l) -Non pubblicati. (2) -con il T. 9710/153 R., pari data, ore 18,05, Viola comunkava: «Se progetto sarà a,ccettato almeno in prtncipio dalle due parti in conflitto oppure se, anche In difetto accettazione di una delle parti, esso sarà raccomandato congiuntamente da Francia e Inghilterra, i Governi delle due Intese si dichiareranno a favore della sua adozione. Se Invece progetto non potesse sostenersi per rigetto delle due parti, oppure di una di esse e perabbandono da parte Inghilterra. i Governi delle due Intese proporrebbero od appoggerebbero proposta di,retta conferire a Francia e Inghilterra nuovo mandato della S.d.N. (questa volta emanante ufficialmente dal Consiglio) per ricercare nuove basi componimento».
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9850/0121 R. Vienna, 17 dicembre 1935 (per. il 21).

Berger ha tenuto ad informarmi in maniera particolareggiata d'un improvviso ed importante passo compiuto presso di lui da questo Ministro di Polonia Gawronski.

Questi ha anzitutto informato Berger che circa quindici giorni fa aveva avuto luogo a Varsavia una riunione di tutti i Capi Missione accreditati presso gli Stati danubiani, onde studiare i riflessi della situazione generale su detta zona europea.

In tale occasione egli aveva avuto incarico di recare a Berger il personale saluto di Beck, nonchè di comunicargli:

l) che il Governo polacco aveva con compiacimento dedotto, dalla preannunciata visita del Cancelliere a Praga, tutto l'interesse dell'Austria ad entrare in conversazioni con la Cecoslovacchia;

2) che anche a Varsavia si giudicava ormai giunto il momento di liquidare la propria vertenza con Praga. A tale proposito il Gawronski, dopo essersi dilungato sulle origini e sugli sviluppi di essa, aveva insistito particolarmente sul tono amichevole della risposta data da Varsavia alla proposta di Praga (di risolvere il conflitto per mezzo di un arbitraggio), risposta che, pur essendo negativa, conteneva il germe di future dirette conversazioni;

3) che Varsavia prevedeva che tali conversazioni si sarebbero svolte con più facilità col nuovo GovernoHodza, anziché col Benes, giudicato poco incline ad una amichevole soluzione della predetta vertenza;

4) che a tale proposito anzi si riteneva a Varsavia che una contrastata vittoria del Benes nelle elezioni presidenziali avrebbe avuto la conseguenza di !sciare al signor Hodza, una maggiore libertà di azione nel campo della politica estera.

Il signor Beck aveva dato espresso incarico al rappresentante a Vienna di illustrare il punto di vista di Varsavia sulla predetta vertenza, onde creare in certo modo tra la Polonia e l'Austria un costante contatto, tanto più che, a suo avviso, la politica estera di Hodza non potrà non essere opposta a quella sinora seguita da Benes, inclinando essa verso la formazione di un « blocco nord-sud» (Stati balcanici, Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Ungheria, Italia).

Il signor Gawronski aveva aggiunto che la Jugoslavia gode in Polonia di larghe simpatie, ma che si è colà di avviso che una stretta collaborazione con detto paese non sia possibile a causa degli intimi legami che esso ha con gli altri Stati balcanici, mentre la Polonia «segue esclusivamente una politica diretta verso ovest».

Il mio collega aveva infine terminato osservando che punto fondamentale della politica polacca rimane sempre quello della ferma avversione contro ogni collaborazione con i sovieti.

Berger ha commentato le surriferite aperture del signor Gawronski nel senso che a Varsavia si delinea sempre più un riavvicinamento verso Parigi, e che di ciò fanno prova non solo il suaccennato mutamento di direttive nella politica seguita finora verso Praga, ma altresì la recente ripresa di contatto fra lo Stato Maggiore polacco e quello francese.

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IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 2735/791. Lisbona, 17 dicembre 1935 (per. il 6 gennaio 1936).

Telespresso di V. E. n. 241887/30 del 21 novembre u.s. (1).

La comunicazione fatta a S. E. Aloisi, e segnalatami con il dispaccio a cui mi riferisco, che cioè il 19 novembre il Direttore della Emissora Nacional sarebbe stato revocato dal Governo portoghese e sostituito da altra persona che dava sicuro affidamento di una maggiore comprensione della situazione politica internazionale mi ha vivamente sorpreso, tanto più che tale comunicazione era stata fatta nell'intento di far comprendere che con tale decisione il Governo portoghese aveva dato piena soddisfazione alle richieste del Governo italiano. Tale notizia non è corrispondente a verità come non Io era l'altra affermazione fatta dal dottor Lobo d'Avila a S. E. il barone Aloisi che l'Emissora Nacional fosse « nelle mani dei tedeschi » quando questi si sono limitati a costruirla e consegnarla al Governo portoghese che la gestisce e la controlla (mio rapporto

n. 2534/731 del 23 novembre u.s.) (2). E' infatti fuori di ogni dubbio che il Capi

tano Galvao direttore dell'Emissora Nacional è sempre al suo posto e continua a godere le simpatie di questo Ministro degli Affari Esteri. Ho creduto pertanto opportuno di chiedere a questo Segretario Generale, Ambasciatore Teixeira de Sampaio, conferma della comunicazione che, è chiaro, non avrebbe potuto essere fatta che in seguito ad istruzioni di questo Ministro degli Affari Esteri. Il Segretario Generale cadde dalle nuvole, e, dichiarandomi che una tale notizia non era a sua conoscenza e che se lo fosse stato certamente non avrebbe mancato di parteciparmi un tale provvedimento, dato che io mi ero rivolto a lui, nell'assenza del Ministro per protestare contro la diffusione delle false notizie e degli offensivi commenti operati dalla Radio portoghese (mio rapporto n. 2130/ 652 del 19 ottobre u.s.) (1), mi ha detto che avrebbe chiesto al Ministro se una tale comunicazione fosse stata fatta da lui direttamente e a sua insaputa. Era un modo di prendere tempo perchè nulla avviene a questo Ministero degli Affari Esteri che il Segretario Generale non sappia. Ritornato sull'argomento una seconda volta egli mi ha affermato che nessuna istruzione al riguardo era stata mai data da questo Ministero al dottor Lobo d'Avila e che gli era stato telegrafato per chiedergli spiegazioni del «malinteso ».

Mi riservo ulteriori comunicazioni appena sarà ritornato da Ginevra questo Segretario Generale che ha colà accompagnato il Ministro degli Affari Esteri (2).

(l) -Vedi D. 481, nota 2. (2) -Non pubblicato.
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L'AMMIRAGLIO PINI AL MINISTERO DELLA MARINA (3)

TELESPR. 30 M 7. Londra, 17 dicembre 1935.

l. -Faccio seguito al mio foglio n. 25 M/6 (4) del 13 c.m.

2. --Con foglio a parte rimetto i resoconti provvisori stenografici della quarta seduta del Primo Comitato (venerdì 13 c.m.) e della prima seduta del Comitato dei Capi delle Delegazioni (lunedì 16 c.m). 3. --Malgrado le conversazioni che la Delegazione giapponese ha avuto con quella del Regno Unito, nei due giorni in cui sono state sospese le sedute, la tesi giapponese del limite superiore comune, anche nella seduta di ieri, è rimasta avvolta nella nebbia di alcuni criteri astratti, che malgrado le precise domande poste alla Delegazione giapponese specialmente dalle Delegazioni del Regno Unito e degli Stati Uniti d'America, non hanno mai preso forme concrete: i giapponesi, messi alle strette, hanno ammesso che ottenuta la sicurezza o meglio lo stato di non minaccia e non aggressione con la riduzione di tutte le flotte ad un comune livello, possibilmente basso, si sarebbero dovuti poi fare

accomodamenti (adjustments) per tenere conto delle eventuali differenti condizioni di sicurezza o di vulnerabilità in cui le varie nazioni sarebbero eventualmente venute a trovarsi. Una delle forme che ha assunto questa proposta giapponese sarebbe quella di stabilire un limite comune con le possibilità di concessioni in eccesso (common upper limit + x) per tener conto di bisogni specifici assodati. Richiesti esplicitamente di precisare quali sarebbero stati questi accomodamenti, i giapponesi hanno divagato parlando un po' di accomodamenti di tipo quantitativo un po' di accomodamenti essenzialmente qualitativi, e cioè che avrebbero dovuto riguardare i tipi di unità concessi alle varie potenze, ma senza mai precisare un concetto: è apparso chiaro che o non hanno essi stessi una nozione ancora concreta di quali possano essere questi accomodamenti, oppure ne parlano unicamente per tirare in lungo e coprire, con frasi vuote di reale significato pratico, una intransigente aspirazione ad

una parità assoluta almeno di diritto.

4. -La Delegazione italiana (che presiedevo in assenza di S. E. Grandi impossibilitato per ragioni di ufficio ad intervenire, da notare anche l'assenza dell'Ambasciatore francese) ha dovuto esprimere il suo parere sulla proposta giapponese, entrando un po' più nello spirito di essa, giacché fino a quel momento, le nostre obiezioni avevano avuto sopratutto di mira l'affermazione della nostra avversione alle procedure tendenti a formare delle suddivisioni tra le cinque potenze rappresentate alla Conferenza.

Le dichiarazioni fatte sono state compilate da S. E. Grandi sulla scorta di alcuni appunti che erano stati da me preparati sull'argomento e risultano dai verbali che invio con foglio a parte n. 34 M/8 in data odierna.

Esse hanno avuto lo scopo di riaffermare la nostra netta intransigenza a qualsiasi procedura ed a qualsiasi accordo tendente a stabilire una divisione od una graduatoria fra le cinque grandi potenze navali e di enunciare la nostra solidarietà per il principio puro che ispira il criterio del limite superiore ecomune (e cioè parità integra di diritto con tutti) contemporaneamente alla nostra impossibilità di aderire al criterio stesso, quando esso fosse minato nelle sue stesse basi dalla previsione della necessità di aggiustamenti che non potevano condurre altro che ad un sistema di quote.

In un secondo tempo ho richiesto di nuovo la parola per dichiarare che le delucidazioni date dai giapponesi non ci avevano reso il problema più chiaro.

5. --Alla fine della seduta di ieri, allo scopo di evitare un troppo appariscente intoppo nell'andamento dei lavori, è stato deciso di sospendere la discussione sulla proposta giapponese per passare a discutere, in seno al Primo Comitato, la proposta di limitazione quantitativa, che presenterà la Delegazione del Regno Unito. Si è inteso che, nel frattempo, continuino le conversazioni dirette tra la Delegazione per cercare di approfondire e di sviscerare la proposta giapponese. 6. --Poco prima della seduta del 17 c.m., la Presidenza ha inviato il testo della proposta inglese di limitazione quantitativa basata sul concetto di una denuncia unilaterale (ma precedentemente concordata) dei programmi navali relativi ad un numero di anni da concordarsi (vedi allegato n. 6 al foglio

n. 34 M/8).

Come V. E. rileverà, la Delegazione britannica cerca di dare alla sua proposta una forma che salvi, per quanto possibile, il concetto del diritto comune a tutti i Paesi di possedere, secondo la propria volontà, la misura degli armamenti necessari per garantire la propria sicurezza nazionale.

Il sistema proposto però, se esteso a parecchi anni ed in considerazione che dovrebbe essere previamente concordato, riconduce la questione a quella delle proporzioni fra le flotte.

7. -La Delegazione del Regno Unito ha presentato altresì una formula di dichiarazione unilaterale, concernente le nuove costruzioni. (Vedi pag. 3 dell'allegato n. 6 al foglio n. 34 M/8).

Il Primo Lord dell'Ammiragliato ha, durante la seduta, letto alcuni schiarìmenti circa l'applicazione pratica del concetto inglese.

Le altre Delegazioni, compresa la nostra, hanno richiesto alcuni chiarimenti chiedendo altresì tempo per presentare il punto di vista completo sulla proposta.

Ad iniziativa della Delegazione giapponese, è stato convenuto che la prossima seduta avrà luogo nelle ore antimeridiane di giovedì, 19 corrente.

8. -Durante la fine della settimana scorsa, allo scopo di giungere alla seduta pomeridiana di lunedì, 16 c.m., per quanto possibile illuminati sugli scopi di essa e sulla procedura che sarebbe stata seguita, la Delegazione italiana si è mantenuta in stretto contatto con la Delegazione francese e con quella americana (vedi allegati n. 2 e 3 relativi alle conversazioni svolte nei giorni 13 e 16 c.m.).

Allego anche (allegato n. l) un promemoria sulla conversazione svolta anteriormente il giorno 12 c.m. tra la Delegazione italiana e la Delegazione francese ed un diario (allegato n. 4) dal 12 al 16 c.m.

(l) -Non pubblicato. (2) -Con Telespr. r. 40/20 dell'8 gennaio 1936 Tuozzi riferiva sul colloquio con !l segretario generale: « ... Egli m.i ha dichiarato che il dottor Lobo d'Avila aveva telegrafato trattarsi di un " malinteso" e che egli si sarebbe affrettato a spiegarlo direttamente a S. E. il Capo di Gabinetto. Non so se ciò egli abbia fatto e quale g!ustlf!caz!one egli abbia data; voglio sperare che in avvenire egli dia prova di maggiore serietà>). (3) -In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare. (4) -Vedi D. 850.
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9699/657 R. Ginevra, 18 dicembre 1935, ore 0,30 (per. ore 5,45). Telegramma di V. E. n. 128 (1).

Ho fatto a Beck comunicazione ordinatami da V. E.

Beck se ne è mostrato molto sensibile, mi ha pregato di dire a V. E. che egli aveva voluto dare una prova dei suoi sentimenti amichevoli per l'Italia e che intendeva darne ancora. Mi ha aggiunto che avrebbe visto Lavai domani mattina, che si proponeva di impedire discussioni intempestive e inopportune. Non riteneva fosse il caso per il Consiglio di iniziare domani una discussione senza conoscere risposta delle parti interessate. Avrebbe sostenuto quindi opportunità di un rinvio della discussione a venerdì.

(l) Manca nella raccolta dei telegrammi in partenza per Gi:nevra.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FONOGRAMMA 9741/668 R. Ginevra, 18 dicembre 1935, ore 21.

Lavai ha voluto vedermi subito dopo seduta del Consiglio.

Mi ha detto che sapeva come V. E. avrebbe con ogni probabilità intrattenuto stanotte Gran Consiglio su problema itala-etiopico e desiderava farlo giungere ancora una volta una sua parola amichevole. Egli intendeva ripetermi quanto aveva già detto a S. E. Cerruti (l) e a S. E. Marconi.

Data la situazione politica egli considerava il tentativo che aveva fatto come l'estremo sforzo che gli era consentito per aiutarci. Aveva escogitato il piano con l'espresso disegno di evitare che venisse fatto l'embargo sul petrolio che era suscettibile di provocare gravi conseguenze per la pace. Aveva trovato in Hoare non solo comprensione ma anche molto coraggio. La situazione politica di quest'ultimo era diventata infatti molto difficile appunto per il suo grande senso di responsabilità che aveva dimostrato.

Le dichiarazioni che egli, Lavai, aveva fatto oggi in Consiglio erano nette ed esplicite. Egli teneva a suggerire a V. E., data situazione politica, data la situazione inglese, le reazioni che il suo progetto aveva sollevato a Ginevra « a voler entrare nell'ordine di idee di discutere anche se l'Etiopia ricuserà di farlo >>. In tal modo egli ritiene che Governo italiano si metterà in una situazione di favore che farà capovolgere i termini del problema. Ha precisato che con estrema lealtà voleva permettersi di far giungere a V. E. un caloroso appello perché non declinasse di discutere. Una sua accettazione di principio sarebbe servita anzi a lui per continuare nella sua opera di conciliazione.

Ha voluto in seguito dettarmi una formula che egli ritiene potrebbe essere accettata dal Governo italiano lasciando impregiudicate beninteso la possibilità delle sue osservazioni, delle sue controproposte e delle sue richieste. La formula è la seguente: « Sur l'appel qui lui est adressé par la France et l'Angleterre, le Gouvernement Italien accepte le principe d'un arrangement amiable et se déclare prét à participer à toute négociation dans ce but. Il se reserve naturellement le droit de faire valoir dans le cadre des formules qui ont été proposées les demandes et les observations qu'il jugera nécessaires ». Egli indicava tale formula a titolo di esempio ed ha attestato che con questo suggerimento intendeva fare ancora un estremo tentativo per impedire l'aggravarsi della situazione. Un rifiuto italiano a discutere avrebbe messo lui stesso in difficile situazione, ci avrebbe alienato anche quegli appoggi su cui potevamo contare a Ginevra.

Ho allora chiesto a Lavai se per il caso il Governo italiano accettasse ii principio di discutere e L'Etiopia no, egli considerava che ipso facto le sanzioni già applicate all'Italia dovessero venire tolte come mi sembrava naturale.

Lavai mi ha risposto che non credeva questo possibile per il momento. Quello che egli aveva voluto, formulando il mio progetto, era di impedire che nuove sanzioni venissero decretate facilitando il rasserenarsi dell'atmosfera nella possibilità di un accordo.

Avendogli detto che il discorso di Eden era giudicato da molti delegati come una specie di enterrement del progetto, mi ha detto che il discorso di Eden era dovuto a necessità della situazione politica interna inglese. Se il Governo italiano accettava il principio di discutere, il Consiglio della S.d.N. non avrebbe osato sconfessare apertamente lui e Hoare. La cosa migliore gli sembrava che fosse solo l'Etiopia a rigettarlo.

La val ha concluso pregandomi di dire a V. E. che domattina alle 11 il Consiglio si riunirà in seduta segreta senza la presenza del delegato etiopico per decidere sul da farsi. Egli sperava vivamente che per quell'ora V. E. lo avrebbe messo in condizioni da sostenere che la sua opera era stata apprezzata da Lei e che vi era ancora la speranza di un comune amichevole sforzo per arrivare a un accordo.

(l) Vedi D. 861.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSO LINI (l)

FONOGRAMMA 9739/669 R. Ginevra, 18 dicembre 1935, ore 21.

Impressione di molti delegati con i quali ho parlato è che progetto francoinglese dopo dichiarazioni di Eden possa considerarsi come sepolto.

Madariaga con brutale chiarezza mi ha detto «se non è un funerale è un aborto». Tuttavia Madariaga ritiene che «renflouement » del progetto sarebbe ancora possibile e ciò in dipendenza delle decisioni che prenderà stasera il Gran Consiglio e della discussione che si svolgerà domani ai Comuni.

Beck si è espresso presso a poco negli stessi termini. Mi ha detto però che un punto restava acquisito a nostro esclusivo vantaggio: dell'embargo sul petrolio non si sarebbe più parlato.

Qualche altro delegato, fra cui Vicuna, Potemkine, mi hanno detto che le due dichiarazioni Eden-Lavai non sono antitetiche, come potrebbero sembrare a prima vista, ma esse rispecchiano esattamente la diversa posizione dei due Governi.

Impressione generale comunque è che progetto potrebbe essere ancora ripreso.

Le dichiarazioni del delegato etiopico sono una chiara manovra del tentativo fatto di porre il Consiglio nell'obbligo di rispondere ai quesiti posti nel documento presentato stamani dalla stessa delegazione etiopica (2), visto che proposta di convocare Assemblea non è stata per ora presa in considerazione.

(l) Ed. in R. DE FELICE, Mussolini il duce, vol. I, cit., p. 719.

(2) Non rinvenuto.

879

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2251/1523. Praga, 18 dicembre 1935 (1).

Riferimento: Miei telegrammi n. 207 del 26 novembre u.s., n. 212 del 14 corr. e n. 214 in data odierna (2).

L'Assemblea Nazionale cecoslovacca riunitasi oggi nella Sala Vladislav del Castello di Praga ha proceduto alla elezione del nuovo Presidente della Repubblica nella persona del Signor Edoardo Benes. Votanti: 4<10. Benes: 340; Nemec: 24; schede bianche: 76.

L'Assunzione di Hodza alla Presidenza del Consiglio fu intesa quale un avviamento all'assunzione di Benes alla Presidenza della Repubblica, tale essendo l'espresso desiderio di Masaryk, di aver cioè Benes a suo successore.

In questi giorni passati però i soliti intrighi di partiti avevano talmente complicata la situazione che quella che pareva una chiara situazione a favore di Benes si era andata oscurando con l'apparizione di altre candidature; tanto che Hodza, nell'impossibilità di raggiungere un accordo, come se ne era assunt> l'impegno, aveva pregato il Presidente della Repubblica di accettare le sue dimissioni (mio telegramma n. 209) (3). Masaryk vi oppose il suo rifiuto e intanto si intensificò il lavoro di persuasione e di pressioni dirette a dare prevalenza alla candidatura di Benes. Alterne vicende si sono susseguite di giorno in giorno fino a quando, essendosi riuscito a preconizzare con quasi sicurezza l'elezione di Benes, Masaryk si decideva a rassegnare le dimissioni il 14 corr. raccomandando pubblicamente il Ministro degli Affari Esteri per la sua successione.

Incerto era però rimasto l'atteggiamento degli agrari contrari a Benes. socialista-nazionale, dei popolari slovacchi e dei tedeschi dei Sudeti.

Nelle ultime ventiquattro ore i popolari slovacchi di Hlinka hanno data la la loro adesione a Benes, gli agrari che avevano messa avanti la candidatura del Prof. Nemec, dietro insistenza di Hodza agrario anch'esso, sono venuti nella determinazione di ritenersi sciolti dalla solidarietà di partito e di votare secondo la personale scelta di ciascuno -i tedeschi di Henlein dopo prolungate esitazioni hanno deciso per l'astensione.

La cerimonia dell'elezione, indetta per le ore 10,30 di oggi, si è svolta solennemente sotto la presidenza di Malypetr, Presidente della Camera, e dì Soukup, Presidente del Senato, con l'assistenza del corpo diplomatico e di tutte le autorità civili, ecclesiastiche e militari dello Stato.

A primo scrutinio Benes ha ottenuto voti 340 contro 24 di agrari per Nemec e 76 astenuti fra agrari e tedeschi dei Sudeti. Il risultato delle elezioni è stato accolto con prolungate ovazioni a Benes, il quale entrato quindi nell'aula ha prestato giuramento. Tommaso G. Masaryk partito da Padova il 17 dicembre 1918, seguìto dal Corpo d'Armata cecoslovacco, costituitosi in Italia e passato in rivista da Sua

Maestà il Re, giunse a Praga diciassette anni or sono in forma solenne e fra grandissimo entusiasmo. Nella prima storica seduta tenutasi al Parlamento applausi vivissimi e parole di riconoscenza accompagnarono la lettura del messaggio del Presidente del Consiglio italiano, messaggio posto al n. l degli atti parlamentari che, dopo secoli, segnavano l'inizio della rinnovata libertà del popolo ceco.

Non è ricorrere ad un luogo comune dicendo di Masaryk, uomo di indubbia superiore levatura, che egli ha ben meritato del suo paese nei lunghi anni durante i quali è rimasto a capo dello Stato cecoslovacco. Ne è prova sicura il fatto che circondato sempre dal generale rispetto all'interno senza distinzione di partiti e di nazionalità, stimato sempre all'estero da paesi amici e non amici, si allontana ora dalla suprema carica dello Stato fra il rincrescimento di tutta la popolazione che continuerà a serbargli riconoscenza e devozione e fra la non comune considerazione dell'estero, ove Masaryk è noto quale un filosofo nella vita ed un patriota nella politica.

Gli succede Benes che è il secondo termine del binomio creatore della Cecoslovacchia. Un solo uomo avrebbe potuto contrastargli il passo all'ambita ascensione a Capo di Stato ed è il vecchio Kramar che, lottando duramente, all'interno, per l'indipendenza del paese, scampò appena alla condanna a morte inflittagli dall'Austria. Ma indotto anch'egli dagli anni alla quasi immobilità, che gli ha persino impedito di partecipare alla cerimonia odierna, Kramar, pur conservando tutta la lucidità del suo pensiero, ha compreso che ogni azione era ormai al di fuori delle sue possibilità ed ha resistito alle insistenze di seguaci suoi ed avversari di Benes, intese ad opporre a questi un uomo onesto e meritevole. Giacchè Benes, del quale credo superfluo disegnare la ben nota personalità, non ha con se l'unanime consenso dei suoi connazionali come del resto non raccoglie all'estero generali simpatie pur conoscendosene l'abile disinvoltura e la insinuante scaltrezza.

Nell'ultima conversazione che ebbi con lui due giorni fa mi accennava ai suoi propositi presidenziali di rimanere strettamente nell'ambito della costituzionalità; epperò se egli saprà effettivamente mettersi al di sopra dei partiti anche i comunisti gli hanno dato voto favorevole forse per riflesso dei suoi amori moscoviti -potrà probabilmente ripagare le falle esistenti nell'opinione pubblica a suo riguardo; comunque non gli sarà agevole poter uguagliare il suo predecessore in quell'autorità che è stata finora una effettiva forza di coesione fra i non pochi elementi dissolventi che minano la compagine dello Stato e di dentro e di fuori.

Mi disse anche che ove fosse stato eletto Presidente avrebbe mantenuti frequenti rapporti con i rappresentanti esteri, mentre nulla sarebbe stato innovato nelle linee direttive della politica estera della Cecoslovacchia. Sarebbe in fatti suo desiderio che l'attuale Vice-Ministro per gli Affari Esteri Krofta gli succedesse al Ministro degli Affari Esteri, del quale ha assunto per ora l'interim il Presidente del Consiglio Hodza, dopo aver presentato al nuovo Presidente della Repubblica le rituali dimissioni ed aver ricevuto incarico di rimanere a capo del governo.

Pel Ministero degli Esteri si fanno anche i nomi del Ministro a Parigi Osusky e del Ministro a Berlino Mastny; nulla però sembra sarà fatto fino al prossimo gennaio, epoca per la quale si prevede un largo rìmaneggiamento dell'attuale gabinetto.

Praga si è sforzata di assumere oggi l'aspetto delle grandi occasioni. Molti pensano che la direzione dello Stato viene affidata a buone mani, qualcuno teme che la fine politica del « Vecchio » Presidente possa portar sfortuna alla Cecoslovacchia come all'Austria la fine del «Vecchio» Imperatore; alcuni colleghi stamane, dopo l'elezione, vedevano assicurato a Benes un doppio periodo settennale di presidenza della Repubblica, qualche altro temeva, o in animo sperava, che gli portassero via la Repubblica prima della presidenza (1).

(l) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (2) -Non pubblicati. (3) -Non pubblicato.
880

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9756/1342 bis R. Londra, 19 dicembre 1935, ore 2,45 (per. ore 7,10).

Nella giornata di ieri ho avuto occasione di avvicinare vari membri del Governo i quali mi hanno confermato quanto ho già telegrafato a V.E. sulla situazione (2).

Ormai è fuori di dubbio che la maggioranza della Camera dei Comuni è contraria al progetto Hoare-Laval. Gli sforzi fatti dal Governo per attenuare le ostilità sono falliti. Il Governo ha dovuto mettersi sulla difensiva e, per quanto riguarda il progetto, le decisioni del Governo sono ormai di abbandonarlo alla sua sorte lasciando alla S.d.N. la responsabilità di decidere se e quale seguito esso debba avere.

Da parte sua l'opposizione, appoggiata da un forte numero di conservatori, vorrebbe andare al di là. Vorrebbe cioè che il Governo nella seduta di domani dichiarasse formalmente che il progetto Hoare-Laval si intenda definitivamente ritirato e che il Governo ripudiasse finanche le dichiarazioni di Eden il 12 corr. nella seduta del Comitato dei Diciotto, dichiarazioni, essi sostengono, che hanno dato alle proposte di Parigi una interpretazione così elastica da favorire, invece che danneggiare, un negoziato con l'Italia.

881

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9746/1347 R. Londra, 19 dicembre 1935, ore 1,15 (per. ore 4,50).

Posizione del Governo ha subito oggi un ulteriore aggravamento.

Non solo gli sforzi, di Baldwin di superare le ostilità di una notevole parte della maggioranza verso progetto Hoare-Laval sono falliti, ma anche opposizione al Governo si è andata intensificando e allargando e il Governo si prepara

ad affrontare domani la discussione alla Camera dei Comuni in condizioni estreme di difficoltà.

Ho informato già V. E. delle divisioni che esistono in seno Gabinetto. Crescente dissenso in seno alla maggioranza ha acuito questa divisione e non si vede oggi come queste potrebbero essere superate. Dimissioni di Hoare, che ieri erano escluse, sono tornate a diventare una possibile e forse la sola via di uscita per il Governo da una situazione diventata insostenibile (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Vedi DD. 833 e 858.
882

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARO NE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9796/230 R. Mosca, 19 dicembre 1935, ore 18,55 (per. ore 20,40).

Con editoriale Journal de Moscou, segnalato a codesto Ministero con Stefani 187, Narkomindiel ha inteso anticipare posizione che U.R.S.S. assumerebbe a Ginevra nei confronti della proposta Laval-Hoare.

La S.d.N., qui si pensa, non può nè premere sull'Abissinia per accettare le condizioni di pace che le sono fatte, nè eccitarla a continuare la resistenza. La S.d.N. dovrebbe logicamente astenersi dall'esaminare qualsiasi proposta sino a quando il Governo etiopico non si dichiarasse pronto ad accettarla.

Il vero è che il gesto odierno dell'Inghilterra, la quale aveva in un primo momento indotto U.R.S.S. ad impegnarsi a fondo nella politica delle sanzioni, ha suscitato qui profonda disillusione, mentre, d'altra parte, è evidente la preoccupazione che, dal componimento del conflitto itala-abissino possa, in un modo

o in un altro, rinascere quel Patto a Quattro che questi dirigenti si compiacevano di considerare come seppellito definitivamente.

883

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9776/673 R. Ginevra, 19 dicembre 1935 (per. ore 14,15) (2).

Dopo lunga discussione, i Membri del Consiglio hanno deciso in seduta segreta di sottoporre al Consiglio in seduta pubblica, il progetto di risoluzione con cui: l) si ringrazia Francia ed Inghilterra degli sforzi da esse fatti; 2) visto il carattere preliminare del progetto da esse elaborato, il Consiglio non stima che vi sia luogo di pronunciarsi su di esso; 3) decide che il Comitato dei Tredici, dovrà, ispirandosi al fatto, studiare l'insieme della situazione tale e quale riuscirà dalle informazioni che gli sarà possibile di raccogliere.

Tale progetto di risoluzione è il frutto di un compromesso tra le tesi conciliative sostenute da Lavai, Madariaga e Rustu Aras e la tesi estremista, sostenuta da Potemkine, che si è opposto a che il progetto Laval-Hoare venga preso come base di discussione.

Lavai, finita la seduta, mi ha detto che il progetto di risoluzione gli sembrava buono, perchè lascia aperta la via ad ulteriori tentativi di conciliazione.

Il Consiglio segreto ha anche deciso che il Comitato dei Diciotto si riunisca, probabilmente domani, allo scopo di prendere atto delle deliberazioni del Consiglio, senza studiare per il momento ulteriori misure relative all'embargo.

(l) -Con T. 15068/1350 P.R. del 19 dicembre 1935, ore 1,15, Grandi comunicava avere Baldwin accettato le dimissioni presentate da Hoare. (2) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza.
884

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S. D. N., BOVA SCOPPA

ISTRUZIONI TELEFONICHE. Roma, 19 dicembre 1935.

Dica a Lavai che il Duce ha apprezzato la sua azione conciliativa di questi giorni e il suo messaggio di ieri sera (1), ma le sopravvenute dimissioni di Hoare hanno consigliato di attendere che l'atmosfera presenti qualche indizio di chiarimento. Anche in vista del fatto che le proposte vengano rimandate alla Commissione dei Tredici attendiamo prima di fare delle comunicazioni che sia chiaro quali sono i compiti e i limiti di azione di detto Comitato.

Il Duce terrà al corrente Lavai delle sue ulteriori determinazioni.

885

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9784/676 R. Ginevra, 19 dicembre 1935, ore 19,45 (per. ore 20,10).

Riunione Comitato dei Diciotto è stata convocata su desiderio espresso degli inglesi i quali hanno tenuto à far risaltare col fatto che Comitato Esperti è invitato a continuare suoi lavori che sanzioni già adottate vengono mantenute. D'altra parte decisione che Presidente Comitato Diciotto debba mantenersi in contatto con Presidente Consiglio per eventuale nuova convocazione del Comitato è prova del manifesto desiderio di lasciar sussistere anche minaccia dell'embargo sul petrolio. Comunque fino a metà gennaio è chiaro che di tale minaccia non si parlerà più, convocazione Comitato per tale eventualità restando subordinata all'operazione della conciliazione che deve intraprendere Comitato dei Tredici.

Circa riunione di tale Comitato nulla ancora e stato deciso ma si presume che esso non si riunirà che i primi di gennaio e quando, in possesso delle risposte dei due Governi e in armonia alla situazione che sarà delineata a quella data, esso avrà elementi sufficienti per giustificare una sua riunione.

Continua intanto qui stasera vivo fermento nei circoli societari e giornalistici quali considerano che situazione Gabinetto Lavai è pericolante. Ambienti a noi ostili fanno risalire naturalmente alla nostra mancata risposta e al discorso Del Duce a Pontinia le cause della caduta di Hoare e quelle della probabile caduta di Laval. Segnalo quanto precede a puro titolo informativo perché V.E. si renda conto dello stato d'animo di questi ambienti. Segnalo anche per la cronaca che negli ambienti della Delegazione britannica si dà per quasi sicura nomina Eden a Ministro Affari Esteri in sostituzione di Hoare.

Laval riparte stasera per Parigi.

(l) Vedi D. 877.

886

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 9844/677 R. Ginevra, 19 dicembre 1935 (per. il 21).

Tewfik Aras, col quale ho avuto una lunga conversazione stamane, mi ha detto che rivendicava a sé il merito di aver fatto rinviare il problema italaetiopico al Comitato dei Tredici. Egli afferma che, in un primo tempo, nel Consiglio segreto di ieri Madariaga e Beck parlarono nel senso di lasciare che la situazione maturasse da sola senza assumersi responsabilità di nuove iniziative. Egli invece sostenne che la preoccupazione essenziale e dominante era quella di evitare la possibilità di complicazioni europee e mediterranee.

Nel suo pensiero, che mi assicura di aver ripetutamente espresso a Laval e ad Eden, il Comitato dei Tredici che è in fondo il Consiglio, non dovrà assumersi il compito di trovare una formula di accordo, perché tale formula, emanando dall'organo esecutivo della S.d.N., non potrebbe essere che societaria al cento per cento e mettere così l'Italia nella necessità di non accettarla. Egli ritiene, e intende svolgere una viva azione personale al riguardo, che a traverso una mediazione franco-inglese, quando la situazione politica e militare sarà più matura, si possa trovare una formula che venga accettata dalle due parti in causa e che il Comitato dei Tredici dovrebbe approvare e sottoporre alla sanzione del Consiglio. Questo è, secondo Aras, il solo metodo per arrivare ad una soluzione che possa soddisfare le parti e la S.d.N. Aras insiste nel dire che la Turchia ha fatto capire chiaramente all'Inghilterra, che, sul terreno delle sanzioni militari, essa non marcerà mai; ò d'avviso che se l'Inghilterra vorrà a un certo momento passare al blocco o ad altre misure implicanti complicazioni militari, essa si troverà isolata. Ma sarebbe un errore credere -mi ha aggiunto -che se fosse l'Italia ad attaccare l'Inghilterra, il conflitto si localizzerebbe. Egli è sicuro che in questo caso dalla parte inglese si schiererebbe almeno due terzi degli Stati membri della S.d.N.

Per quanto concerne il petrolio, egli ritiene che gli inglesi, dopo che avranno meglio sondato l'atteggiamento americano, marceranno decisi per fare applicare talesanzioni. Prevede comunque che qualsiasi iniziativa non sarà presa prima di metà gennaio. Convinto della gravità di una tale misura, egli si adopererà per ottenere che essa non venga adottata, se sarà necessario, che verso la primavera. Col suo consueto ottimismo, Aras ha aggiunto che, visto l'atteggiamento che egli aveva assunto in Consiglio segreto, richiamando l'attenzione di tutti i membri di esso sui pericoli di una guerra, egli avrebbe agito nell'interesse diretto della pace d'Europa, a cui tanto il suo paese temeva, continuando a far sentire la sua voce autorevole presso i vari delegati per impedire che si ricominciasse a parlare del petrolio.

Questa minaccia, che si intendeva riprendere mentre Baldwin dichiarava sepolto il progetto Laval-Hoare, non avrebbe fatto che pregiudicare sempre più la situazione. Occorreva quindi che il gesto di responsabilità, che aveva fatto nel segreto del Consiglio, continuasse a svilupparsi chiaro e preciso sopratutto presso i suoi amici balcanici. Tewfik mi ha pregato di assicurare V.E. che egli farà di tutto per continuare nella linea di moderazione e di saggezza che ritiene di avere assunto. Egli mi ha aggiunto confidenzialmente che aveva ricevuto ieri il Delegato etiopico Wolde Marian e lo aveva incaricato di dire a suo nome all'Imperatore che il Governo turco lo esortava ad accettare un sacrificio oggi, perchè la situazione sarebbe diventata col passare del tempo, sempre più delicata pel suo paese.

Aras parte stasera per Parigi, dove va a discutere con Bonnet « per affari commerciali che interessano Francia e Turchia » ma ha precisato che non hanno nulla a che fare con richieste d'aiuto per i danni che subisce la Turchia in seguito all'adozione delle sanzioni. Egli si fermerà a Parigi fino a lunedì sera e vedrà Lavai.

Quanto alla riunione del Comitato dei Tredici prevede che essa non avrà luogo prima della riunione del Consiglio di gennaio, salvo imprevisti.

887

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9792/679 R. Ginevra, 19 dicembre 1935, ore 19,10 (per. ore 20,45).

A Laval ho fatto la comunicazione ordinata da S. E. Suvich a nome del Duce (1).

Ho trovato Lavai piuttosto oscuro di umore. Mi ha detto apprezzava molto le buone parole del Duce, ma che aspettava una risposta: «Ripetere al Duce mi ha detto -che Egli deve una risposta alla Francia e all'Inghilterra. Il compito e i limiti di azione del Comitato dei Tredici risultano dalla risoluzione adot

tata oggi dal Consiglio. Il Duce quindi può rispondermi. Il progetto Hoare-Laval non potrà essere ripreso in esame dal Comitato dei 13 che dopo la risposta delle due parti interessate ».

Lavai mi ha detto che dal Quai d'Orsay aveva ricevuto segnalazioni secondo cui, come risposta al discorso del Duce a Pontinia, erano già avvenute dimostrazioni ostili in Francia. «Più il tempo passa -ha precisato Lavai -e più la situazione diventerà difficile per noi ».

Anche per ciò che concerne eventuale ulteriore azione del Comitato dei Diciotto, Lavai pensa che essa potrà essere impedita solo se potrà continuare opera conciliativa e tale opera non può continuare senza una risposta di Roma. Lavai ha concluso insistendo ripetutamente perché ripetessi ben chiaro a V. E. quanto precede.

A titolo indicativo degli umori della Delegazione francese aggiungo che Massigli e Saint-Quentin erano stamane molto agitati e per il discorso Pontinia e per un articolo del Popolo d'Italia di cui attribuiscono paternità o ispirazione al Duce. Rochat mi ha infine detto che situazione parlamentare di Lavai gli sembrava ora molto difficile.

(l) Vedi D. 884.

888

IL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 19 dicembre 1935.

Grandi comunica (l) che secondo la stampa di oggi il piano è definitivamente caduto: anzi se ne parla poco considerando la fase superata. Il tono generale è che bisogna ritornare alla politica delle elezioni, cioè quella dell'applicazione del Patto.

La mancata adesione italiana si considera uno degli elementi determinanti del fallimento della politica conciliativa perché il piano è considerato fuori della realtà. Questo stato d'animo si era creato in questi ultimi due-tre giorni in seguito all'atteggiamento della stampa italiana.

Si ritiene a Londra -ma non sono che chiacchiere senza nessuna informazione seria -sicura la caduta di Lavai. Per la successione di Hoare si parla principalmente di Eden, poi Austin Chamberlain, Churchill, Halifax.

Può essere che la ,situazione sia modificata dalla seduta della Camera dei Comuni che avrà luogo alle 13 (ore 14 per l'Italia). Parlerà in principio Baldwin e chiuderà la discussione Neville Chamberlain. Hoare difenderà la sua politica dal banco dei deputati.

La stampa francese non commenta ancora molto le dimissioni di Hoare. Si parla generalmente di un ritorno all'applicazione integrale del Covenant. Pertinax attribuisce le dimissioni al discorso di Pontinia. Si parla di Austin Chamberlain, Edene e Churchill come possibili successori di Hoare.

Herriot ha dato le dimissioni da presidente del gruppo radicale per ragioni non ben chiare e fra le altre si dice pare per motivi di risentimento personale.

60 -Documenti Dtplomatiot -Serle VIII -Vol. II

(l) Pe;r telefono.

889

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9829/477 R. Shanghai, 20 dicembre 1935, ore 13 (per. ore 22,30).

Telegramma di V. E. n. 320 (1).

Al Ministero degli Affari Esteri Nanchino mi è stato detto che nessun passo ufficiale è stato compiuto a Londra e Washington a proposito situazione Cina settentrionale, ma che, in seguito richiesta di quei due Governi, rappresentanze cinesi nelle capitali più import:mti, tra cui Roma, erano state messe al corrente, mediante un resoconto, situazione che poneva dette rappresentanze in grado di rispondere ai quesiti eventualmente loro diretti da Governi interessati alla situazione.

890

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9835/1364 R. Londra, 20 dicembre 1935, ore 21,02 (per. ore 3 del 21).

Impressione fatta ieri dal discorso di Hoare alla Camera dei Comuni è stata profonda. Hoare è riuscito a giustificare la sua condotta ed i principi della sua politica. Quando egli ha finito parlare, il sentimento della Camera dei Comuni era in un suo favore. Tutti hanno sentito che la condotta del Ministro degli Affari Esteri era stata troppo affrettatamente giudicata e troppo sommariamente condannata.

La ripercussione elle il discorso ha avuto nell'opinione pubblica ha confermata questa impressione e vi è stamane una eguale reazione di simpatia in favore Hoare, che è uscito da questo episodio con dignità e con coraggio. È giudizio anzi generale che se il Governo, invece di abbandonare Hoare, lo avesse sostenuto, esso sarebbe riuscito ugualmente a mantenere compatta la sua maggioranza ed a ottenere consenso della Camera alla sua politica. Abbandono Hoare è stato troppo precipitoso, e, se ha semplificata la situazione parlamentare, ha anche indebolito prestigio Gabinetto il quale ora si trova in una posizione falsa essendosi ancora più fortemente impegnato in una politi:ca societaria al cui successo non crede.

In realtà vi è stato mercoledì, di fronte alla crescente opposizione della maggioranza conservatrice, un momento di panico nel Gabinetto ed a questo panico è stato sacrificato inutilmente Hoare. Dico inutilmente perchè, se al momento presentazione del «Libro Bianco ~. il Governo aveva sottovalutata opposizione che il progetto di Parigi avrebbe suscitato nel paese e non aveva preparato adeguatamente il paese, in un secondo momento esso ha sottovalutato propria forza

ed ha preferito cedere alla demagogia parlamentare piuttosto che affrontare, come Hoare giustamente voleva, una discussione difficile dalla quale Gabinetto sarebbe uscito vittorioso. Questo non è solo il mio giudizio, ma anche il giudizio di molte personalità del partito .conservatore, che ho visto ieri sera e stamane.

Su quelli che saranno sviluppi ulteriori della situazione, nessuno sa dire nulla. Baldwin ha sconfessato opera di Hoare e dichiarato formalmente alla Camera dei Comuni che il progetto Laval-Hoare è morto e che il suo Governo non farà alcun tentativo per richiamarlo in vita. Vi è chi ritiene che Baldwin sia andato senza necessità ai di là di quello che la Camera si attendeva, ma, ormai, egli ha presa una posizione talmente rigida che non si vede come potrebbe tornare indietro. A due giorni di distanza dalle dimissioni di Hoare vi è più confusione e disordine che non ve ne fossero prima e Baldwin trova difficoltà finanche nella scelta di un nuovo Ministro degli Affari Esteri.

(l) Vedi D. 835.

891

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. RR. 15147-15148/981-982 P.R. Parigi, 20 dicembre 1935, ore 21,50 (per. ore 1,15 del 21).

Ho trovato Lavai calmo, ma accorato. Egli mi disse di avere dovuto constatare, in base alla indifferenza con cui era stato risposto alle istanze per una sollecita nostra decisione (trasmessa a Roma da Ginevra a mezzo Bova Scappa), che non si era valutato da parte nostra lo sforzo immenso, anzi massimo, da lui compiuto per l'Italia agendo in senso contrario ad una parte notevole della Francia e dello stesso suo Ministero. Neppure si era compresa la pressione da lui esercitata sopra Hoare a condiscendenza somma dimostrata da quest'ultimo accettando una formula di conciliazione che andava molto al di là dei propositi nutriti dalla grande maggioranza dell'opinione pubblica britannica. Egli aveva dovuto convincersi che a Roma, anziché vedere nella formula proposta estremi limiti delle possibilità per i due principali Stati societari, che sul Patto fondano da sedici anni la loro politica estera, si era creduto che si trattasse di una schermaglia diplomatica senza eccessiva importanza. Si chiedeva pure se si valutasse tutta l'importanza delle dimissioni che Hoare era stato costretto a rassegnare, che non avevano precedenti nella storia parlamentare inglese.

Ho osservato che egli dimenticava che il R. Governo non si era ancora pronunciato circa le note proposte. Mi risultava che esse avevano cominciato ad essere esaminate nel Gran Consiglio del 18, allorchè giunse la notizia delle dimissioni di Hoare che naturalmente arrestò sul momento la discussione. Gran Consiglio riprenderà questa sera i suoi lavori e nulla autorizzava per il momento a credere che esso non avrebbe ripreso in esame proposte ancorchè queste fossero state dichiarate a Ginevra, e ieri alla Camera dei Comuni, come morte e sepolte. Desideravo anzi chiedergli quale fosse il suo pensiero al riguardo.

Laval mi ha risposto che proposte comunicate dovevano considerarsi sorpassate dagli avvenimenti. Egli aveva però tenuto ad insistere a Ginevra perchè il Comitato dei Tredici continuasse a lavorare alla ricerca di una conciliazione. Era prematuro dire quale essa potesse essere, ma nell'animo suo ogni sforzo per trovarla doveva essere compiuto. Pertanto, se Gran Consiglio avesse chiuso i suoi lavori con un comunicato molto sereno in cui si manifestassero propositi propendere all'esame delle basi di conciliazioni proposte ed acquisite agli atti, intendeva che, anche nella situazione presente, ciò avrebbe costituito uno sprazzo di luce. Lavai si augurava che avvenisse qualche cosa di simile perché non poteva nascondermi che i parlamentari ed i giornalisti, che fino ad ora erano stati animati dai sentimenti più amichevoli per Italia, stavano mutando atteggiamento in seguito all'indifferenza con cui erano stati accolti in Italia sforzi conciliativi della Francia ed Inghilterra ed al discorso di Pontinia. Egli veniva irriso per avere mostrato tanto zelo a difendere causa della conciliazione, mentre la parte, in favore della quale si era interessato sino ad infirmare politica societaria liberale del proprio Paese, agiva in modo tale da provocare il risentimento dell'opinione pubblica francese. Discussione sulla dichiarazione formale del 27 corrente sarebbe stata molto burrascosa. Prevedeva mutamento del suo oggetto in quanto non si sarebbe quasi più parlato del tentativo fallito di conciliazione; si sarebbe discusso invece a fondo della necessità di una politica di stretta collaborazione franco-inglese in difesa della pace e del patto. Mostrandomi Paris Soir, che parla del passo compiuto dall'Inghilterra presso gli Stati mediterranei per ottenere da essi garanzie di assistenza in caso che flotta inglese fosse attaccata da quella italiana, Lavai mi ha detto che il Ministro di Jugoslavia era stato poco prima a comunicargli che il Gabinetto di Belgrado avrebbe risposto negli stessi termini della Francia. Puric aveva pure informato Lavai che il Governo jugoslavo contava informarne Roma per chiarire che non si trattava di un gesto non amichevole per l'Italia; ma solo di un obbligo derivante dall'art. 16 del Patto.

Ad una mia domanda per conoscere quanto succederà delle sanzioni, Laval ha risposto che quelle in corso continueranno e che Consiglio, che si riunirà 20 gennaio, dovrà esaminarle ulteriomente.

Osservai che mi sembrava aver visto dai giornali che il Comitato dei Diciotto si sarebbe riunito già il 10 gennaio. Laval rispose che non ricordava.

Dopo di essersi accomiatato, Laval mi ha pregato di tenerlo al corrente di ogni comunicazione che ricevessi e mi espresse suo vivo rammarico che una situazione, così piena di promesse otto giorni fa, si fosse radicalmente mutata.

892

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. S. PER CORRIERE 2769 R. Roma, 20 dicembre 1935.

Suo telegramma n. 551 Cl). Shearer è stato ricevuto dal Capo del Governo cui ha partìcolareggiatamente esposto un suo programma d'azione destinato ad approfittare del problema san

zioni, opportunamente adattato a mentalità politica americana, al fine di influire sul Congresso e prossime elezioni presidenziali.

Secondo tale plano Shearer ha prospettato Capo del Governo possibilità di opportunamente favorire, in collaborazione con esponenti tendenza nazionalista americana, reazione antibritannica e quindi antisanzionista in massa elettorale cattolica attualmente oggetto da parte Chiese protestanti britanniche e filo inglesi. Tale azione dovrebbe mettere in grave imbarazzo amministrazione Roosevelt a cui voti cattolici sono indispensabili.

Capo del Governo ha giudicato particolarmente interessante progetto Shearer e gli ha assicurato appoggio R. Governo per quanto riguarda opera persuasione su massa elettorale italo-americana, mediante azione V. E. e Uffici dipendenti nonché opportuno fiancheggiamento stampa italiana. Non è escluso che tale azione possa anche contare su appoggio diretto clero cattolico americano. Shearer dopo breve soggiorno a Ginevra e Londra, ove raccoglierà opportuno materiale, tornerà Stati Uniti per iniziare subito propaganda suesposta.

(l) Vedi D. 592.

893

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 2782/317 R. Roma, 20 dicembre 1935, ore 23.

Telegramma di V.E. n. 326 (1).

Prego v. E. di voler dire nel modo più opportuno a Goring che non deve esser data importanza alla pubblicazione del Lavoro Fascista. Non è da prevedere che il fronte di Stresa possa risuscitare.

894

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, WAGNIERE

APPUNTO. Roma, 20 dicembre 1935.

Il Signor Wagnière richiede perchè si impedisce l'ingresso in Italia ad importanti giornali svizzeri che non hanno per niente un contegno anti-italiano quali il Der Bund, Basler Nachrichten, Journal de Genève.

La Svizzera si è messa contro le sanzioni con un coraggio che il Capo del Governo stesso ha notato e non è giusto che sia trattata come un paese nemico.

Il Ministro richiede anche perché l'organo degli assicuratori La Previdenza invita al boicottaggio delle compagnie di assicurazione svizzere.

Rispondo al Ministro che mi occuperò della questione dei giornali e gli farò avere una risposta. Darò anche senz'altro disposizioni perché cessi la campagna de La Previdenza (2).

(l) -Vedi D. 869. (2) -Il presente documento reca !l visto di Mussolini.
895

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 9879/659 R. Washington, 21 dicembre 1935, ore 20 (per. ore 22,55).

Presentazione delle proposte Hoare-Laval e loro susseguente sconfessione a Londra e Ginevra hanno prodotto in questi circoli politici senso di disorientamento che si va traducendo in un sempre più marcato pessimismo della situazione europea.

Alcuni giorni sono, ad un pranzo di giornalisti nel quale sedevo a fianco del Presidente, ebbi opportunità di sondare opinioni e constatai che signor Roosevelt nutre serie apprensioni di un conflitto europeo a più o meno breve scadenza. Egli vede pericolo pace sociale nella gara di armamenti che considera come conseguenza della tensione originata da conflitto itala-etiopico.

Feci rilevare che non era certamente da imputarsi all'Italia se questione, puramente coloniale, si era trasformata in crisi europea e che anzi Italia si era ingaggiata nella impresa africana nella sincera e logica persuasione di poter risolvere suoi problemi di sicurezza e di espansione col minimo disturbo possibile della situazione europea e mondiale.

Presidente mi osservò che, comunque, questione etiopica, alla quale egli non attribuiva particolare importanza per sé stessa, aveva creato «atmosfera carica di elettricità e gravida di pericoli di esplosione». Centri del pericolo erano a suo avviso Berlino e Tokio. Non avendo potuto approfondire discussione col Presidente, ho cercato di redermi conto esatto dello stato d'animo americano mie conversazioni al Dipartimento di Stato e negli ambienti politici.

Ne ho tratto seguenti Impressioni;

Visione buia della situazione parte dalla premessa che Francia soffre ormai di una debolezza congenita che ne riduce grandemente importanza come fattore mondiale.

Non si ha neppure fiducia nello spirito combattivo dell'esercito francese e nella forza militare della Russia. Si attribuisce quindi scarso peso all'alleanza franco-russa.

Non potendo fare soverchio affidamento su Francia per conservazione pace europea, Inghilterra ha cercato di rendere vitale sistema di difesa ,collettiva rappresentato dalla S.d.N. Se questo tentativo fallisse, Inghilterra sarà spinta ad avvicinarsi alla Germania.

Di tale avvicinamento si scorgono già primi chiari sintomi. Intesa anglo

tedesca significherà mano libera alla Germania in Austria e nel Balcani perchè

non si crede qui che Francia e Italia (anche se nostro Paese uscirà da impresa

africana con pieno successo) potranno da sole avere forza sufficiente per opporsi

espansione tedesca in Europa.

Si crede anche che Paesi balcanici, ed in ispecie Jugoslavia, saranno facil

mente attratti nell'orbita della Germania il cui riarmo sarebbe molto più progre

dito di quanto generalmente si ritenga.

Successo tedesco in Europa preoccupa questi ambienti governativi non solo per pericolo di nuove conflagrazioni europee, ma anche per complicazioni in Estremo Oriente dove Giappone si sentirà padrone della situazione quando Russia si trovasse impegnata nelle complicazioni occidentali.

Questa è la visione degli ambienti responsabili americani specie per quello che riguarda probabile sviluppo della situazione europea e probabile ripercussione in Estremo Oriente che potrebbe coinvolgere Stati Uniti loro malgrado.

Ho contestato parecchi punti, ma mi è stato risposto che quadro prospettato era desunto dalle informazioni concordi delle rappresentanze diplomatiche americane nelle principali capitali.

Ho creduto opportuno segnalare quanto sopra perchè serve a far meglio comprendere attitudine americana di fronte conflitto itala-etiopico. Dipartimento di Stato ha finora considerato successo e consolidamento Lega delle Nazioni come unica possibilità di impedire conflagrazione mondiale.

Malgrado forte delusione provocata dagli avvenimenti recenti, Dipartimento di stato persiste nel ritenere possibile ripresa della Lega delle Nazioni e nell'augurarne successo finale. Ciò spiega perché viva preoccupazione, creata dalle proposte Hoare-Laval (nelle quali si erano visti sintomi disgregamento della compagine ginevrina), è stata seguita con compiacimento per forte reazione della opinione pubblica britannica che ha provocato caduta di Hoare.

Ambienti parlamentari sono invece molto più scettici nei riguardi della Lega delle Nazioni e più diffidenti verso l'Inghilterra e manovre europee.

Nelle prossime discussioni sulla neutralità al Congresso si può prevedere pertanto netto contrasto fra corrente collaborazionista, incoraggiata dal Dipartimento di Stato che cercherà di [sostenere] azione di Ginevra e corrente contraria, che propugnerà politica americana assolutamente indipendente e neutrale nei confronti della Lega delle Nazioni e dell'Europa.

896

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 9871/293 R. Bruxelles, 21 dicembre 1935, ore 20,25 (per. ore 23,50).

Ho avuto oggi una lunga conversazione con questo Primo Ministro sui precipitosi sviluppi della situazione negli ultimi cinque-sei giorni.

Ho trovato van Zeeland profondamente deluso per il crollo del progetto di mediazione franco-inglese di cui egli è stato il sincero fiancheggiatore e sommamente preoccupato delle ripercussioni di ogni genere che potrebbe avere un eventuale conflitto in Europa provocato dalla trionfante intransigenza inglese e dall'arresto di ogni freno da parte della Francia, qualora il 27 corrente Lavai nonostante tutto fosse costretto a lasciare il potere.

Ho subito approfittato dello stato d'animo del mio interlocutore per farvi breccia e convincerlo della malafede della coalizione plutocratica ed antifascista che ha trascinato l'opinione pubblica su di una falsa strada e tenta tuttora mantenervela come risulta dalle conclusioni massoniche bolsceviche a Ginevra segnalate dall'E. V. col telegramma per corriere 2566 del 5 corrente (l). Egli si è mostrato inoltre persuaso della impossibilità di affidare ulteriormente la preparazione di qualsiasi soluzione agli organi della S.d.N. , la quale dovrà soltanto funzionare come una corte suprema di registrazione dopo che un accordo fosse completamente elaborato e divenuto sostanzialmente perfetto fra le parti interessate. E poiché, oltre ai rischi di una conflagrazione europea van Zeeland ha pur sempre numerosi altri motivi che lo spingono ad agire per un rapido ritorno alla pace generale (movimento antisanzionista, critica situazione interna, pressione del Re, esibizionismo personale) sono sicuro del suo fermo proposito di accingersi immediatamente all'opera per una nuova via la quale non sarà forse neanche più quella della Santa Sede.

Dal tono della conversazione prevedo infine che questa volta van Zeeland, a differenza del passato, tornerà a parlarmi senza reticenza della sua attività conciliatrice nel caso che effettivamente si deciderà a spiegarla. Naturalmente mi limiterò ad ascoltarlo ed a riferire salvo che nel frattempo qualche direttiva mi fosse impartita da V.E.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9875/301 R. Ankara, 21 dtcembre 1935, ore 20,43 {per. ore 2,15 del 22).

A seguito discorso pronunciato Camera dei Comuni da Chamberlain ed affermazione che gli Stati Mediterranei erano stati interrogati circa eventuale loro partecipazione misure militari ho subito interrogato Numan.

Questi mi ha risposto che effettivamente 1'8 corrente Inghilterra con nota segreta aveva comunicato al Governo turco che sviluppo applicazione sanzioni avrebbe potuto mettere Italia di fronte a situazione così grave da spingerla ad atti ostili contro qualche potenza sanzionista ed in specie contro forze inglesi. Si domandava se in tal caso Turchia avrebbe posto a disposizione dell'Inghilterra suoi porti e se Marina da guerra turca sarebbe stata disposta cooperare con gli inglesi. Tale questione era stata già diretta alla Francia che aveva risposto affermativamente. Medesima domanda veniva indirizzata a Grecia e Jugoslavia.

Dopo preso contatto con alleati balcanici, Turchia ha risposto il 12 che distingueva misure militari propriamente dette da misure economiche. Di fronte alle misure militari la Turchia riconosceva piena libertà d'azione a ciascun membro della S.d.N. e se la riservava per suo conto. Non parteciperebbe che a quelle misure militari che essa stessa potesse decidere. Se a seguito di misure economiche Italia aggredisce uno qualsiasi degli Stati sanzionisti, Turchia che aveva già aderito a sanzioni, avrebbe tenuto gli impegni di cui all'art. 16 paragrafo 3°, come contro qualsiasi Stato aggressore. Nota concludeva rallegrandosi dell'accordo franco-inglese ed augurandosi che tale accordo potesse condurre a:d un felice componimento del conflitto nel quale essa non aveva alcun interesse.

Numan mi ha fatto osservare che la distinzione non esisteva nella domanda inglese, che si è voluta far comprendere in tale circostanza che Turchia non è alleata dell'Inghilterra ma risponde solo agli obblighi societari. Mi ha aggiunto che Turchia si vede trascinata sempre più a malincuore negli obblighi societari ma non può esimersene. Ha poi aggiunto che malgrado qualifica di segreto e confidenziale era stato deciso comunicarmi subito scambio note ma poi si era soprasseduto per riguardo ad altri balcanici, ai quali si era aggiunta in secondo tempo Romania. Quindi erano sorte divergenze fra i balcanici circa forma della comunicazione. Però dopo mia richiesta colloquio di cui si era indovinato motivo, sentito anche telefonicamente Aras a Ginevra, Ismet Pascià lo aveva autorizzato a far conoscere quanto precede. In più Ambasciatore di Turchia a Roma aveva avuto istruzioni fare eguale comunicazione a S.E. Suvich.

Gli ho subito osservato che risposta all'Inghilterra differiva da assicurazioni di Ismet Pascià, il quale mi aveva dichiarato che in nessun caso Turchia si sarebbe lasciata trascinare in complicazioni belliche per interessi non suoi (miei colloqui del 23 settembre e seguenti) (l) e successivamente anche Aras si era espresso meco nel medesimo senso (2). Era anche per queste assicurazioni che aveva dato le richieste informazioni su Rodi. Gli ho poi domandato se a suo giudizio embargo sul petrolio era non una misura militare ed ho svolto tesi che se, per una misura di carat~ere economico ma che fosse diretto attacco alla potenzialità militare italiana, l'Italia avesse reagito ponevo il quesito chi fosse il reale aggressore. Lo sforzo inglese conduceva l'azione con estrema finezza per porre l'Italia nella posizione di aggressore mentre le circostanze avrebbero potuto essere esattamente l'opposto. Ed ho concluso per chiedergli se la Turchia riteneva suo interesse seguire questa abile manovra inglese e divenire indirettamente essa stessa aggressiva. Dovesse poi ricordare che se poteva essere vero che Francia avesse ri:sposto affermativamente alla domanda inglese credevo sapere che per la esecuzione pratica di questo suo impegno essa aveva sollevato una serie di difficoltà tecniche, fra altro un ordine mobilitazione che non poteva eseguirsi senza voto della Camera.

Numan ha risposto che non poteva esprimere parere sui punti che gli esponevo i quali non erano stati esaminati. Vedrò al più presto Ismet Pascià (3).

(l) Con n T.rr. per corriere 2566/C.R. del 5 dicembre 1935, diretto a tutte le Ambasciate e Legazioni ed al Consolati Generali di ottawa e Danzica, suvich segnalava le notizie giuntegll da Ginevra circa l'attività contrarla all'ItaHa svolta dal sottosegretario sovietico Rosenberg e dal Capo di Gabinetto di Avenol, Hoden.

(l) -Vedl DD. 167, 180 e 392. (2) -Vedi DD. 270 e 514. (3) -Vedi D. 905.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. U. RR. 4735/1891. Berlino, 21 dicembre 1935 (per. il 27 ).

Le conversazioni da me ultimamente avute, e di cui riferisco separatamente (telespresso n. 471/1884) (1), con parecchi rappresentanti latino-americani traggono la loro origine da alcune confidenze fattemi da questo Ministro di Argentina, il quale mi ha comunicato di essersi in questi giorni mantenuto in contatto telefonico con il suo collega di Ginevra e di avergli proposto, in segno di disgusto per la nuova situazione creatasi, di « abbandonare Ginevra ~ riacquistando così completa libertà d'azione.

Ho fatto rilevare al Ministro argentino che, a parte le difficoltà immediate che il suo paese avrebbe, al fine di cui trattasi, nella sua stessa Costituzione, l'abbandono della S.d.N. così motivato non avrebbe avuto un significato amichevole per l'Italia. Che se, come immaginavo, si aveva invece sopratutto in vista di «riacquistare la propria libertà di azione», lo scopo poteva esser raggiunto in altro modo. Svolgevo quindi il concetto fatto presente nella circolare della E.V. ai RR. Rappresentanti del 27 novembre (2), che «ogni governo resta libero di riesaminare in ogni momento la sua linea di condotta in materia di sanzioni, sia in relazione alla situazione dello Stato contro il quale le sanzioni sono applicate, sia in considerazione delle ripercussioni economiche e politiche della loro applicazione».

Cercavo, con ciò, di incamminare una possibile azione, cosi dell'Argentina come degli Stati latino-americani in genere, verso una soluzione più pratica e nello stesso tempo più consona alle nostre attuali direttive.

Comunque, il fatto stesso che un rappresentante estero abbia creduto di sollevare --e sembra anche con una certa insistenza -la questione della ulteriore appartenenza del proprio paese alla S.d.N. mi pare -tanto più in presenza della nuova piega che gli avvenimenti accennano a prendere e dei «sondaggi» inglesi -non vada trascurato e meriti di non esser lasciato cadere.

Due sono le cose che il «Club dei beati possidentes ~. e l'Inghilterra per esso, sopratutto teme perchè costituenti un pericolo per la perpetuazione dei proprli privilegi e cioè: l) la guerra; 2) lo sfasciamento della S.d.N. Lo ha, del resto, dichiarato sir Samuel Hoare alla Camera dei Comuni.

L'Inghilterra cerca di garantirsi contro il primo pericolo, assi-curandosi la solidarietà preventiva delle potenze mediterranee in possibili sanzioni militari contro l'Italia.

Mentre non è su questo punto specialmente che io intendo fermarmi, mi permetto tuttavia, agli effetti sopratutto di quanto starò per dire più appresso, di osservare che noi avremmo tutto l'interesse a controbattere questa azione inglese -poiché e fino a che anche noi rimaniamo a Ginevra -sullo stesso terreno societario.

Che cosa e chi autorizza l'Inghilterra a ritenerci e descriverei, cosi aizzando contro di noi tutti gli altri, come suo possibile aggressore? Niente e nessuno. Il supporlo soltanto è già grave quanto gratuita offesa, contro la quale, dopo tutto quello che noi abbiamo detto e ripetuto, abbiamo il diritto di protestare a testa, e voce altissima. Che se, in dannata ipotesi, dovessimo renderci aggressori, perchè dovremmo farlo nei riguardi di taluni e non di altri membri della Società ginevrina? Perchè, quindi, anche gli altri non dovrebbero essere chiamati a pronunciarsi sopra i quesiti che l'Inghilterra ha rivolto alle potenze mediterranee? O quei quesiti non hanno ragione d'essere e non vanno posti a nessuno; o la hanno e allora vanno discussi erga omnes, nel quadro e secondo il metodo collettivo della S.d.N. a Ginevra stesso, pubblicamente e in presenza nostra, dandoci cosi la possibilità di dimostrare che non noi, ma gli altri si preparano e preparano alla guerra in Europa. Cosa sono queste azioni ed iniziative separate e nascoste, tendenti a mettere la collettività degli Stati di fronte a fatti compiuti da un gruppetto di interessati?

Ogni allargamento del problema ne rappresenta una ulteriore complicazione a tutto nostro vantaggio. In una più larga .consultazione, qualche paese latino-americano potrebbe, per esempio, nettamente dichiarare che, non solo non vuole arrivare a quelle sanzioni militari (che macchiavellicamente escluse dal quadro originale dell'azione societaria al solo scopo di strappare l'adesione altrui alle sanzioni economiche, vi ritornano ora come complemento e portato ne·cessario e fatale delle sanzioni economiche) ma aggiungere che, in questo caso, esso si vedrebbe costretto ad abbandonare la Lega.

Questo è il secondo mezzo di cui noi disponiamo per vulnerare l'Inghilterra. Lo possiamo fare sia direttamente con le dimissioni nostre, sia indirettamente con le dimissioni altrui. Ed io mi domando appunto se nel momento in cui, attraverso i tentativi inglesi, la Lega si sta rivelando come il miglior mezzo per esporre a pericoli di guerra anche i Paesi più pacifici del mondo, non potremmo anche noi eseguire, discretamente, dei sondaggi nostri per accertare se e quali nazioni sarebbero, al caso, disposte a lasciare -in caso di complicazioni militare e adducendo la volontà di non partecipare alle medesime -·la S.d.N.?

Io non mi permetto di ritornare su quanto, in materia di S.d.N., ho già avuto l'onore di esporre alla E. V. con mio rapporto del 12 novembre n. 4167/ 1676 (1).

Mi sembra, peraltro, poter dire che il fallimento del tentativo Laval-Hoare dimostra una cosa sola e cioè che non è sulla base del patto e attorno al tavolo di Ginevra che una soluzione soddisfacente per noi può essere trovata. Ciò è riconosciuto dagli stessi Mosè -che per essere adottati ed adottivi non ne son per questo i padri men veri e maggiori -della legge ginevrina.

Con mio telegramma di ieri n. 329 (2) io ho informato l'E. V. della opinione in materia del signor Suritz, Ambasciatore dell'U.R.S.S. a Berlino. Orbene, posso aggiungere ora che l'opinione del signor Suritz non è che quella di

Litvinov, il quale ha guadagnato a questa sua concezione l'Ambasciatore francese Alphand, il quale a sua volta si reca ora a Parigi per catechizzare in conformità gli ambienti del Qual d'Orsay.

Una soluzione «societaria ~ del conflitto relativamente favorevole all'Italia potrebbe esser trovata solo in base all'art. 19. Ma questo, disgraziatamente, urta contro le ostilità, preconcette e irriducibili, di tutte le Intese, grosse e piccine.

Constatato, a malincuore, tutto questo, l'Italia, che finora si era illusa di poter ottenere giustizia attraverso Ginevra, può legittimamente mostrare di non vedere innanzi a sè altra alternativa che quella di abbandonare la Lega. (Ciò che del resto potrebbe esser fatto con quel tanto di umida ipocrisia britannica, che bastasse a renderla consensuale e quindi, nelle mani dei nostri amici, un mezzo indiretto di pressione sull'Abissinia).

Questo il problema che, indipendentemente dalla decisione finale dell'Italia in materia, noi non possiamo ora a meno di agitare e prospettare, a noi ed agli altri. E ciò potrebbe fornirci l'occasione per utili sondaggi, intesi ad accertare se e quali paesi sarebbero disposti, anche in relazione a possibili complicazioni belliche:

a) a lasciare la S.d.N. insieme con noi (ad esempio l'Ungheria, che potrebbe vederci un mezzo di ulteriore, indiretto riavvicinamento alla Germania);

b) a !asciarla dopo di noi, comunque rivelando subito uno stato di inquietudine minaccioso per l'avvenire della Lega.

Agli effetti diplomatici, anche qualche semplice accenno, così nel primo come nel secondo senso, ci sarebbe utilissimo ed è ad accertarne la possibilità che, a prescindere, ripeto, dal merito della questione, sono ora principalmente dirette, le considerazioni che col presente rapporto ho l'onore di sottomettere alla benevola attenzione dell'E. V. (1).

(l) Non pubbUcat<l.

(2) Vedi D. 734.

(l) -Vedi D. 620. (2) -Con T. 9832/329 R. del 20 dicembre 1935, ore 20,56, Attollco riferiva le osservazioni di SurLtz sulla necessità che la soluzione del conflitto italo-ablsslno venisse ricercata al di fuori della S.d.N.
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L'AMMIRAGLIO PINI AL MINISTERO DELLA MARINA (2)

TELESPR. 41 M/9. Londra, 21 dicembre 1935.

l. -Faccio seguito ai miei telegrammi n. 5 in data 19 c. m. e n. 6 in data odierna.

2. --La seduta di ieri non ha fatto progredire sensibilmente, in modo fattivo, la discussione sulla proposta della Delegazione del Regno Unito in materia di limitazione quantitativa a mezzo delle dichiarazioni dei programmi riguardanti un certo numero di anni. 3. --L'attitudine della Delegazione giapponese resta tuttora intransigente; la Delegazione francese ha rinviato una netta presa di posizione in materia,

lasciando però intendere ancora più precisamente che nella seduta precedente, la loro avversione al sistema proposto. La nostra Delegazione ha, con una breve dichiarazione, sostenuto la necessità di escogitare un sistema che consenta alle dichiarazioni dei programmi di essere effettivamente unilaterali e volontarie e pertanto non preventivamente concordate.

4. --Dopo l'interruzione per le feste natalizie sarà ripresa in esame la proposta inglese e le altre proposte di limitazione quantitativa. 5. --Con foglio a parte rimetto le copie dei verbali delle sedute del Primo Comitato n. 5, 6 e 7. 6. --Allego un promemoria su una conversazione svolta con la Delegazione degli Stati Uniti ed un estratto del Diario della Delegazione.
(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Mllltare.
900

IL MINISTRO A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 9876/123 R. Gedda, 22 dicembre 1935, ore 14,40 (per. ore 19).

Telegramma di V. E. n. 85 (1).

Sono lieto comunicare a V. E. che ho ragione di ritenere che azione che vado svolgendo presso questo Governo, malgrado continue pressioni britanniche, si avvia verso risultato soddisfacente. Difatti Sottosegretario di Stato Affari Esteri mi ha partecipato che Governo saudiano per nessun motivo cambierà il suo atteggiamento di stretta neutralità in una attitudine ostile o partigiana e che risponderà negativamente a Comitato Ginevra circa sanzioni.

A mia richiesta Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri mi ha assicurato che Saudia impedirà che pellegrinaggio sia utilizzato per fini politici.

901

IL MINISTRO A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 9882/124 R. Gedda, 22 dicembre 1935, ore 14,30 (per. ore 19).

Telegramma di V. E. n. 67 (2).

Finora ho fatto il possibile per impedire che Etiopia concludesse a'ccordo in questo paese. Tuttavia, dopo due mesi di attesa a Gedda della terza missione Etiopia, Governo saudiano, spinto dalle pressioni britanniche dalle quali non può sottrarsi, è obbligato a risolvere situazione. Sottosegretario di Stato per

gli Affari Esteri mi ha detto: Governo ha due vie dinanzi a sé: o firmare Trattato di amicizia, che non conterrà nulla di ostile contro di noi, o inviare una nota a Etiopia in cui si dice che è impossibile firmare Trattato e si accordano gli stessi vantaggi del Trattato stesso. S. E. Fuad Hamza desidera urgenza conoscere parere di V. E. al riguardo (1).

(l) -Vedi D. 527, nota l p. 505. (2) -Con T. 1839/67 R. del 10 ottobre 1935, ore 24, Buti riteriva la notizia comunicata da Dubbiosi circa l'arrivo a Sanaa, «per scambio trattato ratificato~. della missione etiopica,la quale avrebbe poi proseguito per Gedda.
902

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, GALLI, E A MADRID, PEDRAZZI, E AI MINISTRI AD ATENE, BOSCARELLI, E A BELGRADO, VIOLA

T. 2819/161 (Ankara) 179 (Madrtd) 218 (Atene) 157 (Belgrado) R. Roma, 22 dicembre 1935, ore 24.

Prego V. E. (V. S.) voler riferire quanto risulti circa passo che sarebbe stato compiuto costà, secondo Havas da Londra 20 corrente, da Gran Bretagna per chiedere se codesto Governo abbia preso precauzioni militari e navali in previsione difficoltà risultanti da applicazione sanzioni. In particolare se siano stati dati affidamenti a Governo britannico per assistenza mutua in base articolo 16 Patto in caso attacco contro flotta inglese (2).

903

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (3)

T. PER CORRIERE 0410. Londra, 22 dicembre 1935.

Ho incontrato ieri sera a pranzo, in casa di comune conoscente, Vansittart. Egli aveva l'aria ancora più preoccupata di quanto già non avesse lunedi e martedì u.s. durante le nostre due ultime conversazioni al Foreign Office (4).

Abbiamo avuto un breve scambio di idee sulla situazione. Gli ho domandato le sue impressioni.

«Non oso fare alcuna previsione. Voi vi rendete conto della posizione estremamente delicata e difficile in cui mi trovo personalmente, dopo le dimissioni di Hoare e il fallimento delle Basi Hoare-Laval concordate a Parigi».

Ho domandato a Vansittart se si avessero notizie sulla successione di Hoare.

Vansittart mi ha risposto che non sapeva. Da mercoledì scorso il Foreign Office è senza Capo, e in attesa di conoscere chi esso sarà. La direzione provvisoria degli affari è passata a Downing Street. I nomi che si fanno sono i

soliti, A. Chamberlain, N. Chamberlain, Eden. I conservatori di destra vogliono un Chamberlain, almeno come soluzione provvisoria, che permetta in seguito in condizioni più normali la nomina di Eden. I conservatori di sinistra vogliono Eden senz'altro. Domani probabilmente Baldwin prenderà una decisione finale (ho telegrafato queste notizie con telegramma n. 1371 di ieri) (1). Speriamo con la settimana prossima che il Foreign Office sia messo in grado di riprendere il suo lavoro normale.

Il discorso è tornato sulle Basi Hoare-Laval. Vansittart mi ha detto di avere rimarcato una frase del comunicato del Gran Consiglio di avantieri venerdì, nella quale è detto che «il progetto Hoare-Laval è un'iniziativa della Francia :t, e mi ha chiesto se io avevo messo al corrente il Duce delle nostre conversazioni del 29 novembre, del 3, 4, 5 dicembre.

Ho risposto naturalmente di si e gli ho domandato a mia volta se egli avesse da parte sua tenuto al corrente Hoare.

Vansittart mi ha risposto che, confermando quanto egli aveva già avuto occasione di dirmi nelle nostre conversazioni del 3 e del 5 dicembre, egli aveva condotto le trattative con me, a titolo personale è vero, ma colla piena autorizzazione di Baldwin e di Hoare i quali erano stati da lui tenuti diligentemente al corrente.

Vansittart ha continuato dicendo che egli si rendeva conto dei motivi di opportunità politica che avevano suggerito al Gran Consiglio di parlare di iniziativa esclusivamente francese. Da un punto di vista personale egli, Vansittart, era anzi grato perché ciò lo aiutava nei riguardi di tutti coloro che in Inghilterra lo ritengono il principale responsabile del progetto di Parigi. « Ma voi sapete tuttavia -ha continuato Vansittart -che le cose non sono andate cosi. Le Basi Hoare-Laval, buone o cattive che siano, sono nate come possibilità concreta nelle nostre conversazioni del 29 novembre, e del 3, 4, 5 dicembre (2). Voi ricordate il mio progetto del 3 dicembre e le conclusioni cui eravamo giunti nella nostra conversazione del 5 dicembre, subordinate --vi dissi -al parere del Gabinetto britannico e del Governo francese. Su queste conclusioni tanto Hoare quanto io abbiamo lavorato a Parigi nei nostri incontri del giorno 8 e 9 dicembre. Le proposte del IO dicembre contenute nel Libro Bianco sono la conferma di ciò ~.

Ho domandato a Vansittart che cosa prevede per il futuro.

« Vi ho già detto mercoledì che colle dimissioni di Hoare e col rigetto delle Basi Hoare-Laval si chiude una fase diplomatica del conflitto italo-abissino. Quando e come la questione sarà ripresa, è in questo momento difficile dire. Soltanto una avanzata rapida e decisiva delle vostre truppe in Abissinia potrebbe a questo punto cambiare la situazione a favore dell'Italia. A parte l'evidenza di ciò, una vittoriosa azione militare dell'Italia servirebbe qui a dimostrare agli avversari di Hoare e della politica di conciliazione che le proposte di Parigi erano ragionevoli e tempestive, e raggiungevano lo scopo non solo di dare la legittima soddisfazione alle aspirazioni dell'Italia, ma anche a salvare il prestigio della Società delle Nazioni e l'esistenza dell'Abissinia'>.

(l) -Con T. 2845/110 R. del 25 dicembre 1935, ore 24, SuvLch rispose: «È preferibile seconda alternativa. Pregola tuttavia, se possibile, avere previamente conoscenza dei • vantaggi " che Saudia appare disposta accordare ad Etiopia ». (2) -Per le risposte vedi rispettivamente DD. 897, 907, 912 e 913. (3) -Ed in «Storia contemporanea», 1977, n. 4, pp. 789-790. (4) -Vedi DD. 865 e 870. (l) -T. 9870/1371 R. del 21 dicembre 1935. ore 20.40, non pubblicato. (2) -Vedi DD. 755, 781, 794 <l 802.
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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, LAVAL, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (l)

L. P. Parigi, 22 dicembre 1935.

La situation actuelle me fait un devoir de vous adresser cette lettre. Vous en excuserez les termes, mais je manquerais pour la première fois vis-à-vis de vous aux devoirs de l'amitié si je ne m'exprimais avec une entière franchise.

Comme vous avez bien voulu le rappeler, je me suis félicité de pouvoir terminer à Rome le 7 janvier dernier une négociation souvent interrompue et qui avait duré plusieurs années et il me parait utile d'indiquer dans quel esprit nous avons conçu non accords.

Nous avons, dans une déclaration générale, affirmé notre volonté de développer l'amitié traditionnelle unissant nos deux nations et de collaborer, dans un esprit de mutuelle confiance, au maintien de la paix.

Je n'ai pas hésité à faire le sacrifice d'importants avantages économiques que de longs et coùteux efforts avaient assurés à mon pays en Afrique Orientale. J'ai accepté de limiter ces intérèts en Ethiopie à la zòne nécessaire pour alimenter le trafic du chemin-de-fer de Djibouti à Addis-Abeba construit exclusivement avec le capitai français. Et j'ai ainsi concédé à l'Italie des avantages correspondants à ceux que lui avait consentis l'Angleterre par l'arrangement de décembre 1925. Il n'est pas besoin d'ajouter que les riches perspectives d'avenir ouvertes par cet accord ne s'étendaient pas au-délà du terrain économique. Elles n'auraient pu en franchir la limite sans se heurter aux garanties élevées autour de l'indépendance souveraine et de l'intégrité territoriale de l'Ethiopie par les actes internationaux auxquels l'Italie et la France avaient participé. Nous avons d'ailleurs, pour cette raison, expressément visé dans notre accord l'arrangement du 13 décembre 1906.

Au cours de nos entretiens, je n'ai pas manqué de souligner tous les avantages que vous pourriez retirer de nos accords par le développement de votre action pacifique en Ethiopie. Et vous m'avez marqué votre volonté de n'user de nos accords que pour des oeuvres de paix. En février dernier, au moment de l'envoi d'importantes forces militaires italiennes en Erythée et en Somalie, je n'ai pas manqué de vous représenter amicalement le danger de mesures qui paraissaient dépasser les nécessités de la défense immédiate de vos deux colonies.

A maintes reprises, j'ai fait appeler votre attention par votre Ambassadeur à Paris, par le Baron AloYsi à Genève, par notre Ambassadeur à Rome, sur la gravité de votre initiative et ses conséquences qui n'étaient que trop prévisibles.

Quoi qu'il en soit, au cours des mois qui suivirent, le Gouvernement français, quelles que fussent ses inquiétudes sur l'avenir, ne cessa de prèter au Gouvernement italien le concours le plus amicai pour lui permettre de régler à l'amiable, dans des conditions à la fois honorables et avantageuses, son diffé

rend avec le Gouvernement éthiopien. C'est ce qu'il fit à toutes les étapes de la procédure devant le Conseil de la Société des Nations. C'est ce qu'il ne cessa jamais de faire pour amener le Gouvernement britannique à concevoir comme lui-mème la nécessité d'un semblable arrangement dont aurait bénéficié l'Italie.

Dans les propositions qu'ils firent en commun le 16 aout à la suite des entretiens de Paris, les Gouvernements britannique et français reconnaissaient à l'Italie un intérét spécial dans le développement économique et la réorganisation administrative de l'Ethiopie, sans d'ailleurs exclure la possibilité d'ajustements territoriaux entre ces deux Puissances.

Vous n'avez pas cru devoir accepter ces bases de discussion et vous avez placé ainsi le Conseil de la Société des Nations dans l'obligation d'évoquer au fond le différend italo-éthiopien. Vous reconnaitrez que dans cette nouvelle , phase la France ne fit pas défaut à l'ltali e; e1le influença largement, j'ose le dire, les propositions du Comité des Cinq qui, le 18 septembre, offrait à l'Italie de nouveaux avantages substantiels. Il vous suffisait de poser des questions, de demander des précisions et vous auriez alors mesuré l'importance de l'initiative prise au profit de l'Italie par la Société des Nations elle-mème. C'est avec regret que j'ai constaté que le Gouvernement italien repoussa, sans mème les discuter, ces propositions.

Si grand était l'attachement de mon Gouvernement à l'amitié francoitalienne qu'il ne se laissa jamais décourager par ces échecs successifs alors qu'il pouvait mesurer la difficulté croissante qu'il éprouvait à concilier son attitude avec les bases permanentes de sa politique européenne.

Vous savez quelle insistance j'ai apportée à vous marquer les limites audelà desquelles notre désir d'aider l'Italie, si grand qu'il fUt, se trouverait inévitablement paralysé par notre loyauté à l'égard de la Société des Nations. Les instructions que j'ai souvent adressées à notre Ambassadeur à Rome, les entretiens que j'ai eus avec vos principaux collaborateurs n'ont pu laisser à cet égard aucun doute dans votre esprit.

Après l'entrée des troupes italiennes en Ethiopie, c'est encore aux conseils de la France, qui avait fait partager ses vues à l'Angleterre, que se rallièrent les membres de la Société en n'appliquant pas dans toute leur rigueur les articles du Pacte qui sanctionnent une agression.

La modération dont la France a fait preuve a été souvent interprétée comme de nature à compromettre pour l'avenir les fondements mème de sa propre sécurité. Mon Gouvernement, vous le savez, a tout fait pour amener une détente dans les relations entre l'Angleterre et l'Italie. Les résultats ont été tels à cet égard que j'ai pu, le 10 décembre, définir avec Sir Samuel Hoare des formules qui devaient servir de base à un arrangement amiable.

J'ai vivement regretté que le Gouvernement italien n'ait pas répondu par une adhésion immédiate et spontanée à nos propositions qui, les évènements l'ont prouvé, représentaient la limite extréme de notre effort. Ce fut pour moi une déception d'autant plus grande après les appels incessants que je vous avais fait transmettre.

Malgré le mauvais accueil généralement réservé à notre initiative, je ne regrette pas de m'ètre laissé guider par ma fidelité à l'amitié franco-italienne.

61 ~-Documenti Diplomatiei ~ flerle VIII -Vol. II

A Genève, ces jours derniers, je me suis fait un devoir de contribuer à faire reconnaitre par le Conseil de la Société des Nations que la procédure de conciliation demeurait ouverte.

Je crains que vous ayez mal apprécié mon effort en faveur de l'Italie. Je ne vous dissimule pas que ma tache devient de plus en plus difficile.

Vous m'avez écrit, le 16 octobre dernier, que nous sommes maintenant arrivés à un tornant décisif et que la situation politique européenne et peut-etre mondiale se trouve désormais entre les mains de la France. Aujourd'hui n'ai-je pas le droit, après tout ce que j'ai fait, de vous dire que c'est surtout entre les mains de l'Italie que se trouve désormais le sort de la paix européenne.

Vous etes seui juge des interets de votre pays. Mais je crois vous avoir donné assez de preuves de mon amitié agissante pour vous tenir ce langage.

J'ai l'espoir que vous ne repousserez pas, dès que les circostances le permettront, l'occasion qui pourrait s'offrir à nouveau d'une négociation en vue d'une solution pacifique. Vous savez que je ne négligerai rien, malgré les échecs répétés que j'ai dl1 subir, pour aboutir à ce résultat. En agissant ainsi, j'aurai conscience de bien servir, en meme temps que la cause de l'amitié francoitalienne, les intérets de mon pays qui se confondent avec ceux de la paix.

(l) Ed. in H. LAGARDELLE, Misston à Rome, Mussolini, Parl.s, Plon, 1955, pp. 275-278.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 9921/303 R. Ankara, 23 dicembre 1935, ore 20,27 (per. ore 0,20 del 24).

Mio telegramma n. 301 (1).

Parlato con Ismet Pascià. Fattagli rilevare differenza fra le assicurazioni datemi in settembre (miei telegrammi n. 182 (2), 183 e 184 (3)) e risposta recente ad Inghilterra. Sviluppato seguenti punti:

a) Inghilterra agiva in nome proprio e non in nome S.d.N. quesito posto da Turchia era esclusivamente attività interpretativa della S.d.N.; b) questione stabilire chi fosse aggressore era estremamente delicata poiché condizioni potevano essere tali che l'attaccato fosse egli l'aggressore; c) chiestogli perciò se Governo turco si era riservato o si riservava ora con me il pieno libero diritto di giudicare chi realmente fosse l'aggressore; d) ricordatogli che nella questione abissina noi avevamo dimostrato alla

S.d.N. tutto un seguito di incidenti ed aggressioni e ciò nonostante S.d.N. non aveva riconosciuto palese verità e nostro lampante diritto. Ciò ci rendeva estremamente diffidenti. Ero perciò condotto a temere che Turchia si sarebbe lasciata a poco a poco trascinare a complicazioni da essa certamente non desi

derate. E ciò malgrado Italia non desiderasse assolutamente nessuna estensione conflitto, come egli sapeva da solenni, costanti, ripetute dichiarazioni di

S. E. il Capo del Governo.

Ismet Pascià rispostomi che Nota inglese poneva questo in tal modo che era impossibile rispondere diversamente; che nella nota e nelle spiegazioni verbali questo Ambasciatore d'Inghilterra dichiarava un vivo desiderio di conciliazione e di pace, ma si esprimeva concreto timore di una meditata aggressione italiana alla flotta inglese. Era contro di ciò che Inghilterra voleva premunirsi.

Rispostogli era falso ed iniquo attribuire all'Italia intenzioni aggressive contro Inghilterra. Seguito avvenimenti dimostrava rispettivamente che tutte le misure da noi prese in Mediterraneo erano conseguenza di minacce sanzionistiche inglesi dirette fin dal primo momento a dichiarare blocco e chiudere Suez. Anche ora telegrammi inglesi che parlavano di nuovi rafforzamenti guarnigioni libiche, dovevano considerarsi tendenziosi. Ma ciò provava che tutta la manovra inglese tendeva a porci apparentemente nelle condizioni di aggressore per trascinare tutta Europa in conflitto.

Lungo colloquio concluso con dichiarazioni esplicite, che Ismet Pascià mi ha autorizzato a telegrafare a V. E., che cioè Governo turco si riservava, in disgraziata ipotesi, piena libertà di giudicare chi fosse aggressore. Ha augurato che presto possa trovarsi una soluzione del conflitto soddisfacente per l'Italia. Mi ha poi assicurato che non esisteva attualmente, né era per ora preveduto, alcun contatto fra tecnici per esaminare eventualmente partecipazione turca a misure di cui paragrafo 3° articolo 16. Non mi ha risposto per Rodi. Per quanto questione non sia attuale, dopo molte discussioni, Ismet Pascià ha finito col riconoscere che Turchia non aveva alcun interesse a stabilire un precedente che fissasse il petrolio fra le materie da comprendersi nelle sanzioni, visto che essa stessa ne è tributaria.

Vedrò anche Stikrti Kaya (1).

(l) -Vedi D. 897. (2) -Vedi D. 167. (3) -Vedi D. 170.
906

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9925/1378 R. Londra, 23 dicembre 1935, ore 20,30 (per. ore 2,30 del 24).

Notizia nomina Eden a successore di Hoare, s1 e sparsa nel tardo pomeriggio di ieri ed ha destato una certa sopresa, dato che fino a sabato sera una soluzione, sia pure a titolo provvisorio, imperniata sopra Neville o Austen Chamberlain, era considerata come più probabile, ed anche la più accettata dal partito conservatore. Infatti notizia ufficiale della nomina di Eden, è stata

diramata iersera nel modo seguente: «Avendo Chamber1ain rifiutato incarico offertogli, è stato nominato Eden, ecc.». Stamane Chamberlain si è invece affrettato a fare circolare smentita circa esistenza di tale offerta. Verità è che corrente di sinistra fuori e dentro partito conservatore ha ancora una volta prevalso, e la situazione determinatasi giovedì alla Camera dei Comuni dall'atteggiamento di Baldwin ha avuto iersera il suo logico corollario.

Nomina Eden è salutata stamane dalla stampa di ogni colore e tendenza con soddisfazione. Prime impressioni che ho raccolte stamane in seno a diversi partiti e gruppi politici, non differiscono molto da quelle della stampa. Conservatori di destra considerano nomina di Eden come conclusione naturale delle forzate dimissioni di Hoare e in attesa di pronunciarsi su quella che sarà la sua politica, salutano con simpatia nuovo Segretario di Stato. È chiaro che al di sopra delle differenze di vedute prevale anche in corrente di destra (come ha già prevalso a metà del settembre scorso) in questo momento ritenuto particolarmente delicato per la posizione internazionale dell'Inghilterra, un sentimento di solidarietà per le responsabilità che il nuovo Segretario di Stato si prepara affrontare.

!.:!buristi, liberali, societari, antifascisti e conservatori di sinistra salutano ~nn entusiasmo elevazione di Eden alla direzione del Foreign Office e inter-:Jretano naturalmente questo avvenimento come una indicazione ed una promessa di quella che sarà la futura politica del Gabinetto nei riguardi S.d.N., .,P-1 conflitto itala-abissino ed anche della Germania. Eden è infatti ritenuto "ome sostenitore della politica di diretto ravvicinamento con Germania e come scarso fautore della politica del fronte di Stresa.

(l) Su tale colloquio Galli riferì con T. 99751308 R. del 26 dicembre 1935, ore 19,36, non pubblicato.

907

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 9922/338 R. Madrid, 23 dicembre 1935, ore 22 (per. ore 2 del 24).

Mio telegramma n. 337 (l) e telegramma di V. E. 179 (2).

Sono stato da questo Ministro degli Affari Esteri, al quale ho domandato cosa ci fosse di vero in notizia data in questi giorni da Agenzia Havas e da giornali intorno a richiesta inglese per collaborazione Spagna in caso di conflitto armato.

Ministro mi ha risposto non esiste nessuna nota inglese in questo senso, nessuna richiesta e nessun passo. Ho insistito domandandogli se richiesta in

glese, pur non rivestendo carattere formale, si fosse manifestata in conversazioni Eden con Delegazione spagnuola Ginevra, ma Ministro mi ha categoricamente dichiarato neppure questo esser vero e che Governo spagnuolo non aveva avuto dal Governo inglese nessuna ri:chiesta nè diretta, nè indiretta che riguardasse tale questione.

Mi ha esplicitamente autorizzato a riferire R. Governo sua categorica smentita, pregandomi soltanto non renderla pubblica perchè minaccia complicazioni internazionali servono questo Governo per cercare di ammonire a cooperare su tutta la critica situazione politica interna.

Debbo aggiungere che anche al Ministero della Marina ed al Ministero della Guerra si afferma categoricamente nessuna notizia essere loro pervenuta da parte Ministro Affari Esteri, che possa far presumere veridicità richiesta britannica.

(l) -T. 9884/337 R. del 22 dicembre 1935, ore 15, non pubblicato. (2) -Con il T. 2819 R. del 22 dicembre 1935, ore 24, diretto a Madrid (179), Ankara (161), Belgrado (157) ed Atene (216) Suvich aveva chiesto d1 riferire circa il passo compiuto dalla Gran Bretagna, secondo la notizia divulgata dall'Agenzia Havas di Londra, presso i Governi spagno:o, turco, jugosèavo e greco per attenerne la collaborazione militare e navale in caso di conflitto armato. Galli, che aveva già riferito sull'argomento con il D. 897, inviò ulteriori notizie con i DD. 905, 916 e 930. Per la risposta di Viola vedi il D. 913, per quella di Boscarelli il D. 912.
908

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 2836/173 R. Roma, 23 dicembre 1935, ore 24.

Qualora se ne offrisse occasione V. S. potrà far intendere a codesto Governo che Governo italiano, pur reiterando considerazioni di cui al tel. n. 158 del 28 ottobre u.s. (1), saprebbe considerare con spirito di tolleranza eventuali manifestazioni di anglofilia platonica da parte di personalità di Governo ungheresi, sopratutto se esse potessero servire a mascherare una politica ungherese in pratica a noi favorevole ed a prevenire od attenuare pressioni britanniche per spingere l'Ungheria a modificarla (2).

909

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI

T. RR. 2838/180 R. (3). Roma, 23 dicembre 1935, ore 24.

Atteggiamento Spagna può essere decisivo nei confronti passo Mediterraneo tentato dalla Gran Bretagna. Se Spagna rifiuta di aderire a richiesta inglese, ci rende un servigio che non dimenticheremo ma evita sopratutto le complicazioni che si temono dovunque in Europa. Agisca in tutti gli ambienti per dirigere politica spagnuola verso tale obiettivo e, se necessario qualche aiuto, disponga (4).

(l) -Vedi D. 501. (2) -Non è stata rinvenuta una comunicazione di risposta. (3) -Minuta autografa. (4) -Per la risposta di Pedrazzi vedi D. 914.
910

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 20/0114 R. Praga, 23 dicembre 1935 (per. il 2 gennaio 1936).

Presidente del Consiglio Hodza che ha assunto interim Ministero Esteri parte in breve congedo che passerà in Riviera.

Ricevendomi oggi mi ha pregato innanzi tutto far pervenire i suoi rispettosi sentimenti a S. E. il Capo del Governo. Mi ha detto che assumendo governo non Gli aveva telegrafato sapendo quali assai più gravi cure ritenessero attenzione di S. E. Mussolini.

In lungo colloquio mi ha riassunto suo pensiero su diverse questioni. Conflitto itala-etiopico. Egli, come maggioranza opinione pubblica cecoslovacca, non fuorviata da estremisti, ha seguito e segue con simpatia causa italiana. Rapporti amichevoli collaborazione Italia-Cecoslovacchia subirono raffreddamento più che altro per riflesso antagonismo itala-jugoslavo. Cecoslovacchia perciò ha salutato con vero sollievo accordi franco-italiani e sue benefiche conseguenze. Per sentimenti tradizionali quindi, per interessi politici e per interessi economici governo cecoslovacco auspica e spera rapida soluzione conflitto con soddisfazione Italia nonostante arresto piano conciliazione che presentava possibilità apprezzabili. Italia comunque ha guadagnato qualche punto in quanto a tattica internazionale. Europa Centrale. Cecoslovacchia che collabora lealmente con Piccola Intesa ritiene indispensabile accordo con Stati legati dal Patto di Roma e mentre vede nell'Italia maggiore artefice per stabilizzazione politica ed economica bacino danubiano stima necessario un miglioramento di rapporti con Austria e con Ungheria. Ungheria. Vi è un accenno a miglioramento di rapporti: ne è anche indice un accordo in materia economica che è stato parafato in questi giorni. Non conosco personalmente Gombos e Kanya -ha detto Hodza -e non so quale sia esattamente il loro modo di vedere, ma conosco molto bene gli ungheresi -sono stato deputato slovacco non inerte al parlamento ungherese -e non credo impossibile un riavvicinamento dei paesi su basi economiche. Austria. I rapporti con l'Austria che hanno avuto fasi di freddezza sono assai migliorati. Il Cancelliere Schuschnigg che, in presenza dei mutamenti in fieri nella Presidenza della Repubblica e nel Ministero deg'li Esteri, dovette rinviare la sua visita a Praga fissata pel 16 dicembre avrebbe voluto ora affrettare la sua venuta. Hodza gli avrebbe fatto sapere che non sarebbe stato possibile prima del 15 gennaio sia perché egli deve assentarsi per una quindicina di giorni sia perché è bene attendere una certa normalizzazione dell'attività politica del paese dopo il ritiro di Masaryk. Accennando poi alla situazione interna dell'Austria, Hodza mi ha detto essere sua impressione che fra breve vi dovrebbero aver luogo mutamenti. La situazione di Schuschnigg manca di stabilità, l'Austria ha bisogno di qualcuno che rappresenti qualche cosa e

sopratutto dell'autorità. «Quanto a noi, egli ha detto, contrari agli Absburgo come all'Anschluss, vedremmo favorevolmente una instaurazione Starhemberg in una forma qualsiasi; che ne facciano un Cancelliere o un Principe o un Re per noi è lo stesso, è questione interna dell'Austria e non ci riguarda, purché però Starhemberg non significhi in nessun caso preludio agli Absburgo, ciò che io del resto non credo. Non mancano infatti apprensioni circa Starhemberg: c'é chi pensa appunto che egli potrebbe spianare la via al ritorno della vecchia dinastia, ma io so che è giovane ambizioso e penso che una volta ottenuto il supremo potere, a cui dice aver diritto più degli Absburgo, non avrà voglia di disfarsene, come del resto Horthy non pare abbia voglia di non fare il Reggente. Si teme anche che un regime Starhemberg significherebbe un maggior asservimento dell'Austria all'Italia. Non sono convinto nemmeno di questo rendendomi perfettamente conto della lealtà della politi·ca italiana nella questione austriaca. Comunque, ove una ipotesi Starhemberg dovesse presentarsi, sarebbe bene che da parte del Governo di Roma fosse tenuto un linguaggio tranquillizzante a Belgrado, ove, se del caso e se d'accordo, il Governo cecoslovacco non mancherebbe di far sentire anche la sua parola persuasiva».

Hodza ha voluto cioé farmi intendere che le obbiezioni a Starhemberg verrebbero eventualmente da parte della Jugoslavia.

911

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 23 dicembre 1935.

L'Ambasciatore Chambrun avrà una lettera da Lavai (l) che si ripromette di consegnare domani al Capo del Governo.

Mi parla della situazione determinata dalla caduta delle proposte francoinglesi. Ritiene che per il momento non ci sia nulla da fare. Pare assicurato che Lavai non cadrà il 27 e quindi non si riparlerà di una crisi prima di metà gennaio. Ciò è bene e nel frattempo Lavai tenterà con impegno di continuare a svolgere la sua azione conciliatrice.

L'Ambasciatore è preoccupato per il boicottaggio dei giornali francesi. Ciò porta ad una reazione in Francia e noi stiamo per perdere l'unica stampa che è decisamente a noi favorevole cioè quella francese. Anche Bailby, parlando l'altro giorno con la contessa Chambrun, ebbe ad esprimersi in questo senso. Non sono soltanto le difficoltà alla frontiera, ma il boicottaggio fatto da parte del Partito per cui la gente è messa nella impossibilità di comprare i giornali all'interno. Mi cita episodi di Torino e di Trieste dove i giornali francesi vengono strappati di mano ai compratori. Egli stesso ha potuto constatare alla stazione di Roma che non si possono avere giornali francesi. Naturalmente ai giornali italiani che entrano numerosissimi in Francia non si fa nessuna difficoltà (2).

(21 Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(1) Vedi D. 904.

912

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9942/322 R. Atene, 24 dicembre 1935, ore 15 (per. ore 16,15).

Miei telegrammi n. 319 e 320 (1). A mia richiesta questo Segretario Generale Ministero degli Affari Esteri mi ha [detto] che effettivamente aicuni giorni or sono il Ministro d'Inghilterra aveva chiesto al Governo ellenico quale sarebbe stata la sua attitudine nel caso che «uno degli Stati membri della Società delle Nazioni fosse vittima di una aggressione da parte di un terzo Stato». Governo ellenico aveva risposto che -pur augurando che tale eventualità non· avesse a verificarsi -esso avrebbe ottemperato agli obblighi che gli derivano dall'articolo 16 (paragrafo 3°). Egli ha aggiunto che tale passo era stato fatto presso gli altri Stati dell'Intesa balcanica e che il signor Titulesco era stato incaricato di dare al rappresentante inglese a Ginevra una risposta comune nel senso sopra indicato. Avendogli chiesto se erano esatte le notizie date dai giornali ellenici, secondo le quali si sarebbe discusso di porti greci da mettere a disposizione dell'Inghilterra e di aiuti militari da fornire dalla Grecia all'Inghilterra, il mio [interlocutore] ha affermato che nessuna questione di dettaglio era stata discussa e che il passo inglese aveva avuto carattere generico. Quest'ultima affermazione confermerebbe quanto ebbe a dirmi in altra occasione lo stesso Ministro d'Inghilterra che cioè il suo Governo non reputava necessario stabilire accordi speciali con la Grecia per una sua eventuale collaborazione in caso di conflitto nel Mediterraneo, perché tale collaborazione oltre a essere una naturale conseguenza dell'articolo enunciato del Patto, era anche dovuta alla scarsa resistenza che la flotta greca avrebbe potuto opporre all'eventuale occupazione dei suoi porti da parte britannica (mio rapporto

n. 1705 del 27 novembre scorso) (2).

Da altra fonte mi risulta poi che Stati Intesa balcanica avrebbero rifiutato di aderire all'altra richiesta inglese di cui al mio telegramma 319, che cioè i rappresentanti della stessa Intesa balcanica a Roma fossero incaricati di comunicare al R. Governo il contenuto del passo inglese e della risposta dei vari Governi. Si sarebbe invece stabilito che i singoli governi avrebbero separatamente informato della cosa i rappresentanti italiani accreditati presso di loro.

Circa effettiva attitudine Grecia in eventualità conflitto, ripeto quanto ho ·a più riprese segnalato a V. E.: essa non (dico non) ci è favorevole. È bensì vero che attuale Ministro degli Affari Esteri e lo stesso Re Giorgio sono meglio disposti verso di noi di quello che non fossero i Governi dei vari Maximos,

(l} Con 1 TT. 9873/319 R. e 9909/320 R. rispettivamente del 22 dicembre 1935, ore 14,45. e 23 dicembre 1935, ore 13,25, Boscarelli riferiva le prime informazioni drca il passo brita;nnieo rispondendo alla. richiesta di Suvich per la quale vedi D. 907, nota 2.

Theotokis e Condylis ma bisogna tener presente che influenza personale del Sovrano e del suo attuale Ministro non possono far cambiare completamente opinione pubblica ellenica che è servilmente sottomessa alla Inghilterra ed ostile all'Italia che possiede il Dodecanneso.

Da un conflitto italo-inglese la Grecia spera poter trarre profitto e questa stampa specula sopratutto su vaghe possibilità di ottenere dall'Inghilterra il Dodecanneso come compenso della sua connivenza (1).

(2) Non rinvenuto.

913

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9947/157 R. Belgrado, 24 dicembre 1935, ore 22,25 (per. ore 4,50 del 25).

Telegramma di V. E. n. 157 (2). Questo Presidente del Consiglio, da me interpellato circa passo inglese e risposta jugoslava, mi ha dichiarato:

Nota inglese è del 12 corrente e si riferisce soltanto alla mutua assistenza in caso di attacco italiano in dipendenza applicazione sanzioni. Risposta jugoslava è stata affermativa, limitandosi confermare esecuzione obblighi patto mediante

parafrasi delle relative disposizioni art. 16. Turchia e Grecia avrebbero risposto analogamente. Nessun passo inglese sarebbe stato fatto, né in quella data, né posteriormente per qua:nto riguarda sanzioni militari o per indagare circa preparazione bellica della Jugoslavia in previsione difficoltà risultanti da sanzioni.

Stoja:dinovic mi ha assicurato che Jugoslavia non potrebbe associarsi a sanzioni militari e che nessuna speciale misura ordine militare o navale viene presa. Suo atteggiamento si ispira a quello Francia e persegue principio regolamento pacifico e non coatto del conflitto. Analoghe dichiarazioni egli ha fatto a questo Ministro d'Inghilterra.

Stojadinovic mi ha poi riferito, a titolo strettamente confidenziale e con impegno da parte mia raccomandarne assoluto segreto, che contemporaneamente ana consegna della nota del 12 corrente questo Ministro britannico, d'ordine del suo Governo, ha insistito perchè Governo jugoslavo notificasse formalmente al Governo italiano sua decisione adempiere obbligazione completa assistenza militare derivante dal Patto. Al che questo Presidente del Consiglio si è categoricamente rifiutato, dichiarando che una cosa era affermare la propria fedeltà agli impegni societari e un'altra compiere deliberatamente un atto non amichevole verso un grande Paese vicino ed amico col quale è in corso quella politica di riavvicinamento che la stessa Inghilterra aveva per tanti anni raccomandato.

(l) -Con T. 9929/323 R. del 25 dicembre 1935, ore 13,10, BoscarelU comunicava di aver ricevuto dal Presidente del Consiglio la conferma di quanto riferito con questo telegramma. (2) -Vedi D. 907, nota 2.
914

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9952-9957-9958/339-340-341 R. Madrid, 25 dicembre 1935, ore 12 (per. ore 16,10).

Telegramma di V.E. n. 180 (l).

Categorica smentita datami da questo Ministro degli Affari Esteri circa esistenza richieste britanniche, di cui al mio telegramma n. 338 (2). mi viene confermata da molteplici fonti presso le quali ho voluto controllarla.

Ambasciatore d'Inghilterra ha riservatamente dichiarato a miei colleghi non essere informato di un passo inglese verso Spagna. Impressione di molti ambienti è che Stati confinanti siano trattati di ballon d'essai ma, ove venisse invece confermata esistenza passo inglese presso altri Paesi Mediterranei, mancanza analoga passo verso Spagna potrebbe essere anche spiegato con possibili considera:llioni fatte a Governo britannico circa difficoltà che Spagna incontrerebbe a dare risposta che non fosse evasiva.

Le considerazioni consisterebbero in: l) articolo Costituzione che richiederebbe votazione legge per autorizzare misure belliche. Tale difficoltà è stata confermata stamane a questo Addetto Navale anche da Ministro della Marina, che gli ha inoltre smentita esistenza passo inglese, nonché eventualità Gran Bretagna possa richiamarsi a noto accordo anglo-spagnolo del 1907 per ottenere cooperazione spagnola nel Mediterraneo; 2) situazione interna spagnola su cui ho già riferito a V.E. e assolutamente unanime opinione pubblica, da cui Governo per quanto minoranza non può prescindere in vista elezioni imminenti, nell'esigere Spagna non venga immischiata in conflitto armato; 3) opposizione questi ambienti militari e navali ad aderire eventuale richiesta inglese.

Non ho mancato e non mancherò valermi tali circostanze per continuare mia azione nel senso ordinato da V.E. valendomi di quelle notevoli correnti opinione facenti capo destra monarchica e forze cattoliche che ci sono favorevoli. Ho conferito con deputati della C.E.D.A. e a tale proposito rilevo che Gil Robles in suo pubblico discorso ha ieri preso nuovamente posizione per assoluta neutralità Spagna. Ho fatto avvicinare elementi di Renovacion e di Falange Spagnola. Goicochea in comizio domenica ha inneggiato ad alleanza latina, Primo de Rivera ha fatto predisporre opportuni manifesti propaganda.

Mi adoprerò anche in ambienti centro sinistra perchè è appunto presso di essi che trova maggiori appoggi politici personali questo Presidente della Repubblica, cui infatuazione societaria e conseguente attuale anglofilia sono ben note, che è attualmente seguito da Governo composto in massima parte da suoi amici personali.

Per altro, anche forze governative non possono prescindere dai tre ordini di considerazioni sopra riportate.

È da prevedersi, per concludere, che in eventuale questione misure militari contro l'Italia Spagna marchi favorevolmente il passo in misura notevolmente maggiore che in adozione altro genere sanzioni, anche esse, come noto, qui accettate a riluttanza.

Tengo ad ogni modo assicurare V.E. che continuerò agire ogni energia. Per facilitare mia opera mi tornerebbe particolarmente utile che nostra stampa desse ora più importanza a fattori spagnoli e che un nostro giornale (sembrerebbemi particolarmente indieata La Tribuna che già si occupò favorevolmente Spagna) pubblicasse qualche articolo di rilievo su atteggiamento spagnolo in tono che possa essere apprezzato da questa opinione pubblica e anche da organi governativi (l).

(l) -Vedi D. 909. (2) -Vedi D. 907.
915

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, LAVAL (2)

L. P. Roma, 25 dicembre 1935.

J'apprécie le franchise avec laquelle vous m'avez parlé (3), et je ne saurais avoir recours, dans ma réponse, à d'autre méthode ni à d'autre style.

Je tiens tout d'abord à vous dire que j'ai apprécié dans toute leur portée !es efforts que vous avez bien voulu faire, pendant les phases successives du conflit italo-éthiopien, pour chercher des solutions favorables à l'Italie, conformément à la bonne entente entre nos deux pays, qui, depuis le 7 janvier, est devenue une des lignes directrices de la politique internationale de l'Italie. Si je dois cependant vous faire part de certaines réserves à l'égard de ce qui a été fait et de quelques observations à l'égard de ce que l'on aurait pu faire, je vous prie de vouloir bien croire que ceci n'affecte aucunement la pleine reconnaissance de la bonne volonté que vous avez mise dans le loyal accomplissement des accords du 7 janvier.

Vous venez de me dire que vos concessions relatives à l'Abyssinie ne concernaient que la reconnaissance d'une préponderance économique de l'Italie dans ce pays, et que je me serais engagé à développer une politique de paix.

Je ne peux pas me rallier à votre thèse; je me permettrai de vous rappeler, ne fut-ce que pour affirmer l'esprit de ces accords, que l'entretien que nous avons eu à Rome a été déterminé aussi per la nécéssité d'une entente verbale, étant donné qu'en ce qui concerne la question du «désistement ~ il n'aurait pas été possible de dire tout dans les actes écrits. C'est ainsi que dans nos conversations il y a eu lieu de mentionner à plusieurs reprises «la main-libre » qui m'était reconnue en Abyssinie, sauf les réserves pour vos droits expressément spécifiés dans le document.

Tout ceci dépasse, évidemment, l'échange de lettres que j'ai effectué en 1925 avec l'Ambassadeur de Grande-Bretagne, et que vous avez bien voulu rappeler.

D'ailleurs l'examen méme des dispositions particulières du document suffit à prouver que l'on considérait quelque chose qui allait au délà de simples réalisations économiques en faveur de l'Italie.

Il est évident d'autre part qu'aucune des nécessités de l'Italie n'aurait pu trouver satisfaction en Ethiopie si elle n'était appuyée à la garantie d'un contròle politique.

Naturellement je n'entends pas dire par là que vous ayez donné votre adhésion à cette guerre que des circostances survenues par la suite ont rendue inévitable.

Je n'ai jamais douté un seui moment que vous ne vous étiez rendu compte, dans la large vision de la réalité qui vous est paticulière, et dans votre esprit de compréhension des nécessités de l'Italie, que les 114.000 kilomètres carrés de sable au sud de la Tripolitaine, et les 800 kilomètres carrés de la Cote des Somalis ne constituaient pas une solution pour un des problèmes les plus angoissants de l'Italie.

La recherche de la solution de ce problème à l'égard duquel, je vous le répète, je considérais votre adhésion et votre sympathie comme acquises, a été pour moi le point de départ.

Je n'ai pas besoin de vous retracer l'histoire de la façon dont les évènements se sont déroulés par la suite; qu'il me suffise de vous dire que ma préoccupation constante a été de résoudre le problème que je considère le plus actuel parmi ceux qui sont fondamentaux pour la vie de l'Italie avec la sécurité suffisante à me permettre de développer en toute tranquillité l'action européenne de l'Italie en bonne entente avec la France.

Je viens de vous dire que les circostances ont eu ensuite un développement qui a rendu la guerre inévitable (l'injuste solution de l'incident de Oual-Oual en a été une des causes principales, et c'est pour accéder à un désir manifesté par vous que j'ai accepté M. Politis comme sur-arbitre, malgré ses précédents de conseiller et ami intime du Negus). J'ajoute cependant que j'ai toujours envisagé la possibilité de résoudre le conflit par la vaie de la conciliation.

Au cours de évènements, on a demandé mon adhésion à l'égard de quatre projets dont j'ai été saisi.

Je ne pense pas qu'il soit nécessaire de m'attarder à vous expliquer les raisons pour lesquelles la première proposition -celle qui m'a été faite par M. Eden à Rome au mais de juin dernier-ne pouvait ètre prise en considération.

Je reconnais que la proposition de Paris du mais d'aout avait l'avantage de laisser la question -tout au moins dans une première phase -en dehors de la Société des Nations, qui n'est pas le milieu le mieux indiqué pour résoudre des différends tels que celui entre l'Italie et l'Ethiopie. Il n'y a cependant aucun doute qu'aussitòt !es négociations engagées le Gouvernement britannique aurait demandé qu'elles fussent portées à Genève. Les propositions de Paris étaient présentées d'ailleurs camme le maximum auquel la Grande Bretagne pouvait arriver et elles étaient limitées seulement au domaine économique. L'Italie était dane placée devant le dilemme de prendre ou laisser. Une autre

raison de mon opposition a été le fait que le projet aboutissait à un accord à quatre: France, Grande-Bretagne, Italie, Ethiopie, de telle sorte que du régime actuel à trois l'on passait à un regime à quatre dans lequel l'Ethiophie, d'objet qu'elle était, devenait un des sujets de l'accord, au méme niveau que les autres trois. Je crois d'avoir fait non seulement l'intérét de l'Italie mais aussi celui de la France et de la Grande Bretagne, en repoussant un projet pareil, dont les conséquences pouvaient étre très graves dans l'avenir.

Le troisième projet a été celui du Comité des Cinq. Je dois vous dire que j'ai considéré cette solution, et que je la considère encore aujourd'hui, nettement contra;ire aux intéréts de l'Italie, parce qu'elle représente la prise de possession de l'Ethiopie de la part de la Société des Nations avec l'exclusion pratique de l'Italie: il suffit en effet de considérer que les différents conseillers auraient dù. étre nommés soit directement par le Négus, soit avec le consentement du Négus; sous une condition pareille il est facile d'imaginer à quoi la part de l'Italie dans l'organisation de l'Abyssinie aurait été réduite.

Les propositions des Cinq, dans lesquelles je n'ai pas pu m'empécher de voir une pointe de malveillance envers l'Italie -malveillance que vos efforts ont problablement réussi à atténuer mais non pas à éliminer -m'ont persuadé que dans les conditions de l'heure qu'il était, il n'y avait plus rien à attendre de la Société des Nations. C'est cette attitude de Genève, en méme temps que la menace éthiopienne qui se dessinait à la frontière des colonies italiennes à la suite de la mobilitation générale du Négus, qui ont f•ait précipiter les évènements. Sans vouloir discuter dans cette lettre, qui ne saurait étre l'occasion appropriée, la légitimité de la déclaration de rupture du Pacte, je vous dirai que méme en partant du principe de la stricte application du Covenant, j'ai trouvé dans chaque manifestation de la S.d.N. en ce qui concerne le différend italo-ethiopien un esprit d'hostilité marquée contre l'Italie.

Qu'il me suffise de rappeler ici deux ordres de fait: en premier lieu le fait que les griefs italiens contre l'Abyssinie n'ont pas été l'objet d'une considération serieuse et approfondie, tandis qu'ils avaient été demandés avec tant d"insistance aussi et surtout de la part du Quai d'Orsay, camme si la présentation de ces griefs aurait pu produire un renversement de la situation; deuxièmement l'application de sanctions exceptionnellement graves, qui ont soumis la Nation italienne à un véritable siège économique, d'autant plus significatif si l'on considère que l'art. 16 n'avait été jamais appliqué auparavant, et que méme l'on estimait, de l'avis de plusieurs, qu'il n'était pas applicable. (Encore à Stresa il en a été justement question, comme d'un problème à préciser).

Quant à l'acceptation, qui m'a été attribuée, des sanctions, j'en ai fait justice dans mes récentes déclarations au Sénat.

Je reconnais que les récentes propositions de Paris représentent un remarquable progrès en ce qui concerne une prise en considération des aspirations légitimes de l'Italie. Ce progrès est du en premier lieu à l'intérét avec lequel vous vous étes employé à chercher une solution et à la pression que vous avez pu exercer envers le Ministre britannique; je ne peux pas dire que les propositions, telles qu'elles ont été f·ormulées, représentaient une solutio nsatisfaisante pour l'Italie, mais jen exclue pas qu'elles auraient pu représenter une base de

discussi o n; ceci en tenant compte surtout d es assurances contenues dans votre note d'accompagnement ainsi que dans la note britannique, d'après lesquelles les suggestions en question constituaient seulement des bases de négociation "' sans prejudice du résultat des discussions qui auraient lieu ultér·ieurement ~ et que, en ce qui concerne la zone réservée, les Gouvernements britannique et français entendaient s'employer » pour sauvegarder pleinement les intérèts de l'Italie dans cette région ».

Vous m'avez manifesté votre regret que ma réponse n'alt pas été immédiate et spontanée. Passons sur la spontainéité. Mais quant à ètre immédiate il est question de s'entendre. Il ne s'agissait pas d'un ultimatum mais de certaines propositions dont dépendait quelque chose de très important pour l'avenir du peuple italien. Il me semble que dans ces conditions la réflexion de quelques jours ne peut pas ètre consi:dérée comme une prétention excessive, surtout en régime de sanctions et sous la menace de les aggraver. Une telle reflexion s'imposait d'autant plus, en présence des oppositions acharnées qui venaient de se lever de différents còtés et de la façon peu encourageante avec laquelle M. Eden a présenté le projet à la S.d.N. Il ne faut pas non plus oublier la requète de l'assistance méditerranéenne avancée par M. Hoare justement à la veille de son voyage à Paris. Toutefois mon intention de ne pas refuser tout court ces propositions est prouvée par la requète de précisions et par les observations que j'ai fait présenter à Paris et à Londres, demande et observations qui sont restées sans une réponse concrète.

Malgré tout ceci, j'estime que si la séance du Grand Conseil du 18 décembre avait pu avoir son développement norma!, la réponse n'aurait pas été défavorable. Comme vous le savez, au cours de la séance la nouvelle de la démission de M. Hoare nous est parvenue, ce qui a imposé un nouveau renvoi de 48 heures. Ensuite les évènements se sont précipités de telle sorte, que les propositions on été considérées comme définitivement tombées, avant que je n'eusse eu la possibilité de m'exprimer à leur égard. Laissez-moi cependant vous dire, à ce propos, que je suis absolument convaincu qu'une acceptation immédiate de ma part non seulement n'aurait pas changé radicalement le cours de évènements, mais qu'elle aurait probablement renforcé encore davantage les oppositions anglaises au projet, sans tenir compte du refus d'Addis Abeba.

Comme vous voyez, mon cher Président, le lieu commun de ma prétendue intransigence et de mon hostilité à toute tentative de négociations ne tient pas debout. Vous terminez votre lettre en me demandant de ne pas repousser une nouvelle occasion de négociations qui pourrait s'offrir à nouveau lorsque les circostances le permettront. Il n'est pas besoins, après ce que je viens de vous dire, de vous confirmer ma bonne volonté de négocier dès qu'il y aura une base sérieuse et concrète qui m'offre la possibilité de satisfaire les nécessités de sécurité et d'expansion de l'Italie, et surtout lorsque l'on pourra procéder avec le calme et la discrétion absolue sans lesquels toute négociation diplomatique est destinée à échouer.

Dans votre lettre vous m'avez aussi dit que «c'est surtout entre !es mains de l'Italie que se trouve désormais le sort de la paix européenne ». Je ne refuse pas ma part de responsabilité, mais elle n'est qu'une part. Le sort de la paix de l'Europe est entre les mains de l'rtalie, de la France et de la Grande Bretagne. Ce sort peut etre sérieusement compromis si une idéologie conçue pour d'autres fins, et traduite dans des formules rigides qui n'ont jamais été expérimentées jusqu'ici, ne sera mitigée par le sens des proportions et par la vision de la réalité.

J.e peux vous assurer de la façon la plus claire et la plus formelle que de ma part je ne ferai rien qui puisse créer l'il'réparable, malgré les mesures militaires et navales prises par la Grande Bretagne depuis le 7 septembre et malgré le front unique méditerranéen qu'elle est en train d'organiser ces jours-ei contre l'Italie; et que je suis toujours disposé à aider aux efforts que vous croirez encore d'entreprendre dans l'esprit de l'amitié franco-italienne.

(l) -Il presente documento reca il visto d! Mussol!ni. (2) -Ed. !n H. LAGARDELLE, Mission à Rome, Mussolini, cit.. pp. 278-284. (3) -Vedi D. 904.
916

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 9975/308 R. Ankara, 26 dicembre 1935, ore 19,36 (per. ore 2,30 del 27).

Mio telegramma n. 303 (l).

Conversazione Siikrii Kaya.

Gli ho fatto ampio quadro sentimenti e spirito italiano valendomi principalmente delle recentissime notizie portatemi da Arrivabene e gli ho svolto nel modo più particolareggiato argomenti toccati con Ismet Pascià e con Numan (2) specialmente per caso che Inghilterra volesse designarci aggressori.

Nel rispondere egli ha premesso che pochi giorni fa al Partito repubbllcano aveva messo in luce forte spirito patriottico italiano ed attuale sentimento che trasforma Italia. Ha aggiunto Stato Maggiore approvava interamente condotta de Bono ed ammirava contegno truppe italiane. Non vi era da parte turchi nessuna simpatia per Abissinia. Popolo turco che è guerriero guardav•a con grande ammirazione al popolo guerriero italiano. Turchia era passata per medesima traversia verso Inghilterra e comprendeva come fervente gioventù italiana desiderasse fare sentire sua forza per affermarsi vie più nel mondo e potesse un giorno rimproverare Mussolini avere perduto una possibile occasion buona «di darle una buona legnata ».

Quanto risposta Turchia ad Inghilterra egli riteneva in perfetta buona fede e coscienza Turchia non si era dipartita dai principi teorici ed avesse rispettato sua amicizia con l'Italia alla quale teneva e che soltanto circostanze attuali avevano impedito quel rafforzament.o concreto che qui sempre desideravasi. Dell'amicizia con l'Italia Turchia parlava continuamente e all'Inghilterra e alla Francia come al Parlamento (anche recentemente pel rinnovo modus vivendi). E poiché si era certi Italia non avrebbe attaccato Inghilterra la risposta data a Londra era oziosa. Ma se questione si ponesse, mi ha ripetuto con convinzione, Turchia era libera giudicare chi fosse aggressore.

Ha riconosciuto flotta inglese non era stata inviata nel Mediterraneo per conto S.d.N. ed ha poi affermato che Inghilterra non avrebbe provocato urto militare poichè non voleva «perdere anche una sola corazzata che compromet~ terebbe sua posizione mondiale». Richiesta inglese voleva a suo avviso soltanto impressionare opinione pubblica italiana e rassicurare la propria. Questa è convinzione Governo turco.

Mi ha detto che risposta datami pochi giorni fa da Numan e da Ismet Pascià al medesimo mio quesito era stato comunicato direttamente a Tewfik Rushdi Bey che l'aveva interamente approvato. A mia richiesta ha risposto col ritorno Tewfik Rushdi Bey giornale Ulus, che è il solo realmente ufficioso che si pubblica, Angora pubblicherebbe articolo di fondo per svolgere tali concetti.

Ha confermato nessun prestito e nessuna apertura crediti in Inghilterra e dichiarato ballon d'essai supposto legame fra la risposta all'Inghilterra e trattative per il riarmamento Stretti. « Stretti sono già virtualmente armati e possiamo per nostra difesa chiuderli quando vogliamo. Non è necessario contrattare loro riarmo con nessuno».

Ha concluso augurando vittoria italiana, assicurando tutta simpatia politica e nazionale Turchia per l'Italia, alla cui amicizia condotta politica Turchia si sarebbe ispirata.

(l) -Vedi D. 905. (2) -Vedi D. 897.
917

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. RR. PER RADIO 2849/336 R. Roma, 26 dicembre 1935, ore 23.

Telegramma di v. E. n. 446 (1).

Conferimento Scaroni poteri identici quelli predecessore, importanza contratti non colpiti da provvedimenti presi in relazione sanzioni e affidamenti dati circa intenzione addivenire soluzioni che permettano di fatto continuazione scambi, nonché propositi codesto Governo non alterare rapporti amichevoli tra i due Paesi mi inducono soprassedere decisioni circa ospitalità che Italia offre ufficiali e allievi cinesi e mantenere ancora Cina nella lista Paesi non sanzionisti.

Se i fatti dimostreranno non solo contegno ragionevole codeste Autorità in materia provvedimenti restrittivi importazioni italiane, ma anche perdurare volontà collaborare col nostro Paese, considero nostro interesse mantenere particolare spirito amichevole rapporti italo-cinesi. Infatti, oltre ragioni contingenti, indicate precedentemente, e cioè spingere Cina rivolgersi Società delle Nazioni e sollevare questione Trattato Washington Nove Potenze, va tenuto presente che, nonostante passaggio sotto controllo giapponese vasti territori del Nord, è ovvio che Cina rimane sempre importantissimo campo per affermazione italiana.

Conviene pertanto mantenere posizioni acquisite per metterle a profitto quando· situazione sarà tornata normale.

Queste direttive si ispirano beninteso al concetto della difesa e possibilmente dello sviluppo dei nostri interessi in Cina, non a quello di dare carattere antigiapponese alla nostra azione costà.

(l) Vedi D. 772.

918

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 10114/0414 R. Londra, 26 dicembre 1935 (per. il 4 gennaio 1936).

V. E. è già a conoscenza degli Accordi militari ed aerei che sono stati conclusi tra gli Stati Maggiori di Francia e di Inghilterra la settimana scorsa a Parigi. Tali Accordi completano quel sistema di garanzie militari reciproche al quale i due Governi avevano già dato inizio nell'ottobre scorso cogli Accordi di assistenza navale in caso di operazioni di guerra nel Mediterraneo.

Il modo e la forma con cui gli Accordi militari ed aerei testè conclusi sono ora presentati all'opinione pubblica inglese, francese e internazionale è identica a quella con la quale furono a suo tempo presentati gli Accordi navali. È col pretesto di un eventuale attacco italiano contro la flotta britannica nel Mediterraneo, a seguito di una estensione delle sanzioni economiche, che l'Inghilterra ha introdotto nelle sue relazioni con la Francia il principio dell'obbligo della garanzia francese alla sicurezza navale inglese nel Mediterraneo. Accanto dunque al problema della sicurezza continentale sul Reno l'Inghilterra ha posto il problema della sicurezza britanni,ca nel Mediterraneo.

Nel mio telegramma per corriere n. 0221 del 12 ottobre (l) io ho già avuto occasione di illustrare queste direttive della politi'ca estera britannica che consistono nello «spostare, come ho scritto allora, i termini del problema della sicurezza e di trasformare quello che è oggi una garanzia bilaterale verso la Francia, in una garanzia mutua franco-britannica».

A raggiungere questo risultato il Foreign Office ha costantemente e tenacemente lavorato nel corso di quest'anno, sfruttando tutte le occasioni che si sono presentate nelle varie fasi del conflitto itala-abissino, per giungere ad una alleanza militare, navale ed aerea con la Francia. La politica delle sanzioni, come ho ripetutamente affermato nelle mie comunicazioni a V. E., è stata sempre considerata dal Foreign Of.fice al di là dei termini del conflitto italaabissino, come uno strumento per portare l'opinione pubblica britannica e la stessa Francia ad accettare, come logica conclusione del principio del Covenant, l'alleanza militare franco-britannica.

Tale alleanza non sarebbe stata mai accettata dall'opinione pubblica britannica se non inquadrata nel sistema societario della sicurezza collettiva, ed è perciò attraverso la porta del Patto della S.d.N. e dell'art. 16 che il Foreign Office l'ha introdotta nella politica inglese. ( « Ponte fra l'Inghilterra e l'Euro

(!) Vedi D. 526, nota l p. 503.

62 -~ Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. li

pa », così lo ha definito Hoare nel suo discorso ai Comuni dell'll luglio u.s. e nel suo discorso all'Assemblea di Ginevra 1'11 settembre). Basta riandare indietro nel corso di questi mesi: alla nota del Governo britannico al Governo francese del 26 settembre u.s. (1), al progetto di Patto aereo del 3 febbraio e finalmente al famoso discorso di Baldwin del 10 agosto 1934 -«la nostra frontiera è ormai sul Reno » -per riconoscere la tessitura di questa politica e la sua vera destinazione.

L'Inghilterra dichiara alla Francia che mantiene in pieno la garanzia che essa ha dato alla Francia sul Reno, ma vuole a sua volta che la Francia le dia una duplice garanzia: a Nord contro un eventuale attacco dall'aria da parte della Germania, a sud, nelle sue linee di comunicazione con l'Oriente, contro un eventuale attacco da parte dell'Italia. In questo consiste la trasformazione della garanzia unilatera;le inglese in una garanzia mutua franco-bràtannica, che, inserita nel sistema della sicurezza collettiva, non è per questo in realtà aléra cosa che quell'alleanza franco-britannica, che ho preannunziato a V. E. lo scorso ottobre e che si è ora realizzata con gli accordi aerei e militari conclusi fra i due Governi.

Questi accordi fra Stati Maggiori sono presentati come una intesa di valore contingente, limitati cioè nel tempo alla durata del conflitto itala-abissino,

-o meglio alla durata del conflitto itala-inglese e itala-ginevrino. Io mantengo il mio convincimento che essi hanno un valore permanente. L'Inghilterra vuole legare a se la Francia con degli obblighi che corrispondono a quelli che l'Inghilterra ha sul Reno, e che tolgano la Francia dalla situazione privilegiata di essere garantita dall'Inghilterra verso la Germania, ma libera nella sua politica europea e sopratutto mediterranea. Quindi l'alternativa posta alla Francia: o cooperazione attiva con l'Inghilterra in sostegno del Patto della S.d.N., o abbandono da parte dell'Inghilterra del Trattato di Locarno (vedi mio telegramma n. -1035 del 18 ottobre) (2).

La Francia per conto suo non intende lasciare sfuggire, come ebbe a dirmi lo scorso novembre questo Ambasciatore di F·rancia Signor Corbin, l'occasione offertale dal Governo britanico di realizzare quello che è stato per quattordici anni l'obbiettivo principale della politica francese, dare cioè al Trattato di Locarno una base di cooperazione militare concreta ed effettiva. (Vedi mio telegramma per corriere n. 0303 del 1° novembre u.s.) (3). Che questo sia stato uno degli obbiettivi che il Governo francese ha tenuto costantemente presente durante tutte le diverse fasi della questione abissina dal gennaio a questa parte, è troppo chiaro perchè occorra illustrarlo. Assicurarsi da una parte l'alleam~a coll'Italia, dall'altra giungere gradualmente alla conclusione di un'alleanza franco-britannica, senza tuttavia compromettere, anzi rinsaldando l'alleanza con l'Italia: ecco il chiaro obbiettivo dell'azione politica e diplomatica di Lavai dal gennaio di quest'anno. Tale obbiettivo, bisogna riconoscerlo, è stato da Lavai raggiunto e gli avvenimenti di queste due ultime settimane lo dimostrano. Al completamento della politica di Lavai non mancava ormai se non dì raggiungere l'altro obbiettivo, e cioè una rapida soluzione della questione

abissina. Con questa soluzione Lavai avrebbe consolidato, senza più pericolo di vederla compromessa, i frutti delia sua politica.

È fuori di dubbio che gli Accordi militari franco-britannici sono stati definitivamente concordati durante la visita di Hoare e Vansittart a Parigi (8, 9 dicembre e seguenti). Questi accordi che riflettono sopratutto il campo milita·re ed aereo, sono stati conclusi natura'lmente nel reciproco interesse inglese e francese, ma è certo che costituiscono sopratutto un interesse francese. La Francia, fin dall'ottobre scorso, ha infatti dichiarato all'Inghilterra che il problema deWassistenza navale nel Mediterraneo non poteva essere risolto se non simultaneamente al problema della assistenza mi'litare per terra e in aria, essendo per la Francia impossibile di contemplare il caso di assistenza mutua nel campo navale se non simultanea all'assistenza, parimenti mutua, nel campo aereo e militare.

Tutto ciò, comunque, non è in contraddizione col Progetto di Parigi, ossia calle intese Hoare-Vansittart-Laval dirette a ricercare una rapida soluzione della questione abissina. Dal contenuto delle conversazioni preparatorie all'incontro di Parigi, e cioè dal mio colloquio con Hoare H giorno 26 novembre (1), nonché dalle spccessive mie conversazioni con Vansittart dei giorni 29 novembre, 3, 4 e 5 dicembre (2), risulta chiaro la linea dell'azione politica che Hoare e Vansittart si ripromettevano in quel momento di seguire e che, in quel momento, era approvata e condivisa dallo stesso Baldwin come Vansittart ebbe in quei giorni a confermarmi più volte.

Più volte Vansittart ha insistito su questo: «Il punto centrale dell'azione del Foreign Office è costituito dall'alleanza franco-britannica e dalla ricostituzione del fronte di Stresa ». Il fanatismo societario provocatosi in Inghilterra in seguito al conflitto itala-abissino (fanatismo societario in massima parte artificiale, eccitato e montato durante mesi e mesi daUo stesso Foreign Office) ha permesso di realizzare, al coperto del Patto di Ginevra, l'alleanza militare franco-britannica. Una volta raggiunto questo obbiettivo per il quale la diplomazia ufficiale britannica stava lavorando tenacemente da anni, veniva ad essere diminuito gran parte di quell'interesse che la diplomazia ufficiale britannica aveva portato al conflitto italo-·abissino, anzi nasceva in quel momento un più forte e decisivo interesse per la Gran Bretagna: quello di vedere la questione abissina liquidata al più presto con soddisfazione dell'Italia, per permettere a quest'ultima il ritorno alla politica del fronte di Stresa in condizioni di prestigio e di forza tuttora intatte, e cioè ancora non intaccate da un prolungato assedio economico e da una prolungata guerra coloniale. Liquidata la questione abissina con soddisfazione dell'Italia, si doveva ricostruire il fronte di Stresa, il quale avrebbe così significato la trasf,ormazione del Trattato di Locarno in un accordo che copra la mutua sicurezza delle Tre Potenze sul continente e nel Mediterraneo.

Questo è il duplice piano su cui era basata l'azione di Vansittart e di Hoare, ossia del Foreign Office, alla vigilia dell'incontro di Parigi: Vansittart

me lo ha detto chiaramente nelle sue conversazioni dei primi di dicembre, e

V. E. ricorda le parole che egli stesso mi ha dettato nella conversazione del 3 corrente perchè le trasmettessi direttamente al Duce. Dunque:

l) alleanza franco-britannica;

2) soluzione della questione abissina con soddisfazione dell'Italia;

3) alleanza anglo-franco-italiana.

Vansittart e Hoare (ma sopratutto Vansittart) hanno agito tuttavia con un empirismo frettoloso. Essi non hanno abbastanza valutato per questa fase conclusiva della loro azione (che importava un cambiamento improvviso e repentino della condotta tenuta sino allora), la necessità di procedere per gradi onde tempestivamente neutralizzare quelle forze fanatiche che lo stesso Foreign Office aveva durante dieci mesi eccitato e scatenato, e che era evidente non si sarebbero facilmente rassegnate ad accettare una conC'lusione in contrasto stridente colle premesse ideologiche sino allora sostenute. Queste forze fanatiche, dopo aver servito senza saperlo la politica del Foreign Office, hanno proseguito, secondo la legge del movimento che era stato loro impresso, ed hanno così impedito al Foreign Office, sempre senza saperlo, di raccogliere, almeno per ora, i frutti della sua azione.

Resta il problema dei sondaggi fatti o meglio rinnovati dal Governo britanico presso i Governi di Madrid, Angora, Atene e Belgrado, precisamente nei giorni stessi delle discussioni di Parigi, nel momento cioè in cui si concordavano definitivamente a Parigi gli Accordi Militari tra Francia e Inghilterra. Nel concetto di Hoare e di Vansittart questi sondaggi costituivano l'appendice naturale, sebbene certamente non altrettanto importante delle trattative per un'alleanza militare franco-britannica. E non è fuori luogo supporre che tali sondaggi siano stati rinnovati presso i Governi delle Potenze minori del Mediterraneo col consenso, o almeno colla consapevolezza, del Governo francese il quale ha sempre avuto come obbiettivo della sua politica mediterranea un Patto di mutua assistenza fra le Potenze del Mediterraneo. I passi recenti fatti direttamente dal Ministro degli Affari Esteri di Turchia e dal Ministro di Grecia a Parigi presso Lavai costituiscono una assai utile indicazione a questo riguardo.

I sondaggi fatti dal Governo inglese presso le Potenze mediterranee in vista di una cooperazione navale da parte di tali Potenze colla flotta britannica nel Mediterraneo, avevano, nel momento in cui sono stati fatti, tre obbiettivi diversi sebbene convergenti fra loro:

l) assicurare alla flotta britannica che, coll'avanzare della stagione invernale, sente la necessità di appoggi navali nel Mediterraneo Orientale, questi appoggi;

2) Creare un abbozzo e fare il primo tentativo di un Patto Mediterraneo, che, prendendo come motivo contingente l'attuale posizione dell'Italia rispetto alla S.d.N., e gli obblighi derivanti agli Stati membri dall'art. 16 del Covenant, prepari un Patto di Assistenza Mutua fra gli Stati del Mediterraneo, che garantisca, in sostanza, l'Inghilterra contro chiunque minacci o possa minacciare le sue comunicazioni imperiali;

3) inserire sempre più le Convenzioni militari, recentemente concluse fra Inghilterra e Francia, nel quadro della sicurezza e della cooperazione collettiva fra i Paesi del Mediterraneo, in modo che tali Convenzioni militari ang'lo-francesi possano venire accettate senza contrasti da un'opinione pubblica britannica che si è sempre dimostrata ostile ai rinnovamento dell'anUca alleanza militare pre-bellica anglo-francese.

La politica inglese nel Mediterraneo viene così costruita come un edificio la cui parete esterna è il Patto della S.d.N. e l'art. 16; entro questa parete esterna vi è un secondo edificio e cioè la cooperazione navale fra i Paesi del Mediterraneo; entro di questo vi è infine l'alleanza franco-britannica, che costituisce il vero nucleo della politica estera inglese.

A questa alleanza l'Inghilterra spera, ripeto, che un giorno, Hquidata la questione abissina, aderisca anche l'Italia, e che anche l'Italia entri a far parte del sistema della sicurezza mediterranea che intanto per suo conto e per suo vantaggio essa sta preparando.

Questi sono i piani, i più vicini e i più lontani, della polit~ca inglese, che oggigiorno si sente sempre più dominata dalla necessità di garantire le sue comunicazioni fra Gibilterra, Suez e Aden.

Le dimissioni di Hoare, il voto ai Comuni di giovedì 19, la nomina di Eden, hanno determinato una situazione nuova. Ovvero, per essere più esatti, hanno riportato la situazione a quello che era immediatamente dopo le elezioni generali e che io ho descritta nel mio telegramma per corriere n .... (1).

Il Progetto Hoare-Laval è morto, ma l'alleanza militare franco-britannica è rimasta. Di tale alleanza si valgono oggi precisamente Baldwin e Eden, per presentarla, almeno in questo momento, all'opinione pubblica britannica come uno strumento efficace di coel'cizione contro l'Italia, ed un avvenimento destinato ad int'luenzare direttamente il conflitto itala-abissino. Non diversamente, da Baldwin e Eden vengono oggi presentati all'opinione pubblica inglese i «sondaggi » fatti da Hoare presso le Potenze minori dei Mediterraneo. Infatti nei giorni immediatamente successivi alle dimissioni di Hoare (20, 21, 22 dicembre) le notizie di questi approcci fatti dall'Inghilterra a Madrid, Atene, A:ngora e Belgrado sono apparse ad un tratto come un avvenimento di eccezionale proporzione e importanza; su di esse il Governo britannico ha fatto concentrare l'attenzione della stampa inglese e dell'opinione pubblica inglese e internazionale. E infatti durante questi mesi l'Inghrlterra ha costantemente tenuto viva una duplice politica: soluzione diplomatica del conflitto itala-abissino da una parte, pressione militare sull'Italia dall'altra. Da una parte i progetti di accordo -progetto Eden, progetto di Parigi, progetti del Comitato dei Cinque, progetto Laval-Hoare -dall'altra misure navali militari -concentrazione della flotta nel Mediterraneo, intese con la Francia ed i Paesi minori del Mediterraneo per una cooperazione armata. La spada in una mano e l'offerta di un accordo nell'altra. I due metodi non sono stati mai né disgiunti né abbandonati. Ora che la soluzione diplomatica suHe linee progettate da Hoare e da Laval è fallita, l'Inghilterra torna alla politica della pressione militare nel

Mediterraneo, e sotto questo angolo l'Inghilterra presenta oggi le trattative in corso coile Potenze mediterranee.

Del resto lo stesso Hoare, nel suo discorso ai Comuni del 19 dicembre, ha ampiamente illustrato questo aspetto della situazione. Finora, egli ha detto in sostanza, solo l'Inghilterra ha preso delle misure militari nel Mediterraneo, nessun altro Paese ha mosso una nave, o una macchina od un uomo. Ora che i negoziati sono falliti le affermazioni generiche di lealtà alla Lega non bastano. È ne·cessario che tutti gli Stati membri della S.d.N., e sopratutto quelli che si mostrano a Ginevra i più intrasigenti ed i più decisi per un'applicazione di ulteriori sanzioni, si preparino a far fronte ad una situazione quale può determinarsi da un momento all'altro nel Mediterraneo.

Col fallimento del Progetto Hoare-Laval il problema che di nuovo immediatamente si pone per l'Inghilterra è quello di un possibile conflitto con l'Italia, e la sua attività diplomatica è perciò diretta a risolvere questo immediato problema. A questa attività Baldwin e Eden sono spinti dalla stessa responsabilità che si sono assunti l'uno il giorno che ha abbandonato Hoare, l'altro il giorno che ha assunto la successione con un programma sanzionista del quale il Governo britannico ha pubblicamente riconosciuto i pericoli ed i rischi. Siamo entrati così da una settimana in quella fase o «zona » pericolosa -che Hoare ha descritto nel suo discorso del 19 dicembre -e la questione mediterranea, che nel corso degli ultimi due mesi era andata a poco a poco dileguandosi dall'orizzonte politico, è riapparsa con la stessa drammaticità che essa aveva nell'ottobre scorso, e l'eccitazione pubblica, il nervosismo degli ambienti finanziari, i timori di una guerra hanno di nuovo precipitato la situazione generale verso quello che essa era nel periodo più acuto rlella crisi itala-britannica.

(l) -Vedi D. 203. nota 3. (2) -Non pubblicato. (3) -Non rinvenuto. (l) -Vedi D. 726. (2) -Vedi DD. 755, 781, 794 e 802.

(l) Nota dell'Ufficio Cifra: «Manca >>.

919

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 10055/0416 R. Londra, 26 dicembre 1935 (per. il 31).

Per quanto Eden non abbia ancora messo piede al Foreign Office, e sia anzi assente da Londra, non è difficile già scorgere la influenza delle sue direttive e delle sue idee.

Vi è stato in questi giorni -dalle dichiarazioni di Hoare ai Comuni nella

sedutu del 19 corrente a oggi -un progressivo inasprimento nel linguaggio

della stampa, che trae le sue informazioni e le sue ·ispirazioni dal Forei5n Of

fice, e una ripresa su tutta la linea deHa campagna che questa stampa iniziò

l'estate scorsa sul pericolo italiano nel Mediterraneo.

La tendenza di Eden -come ho avuto allora occasione di segnalare --è

stata sempre quella di portare la questione abissina nel campo della politica

mediterranea, e V. E. ricorda come al ritorno dalla riunione 'l'ripartita dr Parigi,

egli si fece iniziatore (verso la fine di agosto) prima i:n seno al Consiglio dei

Mirustri, poi nell'opinione pubblica, di un movimento diretto ad allargare la controversia itala-britannica, facendola gravare sul problema del Mediterraneo orientale. La pretesa propaganda italiana in Egitto ed in Palestina, i pretesi disegni itaUani su Malta e su Cipro, i piani fantastici di congiungimento fra la Libia e l'Eritrea attribuiti all'Italia, tutto il materiale di informazioni e di insinuazioni col quale ha avvelenato nell'agosto scorso la opinione pubblica inglese, viene (come ho informato ripetutamente a suo tempo) dalla fucina di Eden, il quale si fece capo di quel gruppo di Ministri che in seno al Gabinetto sostenevano la politica del sodetarismo imperiale. Eden vide allora che per trascinare il popolo inglese alla polit~ca delle sanzioni contro l'Italia•. bisognava far coincidere tre cose: l'odio laburista contro il fascismo, il fanatismo delle corre11ti societarie e la reazione imperialista contro· chiunque sembri da lontano

o da vicino minacciare gli interessi dell'Impero. Tutti i suoi sforzi furono allora diretti ad eccitare e inasprire contro di noi quei molti conservatori imperialisti;

l

dal gruppo Amery a quello del'la Morning Post che avevano mostrato le loro simpatie per la nostra impresa d'Afri-ca.

In questi giorni vi sono chiari segni che egli ha ripreso il suo lavoro ln questo senso. E questo lavoro gli è favorito dal disorientamento e dalla dispersione dei conservatori di destra, che hano subito con le dimissioni di Hoare, un colpo duro. Ritornano così alla luce Cipro e Malta, le, comunicazioni imperiali ed il pericolo italiano nel Mediterraneo la Libia e l'Egitto. L'atmosfera di questi giorni a Londra non è molto dissimile da quella pesante e-nervosa del settembre scorso.

920

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS

T. R. 2856/128 R. Roma, 27 dicembre 1935, ore 24.

Nonostante smentita del R. Governo a notizie corse all'estero circa possibilità che autorità italiane procedessero confisca merci estere in transito per porti italiani, autorità inglesi a Singapore e a Colombo continuano vietare esportazione di stagno, gomma e ferro vecchio per Centro Europa via porti italiani. Analogamente dogana Tunisi chiede per l'importazione di merci cecoslovacche inoltrate via porti italiani documentazione e condizioni complicate (lettera di vettura e polizze di carico e condizione che merci da sbarcare non siano state messe in deposito in porti italiani).

Tale provvedimento, data la mancanza di ogni intenzione di confisca o di manipolazioni dei porti da parte del R. Governo, assume un vero e proprio carattere di sanzione, in quanto tende a sviare i traffici di transito dai porti italiani.

Tale deviazione colpisce anche gli interessi degl'i esportatori e degli importatori cecoslovacchi in quanto il traffico dovrà svoLgersi attraverso vie più costose, ed in generale potrebbe nuocere agli interessi cecoslovacchi in quanto avrebbe la conseguenza di intensificare l'utilizzazione dei porti tedeschi.

Sia per tali motivi che interessano direttamente la Cecoslovacchia, sia perché codesto Governo ha dichiarato di non voler applicare con eccessiva rigidità il sistema delle sanzioni, il delegato cecoslova;cco potrebbe utilmente far valere in seno ai Comitati ginevrini che la sanzione diretta a colpire i traffici di transito in porti italiani è assolutamente arbitraria in quanto non prevista in alcuna delle risoluzioni finora a;dottate dal Comitato di Coordinamento di Ginevra.

Prego V. S. voler spiegare con ogni possibile discrezione azione che crederà opportuna per indurre codesto Governo a fare il passo anzidetto a Ginevra, riferendo esito suoi passi.

921

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 37/0417 P.R. Londra, 27 dicembre 1935

(per. il 3 gennaio 1936).

Ricevo ora i documenti trasmessimi da V. E. -per mia riservata conoscenza -con il telespresso n. 1099 del 25 dicembre (1). Dalla lettera che il Duce ha diretto a Lavai rilevo un passaggio della massima importanza, e che cioè l'intenzione del Duce non era affatto di respingere senz'altro le Basi Laval-Hoare, e che, se la seduta del Gran Consiglio del 18 dicembre avesse avuto uno svolgimento normale, la risposta italiana a Lavai non sarebbe stata sfavorevole.

V. E. è al corrente delle polemiche che hanno seguito in Inghilterra le dimissioni di Hoare. A difesa della sua politica Hoare ha più volte detto, nelle conversazioni da lui avute con i lea;ders politici del Partito conservatore, che egli era sicuro che il Governo fascista, una volta esaminate le sue proposte, le avrebbe accolte favorevolmente come base di discussione. I suoi avversari si sono valsi contro di lui della mancata accettazione italiana, per rimproverargli di avere compromesso i principii della S.d.N. senza essere riuscito ad ottenere al suo progetto neanche un'adesione di massima da parte dell'Italia.

Nel mattino del 19 Sir Ronald Graham, a nome di alcuni deputati conservatori di destra, amici di Hoare, mi ha domandato se io potevo far sapere a Hoare, prima del suo discorso ai Comuni, che la risposta del Governo fascista «sarà, o almeno sarebbe stata in massima favorevole». In base alle istruzioni telefoniche del Duce ho risposto a Graham che non mi sembrava il caso di fare una comunicazione del genere.

Ora la stessa domanda rivoltami il mattino del 19 da Graham mi è stata in seguito ripetuta da vari esponenti del Partito conservatore che intendono, alla riapertura del Parlamento, riprendere la questione delle proposte di Parigi. A tutti ho dato delle risposte evasive, solo facendo rilevare che avendo il Governo fascista chiesto il giorno 16 ai Governi di Parigi e di Londra dei chiarimenti era ovvio che esso non intendeva respingere senz'altro il progetto.

Vorrei ora potermi riservatamente servire di quanto V. E. ha scritto a Laval (1), per mettere in chiaro che la risposta italiana -ave le dimissioni di Hoare non avessero provocato l'abbandono del progetto da parte inglese -non sarebbe stata sfavorevole. È questo un punto essenziale della polemica che si svolge fra partigiani della politica di Ho are e partigiani della politica di Eden; e nel lavoro che sto facendo per ricomporre le file dei nostri amici, mi sarebbe di grandissima utilità chiarirlo.

(l) Non pubblicato. Ritrasmetteva a Grandi i DD. 904 e 915.

922

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 27 dicembre 1935.

Sir Eric Drummond mi dà l'unito promemoria (2) su alcuni movimenti di navi nel Mediterraneo. La situazione viene alleggerita in quanto la << Revenge » parte senza essere sostituita.

Gli confermo che in Cirenaica non c'è aumento di forza in quanto i reparti motorizzati vanno a sostituire la «Cosseria» che parte per l'Africa Orientale.

L'Ambasciatore va in licenza per tre settimane a Londra, perchè ritiene che per ora non ci possa essere nulla di nuovo. Egli non vede per il momento una uscita dalla presente situazione. Egli pensa che se il progetto Hoare-Laval fosse stato difeso fino in fondo, sarebbe passato. Ad ogni modo Hoare ha raccolto le generali simpatie nella seduta alla Camera dei Comuni mentre la posizione di Baldwin è stata indebolita.

Sl parla della manovra Pertinax-Tabouis. L'ambasciatore esclude che Pertinax abbia potuto fare l'indiscrezione per suggerimento o nell'interesse di circoli inglesi. Eden continuerà la politica del suo predecessore. Sir Eric Drummond lo vedrà e lo intratterrà sulla situazione. Egli lo crede ragionevole (3).

923

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 27 dicembre 1935.

Nelle conversazioni di questi giorni con questo Ambasciatore di Cina a proposito del suggerimento che egli intende dare al Maresciallo Chang Kai-Shek

circa il modo di ripresentare la quistione cino-giapponese a Ginevra, si sono venuti fissando i seguenti punti, che potranno essere meglio precisati dopo che il Maresciallo abbia fatto conoscere il suo parere al riguardo.

Essi sono:

-la Cina chiederebbe alla S.d.N. di «dichiarare neutra» la zona già dichiarata « demilitarizzata » dalla Cina e dal Giappone con l'armistizio di Tanku (armistizio che, com'è noto, ha posto f:ine al periodo acuto della lotta cino-giapponese);

-il Governo cinese chiederebbe inoltre alla S.d.N. che, nella zona predetta, la Polizia venga fatta da alcune Potenze delegate dalla S.d.N., anzichè dalla Cina a cui l'armistizio di Tanku ha riconosciuto tale diritto (egli pensa che tra le Nazioni dovrebbe essere compresa la Germania);

-la Cina infine, salva rimanendo la sua «sovranità», darebbe la «zona neutra » in concessione alle Potenze che dalla S.d.N. verrebbero incaricate della Polizia. Si potrebbe trattare sia di << concessione » di tutta la zona a tutte tali Potenze, sia di « concessioni » singole a ciascuna di esse.

La «zona» di cui si tratta è situata lungo la Grande Muraglia e a sud di essa, e segue quindi il confine meridionale del Manciukuo, fino alla Mongolia interna. I suoi limiti precisi non sono stati finora resi pubblici. L'Ambasciatore si è riservato di fornire indicazioni quanto più possibile precise.

Circa la « dichiarazione di neutralità » della zona da parte della S.d.N., sarebbe da studiare e da stabilire come tecnicamente essa possa avvenire a norma del diritto internazionale e del Covenant.

Quanto alle concessioni da fare all'Italia sia nella « zona neutra >>, sia eventualmente anche in regioni situate a sud della zona stessa (ad esempio nella zona mineraria dello Shansi), in certo senso, esse potrebbero essere proporzionate, secondo Liou Von Tao, all'aiuto che !"Italia presti alla Cina per la realizzazione della sua idea.

Procedura. Essa sarà da stabilire nei suoi particolari dopo che il Maresciallo Chang Kai-Shek entrasse in tale ordine di idee. Al riguardo Liou Von Tao si proporrebbe di tenersi in stretto contatto col Governo italiano. Le sue idee sarebbero, in massima, le seguenti:

a) l'iniziativa è, e dovrebbe apparire esclusivamente della Cina e sua esserne la responsabilità;

b) la S.d.N. dovrebbe essere messa di fronte al fatto compiuto della richiesta cinese, e ciò per evitare che il Giappone ne abbia anticipatamente sentore e le Potenze dissuadano la Cina dal fare qualsiasi passo a Ginevra.

Successivamente alla presentazione del ricorso alla S.d.N., il Governo cinese inizierebbe un'azione diplomatica di persuasione. Liou Von Tao si augura che l'Italia possa avere in tale azione una parte importante. Starebbe in ogni modo all'Italia stabilire il momento opportuno e la misura e il grado di tale

appoggio diplomatico.

Atteggiamento della Cina, della S.d.N., dell'Inghilterra ecc. a) Cina. Liou Von Tao ritiene che il Maresciallo Chang Kai-Shek sarà favorevole. La sua idea rappresenterebbe il modo di far intervenire la S.d.N. a protezione della Cina, senza arrivare agli estremi di un ricorso in base all'art. 16; e finirebbe per creare una diga che arginerebbe la marcia giapponese; · b) S.d.N. Anzitutto la S.d.N., se messa di fronte al fatto compiuto della richiesta, non potrebbe evidentemente rifiutare di darle seguito. È pure da tener presente l'osserva~ione fatta di sopra, e cioè che una richiesta cosi limitata eviterebbe il grave scoglio dell'articolo 16; c) Inghilterra e U.R.S.S. Valgono per queste Potenze le stesse considerazioni di cui alle lettere precedenti, e in più il fatto che la proposta rappresenterebbe un mezzo per salvaguardare e accrescere i rispettivi interessi in Cina. Lo stesso dicasi per l'America; d) Giappone. È evidente che la proposta urta contro il programma di esclusivismo giapponese in Cina. Liou Von Tao pensa però che -qualora si delineasse un'intesa e una pressione delle Potenze e della S.d.N. sul Giappone -quest'ultimo vi si potrebbe adattare come a un minor male. Una volta che la Cina avesse ottenuto la «sicurezza politica » rappresentata dalla «zona neutra », essa potrebbe così consentire quella collaborazione economica che il Giappone dichiara di ricercare in Cina e alla quale la Cina si è finora rifiutata di aderire: la Cina potrebbe ancora spingere fino ad accedere al riconoscimento del Manciukuo.

Questo schema di idee e queste osservazioni hanno a loro vantaggio la conoscenza che l'Ambasciatore ha degli ambienti cinesi e dei suoi dirigenti. Non si può f8.re a meno tuttavia di prevedere che il Giappone farà certo ogni possibile opposizione per evitare che si portino nella Cina del nord le Potenze europee e sopratutto per ostacolare l'avanzata della Russia, tanto più che la zona da neutralizzare si trova attualmente sotto l'influenza giapponese. Per contro è assai dubbio che, anche nella forma attenuata ideata da Liou Von Tao, il ricorso cinese trovi nelle Potenze europee e in America la solidarietà necessaria per esercitare sul Governo di Tokio la dovuta pressione affine di ottenere l'adesione giapponese. Senonché l'iniziativa di Liou Von Tao non va considerata soltanto dal punto di vista della sua effettiva realizzazione. Essa va considerata anche come mezzo per riportare la quistione cinese a Ginevra ai fini della vertenza italo-abissina; e certo la forma prescelta è quella che meno di ogni altra si allontana da una pratica possibilità.

Il progetto di Liou Von Tao, dando il diritto alla Polizia e concessioni economiche a diverse Potenze in una stessa zona, si avvicina -è vero -all'« assistenza collettiva» a cui si inspira il progetto del Comitato dei Cinque per l'Abissinia. Però le posizioni delle Parti interessate sono talmente diverse tra di loro sotto tutti i punti di vista, che non ne segue affatto che tale criterio di «assistenza collettiva» possa applicarsi indifferentemente alla Cina e all'Abissinia. Inoltre la materia è cosi vasta e varia che non sono certo le possibilità di accrescere confusione e imbarazzo a Ginevra che mancheranno in un ricorso -come che sia -della Cina alla Società delle Nazioni.

L'Ambasciatore ha chiesto di ricevere dal Capo del Governo una parola di incoraggiamento per valersene confidenzialmente presso Chang Kai-Shek.

Parrebbe opportuno di rispondere in senso affermativo, insieme con l'assicurazione che l'iniziativa che effettivamente prendesse il Governo cinese sarebbe poi seguita con favore.

L'Ambasciatore lascerà Roma domenica mattina 29 corrente (1).

(l) -Vedi D. 915. (2) -Non pubblicato. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
924

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 10021/351 R. Madrid, 28 dicembre 1935, ore 21 (per. ore 3,40 del 29).

Mio telegramma n. 348 (2). Data assenza Ministro e Sottosegretario di Stato ho chiesto a questo Direttore Generale Affari Politici notizie informazioni comparse stamane sulla stampa circa forma extra ufficiale in cui sarebbe stata rivolta a Spagna nota richiesta inglese riferendo anche corrispondenza Agenzia Havas da Madrid pubblicata Echo de Paris 27 corr. secondo la quale richiesta stessa sarebbe stata direttamente rimessa Presidenza della Repubblica. Signor Aguìlar mi ha confermato nel modo più esplicito che a Ministero degli Affari Esteri nulla risultava circa richiesta in parola, agg,iungendo che, per quanto riguarda Presidente della Repubblica, egli pur non essendo in grado smentire, poteva dirmi che nè Governo, nè Ministero degli Affari Esteri erano informati di alcun passo del genere e che riteneva la cosa doversi escludere sia per essere contraria a spirito costituzione e a prassi in proposito seguita,

sia perchè non vedeva per quale tramite richiesta potesse essere pervenuta Alcalà Zamora senza che Ministero degli Affari Esteri ne fosse a conoscenza. Nonostante tali smentite, non mi sembra possa del tutto escludersi che Gran Bretagna, in vista situazione interna spagnuola, abbia fatto sapere al Presidente della Repubblica, a mezzo Madariaga, suo desiderio che questo Paese riaffermasse completamente fedeltà impegni societari. A tale proposito vi è chi afferma che, dopo prossimo Consiglio dei Ministri verrebbe diramato apposito comunicato, come al solito ambiguo, riaffermante fedeltà al Patto ed

insieme desiderio di pace. Intanto, a seguito dissenso Gabinetto Portela circa eventuali alleanze elettorali, situazione politica interna diviene sempre più confusa e in ambienti giornalistici è persino circolata voce (per quanto assai vaga) possibilità dimissioni stesso Presidente della Repubblica.

S. -E. Suvich, mi ha autorizzato a rispondere in senso affermativo all'Ambasciatore, c,iò che ho f~tto a voce il 28 dicembre». Il presente documento reca il visto di Mussollni.
(l) -Una annotazione a margine, di Scaduto, dice: «Jacomoni, dopo averne parlato con (2) -T. 9998/348 R. del 27 dicembre 1935, ore 15, non pubblicato. Vedi D. 914.
925

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI. ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL CILE A ROMA, RIVAS VICU.NA

APPUNTO. Roma, 28 dicembre 1935.

L'ambasciatore del Cile è stato a Parigi. Ha parlato con Laval prima e dopo l'incontro con Hoare. A quanto ha appreso Lavai l'intesa era che la Gran Bretagna avrebbe fatto delle pressioni sul Negus per fare accettare il piano, mentre Lavai si sarebbe assunto il compito di persuadere l'Italia. Quando Laval è andato a Ginevra ha pregato Rivas Vicufia di accompagnarlo per aiutarlo nel Consiglio. Rivas Vicufia ha telefonato al suo Governo chiedendone l'autorizzazione ed il Governo del Cile gli ha fatto presente che l'opinione pubblica cilena era contraria al progetto perché si cedevano dei territori all'aggressore. Tuttavia il Governo si è rimesso all'Ambasciatore perché si regolasse per il meglio.

A Ginevra tutti i Membri del Consiglio, all'infuori di Laval e di lui, Rivas, erano contrari al progetto perché concedeva troppo all"Italia.

I meno feroci erano Beck e l'australiano che pur facendo la questione di principio contro il premio all'aggressore riconoscevano che si deve trovare una soluzione politica per venire fuori dalle presenti difficoltà.

Viceversa il più feroce è stato Potemkin il quale in presenza di Lavai, Ministro degli Esteri del Paese presso il quale è accreditato, ha avuto il coraggio cii dire che fortunatamente nel governo francese ci sono delle serie divergenze a proposito del prog,etto.

Eden, che, come è noto. ha una mentalità molto bornée e che in questo momento non vede che la Società delle Nazioni e le sanzioni, ha insistito molto per mettere un termine al Comitato dei Tredici, dopo la scadenza del quale si sarebbe portata la questione dell'embargo sul petrolio. Si deve soltanto a Laval se tale termine non fu posto. Per accontentare Eden si è dovuto però convocare il Comitato dei Diciotto e rimettere la questione del petrolio allo studio di un Comitato di esperti.

Eden, parlando con Rivas Vicufia, il giorno 18 sera mentl·e dalla seduta segreta si avviavano alla seduta pubblica, ebbe a dichiarargli che le proposte erano definitivamente morte, specialmente dopo il discorso del Capo del Governo a Pontinia che aveva rigettato il progetto.

All'osservazione di Rivas Vicufla che questa affermazione non poteva essere esatta perchè Eden era partito da Londra con le istruzioni contrarie alle proposte già fin dal giorno prima, Eden ha riconosciuto ridendo la giustezza di tale osservazione.

L'intero Segretariato -· la maison come la chiama Lava! -è decisamente contraria alle proposte. Avenol parlando con Rivas Vicufla si espresse nel senso che la guerra sarebbe finita sia per esaurimento dell'Italia, sia per una caduta del Regime.

L'Ambasciatore del Cile gli osservò che non era informato della situazione e che l'unanimità in Italia era assoluta e la resistenza sarebbe stata lunghissima.

Hivas ha l'impressione che l'ostilità sia diretta più che altro contro il Regime. Lavai, in complesso, a Ginevra è stato un isolato con il solo appoggio che gli ha potuto portare il mio interlocutore.

In treno Rivas ha avuto un colloquio con Jèze il quale gli ha detto che l'Etiopia non avrebbe dato una risposta nettamente negativa, ma avrebbe fatto tutte le opposizioni contro il progetto che non poteva essere accettato. Jèze ha soggiunto che i consigli che si danno all'Imperatore sono di evitare una battaglia e di lasciare che gli italiani si incuneino ancora più dentro in Abissinia perché tanto maggiore sarà il loro disagio nella prossima stagione delle piogge. Non è questione -secondo Jèze -che l'Abissinia possa essere battuta se non dopo una lunga guerra: ci vorrà almeno tutto un secondo anno di guerra perché l'Italia possa avere qualche successo determinante.

In complesso l'impressione dell'Ambasciatore del Cile è che per il momento non ci sia nulla da fare nel campo politico-diplomatico; per fare uscire la situazione dal punto di inerzia in cui si trova ora, ci vorrebbe un'azione vittoriosa in Africa che possa dimostrare agli oppositori che il progetto Hoare-Laval tendeva a salvare la Società delle Nazioni e l'Abissinia.

L'Ambasciatore è a nostra disposizione per tutto quello che potesse fare nell'interesse dell'Italia.

Egli mi prega di riesaminare la situazione del Cile che non vuole essere compreso fra i paesi sanzionisti perché in pratica non applica nessuna sanzione (1).

926

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 8737/2883. Parigi, 28 dicembre 1935 (per. il 30).

Mio telegramma n. 983 del 20 corrente (2).

Facendo seguito al mio telegramma succitato, mi onoro trasmettere, qui unito, copia del rapporto n. 997/S in data 26 corrente, diretto dal R. Addetto Militare al R. Ministero della Guerra e relativo all'argomento in oggetto (1).

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASETTI, AL MINISTERO DELLA GUERRA

R. 997/S. Parigi, 26 dicembre 1935.

Il Generale Gamelin mi ha chiamato stamane, 26 dicembre, nel suo ufficio, per informarmi che prossimamente, farà una gita a Nizza, dove ha parecchi amici, e ne

approfitterà per visitare la guarnigione. Egli ha tenuto a dichiarare che il suo viaggio non ha alcuna relazione con la situazione attuale; è suo preciso desiderio informare preventivamente di ciò, perché al viaggio predetto non si dia un significato diverso da quello che deve avere.

Nel corso del breve colloquio ha confermato che nessuna disposizione esecutiva è stata presa in seguito alle conversa7!ioni anglo-francesi per l'assistenza terrestre; conversazioni che -secondo il generale -hanno anche servito a ben conoscere gli intendimenti degli inglesi. Ha soggiunto di essere amico personale del capo di S.M. dell'esercito inglese: uomo, secondo lui, molto calmo e riflessivo, sull'azione del quale c'è da sperar bene.

Ha concluso:

l. -che persegue, da parte francese. e nonostante le diff,icoltà, l'azione in favore àcll'Italia, per evitare o almeno ritardare quanto più è possibile un eventuale aggravamento delle sanzioni (il pericolo del quale -secondo direttive che ho avuto da s. E. l'Ambasciatore --ho tenuto a sottolineare al generale);

2. -che gli accordi militari franco-Italiani dell'estate scorsa -acco1·di che considerano un altro campo particolare d'azione -sono sempre in vigore.

Mi ha anche riferito di aver scritto una lunga lettera a S. E. il Maresciallo Badoglio, ed ha espresso l'augurio che prima della stagione deJ,le piogge abbia luogo una risoluzione militare a noi favorevole in Abjssinia.

P. S. Con la circostanza, e per il caso non fosse noto al Ministero, informo che la novizia apparsa sui giornali del rifornimento di una divjffione navale inglese ad Ajaccio (notizia che aveva fatto molto rumore, suscitando un violento articolo della Action Française) è stata categoricamente smentita.

(l) -E presente documento reca 11 visto di MussoUni. (2) -T. uu. 98361983 R. del 20 dicembre 1935, ore 21,50, con il quale Cerruti aveva comunicato esse,re stato il regio addetto militare informato che conversazioni avevano avuto luogo per definire, «anche nel campo terrestre, le modalità di mutua assistenza francoinglese in dipendenza articolo 16 Covenant ».
927

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 13854. Budapest, 28 dicembre 1935 (per. il 2 gennaio 1936).

Telegramma di V. E. n. 179 in data 27 corrente (1).

Mi sono recato subito dal Conte Bethlen e gli ho espresso l'alto compiacimento di S. E. il Capo del Governo per il suo ultimo articolo, circa il quale avevo già ritenuto manifestargli il mio apprezzamento personale. Mi se ne è detto assai lieto e mi è sembrato estremamente sensibUe all'attenzione del Duce.

Ha aggiunto esser suo proposito di continuare, per tutto quanto a lui possibile, a rendersi utile all'Italia.

Nella breve conversazione che è seguita l'ex Presidente, dopo aver rilevato la scorrettezza «estrema e senza precedenti in Inghilterra» della maniera tenuta da Baldwin nel liquidare Hoare, ha manifestato l'avviso che Baldwin, salvato ora dal timore di nuove elezioni che avrebbero potuto condurre al governo i laburisti, non potrà conservare a lungo il potere.

Egli, Bethlen, avrebbe d'altra parte l'impressione che Eden, sebbene massone, ora che le sue ambizioni personali sono soddisfatte e su lui grava intera

la responsabilità della politica estera dell'Impero, sia incline a mettere alquanta acqua nel vino del suo sanzionismo progressivo (analogo parere mi è stato espresso ieri anche dal Reggente Horthy e dall'Arciduca Giuseppe).

Il Conte Bethlen ha concluso che --per quanto a lui era dato giudicare la soluzione di tutta la questione poteva venire anzitutto dall'azione militare in A. O.; un successo che ci portasse ad es. all'occupazione di Harrar avrebbe --egli pensava -· indotto il Negus ad abbandonare ogni resistenza.

(l) Con tale telegramma Ciano incaricava Colonna di far giungere al conte Bethlen il compiacimento del Duce per l'articolo apparso sul Pesti Naplò. Il presente documento reca il visto di Mussolini.

928

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, E AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

'"r. R. 2873/C. R. Roma, 29 dicembre 1935, ore 24 (l).

(Per Ankara). Suoi telegrammi n. 306 e precedenti (2).

(Per Atene). Suoi telegrammi n. 322 (3} e precedenti.

(Per tutti). Informazioni circa passo inglese nelle capitali del Mediterraneo orientale dimostrano ormai concordemente proposito britannico di organizzare accerchiamento mediterraneo contro Italia.

Riferendosi anche a Sue precedenti conversazioni al riguardo V. E. (V. S.) vorrà chiedere a codesto Governo, nello spirito del patto di amicizia del 1928 tuttora in vigore, come esso intenda regolarsi in presenza richiesta britannica.

V. E. (V. S.) potrà osservare come azione del Governo fascista, che si è sempre sforzato di circoscrivere sua vertenza con Etiopia e di evitare che un conflitto di carattere colonial'e venga ad allargarsi in una conflagrazione mondiale, non autorizzi in alcun modo Governo britannico ad attribuire propositi di aggressione navale all'Italia, mentre d'altra parte è noto che concentrazione navale britannica nel Mediterraneo, anteriore a procedura ginevrina per applicazione articolo 16, fu effettuata per iniziativa isolata del Governo britannico senza consultazione di alcuno Stato membro della Lega, e fu esplicitamente giustificata presso R. Governo da tensione attribuita a campagna d!i stampa dell'Italia. La politica dell'Inghilterra, non estranea quindi a fini particolari, eccede comunque gli obblighi derivanti dal Patto.

Ipotesi prevista da articolo 16 alinea 3 del Patto, alla quale Inghilterra si riferisce per sollecitare assistenza marittima contro Italia, implica infatti una precisa valutazione di tutte le circostanze, valutazione alla quale codesto Stato non solo non può a priori rinunciare senza venir meno ai suoi diritti di Stato sovrano e di membro della S.d.N., ma che deve aver luogo volta a volta col pieno apprezzamento delle gravissime responsabilità che ne derivano.

Pertanto un'adesione incondizionata alla richiesta britannica non solo sarebbe contraria al Patto ma costituirebbe un atto non amichevole nei riguardi

dell'Italia, che verrebbe a ledere profondamente spirito e lettera del Patto di amicizia ponendo praticamente fine alla politica di amicizia e di cooperazione che le due Potenze si sono impegnate a svolgere nel Mediterraneo.

Conseguenza de11a richiesta inglese non può essere che di creare un'atmosfera di sospetto e di minaccia che aggrava la situazione e allontana quelle prospettive di pace alla quale dovrebbe essenzialmente tendere l'azione della

S.d.N. e verso la quale convergono gli sforzi di tutti i Governi sinceramente desiderosi di adoperarsi per una più sollecita risoluzione dell'attuale conflitto.

In quanto ad argomento della strapotente forza navale britannica invocato dal Governo ellenico per addurre impossibilità di opporsi a presa di possesso delle proprie basi navali è da osservare che allora è perfettamente inutile invocare principi della Lega e dell'indipendenza dei piccoli Stati in nome dei quali siffattè sòpraffazioni vengono giustificate (l).

(l) -Il telegramma era indirizzato anche alle ambasciate a Londra, Parigi, Berlino, Mo'-'Cfl, Madrid, Washington. e alle legazioni a Bucarest e Belgrado. (2) -Vedi DD. 997 e 905. Il T. 9941/306 R. del 24 dicembre 1935, ore 19,23, non si pubblica. (3) -Vedi D. 912.
929

IL MINISTRO A LIMA, BIANCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

·r. 10087/191 R. Lima, 30 dicembre 1935, ore 3 (per. ore 9,35 del 31).

Mi riferisco al mio telegramma n. 185 (2).

In due colloqui con questo Ministro Esteri ho esposto ampiamente ragioni di carattere giuridico, morale, economico per cui ci attendevamo che adesione Perù alle sanzioni non avrebbe avuto pratica attuazione; ero quindi certo che decreto emesso 11 scorso doveva aver fatto penosa impressione in Italia come aveva colpito collettività italiana del Perù.

Signor Concha in termini molto effusivi, che mi sono parsi sinceri, mi ha espresso vivissimo rincrescimento Presidente della Repubblica, suo e del Governo per aver dovuto prendere i citati provvedimenti in seguito fortissime pressioni S.d.N.; mi assicurava però nella maniera più esplicita essere ferma intenzione Governo peruviano che nessun danno debba derivare vostri interessi ed a questo scopo tende articolo 6° citato decreto.

Come pratica attuazione evidentemente predisposta dall'azione efficace svolta fin dal primo momento sul Governo e l'opinione pubblica dal nostro Incaricato d'Affari Gaetani, egli prevedeva possibilità:

l) prorogare al 31 gennaio prossimo data stabilita con l'articolo 5° decreto sanzioni; 2) fissare 31 marzo come termine ingresso merci acquistate con contratti anteriori 11 dicembre; 3) disporre larghissime concessioni licenze.

63 -Documenti Diplomatici -Serie VIII -Vol. II

Preso atto tali dichiarazioni ho osservato al Ministro Affari Esteri come mentre facevo riserva per la questione morale, misure da lui previste non salvaguardavano sufficientemente nostri interessi e lo preg·avo a tale scopo fissare proroga applicazione decreto a fine febbraio e quello per entrata merci contrattate ante 11 dicembre scorso a tempo indeterminato.

Pur vedendo difficoltà accoglimento mia richiesta causa impegni presi con S.d.N., Ministro Affari Esteri mi ha promesso esaminarla con la massima benevolenza.

Date queste disposizioni che, realizzandosi, vuoterebbero provvedimenti di ogni contenuto sostanziale nonché, per quanto giudicato finora, atteggiamento maggioranza opinione pubblica, propongomi, salvo ordini contrari, conservare atteggiamento cordiale adoperandomi perchè Colonia e g•iornale italiano si mantengano sereni, mentre permettomi confermare ·avviso dato da Gaetani di evitare di prendere in Italia qualsiasi misura rappresaglia che non potrebbe che nuocerei.

(l) -Per la risposta vedi D. 930. (2) -Non pubblicato.
930

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 10058-10071/312-313 R. Ankara, 30 dicembre 1935, ore 21,30 (per. ore 3,15 del 31).

Telegramma di V. E. n. 2873/C (1).

Ho fatto a Numan comunica2lione prescrittami esprimendomi nel senso delle istruzioni di V. E. Per ogni maggiore precisazione ho anzi lasciato a Numan un appunto che ripeteva mie dichiarazioni.

Numan rispostomi che quanto dettomi nelle conversazioni precedenti già rispondeva almeno in parte al quesito odierno. Risposta data a nota inglese specificava che Turchia darebbe suo appoggio a qualsiasi Stato societario che fosse attaccato da noi per applicazione sanzioni economiche. Risposta quindi, avendo escluso sanzioni militari propriamente dette e non contenute che paragrafo 3° dell'articolo 16, voleva restare nel campo teorico e societario, non intendendo Turchia apparire e rispondere come una alleata dell'Inghilterra.

Per passare dal campo teorico al pratico, cioè nel caso in cui si verificasse la temuta aggressione, il Governo turco pensava che la Società delle Nazioni sminuirebbe a Ginevra l'accaduto ed ove decidesse trattarsi di aggressione la Turchia non potrebbe esimersi dai suoi obblighi societari. Mi ha poi chiesto che cosa significasse impossibilità di collaborazione ed ho risposto annullamento pratico del nostro Trattato di amicizia forse anche [dichiarazione] sua inutilità, e spiegato che ciò stava in relazione con le premesse di una adesione incondizionata e senza riserva alla volontà inglese nettamente a noi ostile e per ragioni che sono nettamente al di fuori dell'interesse e delle finalità socie

tarie. Si è riservato di darmi pm precisa risposta dopo sentito Ismet Pascià e Siikrii Kaya. Forse me la darebbe Aras, atteso giovedì prossimo.

Chiestogli nuovamente come spiegare concordi informazioni della stampa internazionale delle condizioni poste dalla Turchia all'Inghilterra circa suo concorso per l'applicazione dell'articolo 16, mi ha ripetuto nel modo più assoluto che non era stata mai parola in questa occasione della questione degli Stretti e delle aspirazioni turche al loro riarmo, tesi del resto riaffermata in ogni momento, ma non mai certo ora come condizione del concorso turco alla difesa dell'Inghilterra aggredita.

Chiesto perché non facevamo una smentita mi ha risposto con ragioni poco convincenti, ma ha r!ipetuto vivacemente che il riarmo degli Stretti non poteva essere merce di contrattazione. Ha pure ripetuto che non vi erano crediti inglesi per acquisto armi e specificato che una missione di ufficiali turchi visitava tutti i principali Paesi europei (perciò anche Inghilterra) produttori di aeroplani per scegliere ed eventualmente anche acquistare, ma a contanti senza apertura credito. Ha aggiunto che se, malgrado nostre odierne necessità militari nostre industrie potessero fornire aeroplani, la missione si recherebbe anche Italia a tale f,ine. Ha negato recisamente che vi sia in questo momento alcun'altra missione militare all'estero per acquisti.

Ho insistito su queste domande, date costanti ed autorevoli voci in contrario. Dopo tutte conversazioni avute e l'odierna con Numan, riassumo così mie impressioni:

vi è stato un visibile disappunto per rivelazioni alla Camera dei Comuni. Si è sentito imbarazzo verso di noi e giustif<icazioni di Numan ne sono una riprova. Esse appaiono poco convincenti.

Se nella questione Abissina la Turchia ci è favorevole in quanto che alleggerisce le supposte minacce Anatolia, e se nell'applicazione delle sanzioni non si è posto qui alcuno zelo, e se il Governo turco ha un interesse fondamentale a che l'attuale base mediterranea non sia spostata in alcun senso, nell'eventualità di un conflitto itala-inglese, sotto la arrendevolezza Società delle Nazioni, la Turchia tende a creare una situazione piena di riserve e di sottili interpretazioni giuridiche sostanzalmente equivoche ma che le possa permettere all'ultimo momento di mettersi nel campo di chi sarà stimato più forte. Non si deve poi trascurare che se la Turchia con Balcani ha finora assunto posizione distinta, i suoi legami con la Russia sono ben precisi, ed ogg!i. vi è una plutocrazia di interessi anglo-russi contro nostra azione Abissinia. II che non è senza influenze. Intenzione di Ismet Pascià (libertà di giudicare l'aggressore) ha quel valore che la Turchia crederà darvi al momento decisivo, ma nei sentimenti anglofobi turchi e del Ministro dell'Interno, certo spiccatissimi, avranno seria influenza. Il contrasto tra notizie stampa e dichiarazioni a me per la questione dei Dardanelli è da rimarcare. Devo far l'ipotesi di una semplice restrizione mentale. In definitiva, ciò che determinerà la situazione, anche nel Mediterraneo Orientale, dove in realtà il possibile diretto armamento navale e aereo turco ha scarsissimo valore, ma non l'indiretto, se sue basi navali ed aerea fossero aperte alle forze britanniche.

In sostanza, l'atteggiamento turco non va sopra valutato, ma seguito con una pronta vigilanza e diffidenza.

(l) Vedi D. 928.

931

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4385/2681. Vienna, 30 dicembre 1935 (per. il 2 gennaio 1936).

Mio tele posta n. 2597 del 12 corrente (l). Berger mi ha stamani detto che il Cancelliere ha deciso di recarsi a Praga, per la nota conferenza, il 16 gennaio (2). Contro questo viaggio del CancelHere sono state formulate osservazioni da parte tedesca ed ungherese.

Von Papen ha sostenuto innanzi tutto, parlandone al Ballplatz, che mentre il governo austriaco trova il modo di coltivare e sviluppare rapporti d'amicizia un po' dappertutto, mostra invece sempre di ignorare il governo di Berlino; ha sostenuto inoltre che un miglioramento nelle relazioni austro-cecoslovacche non può presupporre che intese rivolte contro la Germania.

Alle ovvie rimostranze ungheresi, rappresentate sia da questo Ministro d'Ungheria che dallo stesso Gombos nella sua recente visita a Vienna, Berger si è trincerato sempre dietro il precedente delle visite fatte dai Ministri ungheresi a Berlino.

Il Ballplatz, come lo stesso Berger, continuano intanto a patrocinare un riavvicinamento con Praga. Attualmente essi fondano grande speranza sul nuovo indirizzo che Hodza si proporrebbe dare alla politica estera cecoslovacca: indirizzo che, a loro dire, comprenderebbe anche l'elargizione d'una ampia autonomia alla Slovacchia, e financo qualche rettifica territoriale a favore dell'Ungheria.

Come a V. E. è noto, il signor Hodza è slovacco. E desidero aggiungere che dieci anni or sono, allorché ero Ministro a Praga, -l'Hodza -in allora Ministro dell'Istruzione, e grandemente ostile al Benes -sosteneva meco che la politica estera di quest'ultimo era del tutto errata: che la Cecoslovacchia avrebbe dovuto uscir fuori da ogni impegno internazionale per seguire una politica di neutralità verso tutti: e che essa avrebbe dovuto innan~tutto modificare le sue relazioni con l'Ungheria, concedendo un'autonomia alla Slovacchia (3).

932

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 4387/2683. Vienna, 30 dicembre 1935 (per. il 2 gennaio 1936).

Mio telegramma per corriere n. 0119 del 10 dicembre (4).

Il nuovo recente viaggio di von Papen a Berlino, nonché la notizia della lunga udienza concessagli da Hitler, hanno originato insistenti voci -raccolte specialmente dalla stampa inglese -di trattative austro-tedesche, in vi:sta d'una rapida e completa normalizzazione dei rapporti fra ,i due paesi.

Sono in grado di riferire che von Papen non ha preso fin oggi alcuna iniziativa, nè riattivate le sue conversazioni sulle note proposte.

Ho appreso invece che egH, parlando col mio collega di Ungheria e col nuovo Ministro d'Ungheria a Berlino, qui stato di passaggio, nel lagnarsi del disattento orecchio che la Cancelleria federale continuerebbe a prestare alla sue iniziative e proposte, non avrebbe smentito l'accenno fattogli dal mio collega ungherese, e cioè che, fra le sue proposte, siavi anche quella relativa alla nomina, nell'attuale Gabinetto austriaco, «d'un Ministro di sua fiducia :.>.

La di:l!ione « Ministro di sua fiducia :.> va intesa nel senso che il von Papen non insisterebbe adesso per la nomina di Ministri nazisti o nazionali, ma per un qualche elemento cristiano-sociale, notoriamente non tenero per l'attuaTe governo e per le sue direttive di politica estera: come, ad esempio, l'Adam, il Funder, lo Schmitz, ecc.

Berger, che mi ha fornito detta informazione, ha osservato che ormai von Papen, in ottemperanza ai desideri del suo governo, non cercherebbe altro che «compromettere l'Austria nei riguardi sia di Roma che di Parigi e Londra » (l).

(l) -Non rinvenuto. (2) -Vedi DD. 801 e 831. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Vedi D. 830.
933

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 30 dicembre 1935.

L'Ambasciatore de Chambrun è di umore depresso. Lavai si è salvato per un puro miracolo; la lotta ricomincerà a metà gennaio ed egli dubita molto che per la fine del mese Lavai sia ancora al suo posto. Vorrebbe poter fare qualche cosa, ma non vede per ora la via di uscita.

L'opinione pubblica francese è certamente peggiorata. A ciò hanno contribuito molto le difficoltà che si fanno ai giornali francesi in Italia.

Ha parlato coi prelati francesi venuti qui per il Concistoro: erano arrivati molto più favorevoli all'Italia di quanto non siano partiti. L'impressione generale è stata che l'Italia abbia rifiutato di discutere le proposte HoareLaval, rifiuto dato in modo altezzoso e ciò nell'opinione pubblica mondiale ha fatto molto torto. Oggi ci troviamo di fronte ad un comunicato del Consiglio dei Ministri dove si dice che « le proposte erano ben lungi dal soddisfare le esigenze minime dell'Italia». Ciò vuol dire togliere a Laval ogni possibilità di spiegare la sua opera conciliativa. Le proposte sono cadute

perché si è considerato che le stesse rappresentassero «un premio per l'aggressore '>. ~ chiaro che nuove proposte non potrebbero essere migliori di quelle Hoare-Laval. Nella migliore delle ipotesi potrebbero essere equivalenti, anche se presentate sotto altra forma.

La frase del comunicato odierno del Consiglio dei Ministri sarà certamente interpretata in Francia e dappertutto come una nuova manifestazione della volontà di non trattare.

L'Ambasciatore, sempre animato dal più vivo desiderio di cercare un accomodamento, non sa davvero in queste condizioni cosa proporre a Parigi.

Rispondo al signor Chambrun che non ha nessuna base l'argomentazione che vuole far risalire al discorso di Pontinia la caduta delle proposte HoareLaval. Ho già detto all'Ambasciatore che il Gran Consiglio la sera del 18, quindi dopo il discorso di Pontinia, aveva esaminato con uno spirito favorevole le proposte Hoare-Laval. La frase del comunicato del Consiglio del Ministri non porta degli elementi nuovi nella situazione. A parte il fatto che le proposte come formulate non potevano essere considerate per noi soddisfacenti, anche per la politica del signor Lavai è più opportuno dimostrare tale insoddisfazione dell'Italia. Gli aggdungo che non era piaciuta affatto al Capo del Governo la parte del discorso di Lavai dove parla del famoso « désistement '>. Ritengo che su questo punto bisognerà rispondere. L'Ambasciatore prega di non farlo per ora perché crede che sia in corso su questo punto una replica di Lavai all'ultima lettera del Capo del Governo (1).

Facc~o sapere al signor Chambrun la pessima impressione che si è avuta

in Italia dall'ultimo articolo del signor Fabre Luce. Il signor Fabre Luce

non sarà più ricevuto dal Capo del Governo e L'Europe Nouvelle non entrerà

più in ItaLia.

L'Ambasciatore si congeda perché andrà subito dopo capodanno per

qualche giorno a Parigi (2).

(l) Il presente documento reca 11 visto di MussoH.nl.

934

IL CONSOLE GENERALE A OTTAWA, PETRUCCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 10089/128 R. Ottawa, 31 dicembre 1935, ore 18,15 (per. ore 5 del 1° gennaio 1936).

Questo Primo Ministro Mackenzie King mi ha invitato ad avere un colloquio in casa sua al fine di poter conoscere esattamente il punto di vista italiano situazione attuale. Dopo aver ascoltato mia lunga esposizione egli

mi ha comunicato dichiarazioni che rdassumo: «Al momento mia partenza per Washington, alla metà dello scorso novembre, vi ho informato (1) che il Governo canadese non aveva autorizzato proposta fatta dal suo Delegato a Ginevra circa embargo petrolio, e vi dissi tenere notizia riservata. Stampa estera voleva far credere che il Canadà aveva preso tale iniziativa, ho autorizzato Ministro della Giustizia Lapointe fare nota dichiarazione per mostrare che il Canadà accetta gli obblighi del Covenant ma non intende prendere iniziative che possano riuscire sgradite all'Italia, nè permettere a chicchessia, neppure all'Inghilterra, di parlare in suo nome, essendo politicamente Stato indipendente e padrone delle sue decisioni. Sono lieto che le dichiarazioni predette abbiano servdto a migliorare la situazione europea. Anche come membro della Lega delle Nazioni Canadà farà tutto possibile per attenuare decisioni che possano essere prese a danno dell'Italia, poiché Lega delle Nazioni è strumento pace e non guerra, e una guerra europea segnerebbe fine civiltà. Lega delle Nazioni è oggi certamente entrata in conflitto contro Italia e ha quindi abbandonato, per effetto circostanze, sua posizione di Ente superiore e pacificatore nelle contese dnternazionali per divenire parte in causa. Farò di tutto per appoggiare qualsiasi iniziativa tendente svincolare Lega delle Nazioni da questa attitudine di lotta, per cui perde di vista problemi pitl gravi per cristallizzarsi nella questione conflitto itala-etiopico. Devesi trovare via soluzione che sollevi unanimamente da attuale incubo e ritengo ciò possà attenersi isolando conflitto itala-etiopico e disinteressandosene. Se da qualcuno al di fuori contendenti e quindi anche della Lega delle Nazioni, ad esempio dagli S.U.A., fosse avanzata iniziativa tendente pronunciare parola equanime che servisse risolvere attuale situazione, il Canadà vi aderdrebbe subito :t.

Ho approNttato occasione per manifestare mio interlocutore apprezzamento V. E. conforme telegramma di V. E. n. 72 (2). Egli mi ha pregato tenerlo informato con lettera privata circa situazione in Europa, ragione per cui sarò grato a V. E. se volesse tenermi possibilmente al corrente avvenimenti, sopratutto quando contengano circostanze che po·ssano mettere in evidenza la condotta Governo inglese e Lega delle Nazioni nei riguardi nostri. Questo Primo Ministro ha convenuto che sanzioni sono economicamente dannose e politlcomente inefficaci. Ha ammesso che Italia deve risolvere problema sovrappopolazione. È mia impressione che, nei limiti del possibile, e tenuto conto appartenenza Canadà all'Impero, si possa contare su questo Primo Ministro e approfittare sue buone disposizioni e suo spirito indipendenza. Se necessità si presentasse vi è luogo ritenere che egli possa anche essere indotto prendere qualche iniziativa a noi proficua.

Intanto V. E. potrà giudicare quale uso possa essere fatto del suo affidamento di essere, cioè, disposto ad appoggiare qualsiasi azione diretta a creare atmosfera giustizia al di sopra della S.d.N.

(l) -Vedi D. 915. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussol!ni. (l) -Vedi D. 641. (2) -T. 14206/72 P.R. del 3 dicembre 1935, ore 24, con Il quale Suvlch aveva comunwato: «Atto Governo canadese nel riguardi Comitato Diciotto ha fatto buona impressione ln !talla ed ha glov!llto a schiarire atmosfera. Trovi modo farlo sapere al Signori Mackenzle Klng e Lapolnte ove non veda inconvenienti esprimendo nostro !llpprezzamento "·
935

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 39 R. (l). Roma, 31 dicembre 1935 (per. il 2 gennaio 1936).

Monsignor Pizzardo mi ha domandato stamane se mi risultava che S. E. il Capo del Governo fosse proprio contrario a una tregua natalizia. Nel rispondere affermativamente, ossia che non era il caso in questo momento di pensare a una tregua, mi sono richiamato al passo da me fatto presso il Cardinale Segretario di Stato il 13 del corrente mese, appunto per dissuadere il Pontefice dal prendere una simile iniziativa (mio telegramma n. 33) (2). Ho profittato della favorevole occasione per fare presente a Mons. Pizzardo l'inopportunità che la Santa Sede prenda una qualsiasi iniziativa senza avere presentito S. E. il Capo del Governo. Ho osservato che il Pontefice era a posto verso il Mondo cattolico e nei riguardi degli acattolici, dopo il suo ultimo discorso di Natale al Collegio Cardinalizio. Infatti il Papa aveva alluso con sufficiente chiarezza a propositi di conciliazione che non avevano avuto successo.

Il Segretario per gli Affari Straordinari ha convenuto che un'tniziativa non desiderata avrebbe dato risultati controproducenti e mi ha assicurato che non si farà certamente nulla dalla Santa Sede che non riesca accetto e gradito a noi.

Per quanto le assicurazioni di Mons. Pizzardo siano state precise, terrò gli occhi aperti. Mi risulta d'altro lato che in questo momento si fa tutto il possibile, da parte dei diplomatici accreditati presso il Papa, per impressionare la Santa Sede, rappresentando i gravi pericoli di una situazione sempre più tesa. Anche su questo punto reagisco per quanto posso, con gli elementi che possiedo. Quest'ultima riflessione mi è dettata dal fatto che Mons. Pizzardo mi ha domandato stamane se le nostre truppe erano riuscite a disimpegnarsi dall'accerchiamento abissino. Ho reagito. Il Monsignore ha precisato che da parte nostra si sarebbe perduto del materiale e parecchi tanks. L'E. V. giudicherà se convenga fornirmi elementi per mettere le cose a posto (3).

936

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, LONG

APPUNTO. Roma, 31 dicembre 1935.

L'Ambasciatore Long premette che vuol fare un discorso molto confidenziale a proposito dell'embargo sul petrolio. Si richiama alle idee espresse dai Senatori Nye e Clark, di cui all'unito appunto (4).

Egli pensa che il Congresso possa limitare l'esportazione del petrolio a quella normale, ma non abbia la tendenza ad arrivare addirittuare all'embargo. Quello però che potrebbe fare impressione sul Congresso e pregiudicare la soluzione di questo problema è il continuo aumento di esportazione di petrolio e suoi derivati che si è verificato con progressione costante in questi ultimi mesi. Ormai il mese di dicembre è passato ma bisognerebbe vedere che per il mese di gennaio le cifre statistiche sull'esportazione di petrolio dall'America in Italia risultassero non superiori o magari inferiori a quelle dei mesi precedenti. È probabile che il Congresso discuta la questione del petrolio nella seconda metà di febbraio.

Rispondo all'Ambasciatore che si terrà conto nei limiti del possibile di questo suo suggerimento.

(l) -Manca !"indicazione del protocollo di arrivo. (2) -Vedi D. 854. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Non rinvenuto.
937

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON IL MINISTRO DI CECOSLOVACCHIA A ROMA, CHVALKOVSKY

APPUNTO. Roma, 31 dicembre 1935.

Il Ministro Chvalkovsky ha visto Benes nei giorni della sua elezione alla suprema carica della Repubblica. Ha trovato Benes sempre nella stessa disposizione di animo, cioè molto favorevolmente disposto verso l'Italia e dispiacente di dovere agire in conformità agli obblighi societari a cui la Cecoslovacchia non può sottrarsi.

Il Ministro ha avuto occasione di parlare con uno dei direttori della Standard Oil il quale gli ha detto che se anche il Governo americano imponesse l'embargo, o una limitazione sull'esportazione diretta del petrolio dall'America in Italia, la Compagnia troverebbe sempre modo di rifornire l'Italia dagli altri depositi che ha sparsi per tutto il mondo (1).

(l) Il presente documento reca il visto d! Mussolini.

<
APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(settelnbre-dicelnbre 1935)

MINISTRO

MussoLINI Benito, capo del governo, primo ministro segretario di Stato.

Segretario particolare: SEBASTIANI Osvaldo, consigliere della Corte dei Conti.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

SuvicH Fulvio, deputato.

GABINETTO

Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del lninistro -Rapporti con la stalnpa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del lninistro col Parlalnento e col corpo diplolnatico -Udienze -Tribuna diplolnatica.

Capo di gabinetto: ALOISI Pompeo, ambasciatore.

Segretari: JACOMONI Francesco, consigliere di legazione con funzioni di vice capo di gabinetto; VIDAU Luigi, console generale di 2a classe; CosMELLI Giuseppe, primo segretario di legazione di la classe (segretario particolare del sottosegretario di Stato); CoRTESE Luigi, DEL DRAGO Marcello, primi segretari di legazione di 2a classe; ALESSANDRINI Adolfo, console di 28 classe; NICHETTI Carlo, console di 3a classe; DE BosDARI Girolamo, vice console di 2a classe, fino al 6 settembre; LANZA D'AJETA Blasco, vice console di 2a classe; CLEMENTI Raffaele, MANSI Stefano, addetti consolari.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerilnoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richialno -Pieni poteri -Privilegi ed ilnlnunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in lnateria doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massilnario -Visite e passaggi di capi di Stato, principi e autorità estere Decorazioni nazionali ed estere -Libretti e richieste ferroviarie per il personale Passaporti di servizio ed ordinari.

Capo ufficio: SENNI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziarlo di la classe.

Segretari: AssERETO Tommaso, consigliere di legazione, fino al 23 ottobre; CAFFARELLI Filippo, primo segretario di legazione di la classe; CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, primo segretario di legazione di la classe, fino al 12 dicembre; VANNI D'ARCHIRAFI Francesco Paolo, primo segretario di legazione di

classe, fino al 25 ottobre; CITTADINI Pier Adolfo, primo segretario di legazione di 2a classe, dal 24 settembre; GUERRINI MARALDI Agostino, console di 28 classe, dal lo dicembre.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: BUTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 28 classe.

Addetto alla direzione generale: GALLI Guido, console di la classe.

UFFICIO I

Belgio -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati Baltici -Stati Scandinavi Svizzera -Unione delle Repubbliche Sovietiche.

Capo ufficio: N.N. Segretari: MoscA Bernardo, primo segretario di legazione di la classe.

UFFICIO II

Austria -Bulgaria -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania

Turchia -Ungheria -Affari concernenti le isole italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: ROGERI DI VILLANOVA Delfino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: DE AsTIS Giovanni, primo segretario di legazione di la classe, fino al 30 ottobre; JANNELLI Pasquale, primo segretario di legazione di 2a classe, dal 30 ottobre; CoPPINI Maurilio, console di 2a classe; AMBROSETTI Gino, console di 28 classe.

UFFICIO III

Africa -Iraq -Palestina Arabica -Siria -Affari concernenti la Libia, l'Eritrea e la Somalia italiana.

Capo ufficio: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, console generale di 2a classe.

Segretari: ZoPPI Vittorio, primo segretario di legazione di P classe; DESSAULES Mario, CATTANI Attilio, consoli di 3a classe; MARCHIORI Carlo, addetto consolare; PRUNAS Pasquale, volontario diplomatico-consolare; PIERANTONI Aldo, volontario diplomatico-consolare, dal 10 dicembre.

UFFICIO IV

Asia (eccetto i paesi di competenza di altri uffici) -Oceania.

Capo ufficio: ScADUTO MENDOLA Gioacchino, primo segretario di legazione di 1• classe.

Segretario: FERRETTI Raffaele, console di 3• classe.

UFFICIO V

America del Nord -America latina.

Capo ufficio: ToRTORA BRAYDA Camillo, consigliere di legazione. Segretario: CERULLI IRELLI Giuseppe, addetto consolare, fino al 15 settembre.

UFFICIO ALBANIA Capo ufficio: FARALLI Igino Ugo, console generale di 1• classe. Segretario: GUIDOTTI Gastone, console di 2• classe.

DffiEZIONE GENERALE PER GLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: CIANCARELLI Bonifacio Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe, fino a settembre.

UFFICIO I

Affari commerciali concernenti l'Europa.

Capo Ufficio: GUGLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario di legazione di la Classe. Segretario. BADOGLIO Mario, vice console di la classe. Addetto all'ufficio: FoRINO Lamberto, commissario consolare, dal 16 ottobre.

UFFICIO II

Affari commerciali concernenti i paesi extraeuropei.

Capo ufficio: SANTOVINCENZO Magno, console di 2• classe, reggente. Segretario: NAVARRINI Guido, vice console di 1• classe.

UFFICIO III

Politica doganale -Trattati di commercio -Affari finanziari -Prestiti.

Capo ufficio: SEGRE Guido, console generale di 2• classe, fino al 15 novembre. Segretario: ScAGLIONE Roberto, console di 2• classe.

UFFICIO IV

Fiere -Mostre -Congressi economici e finanziari -Politica del turismo.

Capo ufficio. RoNCALLI Guido, primo segretario di legazione di P classe.

Segretario: ZANOTTI BIANCO Massimo, console di 2a classe; RoTINI Ambrogio, console di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE

Direttore generale: LEQUIO Francesco, consigliere, dal 19 settembre.

Addetti alla direzione generale: ALBERTAZZI Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; MONTESI Giuseppe, consigliere dell'emigrazione di l a classe; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti del Ministero degli Affari Esteri -Personale consolare di seconda categoria -Uffici diplomatici e consolari all'estero -Ispezione degli uttici all'estero -Questioni che si riferiscono all'ordinamento del Ministero e delle carriere diplomatica, consolare e degli interpreti -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento e consigli del Ministero relativi al personale predetto -Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali e loro uttici -Personale e uttici diplomatici e consolari esteri in Italia Bollettini di detto personale -Passaporti diplomatici.

Capo ufficio: MARCHETTI DI MURIAGLIO Alberto, inviato straordinario e ministro pleriipotenziario di 2a classe, fino al 16 ottobre; MAZZOLINI Quinto, console di P classe, dal 17 ottobre.

Segretari: DANEO Silvio, console di 3a classe; RoBERTI Guerino, vice console di l a classe, fino al 20 ottobre; SILJ Francesco, vice console di l a classe, dal 9 dicembre; DI THIENE Gian Giacomo, addetto consolare.

UFFICIO II

Personale di ogni altro gruppo o categoria dipendente dall'Amministrazione degli Affari Esteri, escluso il personale delle scuole italiane all'estero -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento e consigli del Ministero, ed in generale tutte le questioni relative alle carriere ed all'ordinamento del personale suddetto -Bollettini che si riferiscono al personale stesso.

Capo ufficio: FECIA DI CossATO Carlo, primo segretario di legazione di 28 classe.

Segretario: N.N.

UFFICIO III

Servizi amministrativi.

Capo ufficio: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: BONAVINO Arturo, AGOSTEO Cesare, capi sezione dei commissari consolari; LEONINI PIGNOTTI Augusto, commissario consolare capo; TORRES Oreste, primo commissario consolare; MANzo Ciro, commissario consolare; BIONDO Gaspare, commissario consolare; FORINO Lamberto, commissario consolare, fino al 15 ottobre.

Addetti all'ufficio: MANCA Elio, segretario capo della carriera amministrativa dell'emigrazione; PAZZAGLIA Gino, capo sezione di ragioneria; RENGANESCHI Vittorio, segretario capo di ragioneria; PIRODDI Mario, primo segretario di ragioneria; GAFFI Alfonso, consigliere del Ministero delle Finanze; MAssiMO Luigi, primo capitano di fanteria.

UFFICIO IV

Edifici demaniali.

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell'amministrazione centrale e dei RR. Uffici all'estero -Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento -Assicurazioni, inventari e contratti -Locazioni di immobili e locali per uso dei RR. U!fici -Tutte le questioni concernenti una nuova sede per il Ministero degli Affari Esteri.

Capo ufficio: SILLITTI Luigi, console generale di la classe, fino al 23 ottobre; AssERETO Tommaso, consigliere, dal 24 ottobre.

Segretario: PLATANIA Giuseppe, capo sezione della carriera amministrativa dell'emigrazione.

Sezione tecnica

Dr FAUSTO Fiorestano, ingegnere, esperto tecnico.

DIREZIONE GENERALE TRATTATI, ATTI, AFFARI SANTA SEDE E AFFARI PRIVATI (l)

Direttore generale: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe, consigliere di Stato, senatore.

(l) L'o.d.s. 31 ottobre 1935, n. 46, istituì la Direzione generale affari privwti, con 2 uff~ci (uff. I per gli affari privati di Europa, uff. II per gli affari privati dei paesi extraeuropei), che corrispondono agli uff. III e IV della DGTAASSAP. La DGTAASSAP, che cambia la denominazione in Direzione generale trattati, atti, affari con la Santa Sede, rimane articolata nei due precedenti uffici I e II. Direttore generale: SrLLITTI Luigi, console generale di ta classe, dal 24 ottobre.

6~ -Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

UFFICIO I

Trattati e atti.

Capo ufficio: LANZARA Giuseppe, console di 2a classe, dal 21 ottobre. Segretari: N.N. UFFICIO II

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: BALSAMO Giovanni, consigliere di legazione. Segretari: N.N. UFFICIO III

Affari privati d'Europa.

Capo ufficio: MANFREDI Emilio, console generale di P classe; CAMERANI Silvio,

8

console generale di classe, dal 30 novembre. Segretari: N.N. UFFICIO IV

Affari privati dei paesi extraeuropei.

Capo ufficio: MAccoTTA Luigi, console generale di la classe, fino al 1° dicembre. Segretario: LANZETTA Umberto, console di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO E SCUOLE Direttore generale: PARINI Piero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 28 classe. Addetto alla direzione generale: SIRCANA Leone, vice console di la classe, dal 5 settembre. UFFICIO I

Opere per gli italiani all'estero -Ispettorato Fasci all'estero -Organizzazioni giovanili.

Capo ufficio: DE SrMONE Paolo, console di 3a classe, dal 23 ottobre reggente.

8

Segretari: Nuccro Alfredo, console di classe; DE SIMONE Paolo, console di 3a classe, fino al 22 ottobre; RABBY Ezio, consigliere dell'emigrazione di 2a classe, fino al 15 ottobre; LAMPERTico Gaetano, consigliere dell'emigrazione di 2a classe; FLAMINI Pietro, Dr MATTEI Alfredo, primi segretari della carriera amministrativa dell'emigrazione.

Addetti all'ufficio: TEDEsco Pietro Paolo, segretario capo di ragioneria; CoRRENTI Antonino, ispettore delle dogane e imposte dirette.

UFFICIO II

Espatri e lavoro italiano all'estero.

Capo ufficio: GERBASI Francesco, consigliere dell'emigrazione di 1a classe.

Segretari: MASI Corrado, OLIVIERI Umberto, consiglieri dell'emigrazione di 2a classe; CANNONE Niccolò, VACCHELLI Alessandro, primi segretari nella carriera amminist,rativa dell'emigrazione.

Comandato: PAGANI Aldo, commissario di P.S.

UFFICIO III

Scuole all'estero.

Capo ufficio: PULLINO Umberto, console generale di la classe; NICOLA! Lorenzo, console di la classe, reggente dal 25 novembre.

Segretario: MoNTANARI Franco, vice console di 2a classe.

SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI

Capo del serv1z10: BIANCHERI CHIAPPORI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe; Rocco Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Aggregati al servizio: MELI LUPI DI SORAGNA TARASCONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe, fino al 7 settembre; BovA ScoPPA Renato, primo segretario di legazione di P classe; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritta internazionale nell'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Roma; RusPOLI Fabrizio, contrammiraglio in ausiliaria; Bosco Giacinto, professore di diritto internazionale nell'Università di Urbino.

UFFICIO I

Società delle Nazioni.

Capo Ufficio: PIETROMARCHI Luca, primo segretario di legazione di la classe. Segretario: PLETTI Mario, vice console di la classe.

UFFICIO II

Istituto internazionale di agricoltura -Ufficio internazionale del lavoro e altri istituti internazionali.

Capo ufficio: BERTELÉ Tommaso, primo segretario di legazione di la classe.

Segretari: DELLA PoRTA Francesco, primo segretario di legazione di 2a classe; MARINI Vittorio, console di 2a classe.

SERVIZIO STORICO-DIPLOMATICO

Capo del servizio: ToscANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

UFFICIO I

Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali -Schedari -Rubriche -Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico ed amministrativo -Sezione geografica -Tipografia riservata.

Capo ufficio: MAzzoLrNr Quinto, console di P classe, fino al 18 settembre; AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe, dal 19 settembre.

Segretari: 0RSINI RATTO Mario, console di 2a classe; GUERRINI MARALDI Agostino, console di 2a classe, fino al 30 novembre; VILLARI Luigi, consigliere dell'emigrazione di 2a classe.

Tipografia riservata

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO II

Archivio storico -Archivio di deposito -Conservazione ed incremento delle collezioni dei manoscritti del Ministero e dei RR. Uffici all'estero -Conservazione degli originali dei trattati internazionali -Conservazione delle carte riservate degli archivi del Ministero e dei RR.

Uffici all'estero -Inventari -Biblioteca.

Capo ufficio: ScARPA Gino, console di la classe. Segretario: N.N.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele. Vice bibliotecario: N.N.

SERVIZIO CORRISPONDENZA

Capo del servizio: RoMANELLr Guido, console generale di P classe. Addetto al servizio: MARZIANI Luigi, consigliere dell'emigrazione di la classe.

UFFICIO I

Cifra.

Capo ufficio: CANTONI MARcA Antonio, consigliere di legazione.

Segretari: Dr RovASENDA Vittorio, primo segretario di legazione di 1a classe; CANNICCI Achille Angelo, console di P classe; ROSSET DESANDRÉ Antonio, console di 2a classe; Buzzr GRADE:-;rrGo Cesare Pier Alberto, console di 2a classe, dal 5 novembre; DE MALFATTI Dr MoNTE TRETTO Carlo, console di 3a classe; GRANDINETTI Eugenio, vice consigliere dell'emigrazione.

UFFICIO II

Archivi -Apertura e registrazione corrispondenza -Organizzazione e sorveglianza degli archivi -Corrispondenza in arrivo e partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli Uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti -Servi:::io dei corrieri.

Capo ufficio: GROSSARDI Antonio, console generale di 2a classe, dal 15 ottobre. Segretari: GoBBI Giovanni, console di 2a classe, dal 26 ottobre.

UFFICIO III

Affari generali.

Capo ufficio: GERBORE Pietro, console di 2a classe.

Segretari: SETTI Giuseppe, vice console di P classe, fino al 12 novembre; BEVILACQUA Michele, segretario capo nella carriera amministrativa dell'emigrazione; CoRSI Fernando, primo segretario nella carriera amministrativa dell'emigrazione

RAGIONERIA CENTRALE

Direttore capo della ragioneria: GrANDOLINI Romolo.

DIVISIONE I

Personale -Affari generali -Esame dei provvedimenti da sottoporre al Ministero delle Finanze ed in genere di tutti quelli aventi comunque effetti finanziari -Riassunto degli elementi per la preparazione degli stati di previsione dell'entrata e della spesa e relative variazioni -Conto consuntivo, parte finanziaria e parte patrimoniale -Servizio dei cambi -Esame degli inventari -Competenze e pensioni relative a tutto il personale dipendente dal Ministero degli Affari Esteri escluso quello delle scuole italiane all'estero e quello del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Riscontro del giornale di cassa per le gestioni di bilancio ed extra bilancio -Conto corrente infruttifero col Tesoro dello Stato -Partitario dei depositi ricevuti dai privati -Contabilità speciali -Registrazione dei valori provenienti dall'estero, sia direttamente, sia a mezzo banche corrispondenti -Riscontro dei valori non monetari e degli effetti in deposito presso il Cassiere del Ministero -Operazioni relative al finanziamento dei RR. Uffici all'estero, accettazione de'ile tratte emesse dai titolari di essi e registrazione delle aperture di credito -Conto corrente con il Contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli di entrata e di spesa della categoria Movimento di capitali -Tenuta dei conti impegni relativi ai servizi suddetti -Emissione e registrazione dei mandati -Archivio.

Direttore capo della divisione: BARTOLINI Luigi.

Segretari: BARDI Donatello, TOSI Emilio, primi segretari; 0CCHIONERO MATTEO, vice segretario; URBANI FALLANI Velia, ragioniere.

DIVISIONE II

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e dal regolamento dell'emigrazione -Scritture generali e speciali Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento Liquidazione delle competenze ai RR. commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità per le spese relative all'emigrazione -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Stralcio delle contabilità di guerra -Inventario -Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici e demaniali all'estero Gestioni speciali e scritture relative -Revisione, approvazione e liquidazione delle spese indicate nelle contabilità scolastiche mensili e varie-Tenuta degli impegni e scritture partitarie riassuntive per il servizio dell'emigrazione e delle scuole italiane all'estero -Monte pensione dei maestri elementari -Emissione dei mandati di pagamento relativi ai suddetti servizi.

Direttore capo della divisione: CIOTTI Remigio, direttore capo di ragioneria.

Capo sezione: N.N. Segretari: Tuzi Alberto, consigliere; BLANDI Silvio, MAZZA Ferrante, segretari capi di ragioneria; RICCA Alfredo, VOLPE Mario, ZAFARANA Gino, primi segretari; GARGANO Guglielmo, vice segretario.

DIVISIONE III

Revisione, approvazione e liquidazione delle contabilità dei RR. Uffici diplomatici e consolari all'estero, nonchè di quelli di pubblica sicurezza di confine -Contabilità degli agenti della riscossione -Conti giudiziali Servizio marche consolari -Tenuta degli impegni relativi alle spese del funzionamento dei RR. Uffici all'estero, emissione dei mandati di pagamento -Conti correnti del personale diplomatico e consolare in dipendenza delle gestioni all'estero -Esame dei rendiconti di spesa sulle aperture di credito e sugli ordini di accreditamento -Liquidazione dei conti delle Società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti.

Direttore capo della divisione: PoNCINI Francesco, direttore capo di divisione. Capo sezione: DE ANNA Giuseppe. Segretari: ROMANO Giuseppe, TARINI Ugo, consiglieri; AsBOLLI Attilio, MARTINA

Filippo, primi segretari; DRAGO Giuseppe, PASSANTE Ruggero, vice segretari.

CONSULENTI GIURIDICI

Consulente generale: N.N.

Consulenti: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nell'Università di Roma, senatore; MoNTAGNA Raffaele, consigliere di Stato con titolo onorario di consigliere di legazione; ALBERTAZZI Enrico, consigliere di Cassazione con titolo e rango di console generale onorario; CuciNOTTA Ernesto, giudice di tribunale, incaricato di diritto e legislazione coloniale nell'Università di Roma.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(sette~bre-dice~bre 1935)

AFGHANISTAN

Kabul -SABETTA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONTEFORTE Giuliano, interprete.

ALBANIA

Tirana -INDELLI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LA TERZA Pierluigi, primo segretario; CAPOMAZZA Benedetto, console con funzioni di secondo segretario, fino al 18 ottobre; AssETTATI Augusto, console con funzioni di secondo segretario; DANISCA Pietro, interprete; D'ANTONI Giovanni, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

ARABO-SAUDIANO (Regno)

Gedda -PERSico Giovanni, incaricato d'affari.

ARGENTINA

Buenos Aires -ARLOTTA Mario, ambasciatore; CoRTINI Claudio, consigliere, fino al 22 ottobre; RULLI Guglielmo, primo segretario; MACCHI DI CELLERE Pio, console con funzioni di secondo segretario; FIORI Romeo, direttore capo divisione nei ruoli del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione con funzioni di consigliere dell'emigrazione; MANCINI Tommaso, addetto commerciale; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

AUSTRIA

Vienna -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRAZZI Umberto, primo segretario; DEL BoNo Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario; PAVERI FoNTANA Alberto, vice console con funzioni di terzo segretario; DI NoLA Carlo, addetto commerciale; PONZA DI SAN MARTINO Dionigi, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

BELGIO

Bruxelles -VANNUTELLI REY LUigi, ambasciatore; PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, primo segretario; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Parigi); FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale (residente a Parigi); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico; DucA Giovann~. maggiore di Stato Maggiore, addetto militare aggiunto.

BOLIVIA

La Paz -TONI Piero, incaricato d'affari; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

BRASILE

Rio de Janeiro -CANTALUPO Roberto, ambasciatore; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario con funzioni di consigliere; COTTAFAVI Antonio, primo segretario; CAVALLETTI Francesco, vice console con funzioni di secondo segretario, fino all'8 ottobre; LIBRANDO Gaetano, addetto commerciale; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico.

BULGARIA

Sofia -SAPUTTO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANNELLI Pasquale, primo segretario, fino al 29 ottobre; VANNI D'ARCHIRAFI Francesco Paolo, primo segretario, dal 26 ottobre; DALLA RosA PRATI Rolando, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 16 settembre; BARIGIANI Andrea, reggente la delegazione commerciale; DE BoTTINI DI SANT'AGNESE Achille, tenente colonnello di Stato 1\faggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

CECOSLOVACCHIA

Praga -DE FACENDIS Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 settembre; BoRGA Guido, primo segretario; SILVESTRELLI Luigi, console con funzioni di secondo segretario; RALLO Pietro, addetto commerciale; RoDA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

CILE

Santiago -MARCHI Giovanni, ambasciatore, dal 28 novembre; SILENZI Renato, primo segretario con funzioni di consigliere; GABRICI Tristano, vice console con funzioni di secondo segretario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CINA

Pechino -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore; BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, primo segretario con funzioni di consigliere; BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario; CITTADINI CESI Gian Gaspare, vice console con funzioni di secondo segretario; DI RENZO Marco, interprete; Ros Berta, ff. interprete; Ros Giuseppe, interprete; VINCENTI MARERI Francesco, ff. interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio); SPAGONE Gino, tenente di vascello, con funzioni di addetto navale.

COLOMBIA

Bogotà -GAZZERA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 12 dicembre; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

COSTARICA

S. Josè -CAPANNI Italo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Panama); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CUBA

Avana -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoN

GO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (·residente a Ri:o de Janeiro). DANIMARCA

Copenaghen -CAPAsso TORRE DI CAPRARA Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PANSA Mario, console con funzioni di primo segretario; Luzr Renato, addetto commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

DOMINICANA (Repubblica)

San Domingo -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EGITTO

Cairo -GHIGI Pellegrino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NONIS Alberto, primo segretario; MELLINI PONCE DE LEON Alberto, console con funzioni di secondo segretario; MAZIO Aldo Maria, vice console con funzioni di terzo segretario; MAsciA Vittorio, primo segretario coloniale; OMAR Umberto, interprete; BUFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EQUATORE

Quito -CAFIERO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rìo de Janeiro).

ESTONIA

Tallinn -WEILL ScHOTT Leone, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 30 settembre; CrccoNARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal19 ottobre; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

ETIOPIA (l)

Addis Abeba -VINCI GIGLIUCCI Luigi Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MOMBELLI Giulio, console con funzioni di primo segretario; DE GRENET Filippo, vice console con funzioni di secondo segretario; POLLICI Dante, interprete; CALDERINI Mario, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

FINLANDIA

Helsinki -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 25 settembre; KocH Ottaviano Armando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 10 ottobre; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia); TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; FRANSONI Francesco, consigliere, fino al 9 ottobre; TALAMO ATENOLFI Giuseppe, consigliere, dal 2 settembre; ScAMMACCA Michele, primo segretario; LANDINI Amedeo, console; STRIGARI Vittorio, console con funzioni di secondo segretario; MENGARINI Bruno, vice console con funzioni di terzo segretario; TOMlVIASINI Mario, consigliere di emigrazione; SALLIER DE LA Toua Carlo, primo segretario di emigrazione con funzioni di vice consigliere di emigrazione; CARAVALE Erasmo,

(l) La legazione fu chiusa 1'11 ottobre.

consigliere commerciale; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, fino a ottobre; BARBASETTI DI PRUN Curio, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, da ottobre; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale; ERcOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico; DucA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare aggiunto (residente a Bruxelles); RoMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto.

GERMANIA

Berlino -ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; DIANA Pasquale, consigliere; MAGISTRATI Massimo, primo segretario; SERRA Giovanni Battista, console con funzioni di secondo segretario, fino al 30 settembre; GIUSTINIANI Raimondo, console con funzioni di secondo segretario, dal 25 ottobre; TAsSONI EsTENSE Alessandro, vice console con funzioni di terzo segretario, dal 4 dicembre; RICCIARDI Adelchi, consigliere commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale; TEUCCI Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico; FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto.

GIAPPONE

Tokio -AuRITI Giacinto, ambasciatore; MARIANI Luigi, consigliere; GARBACelO Livio, primo segretario; MELKAY Ahmo, interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; GHÉ Alberto, capitano di fregata, addetto navale.

GRAN BRETAGNA

Londra -GRANDI Dino, ambasciatore, deputato; VITETTI Leonardo, consigliere; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, primo segretario; DEL BALZO Giulio, console con funzioni di secondo segretario; CASARDI Alberico, console con funzioni di terzo segretario; BRUGNOLI Alberto, vice console con funzioni di quarto segretario; LANZA Michele, vice console .con funzioni di quarto segretario; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; CECCATO Giovanni Battista, consigliere commerciale; MONDADORI Umberto, colonnello di fanteria, addetto militare; CAPPONI Ferrante, capitano di corvetta, ff. di capitano di fregata, addetto navale; CALDERARA Attilio, colonnello, addetto aeronautico; JoRI GINO, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto.

GRECIA

Atene -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANFUSO Filippo, console con funzioni di primo segretario; SERAFINI Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 10 settembre; DE SANTO Demetrio, interprete; MORIN Sebastiano, capitano di fregata, addetto navale, militare e aeronautico.

GUATEMALA

Guatemala -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HAITI

Porto Principe -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeìro).

HONDURAS Tegucigalpa -CORTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala);

LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro). IRAN

Teheran -CrccoNARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenìpotenziarìo (assente); TELESIO Giuseppe, console con funzioni dì primo segretario; PENNACCHIO Luigi, interprete.

IRAQ Baghdad -PoRTA Mario, incaricato d'affari; BELLINI Leone Fabiano interprete.

JUGOSLAVIA

Belgrado -VIOLA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo, primo segretario; CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, primo segretario, dal 13 dicembre; BAISTROCCHI Ettore, vice console con funzioni di secondo segretario; ScELDIA Antonio, interprete; FRANCESCHINI Antonio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, dall'ottobre; MoRIN Sebastiano, capitano di fregata, addetto navale (residente ad Atene); ToscHI Vincenzo, primo capitano di fanteria, con funzioni di addetto militare aggiunto.

LETTONIA

Riga -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossi LoNGHI Gastone, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 4 novembre; FRANSONI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 5 novembre; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); TEUCCI Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -CHIARAMONTE BoRDONARO Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Città del Messico -RoGERI DI VILLANOVA Delfino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino all'B ottobre; MARCHETTI DI MURIAGLIO Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 17 ottobre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NICARAGUA

Managua -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NORVEGIA

Oslo -RooooLO Marcello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GoNFALONIERI Giuseppe Vitaliano, console con funzioni di primo segretario; DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoNACO Adriano, primo segretario; NoTARANGELI Tommaso, reggente la delegazione commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CoURTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

P AN AMA

Panama -CAPANNI Italo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PARAGUAY

Assunzione -MARIANI Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO ULrssE, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PERù

Lima -BIANCHI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

POLONIA

Varsavia -BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore; BELLARDI RICCI Alberto, consigliere; ZAMBONI Guelfo, primo segretario; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare, navale e aeronautico.

PORTOGALLO

Lisbona -Tuozzi Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE PAOLIS Pietro, primo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid); BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale (residente a Madrid); FERRARIN Arturo, maggiore, addetto aeronautico e militare (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -SOLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OTTAVIANI Luigi, primo segretario; CAPECE GALEOTA Giuseppe, primo segretario; RoccHI Cesare, ff. archivista interprete; DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; DELLA PORTA RoDIANI Guglielmo, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

SANTA SEDE

Roma -PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Bonifacio, ambasciatore; CASSINIS Angiolo, primo segretario con funzioni di consigliere, dal 20 dicembre; SALLIER DE LA TouR CoRIO Paolo, console con funzioni di primo segretario.

SIAM

Bangkok -NEGRI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

SPAGNA

Madrid -PEDRAZZI Orazio, ambasciatore; FORNARI Giovanni, primo segretario; ARRIGHI Ernesto, vice console con funzioni di secondo segretario, fino al 4 ottobre; SETTI Giuseppe, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 13 novembre; MARIANI Erminio, consigliere commerciale; FERRARIN Arturo, maggiore, addetto aeronautico e militare; BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -Rosso Augusto, ambasciatore; Rossi LoNGHI ALBERTO, primo segretario con funzioni di consigliere; MIGONE Bartolomeo, primo segretario; ToMMASI Giuseppe, console con funzioni di secondo segretario, fino al 4 novembre; CAPOMAZZA Benedetto, console con funzioni di secondo segretario, dal 19 ottobre; RosERTI Guerino, vice console con funzioni di terzo segretario, dal 21 ottobre; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, addetto commerciale; CUGIA DI SANT'0RSOLA Umberto, capitano di fregata, addetto navale; CoPPOLA Vincenzo, tenente colonnello, addetto aeronautico e militare.

SUD AFRICA

Capetown -LABIA Natale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Lo Jucco Giacomo, console con funzioni di primo segretario.

SVEZIA

Stoccolma -MELI LUPI DI SORAGNA TARASCONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dall'8 settembre; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CoURTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -MARCHI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 30 settembre; TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 1° ottobre; CARISSIMO Agostino, primo segretario; FRANCO Fabrizio, vice console con funzioni di secondo segretario; PoGGI Cesare, consigliere di emigrazione, fino al 30 settembre; PELLEGRINI Vincenzo, addetto commerciale; FANTONI Euclide, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi); RoMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -GALLI Carlo, ambasciatore; Dr GIURA Giovanni, consigliere; DE AsTis Giovanni, primo segretario con funzioni di consigliere, dal 31 ottobre; DE VERA D'ARAGONA Carlo Alberto, primo segretario; D'AcUNZO BENEDETTO, console con funzioni di secondo segretario, fino al 15 settembre; CASTRONUovo Manlio, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 17 settembre; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PISA Ezra, interprete; MANNERINI Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERO ROGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico.

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UNGHERIA

Budapest -CoLON~A Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BALDONI Corrado, primo segretario; Lo FARO Francesco, vice console con funzioni di secondo segretario; LEPRI Stanislao, vice console con funzioni di terzo segretario; Dr NoLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna); MATTIOLI Enrico, tenente colonnello di Stato Mgagiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -ARONE Pietro, ambasciatore; BERARDIS Vincenzo, primo segretario con funzioni di consigliere; DI STEFANo Mario, primo segretario; SERAFINI Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario, fino al 9 settembre; CIRAOLO Giorgio, addetto consolare con funzioni di secondo segretario; PIACENZA Guido, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

URUGUAY

Montevideo -MAZZOLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARBONELLI DI LETINO Raimondo, console con funzioni di segretario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

VENEZUELA

Caracas -GAZZERA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 15 dicembre; LONGO Ulisse, tenente colonnello. addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

65 --Documenti Diplomatici -Serle VIII -Vol. II

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA

(setter.nbre-dicer.nbre 1935)

Afghanistan -AKBAR Mohammed Khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ALI Ahmed Khan, primo segretario; AMIN Mohammed Khan, secondo segretario.

Albania -KoDHELI Mark, incaricato d'affari; XHOMO Vasfi, primo segretario.

Arabo-Saudiano (Regno) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina -CANTILO José Maria, ambasciatore; CHIAPPE Felipe, consigliere; ONETO AsTENGO Oscar, primo segretario; PONTI José Carlos, secondo segretario; FOPPA Tito Livio, console, addetto stampa; CoMOLLI Guido, addetto commerciale; PELEssoN Hector D., colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Austria -VoLLGRUBER Alois, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROTTER Adrian, consigliere; SCHWARZENBERG Johann E., segretario; RIEDLRIEDENSTEIN Friedrich, addetto; FRIEBERGER Kurt, consigliere ministeriale, addetto stampa; LIEBITZKY Emil, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico.

Belgio -DE LIGNE Albert, ambasciatore; D'AsPREMONT LYNDEN Gobert, consigliere, fino al 13 novembre; DU CHASTEL DE LA HOWARDERIE F., consigliere, dal 14 novembre; DE MEEUS Hadelin, secondo segretario; LAMY Léon, addetto.

Bolivia -DE UGARTE José Samuel, incaricato d'affari.

Brasile -GUERRA DUVAL Adalberto, ambasciatore, dal 30 novembre; RANGEL DE CASTRO Sylvio, consigliere; BAGGI DE BERENGUER CESAR Jacome, secondo segretario; DE MIRANDA PACHECO Mario W., addetto; SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -PoMENOV Svétoslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BISSEROV Stephan P., consigliere; STANCIOV Ivan D., segretario; BOGDANOV Nikolas, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Cecoslovacchia -CHVALKOVSKY Fra:p.tisek inviato stra·ordinario e ministro plenipotenziario; BRAUNER Vladimir, consigliere; HERMAN Frantisek, primo segretario; STANE Vojtech, segretario; PLECHATY Ladislav, segretario, addetto stampa, fino al 30 settembre; KusKA Theodor, consigliere per la stampa, dal 1° ottobre; RosrK Vitezslav, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico.

Cile -RIVAs-Vrcu:NA Manuel, ambasciatore; SUBERCASEAUX Leon, primo segretario; ERRAZURIZ OvALLE Carlos, addetto commerciale.

Cina -Liou VoN-TAo, ambasciatore; CHou YIN, primo segretario; HWANG TACHUNG, secondo segretario; YoH LuN, terzo segretario; Lrou TSIEN, terzo segretario; SIH KWANG TsiEN, addetto; TANG CHE, generale, addetto militare; SHAW-HWA-Kuo, capitano, addetto militare aggiunto; FANG Jou, capitano, addetto militare aggiunto.

Colombia -TURBAY Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CABALLERO ESCOBAR Enrico, primo segretario.

Cuba -DE ARMENTEROS y DE CÀRDENAS Carlos, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRULL y CABALLERO Mariano, consigliere.

Danimarca -KRusE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WICHFELD Hubert, consigliere.

Dominicana (Repubblica) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARADAS Salvador Emilio, addetto, incaricato d'affari (ad interim); TRUJLLO MOLINA Annibale, colonnello, addetto militare.

Egitto -MOURAD Ahmed pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoussA Farag Mikhail, primo segretario; TAHER AL-OMARI Mohammed, addetto agricolo; MoNEIM Mohammed Abdel, addetto.

El Salvador (Repubblica di) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -ZALDUMBIDE Gonzalo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Estonia -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON Davide, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Etiopia -GHEVRE YEsus Negadras Afevork, incaricato d'affari.

Finlandia -ARTTI Kaarlo Pontus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SNELLMAN Aarne, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico.

Francia -DE CHAMBRUN Charles, amba::datore; BLONDEL Jules François, consigliere, dal lo ottobre; GUERIN Hubert, primo segretario; GARNIER Jean Paul, secondo segretario; DARIDAN Jean, terzo segretario; BOPPE Roger, addetto; SANGUINETTI Joseph, console generale, addetto commerciale; ROUMILHAC Georges, addetto finanziario; PARISOT Henri, generale di brigata, addetto militare; DE LAROSIERE Robert, capitano di fregata, addetto navale; PoUPON Roger, tenente colonnello, addetto aeronautico; BARY Hubert, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; CATOIRE, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto.

Germania -VoN HASSELL Ulrich, ambasciatore; VON PLESSEN Johann, consigliere; SCHMip-KRUTINA Hermann, primo segretario; VON GRAEVENITZ Kurt-Fritz, segretario; voN HOHENTHAL Joachim, segretario; voN NEURATH Konstantin, addetto; GRAEFF Friedrich, addetto commerciale; KHOELER Fritz, addetto per l'agricoltura, dal 4 dicembre; MoLLIER Hans, addetto stampa; FrscHER Herbert, generale, addetto militare; WuRMBACH Hans Heinrich, capitano di fregata, addetto navale; ScHULTHErss Paul, maggiore dell'arma aeronautica, addetto aeronautico.

Giappone -SuGIMURA Yotaro, ambasciatore; NAKAYAMA Shoichi, consigliere; HARIMA Toshiharu, primo segretario, fino al 14 settembre; WATANABE Nobuwo, primo segretario, dal 15 settembre; Kuno Tadao, terzo segretario; INOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; SuGI Morio, addetto; TERAOKA Kohei, addetto, dal 27 ottobre; NUMATA Takazo, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; KoJIMA Hitoshi, capitano di fregata, addetto navale; NoMURA Masahiko, maggiore di artiglieria, assistente dell'addetto militare.

Gran Bretagna -DRUMMOND sir Eric James, ambasciatore; INGRAM Edward, consigliere; NoswORTHY Richard Lysle, consigliere per gli affari commerciali; McCLURE sir William, addetto stampa con rango di consigliere; NICHOLS Philip, primo segretario; JEBB Gladwyn, secondo segretario; NoBLE Andrew, secondo segretario; LOMAX J. G., secondo segretario per gli affari commerciali; GREY P. F., terzo segretario, dal 18 dicembre; HARPHAM W., terzo segretario per gli affari commerciali; HERBERT A. J., addetto onorario; ScHOFIELD A., addetto onorario, dal 7 ottobre; STONE Robert, colonnello, addetto militare; POTT Herbert capitano di vascello, addetto navale; DACRE George, colonnello, addetto aeronautico; DAVEY B. C., capitano, addetto militare aggiunto, dal 15 ottobre; Cosa R., comandante, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETOS Aleksandros, consigliere; MELÀS Michele, segretario.

Guatemala -DURAN MoLLINEDO Victor, generale, incaricato d'affari; DuRA.N y FrGUERos J. Ramiro, segretario.

Haiti -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Iran -SEPAHBODI ANOUCHIRAVAN khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HADJEB-DAVALLOU Mohammed khan, primo segretario; KHOSROVI Abdullah khan, addetto.

Iraq -AL-PACHACHI Muzahim bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AL-PACHACHI Taher, addetto, dal 5 novembre; ATAH Amin bey, segretario.

Jugoslavia -Ducré Yovan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELJANSKI Paul, consigliere, dal 20 ottobre; RrsTié Yovan M., primo segretario; VUKOTié Yovan, addetto; KOTNIK Ciril, addetto; PLAMENATZ Ilia, addetto; ZAJcré Bozidar, addetto stampa; MILENKovré Stojadin, colonnello di artiglie):"ia in servizio di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico; DRAGUicEvré Ivan, comandante, addetto militare, navale e aeronautico aggiunto.

Lettonia -SPEKKE Arnolds, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RIEKSTINS Janis, primo segretario.

Lituania -CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILErsrs Petras, segretario.

Messico -VASCONCELOS Eduardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILLATORO Gustavo, consigliere; URIBE Horacio, primo segretario; MONASTERIO Francisco Ortiz, secondo segretario; BOJORQUEZ CORDOVA Jesus, addetto commerciale; Rurz Conrado L., tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Berlino); Rurz GARGOLLO Manuel, tenente colonnello del genio, addetto militare aggiunto; PADILLA AVILA Jesus, capitano di artiglieria, addetto militare aggiunto; CHAGOYA RonRIGUEZ David, primo capitano pilota, addetto militare aggiunto.

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N.N., invito straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -lRGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN OvE C.L., primo segretario; BAkkE Arnold, consigliere commerciale (residente a Berna).

Paesi Bassi -PATIJN Jacob A.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAN PANHUYS W.E., segretario; VAN RrJN J.J., addetto commerciale.

Panama -ARIAS Arnulfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEFÉVRE José E. Ehrman, segretario.

Pqraguay -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Perù -MANZANILLA José Matias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LANATA CounY Luis F., primo segretario; BRAzZINI Ezio, addetto onorario; GILARDI VERA Carlos A., tenente colonnello, addetto aeronautico.

Polonia -WYSOCKI Alfred, ambasciatore; ZAWISZA Aleksander, consigliere; CHROMECKI Taddeus, segretario; MAZURKIEWICZ Roman, consigliere commerciale; MIKULSKI Boeslaw, addetto onorario; MICHALOWSKI Jozef, addetto onorario; NIEWEGLOWSKI Cezary, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico, dal 29 ottobre.

Portogallo -LoBo D'AVILA LIMA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoPES DE CUNHA PEssoA Agnelo, addetto commerciale.

Romania -LUGOSIANU Ion, inviato straordinario e ministro plenipotenziarlo; LEccA Gheorghe, consigliere; BILCIUREscu Grigore, segretario; PORN Eugen, consigliere commerciale; SoLACOLO Teodoro, consigliere per la stampa, dal 10 ottobre; SKELETTI Emi!, colonnello, addetto militare; GHEORGHIU Ermi!, tenente colonnello di aeronautica, addetto aeronautico (residente a Parigi); DOMITREscu Gheorghe, comandante, addetto navale (residente a Londra); GunJU Ion, comandante, addetto militare aggiunto.

Santa Sede -BORGONGINI DucA Francesco, monsignore, nunzio apostolico; MISURACA Giuseppe, monsignore, uditore; VEROLINO Gennaro, monsignore, segretario.

Siam -VIRAJAPHAK Phra Riem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 30 settembre; VISUTRA VIRAJJADES Luang, primo segretario; SuvANADAT Vijen, segretario, dal 4 ottobre; JITAWI Luang, terzo segretario.

SPAGNA -GoMEZ OcERIN Justo, ambasciatore; DE 0JEDA Gonzalo, ministro plenipotenziario, consigliere, fino al 15 settembre; GARCfA-OLAY Pelayo, ministro plenipotenziario, consigliere, dal 16 settembre; FORNS Rafael, primo segretario; JORRO Jaime, secondo segretario; CARRAsco Manuel, addetto onorario (residente a Bologna); FIGUEROA Eduardo, addetto onorario; SosTRE MALUQUER Ramon, addetto onorario; SANCHEZ Florencio, addetto commerciale aggiunto; BuYLLA Adolfo Alvarez, consigliere commerciale; SICARDO José, tenente colonnello di fanteria, addetto militare; EsTRADA Rafael, capitano di fregata, addetto navale.

Stati Uniti d'America -LoNG Bréckinridge, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere; TITTMANN Harlod H., primo segretario; GAnE Gerhard, secondo segretario; HARRISON Randolph jr., terzo segretario; LIVENGOOD Charles A., addetto commerciale; McNAIR Laurence N., capitano di vascello, addetto navale e aeronautico per la marina; PILLOW J.G., colonnello di cavalleria, addetto militare e aeronautico; FISKE Norman E., maggiore, addetto militare aggiunto, dal 31 ottobre; WHITE Thomas D., capitano dell'arma aeronautica, addetto militare e aeronautico aggiunto; HoWARD Herbert Seymo;ur, capitano di vascello, addetto navale aggiunto (residente a Parigi), fino al 29 ottobre; DEL VALLE Pedro Augusto, tenente colonnello di marina, addetto navale aggiunto, dal 30 ottobre; FoRRESTEL Emmet Peter, tenente, addetto navale aggiunto; FURER Julius Augustus, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra).

Sud Africa (Unione del) -HEYMANS Albert, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; EusTACE Terence Henry, segretario; GELDENHUYS Frans Eduard, consigliere commerciale; VAN DER MERWE D.C., addetto.

Svezia -SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SoHLMAN Rolf R., segretario; BAGGE H., addetto; DE LAGERCRANTZ H.G., capitano di cavalleria, addetto militare e aeronautico.

Svizzera -WAGNIÈRE Georges, inviato straordinario e ministro plenipotenziarlo; BROYE Eugène, consigliere; FUMASOLI Mario, primo segretario; MALLET Bernard, secondo segretario.

Turchia -BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; ABACIOGLU Celai Osman, consigliere, fino all'8 settembre; KARABUDA Zeki, consigliere, dal 9 settembre; ARAR Ekrem Ismail, primo segretario; CHADI Kavur, terzo segretario; BELBEZ Nejdet Tahir, terzo segretario; ZIYA Subhi, consigliere commerciale; HAYIROGLU Mahmut Nedim, addetto stampa; GuzELIMDAG Rahmi, capitano di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico ad interim; KoRuTiiRK Fahri, tenente di vascello di Stato Maggiore, addetto navale ad interim.

Ungheria -VILLANI Federico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VÉGH Miklòs, consigliere; DE SZENTMIKLOSY Andras, segretario; DE HERTELENDY Ladislav, segretario, dal 20 settembre; DE BETHLEN Gabriele, addetto; HuszKA Istvan, addetto stampa; SZABÒ Ladislav, tenente colonnello dl Stato Maggiore, addetto militare.

Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche -STEIN Boris, ambasciatore; HELFAND Lev, consigliere; DNEPROFF Pavel, secondo segretario; FRIDGUT Pavel, secondo segretario; BELENKI Boris, rappresentante commerciale; EFIMOFF Efimio, rappresentante commerciale ag·giunto; LUNEFF Pavel Petrenko, addetto militare e aeronautico; ANziPO-CIKUNSKY Lev, addetto navale e aeronautico per la marina; LIKHOVITSKY Teodor, addetto aeronautico aggiunto; ScEI Boris, addetto navale aggiunto.

Uruguay -RAMON GuERRA Ubaldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 27 dicembre; GRUNWALDT CuESTAS Federico, primo segretario, dal 28 dicembre incaricato d'affari ad interim; REVELLO Nicolas, addetto; GAvAzzo José, capitano di artiglieria, addetto militare; FARIAS Medardo R., maggiore, addetto aeronautico.

Venezuela -PARRA PÉREZ Caracciolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAsAs BRICENO J. M., consigliere; RoJAS Hugo, addetto.